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oscuri martiri,eroi del dovere, Appunti di Storia della scuola e istituzioni educative

Riassunto delle lezioni, ben fatto da 30

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 31/05/2019

Tany_96
Tany_96 🇮🇹

4.1

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Scarica oscuri martiri,eroi del dovere e più Appunti in PDF di Storia della scuola e istituzioni educative solo su Docsity! «Oscuri martiri, eroi del dovere» Memoria e celebrazione del maestro elementare attraverso i necrologi pubblicati sulle riviste didattiche e magistrali nel primo secolo dell’Italia unità (1861-1961) Il volume approfondisce, per la prima volta in modo diretto e sistematico, una fonte – i necrologi pubblicati sulle riviste didattiche e magistrali della penisola in occasione della morte di insegnanti e di funzionari della scuola (direttori didattici, presidi, ispettori scolastici, provveditori agli studi ecc.) – totalmente ignorata, almeno in Italia, nell’ambito della storia dell’educazione e della scuola. Il volume utilizza un campione di oltre duemila necrologi tratti da talune tra le più prestigiose riviste scolastiche, didattiche e magistrali dell’Italia unita: i fogli torinesi «L’Istitutore. Foglio ebdomadario d’istruzione» (1852-1894), «L’Osservatore Scolastico. Giornale d’Istruzione e di Educazione» (1865-1899), «L’Unione dei maestri elementari d’Italia» (1870-1920) e «La Scuola Nazionale. Rassegna di Educazione e Istruzione» (1889-1901) E ancora: l’autorevole e diffuso periodico milanese (poi romano) «I Diritti della Scuola» (1899-1994) e la principale e più longeva rivista scolastica e magistrale d’ispirazione cattolica dell’Italia unita, la bresciana «Scuola Italiana Moderna» (dal 1893 a oggi). Si tratta di riviste di diverso orientamento ideologico e politico, le quali riflettono, nel loro complesso, le molteplici e variegate istanze culturali e pedagogiche che hanno alimentato il dibattito sulla scuola e sulla professione docente nell’Italia unita e coprono complessivamente un arco temporale di oltre un secolo consentendo di approfondire le caratteristiche e l’evoluzione fatta registrare da una simile fonte sul lungo periodo: dalla costituzione dello Stato unitario fino al secondo dopoguerra. I necrologi sono qui considerati quale strumento di costruzione identitaria per i gruppi e le istituzioni che li hanno prodotti E come tali consentono di cogliere l’evoluzione del modello di insegnante e di funzionario scolastico nelle diverse fasi storiche e alla luce dei differenti contesti ideologici, politici e culturali approfondendo altresì il significato attribuito all’istruzione popolare e alla lotta all’analfabetismo, nonché al ruolo dell’educazione e della scuola stessa nella costruzione dell’identità nazionale e nella promozione dei valori della cittadinanza nelle varie stagioni della ormai plurisecolare vicenda unitaria italiana I necrologi hanno rivestito una crescente importanza sulle riviste scolastiche, didattiche e magistrali: costante presenza di una o più rubriche fisse su ogni testata con l’obiettivo di tenere viva, all’interno della classe docente, la memoria e l’esempio dei «Colleghi caduti» e degli «Educatori scomparsi» Nella seconda metà dell’Ottocento: austere rubriche denominate semplicemente «Necrologia», «Necrologie» «Cenni necrologici» o «Albo necrologico» Nei primi decenni del Novecento: si moltiplicano le rubriche e si differenziano le titolazioni Il caso de «I Diritti della Scuola»: una serie di rubriche variamente denominate: «Lutti in Famiglia», «Figure scomparse», «Educatori scomparsi», «In memoria», «Quelli che ci hanno lasciato». Ma anche il caso di «Scuola Italiana Moderna»: una serie di rubriche denominate: «In Memoriam», «Echi», «Sul campo del dovere» e «Pro Patria» (le ultime due dedicate ai maestri morti al fronte nella prima guerra mondiale) E ancora: oltre a «Resurgent», anche «Nella luce della gloria», «I nostri Eroi» e «Albo della gloria. Colleghi caduti», dedicate ai maestri morti al fronte nella seconda guerra mondiale; «Maestri di vita oltre la morte», riservata ai maestri partigiani o soldati dell’esercito regolare trucidati dai nazifascisti nel corso della lotta di liberazione Infine: «Educatori che scompaiono», negli anni del secondo dopoguerra. Tipologia dei necrologi Una pluralità di approcci e di riferimenti retorici: dalle poche righe contenenti i dati essenziali del defunto e qualche frase di circostanza (nel caso di semplici insegnanti privi di particolari requisiti di notorietà) alle vere e proprie rievocazioni biografiche, arricchite da approfondimenti in ordine ai ‘meriti’ e alle qualità professionali e dall’illustrazione di eventuali opere date alle stampe (per docenti divenuti parlamentari o ministri, funzionari ministeriali di alto rango, insegnanti approdati a cattedre universitarie o distintisi per i loro meriti sul versante dell’innovazione pedagogica e didattica ecc.). (1) Il periodico torinese «L’Istitutore» e la promozione di un nuovo ideale d’insegnante agli albori dell’unificazione nazionale «L’Istitutore» (1852-1894), fondato a Torino nel 1852 da Domenico Berti, che lo diresse in una prima fase raccoglieva l’eredità del «Giornale della Società d’Istruzione e di Educazione» (1849-1852), il primo vero periodico magistrale e didattico di respiro nazionale , uno dei fogli scolastici più rappresentativi e autorevoli dell’ultimo quarantennio dell’Ottocento,impegnato a divulgare i principi della pedagogia di matrice spiritualista e cattolico-liberale (Niccolò Tommaseo, Antonio Rosmini ecc.) e nel propugnare il rinnovamento dell’istruzione pubblica e privata nella penisola in chiave liberale moderata. All’indomani dell’unificazione nazionale, in particolare, «L’Istitutore» ingaggiò una vera e propria battaglia in favore del miglioramento dello stato giuridico ed economico degli insegnanti elementari dei quali rivendicò a più riprese l’insostituibile funzione di «educatori nazionali» e di veri e propri «artefici e protagonisti», attraverso la scuola, della trasformazione delle plebi «in un popolo conscio dei propri doveri, rispettoso della legge e geloso custode della nazionale indipendenza». Una funzione peculiare, ma tutt’altro che secondaria esercitò anche la rubrica dedicata ai necrologi, alla quale fu affidato, oltre al «nobile ufficio» di «onorare tali probi cittadini» e di «tenere desto fra le giovani generazioni il loro ricordo» anche il «dovere sacro» di «rammentare le virtù proprie del maestro» e di additarne l’esemplarità al fine di suscitare tra i lettori, ovvero all’interno della classe docente, desideri di emulazione e di alimentare ed accrescere nell’opinione pubblica e nelle classi dirigenti del paese il prestigio e l’autorevolezza della categoria. Così, nel dare notizia ai lettori della scomparsa di Giacomo Demichelis, l’anziano e umile maestro elementare di Bosco Marengo, un piccolissimo centro rurale in provincia di Alessandria veniva sottolineata in primo luogo l’appartenenza di quest’ultimo alla speciale categoria di «probi cittadini» i quali, esercitando l’«alto magistero di educatori», avevano «giovato alla patria» a tal punto da rendersi «benemeriti» e da acquisire il «diritto a commemorazione»: A Bosco Marengo – si affermava nel necrologio del maestro Giacomo Demichelis –, gli venne affidato l’ufficio di maestro elementare. In esso durò meglio di 38 anni, tanto che la generazione presente di quel paese ricevette quasi tutta da lui i primi ammaestramenti. […] La lingua italiana coltivò sempre con amore grande, e la scriveva assai bene: e in iscuola diceva sempre, poiché questa bella lingua era la nostra, correre obbligo a tutti di studiarla bene, che senza di essa non saremmo mai stati noi. E poi veniva a parlarci della patria come di qualche cosa che legava in comunione di diritti e di doveri tutti gli abitanti delle sparse membra d’Italia: e l’amor della patria da quello del paese saviamente distingueva. […] Fu buono e pio: gli affetti domestici conciliava ai patrii, i religiosi ai civili: e il sentimento religioso, che aveva profondo, faceva a lui più forte il morale; e della ragione saviamente usando, affermava sentire più vivamente il bisogno di fede. per la quale l’insegnamento era apostolato, la scuola palestra di educazione morale e civile, il dovere culto e il sacrificio abito della vita. Nel corso degli anni Novanta i necrologi pubblicati sui due periodici scolastici torinesi approfondirono diverse altre questioni, tra le quali quella relativa al potenziamento e rinnovamento della preparazione pedagogica e didattica dei maestri elementari e quella, in parte collegata, concernente il ruolo di primaria importanza che i medesimi maestri erano chiamati ad esercitare nella lotta all’analfabetismo e per la diffusione dell’istruzione popolare nella penisola. «L’Osservatore scolastico» condusse, a questo riguardo, una vigorosa campagna a favore dell’aggiornamento culturale e professionale della classe docente, offrendo all’attenzione dei suoi lettori, attraverso i necrologi, una serie di ‘modelli esemplari’ di maestri che si erano distinti per la loro «soda coltura didattica» e per l’efficacia del loro «magistero educativo». Così dell’insegnante albese Giulio Cesare Mascarelli, scomparso prematuramente, dopo aver lodato l’«ingegno non comune» e il suo essere «un lavoratore instancabile», si ponevano in luce il «sano criterio pedagogico» e la «coltura didattica soda ed estesa», in virtù dei quali egli era universalmente apprezzato. Per quel che concerne l’altra tematica sopra richiamata, i necrologi apparsi su «La Scuola nazionale» nel corso degli anni Novanta non mancano di sottolineare il ruolo di primaria importanza che i maestri erano chiamati ad esercitare ai fini della lotta all’analfabetismo e per la diffusione dell’istruzione popolare nella penisola. Nel caso dell’insegnante elementare del piccolo borgo di Farigliano, don Giuseppe Arnaldi, ad esempio, s’insisteva sull’inestimabile beneficio fornito da questo «fautore sincero dell’istruzione popolare» alla gioventù del luogo attraverso l’insegnamento dell’alfabeto, tale per cui egli poteva essere a tutti gli effetti considerato «davvero un secondo padre amorosissimo». (3) Il periodico «L’Unione dei maestri elementari d’Italia» e le battaglie per l’elevazione della classe magistrale e la diffusione dell’istruzione popolare a cavallo tra Otto e Novecento Il longevo periodico subalpino «L’Unione dei maestri elementari d’Italia» (1870-1920) sorse con l’obiettivo: di «difendere i diritti dei maestri trattati “peggio del campanaro, del becchino, della guardia campestre”» e di sostenere con forza la battaglia per l’avocazione delle scuole elementari allo Stato. A partire dagli anni Ottanta, diede il proprio appoggio all’attività dell’Associazione pedagogica tra i professori delle scuole normali, della quale condivise l’impegno per il rinnovamento della cultura pedagogica e didattica magistrale alla luce delle nuove teorie scientifiche di matrice positivista. Nel 1901, inoltre, fu a fianco di Luigi Credaro nel sostenere la fondazione dell’Unione Magistrale Nazionale (UMN). Di tali questioni il foglio torinese diede ampio conto anche nella rubrica denominata dapprima «Cenni necrologici» e poi «Albo necrologico» edita con grande risalto per tutto il mezzo secolo di pubblicazioni con lo scopo di «conservare viva la memoria» di coloro che non avevano esitato a «sacrificare la loro vita» per «educare i figli del popolo». L’immagine del maestro elementare che, a partire dal principio degli anni Settanta, i necrologi pubblicati su «L’Unione dei maestri elementari d’Italia» disegnano è quella dell’«umile operaio del pensiero», «venuto dal popolo» e «al riscatto del popolo interamente votato» un autentico «apostolo della scuola» animato solamente dalla «coscienza del dovere» nel cui magistero educativo rifulgono «tutte le cristiane e cittadine virtù». E non è casuale, a questo riguardo, che nel fare memoria dei tanti insegnanti elementari scomparsi in quel periodo, il foglio magistrale torinese dedicasse un’attenzione particolare a quelli che avevano «prematuramente logorata la loro vita nell’educare ed istruire con affetto di padre i giovanetti» alle loro «solerti cure affidati», i quali costituivano un’ideale galleria di «martiri» della scuola e dell’istruzione popolare: La morte giovane degli insegnanti – si affermava in un necrologio dato alle stampe nell’agosto 1880 – è una spiegazione terribile delle loro fatiche e delle loro miserie! Quanti ne muoiono innanzi tempo per l’eroismo, per l’entusiasmo, per l’abnegazione al nobile mandato! Quanti con sacrifici vincono l’ostinazione dei tempi! Tappati molte volte, per non dir sempre, in ambienti angusti, pestilenziali, colla vociferazione incessante distruggono le vitalità più giovani e robuste; sono vividi fiori che inaridiscono sullo stelo. […] Però vediamo coi fatti ch’essi non si arrestano, non maledicono l’ingratitudine, l’ingiustizia sociale; sopportano con rassegnazione i loro stenti, l’agonia, la morte! Su «L’Unione dei maestri elementari d’Italia», a questo proposito, si richiamavano le «vite esemplari»: del maestro Giuseppe Picco di Musso Valle inferiore, il quale, «ispirandosi sempre alla coscienza del dovere», per oltre 25 anni aveva «con tanto amore» dispensato «i segreti della virtù e del sapere» alla sua «numerosa scolaresca»; e del maestro Domenico Manzi, attivo per tanti anni nel circondario di Savona, il quale era rimasto «vittima del suo instancabile zelo e grandissimo amore nell’educare i figli del popolo»; nonché quelle degli insegnanti elementari don Antonio Ramello, che «aveva logorata la sua vita nello studio e nell’educare ed istruire i giovanetti»; e di Margherita Baratelli, l’«umile e laboriosa» maestra di Bassignana, «buona ed affabile con tutti», la quale, a costo di enormi sacrifici, era riuscita ad insegnare alla gioventù del piccolo borgo situato in provincia di Alessandria «le via della virtù e del sapere, dimostrando quale fosse la vera civiltà e il vero progresso». I necrologi degli insegnanti elementari scomparsi, dati alle stampe su «L’Unione dei maestri elementari d’Italia» a cavallo tra Otto e Novecento puntavano a dar corpo ad una sorta di narrazione agiografica volta ad accreditare un’immagine del maestro elementare quale moderno santo laico , le cui «cristiane e cittadine virtù», esercitate in sommo grado, ne facevano il principale e più autentico «artefice della rinascita morale e civile della nazione» Così, ad esempio, nel dare notizia, nel settembre 1907, della morte del maestro elementare di Castronovo in provincia di Palermo, Giovanni Ninetti, «educatore valorosissimo» e «cittadino dalle più elette virtù» «L’Unione dei maestri elementari d’Italia» non mancava di evidenziarne enfaticamente le rare doti dell’animo che lo avevano costantemente ispirato, consentendogli di realizzare appieno la sua vocazione d’insegnante ed educatore del popolo: Educatore zelantissimo, di mente eletta, di squisita bontà – recitava il necrologio del maestro Giovanni Ninetti –, non patteggiò mai con la coscienza, non tradì mai il vero, non servì mai l’iniquità, non fece mai tregua coi vili. Disimpegnò con competenza e scrupolo, nel corso della sua lunga carriera, il suo apostolato; lasciò orme del suo senno, di saldezza di propositi, di zelo instancabile, di tempra austera; non ambì onori, non distinzioni, non mendicò favori; solo fu pago che l’opera sua fosse utile ai figli del popolo, ai quali insegnò – per più di sette lustri – con intelletto d’amore, e sempre con lode dell’autorità, […] con soddisfazione degli alunni e delle famiglie, dalle quali era circondato di stima e venerazione profonda. A partire dai primi anni del Novecento, nei necrologi apparsi su «L’Unione dei maestri elementari d’Italia» fa capolino per la prima volta il riconoscimento dell’impegno profuso dagli insegnanti scomparsi per «l’organizzazione delle forze magistrali» e per lo sviluppo dell’associazionismo di categoria. Accanto all’immagine del maestro quale artefice della lotta all’analfabetismo, promotore dell’istruzione e dell’educazione popolare e principale protagonista della formazione etico-civile e della promozione del sentimento nazionale tra le giovani generazioni trova, dunque, sempre maggiore rilevanza quella del maestro «militante» e «propagandista» della categoria impegnato in prima persona nelle iniziative avviate dalle associazioni magistrali locali e nelle battaglie intraprese a livello nazionale dall’UMN di Luigi Credaro la cui opera a favore del miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro degli insegnanti primari e per il potenziamento dell’istruzione popolare è ora riguardata a tutti gli effetti come uno dei cardini dell’identità magistrale. E’ significativa, a questo riguardo, l’enfasi con la quale, nel dare notizia, nel marzo 1904, della scomparsa dell’«operoso e saggio» maestro di Oneglia Giuseppe Amoretti, «insegnante elementare da oltre 50 anni» si sottolineava l’impegno da questi profuso per la costituzione della locale associazione di mutuo soccorso tra i maestri e il supporto offerto all’inizio del secolo da tale sodalizio alla fondazione dell’UMN. Analogamente, nel necrologio apparso sul foglio magistrale torinese nell’aprile 1909 e dedicato al maestro e direttore delle civiche scuole di Genova Giovanni Battista Caprile si ricordava soprattutto il ruolo di «presidente dell’Unione magistrale ligure» da questi esercitato con «encomiabile zelo» e con eccellenti risultati. Negli anni successivi, del resto, la stragrande maggioranza dei necrologi apparsi su «L’Unione dei maestri elementari d’Italia» avrebbe richiamato l’attenzione dei lettori sul ruolo di «autorevole organizzatore delle forze magistrali nella provincia» , su quello di «organizzatore intelligente e instancabile della classe magistrale» e, infine, su quello di «figura radiosa di organizzatore delle forze magistrali» che non pochi tra gli insegnanti deceduti potevano vantare ribadendo a più riprese come tale impegno in ambito associativo costituisse il modo più idoneo per favorire il rilancio della categoria magistrale e creare in tal modo le premesse per l’affermazione e il radicamento della scuola popolare in Italia. (4) Il periodico «Scuola Italiana Moderna», i maestri e l’istruzione popolare dalla fine dell’Ottocento alla riforma Gentile (1923) «Scuola Italiana Moderna»: il più antico periodico per i maestri tuttora pubblicato affonda le sue radici negli ambienti del cattolicesimo intransigente di fine Ottocento. Promosso da Giuseppe Tovini (1841-1897), allora responsabile della «Terza Sezione» dell’Opera dei Congressi, che intese dare ai maestri una rivista didattica da affiancare al periodico «Fede e Scuola» (1892-1904), organo ufficiale dell’Opera per la Conservazione della Fede nelle Scuole d’Italia, con caratteristiche non troppo confessionali onde ottenere la maggiore circolazione possibile tra le file degli insegnanti. Pur mantenendo un’impostazione essenzialmente didattica, la rivista svolse nei primi anni anche un’ampia riflessione sul rinnovamento pedagogico e scolastico in Italia. In linea con gli orientamenti dell’Opera dei Congressi, il settimanale si espresse a favore del rilancio della pedagogia spiritualista (con riferimento a Lambruschini, Aporti, Rayneri) e dell’attuazione del pieno riconoscimento della libertà d’insegnamento. Trovarono altresì spazio articoli intesi a ribadire che il principio di ogni umana convivenza non poteva prescindere dai valori del Cristianesimo e a tracciare il profilo del ‘maestro cristiano’ Al principio del Novecento «Scuola Italiana Moderna» visse una grave crisi ma, a differenza di altri fogli cattolici intransigenti, destinati ad un irreversibile declino, il settimanale bresciano sopravvisse e, anzi, ebbe un vero e proprio rilancio in seguito alla decisione di un gruppo di cattolici bresciani di costituire la Società Editrice La Scuola al fine di sostenerne la pubblicazione. Senza rinunciare in alcun modo alle grandi posizioni ideali e di principio (libertà d’insegnamento in rispetto del primario diritto educativo delle famiglie, istruzione religiosa nelle scuole elementari e avversione al progetto di passaggio delle scuole primarie allo Stato) , il periodico bresciano seguì con crescente attenzione le vicende dell’associazionismo magistrale, da un lato contrastando gli orientamenti laicisti e anticlericali dell’UMN e, dall’altro, sostenendo le iniziative volte a creare un forte sodalizio di maestri cattolici ciò che infine riuscì dopo il 1906 con la scissione della componente cattolica dall’UMN e la creazione dell’Associazione magistrale «Nicolò Tommaseo». Il primo conflitto mondiale costituì per molti versi una sorta di spartiacque ideologico per «Scuola Italiana Moderna», la quale conferì sempre maggiore rilevanza all’educazione patriottica delle giovani generazioni rivendicando il ruolo determinante esercitato dalla Chiesa e dal cattolicesimo nella promozione dei «valori fondanti la Nazione italiana (Dio, Patria e Famiglia)» e nell’edificazione della coscienza nazionale. Nel primo dopoguerra la rivista bresciana accentuò la sua polemica nei confronti delle istanze pedagogiche e didattiche di matrice positivista e nei riguardi delle correnti laiche e socialiste in seno all’UMN. L’atteggiamento verso la riforma scolastica di Giovanni Gentile del 1923 fu orientato ad accogliere tutte le opportunità che la nuova situazione offriva. In particolare, «Scuola Italiana Moderna» espresse un ampio consenso nei riguardi Così, del maestro comunale di Zevio (Verona), Guglielmo Andreoli, si ricordava la testimonianza di fede cristiana resa attraverso l’insegnamento e il fatto che, proprio in virtù di tale testimonianza, egli fosse stimato da tutta la popolazione del piccolo borgo e «tenuto come un santo»; allo stesso modo erano ricordate la «religiosissima» insegnante elementare di Barbata (Bergamo), Antonietta Neri, definita «un’educatrice modello per la bontà della vita e per la sua dedizione assoluta alla scuola», e la sua collega di Zubiena Biellese (Novara), Maria Verdola, la quale, in forza della sua coerente testimonianza di fede, incarnava «il modello più perfetto della vera Maestra». Il tentativo di marcare l’alterità e l’irriducibilità dei princìpi e dei valori che ispiravano la testimonianza e l’operato del maestro cristiano, rispetto all’ideologia e alla pedagogia del fascismo, era destinato ad informare larga parte dei necrologi dati alle stampe dalla rivista bresciana nella prima metà degli anni Trenta. Non a caso, rievocando «la nobiltà e la grandezza» di quell’«anima sinceramente cristiana» del direttore didattico di Montalto Marche Giuseppe Bormioli veniva sottolineato: Alla nobilissima causa dell’Istruzione ed Educazione dei figli del popolo aveva dato tutte e per lungo tempo, le sue preziose energie. Era venerato: dallo sguardo, dalla parola franca, leale, dignitosa, emanava tale espressione di virtù da sembrare un santo. Cristiano convinto e praticante, mirava alla dottrina di Gesù e alla pratica del Vangelo al disopra di ogni considerazione di persona, di interesse, di partito. […] Fu fedele sempre alla missione di Educatore, concepita come un sacerdozio, fortificata da una larga e fresca coltura, […] sempre coscienziosamente scrupoloso nell’adempimento del Suo dovere. Anche nei necrologi dati alle stampe su «I Diritti della Scuola» non si riscontrano, almeno fin verso la metà degli anni Trenta, riferimenti diretti o indiretti al fascismo e alle sue scelte in materia di politica scolastica. Accantonate necessariamente le tradizionali posizioni radical-democratiche, all’indomani della marcia su Roma il periodico fondato da Guido Antonio Marcati e diretto ora da Annibale Tona si fece promotore di un ideale di maestro elementare dalle forti venature nazionalistiche, il cui principale compito era quello di rafforzare la coesione sociale e la piena identificazione delle popolazioni con gli ordinamenti e le istituzioni dello Stato. Non stupisce, a questo riguardo, l’enfasi posta sulle ‘virtù laiche’ e sulla vera e propria ‘sacralità’ del ruolo e dei compiti che la patria assegnava ai maestri e alla scuola elementare. Dell’«alta e nobile figura» del maestro di Certaldo (Firenze), Francesco Marinari, ad esempio, «I Diritti della Scuola» sottolineava l’impegno profuso «per lunghi anni nella scuola del popolo» come educatore della coscienza nazionale: La passione sua maggiore fu la scuola, tenuta per quarant’anni e intesa come la formazione morale e civile dei fanciulli e dei giovani affidatigli, come il compito sacro cui non si doveva mancare, quali che fossero le vicende, al disopra di ogni affanno e di ogni sventura. Qualcosa di simile la rivista diretta da Annibale Tona affermava a proposito del «valoroso e benemerito» maestro di S. Nicandro Garganico, Matteo Alfarano, scomparso improvvisamente «dopo trentasette anni d’insegnamento coscienzioso e fecondo»: Dette la sua migliore attività nel campo della scuola e delle organizzazioni magistrali e operaie con uno spirito fervido di educatore e di cittadino probo e onesto. […] Le sue doti di mente e di cuore, la dirittura del suo carattere, gli guadagnarono la stima dei concittadini, della famiglia scolastica e delle autorità scolastiche. […] Matteo Alfarano aveva compreso che è nella scuola elementare, in cui si coltivano i fiori delle novelle primavere umane, che si profondono le salde radici spirituali dell’avvenire di un popolo forte e generoso. Il peculiare itinerario umano e professionale di taluni maestri scomparsi offriva l’occasione a «I Diritti della Scuola» di ribadire con forza la centralità dell’insegnamento elementare e popolare, riguardato come la più alta e compiuta forma di «apostolato laico e patriottico», ai fini del progresso civile e culturale del paese e del consolidamento della «coscienza nazionale». Soltanto verso la metà degli anni Trenta, come si è già ricordato, nei necrologi dati alle stampe su «Scuola Italiana Moderna» e su «I Diritti della Scuola» fanno la loro comparsa i primi generici riferimenti all’ideologia mussoliniana e al regime fascista. E’ pur vero tuttavia che, per quel che concerne «Scuola Italiana Moderna» almeno fino alla fine degli anni Trenta i riferimenti, talora anche molto ampi e circostanziati, contenuti nei necrologi dei maestri scomparsi all’ideologia fascista e alle organizzazioni scolastiche del regime convivono con quelli relativi alla fede cristiana e all’appartenenza alle organizzazioni dell’Azione Cattolica creando talora un inedito quanto improbabile intreccio tra la roboante retorica mussoliniana e un linguaggio religioso ispirato sovente all’umile ideale francescano. Ad esempio, non è facile cogliere il senso della «schietta adesione» al fascismo da parte del maestro modenese Elpidio Marinelli, «milite attivo di Azione Cattolica» e «Terziario Francescano», il cui operato di insegnante ed educatore, per le squisite doti dell’animo e la profondità dei convincimenti religiosi professati, sembrava ispirato più all’ideale caritatevole dei grandi santi educatori dei secoli passati che alle «maschie» e «marziali» direttive scolastiche del regime mussoliniano. Emblematico di tale stato di cose è l’ampio necrologio dedicato all’insegnante di Carpaneto di Piacenza, Luisa Marina, nel quale convivono le antiche qualità dell’animo e i nuovi tratti della fierezza fascista: Nata con la vocazione della scuola e pronta per essa ad ogni sacrificio e ad ogni slancio, intese veramente l’ufficio educativo come un apostolato e ad esso dedicò le energie del fervido cuore e della mente aperta a tutte le belle e nobili cose. Né la missione di sposa e di madre diminuì nella maestra lo zelo e la passione della scuola. […] Occhio mite e pur fiero, piglio deciso e parola parca, propri di chi vive di azione, erano i suoi tratti caratteristici esterni: bontà, amore, spirito di sacrificio formavano l’aureo filone da cui traeva ogni sua ricchezza spirituale. […] Cogli umili amava mescolarsi fraternamente, per esser partecipe delle loro gioie e dei loro dolori e per insegnar loro ad amare Dio, la Patria e il lavoro. […] Lascia nelle organizzazioni, fasciste nelle quali ricoprì sempre alte cariche, un vuoto profondo. A partire dalla metà degli anni Trenta, anche nei necrologi degli insegnanti pubblicati su «I Diritti della Scuola» è dato di ritrovare un sempre più largo riferimento agli ideali e ai miti del fascismo. Nel profilo biografico del R. Ispettore capo delle scuole elementari di Roma, Carmelo D’Agostino, scomparso improvvisamente nel gennaio del 1934, ad esempio, comincia a delinearsi il modello del maestro fascista «tutto azione, ardimento e disciplina»: Nato a Graniti, in provincia di Messina, il 20 gennaio 1863 – si affermava nel necrologio –, dopo aver assolto con non comune competenza e cuore d’apostolo la sua missione di maestro e di direttore nelle scuole di Francoforte, Grammichele e Taormina, passò, nel 1895, a insegnare nelle scuole di Roma. Cinque anni dopo raggiunse l’ufficio di R. ispettore. […] Ispettore, primo ispettore, ispettore capo, fu amico, consigliere, animatore, lume per i maestri e le istituzioni educative. Incoraggiò le buone iniziative, lottò risolutamente contro le cattive abitudini, […] richiese con ostinata insistenza dagli educatori riservatezza, irreprensibilità di condotta, austerità di costumi, […] sentimento della propria responsabilità. Con cuore di patriota e di fascista, elargì, durante la guerra, larghi aiuti di consiglio, di opera, di danaro, ravvivando le speranze degli scettici e spronando i timidi e i dubbiosi alla resistenza; e fu poi appassionato e fervido propagandista a favore dei prestiti nazionali, della Croce Rossa, della lotta contro la tubercolosi, della Festa del grano, dell’istituzione balillistica, dell’incremento delle biblioteche scolastiche, della Mutualità, dell’Opera pro maternità e infanzia e di tutte le forme assistenziali. Sul finire degli anni Trenta, nel delineare, attraverso i necrologi, il profilo del «perfetto maestro elementare fascista», tanto «I Diritti della Scuola» quanto «Scuola Italiana Moderna» ponevano in evidenza: la necessità di andare oltre la semplice adesione al PNF e la pur doverosa e indispensabile partecipazione alle iniziative delle organizzazioni scolastiche del regime mussoliniano. Il modello a cui si guarda è quello: del ‘milite’ della scuola, del ‘combattente’ impegnato sul ‘fronte’ della guerra all’analfabetismo e all’ignoranza e per il riscatto nazionale e la «fascistizzazione integrale» delle nuove generazioni. Il caso de «I Diritti della Scuola» e del necrologio di Giuseppe Sandrone, R. Direttore didattico di Riva del Garda, il cui nome era «legato ai primissimi movimenti per la fascistizzazione della scuola», tra le ‘benemerenze’ segnalate nel necrologio risultino largamente prevalenti quelle acquisite sui campi di battaglia e come protagonista della «Rivoluzione Fascista», piuttosto che quelle maturate tra i libri di scuola e nelle aule scolastiche: Fu vice segretario generale della Corporazione della Scuola, segretario provinciale di Milano, e quindi componente il Direttorio nazionale fino al 1926. Ma Giuseppe Sandrone era anche conosciuto come valoroso combattente, prima nella guerra italo-turca e immediatamente dopo nella guerra mondiale, col grado di capitano degli Alpini. Tornato dalla guerra e nominato, per concorso, maestro nelle scuole di Milano, si iscrisse al P.N.F. nel 1920 e fece parte della squadra d’azione “La Volante”, partecipando a numerose azioni in Milano e fuori, e buscandosi qualche giorno di carcere, insieme con i suoi camerati della stessa squadra, a Pallanza, in seguito ad uno scontro con i sovversivi di Intra. Le azioni squadriste non lo allontanavano del tutto dai suoi studi prediletti. […] Dalle scuole di Milano era passato a quelle di Monza, come direttore didattico comunale nel 1927, e dopo l’avocazione delle scuole allo Stato era stato assunto nel ruolo di primo ispettore e destinato a Riva del Garda, dove chiuse la sua breve e laboriosa esistenza, rimpianto dai maestri della sua circoscrizione. Cinque campagne di guerra, croce al merito, squadrista del 1920, brevetto della Marcia su Roma, educatore fascista, organizzatore del primo Fascio scolastico! Camerata Giuseppe Sandrone! Presente! Sulle pagine di «Scuola Italiana Moderna», allo stesso modo, del maestro e «fiduciario nazionale dell’Associazione Fascista della Scuola Elementare» Augusto Antonelli si ricordava come egli, «combattente fermissimo per la grandezza imperiale della scuola», avesse costantemente inteso la sua professione come un «eroico cimento per l’affermazione dell’Italia fascista» e, per ciò stesso, fosse «vissuto nella battaglia». Mentre dell’insegnante milanese Gian Francesco Marini la rivista bresciana si limitava a ricordare solo pochi particolari, ma estremamente significativi dal punto di vista della sua adesione al fascismo: A Milano, dopo brevissima malattia, è morto il prof. Gian Francesco Marini. […] Di costumi e di pensiero entusiasticamente aderente al grande rinascimento della Patria, combattente nella Grande Guerra col grado di capitano, partecipò alla Rivoluzione delle Camicie Nere. Decorato del brevetto della Marcia su Roma fu anche uno dei più alati e generosi pionieri della fascistizzazione della scuola. In ultimo, di particolare interesse, su questo stesso versante, è anche il necrologio dedicato nel 1940 da «I Diritti della Scuola» al maestro e direttore didattico parmense Antonio Benzi, nel quale, più ancora delle ‘benemerenze’ acquisite per ‘meriti fascisti’, si fa riferimento al ‘temperamento’ naturaliter fascista dell’uomo di scuola, il quale appare anche sul piano antropologico la perfetta incarnazione del «nuovo maestro» tutto «azione, ardimento e disciplina» vagheggiato dal regime mussoliniano: Antonio Benzi – recitava il necrologio – iniziò la professione nelle scuole dei piccoli paesi della Bassa padana, a Guastalla, e poi fu nominato a Parma, dove continuò per lunghi anni, prima maestro, poi direttore, e infine chiuse la sua vita magistrale. Parma era la città adatta al suo temperamento di uomo di azione e di passione: la città barricadiera del sindacalismo e dell’interventismo corridoniano era l’atmosfera in cui pulsava a suo agio il suo cuore generoso. […] Era un ‘animatore’ trascinante. Polemico e cavallerescamente aggressivo, costringeva a seguirlo, ad entusiasmarsi delle sue idee. (6) «Scuola Italiana Moderna», i maestri e l’istruzione popolare nell’Italia del secondo dopoguerra Nei necrologi dati alle stampe su «Scuola Italiana Moderna» nella fase immediatamente successiva alla fine della seconda guerra mondiale, e in particolare nel triennio 1945-1947, si colgono due differenti istanze, destinate a convivere a lungo sulla rivista bresciana e a condizionarne le scelte e gli orientamenti di fondo. La prima istanza è quella legata alla celebrazione della Resistenza e della guerra di liberazione e, più in particolare, all’esaltazione della memoria e dell’esempio dei tanti maestri cristiani divenuti ‘ribelli per amore’ e finiti trucidati in montagna ad opera dei nazifascisti o giustiziati nei Lager tedeschi dove erano stati inviati per essersi rifiutati di aderire alla Repubblica di Salò. A costoro era dedicata la rubrica «Maestri di vita oltre la morte» che, a partire dal 1945, accolse il ricordo dei tanti «maestri partigiani» e «insegnanti soldati» i quali avevano saputo «morire serenamente, testimoniando la loro fede in
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