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Guide e consigli
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Ossigenoterapia dispensa, Dispense di Pneumologia

Dispensa ossigenoterapia approfondita e completa

Cosa imparerai

  • Come i recettori centrali e periferici regolano la ventilazione respiratoria?
  • Come si misura la saturazione di ossigeno arterioso?
  • Come avviene lo scambio gassoso nella respirazione?
  • Quali sono i sintomi dell'ipossia?
  • Come viene utilizzata l'ossigenoterapia per trattare l'ipossia?

Tipologia: Dispense

2018/2019
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Caricato il 02/05/2019

paoloskk
paoloskk 🇮🇹

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Scarica Ossigenoterapia dispensa e più Dispense in PDF di Pneumologia solo su Docsity! Ossigenoterapia Cenni di fisiologia Il meccanismo della respirazione è regolato da 3 componenti fondamentali: i sensori, il controllore centrale e gli effettori. I sensori sono costituiti dai chemiorecettori centrali, situati nel midollo allungato, e dai chemiorecettori periferici situati nei corpi (glomi) carotidei e in quelli aortici. I chemiorecettori centrali rispondono alle modificazioni della concentrazione di ioni idrogeno (H+) del liquido cerebrale extracellulare, quelli periferici sono invece sensibili a variazioni della pressione parziale di ossigeno (PaO2) e di anidride carbonica (PaCO2) e del pH nel sangue arterioso. Il controllore centrale corrisponde a 2 distinti gruppi di neuroni, responsabili rispettivamente del controllo volontario e del controllo automatico. Il primo risiede a livello della corteccia cerebrale, mentre il secondo nel ponte e nel bulbo. L’area bulbare deputata alla regolazione della respirazione automatica è definita centro respiratorio. La scarica ritmica dei neuroni presenti nel centro respiratorio è alla base dell’automaticità della respirazione. I centri respiratori pontini (centro pneumotassico e centro apneustico) interferiscono con l’attività del centro respiratorio bulbare regolando il ritmo della respirazione. L’attività del centro respiratorio bulbare è regolata anche dalle informazioni provenienti dai chemiocettori. L’attività del centro respiratorio aumenta se nel sangue arterioso aumenta la pressione parziale dell’anidride carbonica (PaCO2) o la concentrazione di ioni H+ oppure se si riduce la pressione parziale dell’ossigeno (PaO2). Al controllo chimico si sovrappongono altri meccanismi di controllo per gli aggiustamenti fini della respirazione in situazioni particolari. Gli effettori corrispondono ai muscoli della respirazione: diaframma, muscoli intercostali, muscoli addominali e muscoli accessori (di cui i principali sono gli sternocleidomastoidei). L’attività dei muscoli respiratori determina la ventilazione. Con la volontà è possibile inibire la respirazione ma solo per un periodo di tempo limitato, superato il quale il controllo volontario viene sopraffatto dal controllo automatico e il respiro riprende. Il momento in cui l’inibizione volontaria del respiro cessa di agire è determinato dall’aumento della PaCO2 e dalla riduzione della PaO2 ed è chiamato punto di rottura. Con la respirazione l’ossigeno inalato entra nei polmoni e raggiunge gli alveoli dove avviene lo scambio gassoso tra ossigeno (O2) e anidride carbonica (CO2). L’ossigeno passa dagli alveoli al sangue capillare, l’anidride carbonica passa dal sangue capillare agli alveoli e viene quindi espirata. Durante l’espirazione la percentuale di O2 nell’aria alveolare diminuisce e quella di CO2 aumenta sino all’inspirazione successiva. Nella tabella 1 sono indicati i valori di riferimento in condizioni fisiologiche di PaO2 e PaCO2 nell’aria inspirata e nei principali distretti. Ossigenoterapia - 2 - Tabella 1. Pressione parziale dei gas respiratori1 PaO2 mmHg PaCO2 mmHg aria inalata 156 0 alveoli 100 40 sangue arterioso 97 40 sangue venoso 50 46 Durante la respirazione un adulto sano ha una frequenza respiratoria di 14-20 atti al minuto mentre i bambini hanno una frequenza maggiore (20-30 atti al minuto). Nell’adulto la pressione parziale di ossigeno nel sangue arterioso è di norma superiore agli 80 mmHg, ma tale valore varia in funzione dell’età (vedi tabella 2). Il sangue arterioso a livello dei capillari cede ossigeno ai tessuti e si arricchisce di anidride carbonica. Ne consegue la riduzione della pressione parziale dell’ossigeno (PaO2) da circa 97 mmHg a livello arterioso a 50 mmHg a livello venoso. Tabella 2. Valori di PaO2 rispetto all’età1 Età PaO2 neonato • 40-70 mmHg bambino/adulto • 97 mmHg normale • >80 mmHg range accettabile • <80 mmHg ipossiemia adulto <60 anni • >80 mmHg range accettabile adulto <70 anni • >70 mmHg range accettabile adulto 80 anni • >65 mmHg range accettabile adulto 90 anni • >60 mmHg range accettabile Per valutare l’ossigenazione di un soggetto si possono utilizzare metodi non invasivi (pulsiossimetria) oppure metodi invasivi (emogasanalisi e saturimetria venosa) ma solo l’emogasanalisi viene accettata per porre l’indicazione all’ossigenoterapia. Glossario Emogasanalisi: prelievo di un campione di sangue arterioso (emogasanalisi arteriosa o EGA) o venosa tramite puntura percutanea di un’arteria o di una vena, per determinare le pressioni parziali dei gas nel sangue. Pressione parziale di ossigeno (PaO2): è un indice della concentrazione di O2. pH: è il logaritmo inverso della concentrazione degli ioni idrogeno. Man mano che l’acidità aumenta, il pH diminuisce. Valori del pH compatibili con la vita sono approssimativamente compresi tra 6,8 e 7,8. Pressione parziale di anidride (PaCO2): è un indice del carico acido. La Co2 viene trasportata nel sangue, nel plasma e nei liquidi extracellulari in 3 forme: disciolta, come bicarbonato e combinata con proteine. Saturazione arteriosa: la saturazione di ossigeno arterioso (SatO2) viene definita come rapporto tra emoglobina ossigenata (HbO2) ed emoglobina totale. Bicarbonati: indicano il carico basico Eccesso di Basi (BE): è un valore utilizzato per quantificare la presenza di basi nel sangue (per lo più HCO3-). Si misura in mmoli/l. Quando diventa negativo, significa che c'è carenza di basi e il soggetta ha un’acidosi metabolica. Ipossia L’ipossia può essere provocata da diverse cause:2 • bassa pressione parziale di ossigeno nell’aria inspirata (per esempio se il soggetto è in alta montagna); • ipoventilazione alveolare (per esempio se il soggetto soffre di apnee notturne); • squilibrio tra ventilazione e perfusione (per esempio se il soggetto soffre di asma acuto o di atelectasie); • shunt cuore destro-cuore sinistro per difetto congenito; • perfusione tessutale inadeguata; • basse concentrazioni di emoglobina nel sangue circolante; • curva di dissociazione dell’ossigeno patologica (emoglobine anomale, carbossiemoglobina elevata); • danno istotossico degli enzimi intracelulari (setticemia, avvelenamento da cianuro). Ossigenoterapia - 5 - Ossigenoterapia Lo scopo dell’ossigenoterapia è di mantenere i livelli di ossigeno nel sangue arterioso entro valori fisiologici per ridurre al minimo i danni causati dall’ipossia tessutale costantemente presente in pazienti con scambi gassosi compromessi. Si basa sull’aumento del gradiente di pressione dell’ossigeno attraverso la membrana alveolo-capillare. Quando l’emoglobina è stata completamente saturata, un aumento ulteriore della frazione di ossigeno nell’aria inspirata (FiO2) incrementa la quantità di ossigeno disciolto nel sangue. In condizioni normali (respirazione normale in aria ambiente) la FiO2 è 0,21 e l’ossigeno disciolto nel sangue è circa il 2%. Valori più elevati si possono ottenere con l’ossigenoterapia iperbarica.2 L’ossigeno è equiparato a un farmaco e va utilizzato solo su prescrizione. La scelta della concentrazione dipende dai valori dell’emogasanalisi e il sistema di erogazione in base al flusso da somministrare.6 L’ossigenoterapia ad alto flusso consiste nella somministrazione di ossigeno a una concentrazione superiore a 0,60 per periodi brevi. L’ossigenoterapia a basso flusso viene utilizzata nei pazienti con insufficienza respiratoria da broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) per migliorare sopravvivenza e qualità di vita. Nella BPCO si ha indicazione all’inizio dell’ossigenoterapia a lungo termine quando la PaO2 è inferiore a 55 mmHg o quando la PaO2 è compresa tra 55 e 60 mmHg in presenza di policitemia, ipertensione polmonare, segni di ipossia tessutale, cardiopatia ischemica. L’ossigenoterapia a lungo termine viene anche prescritta nelle seguenti condizioni: fibrotorace post-tubercolare, malattie interstiziali del polmone, pneumoconiosi, cifoscoliosi, malattie neuromuscolari, bronchiectasie, ipertensione polmonare grave, ipossiemia intermittente durante il sonno e durante lo sforzo.7 La somministrazione di ossigeno in acuto è indicata nelle patologie broncopolmonari da qualsiasi causa, accidenti cerebrovascolari, sanguinamento massivo, shock, traumi e alcuni tipi di avvelenamento, come quello da monossido di carbonio, possono essere trattati con ossigenoterapia. La velocità di somministrazione dell’ossigeno è variabile rispetto a gravità e patologia. Visto il particolare comportamento della curva di dissociazione dell’emoglobina, l’obiettivo terapeutico è raggiungere una saturazione di ossigeno di almeno il 90%, in quanto al di sotto di tale valore piccole variazioni della saturazione causano grandi riduzioni della pressione parziale di ossigeno. In caso di dispnea che non risponde ad altri trattamenti o in pazienti particolari come bronco pneumopatia cronica ostruttiva, malattie interstiziali polmonari, scompenso cardiaco e soggetti in cure palliative, l’ossigenoterapia può essere prescritta per uso intermittente. Mancano però prove sull’efficacia della terapia intermittente, ma è considerata un placebo.6 Nei pazienti ospedalizzati durante la somministrazione di ossigeno occorre sempre valutare i sintomi e tenere sotto controllo:8 • la saturazione periferica tramite pulsiossimetria (da mantenersi sopra il 90% tranne nei pazienti con BPCO); • la frequenza respiratoria e l’utilizzo della muscolatura accessoria (regolarità e profondità dell’atto); • la cianosi delle mucose, del letto ungueale; • la frequenza cardiaca e la pressione arteriosa; • lo stato di coscienza (stato confusionale o soporoso possono indicare un’ipercapnia). Sistemi di somministrazione dell’ossigeno Nei pazienti non intubati l’ossigeno può essere somministrato con apparati a basso o ad alto flusso, così classificati in base all’interferenza dell’aria ambiente nel sistema e alla presenza di serbatoi inspiratori. I sistemi a basso flusso forniscono al paziente un flusso inspiratorio inferiore alla sua richiesta, per questo motivo il volume inspirato viene integrato dall’aria ambiente e non è possibile somministrare l’ossigeno a percentuale controllata. La FiO2 varia molto in base alle modalità di ventilazione del soggetto.5 I sistemi ad alto flusso invece sono in grado di soddisfare completamente le esigenze del paziente ed erogano un flusso che può essere anche 4 volte superiore a quello richiesto. Consentono di predefinire la percentuale di ossigeno inalato. Ossigenoterapia - 6 - Apparati a basso flusso Cannule o occhiali nasali La FiO2 massima erogabile è compresa fra 0,24 e 0,50 e il flusso massimo è di circa 6 litri al minuto Se si utilizzano flussi superiori a 3 litri al minuto, è necessario utilizzare il gorgogliatore per umidificazione per evitare l’essiccamento della mucosa nasale. Per semplicità di calcolo si può considerare che ogni litro al minuto erogato aggiunge il 3-4% alla FiO2 (aria ambiente circa 21%). Un flusso di 1 l al minuto eroga una FiO2 del 24%, mentre un flusso di 2 litri al minuto eroga una FiO2 del 28%. La FiO2 effettiva però dipende dalla compliance del paziente, oltre che dalla patologia di base. Una frequenza respiratoria elevata diluisce l’ossigeno inspirato con l’aria ambiente. Non è ancora dimostrato che la respirazione prevalentemente buccale riduca la quantità di ossigeno inspirato. Tra orolaringe e rinofaringe si formano riserve di ossigeno che viene inalato indipendentemente dalla via utilizzata. Le cannule nasali sono ben tollerate dal paziente, perché gli permettono di parlare e mangiare. E’ importante verificare il corretto posizionamento e lo stato delle mucose nasali per il rischio che si formino lesioni da decubito. Le cannule nasali disperdono ossigeno durante l’espirazione, soprattutto se è prolungata.9 Figura 1. Cannula nasale Maschere facciali semplici La FiO2 massima erogabile è compresa fra 0,40 e 0,60 e il flusso di ossigeno deve essere fra 6 e 12 litri al minuto. Il volume d’aria varia tra i 100 e i 300 ml. Le maschere sono dotate di aperture laterali per disperdere l’anidride carbonica espirata e inspirare l’aria ambiente. La Fi02 inspirata varia in base alla frequenza e al tipo di respirazione. Le maschere sono ingombranti e poco confortevoli, perché impediscono di parlare, alimentarsi e di espettorare.7 A bassi flussi però, si può inalare l’aria appena espirata, non sempre rimossa dall’interno della maschera. E’ sempre necessario umidificare l’aria utilizzando un umidificatore.10 Apparati ad alto flusso Maschera di Venturi Sfrutta l’effetto Venturi cioè l’ossigeno sotto pressione passa attraverso un orifizio stretto determinando una pressione subatmosferica che risucchia l’aria ambiente dentro il sistema. E’ stata progettata per situazioni in cui sono necessarie basse concentrazioni di ossigeno (24-40%). Ossigenoterapia - 7 - Figura 2. Maschera di Venturi Il flusso è sufficientemente rapido da far uscire l’anidride carbonica che si accumula nella mascherina. Variando la misura dell’orifizio e il flusso, la FiO2 può essere impostata a 0,24, 0,28, 0,31, 0,35, 0,40, 0,50 e 0,60 (il kit è fornito con ugelli di diversi colori ognuno dei quali corrisponde a un certo flusso e a una certa FiO2), consentendo un controllo molto preciso dell’ossigeno somministrato. Queste maschere assicurano il fabbisogno respiratorio, indipendentemente dal tipo di respirazione. Nei pazienti con patologia polmonare cronica ostruttiva questo tipo di maschera non solo migliora l’ipossia, ma riduce anche il rischio di ritenzione di CO2.10 Tabella 5. Flusso di ossigeno e FiO2 con maschera di Venturi10 FiO2 O2 (l/min) Colore raccordo 24% 2 azzurro 28% 4 giallo 31% 6 bianco 35% 8 verde 40% 8 rosso 50% 12 arancione Maschere con reservoir a parziale rebreathing Un reservoir di circa 600-1.000 ml di volume è collegato a una maschera facciale semplice. Quando il reservoir si riempie di ossigeno, all’inspirazione gran parte del volume viene dal reservoir, dove la concentrazione di ossigeno è maggiore. La FiO2 massima erogabile è compresa fra 0,60 e 0,90 e il flusso di ossigeno deve essere compreso fra 6 e 15 litri al minuto. Circa un terzo del volume espirato penetra nel reservoir mentre il restante esce dalle aperture laterali della maschera. Figura 3. Maschera con reservoir Maschere con reservoir non rebreathing Sono molto simili alle maschere con reservoir a parziale rebreathing ma sono dotate di valvole unidirezionali sia sul serbatoio inspiratorio sia sulle aperture laterali. Possono raggiungere FiO2 Ossigenoterapia - 10 - Istruzione del paziente Bisogna insegnare al paziente (vedi dopo Assistenza al paziente in ossigenoterapia) a ricaricare lo stroller dalla bombola madre, avvertendolo di tenerlo sempre dritto. Gli stroller hanno dimensioni e pesi diversi (da 2 a 3 kg) con autonomia da 3 a 7 ore a seconda del flusso di ossigeno e del peso dello stroller. I sistemi tipo dewar di ossigeno liquido sono dotati di un indicatore luminoso di carica. E’ bene controllarne lo stato prima e dopo ogni utilizzo. Controllare ogni 24 ore la quantità di ossigeno nelle bombole e valutarne l’autonomia. Moltiplicando la pressione nella bombola per il volume della bombola si ottengono i litri contenuti. Le bombole di ossigeno devono essere dotate, oltre che di regolatore di flusso, anche di un manometro. La pressione viene letta sul manometro ed è espressa in bar, varia in base allo stato di riempimento della bombola. Il volume della bombola è riportato sulla bombola o sulla scheda acclusa (per esempio una bombola di 5 litri di ossigeno ha una pressione letta sul manometro di 150 bar. Moltiplicando la pressione (150 bar) per il volume della bombola (5 litri) si ottengono i litri di ossigeno contenuti (150 x 5 =750). Per valutare l’autonomia è sufficiente quindi dividere il volume di ossigeno residuo per la quantità somministrata espressa in litri al minuto (con un consumo di 10 litri/minuto, la bombola avrà un’autonomia di 75 minuti). I pazienti che utilizzano l’ossigeno liquido devono saper ricaricare lo stroller dalla bombola madre. Occorre spiegare ai pazienti di: • mantenere lo stroller in posizione verticale per evitare fuoriuscite di ossigeno liquido • verificare tramite l’indicatore di riempimento a led o a dinamometro che il contenuto di ossigeno liquido nell’unità base sia sufficiente; • posizionare l’unità portatile in modo che s’innesti nell’apposito alloggio sagomato posto sul coperchio dell’unità base; • esercitare una pressione dall’alto verso il basso per collegare i connettori di riempimento, appoggiando una mano sulla sommità del contenitore per mantenere l’unità portatile in posizione verticale; • azionare senza forzare la leva di riempimento tenendo sempre la mano sulla sommità dell’unità portatile. Ciò permetterà il travaso dell’ossigeno liquido segnalato da un sibilo piuttosto acuto e dalla fuoriuscita di ossigeno gassoso; • alzare e abbassare la leva di riempimento ogni 20-30 secondi per evitare la formazione di ghiaccio che potrebbe causarne il blocco per congelamento; • mantenere premuta l’unità portatile per assicurarne la stabilità e la corretta posizione di riempimento; • chiudere la leva di riempimento dopo circa un minuto e mezzo dall’inizio dell’operazione di ricarica quando si nota un denso vapore bianco intorno al coperchio dell’unità base che indica il riempimento dell’unità portatile; • sganciare l’unità base premendo l’apposito pulsante di rilascio trattenendo dalla tracolla l’unità portatile. Se tale operazione si rivelasse difficoltosa ciò potrebbe dipendere da un congelamento del punto di connessione delle unità. Non forzare e, senza alcun tipo di intervento, attendere qualche minuto per permettere al ghiaccio di sciogliersi, poi sganciare l’unità portatile; • controllare sull’indicatore di livello dell’unità portatile il contenuto di ossigeno (in genere un dinamometro che si attiva afferrando la cinghia di trasporto dal lato dell’indicatore); • se la leva di riempimento non dovesse chiudersi, rimuovere comunque l’unità portatile dall’unità base premendo il pulsante di sblocco. L’unità portatile interromperà l’erogazione di ossigeno dopo qualche minuto. Attendere pochi istanti per permettere al ghiaccio di sciogliersi, poi chiudere la leva di riempimento; • evitare qualsiasi contatto con il liquido versato, il ghiaccio e i vapori se il contenitore si capovolge accidentalmente perché potrebbe causare lesioni cutanee da ipotermia; • fare riferimento alle indicazioni fornite dal produttore. Assistenza al paziente in ossigenoterapia La saturazione dell’emoglobina deve essere controllata in continuo. Il paziente va posizionato seduto o semiseduto, alzando la testiera del letto o utilizzando un cuscino. Ossigenoterapia - 11 - Oltre alla valutazione del miglioramento della saturazione si deve controllare il respiro (se il soggetto respira con meno difficoltà, senza utilizzare i muscoli respiratori accessori, se ha tachipnea, dispnea), i parametri vitali, le caratteristiche qualitative e quantitative delle secrezioni. Può essere utile associare un programma di fisioterapia respiratoria: manovre di percussione, vibrazione e drenaggio posturale ed esercizi di respirazione profonda, tosse efficace e utilizzo dello spirometro stimolante. Se lo stato di coscienza del paziente è alterato o vi è un’alterazione del riflesso della tosse può essere utile posizionare un sondino nasogastrico per evitare l’inalazione, la distensione gastrica e il rischio di polmonite ab ingestis.11 Eventuali aritmie cardiache sono una risposta all’ipossia tessutale che stimola i chemocettori dell’arco aortico e del seno carotideo con tachicardia e tachipnea per aumentare la quantità di emoglobina satura circolante. Le tachiaritmie aumentano il consumo di ossigeno a livello cardiaco. L’ambiente va controllato, conservando il microclima cioè mantenendo temperatura e umidità costanti. Si deve insegnare al paziente una corretta igiene orale. Il primo sintomo è la secchezza delle fauci, che può dare infezioni al cavo orale poiché viene meno l’azione disinfettante e pulente della saliva oltre a causare difficoltà a parlare, mangiare e deglutire. Questo sintomo può essere controllato umidificando l’ambiente utilizzando un umidificatore nella camera o una pentola con acqua bollente vicino al letto e aumentando l’introduzione di liquidi per bocca. Se il paziente ha arsura in bocca ma non ha desiderio di bere o ha vomito può succhiare dei cubetti di ghiaccio di sola acqua oppure preparati con spremute di arancia e pompelmo o arancia e limone.14 La vitamina C contenuta in questi agrumi stimola la secrezione salivare ma bisogna fare attenzione che non vi siano lesioni in bocca perché soprattutto il limone potrebbe causare bruciore. Si può suggerire di masticare pezzi di ananas che stimolano la salivazione. Spruzzare in bocca umettanti artificiali più volte al giorno può essere d’aiuto. La saliva artificiale non ha le proprietà pulenti e disinfettanti della saliva naturale ma elimina la spiacevole sensazione della bocca asciutta. Se il paziente respira a bocca aperta, deve bere sorsi di acqua di frequente. Durante la somministrazione di ossigeno tramite la maschera va prestata particolare attenzione alla cute del volto. L’uso non corretto di presidi può non assicurare l’apporto di ossigeno ideale per il paziente. Inoltre, può risultare pericoloso per il paziente e l’operatore. Utilizzare alti flussi di ossigeno con le cannule nasali può creare un riempimento di gas del gorgogliatore non sfogato dal raccordo oltre ad aumentare il rischio di epistassi e di danni alle mucose nasali da aumentata pressione di uscita del gas.10 Complicanze dell’ossigenoterapia La somministrazione di ossigeno va sempre controllata con attenzione, soprattutto nei soggetti affetti da broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO), nei quali i centri respiratori sono insensibili allo stimolo della CO2 e sono attivati indirettamente dallo stimolo ipossico dei glomi carotidei. Per questo, il miglioramento della PaO2 può accompagnarsi a una riduzione della ventilazione con conseguente aggravamento dell’ipercapnia (fino al coma ipercapnico).15 Alte concentrazioni di ossigeno e per periodi prolungati possono portare effetti tossici aspecifici, dovuti alle alterazioni dell’attività enzimatica cellulare.16 In rari casi è stata segnalata una tossicità da O2 anche con concentrazioni basse del 24%. A livello polmonare è possibile avere riduzione dell’attività muco-ciliare e della funzione macrofagica, formazione di membrane ialine e vasodilatazione polmonare. A livello sistemico le complicanze possibili sono vasocostrizione sistemica, riduzione dell’eritropoiesi e della gittata cardiaca.17 Ossigenoterapia - 12 - Bibliografia 1. Brunner, Suddarth. Nursing medico chirurgico. Casa Editrice Ambrosiana 2001. 2. Beattie S. Back to basics with O2 therapy. Research on Nursing 2006;69:37-40. 3. Iacobelli L, Lucchini A, Asnaghi E et al. La saturimetria. Minerva anestesiologica 2002;68:488-91. 4. Hawkins M, Harrison J, Charters P. Severe carbon monoxide poisoning: outcome after hyperbaric oxygen therapy. British Journal of Anaesthesia 2000;84:584-6. 5. Eastwood G, Gardner A, O’ Connell B. Low-flow oxygen therapy: selecting the right device. Australian Nursing Journal 2007;15:27-30. 6. Agenzia italiana del farmaco. Guida all’uso dei farmaci. Masson 2007;4. 7. Linee guida per l’ossigenoterapia a lungo termine (OLT). Rassegna di patologia dell’apparato respiratorio. Aggiornamento anno 2004;19:206-19. 8. Kelly C, Riches A. Emergency oxygen for respiratory patients. Nursing Times 2007;103:40-2. 9. Terzano C, Pacilio R. Malattie dell’apparato respiratorio. Springer editore 2006. 10. Dal Negro RW, Goldberg AI. Ossigenoterapia domiciliare a lungo termine in Italia. Il valore aggiunto della telemedicina. Springer Verlarg 2006. 11. Gentili A, Nastasi M, Rigon L.A et al. Il paziente critico. CEA Milano 1993. 12. Armin Ernst. Procedure interventistiche in pneumologia. Linee Guida dell’American College of Chest Physicians,Procedures Network Steering Committee. CHEST Edizione Italiana 2003;2:76-101 13. National Guideline Clearinghouse. Guidelines for preventing healthcare associated Pneumonia. Center for Disease and Control 2003. 14. Brivio E, Magri M. Assistenza infermieristica in oncologia. Linee guida, procedure e protocolli di assistenza. Masson editore 2007. 15. Booker R. Chronic obstructive pulmonary disease. Part two--management. Nursing Times 2007;103:28-9. 16. Balentine JD. Pathology of Oxygen Toxicity. Academic Press 1983. Dossier InFad – anno 3, n. 38, aprile 2008 ©Editore Zadig via Calzecchi 10, 20133 Milano www.zadig.it e-mail: segreteria@zadig.it tel.: 02 7526131 fax: 02 76113040 Direttore: Pietro Dri Redazione: Nicoletta Scarpa Autore dossier: Paolo Catenacci, Fondazione San Raffaele del monte Tabor, Milano
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