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Paideia globale, paideia locale, paideia possibile, Dispense di Pedagogia

La mondializzazione/globalizzazione ha visto una forte accelerazione di processi che erano già iniziati in modo massiccio nel corso della modernizzazione la cui azione dirompente trova nell’occidentalizzazione della Terra il proprio motore possente (Latouche). La paideia occidentale per larga parte si estende al mondo intero, se si considera la sua infrastruttura tecnologica e tecnica. Essa vede il passaggio progressivo dalla modalità di produzione della conoscenza guidata per lunghissimo tempo

Tipologia: Dispense

2009/2010

Caricato il 02/02/2022

teresa-abate-3
teresa-abate-3 🇮🇹

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Scarica Paideia globale, paideia locale, paideia possibile e più Dispense in PDF di Pedagogia solo su Docsity! ASSOCIAZIONE S.ELISABETTA / 1 Dipartimento di Scienze dell'Educazione QUADERNI DEL DIPARTIMENTO ANNO VIII (2003/2004) - INDICE Giuseppe Acone Paideia globale, paideia locale, paideia possibile l’utopia della società educante nel XXI secolo Si è giunti ad un punto di tale complessità nella presente stagione del mondo da disperare, talvolta, di poterne operare una qualche minima ricognizione. Si prova una forte ammirazione per coloro che riescono a trovare (o cercano, con qualche successo, di farlo) piccole chiavi semplificatrici o alcune strettissime vie di uscita da almeno qualche “regione” dell’immenso labirinto del mondo che abbiamo sotto gli occhi. Ed è il motivo per il quale siamo grati – anche noi che facciamo ancora l’impossibile mestiere di pedagogisti – agli studiosi della società globale, complessa, tecnologica, che hanno il coraggio e la forza intellettuale di affrontare l’attuale giungla del mondo, mettendosela tutta davanti allo “sguardo” (analitico-osservativo, descrittivo, scientifico, progettuale, quale che sia). Studiosi come N. Luhmann, J. Habermas, Z. Bauman, O. Beck, C. Lasch, E. Morin, hanno così la nostra ammirata gratitudine. Se dobbiamo a N. Luhmann, e a E. Morin, una messa a punto, rispettivamente, della complessità sociale e del pensiero complesso, la nostra riconoscenza nei confronti di F. Lyotard e di Z. Bauman riguarda certamente l’idea connessa di post-modernità e la disamina acuta e chiarificatrice che ne fanno. Allo stesso modo, la nostra attenzione strategica diventa interessata allorché ci troviamo di fronte a diagnosi sociali quali quelle di Lasch, Taylor, Beck e a prospettive antropo-globali quali quelle di Geertz e a posizioni ricognitive-progettuali quali quelle di Sen. Si tratta di analisi sociali della mondializzazione in atto, le quali riescono per qualche tratto a fornirci paradigmi di riferimento di grande rilevanza per quella che continuiamo ad indicare come la paideia difficile del nostro tempo. La mondializzazione/globalizzazione ha visto una forte accelerazione di processi che erano già iniziati in modo massiccio nel corso della modernizzazione la cui azione dirompente trova nell’occidentalizzazione della Terra il proprio motore possente (Latouche). La paideia occidentale per larga parte si estende al mondo intero, se si considera la sua infrastruttura tecnologica e tecnica. Essa vede il passaggio progressivo dalla modalità di produzione della conoscenza guidata per lunghissimo tempo dalla narrazione umanistica, e, successivamente, da quella scientifica e da quella tecnologica. Il termine narrazione è qui assunto nella versione che ne forniscono, da una parte, Lyotard e, dall’altra, Postman. E’ difficile negare che si tratti di una vicenda interna alla civiltà occidentale ASSOCIAZIONE S.ELISABETTA / 2 tendenzialmente rivolta a conquistare, almeno per la sequenza ultima attraversata dalla narrazione tecnologica, tutta la Terra. La paideia occidentale stenta a riconoscere la sua classica identità proprio mentre le sue propaggini tecniche e le sue modalità di conquista si allungano sull’intero pianeta. Diventa sempre più scolorita l’identità mentre si cerca, come di recente si è espresso Tomlinson, di “sentirsi a casa nel mondo”. L’identità della paideia occidentale, ereditata dalla lunga memoria storica, centrata sulla connessione persona/libertà/diritto/comunità, e fondata sulla costellazione etico- religiosa (cristiana) dell’ethos e del connesso universalismo-umanesimo, si trova a dover convivere con culture altre, in un potenziale “scontro di civiltà” (a voler, per un momento, mutuare la forte suggestione di Huntington), e in una conquista di territori su basi non antropo-etiche e spirituali, ma tecnologiche ed economiche. Per tali motivi, la globalizzazione in corso presenta due facce: quella tecnologico- economica, tendente all’omologazione del mondo su basi tecnoeconomiche-comunicazionali (galassia elettronica, Internet, new-economy, tecno-complessità, net-economy, turbo- capitalismo etc); e quella, molto più superficiale e di facciata, che estende alle altre culture modelli consumistici e televisivi, lasciando, sotto la vernice, le radici profonde costituite da elementi culturali, religiosi, etici, spesso opposti a quelli occidentali. Occidentalizzazione e multiculturalismo, universalismo (tecnologico e umanistico) e pluralismo culturale costituiscono aspetti non eludibili della paideia possibile del XXI secolo. Se le cose stanno grosso modo così, la paideia contemporanea, quella che per ora presenta le prime mosse del XXI secolo, appare, al tempo stesso, come globale e come locale. Essa è globale per gli aspetti della narrazione tecnologica mondialeplanetaria (istruzione, Internet, informatizzazione del mondo, telematizzazione del mondo); mentre è locale, per ciò che attiene agli orizzonti di cultura religiosa, etica, politica e giuridica. C. Geertz ha scritto sul finire degli anni novanta del XX secolo: “Il mondo di oggi è contraddistinto da un paradosso sul quale, malgrado occasionali accenni, si riflette ben poco: la globalizzazione crescente comporta un aumento delle nuove differenziazioni, e a interconnessioni sempre più globali fanno da contraltare divisioni sempre più intricate. Cosmopolitismo e provincialismo non sono più in contrasto, anzi, sono interconnessi e si rafforzano a vicenda. Il trionfo della tecnologia, in particolare nelle comunicazioni, ha trasformato il mondo in un’unica rete di informazione e causalità, come il famoso colpo d’ala di una farfalla sull’oceano Pacifico può scatenare un temporale sulla penisola Iberica, così oggi i mutamenti avvenuti in un qualsiasi luogo possono provocare perturbazioni in un qualsiasi altro (…). Negli ultimi anni sia il liberismo economico sia il liberalismo politico si sono trasformati da roccaforte di una metà del mondo in proposta morale per il mondo intero. Paradossalmente questo processo ha evidenziato con chiarezza quanto entrambe le varianti del pensiero liberale siano il prodotto di una cultura specifica, un fenomeno nato e perfezionatosi in Occidente. L’universalismo all’insegna del quale è posto il liberalismo, l’universalismo che quest’ultimo propaganda e che costituisce il suo obiettivo ultimo, quello di una cittadinanza universale, lo ha spinto in aperto conflitto con altri universalismi caratterizzati da finalità analoghe. Si pensi in particolare all’odierno Islam, ma anche a numerose altre concezioni del buono, del giusto e dell’incontestabile, poco importa se giapponesi, indiane, africane o di Singapore. A queste concezioni il liberalismo non sembra altro che un ennesimo tentativo di imporre con la forza al resto del mondo i valori occidentali: un seguito del colonialismo con altri mezzi” (Geertz, 1999, pp. 57-73). A tali problemi si appresta, anche in sede pedagogica e di paideia possibile, una ASSOCIAZIONE S.ELISABETTA / 5 interculturalismo cosmologico presupposto. Quest’ultimo, come si è cercato di dire nelle note precedenti, o trascrive in forma planetaria il messaggio dell’umanesimo occidentale, o si attacca a documenti astratti, più politici e giuridici che pedagogici ed etici, tipici dei documenti degli organismi internazionali, la cui autorevolezza può essere semplicemente data sul piano ipotetico regolativo ed esigenziale. Quando giustamente Delors (Delors, 1996) ritiene di ritrovare nell’educazione un tesoro, non fa un grande sforzo nel definire l’educazione, ne dà quasi per scontata la coincidenza con l’istruzione e lo sviluppo, non ne fornisce un’idea in grado di cogliere valori, significati e senso generale. Così, in generale, diventa facile fare dell’educazione la chiave di un esigenzialismo essenzialistico separato da qualsiasi analisi storica, scientifica e contestuale. La prima obiezione, che questo modo di procedere si procura, è la seguente: come si fa a non vedere che l’educazione è anche identità, appartenenza, comunità, limite, confini, senso e legame? E come si fa a non considerare il fatto strutturale per il quale il nostro mondo produce una netta scissione tra l’istruzione, quale dimensione universalizzante e l’educazione, come chiave identitaria, la quale accanto all’espansione universalistica, possibile solo se i valori sono considerati universali, richiede l’appartenenza comunitaria e una procedura di senso? Si capisce che la soluzione neoillumista ai problemi della paideia e dell’educazione nel XXI secolo si presenta come possibile solo se, appunto, privilegia una sorta di ritorno della ragione, vista anche come organo del progresso storico e della salvezza mondana. Sta di fatto che nessun indicatore rilevabile per ora, se si considera l’aspetto planetario dell’universalizzazione possibile, va in questa direzione. Ciò non significa che la Ragione non abbia carte da giocare; significa soltanto che essa non ha tutte le carte in mano, e, per l’educazione le carte che non possiede sono quelle fondamentali, se essa è considerata solo come razionalità formale, strumentale, tecnologica e tecnica. Si apre il problema del rapporto tra paideia, neoilluminismo contemporaneo e Ragione educante. Come sanno gli addetti ai lavori, il pedagogista italiano Giovanni Maria Bertin affrontò questo problema a cavallo tra gli anni Sessanta e gli anni Ottanta del Ventesimo secolo con notevole originalità di accenti e padronanza di argomenti. Ne fece vedere la problematicità e l’apertura, ne considerò l’interfaccia rispetto all’esistenza; ma, tutto sommato, era pur sempre un discorso interno alla coscienza culturale dell’Occidente, in una fase in cui l’unica proiezione possibile della paideia si poneva in una maniera più o meno riflessa di occidentalizzazione del mondo. Oggi, la soluzione di Bertin potrebbe essere parzialmente capace di rischiarare alcuni aspetti della sola situazione occidentale, fatti salvi gli sviluppi ulteriori che Bertin non avrebbe potuto ovviamente prevedere. La questione, così come si pone oggi, è estremamente più complessa e la paideia che abbiamo per una parte di fronte, e per l’altra parte da progettare, si dibatte, come si è visto, tra Occidente e pianeta, tra il suo essere tendenzialmente globale (conoscenza, tecnologia, istruzione) e il suo ritrovarsi puntualmente locale (cittadinanza, educazione, senso). E’ del tutto ovvio che neppure gli sforzi di Delors, sul finire degli anni Novanta del XX secolo, riescono a chiudere il cerchio. Una più complessa articolata e attrezzata disamina socio-culturale, epistemologica, teoretica e, indirettamente, pedagogica compare sul finire del XX secolo e nei primissimi ASSOCIAZIONE S.ELISABETTA / 6 anni del XXI secolo nella lettura della paideia possibile operata da E. Morin (Morin, 1999). In un paio di densi e rapidi volumi del 1999, tradotti in italiano rispettivamente nel 2000 e 2001 (trad.it Cortina, Milano), l’epistemologo, sociologo e filosofo francese si impegna da un lato a fornire l’identikit della “testa ben fatta”, quale chiave della riforma dell’insegnamento e della riforma del pensiero, e, dall’altro, ritiene di poter indicare addirittura i “sette saperi necessari all’educazione del futuro”. Anche qui, nonostante la percezione estremamente acuta della complessità e del pensiero complesso, siamo dentro una visione che punta sull’educazione della testa. Si tratta di una adeguazione dell’educazione possibile agli sviluppi della conoscenza della modernità avanzata, nei confronti dei quali si propongono tre sfide (quella culturale, quella sociologica, quella civica); ma, quale “sfida delle sfide”, si propone “la riforma di pensiero che consentirebbe il pieno impiego dell’intelligenza per rispondere a queste sfide e che permetterebbe il legame delle due culture disgiunte”. Il problema è che Morin, per riforma del pensiero, intende la riforma del modo di conoscere, a cui filosoficamente, epistemologicamente e metodologicamente, riduce l’intero pensiero; anche se si tratta, nel caso specifico dell’autore francese, di un pensiero cognitivo che accoglie l’intero spettro della complessità. Infatti, Morin scrive, in ordine a tale nostra possibile lettura della sua interpretazione, quanto segue: “Sforzarsi a pensare bene è praticare un pensiero che si sforzi senza sosta di contestualizzare e globalizzare le sue informazioni e le sue conoscenze, che senza sosta si applichi a lottare contro l’errore e la menzogna a sé stesso, il che ci riconduce una volta ancora al problema della testa ben fatta”. (Morin, 2000, p.62). Come si vede, qui Morin ritiene che pensare bene sia innanzitutto contestualizzare e globalizzare, nel senso di una visione razionale che eviti la sommatoria delle informazioni e delle conoscenze o quello che in altri contesti si sarebbe definito enciclopedismo. E fin qui siamo dentro due versioni della educazione/istruzione cognitiva: la prima che viene negata è quella basata su informazioni e conoscenze slegate; la seconda è quella che viene attestata giustamente sulla contestualizzazione e globalizzazione, ritenute in grado ovviamente di battere il nozionismo enciclopedico. Ma come da tutto ciò si possa passare alla lotta alla menzogna a sé stessi (lasciamo stare la lotta all’errore che, comunque, anch’essa comporta notevoli assunzioni essenzialistiche di verità), rimane un profondo mistero. La menzogna ha molto a che fare con l’etica più che con la conoscenza e Morin sa bene che si può mentire sapendo di mentire; anzi, più si è istruiti, contestualizzati e globalizzati, e più si può mentire. Rimane, quindi, in questo approccio, pur suggestivo ed interessante di E. Morin, oltre la metariflessività critica globale contestuale ed ecosistemica della testa, il problema della relazione tra conoscenza, tecnica, linguaggio, e relazioni, legami, valori e senso, cui Morin stesso rinvia, non sappiamo quanto avvertitamente, con il suo cenno alla menzogna. Quest’ultima, come uno studioso del calibro di Morin ben sa, non pertiene soltanto alla verità e alla conoscenza, o ad una sua precipitazione sfortunata, ma ha da fare anche con l’intenzione, la volontà e quanto è al confine con una più larga modalità del nostro essere uomini. È comunque la presa di coscienza che l’umanizzazione dell’uomo, richiesta da una paideia adeguata al tempo difficile della postmodernità, non può limitarsi alla testa ben fatta né ai saperi, che sono tutte cose illuministicamente necessarie ma non sufficienti al darsi dell’educazione della persona, alla sua appartenenza ad una comunità, al suo radicamento, al suo costituirsi tra il limite e l’illimite, alla sua identità di senso. È l’altra faccia della società della conoscenza, affrontabile in termini di formazione, che possiamo definire come società educante, affrontabile solo in termini di un’educazione che sia in grado di intercettare costellazioni significative, il cui senso è nella essenza stessa che ASSOCIAZIONE S.ELISABETTA / 7 attribuiamo al nesso persona/umanità/comunità. Quando Morin scrive: “L’antropo-etica ci richiede di assumere la missione antropologica del millennio: - operare per l’umanizzazione dell’umanità; - effettuare la doppia guida del pianeta: obbedire alla vita, guidare la vita; - realizzare l’unità planetaria nella diversità; - rispettare negli altri, nel contempo, la differenza rispetto a sé e l’identità con sé; - sviluppare l’etica della solidarietà; - sviluppare l’etica della comprensione.” (Morin 2001, p.112), è difficile dargli torto. Quando Morin scrive tutto ciò, a parte qualche mescolanza di troppo, è assai agevole collocarsi nella sua tesi. Anzi egli insiste: “L’antropoetica - scrive - comporta la speranza nella realizzazione dell’umanità come coscienza e cittadinanza planetarie. Comporta, dunque, come ogni etica un’aspirazione e una volontà, ma anche una scommessa nell’incerto”(Morin 2001, p.113). Ed è un’insistenza non solo condivisibile, ma come il lettore di queste note può comprendere sulla base di quanto precedentemente scritto, è un’affermazione che coglie il cuore della nostra argomentazione. È vero che Morin, dopo il rigore del pensiero complesso ed ecosistemico, e dopo una massiccia dose di esigenzialismo universalista fa tralucere “una scommessa nell’incerto”. Verrebbe da dire: meno male. Si tratta di avvertenza filosoficamente ed epistemologicamente corretta. Fatto sta che Morin non ci aiuta a chiudere il cerchio della lacerazione attuale di ogni filosofia dell’educazione: la razionalità tecnologica (figlia della conoscenza), da una parte; l’esigenzialismo universalista, ed umanista, dall’altra. È come dire che la ragione educante rimane duplice, se, come è del tutto evidente, dalla razionalità scientifica, conoscitiva ed istruttiva non discende alcuna antropo-etica capace di portare in grembo la speranza nella realizzazione dell’umanità come coscienza e cittadinanza planetarie. Rimane il dramma della conoscenza (la testa ben fatta), da una parte, e dell’anima del mondo, dall’altra; rimane la lacerazione tra paideia globale e paideia locale, rimane il fatto che la coscienza individuale e la testa ben fatta solo per auspicio possono essere proiettate oltre sè stesse, nell’universo dell’etica, della solidarietà e dell’etica della comprensione. Vale il programma, vale l’idea regolativa; se volete, vale l’utopia. La sua realizzazione possibile, anche solo iniziale, è assai lontana. Bibliografia G. ACONE, (a cura di) Aspetti e problemi della pedagogia contemporanea, SEAM, Roma,2000 G. ACONE, Fondamenti di pedagogia generale, Edisud, Salerno, 2001 G. MINICHIELLO, Il mondo interpretato, la Scuola, Brescia, 1995 N. LUHMANN, Sistemi sociali, Il Mulino, Bologna, 1991 J. HABERMAS, Il futuro della natura umana, Einaudi, Torino, 2001 A. GRANESE, L’etica della formazione e dello sviluppo, Anicia, Roma, 2002 D. RAVITCH, Left Back, Simon und Schuster, N. Y. 2000 Z. BAUMAN, Modernità liquida, Laterza, Bari, 2001 ASSOCIAZIONE S.ELISABETTA / 10 molto positive. Per contro, generalmente queste realtà rimangono degli episodi isolati ed, anziché stimolare la collaborazione e l'imitazione dei colleghi, suscitano incertezze, timori e gelosie. In qualche caso la presenza di queste persone diventa un ostacolo alla diffusione trasversale dell'uso di nuove tecnologie come strumenti per l'insegnamento delle diverse discipline. Certamente il compito di sanare questa situazione spetta in primo luogo agli organismi ufficialmente preposti al governo dell'istruzione pubblica. Bisogna riuscire a stimolare la sensibilità dei docenti, evidenziando le effettive potenzialità offerte dalle tecnologie informatiche nel processo di insegnamento/apprendimento, per un miglioramento della scuola sia nella qualità dei contenuti disciplinari che vengono trasmessi, sia nel livello di interesse e di coinvolgimento degli studenti. Ciò alla luce della consapevolezza, acquisita nella quotidiana attività di ricerca, dell'importanza che le tecnologie informatiche hanno per raggiungere gli obiettivi di crescita e diffusione della conoscenza. 1. Un nuovo modello di apprendimento Le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione stanno assumendo un’importanza sempre maggiore in tutti i settori della vita quotidiana. Anche il settore della formazione e della didattica sta vivendo le ripercussioni di una tendenza che rimetterà in discussione i luoghi, i tempi e i modi del lavoro e dell’apprendere. Il computer e le tecnologie multimediali e telematiche entreranno, ed in parte sono già entrate, sistematicamente nel campo dell’istruzione e produrranno cambiamenti significativi nelle metodologie didattiche attuali. La strada da intraprendere è la fusione tra la telematica e la didattica, sia come supporto a nuovi modi di insegnamento, sia come estensione alla comunicazione e allo scambio di informazioni fra docenti e studenti. L’organizzazione delle conoscenze in forma ipermediale sembra attualmente la più adatta a rappresentare i meccanismi mentali che sono alla base dei processi di insegnamento e di apprendimento. La realizzazione di ipermedia didattici richiede, però, un notevole impegno di tipo informatico, un lungo e complesso lavoro di catalogazione delle idee che si vogliono trasmettere e di individuazione dei legami tra di esse. Un punto di forza della struttura ipermediale è la non sequenzialità dei documenti, che permettono di seguire dei percorsi didattici personali senza obbligare il lettore a un cammino predefinito. In quest’ottica il curatore dell’ipermedia deve saper trovare il giusto compromesso tra la libertà di navigazione e la necessità di costruire cammini didattici significativi ai fini dell’effettiva formazione del lettore. Il rapporto intercorrente tra insegnante e studente in una tradizionale situazione di apprendimento può essere schematizzato con un modello come quello rappresentato nella figura. Figura 1.1: Modello di apprendimento tradizionale In questo modello si distinguono due entità contrapposte ed un flusso di informazioni unidirezionale, la cui fruizione è determinata unicamente dall’entità posta a sinistra, che nel contesto didattico potrebbe essere rappresentata dal docente. Molte altre situazioni di ASSOCIAZIONE S.ELISABETTA / 11 apprendimento sono schematizzabili in modo analogo, ad esempio uno spettatore davanti ad uno schermo cinematografico o televisivo (anche se non necessariamente deve seguire un programma didattico). Diversi studi sull’apprendimento hanno dimostrato che un approccio più diretto con la conoscenza può essere per lo studente più naturale, meno forzato e quindi più vantaggioso ai fini dell’apprendimento. Un tale modello è schematizzabile modificando il modello di tipo tradizionale rappresentato in precedenza. Figura 1.2: Nuovo modello di apprendimento In questo caso la conoscenza diventa un’entità con la quale lo studente può interagire. Il flusso tra i due elementi è costituito da una serie di interazioni descrivibili in termini di azioni e reazioni, dove le azioni sono gli stimoli dell’apprendimento dati allo studente dall’entità conoscenza e le reazioni sono le modifiche che la conoscenza subisce nel modo in cui si propone in conseguenza delle scelte dello studente. Per ottenere tutto questo occorre che il complesso di conoscenze sia mediato tramite un ambiente interattivo, che inneschi nello studente un processo di evoluzione dell’apprendimento simile a quello che si ottiene nei contesti in cui si apprende per interazione diretta con il mondo. Tra i diversi modelli organizzativi con obiettivi di formazione disponibili su computer quello che meglio si adatta a rappresentare la situazione descritta in precedenza sembra essere quello ipertestuale. Infatti con questo tipo di organizzazione, lo studente può decidere il proprio itinerario conoscitivo in funzione della propria preparazione e dei traguardi che intende raggiungere. All’insegnante resta il compito di selezionare le idee e di individuare tra esse i giusti agganci che permettano allo studente di avere a disposizione i percorsi giusti per raggiungere il livello di conoscenza posto come traguardo. Lo schema definitivo di un sistema di apprendimento mediato dal computer si può riassumere come segue: ASSOCIAZIONE S.ELISABETTA / 12 Figura 1.3: Modello di generazione e fruizione di ipermedia didattici L’insegnante, quindi, utilizza un ambiente di sviluppo col quale produrrà un ipermedia didattico; lo studente ha una interazione diretta con l’ipermedia, che diventa quindi l’interlocutore privilegiato e sostituisce il tradizionale rapporto insegnante-alunno. Tutto questo naturalmente non esclude l’interazione diretta fra studente e docente, tale comunicazione può essere utile ad entrambi: al primo per chiarire alcuni punti rimasti poco chiari dopo la lettura dell’ipertesto, al secondo per modificare e migliorare i contenuti dell’ipermedia. Questo tipo di interazione può avvenire per via telematica, utilizzando ad esempio la posta elettronica o un newsgroup dedicato, oppure seguendo le vie tradizionali, come l’orario di ricevimento dei docenti. 2. Teledidattica La teledidattica può essere considerata come un sistema tecnologico di comunicazione bidirezionale, che sostituisce o integra l’interazione in aula tra docente e allievo con l’azione sistematica e integrata di diversi mezzi didattici e servizi atti a promuovere l’apprendimento autonomo degli allievi. L’insegnamento a distanza costituisce una risposta alla sempre crescente domanda di istruzione ed è utile che affianchi e integri gli insegnamenti di tipo tradizionale, che presuppongono la presenza diretta degli studenti nella sede scolastica o universitaria. Le due forme di insegnamento non sono in antitesi, anzi proprio la loro complementarità dovrebbe dare nuove opportunità di apprendimento. La teledidattica, per come è stata concepita e sperimentata, è un insieme di servizi per scambiare informazione, di tipo multimediale, tra docenti e studenti. Per la realizzazione di un progetto simile non è sufficiente avere a disposizione il materiale didattico da distribuire ai vari studenti, ma si devono soprattutto predisporre le infrastrutture, hardware e software, che siano in grado di garantire il massimo grado di interattività e che promuovano non solo l’interazione tra docenti e studenti ma anche tra gli allievi stessi. Nella famiglia delle applicazioni per la teledidattica possiamo distinguerne almeno tre tipologie: • Teleseminario • Teletutoring • Biblioteca virtuale Nel teleseminario la principale sorgente di informazione può essere una singola persona oppure possono essere più persone; nel primo caso viene quindi simulata una normale lezione, mentre nel secondo si parla di conferenza. Le informazioni vengono diffuse in modalità multicast ai vari partecipanti, tale flusso non è però unidirezionale in quanto ogni singolo partecipante a sua volta genera dell’informazione partecipando attivamente alla lezione e facendo interventi rivolti al docente. Le informazioni trasmesse naturalmente non si limitano all’immagine del soggetto e alla sua voce ma includono dati provenienti da elaboratori, trasparenze, testi ecc. Il teletutoring è l’equivalente telematico dell’esercitazione in aula, in questo caso il docente si rivolge ad un numero più ristretto di persone rispetto alla teleconferenza. Il teletutoring è caratterizzato da una forte interazione tra insegnante e studenti e dalla produzione di materiale didattico (risultati di elaborazioni, dati relativi alle esercitazioni e altri testi). ASSOCIAZIONE S.ELISABETTA / 15 • lo studio dell'efficacia didattica di materiali di insegnamento organizzati con metodologia ipertestuale e lo sviluppo di tecniche per assistere lo studente nel processo di apprendimento con tali materiali; • l'analisi delle potenzialità derivanti dall'uso di reti telematiche anche in ambienti educativi tradizionali, quindi al di fuori del contesto più naturale della formazione a distanza; • la progettazione di ambienti di formazione virtuali, basati sull'uso di reti telematiche, rivolti all'aggiornamento degli insegnanti di Matematica. Queste tematiche non riguardano solo problemi presenti nella realtà scolastica italiana, ma hanno un interesse molto più vasto, come dimostrano i numerosi progetti di ricerca europei ed internazionali ad esse relativi, a riprova che l'esigenza di migliorare la preparazione culturale e professionale dei giovani non viene meno, ma diventa anzi sempre più pressante, se si vuole cercare di ampliare la popolazione scolastica e di fornire un bagaglio di conoscenze spendibile internazionalmente Conclusioni L'uso di tecnologie informatiche nella formazione matematica é tutt'oggi un problema aperto: a dispetto della presenza capillare ed ingombrante di strumenti hardware e software sofisticati, della quantità di conferenze, convegni, dibattiti sul tema, gli insegnanti nel complesso sembrano non aver ancora recepito l'effettiva utilità di poter disporre di queste tecnologie nella didattica quotidiana. La sensazione diffusa dell'importanza di queste tecnologie, soprattutto nei confronti di una formazione scientifica, sembra venire soffocata dalla preoccupazione di doversi difendere da una colonizzazione culturale ed economica, che tende ad imporre esigenze non reali. É importante ed urgente, anche in funzione dei grandi cambiamenti che stanno investendo la nostra società, individuare dei modelli di riferimento culturali nuovi che tengano conto dell'evoluzione della tecnologia e degli strumenti di comunicazione, ma che si basino anche su una tradizione radicata e condivisa e quindi si propongano come soluzione di problemi educativi realmente sentiti. Bibliografia AA.VV. (a cura di F. Falcinelli e R. Salvato), Tecnologie dell’istruzione e comunicazione didattica, Edizioni Scientifiche Italiane, Napoli, 1997. CALVANI A., ROSSO L., Informatica per educatori, Ed. Garamond, Roma 1994. CARLINI, FRANCO, Lo stile del web. Parole e immagini nella comunicazione di rete, Einaudi, Torino 1999. CESARENI D., Ipertesti e apprendimento, Ed. Garamond, Roma 1997. GARASSINI S., Dizionario dei new media, Ed. Raffaello Cartina, Milano, 1993. KERCKHOVE, DERRICK DE, The skin of culture, Sommerville House Books Limited, Toronto 1995, trad.it. La pelle della cultura, Costa & Nolan, Genova 1997. LÉVY, PIERRE, CYBERCULTURE. Rapport au Conseil de l'Europe, Odile Jacob, Parigi, 1997, trad.it Cybercultura. Gli usi sociali delle nuove tecnologie, Feltrinelli, ASSOCIAZIONE S.ELISABETTA / 16 Milano, 2000. MCLUHAN, MARSHALL, Understanding Media, Mc Graw - Hill, Toronto, 1964, trad.it. Gli strumenti del comunicare, Garzanti, Milano 1986. PIROMALLO GAMBARDELLA A. (a cura di), Costruzione e appropriazione del sapere nei nuovi scenari tecnologici, Ed. CUEN, Napoli, 1998. RUSSO,LUCIO, Segmenti e bastoncini, Feltrinelli Editore, 2000.
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