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PANIERE DOMANDE APERTE STORIA CONTEMPORANEA ECAMPUS 6 CFU, Panieri di Storia Contemporanea

PANIERE DOMANDE APERTE STORIA CONTEMPORANEA ECAMPUS 6 CFU. PROF.SSA BIANCIARDI SILVIA

Tipologia: Panieri

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Scarica PANIERE DOMANDE APERTE STORIA CONTEMPORANEA ECAMPUS 6 CFU e più Panieri in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! Quali atti e fatti concretizzarono in Italia la svolta protezionistica e l’avvio del processo di industrializzazione? Alla fine dell’800, la situazione Italiana era caratterizzata da una certa arretratezza rispetto al contesto europeo. | miglioramenti si erano registrati nelle zone già relativamente progredite come bassa padana, pianura lombarda, in cui alcuni imprenditori avevano promosso interventi di bonifica che favorì la diffusione di aziende di tipo agricolo, ma di fatto si trattava di un elemento circoscritto. Ad aggravare la situazione, a partire dal 1881, ci fu una depressione economica europea fortissima. Le conseguenze della ‘arono a farsi sentire in Italia quando dalla Russia e dagli Stati Uniti furono importati prodotti a basso costo. Nacque così una concorrenza fortissima ai danni dei prodotti locali. Furono abbattuti i costi e diminuita la produzione. Anche gli effetti sociali furono gravissimi: furono licenziate molte persone e le tensioni sociali erano forti. Successivamente, si denotò un flusso migratorio dalla campagna alla città o verso i paesi esteri. La crisi agraria comunque distolse i capitali dal settore agricolo, indirizzandoli verso il settore industriale, così la sinistra si espresse in una serie di riforme che potessero promuovere lo sviluppo industriale e che allentassero la pressione sociale. Un primo cambiamento di rotta si ebbe nel 1878 con l'introduzione dei dazi doganali, che colpivano i prodotti stranieri e di conseguenza ne rendevano svantaggioso l'acquisto; nel 1887 fu introdotta la nuova tariffa generale doganale per proteggere il mercato interno dai prodotti stranieri. Tutti questi provvedimenti sollecitarono e avviarono il processo di industrializzazione. Quali furono gli effetti del protezionismo nell’ambito dell’economia agricola e industriale italiana? La svolta protezionistica marcò l'abbandono della linea libero-scambista seguita negli anni precedenti e cementò il blocco degli interessi fra gli industriali. E ormai opinione diffusa che la scelta protezionistica fu una scelta obbligata per l’Italia, tuttavia nell’immediato accentuò gli squilibri fra i vari settori e fra le varie zone del paese. Nel settore agricolo, il dazio sul grano provocò un immediato rialzo del prezzo dei cereali, che fu un vantaggio per i produttori, ma andò a scapito dei consumatori; contemporaneamente l'agricoltura meridionale veniva colpito nel settore delle colture specializzate che si reggeva soprattutto sulle esportazioni. In ambito industriale, i dazi doganali non proteggevano i diversi comparti in maniera omogenea: risultò favorito il comparto siderurgico e penalizzato quello industriale meccanico. Allo stesso momento, nell'industria tessile si registrano progressi nel settore laniero e cotoniero, mentre nell'industria della seta, incentrata sull’esportazione che sul mercato nazionale, gli effetti del protezionismo furono negativi. Inoltre, la tariffa del’87 ebbe come conseguenza la rottura commerciale, poi degenerata in guerra doganale, con la Francia, che era stata fino ad allora il principale partner economico e il maggior acquirente dei prodotti del Sud. Ancora una volta era dunque il mezzogiorno a pagare i prezzi più pesanti in termini di arretratezza e povertà. Quale fu il ruolo assunto dallo Stato nel processo di industrializzazione italiano? Di quali strumenti si servì lo Stato per intervenire in merito al suddetto processo di industrializzazione? Il ruolo dello stato nel processo di Industrializzazione fu decisivo perché ricoprì il ruolo che avrebbero dovuto assumere i privati. Lo Stato intervenne con una politica fiscale molto dura, attraverso una legislazione doganale; l'imposizione statale fiscale aveva il compito di reperire somme necessarie per finanziare lo sviluppo industriale e, allo stesso tempo, per commissionare armamenti. La flotta militare era essenziale per l’Italia per la propria politica colonialista. Lo scopo era quello di raggiungere l’autosufficienza in materia di armamenti. Un primo mutamento di rotta si ebbe nel 1878 con l'approvazione di una serie di dazi doganali, che avevano lo scopo di più vantaggioso l'acquisto di prodotti italiani rispetto a quelli stranieri. Si abbandonò definitivamente la politica del libero mercato in favore di un intervento dello Stato nel mercato. Cosa fu la tariffa generale del 1887 La tariffa generale doganale del 1887 fu una tassa di importazione di carattere marcatamente protezionistico, aveva come obiettivo quello di favorire i prodotti italiani rispetto a quelli esteri, quindi proteggere dalla concorrenza straniera i settori dell'industria nazionale e colpire le merci di importazione con dazi molto alti. Nel settore agricolo questa tassa venne applicata ai cereali, fu introdotta una tassa tre volte superiore il prezzo di mercato, danneggiando il prezzo del grano per i consumatori; contemporaneamente l'agricoltura meridionale veniva colpita nel settore più moderno, quello delle colture specializzate che si reggeva soprattutto sulle esportazioni. Per ciò che concerne il settore industriale, fu favorito il settore siderurgico, laniero, cotoniero e zuccheriero, mentre alcuni comparti industriali risultarono sfavoriti, come quello della seta che si rivolgeva più all'esportazione che al mercato libero italiano. La tariffa del 1887 segna l'abbandono della linea libero-scambista portata avanti negli ani precedenti, e di fatto servì a consolidare un blocco di interessi fra gli industriali favoriti dal protezionismo e i grandi proprietari terrieri del nord e del sud. Che cosa si intende per “industrializzazione differita” in riferimento alla situazione italiana? Con il termine “industrializzazione differita” si fa riferimento al processo di industrializzazione che, in Italia, avvenne in tempi e modalità differenti rispetto alle altre nazioni europee. In Italia i privati non possedevano i capitali necessari per dar corso allo sviluppo degli impianti industriali siderurgici, dato l’insufficiente tasso di sviluppo dell’accumulazione capitalistica privata. Il ruolo dei privati venne così ricoperto dallo Stato, che attraverso l’imposizione fiscale, poteva arrivare a disporre delle somme necessarie per finanziare lo sviluppo industriale. Per sostenere lo sviluppo industriale, lo Stato fu costretto ad attuare una forte pressione fiscale, e a pagarne le conseguenze più gravi fu ancora una volta il Sud, che versò un tributo alto in termini di ricchezza, e che solo in maniera marginale fu coinvolto nel processo di industrializzazione. In generale, si può quindi affermare che in Italia il problema della formazione e disponibilità dei capitali indispensabili a finanziare l’inizio dell’industrializzazione venne affrontato attraverso il ruolo mediatore decisivo dello Stato. Quale fatto o fenomeno aggravò lo stato dell’agricoltura italiana alla fine dell'Ottocento? E quali conseguenze produsse tale accadimento anche dal punto di vita sociale? Alla fine dell'Ottocento, ad aggravare la situazione dell'agricoltura italiana, fu la crisi agricola che, in Italia, iniziò ad avvertirsi all’inizio degli anni ’80, quando i prodotti agricoli arrivati dalla Russia e dagli Stati Uniti sulle navi a vapore, invasero i mercati europei e con i loro bassi prezzi esercitarono una forte concorrenza ai danni dei prodotti agricoli locali. | produttori italiani furono quindi costretti ad abbattere i prezzi dei loro prodotti, soprattutto dei cereali e a diminuire, a poco a poco, la produzione. Le conseguenze sociali furono consistenti: si avviò un forte movimento migratorio dalle campagne verso le città e soprattutto verso i paesi esteri, ma soprattutto, la perdita dei posti di lavoro fu alla base di grandi agitazioni nelle campagne e alla base della diffusione del socialismo (in Sicilia, con il movimento dei Fasci Siciliani). Quale modello di sviluppo economico per l’Italia fu definito dai governi della Sinistra Storica? E quali furono le misure e i provvedimenti che la Sinistra Storica scelse di adottare per concretizzare tale modello? La Sinistra Storica, una volta presa coscienza della situazione italiana, attuò scelte protezionistiche sulla base del modello di Bismark (fondato sull’alleanza fra l'industria protetta e i grandi proprietari terrieri) con lo scopo di proteggere il mercato dalla competitività estera. Attuò una politica improntata al protezionismo, che si tradusse nella revisione della legislazione doganale, e lo spostamento degli investimenti dal settore agricolo a quello industriale; l'imposizione statale fiscale aveva il compito di reperire somme necessarie per finanziare lo sviluppo industriale e, allo stesso tempo, per commissionare armamenti. La flotta militare era essenziale per l’Italia per la propria politica colonialista. Lo scopo era quello di raggiungere l’autosufficienza anno di età, che avessero completato il loro percorso di studi (che sapevano quindi sia leggere che scrivere) e che avessero pagato almeno 20 lire di imposte. Il corpo elettorale risultò più che triplicato e profondamente modificato nella sua composizione: ceti piccolo borghesi e alcune frange più evolute dei ceti operai e artigiani poterono votare. Le prime elezioni che si tennero con il suffragio allargato si svolsero nell'ottobre del 1882 e videro l’ingresso alla Camera del primo deputato socialista Andrea Costa Quando il movimento anarchico e internazionalista italiano entra in una fase di crisi irreversibile? In seguito a quale evento? Dopo il fallito attentato ai danni di Re Umberto | da parte di Giuseppe Passanante (novembre 1878), il movimento anarchico e internazionalista Italiano entrò in una fase di crisi irreversibile. L'episodio servì a scatenare un'importante opera di repressione contro il movimento anarchico da parte della polizia, che arrestò gran parte dei suoi componenti. Privato quindi dei suoi esponenti di spicco, della sua rete di organizzazione, il movimento entrò in crisi nel corso della quale di delinearono quattro movimenti: la corrente rivoluzionaria a Milano (LA Plebe), socialista in Romagna (Costa), quella comunista-anarchica (Cafiero e Malatesta) e una corrente individualista-terrorista che iniziava a prendere posizione sui fogli e la stampa internazionalista e a diffondersi fra i militanti. Che cosa era il “Programma di Stradella”? Cosa stabiliva nei suoi punti principali? Il “Programma Stradella” fu annunciato da Depretis durante un comizio a Stradella nell’autunno del 1875. Esso costituiva il programma politico generale della Sinistra, anche se rifletteva, in linea generale, gli orientamenti della borghesia settentrionale. | punti principali del programma prevedevano: l'allargamento del suffragio elettorale, una riforma dell'istruzione con l'introduzione di una scuola elementare laica, obbligatoria e gratuita, il decentramento amministrativo che garantisse più ampie autonomie locali, una redistribuzione del carico fiscale, l'abolizione della tassa sul macinato. Che cosa fu la “Rivoluzione Parlamentare” e quando avvenne? La “Rivoluzione Parlamentare” avvenne nel 1876, quando la Sinistra Storica succedette alla Destra storica. A presiedere il nuovo governo fu Agostino Depretis. Nella prima metà degli anni ‘70 si verificarono nel quadro politico italiano una serie dimutamenti: aumentò il numero di parlamentari che non si collocavano né a destra né a sinistra; le fratture interne alla destra si accentuarono. A mettere in crisi la già scossa maggioranza, fu la defezione del gruppo toscano. Il 18 marzo 1876 la Destra si presentò divisa sulla legge sulla statizzazione delle ferrovie, all’epoca appartenenti a compagnie private; uno schieramento della destra si unì alla sinistra mettendo in minoranza il governo. L'opposizione vinse e a quel punto Depretis venne chiamato a presiedere il nuovo Governo (composto da soli appartenenti alla Sinistra). Le elezioni di novembre confermarono la svolta parlamentare, che prese il nome di “Rivoluzione Parlamentare”; la sinistra guidò il paese per circa un decennio (1876-1887). Con la “Rivoluzione Parlamentare” si apriva una fase nuova della storia politica italiana: giungeva al potere un ceto dirigente quasi del tutto nuovo ad esperienze di governo, diverso per formazione ed estrazione sociale dalla destra. Quale fu l'atteggiamento iniziale di Costa verso la corrente facente capo a “La Plebe”? Costa si era espresso contro l’ala dissidente del movimento facente capo a “La Plebe”, e in totale dissenso col gruppo, giudicò le elezioni tedesche in cui il partito SPD aveva riscosso i primi successi nel 1877, una sconfitta del socialismo. Egli vedeva nella organizzazione del movimento il rischio di giungere ad una oligarchia. Costa evidenziò il pericolo secondo cui, un gruppo dirigente politico, potesse imporre la propria supremazia nei confronti di masse inconsapevoli e passive, mentre l'autentica partecipazione delle masse alla lotta politica poteva avvenire, a suo avviso, solo attraverso una rivoluzione “popolare, violenta, distruggitrice”. “La Plebe” era una rivista democratico-liberale che, col tempo, si impegnò nella lotta politica ed elettorale per raggiungere i suoi scopi. Il gruppo confermava la rivoluzione come strumento unico di risoluzione della gestione sociale ma si dichiarava contrario all’atteggiamento cospirativo- insurrezionale. Sposava la linea socialista, internazionalista e manteneva i contatti con l’ala marxista del movimento, a differenza degli anarchici. Che cosa furono i moti di Bologna del 1874? | moti di Bologna costituiscono un’impresa insurrezionale, che prevedeva l’organizzazione e l'attuazione di una serie di azioni rivoluzionarie che avrebbero dovuto risvegliare la coscienza rivoluzionaria presente dei ceti subalterni. Nel 1874 gli anarchici romagnoli misero a punto un piano per la “conquista” della città di Bologna, nella speranza di estendere poi la rivolta a tutta l'Italia centrale. Essa avrebbe dovuto essere la prima di una lunga serie di insurrezioni, tuttavia l'arresto di Costa fece fallire il progetto e la polizia scopri non solo i piani insurrezionale ma arrestò anche i repubblicani, sopresi a discutere circa una loro possibile partecipazione all'evento. A seguito dell'arresto di Costa Bakunin cercò comunque di portare a termine il suo progetto, ma si verificarono solo episodiche insurrezioni. L’insurrezione sostanzialmente fallì, Bakunin fu costretto alla fuga dall'Italia, molti internazionalisti furono arrestati e nell'agosto il Governo sciolse tutte le sezioni dell’Internazionale, alla cui direzione fu nominato Carlo Cafiero. Quando si costituirono le prime leghe di resistenza e le Camere del lavoro in Italia? In seguito a quali processi economici e sociali Durante gli ultimi vent'anni del 1800 presero corpo le leghe di resistenza, ovvero unità organizzative di base del movimento sociale agricolo, e le prime Camere del lavoro, organizzazioni sindacali territoriali “apolitiche” che cercavano di offrire rimedio ai problemi della disoccupazione e dello sfruttamento dei lavoratori. Si orientarono verso il servizio di collocamento gratuito e gestito dagli stessi lavoratori; assunsero il ruolo di arbitro nei contrasti sociali, istituendo commissioni arbitrali con l'intervento di soggetti terzi super partes. Successivamente si aggiunsero altre finalità collaterali, come la finalità di assistenza e previdenza, ricreativa e culturale e infine di indagine statistica sulle condizioni dei lavoratori. Lo scopo di queste leghe di resistenze e delle camere del lavoro era quello di migliorare le condizioni di lavoro: i bassi salari, le condizioni di vita e di lavoro a cui i lavoratori erano soggetti. Nel 1891 a Milano si costituì la Camera del Lavoro, il cui Statuto fu assunto a modello negli anni seguenti da quelle che seguirono. Di quali istanze si fece portatore il gruppo raccolto intorno a “La Plebe? “La Plebe”, fondata a Lodi da Enrico Bignami nel 1868, era una rivista che, da un iniziale orientamento democratico — radicale, era giunta a sposare una linea socialista, internazionalista democratico-liberale. Col tempo, si impegnò nella lotta politica ed elettorale per raggiungere i suoi scopi. Il gruppo confermava la rivoluzione come strumento unico di risoluzione della gestione sociale ma si dichiarava contrario all’atteggiamento cospirativo-insurrezionale del movimento internazionalista italiano. Costa scrisse per la rivista “La Plebe” una lettera,” Ai miei amici di Romagna” indirizzata ai suoi compagni internazionalisti anarchici, nella quale Costa aveva lanciato il motto di “andare al popolo”, in cui incoraggiava i compagni ad organizzare in maniera unitaria le classi popolari e inquadrarle in modo tale che fossero loro stesse a farsi portavoce delle loro istanze. Costa suggerisce una nuova e diversa maniera di raggiungere l’obiettivo. Lo scopo era prendere parte alla competizione elettorale, raggiungere l’amministrazione dei Comuni per poter poi procedere con la Rivoluzione e cambiare la società. Chi era Agostino Depre Agostino Depretis, esponente della Sinistra Storica, fu il protagonista della nuova fase politica italiana che vide il declino della Destra e la vittoria della Sinistra alle elezioni del 1876. In quell’occasione la Destra Storica perse la maggioranza, il governo fu affidato proprio a Depretis che compose un governo totalmente di uomini di Sinistra. Le elezioni di quell’anno confermarono la svolta a Sinistra, che venne definita “Rivoluzione Parlamentare”. Mazziniano in gioventù, Depretis approdò a posizioni più moderate; tenne il governo praticamente per circa un decennio dal 1876 al 1887, a parte la breve parentesi dei governi presieduti da Benedetto Cairoli, altro esponente della Sinistra Storica, che governò dal marzo al dicembre del 1878 e dal 1879 al 1881. Nel 1875 Depretis annunciò, durante un comizio, il programma politico della Sinistra a Stradella (Pavia). | punti principali del programma prevedevano: l'allargamento del suffragio elettorale, una riforma dell'istruzione con l'introduzione di una scuola elementare laica, obbligatoria e gratuita, il decentramento amministrativo che garantisse più ampie autonomie locali, una redistribuzione del carico fiscale, l'abolizione della tassa sul macinato. Quale provvedimento della Sinistra Storica intervenne nel settore della pubblica istruzione? Cosa si stabilì rispetto alla precedente legge in materia? Nel 1877 la Legge Coppino (che prese il nome dal Ministro Michele Coppino che la presentò) riformò la scuola elementare. La riforma confermò l'obbligatorietà dell'istruzione, già introdotta dalla precedente legge Casati, ma rispetto a quest’ultima rendeva efficace l'obbligatorietà aumentando la soglia d'obbligo fino ai 9 anni e sanzionando i genitori che non adempivano a questo dovere relativo all'educazione dei figli (considerando più remunerativo mandare i propri figli a lavorare in campagna). Rimasero tutta via irrisolti i problemi che impedivano una reale attuazione della legge, problemi legati alle condizioni di povertà in cui versava la maggioranza della popolazione, e la mancanza di mezzi finanziari da parte dei Comuni. Che cosa era “l’Estrema Sinistra”? Quando fu costituita? Dal 1877 si costituì il gruppo di deputati dell’Estrema Sinistra, sotto la spinta di Agostino Bertani e del gruppo radicale in Parlamento. L’’Estrema Sinistra” era formata da gruppi radicali, repubblicani, socialisti (proprio nelle sue liste, nel 1882, fu eletto deputato Andrea Costa). Fu il primo esempio di assemblea parlamentare basata sull’ ideologia piuttosto che sulle logiche notabilare o regionale. Quali erano le personalità risorgimentali e i principi ideali di riferimento del gruppo radicale? In risposta alla pratica del trasformismo di Depretis si delinearono due raggruppamenti politici ai lati estremi della maggioranza: i conservatori e il partito radicale. Le personalità risorgimentali di riferimento del gruppo radicale erano Carlo Cattaneo e Giuseppe Garibaldi; invece, sul piano ideale, riprendevano le teorizzazioni di Proudhon sulla piccola produzione, le istanze del radicalismo e del democraticismo francese e del liberalismo popolare inglese. In Parlamento i radicali si battevano per il suffragio universale, un indirizzo antiaustriaco per la politica estera ed una politica che rispondesse alle esigenze delle classi più povere e che improntasse i suoi rapporti con la chiesa in senso anticlericale. Erano inoltre favorevoli al decentramento amministrativo e ad una organizzazione di uno Stato federale. | maggiori esponenti erano Bertani, repubblicano e mazziniano, e Cavallotti, repubblicano di tradizione garibaldina. Quali erano i principali punti del programma politico radicale? | radicali si fecero promotori di un programma di riforme esplicitamente popolare, anticlericale e antiaustriaco. In Parlamento i radicali si battevano per il suffragio universale, una politica estera caratterizzata da un indirizzo antiaustriaco e una politica che rispondesse alle esigenze delle classi più povere e che improntasse i suoi rapporti con la Chiesa in senso marcatamente anticlericale. | radicali erano favorevoli ad un decentramento amministrativo e ad una riorganizzazione dello Stato in forme federali in linea con le istanze di democrazia e partecipazione di massa che promuovevano. | maggiori esponenti furono Agostino Bertani, repubblicano e mazziniano “transigente”, e Felice Cavallotti, anch'egli convinto che fosse necessario portare avanti l’azione politica tanto in paese quanto nel Parlamento. Quali schieramenti si delinearono nel dibattito politico italiano di fronte all’eventualità dell'intervento dell’Italia nella | guerra mondiale? Allo scoppio della | guerra mondiale si delinearono due schieramenti: gli interventisti, favorevoli all'ingresso dell’Italia in guerra, e i neutralisti che volevano mantenere la neutralità dell’Italia. Del gruppo degli interventisti facevano parte i gruppi e partiti della sinistra democratica: repubblicani, socialriformisti, radicali e le numerose associazioni irredentiste che perseguivano l'aspirazione al completamento dell'unità italiana annettendo Trentino, Fiume, Venezia-Giulia. Ad essi si aggiunsero esponenti delle frange estremiste del movimento operaio, tra cui De Ambris e Corridoni. Tra gli interventisti troviamo esponenti del gruppo di liberali a tendenza conservatrice, che avevano la loro espressione in Sonnino (Ministro degli Esteri) e Salandra (Presidente del Consiglio). Essi temevano che la non partecipazione avrebbe compromesso la posizione internazionale dell’Italia. | Nazionalisti vedevano nella guerra l'occasione per l’Italia di affermare il suo ruolo di potenza imperialistica. Erano in maggioranza interventisti anche intellettuali come Gentile, Einaudi, D'Annunzio, studenti, piccola e media borghesia. A favore del non intervento erano invece i cattolici e il papa, Benedetto XV, che temeva che l’Italia si schierasse con uno stato anticlericale e repubblicano (Francia) contro uno di tradizione cattolica (Austria). La classe liberale si ritrovava nel pensiero neutralista di Giolitti (secondo cui l’Italia era ancora troppo debole per affrontare una guerra), pensavano che la non partecipazione alla guerra avrebbe potuto comunque giovare all'Italia, patteggiando la neutralità in cambio delle terre irredenti. Netta fu anche la posizione del Partito Socialista e della Confederazione Generale del Lavoro. L'unica defezione, nello schieramento socialista fu quella del direttore dell’Avanti Mussolini: il quale, dopo aver condotto una campagna neutrale, si schierò a favore dell'intervento dell’Italia. Espulso dal partito, fondò il quotidiano popolo d’Italia, espressione della linea interventista. Chi furono i principali esponenti del movimento sindacale cattolico sviluppatosi all’inizio del Novecento? Nel corso dell’età giolittiana, il movimento cattolico italiano conobbe sviluppi e trasformazioni di grande importanza. All’inizio del secolo giunse portò una ventata di rinnovamento nell’ambito del cattolicesimo chiuso e immobilista, il movimento democratico-cristiano guidato da Romolo Murri. | democratici cristiani costituirono circoli politici, riviste e attività organizzative, formarono le “Leghe bianche”, ovvero, riunioni sindacali di matrice cattolica. Nel 1910 si contavano in Italia circa 375 leghe bianche, presenti soprattutto in Lombardia e nel Veneto. In questo settore era particolarmente attivo anche Guido Miglioli che, nel cremonese, riuscì a radicare una rete di leghe bianche in grado di concorrere con le “leghe rosse” (di orientamento socialista). Inoltre, sotto la guida di Don Luigi Sturzo si sviluppò in Sicilia l’associazionismo contadino cattolico. Quale fu l’atteggiamento del Papa Pio X nei confronti di Romolo Murri? Papa Pio X si mostrò deciso a contrastare la corrente democratico-cristiano sin dal primo istante in cui salì al soglio pontificio, sciogliendo, nel 1904 l'Opera dei Congressi (in quanto deciso a contrastare la nuova corrente).Pio X promosse la costituzione di organizzazione controllare direttamente dal clero, come l'Unione Popolare, l'Unione Economico Sociale, l’Unione Elettorale, riunite successivamente nell’organo della Direzione generale dell’azione cattolica. Nel 1906 sconfessa la Lega democratica Nazionale, creata proprio da Murri. Nel 1907 sospende Murri dal sacerdozio e due anni dopo, viene scomunicato. Tali atti riaffermarono il ruolo guida sul movimento cattolico che si espresse anche con la ferma condanna e censura di tutte quelle posizioni non conformi al cattolicesimo ortodosso. Quale fu l’atto più significativo del pontificato di Leone XIII? L’atto più significativo di Papa Leone XIII fu l’enciclica Rerum Novarum: enciclica teorica sulla dottrina sociale cattolica e dedicata ai problemi della condizione operaia. Leone XIII elaborò una risposta della chiesa alla questione sociale e operaia e indicò alcune linee d’azione ai vari movimenti sociali cattolici divisi in tendenze diverse. Egli incoraggiava la creazione di società operaie e artigiane ispirate ai principi cristiani e invitava i cattolici a impegnarsi su questo terreno. Non bisogna intendere quest’atto come una totale apertura, il papa volle solo dare libertà politica e civile ai suoi cittadini, ma venivano ribaditi le condanne al socialismo, comunismo e capitalismo, e della concentrazione della ricchezza nelle mani di pochi. A quali principi si ispiravano le associazioni cattoliche di mutuo soccorso che si svilupparono alla fine dell’Ottocento? Di fronte all’avanzate dell’industrialismo, alla crescita del movimento operaio, la Chiesa e il mondo cattolico reagirono in modo complesso. La chiesa cambiò la sua strategia per evitare il rischio di emarginazione, accanto al rifiuto tradizionale della società moderna, si scelse di rilanciare la missione della Chiesa adeguandola alle mutate condizioni storiche. Per quanto riguarda la sua presenza nella società, la Chiesa fu l’unica istituzione a poter rimediare ai fenomeni di disgregazione sociale e di perdita di identità indotti dall’urbanizzazione con una struttura organizzativa capillare: parrocchie, associazioni caritative, movimenti di azione cattolica. L'esistenza di queste strutture permise ai cattolici di porsi in concorrenza con quelli di ispirazione socialista. Anche la Chiesa, con l’enciclica Rerum Novarum del 1891, sotto il pontificato di Leone XIII, diede una spinta a tutto il movimento cattolico. Leone XIII si esprimeva con la condanna degli eccessi del capitalismo e contro la concentrazione delle ricchezze nelle mani di pochi, incoraggiava la costituzione di associazioni sindacali operaie. Suggeriva la necessità per lo Stato di assumere un ruolo nei conflitti fra capitale e lavoro. Fu, in questo contesto, che nacquero (soprattutto in Lombardia e Veneto), società di mutuo soccorso, ovvero cooperative agricole e artigiane, basate sui principi della dottrina sociale cattolica e poste sotto il diretto controllo del clero. Chi era Romolo Murri? A quali principi si ispirava il movimento democratico cristiano di cui fu ispiratore? Romolo Murri era un sacerdote marchigiano che inizialmente sosteneva la militanza tra gli intransigenti ma, successivamente, appoggiò i democratico-cristiani sostenendo un programma riformatore tra cui: il suffragio universale, il decentramento amministrativo, lo sviluppo della legislazione sociali. | democratici cattolici sostenevano inoltre la necessità di prendere parte alla vita politica per arrivare ad una riconciliazione tra Stato e Chiesa. Nel corso dell’età giolittiana, il movimento cattolico italiano conobbe sviluppi e trasformazioni di grande importanza. All’inizio del secolo giunse a portare una ventata di rinnovamento nell’ambito del cattolicesimo chiuso e immobilista, il Movimento democratico-cristiano guidato da Romolo Murri. | democratici cristiani costituirono circoli politici, riviste e attività organizzative, formarono le “Leghe bianche”, ovvero, riunioni sindacali di matrice cattolica. Nel 1910 si contavano in Italia circa 375 leghe bianche, presenti soprattutto in Lombardia e nel Veneto. In questo settore era particolarmente attivo anche Guido Miglioli che, nel cremonese, riuscì a radicare una rete di leghe bianche in grado di concorrere con le “leghe rosse” (di orientamento socialista). Inoltre, sotto la guida di Don Luigi Sturzo si sviluppò in Sicilia l’associazionismo contadino cattolico. Chi erano i “neutralisti’? Quali forze e gruppi facevano parte di questo schieramento? A favore del non intervento erano i cattolici e Papa Benedetto XV che temeva che l’Italia si schierasse con uno stato anticlericale e repubblicano (Francia) contro uno di tradizione cattolica (Austria). La classe liberale si ritrovava nel pensiero neutralista di Giolitti (secondo cui l’Italia era ancora troppo debole per affrontare una guerra), pensavano che la non partecipazione alla guerra avrebbe potuto comunque giovare all’Italia, patteggiando la neutralità in cambio delle terre irredenti. Molto netta fu anche la posizione del Partito Socialista e della Confederazione Generale del Lavoro: una condanna alla guerra che contrastava con la scelta interventista dei maggiori partiti socialisti europei. L'unica defezione, nell’ambito dello schieramento socialista fu quella del direttore dell’Avanti Mussolini: il quale, dopo aver condotto una campagna neutrale, si schierò a favore dell'intervento dell’Italia. Espulso dal partito, fondò il quotidiano popolo d’Italia, espressione della linea interventista. Chi erano gli “interventisti”? Quali forze e gruppi facevano parte di questo schieramento? Del gruppo degli interventisti facevano parte i gruppi e partiti della sinistra democratica: repubblicani, che si rifacevano alla tradizione garibaldina, socialriformisti che si ritenevano vicini alla Francia, i radicali e naturalmente le numerose associazioni irredentiste che perseguivano l'aspirazione al completamento dell’unità italiana annettendo Trentino, Fiume, Venezia-Giulia. Ad essi si aggiunsero esponenti delle frange estremiste del movimento operaio, tra cui De Ambris e Corridoni. Tra gli interventisti troviamo esponenti del gruppo di liberali a tendenza conservatrice, che avevano la loro espressione più autorevole in Sonnino (Ministro degli Esteri dall'ottobre del 1914) e Salandra (Presidente del Consiglio). Essi temevano che la non partecipazione avrebbe compromesso la posizione internazionale dell’Italia. Fautori attivi erano i Nazionalisti che vedevano nella guerra l'occasione per l’Italia di affermare il suo ruolo di potenza imperialistica. Erano in maggioranza interventisti anche intellettuali come Gentile, Einaudi, D'Annunzio, studenti, piccola e media borghesia. Chi era Gabriele D'Annunzio? Perché ebbe un ruolo importante in Italia in occasione dello scoppio dell conflitto mondiale? Gabriele D'Annunzio era uno scrittore che mise al servizio della causa interventista il suo carisma come trascinatore delle masse attraverso manifestazioni di piazza (che si rivelarono decisive per supportare l’entrata dell’Italia nel conflitto). Gli interventisti in realtà erano in minoranza, ma la loro azione di propaganda riuscì a coinvolgere le masse e a capovolgere l'orientamento dell'opinione pubblica. Chi decise l'intervento dell’Italia nella | guerra mondiale? L’esito dello scontro tra neutralisti e interventisti fu deciso dal capo del governo, dal ministro degli esteri e dal re: da coloro a cui spettava, a norma di statuto, il potere di decidere le sorti del paese in materia di alleanze internazionali. Salandra, il presidente del consiglio, e Sonnino, ministro degli esteri, avviarono nell’autunno del 1914 trattative segrete con la Triplice Intesa chiedendo contemporaneamente alla Triplice Alleanza, il riconoscimento di territori in cambio della neutralità. Venne firmato in gran segreto il Patto di Londra (26 aprile 1915), con il solo avallo del re, senza avvertire né il Parlamento né gli altri membri del Governo. Per ratificare l’entrata in guerra era necessaria l'approvazione del parlamento, che era favorevole al mantenimento della neutralità. AI primi di maggio un discorso di Giolitti spinse Salandra a dare le dimissioni che però non furono accettate dal Re, il quale manifestò così l'intento di voler entrare in guerra. Contemporaneamente in piazza ci furono delle manifestazioni interventiste, passate alla storia come “le radiose giornate di maggio”. Il 20 Maggio 1915 il Parlamento, si trovò costretto a scegliere se entrare in guerra o un voto contrario, che avrebbe avuto come conseguenza una crisi istituzionale che avrebbe sconfessato la volontà del Re, approvò la concessione dei pieni poteri al governo che la sera del 23 maggio dichiarava guerra all’Austria. Distinguere e definire temporalmente le fasi di sviluppo del movimento primo — internazionalista in Italia, secondo l’interpretazione fornita da Pier Carlo Masini. Secondo l’interpretazione fornita da Pier Carlo Masini, lo sviluppo del movimento primo-internazionalista era diviso in 3 fasi. La prima fase ebbe inizio nel 1871 con l’organizzazione del Congresso di Rimini fino al 1873, questa prima fase è caratterizzata dalle idee di Bakunin e dal progressivo allontanamento dal repubblicanesimo mazziniano e democratico garibaldino. La seconda fase va dal 1874 al 1878, periodo in cui si afferma l’insurrezionalismo di Costa, Cafiero e Malatesta, appoggiati da Bakunin. In questo periodo si cercò di organizzare a Bologna una serie di azioni rivoluzionarie che avrebbero dovuto risvegliare la coscienza rivoluzionaria presente dei ceti subalterni (nella speranza di estendere poi la rivolta a tutta l'Italia centrale). Ma il piano fallì. Ciò causò la prima dissidenza all’interno del movimento, dissidenza che emerse anche durante il Ill Congresso dove si delineò una linea evoluzionista attorno al gruppo “La Plebe”. Nel Perché fu importante il Governo Zanardelli — Giolitti? | tre anni di governo Zanardelli-Giolitti furono estremamente importanti, non solo perché ripresero e ampliarono le riforme sociali iniziate nell’86 da Depretis (soprattutto in materia di diritti dei lavoratori) ma perchè inaugurò la svolta liberale tra il 1901 e il 1903. Secondo Giolitti un governo liberale non aveva nulla da guadagnare nella repressione violenta delle manifestazioni, né nulla da temere dall’associazionismo operaio, ma al contrario aveva tutto l'interesse a consentirne il libero svolgimento. La conseguenza di questo atteggiamento dichiarato, e poi mantenuto, nei confronti delle manifestazioni di lavoratori e operai, meno intransigente fu l'aumento delle associazioni sindacali (nell’industria e nell’agricoltura), e l'apertura di una nuova stagione tra stato e lavoratori, tra classe dirigente e operai. Il tutto fu favorito, anche, dalla fase di generale sviluppo economico che il paese attraversò in questi anni. Durante questo governo fu approvata la legge sul lavoro delle donne e dei minori, che offriva minime garanzie soprattutto in termini di orario di lavoro delle donne e dei minori nell’industria. Fu migliorata la legislazione relativa all’ assicurazione per la vecchiaia e agli infortuni sul lavoro. Quale fu l'atteggiamento di Giolitti di fronte alle organizzazioni politiche e sindacali della classe lavoratrice? Giolitti riteneva che non si potesse continuare con la linea della repressione del movimento operaio, ma che fosse invece necessario che la classe dirigente accettasse le istanze di cui le classi lavoratrici erano portatrici. Solo attraverso una linea di apertura e non di opposizione la classe dirigente poteva legare le classi operai alle istituzioni, attraverso riforme e consentendo così la crescita della società italiana. Giolitti guardava con favore all’affermarsi del movimento operaio, in quanto espressione di quel processo di crescita sociale e sinonimo di uno stato liberale. Pertanto, il Governo mantenne una linea di rigosa neutralità nelle vertenze economico-sindacali. Lo Stato doveva essere garante del libero svolgimento delle lotte nella società che erano fattore di progresso civile. Impose che gli scioperi si svolgessero in forme civili e organizzate. La conseguenza di questo atteggiamento dichiarato, e poi mantenuto, nei confronti delle manifestazioni di lavoratori e operai, meno intransigente fu l'aumento delle associazioni sindacali (nell’industria e nell’agricoltura), e l'apertura di una nuova stagione tra stato e lavoratori, tra classe dirigente e operai. Chi animò “l’ostruzionismo parlamentare” e perché? Quali obiettivi si intendevano perseguire con la battaglia ostruzionistica parlamentare Il generale piemontese Pelloux nel 1899 presentò alla Camera un pacchetto di leggi che proponeva pesanti restrizioni ai fondamentali diritti di libertà (garantiti dallo Statuto Albertino): punire lo sciopero, limitare il diritto di riunione e di associazione, limitare la libertà di stampa, il divieto di sciopero nei servizi pubblici, la proibizione di manifestazioni politiche. Questo aveva dato via all’Ostruzionismo Parlamentare da parte dell’Estrema sinistra. Essi volevano impedire a tutti i costi che si arrivasse alle votazioni. Fu una tattica mezza in atto dall’opposizione socialista, radicale e repubblicana consistente nel cercare di prolungare le discussioni in aula all'infinito, avvalendosi di tutti i mezzi legali offerti dai regolamenti per cercare di non arrivare mai alle votazioni. Famoso fu l'episodio del rovesciamento delle urne. | protagonisti di questo gesto furono i deputati socialisti Camillo Prampolini, Andrea Costa, Leonida Bissolati e Giuseppe De Felice Giuffrida che, per tentare di bloccare la votazione della modifica del regolamento parlamentare, buttarono a terra le urne predisposte per le operazioni di voto, causando la sospensione dei lavori. Cosa si intende per “c ne secolo” Per “crisi di fine secolo” si indica la situazione italiana a fine Ottocento, tra il’86 e il ’98. In Italia si erano create molte tensioni causate da una grave crisi politica che vide contrapporsi la borghesia liberale e conservatrice alle forze progressiste e democratiche. Il periodo che va da questo momento sino al 1901 (quando Giolitti ritornò al governo come ministro dell'Interno) è comunemente indicato come la "cri: fine secolo". Questo era un periodo caratterizzato da una recessione economica che contribuì infatti all'aumento della tensione sociale e politica, che sfociò nei moti di Milano del 1898 e si tradusse nella successione di più governi (tra cui quello autoritario di Luigi Pelloux), in pochi anni. Nel 1900 venne ucciso il re Umberto | e Vittorio Emanuele III seppe ben interpretare la situazione, assecondando l’affermazione delle spinte progressiste, affidando il governo al leader della Sinistra liberale Giuseppe Zanardelli il quale nominò ministro degli interni Giovanni Giolitti. Ha così inizio l’età giolittiana. Quando si costituì il Partito dei Lavoratori Italiani? Quali erano i punti fondamentali della sua piattaforma programmatica? Quando assunse la denominazione di Partito Socialista Italiano? A Genova nel 1892 i riunirono i rappresentanti di circa 300 tra leghe, società operaie e altre organizzazioni. Ci fu una frattura tra una maggioranza favorevole alla costituzione di un partito politico sociale e una minoranza, composta da anarchici e da coloro che si opponevano all’azione politica. Era impossibile trovare un accordo così Turati e altri esponenti si riunirono nella sala dei Carabinieri Genovesi e dichiararono la nascita del Partito del Lavoratori Italiani. Il Programma riportava l'affermazione del principio della lotta di classe, il fine ultimo era la socializzazione dei mezzi di lavoro e nella gestione sociale della produzione da raggiungersi attraverso la classe sindacale economica affidata alle associazioni di mestiere per ottenere i miglioramenti della vita operaia e la lotta politica per conseguire la conquista dei pubblici poteri. Nel 1893 nasce il partito il cui nome verrà modificato nel 1895 in PSI, Partito Socialista Italiano. Che cosa furono i Fasci Siciliani | Fasci Siciliani furono un vasto movimento di protesta popolare che si diffuse in Sicilia tra il 1892-1893 che sfociò nella formazione di una fitta rete di associazioni popolari, che presero il nome di “fasci dei lavoratori”. Furono manifestazioni di protesta e di rivendicazione sociale, contro la pesante imposizione fiscale e contro il malgoverno locale. Ad aggravare la situazione ci fu il cattivo raccolto del 1893 a causa del quale i proprietari terrieri non rispettarono i patti agricoli. Si diffuse un malcontento generale tra e classi rurali dovuto alla crisi agraria a causa della chiusura del mercato francese alle esportazioni di vino e di agrumi e all'aumento del prezzo del pane. Ad essi si aggiunsero le proteste nelle aree urbane dovute alle crisi delle miniere di zolfo che subivano la concorrenza americana. Il diffuso disagio sfociò in una serie di rivolte con episodi di invasione di terre, assalto ai municipi. Quale fu il ruolo nuovo che Giolitti assegnò allo Stato nei rapporti tra capitale e lavoro? Giolitti si impegno a favorire un quadro più moderno di relazioni industriali e di lavoro, ciò si tradusse in un nuovo ruolo assunto dallo stato. Giolitti riteneva che non si potesse continuare con la linea della repressione del movimento operaio, ma che fosse invece necessario che la classe dirigente accettasse le istanze di cui le classi lavoratrici erano portatrici. Solo attraverso una linea di apertura e non di opposizione la classe dirigente poteva legare le classi operai alle istituzioni, attraverso riforme e consentendo così la crescita della società italiana. Giolitti guardava con favore all’affermarsi del movimento operaio, in quanto espressione di quel processo di crescita sociale e sinonimo di uno stato liberale. Pertanto, il Governo mantenne una linea di rigosa neutralità nelle vertenze economico-sindacali. Lo Stato doveva essere garante del libero svolgimento delle lotte nella società che erano fattore di progresso civile. Nella moderna società lo stato quindi non doveva intervenire negli scontri tra lavoratori e datori di lavoro per appoggiare una delle due parti, ma pensava che il compito dello stato fosse quello di garantire l'ordine pubblico e la liberta di lavoro per quanti non volessero scioperare. Impose che gli scioperi si svolgessero in forme civili e organizzate. La conseguenza di questo atteggiamento dichiarato, e poi mantenuto, nei confronti delle manifestazioni di lavoratori e operai, meno intransigente fu l'aumento delle associazioni sindacali (nell’industria e nell’agricoltura), e l'apertura di una nuova stagione tra stato e lavoratori, tra classe dirigente e operai. Quando si registrò in Italia un intenso processo di formazione e crescita delle organizzazioni del lavoro? Perché? La conseguenza dell’atteggiamento dichiarato da Giolitti di neutralità, e poi mantenuto, nei confronti delle manifestazioni di lavoratori e operai, meno intransigente fu l'aumento delle associazioni sindacali (nell’industria e nell’agricoltura), e l'apertura di una nuova stagione tra stato e lavoratori, tra classe dirigente e operai. Nell’Italia centro-settentrionale, in quasi tutte le città, si riformarono le Camere del Lavoro (organizzazioni “apolitiche”, che perseguivano l’obiettivo di offrire un rimedio ai problemi di disoccupazione e sfruttamento dei lavoratori), le organizzazioni di categoria si moltiplicarono e ripresero piede le leghe, organizzazioni contadine formate da braccianti e piccoli proprietari terrieri. Nel 1901 a Bologna le leghe socialiste si riunirono e formarono la Federazione Nazionale dei Lavoratori della Terra (FNLT), la più grande organizzazione sindacale dell'epoca, il cui obiettivo era la “socializzazione della terra”: puntavano all'aumento dei salari, la riduzione degli orari di lavoro, l'istituzione di uffici di collocamento controllati dagli stessi lavoratori. La segretaria di questa importante federazione fu una donna, la socialista Argentina Altobelli. Quali furono invece i risvolti negativi e le contraddizioni della politica perseguita da Giolitti? Molte sono state le critiche sollevate nei confronti della via protezionistica percorsa da Giolitti. Le critiche arrivarono dagli antiprotezionisti come Einaudi, Luzzatto e Salvemini, che si concentravano sul fatto che gli effetti benefici portati dallo sviluppo economico verificatosi in epoca giolittiana avessero coinvolto solo una parte del paese, in particolari le regioni già sviluppate del Centro — Nord, il cosiddetto triangolo industriale che aveva come vertici Milano — Torino — Genova, mentre scarsi sarebbero risultati i progressi registrati nel Sud che continuava a versare in una situazione di arretratezza sia nelle tecniche di agricoltura che nei rapporti sociali. Il divario tra Nord e Sud si venne perciò accentuando. Un'altra contraddizione della politica giolittiana fu il tentativo di condurre nell’orbita del sistema liberale gruppi e movimento che fino a poco prima erano considerati nemici delle istituzioni. Il controllo delle camere costituì l'elemento fondamentale dell’azione politica giolittiana, grazie al quale esso potè governare a lungo evitando crisi ricorrenti. Il controllo del parlamento era però ottenuto tramite i vecchi sistemi trasformistici e ingerenze elettorali. Altre critiche arrivarono dai cattolici democratici, come Don Romolo Murri e Luigi Sturzo, antigiolittiani perchè consideravano Giolitti un continuatore del “trasformismo”; i sindacalisti rivoluzionari, che insieme ai cattolici democratici, denunciavano l'opera di corruzione che Giolitti perseguiva nell'ambito dei rispettivi movimenti per fomentare le divisioni interne e quindi poterne associare le componenti moderate a sostegno del suo sistema di potere. Quali importanti personalità contava lo schieramento degli avversari di Giolitti? I socialisti rivoluzionari e i cattolici democratici, denunciavano l'opera di corruzione che Giolitti perseguiva nell'ambito dei rispettivi movimenti per fomentare le divisioni interne e quindi poterne associare le componenti moderate a sostegno del suo sistema di potere. Luigi Albertini, direttore del corriere della sera e Sidney Sonnino, entrambi liberali conservatori, accusavano Giolitti di tradimento verso la tradizione risorgimentale per la sua politica tendente ad integrare nelle istituzioni componenti politiche sovversive che mettevano a repentaglio autorità dello Stato. Le condotte malavitose intraprese da Giolitti durante le scadenze elettorali, soprattutto al Sud, gli costarono l'appellativo di “ministro della malavita” (termine coniato da Salvemini). Salvemini criticava duramente anche la politica economica portata avanti dal governo Giolitti. Le critiche si concentravano sul fatto che gli effetti benefici portati dallo sviluppo economico verificatosi in epoca giolittiana avessero coinvolto solo una parte del paese, in particolari le regioni già sviluppate del Centro — Nord, mentre scarsi sarebbero risultati i progressi registrati nel Sud che continuava a versare in una situazione di arretratezza sia nelle tecniche di agricoltura che nei rapporti sociali. Il divario tra Nord e Sud si venne perciò accentuando. Contro la politica protezionistica di Giolitti si Chi era Filippo Turati? Perché la sua figura riveste importanza fondamentale nella storia della sinistra italiana? Appartenente a una famiglia borghese, Turati aveva militato nelle organizzazioni della democrazia militare; nella sua formazione politica aderì alla dottrina marxista sull’esigenza di creare in Italia una cultura socialista ispirata ai principi del socialismo scientifico, decisivo fu l’incontro con la Kuliscioff e il contatto con l'ambiente operaio milanese. Turati aveva maturato l’idea che fosse giunto il momento di unire le componenti socialiste per organizzarle in un grande partito. Nel 1889 annunciò a Costa la costituzione di una Lega socialista milanese, sodalizio vicino al POI che raccoglieva i socialisti operaisti e tutti gli altri socialisti, esclusi gli anarchici. Il suo pensiero politico si distanziava dall’insurrezionalismo anarchico, riconosceva il carattere politico delle lotte economiche e sociali. L'obiettivo era raggiungere l'indipendenza della classe operaia dalla democrazia borghese e la socializzazione dei mezzi di lavoro (terra, miniere, fabbriche, mezzi di trasporto ecc.). Fu Turati il principale protagonista delle vicende che porteranno alla formazione del PSI. Nel 1892, nella Sala dei Carabinieri Genovesi, Turati e i compagni dichiararono costituito Il Partito dei Lavoratori Italiani, approvandone il Programma e lo Statuto. Potevano far parte del Partito società, federazioni, consociazioni, società indipendenti con l'unico vincolo dell'accettazione del Programma. La lotta sindacale ed economica era affidata solo alle camere del lavoro e alle associazioni di categoria (composte e dirette solo da operai). Nel 1893 il partito modificò il nome in Partito Socialista dei Lavoratori Italiani, per giungere poi a quello definitivo di Partito Socialista Italiano nel 1895. Grazie all'opera di Turati, il movimento socialista assunse un ruolo sempre più attivo nella politica italiana. Quale fu l’atteggiamento del Re e di Cavour di fronte all’ “Impresa dei Mille”? Di fronte all’”’Impresa dei Mille” (ovvero un’azione rivoluzionaria e democratica che puntava al raggiungimento dell’Unità nazionale, attraverso l'insurrezione popolare e l'intervento di un corpo di volontari) Cavour, pur non ostacolando concretamente l’azione, nutriva alcune perplessità. Era preoccupato delle complicazioni che, questa operazione, avrebbe potuto avere sul piano internazionale e che l’ipotesi di un successo della stessa, potesse contribuire a rilanciare l’iniziativa repubblicana, sottraendo così ai moderati la direzione del processo di unificazione nazionale. Vittorio Emanuele II, che invece nutriva una segreta approvazione per il tentativo di Garibaldi, non intervenne in alcun modo per la realizzazione dell’impresa. In ogni caso il suo tacito consenso, insieme alla pressione esercitata dagli esuli siciliani, convinsero Garibaldi ad assumere la guida dell'impresa che fu organizzata in fretta, con scarse risorse finanziarie e di armamenti. L'impresa dei Mille, alla fine, si compì grazie all’incoraggiamento nascosto del re e di Cavour, che non solo erano al corrente dell'operazione, ma diedero un contributo (seppur nascosto) morale e materiale a tutta l’operazione. Quando venne proclamata la Repubblica Romana e quale fu la sua evoluzione? La Repubblica Romana fu proclamata nel febbraio del 1849, quando l'Assemblea Costituente (nella quale vennero eletti in maggioranza i democratici tra cui anche Mazzini e Garibaldi) dichiarò decaduto il potere temporale dei papi. Il potere fu affidato a un Triumvirato composto da Mazzini, Saffi e Armellini, il quale dichiarò l'intenzione di adottare una forma di governo democratica che si sarebbe dovuta fondare su basi democratiche e non su ragioni dinastiche. Il governo si adoperò per portare avanti un programma di laicizzazione dello Stato, con l'abolizione dei tribunali ecclesiastici e la confisca dei beni al clero. Pio IX, rifugiatosi a Gaeta, aveva fatto appello alle potenze europee per restaurare il potere temporale. Francia, Austria, Spagna e Regno di Napoli, risposero all'appello, ma fu la Francia di Luigi Napoleone che, con un corpo di spedizione al comando del generale Oudinot, entrò a Roma ponendo fine alla Repubblica; mentre l'Assemblea Costituente, per riaffermare simbolicamente i diritti del popolo, proclamò la nuova Costituzione, documento simbolo per tutti gli altri statuti democratici a venire. Quali elementi emergono complessivamente dall'esperienza rivoluzionaria che nel 1848 coinvolse vari pae: Alla base del moto rivoluzionario del ‘48 possiamo riscontrare delle premesse comuni: innanzitutto determinante fu la crisi del ‘46-’47 che investi i vari settori e produsse un aumento del malcontento sociale; ciò determinò la diffusione delle idee democratiche e degli ideali di libertà e giustizia sociale. Inoltre, anche le modalità di svolgimento dei moti del ’48 furono simili: erano caratterizzate da manifestazioni in piazza che poi si traducevano in scontri armati. Complessivamente l’aspetto più importante fu quello cosiddetto della “primavera dei popoli”, la mobilitazione popolare che si risvegliò nei paesi europei. Anche se a Palermo, in Francia, i ceti artigiani e il popolo parteciparono alle rivolte, l'elemento decisivo fu quello della borghesia e in particolare gli strati intellettuali che facevano riferimento all'opinione pubblica. Altro elemento furono le rivendicazioni comuni di costituzioni o assemblee rappresentative basate sul principio della rappresentanza individuale. Il principio della rappresentanza individuale era un principio propriamente borghese, anche se tale principio i liberaldemocratici lo volevano basato sul censo e accompagnato da tutta una serie di limitazioni. Il ‘48 dal punto di vista delle rivendicazioni costituzionali fallì quasi dappertutto, il Regno di Sardegna, dove invece la carta costituzionale fu mantenuta, rappresentò un’eccezione. Cosa fu il Proclama di Moncalieri? Quando e da chi fu pronunciato? Il Proclama di Moncalieri fu il messaggio che il re Vittorio Emanuele Il pronunciò nel 1849 in Parlamento a seguito alla sconfitta durante la prima guerra d'indipendenza. La Camera, a maggioranza democratica, era riluttante a ratificare il trattato di pace con l’Austria (cosa che prevedeva il pagamento di un indennizzo). Prima dello svolgimento della consultazione elettorale il re indirizzò agli elettori un messaggio, invitando gli stessi elettori a eleggere rappresentanti più consapevoli della fase critica che il paese stava attraversando. Se da una parte il messaggio del re rappresentava un espediente poco ortodosso dal punto di vista della correttezza costituzionale (minacciando una probabile revoca dello Statuto e il ricorso alla forza se le consultazioni elettorali non fossero andate come sperava), dall'altro lato raggiunse l’effetto desiderato: la camera elettiva in maggioranza fu composta di moderati, il regime costituzionale poté così consolidarsi ed trasformarsi verso una forma più compiuta di regime rappresentativo e parlamentare. In quali diverse prospettive moderati e democratici intendevano e il processo di unificazione nazionale nel 1848 Le prospettive dei democratici erano senz'altro diverse da quelle dei moderati. Gli eventi rivoluzionari del ‘48 spinsero i sovrani, a cominciare da Ferdinando Il e a seguire Carlo Alberto di Savoia, Leopoldo Il di Toscana e Pio IX, ad assecondare le richieste del popolo e a concedere le costituzioni. Tuttavia, lo scoppio della rivoluzione in Francia riaccese in Italia la questione nazionale. La questione italiana si articolava in due punti: l'esigenza di liberarsi dal dominio asburgico e la creazione di una nuova entità politica che superasse la frammentarietà che caratterizzava gli stati italiani. Sul primo punto le due forze politiche concordavano, sul secondo avevano due visioni opposte: i democratici (Mazzini in testa) credevano che il raggiungimento dell’unità dovesse avvenire attraverso l'intervento popolare, rovesciando i regimi monarchici, assolutisti e reazionari per poi giungere ad una forma istituzionale di tipo repubblicano; i moderati invece, propendevano per una confederazione che prevedesse un ruolo importante per il Papa e che il processo unitario avrebbe dovuto far leva sull’iniziativa dei principi piuttosto che del popolo. Quali tappe e avvenimenti principali portarono allo scoppio della | guerra di indipendenza? La rivoluzione fino ad allora aveva avuto un carattere prevalentemente costituzionale, Gli eventi rivoluzionari del ‘48 spinsero i sovrani, a cominciare da Ferdinando Il e a seguire Carlo Alberto di Savoia, Leopoldo Il di Toscana e Pio IX, ad assecondare le richieste del popolo e a concedere le costituzioni. In conseguenza ai fatti di Parigi (il popolo era insorto portando alla proclamazione della repubblica) e alla rivoluzione di Vienna (Matternich lasciò il potere e venne concesso un parlamento) acquisì progressivamente i tratti di una rivoluzione orientata verso l'indipendenza nazionale. La rivoluzione di Vienna e la caduta del Matternich ebbero ripercussioni nei domini asburgici e di conseguenza anche in Italia: a Venezia fu proclamata la Repubblica e il 18 marzo Milano insorse nel corso delle famose “5 giornate” e fu proclamato un governo provvisorio. Il 23 marzo, all'indomani della cacciata degli austriaci da Venezia e da Milano, il Piemonte dichiarò guerra all’Austria. Preoccupati dal diffondersi dell’agitazione democratica e patriottica che minacciava la stabilità dei loro trani, Ferdinando Il di Napoli, Leopoldo di Toscana e Pio IX si unirono alla guerra antiaustriaca inviando contingenti militari cui si aggiunsero numerosi volontari. La guerra piemontese si trasformava così nella prima guerra di indipendenza nazionale. L'illusione durò poco: Carlo Alberto condusse le operazioni con scarsa abilità e si preoccupò soprattutto di cercare di annettere al territorio piemontese il Lombardo-Veneto, suscitando il malcontento degli altri sovrani italiani. Particolarmente difficile era la posizione di Pio IX che, di fatto, dichiarava guerra ad un sovrano cattolico. Il Pontefice, Leopoldo, e Ferdinando ritirarono presto le loro truppe. Alla guerra si ‘aggiunse Giuseppe Garibaldi, rientrato dal Sud America per l'occasione. La conduzione delle operazioni di Carlo Alberto, tuttavia non migliorò e, dopo alcune vittorie minori, il 23-25 luglio, nella battaglia campale di Custoza, vicino Verona, le truppe di Carlo Alberto furono sconfitte pesantemente. Il 9 agosto fu firmato l'armistizio con gli austriaci. Argomentare brevemente sulla Rivoluzione del 1848 in Francia e sulle sue ripercussioni in ambito europeo. La diffusione su scala europea del moto rivoluzionario fu assicurata dalla rivoluzione scoppiata in Francia tra il 23- 24 febbraio del 1848. Qui si formò un fronte di opposizione, formato di varie forze — liberali progressisti, democratici, bonapartisti, socialisti, repubblicani, nonché settori cattolici e legittimisti — contro la monarchia liberale di Luigi Filippo D’Orleans che si era rivelata essere improntata all’immobilismo politico e chiusa ad ogni prospettiva di cambiamento. Nel 1847 le opposizioni organizzarono la cosiddetta “campagna dei banchetti”, riunioni politiche durante le quali venivano illustrate le ragioni per cui si contrastava la politica del governo. Nel febbraio del 1848, la proibizione di un banchetto provocò lo scoppio della rivoluzione. Il popolo di Parigi insorse e il governo per sedare la rivolta in atto ricorse alla Guardia Nazionale (espressione dei ceti borghesi urbani che più volte era stata utilizzata per reprimere rivolte operaie). A sorpresa la Guardia Nazionale si alleò con gli insorti. Luigi Filippo D’Orleans fu costretto ad abdicare, e la sera stessa, venne costituito un Governo che diede vita alla Il Repubblica e annunciava la convocazione di un’Assemblea Costituente eletta a suffragio universale. La crisi scoppiata in Francia si diffuse rapidamente nel resto d’Europa in un conteso sociale diverso. Negli altri paesi europei la lotta vide contrapporsi i ceti borghesi e le autorità dei regimi assolutistici. In marzo, il moto rivoluzionario si propago all’Impero Asburgico, negli Stati Italiani e alla Confederazione Germanica: a Vienna Matternich lasciò il potere e promise la convocazione di un Parlamento dell’Impero. In Ungheria l'agitazione ebbe un accentuato carattere autonomistico, i patrioti ungheresi approfittarono della crisi per creare un governo nazionale e agire in totale autonomia da Venna. Anche a Praga furono avanzate rivendicazioni di autonomia e si formò un governo provvisorio, tuttavia alcuni incidenti scoppiati fra la popolazione e i militari furono il pretesto per una dura repressione. Un corso simile ebbero gli eventi in Germania: la rivoluzione a Berlino portò inizialmente ad alcune concessioni da parte di Guglielmo IV, ma il movimento liberal-democratico si esaurì presto. Che cosa era lo Statuto Albertino? Lo Statuto Albertino, dal nome del re che lo promulgò: Carlo Alberto di Savoia, il 4 marzo 1848, fu la Carta Costituzionale, prima del Regno di Sardegna e poi del Regno d’Italia e rimase formalmente tale, pur con modifiche, fino all'entrata in vigore della Costituzione, il 1° gennaio 1948. Lo Statuto Albertino prevedeva una Camera dei deputati elettiva (il diritto di voto era limitato in base al censo), e un Senato di nomina regia; stabiliva una stretta dipendenza del governo dal sovrano. Che cosa fu la Società Nazionale? Chi ispirò la sua formazione? Quando fu creata e chi la presiedette? La Società Nazionale fu un movimento indipendentista filopiemontese che si opponeva alla corrente mazziniana. Fu creata nel 1957 da Daniele Manin, capo della repubblica di Venezia nel 1848-49, con la partecipazione di Garibaldi e presieduta da Pallavicino e con La Farina come segretario. La Società Nazionale si proponeva di mettere da parte le divisioni ideali invitando tutte le forze politiche a cooperare e appoggiare la monarchia costituzionale piemontese di Vittorio Emanuele II, unica forza che avrebbe potuto raggiungere l’obiettivo dell'Unità d’Italia. Per la società nazionale era, comunque, imprescindibile il supporto del regno sabaudo cui fece specifico riferimento. Il motto della società nazionale fu “Italia e Vittorio Emanuele”, perché associava l’obiettivo dell’Unità alla monarchia costituzionale. Veniva stabilita la priorità dell’Unificazione Italiana rispetto alla forma politica, l'esigenza del ricorso dell’azione popolare e della forza piemontese e l'impegno di appoggiare la monarchia sabauda fino al momento in cui si fosse fatta sostenitrice dell'Unità nazionale. Quali elementi legittimarono la funzione nazionale assunta dal Piemonte /Regno di Sardegna nel Il Piemonte fu l’unica regione in cui rimase in piedi l'esperimento costituzionale. Dopo 12 anni di vita costituzionale in Piemonte il settore agricolo era in espansione così come quello industriale; il sistema creditizio venne riordinato e fu dotato, dallo Stato, di una rete ferroviaria più ampia. In questo modo lo stato piemontese divenne il naturale punto di riferimento della borghesia liberale italiana, qui infatti si stabilirono moltissimi intellettuali che animarono il Regno. Inoltre il Piemonte si presentava come l’unica voce in ambito europeo portatrice di istanze di rinnovamento di tutta la borghesia italiana e come garante di uno sbocco non rivoluzionario alla questione italiana. Perché è importante la guerra di Crimea nel 1853 in riferimento agli esiti del processo di unificazione nazionale italiana? La guerra di Crimea (1853) fornì l'occasione a Cavour di inserire il Piemonte all’interno del contesto delle potenze europee. La Russia aveva deciso di estendersi nei Balcani e conquistare la Turchia, ma le potenze inglese e francese, interessate a mantenere l'equilibrio nel Mediterraneo Orientale, decisero di intervenire contro la Russia. Contrastare lo zar russo non fu così semplice e Francia e Inghilterra chiesero aiuto all'Austria e all’Italia. Il coinvolgimento nella guerra dell’Italia fu richiesto solo per rassicurare l’Austria che l’Italia non avrebbe approfittato dell'impegno su un altro fronte per ottenere l'indipendenza. Cavour non era certo di voler entrare in guerra: da un lato l’entrata in guerra avrebbe comportato l'appoggio di Francia e Inghilterra; dall’altro però si sarebbe trovata alleata con l’Austria. Cavour decise di entrare in guerra e l’inaspettata decisione dell'Austria di mantenersi neutrale fece sì che il Piemonte ottenesse più di quanto si aspettasse. L'Italia non ottenne nessun territorio al Congresso di Parigi, ma partecipò da potenza vincitrice e denunciò la presenza militare austriaca nei suoi territori e l’arretratezza dello Stato pontificio e del Regno delle Due Sicilie, all’interno del quale si alimentava il pericolo rivoluzionario che avrebbe potuto screditare l'ordine europeo costituito. Cavour pose allora lo stato sabaudo alla guida della causa nazionale italiana e lo impose come causa internazionale. Cavour guadagnò il favore del ministro inglese e del ministro francese, ma fu soprattutto dopo l'attentato di Felice Orsini che la Francia di Napoleone III appoggiò ufficialmente lo Stato Sabaudo e si giunse agli accordi di Plombières. Quali premesse e aspetti comuni presentò il moto insurrezionale del 1848 nei vari paesi che ne furono coinvolti? Il moto rivoluzionario del 1848 coinvolse gran parte delle potenze europee (Italia, Francia Austria, Confederazione Germanica) con la sola esclusione di Inghilterra e Russia. Alla base del moto rivoluzionario vi erano alcuni aspetti comuni a tutti i paesi: la grave crisi economica, agricola, industriale e commerciale che nel ‘46-‘47 investì tutti i settori e che si tradusse in un aumento generale del malcontento sociale, alti tassi di disoccupazione, e un crescente stato di miseria. Ovunque le sollevazioni erano connotate dalla presenza delle masse popolari che avanzavano la necessità di cambiamenti sociali e politici; altro elemento furono le rivendicazioni comuni di costituzioni o assemblee rappresentative basate sul principio della rappresentanza individuale. Anche le modalità di svolgimento furono comuni e iniziavano con manifestazioni di piazza che si concludevano in scontri armati. Sia a Parigi, che a Vienna, Berlino e Milano, nelle rivoluzioni del 1848, i ceti popolari (operai, artigiani) divennero protagonisti dei moti del ’48. Complessivamente l'aspetto più importante fu la mobilitazione popolare che si riversò nei paesi europei. Perché è importante nella storia italiana il biennio 1846 — 1847? Durante questi anni il movimento riformatore subì un'improvvisa accelerazione. L'evento che innescò un clima di mobilitazione popolare fu l'elezione di Pio IX, i cui atti e riforme, alimentarono le attese di cambiamento dei patrioti italiani liberali moderati e democratici. Tra queste riforme ricordiamo: la concessione di un'amnistia per i detenuti politici, la scelta del cardinale Gizzi come segretario di stato, l'istituzione di una consulta di stato, con funzioni solo consultive, l'istituzione di una guardia civica e l'attenuazione della censura sulla stampa. Tutti questi provvedimenti diedero un impulso al movimento patriottico e alla mobilitazione popolare. ”Risorgimento”: cosa vuole indicare questa parola nella storia italiana? La parola Risorgimento indica l’idea di una rinascita culturale, politica, sociale, di riscatto da una condizione di assoggettamento politico e morale, unitamente al richiamo di un passato celebrato come glorioso. Questo movimento di progressiva riscoperta dell'entità nazionale fu alla base del processo politico e militare che avrebbe condotto l’Italia verso l'Unità Nazionale. Nel corso del ‘700 le aspirazioni unitarie e indipendentiste avevano preso forma in Italia, trovando però un limite nella contradizione di dover ricorrere all'iniziativa di un paese straniero per poter concretizzare questo obiettivo. Tanto i moti del ’20- ’21, quanto quelli del’30-‘31, furono in Italia totalmente estranei alle rivendicazioni unitarie. Nel corso della sua storia l’Italia non aveva mai raggiunto la condizione di entità statale unitaria, solo nell'epoca dell’Impero Romano era stata unita da un punto di vista politico. Negli anni successivi l’Italia era sempre stata divisa politicamente e in parte soggetta a dominazioni straniere. L'idea di Stato italiano unitario era ancora lontana; tutt'al più si prospettò la possibilità di creare uno stato nell’Italia settentrionale sotto il controllo sabaudo. L'obiettivo e la rivendicazione principale era la richiesta di una costituzione e di una liberazione dal controllo asburgico. Quale ruolo svolse la Carboneria nei moti del 1831 in Italia? La Carboneria era una società segreta, diffusa soprattutto in Spagna e in Italia. Essa si ispirava ad ideali liberali moderati, per lo più costituzionalisti. A comporre queste società segrete erano principalmente studenti, intellettuali e militari (pochi artigiani o lavorati e qualche aristocratico illuminato); ma furono questi ultimi, in particolar modo gli ex ufficiali napoleonici, a dare alle società l’organizzazione e la forza necessarie per dei veri moti rivoluzionari. La rivoluzione di Luglio in Francia indusse alcuni patrioti all’azione: Ciro Menotti, appartenente al mondo delle sette, lavorava da tempo ad un progetto di insurrezione che avrebbe dovuto estendersi in tutta l’Italia fino al raggiungimento dell'Unità. Il progetto coinvolgeva Francesco IV che però, al momento di concretizzare il progetto, temendo che l’Austria avrebbero strenuamente ostacolato qualsiasi modifica dell'assetto politico in Italia, fece arrestare fece Ciro Menotti. L’insurrezione scoppiò lo stesso, ma si rivelò però un fenomeno locale che l’Austria riuscì a sedare in poco tempo. Il fallimento dei moti del ’31 fu causato dai limiti e dalle insufficienze del sistema settario: i programmi erano indeterminati, vaghi, venivano proposte soluzioni dinastiche artificiose o alternative da decidersi solo dopo il raggiungimento dell'Unità. Sul risultato dell’insurrezione pesò infatti il contrasto interno della Carboneria tra moderati, che facevano affidamento all'intervento della Francia, e i democratici, che volevano subito muovere verso lo Stato Pontificio. Per quali motivi principali i moti del 1831 ebbero in Italia un esito fallimentare? Il fallimento dei moti del’31 fu causato dai limiti e dalle insufficienze del sistema settario: i programmi erano indeterminati, vaghi, venivano proposte soluzioni dinastiche artificiose o alternative da decidersi solo dopo il raggiungimento dell’Unità. Inoltre il carattere segreto delle associazioni settarie faceva sì che gli obiettivi fossero sconosciuti e impedivano un’ampia partecipazione popolare. La mancanza di una direzione unitaria dell’insurrezione capace di far convergere i diversi progetti rivoluzionari in una prospettiva unitaria e nazionale; il contrasto tra le divisioni municipalistiche locali (Moderna e Parma non parteciparono al governo delle province unite) e soprattutto il contrasto tra democratici e moderati. Tutti questi motivi causarono il fallimento dei moti del ’31. Quali furono i principali provvedimenti di riforma realizzati da Francesco Crispi? Crispi poteva contare su ampie simpatie a sinistra, in virtù del suo passato da mazziniano, ma anche sulla fiducia dei conservatori, in quanto ammiratore della politica conservatrice di Bismark. Crispi impresse una decisiva svolta all’azione di governo: accentuò le spinte autoritarie e repressive, portò avanti un’opera di riorganizzazione dell’apparato statale, da un lato ricorrendo al potenziamento del potere esecutivo rispetto al parlamento, dall’altro procedendo ad una organizzazione degli apparati amministrativi centrali e periferici dello Stato, avviando un'iniziativa legislativa in tal senso. Accentrò su di sé tutti i ruoli chiave del Governo, quali la Presidenza del Consiglio, la guida del Ministero degli Interni e del Ministero degli Esteri. Nel 1888 fu approvata la legge comunale e provinciale che allargava il diritto di voto per le lezioni ‘amministrative, estendendolo a tutti i cittadini maschi maggiorenni che sapessero leggere e scrivere e avessero pagato almeno 5 lire di imposte l’anno. Nei primi anni del governo fu approvato il nuovo Codice penale Zanardelli che aboliva la pena di morte, affermava il diritto allo sciopero. Tuttavia questi elementi riformatori vennero placati dalla legge di pubblica sicurezza, che lasciava alla polizia ampio spazio di azione nel caso di manifestazioni e riunioni pubbliche. In politica estera, puntò al rafforzamento della Triplice Alleanza che portò ad un inasprimento dei rapporti con la Francia, e intraprese una politica coloniale grazie alla quale i possedimenti italiani furono ampliati e riorganizzati. Perché si afferma che la linea politica di Crispi presentava aspetti peculiari e contraddittori? La linea di Crispi presenta aspetti peculiari e contradditori in quanto unisce elementi di autoritarismo, razionalizzazione, ma anche di apertura sociale. Allo stesso tempo, adotta una politica conservatrice e autoritaria, poi mitigata da una politica assistenziale. Apprezzato dalla Sinistra per il suo passato patriottico e mazziniano garibaldino, e dalla Destra, che riponeva in Crispi la speranza di intraprendere una politica governativa caratterizzata da forza e autorevolezza. Crispi impresse una decisiva svolta all’azione di governo: accentuò le spinte autoritarie e repressive, ma si fece anche promotore di un’opera di riorganizzazione dell’apparato statale, da un lato ricorrendo al potenziamento del potere esecutivo rispetto al parlamento, dall’altro procedendo ad una organizzazione degli apparai amministrativi centrali e periferici dello stato, avviando un'iniziativa legislativa in tal senso. Nel 1888 fu approvata la legge comunale e provinciale che allargava il diritto di voto per le lezioni amministrative, estendendolo a tutti i cittadini maschi maggiorenni che sapessero leggere e scrivere e avessero pagato almeno 5 lire di imposte l’anno. Nei primi anni del governo fu approvato il nuovo Codice penale Zanardelli che aboliva la pena di morte, affermava il diritto allo sciopero. Tuttavia questi elementi riformatori vennero mitigati dalla legge di pubblica sicurezza, che lasciava alla polizia ampio spazio di azione nel caso di manifestazioni e riunioni pubbliche. In politica estera, puntò al rafforzamento della Triplice Alleanza che portò in un inasprimento dei rapporti con la Francia, e intraprese una politica coloniale grazie alla quale i possedimenti italiani furono ampliati e riorganizzati. locali. All’interno di ogni “patria” si doveva istituire una forma di governo che valorizzasse le istanze economico-sociali delle singole città attraverso riforme politiche. Un altro esponente del federalismo repubblicano fu Giuseppe Ferrari che contrastò il riformismo moderato e anche quello cattolico dei neoguelfi, ma anche il nazionalismo unitario di Mazzini. Il federalismo di Ferrari era definito “integrale”, poiché si doveva realizzare sia sul piano politico che su quello economico. Descrivere i diversi “federalismi” di Giuseppe Ferrari e Carlo Cattaneo. Cattaneo era distante dal neoguelfismo e prima del’48 era ostile e contrario alle insurrezioni, poi divenne il capo dell’insurrezione milanese del 1848; da allora individuò come obiettivo principale quello della liberazione dal dominio austriaco. Egli indicava come soluzione dei problemi italici da un lato (come i moderati) la via delle riforme, e dall'altro, sul piano istituzionale, la creazione di una confederazione repubblicana che salvaguardasse l'autonomia dei singoli stati. All’interno di ogni “patria” si doveva istituire una forma di governo che valorizzasse le istanze economico-sociali delle singole città attraverso riforme politiche. Un altro esponente del federalismo repubblicano fu Giuseppe Ferrari che contrastò il riformismo moderato e anche quello cattolico dei neoguelfi, ma anche il nazionalismo unitario di Mazzini. Il federalismo di Ferrari era definito “integrale”, poiché doveva realizzarsi sia sul piano politico che su quello economico. Si trattava di comunità federali autogestite di liberi produttori, organizzati in un apparato ‘amministrativo organizzato su livelli autonomi. Quali principali correnti di pensiero alimentarono in Italia il confronto politico, culturale dopo il fallimento dei moti del 1831? Dopo il 1831 si registrò l'emergere di un indirizzo moderato alternativo sia agli orientamenti conservatori che a quello radicale di Mazzini. Gli esponenti di questa corrente collegavano la causa patriottica con quella liberale, indicando come proprio punto di riferimento la Chiesa e interpretando la religione cattolica come un elemento di identità nazionale italiana. Gli antecedenti di questa corrente sono individuabili in figure come Manzoni e il filosofo Rosmini, il quale richiamava il ruolo centrale che la Chiesa avrebbe dovuto avere nel processo di conquista della libertà nazionale per l’Italia. Parallelamente si svilupparono diverse posizioni circa il raggiungimento dell'Unità Nazionale. Una di queste è rappresentata dal Neoguelfismo, una corrente culturale e politica (in ambito cattolico e liberale) definita appunto Neoguelfa, con a capo Gioberti. Secondo Gioberti, l’Italia per riprendere il cammino verso il progresso, avrebbe dovuto realizzare un ampio programma di riforme politiche e amministrative indicando, dal punto di vista istituzionale, la soluzione in una Confederazione di Stati italiani sotto la presidenza del Papa. L'altra tesi invece, portata avanti da Cesare Balbo, proponeva la creazione di una Lega doganale e militare fra gli Stati italiani e aggiunse, al quadro proposto da Gioberti, la variabile della presenza austriaca, che doveva essere direzionata verso l'Europa centrale attraverso una scaltra diplomazia. Su simili posizioni federaliste si costituì anche una corrente che si caratterizzava però in senso democratico e repubblicano, con a capo Carlo Cattaneo. Cattaneo propone una confederazione repubblicana a salvaguardia delle autonomie locali. Altro esponente del federalismo repubblicano fu Giuseppe Ferrari che contrastò il riformismo moderato e anche quello cattolico dei neoguelfi, ma anche il nazionalismo unitario di Mazzini. Il federalismo di Ferrari era definito “integrale”, poiché doveva realizzarsi sia sul piano politico che su quello economico. Che cosa erano e quali caratteristiche avevano le società di mutuo soccorso promosse da Giuseppe Mazzini? Fino all’inizio degli anni ‘70, l’unica organizzazione diffusa in tutto il paese fu quella delle società di mutuo soccorso, concepite come strumenti di educazione del popolo più che come organismi di lotta. le società di mutuo soccorso avrebbero dovuto porre rimedio all'assenza dello stato sociale in Italia. Le società di mutuo soccorso promosse da Mazzini erano formate da artigiani e da operai ma comprendevano anche elementi borghesi che solitamente ne assumevano la direzione. Esse ripudiavano ogni prospettiva di lotta di classe, e inizialmente anche di rivendicazione politica. Nelle società di mutuo soccorso che Mazzini si adoperò a promuovere, si realizzava la collaborazione fra capitale e lavoro (elemento fondante, secondo Mazzini, della società della Repubblica Democratica) e si cercavano soluzioni alla questione sociale. Dopo l'Unità il numero delle società operaie andò sempre più crescendo ed esse avviarono un progressivo processo di politicizzazione. Cosa si intende per “Rivoluzione Nazionale nel pensiero di Giuseppe Mazzini? La “Rivoluzione Nazionale” era il fine ultimo del programma della Giovine Italia La Rivoluzione Nazionale si fondava su 3 principi: Unità, Indipendenza e Repubblica Democratica. L'obiettivo era quindi una Rivoluzione Nazionale che mirasse a liberarsi dall'Austria e ottenere l'indipendenza. L’ obiettivo era raggiungere l'unione di tutti i territori italiani sotto un unico governo indipendente dal potere austriaco e da ogni altro dominio straniero. La Repubblica unitaria doveva poi essere democratica, cioè fondarsi sul popolo; per fare la Rivoluzione Nazionale il popolo era l'elemento decisivo, al quale fare appello. Altro carattere distintivo della Rivoluzione Nazionale di Mazzini era la sua concezione della rivoluzione fortemente spiritualistica, concepita come una missione, una missione assegnata da Dio al Popolo. Quale era la lettura della questione sociale proposta da Giuseppe Mazzini? Il pensiero di Mazzini si ricollegava al pensiero di Saint-Simon. Riguardo la questione sociale, entrambi proponevano una nuova forma di organizzazione sociale fondata sull’alleanza fra capitale e lavoro che escludeva il conflitto di classe e ogni ipotesi di abolizione della proprietà privata. L'idea di Nazione era al centro del pensiero di Mazzini; solo il popolo riunito in una Nazione, avrebbe potuto portare a temine la missione storica che era stata loro assegnata. Mazzini sosteneva che la missione assegnata da Dio agli individui e ai popoli si inseriva nella legge universale che spingeva l'umanità verso un continuo progresso. Solo il popolo unito avrebbe potuto portare a compimento questa missione di libertà e progresso. Attraverso una partecipazione attiva alla Rivoluzione Nazionale, il popolo avrebbe potuto formare la sua coscienza politica, oltre che attraverso l’’istruzione. Rivoluzione Nazionale non doveva assumere il carattere di una rivoluzione sociale, di una lotta degli sfruttati contro le classi dominanti ma avere come obiettivi esclusivamente quelli dell'Unità e della Repubblica Democratica, da realizzarsi attraverso l'unione di tutte le forze nazionali a prescindere dall’appartenenza di classe, fattore che avrebbe invece potuto creare divisioni nel popolo. Per Mazzini dunque la questione sociale si sarebbe dovuta risolvere attraverso il principio di associazione: lui stesso si impegnò tra l’altro nella promozione di cooperative e società di mutuo soccorso fra gli operai. Quale fu l’atteggiamento dei contadini e dei proprietari terrieri del Sud, dopo il felice esito dell’impresa garibaldina dei Mille? Quali le diverse speranze e aspirazioni sociali che animavano gli uni e gli altri? I contadini avevano espresso la loro volontà di modificare la natura semi-feudale vigente in Sicilia, mentre i proprietari terrieri, intimoriti dalle agitazioni contadine, si mostrarono sempre più favorevoli verso un’annessione al Piemonte (che vedevano come l’unica garanzia contro il pericolo di sconvolgimento dell’ordine sociale.). Il clima di entusiasmo che si era instaurato nell’isola dopo l’esito dell'impresa garibaldina, si era dissipato a causa di violente agitazioni contadine che avevano preso piede in Sicilia, espressione della volontà dei ceti popolari di voler modificare quei rapporti semifeudali che ancora vigevano. La ripartizione delle Terre promessa dai Garibaldini riguardò solamente le terre demaniali e non coinvolse le grandi proprietà terriere dei nobili. La priorità per Garibaldi era l’Unificazione, motivo per cui per raccogliere reclute contro i Borboni fu introdotta la coscrizione obbligatoria verso cui i Siciliani si mostrarono contrari. Ebbero così inizio una serie di sommosse e agitazioni, che furono represse violentemente. Emblematico è l'episodio di Bronte, dove Nino Bixio ordinò la fucilazione dei contadini rivoltosi. Nell’ambito della sinistra italiana quale era la forza o la tradizione politica che dopo l'Unità si caratterizzava come “antisistema e perché? Quale era l'elemento di rivendicazione sulla base del quale si identificava come tale? Dopo l'Unità italiana la “sinistra antisistema” era costituita da repubblicani e mazziniani, i quali avevano mantenuto una posizione rigida sulla questione istituzionale: dopo la proclamazione dell'Unità, l’Italia avrebbe dovuto assumere come forma istituzionale quella della Repubblica. Le loro speranze vennero disattese, identificandosi come una forza politica lontana dal sistema. Sulla scia della Comune di Parigi, la Sinistra “antisistema” si configurava come volta alla realizzazione di governo dei ceti popolari e proletari, in opposizione e frattura con lo Stato borghese. La figura di Mazzini fu centrale per la diffusione del pensiero di sinistra in Italia, ma la sua politica era lontana dalla lotta di classe e dalle rivendicazioni sociali. In Italia si diffusero le nuove idee della | internazionale: emersero infatti diversi indirizzi, quali quello mazziniano, quello marxista e quello anarchico-libertario (legato alle idee di Bakunin e Proudhon). Nella | internazionale la sezione italiana si schierò in favore della posizione di Bakunin. Si costituì in Italia la Federazione Italiana dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori, che di fatto rappresentò il primo partito socialista italiano. La forza che costituiva l’anti-sistema nell’ambito della sinistra italiana fu quella degli internazionalisti (il cui fine era l'emancipazione non di una sola classe ma dell'intero genere umano) che erano per il rovesciamento totale e la negazione assoluta di ogni autorità e di tutti i principi sui quali la società si fondava da secoli. A quando si fa risalire la politicizzazione delle società di mutuo soccorso? Dopo l'Unità il numero delle società operaie andò sempre più crescendo ed esse avviarono un progressivo processo di politicizzazione. AI Congresso delle società operaie tenutosi nel 1861 a Firenze si discusse in merito alla politicizzazione imminente e si determinò la rottura fra la componente moderata, che considerava lo sciopero un mezzo di protesta immorale, e la parte riformatrice che richiedeva l'unificazione delle società operaie, l'esigenza del suffragio universale, l'istruzione gratuita e obbligatoria. Il pensiero di Mazzini, a partire dagli anni ’60 dell'Ottocento, perse slancio e divenne sempre più marginale poiché le società di mutuo soccorso, nell'ottica paternalistica in cui lui le aveva progettate, erano sempre più lontane dalla realtà e dallo scontro sociale in atto. Chi era Bakunin? Quale era la prospettiva della sua proposta “politica”? Verso quali settori sociali rivolgeva interesse e attenzione per l'attuazione del suo progetto? Bakunin era un cospiratore russo, elaboratore della dottrina di comunismo libertario basato sull’autodeterminazione delle singole comunità. Secondo il suo pensiero, ogni forma di Stato rappresentava una forma di oppressione e Bakunin si opponeva ad ogni forma di autoritarismo e centralismo. Per lui l'ostacolo principale che impediva all'uomo il conseguimento della piena libertà era costituito dall'esistenza dello Stato stesso. La prospettiva nella quale si inseriva la sua proposta era di tipo insurrezionale, rifiutava l’azione politica e lo strumento del partito e avrebbe dovuto far leva sui contadini, studenti, intellettuali. A partire dal 1871 Bakunin divenne il principale punto di riferimento in Italia delle sezioni dell’Internazionale che da Napoli iniziarono a diffondersi in tutta la penisola. Quali erano le istanze di cui si facevano interpreti gli ambienti del cattolicesimo liberale dopo l'unificazione del Regno d’Italia? Il cattolicesimo liberale aspirava alla separazione tra Stato e Chiesa, la separazione rappresentava la premessa per l’avvio di un programma di riforme che avrebbero dovuto interessare la Chiesa. Dopo l’Unificazione del Regno d’Italia, nel 1868 la Chiesa pronuncio il Non expedit, con il quale veniva fatto divieto ai cattolici di partecipare alla vita politica nazionale italiana. Questa posizione fu in parte superata Descrivere la composizione sociale del movimento internazionalista in Italia La composizione sociale del movimento era variegata. Era presente una componente formata dal “Lumpenproletariat”, parola tedesca utilizzata da Marx per indicare il sottoproletariato, la classe economicamente e culturalmente più degradata nelle moderne società industriali. Una componente di banditismo, che esprimeva la protesta dei contadini poveri. A questo movimento avevano aderito anche i cosiddetti “spostati”, ovvero giovani borghesi che, dopo essersi resi conto delle ingiustizie presenti nella società, avevano deciso di spostarsi dalla loro collocazione sociale originaria, per “lottare” al fianco dei lavoratori, della plebe, soprattutto contadine, cercando, attraverso un’opera di propaganda nelle campagne, di fornire loro una coscienza di classe. Un'altra componente sociale di rilievo dell’Internazionale era quella formata dagli operai e dagli artigiani; i rappresentanti di quei mestieri che esprimevano la realtà di un paese industrialmente arretrato: muratori, imbianchini, calzolai, sarti, meccanici, barbieri, facchini, tipografi ecc. Chi erano gli “spostati” nell’ambito del movimento internazionalista italiano? Al movimento internazionalista avevano aderito anche i cosiddetti “spostati”, ovvero giovani borghesi che, dopo essersi resi conto delle ingiustizie presenti nella società, avevano deciso di spostarsi dalla loro collocazione sociale originaria, per “lottare” al fianco dei lavoratori, della plebe, soprattutto contadine, cercando, attraverso un’opera di propaganda nelle campagne, di fornire loro una coscienza di classe. Di essi facevano parte anche molti futuri leader socialisti, tra cui ricordiamo Camillo Prampolini, membro di una agiata famiglia emiliana, il quale rinuncia alle consuetudini borghesi per avviare un'attività propagandista nelle campagne emiliane. Descrivere quale fu l'atteggiamento assunto dagli internazionalisti verso la questione sociale . Gli internazionalisti in Italia furono fortemente influenzati, soprattutto nella prima fase, dal pensiero di Bakunin e dalla sua “rivoluzione sociale” ed ebbe in Costa, Cafiero e Malatesta ed altri, i maggiori esponenti. Gli internazionalisti in Italia si fecero portavoce delle istanze dei ceti poveri che, a differenza degli altri Paesi Europei industrializzati, non corrispondeva con le classi operaie, ma con i contadini, i salariati e i diseredati. | rapporti e le tensioni che si erano manifestate in Italia erano espressione della povertà dei ceti popolari, afflitti da disoccupazione, denutrizione, mancanza di abitazioni sane. Gli internazionalisti portavano avanti la lotta contro la classe dirigente insensibile a tutto questo. Essi furono i primi interpreti della questione sociale, rappresentata all’epoca dalle condizioni di vita e di lavoro pessime dei ceti popolari, afflitti dalla povertà. Gli internazionalisti predicavano la lotta ad oltranza contro tutti i pilastri del vecchio mondo; avevano un atteggiamento di ribellione contro qualsiasi ingiustizia e autorità. Quali erano i principali motivi ed elementi che alimentavano la prospettiva ideale del movimento internazionalista în Italia? Gli internazionalisti in Italia si fecero portavoce delle istanze dei ceti poveri che, a differenza degli altri Paesi Europei industrializzati, non corrispondeva con le classi operaie, bensì con i contadini, i salariati e i diseredati. | rapporti e le tensioni che si erano manifestate in Italia erano espressione della povertà dei ceti popolari, afflitti da disoccupazione, denutrizione, mancanza di abitazioni sane. La lotta che si proponevano gli internazionalisti era contro la classe dirigente insensibile a tutto questo. Lo spirito che animava gli Internazionalisti era uno spirito di incompatibilità con tutto quello che era il mondo ufficiale circostante, contro ogni forma di giustizia e contro ogni forma di autorità. Il principio cardine che alimentava “battaglia”, era un principio etico di ribellione contro qualsiasi forma di ingiustizia e di iniquità, contro qualsiasi forma di autorità o soggezione, fosse essa politica, religiosa, giuridica. Il loro fine era l'emancipazione non di una sola classe ma dell'intero genere umano. Quale personaggio ebbe grande influenza sul movimento internazionalista italiano nella sua prima fase di formazione? Ad influenzare il movimento internazionalista nella sua prima fase fu senza dubbio Bakunin, cospiratore russo, fondatore della dottrina di comunismo libertario basato sull’autodeterminazione delle singole comunità. Secondo il suo pensiero, l’unico modo per avviare il cambiamento era attraverso un moto rivoluzionario coordinato da una fitta rete di società segrete, che vedeva come protagonisti i contadini, gli studenti e gli intellettuali. L’idea anarchica di Bakunin era sintetizzata con il motto “né Dio, né padrone, né patria”. Bakunin identificava nei ceti contadini i principali agenti rivoluzionari; quando arrivò in Italia pensava soprattutto che i contadini poveri del Mezzogiorno si sarebbero rivelati la forza rivoluzionaria determinante per l'abbattimento dello Stato. Quali elementi, a giudizio dello storico Pier Carlo Masini, connotano l’esperienza della Federazione Italiana dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori come antecedente del partito moderno? La Federazione italiana dell'Associazione internazionale dei lavoratori, costituita durante la Conferenza di Rimini (4-6 agosto 1872) fu la branca italiana della Prima Internazionale e costituì la prima organizzazione del movimento socialista ed anarchico in Italia. Si dissolse progressivamente dopo il 1878 a causa della repressione e dei contrasti tra la componente anarchica e quella socialista gradualista. Secondo lo storico essa ha in comune alcuni elementi con i partiti moderni: la diffusione su tutto il territorio che la Federazione Italiana dell’Internazionale ebbe su tutto il territorio nazionale, con le sue sezioni, i suoi circoli e i suoi organi di stampa; una struttura organizzativa unitaria simile a quella che caratterizzeranno la vita dei partiti socialisti e operai a fine secolo. Che cosa prevedeva la legge elettorale in vigore nel Regno d’Italia subito dopo l’unificazione? Quali erano i requisiti per godere dei diritti di elettorato attivo e passivo? La legge elettorale era su base censitaria, selezionava cioè la popolazione elettiva concedendo il voto ai maschi che avessero compiuto il 25esimo anno di vita, che sapessero leggere e scrivere, che avessero pagato almeno 40 lire di imposte dirette. Non occorreva il requisito del censo se si apparteneva a determinate categorie previste dalla legge: i professori universitari, i magistrati, gli ufficiali in pensione, gli impiegati statali, laureati, farmacisti ecc. La legge elettorale del Regno d’Italia prevedeva il sistema del collegio uninominale. In base alla legge elettorale in vigore, risultavano iscritti alle liste elettorali solo il 2 per cento della popolazione italiana, questa ristretta percentuale confermava il dato di una concezione “oligarchica e personalistica” della vita politica. Quali erano le principali caratteristiche che dal punto di vista organizzativo connotavano gli schieramenti della Destra e della Sinistra Storica? Sul piano dell’organizzazione politica si ebbe un cambiamento dopo la cosiddetta “rivoluzione parlamentare” del 1876, ovvero dopo la caduta dell'ultimo governo della Destra Storica guidato da Minghetti e l'avvento del primo governo guidato dalla Sinistra Storica. La Destra reagì alla sconfitta costituendo una rete di organizzazioni che avrebbero dovuto affiancare lo schieramento parlamentare guidato da Quintino Sella, e che si articolava in una serie di Associazioni costituzionali presenti a livello locale. Nel 1876 fu fondata l'Associazione costituzionale centrale con sede a Roma, essa aveva il compito di promuovere l’azione delle associazioni locali. Queste associazioni erano formate da soci che avevano la possibilità di iscriversi a patto di avere i requisiti per essere elettori. Dopo il 1876 anche la Sinistra Storica si attivò per definire una sua rete organizzativa ed extraparlamentare che a sua volta si articolava in unità organizzative locali chiamate Associazioni progressiste, anch'esse dirette da una struttura centrale. Sia le Associazioni Costituzionali che quelle Progressiste, avevano caratteristiche esclusive di comitati elettorali, rendendosi concretamente operative in occasione delle scadenze elettorali. Quando e in quali circostanze l’Italia realizzò annessione del Veneto? Poco prima dello scoppio del conflitto austro-prussiano, L'Italia si alleò con la Prussia, intenzionata a sostituire l’Austria nel ruolo di potenza maggiore all’interno della confederazione Germanica; in caso di vittoria, l'accordo prevedeva l'annessione all’Italia del Veneto. L'Italia si inserì quindi nel conflitto austro- prussiano. L’Italia condusse una guerra mediocre, subendo sconfitte a Custoza e nelle acque dell’isola di Lissa. L'unico successo fu ottenuto da Garibaldi sul fronte del Trentino, ma fu bloccato perché la Prussia, che era arrivata alle porte di Vienna, aveva costretto l’Austria alla firma di un armistizio. Austria e Italia firmarono la Pace di Vienna nel 1866, il Veneto veniva ceduto alla Francia di Napoleone III, che a sua volta lo consegnò all'Italia. Questa vicenda fu una grande umiliazione per l’Italia, che riusciva ad ottenere il Veneto solo con la mediazione di Napoleone III. L'Italia dovette inoltre rinunciare al Trentino e alla Venezia Giulia. Quando e perché fu possibile la conquista di Rom: L'occasione per la conquista di Roma fu fornita da vicende internazionali: la guerra franco- prussiana si stava per concludere con la sconfitta dei francesi, e la caduta dell'impero aprì di fatto all’Italia la strada per la conquista di Roma. Il Governo italiano, con a capo Lanza, denunciò la Convenzione di settembre, e dopo aver cercato un accordo con il Papa, ordinò l'occupazione di Roma. Il 20 settembre, le truppe italiane guidate dal generale Cadorna, entrarono nella città di Roma attraverso una breccia aperta nella cinta muraria che circondava la città nei pressi di Porta Pia. Il 2 ottobre un plebiscito sancì l'annessione di Roma all’Italia e nel 1871 divenne la capitale del regno d’Italia. Quali erano i principali concetti espressi da Pio IX con l’enciclica Quanta cura? E che cosa era il Sillabo? Con l’enciclica “Quanta cura”, pubblicata nel 1864, Papa Pio IX esprimeva la sua condanna verso il progresso, la cultura moderna, il liberalismo e la conseguente messa al bando dei suoi principi cardine: laicizzazione della scuola, sovranità popolare, libertà di culto; oltre ad operare una difesa nei confronti del potere temporale, spettante all’autorità pontificia. All’enciclica seguì una raccolta, Il sillabo, che elencava i principali errori dell'età contemporanea espresse in 80 preposizione con le quali si sanciva il divorzio tra Chiesa, democrazia e liberalismo. Che cosa fu la “Convenzione di settembre”? Quando e tra chi venne stipulata? La “Convenzione di settembre” fu un accordo diplomatico stipulato il 15 settembre 1864 tra il governo Minghetti e Napoleone III. Il trattato prevedeva il ritorno delle truppe francesi da Roma entro due anni, mentre il Governo Italiano si impegnava a non attaccare lo Stato Pontificio. lo Stato Italiano, a dimostrazione della sua rinuncia a Roma, si impegnava a trasferire la propria capitale da Torino a Firenze. Indicare i principali obiettivi che ispirarono la politica perseguita dalla Destra Storica dopo l'unificazione? La Destra storica governò dal 1861 al 1876 e fra i suoi primi impegni portò a termine l’unificazione legislativa e amministrativa: il criterio fu quello di estendere al nuovo Stato italiano la legislazione e gli ordinamenti del Regno Sardo (Piemonte), per riflettere il ruolo politico di primo piano che lo Stato Sardo aveva avuto nel processo risorgimentale. Anche il sistema scolastico nel 1861 fu riformato e uniformato in tutta Italia a quello piemontese (previsto dalla legge Casati). La Destra impose anche un pesante fiscalismo, per finanziare le opere pubbliche di cui il Paese aveva bisogno per competere con le altre potenze europee. fu estesa a tutto il Regno la legislazione doganale piemontese che era connotata da un accentuato liberismo e che prevedeva dazi in entrata molto bassi. La conseguenza fu una vera e propria inondazione di prodotti dell'industria estera che penalizzò pesantemente il meridione. Il 16 marzo 1876, il Presidente del Consiglio, Marco Minghetti, annunciò il pareggio di bilancio. Nella prima fase aumentò tramite le imposte dirette, che riguardavano i redditi di origine agraria, nella seconda fase invece con le imposte indirette, colpendo maggiormente i ceti meno abbienti. Nel 1866, attraverso decreti legislativi separati, fu realizzata Quali erano le caratteristiche principali che connotavano la Destra Storica come classe dirigente: fattori di omogen: e ifferenziazione. Subito dopo l’Unità d’Italia la Destra Storica venne ad identificarsi con gli eredi politici di Cavour: quindi con coloro che erano sostenitori della politica da lui impostata nei suoi indirizzi principali: una politica scrupolosa riguardo il rispetto alle libertà costituzionali, favorevole all’accentramento amministrativo, politica liberista sul piano economico, e soprattutto laica. La Destra Storica, da un punto di vista sociale, costituiva un gruppo dirigente omogeneo e ristretto, i suoi componenti venivano infatti per lo più da famiglie di proprietari terrieri, appartenevano a ceti aristocratici o della grande borghesia terriera. La Destra Storica era omogenea anche da un punto di vista politico, si identificava come un gruppo di centro moderato, la cui ideologia era quella del liberalismo borghese e che si riconosceva nella fedeltà alla Monarchia sabauda e al progetto risorgimentale di Cavour. La Destra Storica era poi omogenea da un punto di vista culturale e di atteggiamento complessivo verso la società civile. Essa mantenne le sue caratteristiche di élite pedagogica; gli uomini e le personalità di spicco che ne facevano parte erano profondamente convinti di rappresentare la componente sociale più capace e avanzata del paese. Cosa si intende per attitudine pedagogica e paternalistica della Destra Storica? Gli uomini della Destra Storica erano animati da una forte convinzione: quella di rappresentare la componente sociale più capace ed avanzata del paese questa connotazione però li portò a trascurare qualunque questione relativa alla democrazia. In questo senso si preoccupò a perseguire i suoi obiettivi senza preoccuparsi troppo di ricercare tutte quelle mediazioni che erano necessarie ad estendere la base politico parlamentare del proprio potere. Sembrava naturale non ricercare il consenso della società, vista l’arretratezza economico e sociale. Gli esponenti della Destra erano accumunati da questa attitudine paternalistica verso la società civile, considerata priva di forza , espressione di ignoranza e sottosviluppo, nei confronti della quale ritenevano di dover svolgere una funzione pedagogica e di tutela per conto dello Stato. Chi era Andrea Costa? Andrea Costa fu tra i promotori della Conferenza di Rimini (1872) che fondò la Federazione Italiana dell’Associazione Internazionale dei Lavoratori. Fu in questa occasione che ci si dissociò dal sistema repubblicano mazziniano e democratico garibaldino. Costa si alleò con Cafiero, riuscendo insieme ad imporre la loro linea che metteva l'accento sull’organizzazione politica e il lavoro cospirativo, tanto che Costa venne nominato segretario della Federazione Italiana dell’Internazionale con sede a Bologna. In un primo, Costa, momento venne influenzato dalle idee anarchiche di Bakunin. Fu il principale organizzatore del primo tentativo insurrezionale degli internazionalisti che avrebbe dovuto avere luogo a Bologna. Tuttavia, il completo fallimento di questi tentativi convinse Andrea costa che era necessario elaborare un programma concreto. La svolta di Costa trovò attuazione nel Partito Socialista Rivoluzionario di Romagna che fu fondato nel 1882, si proponeva di essere portavoce della classe popolare. Nel programma del partito si proponeva una strategia evoluzionista orientando l’attività del partito sulla propaganda popolare, sulla promozione della organizzazione sindacale e cooperativa dei lavoratori, sulla partecipazione alla lotta ‘amministrativa e politica ceti artigiani, piccola borghesia, lavori manuali. Nella sua lettera Ai miei amici di Romagna (27 luglio 1879), Andrea Costa espresse la necessità di "ricostituire" il partito socialista in Romagna. Lo statuto del partito prevedeva una struttura federativa con l'accettazione di tutte le scuole del pensiero socialista: (anarchici, evoluzionisti, marxisti). Fu grazie alla nascita di questo partito che costa venne eletto nel’ 82. Settimana rossa La Settimana rossa fu la conseguenza di un’insurrezione popolare sviluppatasi ad Ancona e propagatasi dalle Marche alla Romagna, e ad altre parti d’Italia, tra il 7 e il 14 giugno 1914, per contestare una serie di riforme introdotte da Giovanni Giolitti. L’insurrezione è rimasta famosa perché i poliziotti aprirono il fuoco sui manifestanti. La causa scatenante fu l'eccidio di tre giovani lavoratori avvenuto ad Ancona: due repubblicani Antonio Casaccia di 24 anni e Nello Budini di 17 anni, che morirono all'ospedale, e l'anarchico Attilio Giambrignani, di 22 anni, morto sul colpo. Episodi tragici di questo tipo erano accaduti sovente in quegli anni. Quello di Ancona fu la goccia che fece traboccare il vaso. Socialisti, repubblicani ed anarchici, dopo anni di divisioni e scontri fisici tra di loro, si trovarono, per una volta, uniti. In tutte le grandi città, dal Nord al Sud d'Italia, ci furono manifestazioni per strada e scontri violenti tra carabinieri e manifestanti con decine di morti, alcuni anche tra le forze dell'ordine. Interventismo democratico L’atteggiamento favorevole alla guerra dei repubblicani custodi della tradizione garibaldina e di esponenti del socialismo riformista come Leonida Bissolati, Ivanoe Bonomi, Gaetano Salvemini cui si unisce il socialista trentino Cesare Battisti, si nutre di ideali democratici e delle ragioni dell’irredentismo delle popolazioni italiane ancora soggette all’Austria. Questa corrente, che si definisce ‘interventismo democratico’, propugna la guerra democratica a fianco delle libere democrazie inglese e francese aggredite dall’imperialismo militarista degli imperi centrali. Essa si riallaccia idealmente alle lotte del Risorgimento, vedendo nel conflitto la possibilità del suo compimento, con il riscatto delle terre italiane irredente di Trento e Trieste. Il principio della guerra democratica, per l'affermazione della libertà dei popoli e il riscatto delle nazionalità oppresse si scontra però con la constatazione realistica che tutte le potenze belligeranti sono scese in campo non per difendere ideali ottocenteschi, ma per formidabili questioni di interesse economico e strategico.
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