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Storia della Guerra: Dalla Guerra Classica al Contemporanea, Appunti di Storia

Una panoramica della storia della guerra, partendo dalla guerra classica greca e romana fino alla guerra contemporanea. Vengono trattati i vari moduli di guerra, dalle guerre limitate del xvi e xviii secolo alle guerre mondiali, passando per le guerre napoleoniche e le guerre coloniali. Vengono inoltre analizzati i cambiamenti nell'arte della guerra, dalla prevalenza della fanteria all'ascesa della fanteria, e la nascita della guerra ibrida. Utile per chi vuole approfondire la storia della guerra e comprendere i cambiamenti che essa ha subito nel corso dei secoli.

Tipologia: Appunti

2023/2024

In vendita dal 23/05/2024

Antonio_Pilla
Antonio_Pilla 🇮🇹

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Scarica Storia della Guerra: Dalla Guerra Classica al Contemporanea e più Appunti in PDF di Storia solo su Docsity! 0 STORIA MILITARE PROGRAMMA: Modulo I – La guerra in età classica e nel medioevo L’arte della Guerra nell’antica Grecia La guerra romana: dagli albori alla Repubblica (VII a.C. – II a.C.) La guerra nella storia romana - L’età imperiale (I a.C. – V) La Guerra nel medioevo (VIII-XIV secolo) Modulo II – Le guerre in età moderna La Rivoluzione militare (XV-XVII) La guerra nell'età dell'Illuminismo Le guerre napoleoniche La guerra navale fino all'inizio del XIX secolo La guerra industriale nel XIX secolo Le guerre coloniali nel XIX secolo Modulo III – Le guerre mondiali e la guerra contemporanea La Prima guerra mondiale - Prima parte La Prima guerra mondiale - Seconda parte La Seconda guerra Mondiale - Prima parte (Guerra su terra) La Seconda guerra Mondiale - Seconda parte (Mare ed aereo) Le guerre presenti e future Libri di testo Oltre alle lezioni realizzate dal Docente ed ai materiali didattici pubblicati in piattaforma, è obbligatorio lo studio dei seguenti testi: - Piero Visani, Storia della guerra dall’Antichità al Novecento, Oaks Editrice, 2018 (capp. 1, 2, 3, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12, 13, 14, 17, 18, 19, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27) - Piero Visani, Storia della guerra nel XX Secolo, Oaks Editrice, 2020 (capp. 1, 2, 9, 10, 11, 15, 16) 1 Slide 1 - L’arte nella guerra nell’antica Grecia ARGOMENTI Nella presente lezione verranno trattati i seguenti argomenti: • i principi della guerra nell’arte della guerra in Occidente; • l’evoluzione della tradizione oplitica nell’antica Grecia, con codici e leggi precisi; • un esempio di guerra greca a livello tattico: la battaglia di Maratona (490 a.C.); • un esempio di guerra greca a livello strategico: la guerra del Peloponneso (431 a.C. ‐ 404 a.C.). C’è ovviamente un legame tra il modo di fare guerra, la cultura militare e il tipo di società. Il corso si basa principalmente sulla storia militare dell’Occidente, sia europea che americana. Per ciò che concerne l’Italia, l’analisi partità dall’epoca moderna. Molti storici militari ritengono che la base dell’arte della guerra negli eserciti moderni affonda le radici nell’antica Grecia e nell’antica Roma. La società greca fu essenzialmente una società guerriera ed Eraclito stesso riconosceva l’importanza del conflitto nella vita degli uomini – la guerra era insomma il fondamento della polis. Eraclito diceva che il conflitto tra gli opposti è alla radice di tutte le cose. Lo stesso Aristotele diceva che tutto si separa e tutto si riunisce e che la guerra è la madre di ogni cosa. Diceva inoltre che se non ci fosse guerra tutto perirebbe. Quindi la guerra aveva assunto un’importanza primaria nel mondo greco ed era normalmente inserita nella vita degli uomini, con gli aspetti positivi e negativi. Allo scontro armato partecipavano tutti i cittadini di sesso maschile abile alle armi e la guerra diventava una sorta di duello di massa, basata però su regole tattiche elementari, sul coraggio, sulla vigoria fisica e sulla volontà di vittoria dei contendenti. Una città dove il mito della guerra era dominante fu Sparta, dove dominava l’elite degli Uguali. All’età di 7 anni i giovani uguali iniziavano l’agogè, ossia la loro educazione individuale e collettiva che li avrebbe trasformati in guerrieri attraverso dure prove, quali la resistenza al freddo, il maneggio delle armi, il caldo, la fame e ogni genere di pericoli. Sparta aveva una fanteria di eccezionale valore, come dimostra la guerra combattuta contro i Persiani in inferiorità numerica. Ben presto però Sparta va incontro ad un declino a causa delle tattiche di guerra ancora elementari (l’unità di base era la falange che agiva con urto frontale), della sua struttura sociale e dalla debolezza demografica della classe dirigente. Le prime innovazioni si ebbero a cavallo tra V e IV secolo a.C. con Senofonte – che introdusse alcune 4 su duelli tra guerrieri di valore, come quello tra Ettore ed Achille, un grosso duello che finisce con Achille che uccide Ettore trascinandolo per la città col suo carro, sbeffeggiando gli achei; • quindi c’è qui una visione eroica della guerra perché mette molta enfasi sui duelli quindi. L’OPLITA I greci combattono attraverso la figura dell’oplita, è un fante e fa parte della fanteria pesante perché ha un equipaggiamento molto pesante, è rappresenta appunto il perno degli eserciti della Grecia antica. L’equipaggiamento è fatto da diverse parti: corazze di cuoio o di bronzo (ricordiamo la fatica di indossare l’armatura di ferro sotto il sole cocente), gli schinieri di cuoio o di bronzo (più spesso di cuoio), una spada corta, la lancia (chiamato dory e non erano giavellotti perché erano usate per i combattimenti corpo a corpo) e l’oplon (ossia lo scudo, con doppia impugnatura al gomito e alla mano e pesante circa 9/10 kg e quindi molto ingombrante) L’equipaggiamento non era uniforme (eccetto Sparta) e dipendeva dalle proprie finanze: l’individuo più ricco poteva permettersi ad esempio l’armatura di bronzo e stessa cosa valeva per le armi. Le milizie dunque erano formate dai cittadini, che si equipaggiavano secondo le proprie finanze. I greci antichi ponevano l’enfasi sulla difesa più che sull’attacco: non erano numerosi e spesso si avevano città con qualche migliaio di abitanti e che quindi avevano si e no 300 guerrieri – quindi gli eserciti non numerosi non possono puntare all’attacco perché contando le vittime ad ogni battaglia, si ridurrebbero sino a sparire – ecco il motivo di queste armature pesanti e questi scudi imponenti. C’era l’incertezza sul tipo di formazione che veniva seguita: molti storici parlano delle c.d. falangi, ossia formazioni di linee compatte in cui ogni oplita procedeva compatto in fille successive per l’assalto, ma secondo alcuni storici si combatteva con delle mischie ‘rugbistiche’, specialmente nelle zone di pianura, in cui le seconde e le terze linee spingono la prima per l’assalto – alcuni storici però dissentono e i combattimenti sarebbero stati combattimenti individuali perché non c’era una tradizione di addestramento e quindi affermano che i combattimenti erano una sorta di mischia senza regole. Per loro la tradizione militare vera e propria con regole nei combattimenti comincia con l’antica Roma. Ma tutti sono concordi nell’affermare che le truppe erano truppe da shock, che sfruttavano l’energia cinetica della corsa e della spinta per sopraffare l’avversario sul campo. LE LEGGI DELLA GUERRA GRECA (ETÀ CLASSICA, V‐IV A.C) Le leggi sul modo di far guerra risalgono all’epoca classica. Vediamole: 1. Lo stato di Guerra deve essere ufficialmente dichiarato prima di cominciare le ostilità. 2. Trattato ed alleanze devono considerarsi sacri 3. Le tregue sacre, durante la celebrazione dei Giochi Olimpici, devono essere osservate 5 4. Le battaglie devono essere combattute durante il periodo estivo (ciò per evitare di distruggere i raccolti e soprattutto perché la maggior parte dei combattenti sono contadini che non posso essere impiegati quindi nel periodo del raccolto 5. Alcuni luoghi o persone sono inviolabili, come i templi sacri, gli ambasciatori ed i messaggeri 6. La guerra è una faccenda di guerrieri, per cui tutti i non‐combattenti non devono diventare bersaglio principale di attacchi – la popolazione civile quindi non va toccata dalla guerra 7. L’utilizzo di armamento non‐oplitico deve essere limitato (soprattutto per quanto riguarda le armi utilizzate per combattimenti che non sono corpo a corpo, ossia archi, giavellotti, fionde perché il loro utilizzo è considerata codardia 8. L’inseguimento di nemici che battano in ritirata deve essere limitato nella durata perché in fondo non si vuole il totale annientamento del nemico 9. Dopo la battaglia, bisognava ridare il corpo dei nemici morti, ma chiedere i propri morti equivaleva a dichiararsi vincitore Sono leggi che sono state tramandate, ma sono anche state disattese perché rappresentano un ideale di guerra, secondo le quali essa si sarebbe dovuta svolgere. Esse poi si scontrano con la dura realtà della guerra, soprattutto nel corso dei secoli successivi. LE GUERRE PERSIANE (499 A.C. ‐ 479 A.C) Si tratta di guerre condotte dalle città stato greche contro l’impero persiano, un impero grande che si estendeva dalla Turchia fino all’Afghanistan e quindi un impero multinazionale che era riuscito anche a conquistare delle colonie greche ossia Mileto, Smirne, Focea, Ionia… Esso ambiva a conqustare anche la Grecia, anche se non era uno stato moderno: era una nazione che aveva una lingua comune ma era formato da un insieme di città-stato, rivali tra loro come Sparta ed Atene (infatti spesso i greci non si definivano greci ma ateniesi, sparti e così via. La prima invasione della Grecia viene attuata da Dario I via mare per sbarcare a Maratona: la città era a metà strada tra Atene ed Eretria, perché le due città avevano fomentato una spedizione contro la Persia perciò queste due città stato erano una spina nel fianco dell’Impero. Queste guerre sono narrate da Erodoto (definito ‘il padre della Storia’). Avviene la rivolta ionica, con l’aiuto di Atene stroncata nel sangue (498‐493 a.C.). L’Impero persiano achemenide sbarca quindi nell’Attica con un esercito tra gli 80.000 e i 500.000 uomini, contro i 10.000 Ateniesi e Plateesi – il dato incerto riguardante l’esercito persiano è dovuto al fatto che oltre ad Erodoto, gli altri che hanno scritto su questa guerra sono persone che vissero due o tre secoli dopo, che hanno ingigantito i fatti per risaltare l’eroismo dei greci (vedasi il mito dei 300 alle Termopili). E’ quindi improbabili che i persiani fossero 500.000 considerando che attuarono la guerra sbarcando. 6 Fu mandata un’ambasciata mandata a Sparta, ma la città stava attraversando la festività delle Carnee e dunque gli Sparti non saranno presenti alla battaglia perché la religione era il fulcro della società greca – questo naturalmente influì parecchio nei futuri rapporti tra Sparta e Atene. LA BATTAGLIA DI MARATONA (490 A.C.) Di questa battaglia non si sa nemmeno la data precisa e si sa poco per la scarsezza delle fonti. Gli Ateniesi decidono di combattere sulla piana di Maratona, sono comandati da 10 strategos (i generali) tra cui Milziade e Callimaco di Afidna (ala destra) – Milziade era il più vecchio generale di Atene, quello con più esperienza perché aveva più di 60 anni. Molti dicono che fu però Callimaco il vero generale che condusse la guerra e infatti morì in battaglia. La piana di Maratona era l’ideale per i greci perché potevano utilizzare il metodo dello shock in campo, inoltre non era grandissima e pertanto i persiani non potevano circondare da una parte e dall’altra i greci in una manovra a tenaglia. La scelta in tal senso fu fondamentale. Ci furono 6‐9 giorni di stallo da parte degli Ateniesi, forse per aspettare gli Sparti. Pli ci fu la decisione di attaccare i persiani, forse perché una parte dei Persiani si stava reimbarcando per invadere Sparta e quindi invadere la Grecia da un altro punto e ciò fece accellerare la decisione. Ma non ci sono prove certe in tal senso perché ci si basa essenzialmente su racconti tramandati. Ci una carica da parte dei greci – molti affermano che la carica fu fatta per 1 o 1,5 chilometri ma probabilmente fu attuata soltanto a passo veloce; alcuni storici pensano che la carica fu fatta poi solo negli ultimi 200 perché considerano circa 20 – 25 chili di armatura sotto il sole cocente di questo territorio. Quello che è sicuro è che ci fu una carica frontale: lo shock frontale fu fatale per i persiani, in parte annegati nella palude perché non avevano questo tipo di fanteria pesante. La formazione dei persiani fu disarcionata e così si sfalda presto e cercano riparo verso le navi annegando. Secondo le fonti i greci perdono 192 uomini mentre non è certo il dato dei persiani: si parla di 6.000 oppure 8.000 uomini ma questo perché le fonti greche tendono ad enfatizzare le perdite nemiche. Maratona fu un momento fondamentale per la formazione della civiltà greca. Uno dei messaggeri viene inviato ad Atene per informare la città della vittoria (da qui deriva la pratica della maratona dei 42 chilometri, ossia la distanza tra Maratona e Atene). La battaglia rappresenta l’apogeo della figura dell’oplita, che riesce con lo shock a distruggere un esercito superiore di numero, forse di 8 a 1. Il risultato è che i persiani non riuscirono mai a conquistare la Grecia. IL CONFRONTO TRA SPARTA ED ATENA Atene rappresenta: - la culla della civiltà greca e della democrazia e ha influenzato parecchio la cultura occidentale - la talassocrazia ossia il potere navale, perché aveva la marina più potente della Grecia 9 SLIDE 2 - LA GUERRA ROMANA: DAGLI ALBORI ALLA REPUBBLICA (VII A.C. – II A.C.) Nella presente lezione verranno trattati i seguenti argomenti: – l’evoluzione dell’ordinamento militare romano attraverso le riforme serviane e mariane; – un esempio di guerra romana a livello strategico: le guerre puniche (264 a.C. ‐ 146 a.C.); – un esempio di guerra romana a livello tattico: la battaglia di Canne (52 a.C.). La storia di Roma è un impero che si è creato con la forza delle armi – quindi per ciò che concerne la sua storia militare, c’è molto da dire. Roma incarnava la potenza militare e i principi che essa ha portato avanti permangono ancora oggi in occidente. Come in Grecia, l’esercito romano era composto da tutti coloro che avevano un reddito e quindi potevano comprarsi l’armatura; veniva addestrato solo quado c’era la necessità e combatteva le battaglie basandosi sulla potenza della massa, come nel caso della falange greca. Solo che in Italia, occorreva maggiore organizzazione per via del terreno monuoso e variegato. Su questa premessa nasce il primo abbozzo di legione romana, formata dai veliti (i cittadini più giovani e più poveri, dotati di armamento più leggero: essi stavano davanti e avevano il ruolo di fanteria leggera. Poi c’erano gli astati, anch’essi giovani ma provvisti di armamento più pesante e in grado di formare le prime file dello schieramento. Seguivano i principi, uomini più maturi con esperienza che formavano il nucleo centrale e infine, i triari, che erano i veterani che avevano fatto molte campagne che erano esperti ma non più forti fisicamente. L’unità base della legione era il manipolo, composto da 200 uomini, e ciò consentiva ad essa di essere maggiormente flessibile alle situazioni. L’armamento dei romani era un mix delle popolazioni con i romani erano venuti a contatto: dai Galli era stato preso lo scudo, dai Sanniti il giavellotto, dagli Iberici la gladio, dai Greci e dai Cartaginesi le armi della cavalleria e le macchine d’assedio. Oltre a ciò era contraddistinto da ferrea disciplina e rigore, brutalità ed addestramento curato ma l’alternarsi dei consoli impediva l’esercizio continuo della funzione direttiva e pertanto l’esercito romano pagò a caro prezzo questa grave criticità nel suo sistema di comando: la carica consolare inoltre, era aperta anche a non militari e le conseguenze si videro durante la seconda guerra punica quando le forze romane furono sconfitte da annibale sul Trasimeno nel 217 a.C. e a Canne nel 216 a.C. Ci voleva quindi un capo che garantisce disciplina e continuità di esercizio pertanto comanda l’esecito Scipione, detto l’africano perché vincitore nella battaglia di Zana del 202 a.C. Il secondo problema erano le lunghe e continue guerre che rendeva impossibile la coscrizione ai soli cittadini possidenti perché voleva dire tenerli lontani dalle proprie case e dalla cura dei propri campi con un grosso danno per il sistema produttivo. Fu Gaio Mario tra il 107 e il 104 a.C. a far entrare nell’esercito i proletari, equipaggiati a spese dello Stato e autorizzati a fare bottino di guerra – ecco che si arriva al sistema militare professionale su base volontaria con un servizio di 16 anni, al termine del quale si aveva diritto ad una pensione e ad un appezzamento di terra. La legione non aveva più i manipoli ma le coorti da 600 uomini con legioni che arrivavano a 6 o 7.000 soldati. Ciò rese più efficace la lotta contro i galli e durante la guerre civili 10 ma ci fu un difetto: quello di spostare la fedeltà dei soldati dallo Stato repubblicano ai generali che comandavano i soldati, che si fidavano dei loro uomini e creando con loro un legame stretto. Infatti nelle guerre civili si distinse Giulio Cesare, un genio militare adorato dai suoi uomini. Era infatti giunto il momento di professonalizzare anche il corpo degli ufficiali, non solo i soldati e quindi gli uomini politici prestati alla guerra vanno diminuendo e con Cesare inizia la professionalizzazione degli alti gradi dell’esercito. L’esercito romano darà una forte impronta infatti, alla storia del mondo di quel tempo. ‘Se vuoi la pace prepara la guerra’ dicevano i romani sulle parole di Vegezio – Roma fondava la sua potenza sul binomio dussuasione e deterreza. Il preparare la guerra significava tenere un esercito sempre pronto e addestrato per dissuadere qualsiasi nemico e così era più facile mantenere la pace. La c.d. pax romana era in effetti la pace imposta a tutti coloro che erano disposti ad accettare il primato di Roma. LA NASCITA DI ROMA (MITO) Roma è stata la culla della civiltà occidentale, un impero che si basava sulla potenza militare, sul fasto, sull’imponenza anche delle sue costruzioni. Si è espanso a tal punto da arrivare fino al Medio Oriente. Purtroppo anche qui le fonti sono scarne relativamente alla storia dei primi secoli di Roma, con testi scritti spesso 300 (ad esempio Polibio) o 500 anni dopo (come ad esempio Livio). C’è anche da considerare che parecchio materiale è andato perso, come parecchi libri scritti da Livio. Anche qui come nel caso della Grecia, c’è la tradizione orale che tenta di colmare la scarsezza di fondo con il rischio che il mito si mischi alla realtà delle cose. Ad esempio il mito di Roma sulla sua fondazione ad opera dei gemelli Romolo e Remo, figli di Marte, dio della guerra e sacerdotessa (Vestale) e discendente di Enea di Troia. Poi c’è il mito di Romolo che uccide Remo per futili motivi e diventa il primo re di Roma. In sostanza il mito nasce dopo gli eventi che esso racconta perché è come se la popolazione romana volesse spiegare come sia nata la potenza di Roma. Questi miti hanno una tripla importanza Roma: – innanzitutto dire che i romani sono discendenti di Enea e quindi dei greci e ciò equivaleva a dire che la cultura romana fosse una cultura superiore – dire che i romani discendessero da Marte e quindi discendenti del dio della guerra, equivaleva a dire che nelle loro vene scorreva sangue guerriero e quindi si sottolinea la potenza di questo impero, un popolo guerriero, un popolo che quindi vuole giustificare la loro espansione – il mito negativo del fratello che uccide il fratello è il preludio delle guerre civili interne a Roma e che hanno insanguinato la storia della Roma antica. Quindi i miti vengono utilizzati per legittimare la storia di Roma e il fatto che le cose siano andate in un certo modo. Sappiamo poco infatti sulla nascita di Roma. Sappiamo dagli studi archeologici che essa sorge intorno all’VIII secolo a.C. – altri storici affermano come data il 21 Aprile 753 a.C. ma è una data che non ha fondamenti e prove certe. E’ certo che nell’VIII secolo Roma era un villaggio sulle colline a 50 metri di dislivello 11 sul mare con i sette colli intorno (Aventino, Campidoglio, Esquilino, Celio, Palatino, Quirinale, Viminale) – è stata costruita vicino ad un fiume ed era un villaggio come ce n’erano tanti altri. Il fatto che il villaggio sia sorto nell’insenatura del Tevere, fece si che divenne un importante sbocco per il commercio fluviale e per giunta non lontano dal mare – era insomma una città emporio. Il fatto che fosse costruita sulla sommità delle colline per avere una migliore difesa contro predoni ma soprattutto contro ‘’malaria’’ delle paludi – era una malattia frequente e si pensava che essa si diffondesse a causa dell’aria malsana che si respirava vicino alle paludi e quindi si riteneva che abitare in pianura fosse insalubre. Essa non divenne subito una repubblica – in primo tempo fu una monarchia e la sua storia più antica è costellata da guerre contro le città rivali, tra cui spiccava Veio, ma anche contro le città etrusche. LE RIFORME SERVIANE (VI A.C.) Quindi nel suo primo periodo Roma fu una monarchia – l’età regia di Roma va dall’VIII al VI secolo a.C. ma si sa molto poco comunque dei suoi primi re - è certa l’identità del primo re, che fu quindi Romolo. Poi si sa che ci furono in totale 7 re e che gli ultimi tre erano etruschi, tra cui Servio Tullio. Sempre secondo le fonti, sappiamo che Roma era divisa in tribù, ad esempio i Ramnes ossia i discendenti di Romolo, i Tities e i Luceres erano i nomi di alcune. Sono in pratica grandi famiglie che si alleavano per combattersi tra di loro al fine della conquista del potere. Servio Tullio è il sesto re di Roma e ha governato dal 578 al 535 a.C. – si deve a lui la riforma timocratica ossia diritti e doveri stabiliti secondo la ricchezza posseduta – si dà per scontato che chi possiede ha poi il dovere di difendere la propria terra - e poi la società fu divisa in 5 classi censitarie: le più agiate erano quelle legionarie e via via quelle più povere, quali la fanteria leggera e gli esploratori. Chi non possedeva nulla in pratica non poteva combattere e far parte dell’esercito. Quindi a lui si deve una prima riforma militare. Sintetizzando, da un lato c’è il diritto ossia avere terre e poter fare parte dell’esercito, ma dall’altro c’è anche il dovere per i romani - hanno il dovere di combattere perché sono possidenti; inoltre devono pagarsi l’equipaggiamento perché si tratta in sostanza di milizia perché non percepivano stipendio e combattevano pagandosi l’equipaggiamento per difendere la patria. Le campagne militari in genere corte della durata di settimane o al massimo qualche mese e fatte contro altri insediamenti. Sopravvive a Roma la tradizione oplitica perché sappiamo che i romani combattevano formando una falange di fanti su tre linee, proprio sul modello dell’antica Grecia ed inoltre hanno la panoplia dei Greci ossia lo stesso equipaggiamento usato dai greci: lo scudo, l’armatura pesante, la lancia, etc.. Utilizzano spesso la fanteria, che prende il nome di legione, coadiuvata ai fianchi dalla cavalleria (detta alae) formata dalla classe equestre ossia i nobili. Solo loro potevano permettersi un cavallo. Questo ordinamento di tipo greco è quindi molto strutturato ma inadatto a guerre fatte in ambiente accidentato e collinoso come quello romano e contro le incursioni dei nemici – era un sistema che andava 14 quella di Cartagine; di contro Cartagine riorganizzerà il proprio esercito dopo la seconda guerra punica perché capisce che se vuole vincere deve avere un buon esercito di terra in grado di rivaleggiare con Roma. LE GUERRE PUNICHE (264 ‐ 146 A.C.) La Prima guerra punica si svolge dal 264 a.C. al 241 a.C.) ed è una guerra navale per il controllo della Sicilia – Siracusa era un’alleata di Cartagine mentre altre città siciliane hanno chiesto aiuto a Roma: è stata soprattutto una guerra navale parzialmente vinta da Roma senza una battaglia definitiva. Qui Cartagine si rende conto che stava perdendo il suo primato nel Meditteraneo e infatti, a questa prima guerra ne segue un’altra. La Seconda guerra punica va dal 218 a.C. al 202 a.C. con una spedizione di Annibale di 50.000 uomini, 6.000 cavalieri e una trentina di elefanti – qui il casus belli è la conquista di Sagunto da parte di Cartagine, una città alleata di Roma. L’esercito guidato da Annibale, dal sud dell’Iberia (l’odierna Spagna) che allora apparteneva a Cartagine, fa tutto il giro da nord attuando un passaggio attraverso le Alpi con metà delle truppe e con tutta la difficoltà che questo comportò a livello logistico – infatti nessun elefante arrivò vivo in Italia perché morirono durante il viaggio. Cammin facendo avvenne l’arruolamento dei Galli e degli Insubri e altre popolazioni, che costituirono l’altra metà dell’esercito. Inizialmente essi ottennero una serie di vittorie contro i romani, tra cui spicca quella del Lago Trasimeno (il 21 giugno 217 a.C.) attuata con un’imboscata alle pendici del Lago Trasimeno dove vengono distrutte due intere legioni romane. Annibale sembra quasi inarrestabile ed è qui che avviene l’arruolamento delle popolazioni sopra menzionate, che si uniscono a Cartagine per ribellarsi all’egemonia di Roma. I romani sono colti di sorpresa e non si aspettavano queste sconfitte perché pensavano di avere il miglior esercito al mondo – infatti i cartaginesi conquistato a Canne un importante deposito romano nella zona dell’Apulia, l’odierna Puglia. Questo deposito era importantissimo perché vi erano viveri e ogni genere di scorte. E’ qui che i romani decidono di affrontare il nemico con una battaglia campale per risolvere le prime sconfitte e riparare all’affronto subito: la penisola era stata messa a ferro e fuoco ma anche il prestigio di Roma che andava difeso. A questo punto i romani sono divisi in due fazioni: – chi come Quinto Fabio Massimo detto ‘’Cunctator’’ (il Temporeggiatore), voleva fare una politica di terra bruciata attorno ai Cartaginesi quindi non una politica di guerra diretta ma attentati, sabotaggi e colpi mordi e fuggi per indebolire il nemico – altri, come il console Gaio Terrenzio Varrone, che volevano affrontarli in una battaglia campale e fu poi quest’ultima a imporre la propria volontà. Varrone insisterà in Senato sul fatto che Roma rischiava di indebolirsi non solo dal punto di vista del prestigio ma anche dal punto di vista territoriale ed insisterà sul fatto di avere la rivincita in tempi brevi affrontando una battaglia diretta. 15 LA BATTAGLIA DI CANNE (2 AGOSTO 216 A.C.) L’esercito romano era composto da circa 50.000 – 80.000 soldati guidati dai due consoli, Lucio Emilio Paolo e Gaio Terenzio Varrone – era prassi che l’esercito romano fosse guidato da due capi che si alternavano nella guida della spedizione a giorni alterni. Secondo le fonti, il più prudente dei due era Lucio Emilio Paolo mentre Varrone era giovane e quello dal temperamento più impulsivo. Il primo sarà quello che perderà la vita in questa battaglia. I cartaginesi invece erano circa 40.000 e avevano come alleati i Numidi, gli Iberici e i mercenari galli – quindi erano in minoranza rispetto ai romani. I romani decidono di affrontare i nemici formando un fronte compatto per poter sfondare il centro del fronte cartaginese – una tattica audace che si rivelerà distruttoria per i cartaginesi. A Trebbia sul lago Trasimeno inizialmente questa tattica si era dimostrata efficace e i romani erano riusciti ad ottenere lo sfondamento del centro dello schieramento cartaginese e soprattutto Varrone vuole attuare questa tattica che si era rivelata efficace anche se poi a Trebbia avevano perso. Annibale è consapevole del temperamento di Varrone e si aspetta un attacco diretto al centro perciò attua una tattica alquanto rischiosa: sguarnisce il centro del suo esercito ponendovi i mercenari galli per attirare in una trappola i romani e ponendo con truppe di élite (la fanteria pesante africana) sui lati dello schieramento. La scelta di mettere al centro i galli è dovuta al fatto che non sono grandi guerrieri ma hanno molta resistenza – chiede loro infatti di resistere arrestrando ordinatamente per fare in modo che lo schieramento creato a semi-cerchio con la fanteria africana ai lati da semicerchio si trasformi in una ‘u’ e poi si chiuda a cerchio intorno ai romani intrappolandoli. Il piano di Annibale riesce in pieno e l’esercito romano viene preso in trappola, con un ripiego tattico cartaginese al centro e una manovra a tenaglia per chiuderli al centro. In pratica utilizza la cavalleria, i Numidi che erano molto forti, per abbattere parte della cavalleria romana e poi utilizzandoli sul dietro per distruggere il resto della cavalleria romana chiudendosi a cerchio e in pratica la cavalleria romana viene totalmente polverizzata. Quindi le ali dello schieramento romano sono il punto debole dell’esercito perché una volta neutralizzata la cavalleria ai fianchi, l’esercito romano era vulnerabile e questo i cartaginesi lo sanno. I romani infatti saranno costretti a combattere in uno spazio che man mano si restringe: è difficile in queste condizioni, con migliaia di soldati e con l’effetto paura, riuscire a combattere con esito positivo perché il panico si diffonde e si cerca di fuggire dalla trappola. L’esito è disastroso: i romani perdono un console, Lucio Emilio Paolo e 65.000 soldati tra morti e prigionieri, mentre i cartaginesi solo 6.000. Questo è un esempio di battaglia decisiva citata in molte accademie militari in cui i romani perdono i 9/10 dei combattenti. Il mito della battaglia decisiva permane ma vediamo che spesso nella realtà non sempre c’è un’unica battaglia risolutiva che chiude la guerra. Questa manovra in sostanza somiglia al piano Schlieffen attuato dall’omonimo stratega per la prima guerra mondiale e poi replicato durante il secondo conflitto. 16 ROMA RISORGE NELLA SECONDA GUERRA PUNICA Nonostante questa dura sconfitta, in cui Roma perde la stragrande maggioranza dei suoi soldati – in totale tra tutte le battaglie sostenute perde 150.000 uomini - essa riesce a risorgere e ribaltare la situazione, cosa che ha quasi dell’incredibile. Adesso sotto la guida di Quinto Fabio Massimo e poi Publio Cornelio Scipione detto l’Africano, viene attuata la strategia di terra bruciata intorno all’esercito cartaginese che era più forte nella battaglia campale e soprattutto portare il conflitto in terra cartaginese costringendo il nemico a rientrare. Annibale comunque non vuole assediare Roma, forse anche per via della mancanza di armi d’assedio o forse per paura delle defezioni dei mercenari. Le altre città ed alleati di Roma in gran parte rimangono fedeli e ciò preoccupa Annibale, a parte alcune come ad esempio la città di Capua. I romani portano quindi la guerra sul territorio di Cartagine, per l’intuizione di Scipione l’Africano, con la definitiva sconfitta nella battaglia di Zama (19 ottobre 202 a.C.). Possiamo trarre qui delle conclusioni: una fazione può vincere diverse battaglie a livello tattico ma può poi sbagliare a livello strategico; Annibale ha sottostimato i romani pensando che si sarebbero arresi e ha dunque eccelso a livello strategico ma sbagliato a livello tattico perché poi si è ritrovato isolato col suo esercito in territorio cartaginese. Con la terza guerra punica Cartagine, che era situata nei pressi dell’odierna Tunisia, verrà sconfitta e distrutta per assicurarsi l’egemonia incontrastata nel Mediterraneo. LA RIFORMA MARIANA Dopo questa campagna, Roma diventa un potere imperiale perché per la prima volta vince al di fuori della penisola italica. La potenza militare di Roma si accresce, come pure i loro territori arrivando a diventare un impero enorme anche oltre il Mediterraneo. Le guerre poi sono condotte con campagne sempre più lunghe ed onerose per i legionari, che spesso stanno fuori casa anche due, tre o quattro anni. Questo comportava il fatto di non poter rientrare sempre d’estate in occasione dei raccolti. Ciò impone una riforma urgente in campo militare perché i legionari meno abbienti non potevano pagare persone per amministrare le proprie terre. Si arriva ad una proletarizzazione dell’esercito, con un censo che viene progressivamente abbassato. Tra il 107 a.C. e il 104 a.C. grazie al console Gaio Mario tutti i cittadini potevano arruolarsi, anche quelli che non possedevano terre: questo è l’inizio dell’esercito permanente e professionale che viene stipendiato. Viene inoltre effettuata la rimozione tre classi (Hastati, Principes e Triarii) con un’omogeneizzazione dell’equipaggiamento pagato dalla Repubblica romana e quindi le uniformi diventano standard – questa rappresenta quindi l’unica occasione per i poveri di elevarsi, di guardagnare e di poter acquisire un po’ di terra. Le Legioni sono divise in 10 coorte, dalla I alla X e con 600 uomini ognuna. La durata del servizio era di 16 anni con alla fine l’honesta missio, il congedo e con partecipazione al bottino delle campagne e una buonuscita in terreni. Sotto Augusto i 16 anni verranno poi aumentati. 19 interne che per cause esterne. La tecnica di guerra dominante ancora nel IV secolo d.C. era ancora la fanteria, che doveva accerchiare o sfondare le linee nemiche. Ma la situazione delle legioni era ormai compromessa. GAIO GIULIO CESARE (101 A.C. – 44 A.C.) Giulio Cesare simboleggia in un certo senso la potenza militare romana che riesce a dominare un territorio di milioni di abitanti ma a costo di tantissime vittime (si pensa almeno ad un milione di civili morti in 6 anni di battaglie in Gallia) – è normale per l’epica non considerare il costo delle vite umane nelle guerre, molti soldati erano schiavi e metodi brutali quali razzie, terra bruciata e depredare villaggi erano all’epoca considerate normali e tra l’altro questi metodi non erano solo prerogative dei romani. Egli discendeva da una famiglia patrizia, la gens Iulia discendenti diretti di Romolo. La sua data di nascita esatta non è conosciuta. Era però un ramo della gens Julia che non era molto ricco ed egli nel futuro dovette indebitarsi per comprare le cariche che ha ricoperto. Lo zio era Gaio Mario, colui che aveva effettuato le riforme mariane: lo zio era un oppositore degli optimates, la fazione aristocratica e quindi era odiato da una parte del senato romano, tra cui Cicerone. I suoi primi anni da adulto sono stati vissuti nella guerra civile tra optimates e popolarim – era il periodo in cui capisce che attraverso il potere militare si può arrivare al potere politico. La sua carriera comunque è una carriera di tutto rispetto. Nel 60 a.C. forma il triumvirato con Crasso (che ne aveva finanziato l’ascesa a console nel 59 a.C.) e Pompeo (un optimates e il generale più vincente della Repubblica). Entrambi erano più vecchi di lui ma lo finanziarono a livello politico – a loro dovette la propria ascesa politica. Nel 60 a.C. fu eletto proconsole - era in sostanza un console a cui veniva prolungato mandato per pacificare una provincia – in questo caso la provincia della Gallia cisalpina ed Illirico. La carica fu prolungata per 5 anni e ciò fu fatto di proposito – fu mandato via perché troppo ambizioso. Giulio Cesare capì che se avesse sottomesso i Galli, che rappresentavano un grosso problema, sarebbe stato il suo biglietto da visita per la sua scalata nella politica, per le sue ambizioni. Quindi non vide questo come una punizione ma come una possibilità. La Gallia di allora corrisponde più o meno alla Francia di oggi, alle Fiandre e al Belgio: era una regione che non aveva uno stato moderno centralizzato come quello romano, ma numerose tribù e i romani avevano già gran parte del territorio corrispondente alla Francia. IL MONDO ROMANO NEL 58 A.C. ED I GALLI La Gallia quindi era divisa in molte tribù spesso in contrasto tra di loro e composte da varie etnie (Celti, Galli, Belgi, Germani, Elvezi, ecc.). Negli stessi galli c’erano numerose tribù divise tra loro e i romani adoperarono alcune di esse come alleate per combattere gli stessi galli. Dell’impero romano facevano allora parte l’odierna Spagna, l’Italia, la Sardegna, la Sicilia, il nord Africa, la Grecia e la Turchia. Apparteneva all’impero anche la Gallia cisalpina ossia il territorio dei galli a sud delle Alpi. 20 Tutto ciò che sappiamo sulle guerre in gallia proviene da fonti quasi romane, soprattutto il libro De Bello Gallico di Cesare – Cesare scrisse questo libro dopo la conquista della Gallia e quindi le informazioni che contiene vanno prese con le pinze perché è ovvio il motivo per cui egli lo scrisse ossia per esaltare le sue capacità e il suo valore come condottiero. Da parte dei galli ci sono pochi documenti perché non sapevano leggere e scrivere in stragrande parte e quel poco che si sa viene dai pochi documenti lasciati dai druidi – per il resto abbiamo solo fonti romane. Furono utilizzate in tutto undici legioni romane, tra cui la X Legio (la preferita di Cesare) ed anche la V Gallica, formata da ausiliari gallici per un totale di circa 50.000 uomini. La X Legio sarà quella che farà tutta la campagna di Gallia e la possiamo considerare la guardia di onore di Cesare e andrà a Roma con Cesare costituendo una sorta di guardia del corpo – assieme alla V sarà da esempio per tutte le altre legioni. I soldati galli alleati dei romani non utilizzavano armature in metallo ma di cuoio al massimo, qualcuno solamente aveva le cotte di maglia. Quindi qui compaiono le cosiddette truppe di ausiliari non romani perché i romani capiscono che avere truppe del luogo poteva facilitare le operazioni perché conoscevano il territorio ma soprattutto il nemico e i suoi spostamenti – una sorta di intelligence antica che presso i greci non era presente. CAMPAGNE ROMANE IN GALLIA (dal 58 al 52 A.C.) Furono fatte sei campagne tra il 58 ed il 52 a.C. con strascichi fino al 50, quasi una campagna all’anno. Molte delle campagne venivano fatte in primavera ed estate perché in inverno c’era troppo freddo ed era difficile spostarsi perché i sentieri erano fangosi. Le campagne partirono tutte dalla Gallia Cisalpina: la prima contro gli elvezi, poi quella contro i belgi e i nermi, quella con i veti e gli aquitani e la quinta campagna contro i brittanici e i germani, il popolo al di là del reno che diede parecchio filo da torcere all’esercito romano. La capagna contro i britannici fu molto rischiosa e non ebbe seguito – fu reinvasa qualche decennio dopo ma per il momento rimase una regione fuori il controllo dei romani. La Superiorità romana viene alla ribalta con campagne veloci ed aggressive perché i soldati si spostavano con una velocità che andava dai 25 ai 40 chilometri orari – erano basate anche su ottima logistica, camminavano per settimane e mesi e avevano tattiche di marcia strutturate e pianificate. Le costruzioni di campi (detti castrum), erano impressionanti dal punto di vista logistico e venivano costruiti con logica perfetta e con pianificazione precisa mentre la cavalleria pelustrava i dintorni. Nulla veniva lasciato al caso. I romani adoperavano la tattica del Divide et impera, ossia sfruttare le divisioni nel campo gallico per attaccare le tribù una alla volta. Ma nel 52 a.C. Vercingetorige, capo degli Averni, una delle tribù galliche, unisce molte tribù contro i romani e diventa pericoloso grazie alla sua personalità carismatica ed un passato come ausiliario nella cavalleria romana – questo è il principale problema dell’utilizzo degli alleati come mercenari perché essi non sono leali e nel momento in cui passano dall’altra parte, sono in possesso delle tattiche apprese e delle strategie adoperate dai romani. 21 Egli usò la diplomazia per unire i popoli galli e allo stesso tempo fece terra bruciata contro romani per tagliare i rifornimenti logistici – in pratica venivano depredate le popolazioni locali per non dar modo ai romani di depredare i villaggi per rifornirsi. I galli ottengono anche dei successi, soprattutto la battaglia di Gergovia - ma un ripiego verso Alesia sarà fatale. Era una città collinare in possesso dei Galli. LA BATTAGLIA DI ALESIA (52 A.C.) I romani avevano truppe addestrate a opere di genio civile e di assedi (Avaricum) – ogni soldato aveva una vanga e doveva saper scavare e costruire, e lo vediamo soprattutto nella battaglia di Alesia che difatti è un assedio fatto da due zone. La prima era la zona circonvallazione di 16 km con torri ogni 25 metri, due fossati (di cui uno con acqua), pioli appuntiti in buchi nel suolo. La circonvallazione viene attuata attorno alla città con una velocità sbalorditiva. I romani riescono a fare una seconda zona di controvallazione, lunga 21 km per proteggere l’esercito contro eventuali attacchi esterni, il tutto costruito in tre settimane e da parte di una truppa di circa 40.000 o 50.000 uomini. I soldati poi si mettevano in mezzo fra la circonvallazione e la controvallazione, in modo da proteggersi sia dagli attacchi esterni di eventuali alleati del nemico e sia dagli attacchi provenienti dalla città. Ci futono infatti terribili incursioni da parte di alleati galli di Vercingetorige per spezzare il cerchio dei romani. L’assedio durerà qualche mese. Alla fine avverrà la vittoria romana perché ad Alesia mancheranno cibo e acqua con Vercingetorige che si arrende, trascinato a Roma in catene. In seguito ci fu una guerra civile con Pompeo (49‐45 a.C.) vinta da Cesare, poi assassinato il 15 marzo 44 a.C. LA RIFORMA AUGUSTEA Dopo la morte di Cesare ci fu un secondo triumvirato formato da Ottaviano, erede di Cesare e futuro Augusto, Marco Antonio, luogotenente di Cesare e Marco Emilio Lepido. Con la vittoria di Ottaviano alla battaglia di Azio (il 2 settembre 31 a.C) con Marco Antonio che fugge da Cleopatra e si suiciderà con lei in Egitto, egli diventa imperatore con il titolo di Augusto (egli è il primo imperatore romano) ed attua riforme importanti nell’ordinamento militare per il consolidamento dell’esercito permanente. Egli cerca di stabilizzare una repubblica dilaniata dalle guerre civili, dal primo al terzo triumvirato, dilaniata anche dalle rivolte degli schiavi (ricordiamo quella di Spartaco) e da un mondo politico estremamente frazionato. Le riforme politiche devono anche essere accompagnate da quelle militari e vediamo nello specifico cosa fu deciso: - egli decide di consolidare l’esercito permanente - le legioni vengono diminuite a 25 legioni (60 ai tempi di Cesare) di 5.000 uomini ciascuna, organizzate in coorti e disposte tutte sulle frontiere dell’impero romano, - il 65% di queste legioni erano formate da italici e il 35% da provinciali 24 LA TETRARCHIA E LA RIFORMA DELL’ESERCITO DIOCLEZIANEA Per neutralizzare attacchi barbari sui confini dell’impero, inizialmente fu attuata una difesa preventiva con invasioni al di là dei limes, ma le forze romane erano spesso in numero inferiore a quelle dei barbari e venivano sconfitte e quindi questa strategia si dimostrava controproducente. C’era poi il problema di avere una riserva strategica in un territorio esteso e quindi problemi ad arruolare nuove forze da difesa. Con Diocleziano, che diventa imperatore dal 284 fino al 305, viene attuata una profonda riforma istituzionale. Viene introdotta la Tetrarchia - il sommo potere politico dell’imperatore fu in pratica diviso in due: ci saranno quindi due Augusti (nel 285) e poi ulteriormente in due Cesari (nel 293) per facilitare interventi armati nei confini dell’impero – il cesare orientale e il cesare occidentale, sono in pratica due vice imperatori che si spartiscono il controllo dell’impero. La ragione di tutto ciò è soprattutto militare per controllare meglio l’immenso territorio dell’impero. Così il territorio viene diviso in quattro con quattro capitali e le Province romane diventano diocesi, ognuna con un vicario ed un comandante militare (detto dux). Ci sono ora tanti ruoli strategici e il potere è frazionato ed allargato per avere un maggiore controllo. L’esercito conta adesso 500.000 uomini circa con una grande fetta di ausiliari. Alla lunga però, la tetrarchia causerà una mancanza di coesione nel territorio con il progressivo distaccamento dell’impero romano d’Occidente con quello d’Oriente (nel 395, alla morte di Teodosio). La parte orientale con Bisanzio che diventerà Costantinopoli e che resistette per più tempo rispetto all’Impero romano d’occidente che avrà diverse vicissitudini. LA TEORIA DELLA DIFESA IN PROFONDITÀ La Difesa in profondità è una teoria descritta Edward Luttwak nel suo libro La Grande strategia dell'Impero romano del 1976. Egli sostiene che la difesa entro i confini dell’impero nelle province di frontiera era problematica ed elastica perché vi erano stanziate forze di frontiera, i limitanei, con soldati‐coloni mal pagati e male equipaggiati, che dovevano tenere occupati sui confini i barbari prima di arrivo comitatensi, truppe mobili di elite di 1.000 soldati chiamati a tamponare le falle nello schieramento difensivo imperiale. Era in pratica una riserva strategica stanziata a pochi chilometri dai confini. Non c’erano fortificazioni su tutto il confine dell’impero e quindi spesso ci si muoveva al di qua e al di la del confine. Questo paradigma è stato criticato da altri autori perché non la ritenevano una strategia difensiva, perché oltrettuto ritenevano che gli imperatori non compivano automaticamente scelte razionali per garantire la sicurezza dei propri sudditi ma davano priorità alle proprie ambizioni. Si cerca comunque di fare alleanze locali con truppe di federati che vivevano ai confini del limes promettendo loro ricompense e la cittadinanza romana in cambio di appoggio militare per il controllo del territorio – erano alleanze con i romani che servivano per contrastare le invasioni dei barbari. 25 IL DECLINO DELL’IMPERO ROMANO Cause esterne Un primo motivo può essere ricercato nelle invasioni barbariche: per esempio i Goti di Fritigerno che con la battaglia di Adrianopoli (agosto 378) inflissero una durissima sconfitta all’esercito romano guidato dall’imperatore d’Oriente Valente, battaglia che dimostrò l’inefficienza della cavalleria romana. In secondo luogo le epidemie e le carestie – ricordiamo la Peste Antonina durata dal 165 al 180 e la peste di Cipriano durata dal 249 al 262), poi anche il vaiolo e il morbillo e la peste di Giustiniano durata dal 541 al 542 con decine di milioni di morti. Cause interne La terra era in mano a ricchi proprietari terrieri con un conseguente impoverimento dei coloni romani, costretti a lavorare la terra come salariati, senza la possibilità di entrare nell’esercito romano. La burocrazia corrotta ed inefficace, molto costosa per il contribuente e poi la crescente importanza dei federati, con l’imbarbarimento delle legioni romane formate sempre più da barbari come spesso accadeva che i generali stessi fossero barbari con crescenti problemi di lealtà e di disciplina. La disgregazione del tessuto sociale, economico e politico, soprattutto nell’impero romano d’Occidente (quello d’Oriente era più ricco e coeso) con la perdita del gettito fiscale in seguito alle invasioni barbariche. Infine la corruzione nella morale e nei costumi, le congiure, l’anarchia. Ma forse la causa che accellerò il declino romano fu il Cristianesimo (ma questo avvenne solo in Occidente). CONCLUSIONI La conquista della Gallia e l’uso politico della forza fece sviluppare l’esercito professionale. La riforma augustea giunge per dare stabilità all’impero romano. Il concetto di limes e l’uso degli Auxilia e dei Foederati per la protezione dell’impero avrà un vantaggio ma anche uno svantaggio strategico per i problemi di fedeltà e di stabilità all’impero. L’evoluzione (tardiva) della strategia imperiale romana con il tentativo di riforma con la Tetrarchia, ma abbiamo visto che fu insufficiente per arrestare il declino dell’impero, declino dell’impero romano dovuto a molteplici fattori interni ed esterni. Nonostante questi problemi sta di fatto che l’Impero Romano dura più di qualsiasi altro, cosa che per gli studiosi è abbastanza sbalorditiva ma anche per questo ci furono dei motivi. 26 SLIDE 4 – LA GUERRA NEL MEDIOEVO (VIII – XIV SECOLO) Nella presente lezione verranno trattati i seguenti argomenti: – i principi della guerra nell’arte della guerra in Occidente; – le origini del feudalesimo e le implicazioni per gli ordinamenti militari medievali; – comparare la visione idealizzata della cavalleria alla cruda realtà della guerra contro i civili. Il feudalesimo ha avuto un grosso impatto su come si combatteva in questo periodo; le guerre in questo periodo sono crude e violente, con saccheggi e massacri di popolazioni civili fatte coscienziosamente per un motivo non solo militare ma per motivazioni politiche. Siamo in un periodo in cui la guerra come ideale decade di fronte a queste pratiche crude ed immorali. Il primo personaggio di spicco in questo periodo è Carlo Magno, che implementerà il sistema feudale. E’ questo il periodo delle sanguinose guerre di religione. Alla fine della guerra dei cent’anni c’è la volontà di creare eserciti permanenti da parte delle grandi monarchie quali Inghilterra e Francia. L’ALTO MEDIOEVO Nel 732 d.C. l’espansione araba dell’Europa occidentale giunse in Francia ma venne fermata a Poitiers dai franchi guidati da Carlo Martello – a quest’epoca il continente è attraversato da una trasformazione politico- militare oltre che economico-sociale e destinato a durare fin oltre l’anno Mille. Il sistema feudale era caratterizzato da insicurezza e la caduta dell’impero romano aveva determinato una frammentazione notevole in Europa – gli Stati che naquero erano molto fragili e il potere centrale aveva difficoltà a farsi sentire nelle periferie. La soluzione fu quella di dare ad un certo numero di signorotti locale una parte del potere centrale con appezzamenti di terra denominati ‘feudi’, dove i feudatari instaurarono la loro autorità – in cambio dovevano prestare servizio militare per il re per un periodo di 40 giorni circa all’anno. Spesso si trattava di feudi di 160-180 ettari. Occorreva dunque mettere a disposizione del sovrano una forza di cavalleria e di fanteria efficenti. Quest’ultima però aveva un ruolo subalterno alla cavalleria corazzata , anche se quest’ultima era in numero inferiore. Nell’VIII secolo, con l’introduzione della staffa, la tecnica del combattimento a cavallo migliora grazie alla maggiore stabilità perché prima di allora il cavaliere, per stare in sella, doveva sempre stringere le gambe attorno alla pancia del cavallo – ciò forse avrebbe conferito alla cavalleria una superiorità tecnica sulla fanteria, almeno fin verso il 1300. Anche se occorre dire che la fanteria, che combatteva per la difesa delle proprie terre quando era formata da cittadini liberi, aveva un ardore e una forza che la cavalleria difficilmente riusciva a contrastare – ciò si vide soprattutto nella battaglia di Legnano nel 1176. Ma precisiamo che la strenua difesa del Carroccio a Legnano da parte dei fanti della Lega lombarda è un’eccezione che conferma la regola – per buona parte del Medioevo infatti la guerra fu soprattutto la guerra di cavalleria e, in subordine, di assedio dei numerosi centri fortificavi che erano sorti in buona parte 29 LA CAVALLERIA COME IDEALE ROMANTICO Con il mito del cavaliere nasce anche l’ideale delll’’Amor Cortese, con idolatria della dama irraggiungibile, fatto di corteggiamento e sensualità e che vengono descritti in questi poemi epici. Nasce anche in questo periodo l’ideale cavalleresco che dipinge le qualità che il cavaliere deve avere ossia prodezza, onore, fedeltà, lealtà, con la vera nobiltà che risiede nella nobiltà d’animo e non nel ceto sociale. E poi, come abbiamo visto, c’è il ciclo arturiano raccontato da trovatori per mezzo delle chansons des gestes e i poemi epici che parlano di Lancillotto, Ginevra, tornei di gare e così via. LA CRUDA REALTÀ: LES CHEVAUCHÉES. Questo vocabolo che in italiano vuol dire letteralmente ‘cavalcate’, sta invece ad indicare le incursioni di cavalieri in territorio nemico per bruciare e saccheggiare villaggi e città. In pratica bande di soldati, venivano attuate per il bottino (distribuito poi tra tutti i soldati), ma anche per screditare il potere politico del nemico, dimostrando alla popolazione civile l’impossibilità di essere difesi adeguatamente. Erano praticate soprattutto dagli inglesi nella guerra dei Cent’anni – un tipico esempio è la spedizione di Edoardo di Woodstock, il c.d. Principe Nero, nel 1355 fatta con qualche migliaio di soldati che scorazzeranno attraverso tutta la Francia. Il motivo vero, al di là del bottino, era dimostrare quindi che il re di Francia non era in grado di difendere i propri sudditi. Quindi non era una distruzione fatta fine a se stessa ma lo scopo principale era quello di screditare il sovrano. Chi pagava le conseguenze peggiori erano gli abitanti dei villaggi, che erano i più indifesi perché il feudo con il suo castello era inespugnabile. Spesso capitava che rapissero qualche nobile chiedendo un riscatto e quindi la vita del nobile veniva scambiata con un bottino. Cosa che non poteva fare la famiglia di un contadino, che diventava così oggetto di ricatto. L’ESPANSIONE DEI FRANCHI E DELL’IMPERO DI CARLO MAGNO Carlo Magno (742‐814) è il discendente della dinastia dei carolingi, il popolo dei franchi. Con l’unificazione dei territori franchi che egli attua nel 771 alla morte del fratello, con le guerre di conquista tramite levée d’ost egli arriva poi alle vittorie contro Sassoni, Avari e Bavari, con conversioni di massa al cristianesimo dato che era un fervente cristiano cattolico. Conquista altresì parte dell’Italia settentrionale, la zona dei Pirenei, la Frisia e la Sassonia, la Carinzia. LA GUERRA NELLA PENISOLA IBERICA La penisola iberica all’epoca era divisa tra due dinastie arabe in guerra tra di loro: l’abbaside (il cui regno era alleato di Carlo Magno) e gli ommayadi. Viene organizzata una spedizione ad Aquisgrana da parte degli abbasidi per chiedere aiuto a Carlo Magno. Egli, che voleva ingrandire naturalmente il proprio impero, organizza quindi una spedizione. 30 Questa guerra, a differenza di quella contro la Sassonia, si rivela essere un mezzo disastro perché ci saranno incomprensioni e tensioni con gli alleati arabi e con la popolazione basca a causa dell’assedio attuato alla città di Pamplona, l’assedio di Saragozza per esempio fu lunga e non portò a nulla. Decide quindi di tornare in territorio francese attraverso i Pirenei ma a Roncisvalle il suo esercito cade in una trappola: con la Battaglia di Roncisvalle (15 agosto 778) la sua retroguardia è presa in un’imboscata da parte di Baschi, che si volevano vendicare dell’affronto che avevano subito a Pamplona e volevano recuperare anche il bottino che era stato preso. L’imboscata era stata attuata nei pressi di Roncisvalle, in una zona montagnosa in cui la retroguardia era stata presa di mira a fuoco da diversi punti – la retrogardia, che si trovava molto più indietro rispetto al resto dell’esercito guidato dal sovrano, si sacrifica e si fa completamente annientare fino a quando non rimane vivo solo il cavaliere Orlando. Spicca qui la figura di Orlando che, rimasto solo, prima di morire si sacrifica per Carlo Magno suonando l’olifante per avvisare il sovrano del pericolo imminente. L’episodio epico è narrato dalla Chanson di Roland scritta 3 secoli dopo (XI – XII secolo da autore rimasto ignoto), in cui i briganti sono Saraceni e non baschi, proprio perché l’epoca in cui è stata scritta è quella delle crociate, perciò i cattivi diventano i saraceni. Nel periodo delle Crociate in terra santa, con tutte le conseguenze nefaste che ebbero, forse l’ìunico aspetto positivo è che costituirono una valvola di sfogo in un’epoca in cui il sistema feudale comincia a frammentarsi e ad entrare in crisi per via delle continue battaglie fra i vari signori feudali, una lotta per il potere e per le terre che rese quel periodo estremamente insicuro. Le crociate quindi furono da questo punto di vista un’ottima trovata da parte di Papa Urbano, per sedale le faide locali tra cavalieri. Le uccisioni quindi ora vengono fatte contro gli infedeli in terra santa, i musulmani, e i cavalieri cristiani aderiranno in massa al fine della sospirata conquista di Gerusalemme – non possiamo naturalente sapere se il maggiore incentivo sia stata la promessa del bottino oppure il fervore religioso, ma possiamo tranquillamente affermare che forse la verità in questo caso sta in mezzo perché non bisogna dimenticarci della questione ereditaria solo in favore del primogenito. LA RIVALITÀ ANGLO‐FRANCESE E LE GUERRA DEI CENT’ANNI La rivalità tra le due maggiori monarchie d’Europa, che si contendevano il potere nel continente, contradistinguerà per molto tempo il panorama politico dell’Europa. Sarà questa una rivalità che si dipanerà attraverso i secoli fino quasi in epoca contemporanea. In epoca moderna Francia ed Inghilterra saranno quindi rivali per molto tempo. Con la Battaglia di Hastings (1066) ci sarà la vittoria dei Normanni di Guglielmo il Conquistatore contro gli anglosassoni di Aroldo II – sia normanni che anglosassoni erano discendenti da popolazioni germaniche e vichinghe ed avevano tradizioni simili. Le lingue invece erano differenti. 31 La dinastia normanna infatti era di lingua francese (lingua d’oil), era a capo di anglosassoni e portano con sé l’istituzione del feudalesimo alla francese – quindi quando riporta questa vittoria, porterà la loro influenza in Inghilterra, portando quel sistema feudale, il loro ordinamento militare e la creazione di più di 80 castelli nell’arco di breve tempo. Anche i documenti ufficiali inglesi erano quindi scritti in lingua d’oil e non usando il vecchio inglese. Il fatto che i Normanni conquistano l’Inghilterra, crea di fatto una situazione anomala perché il re d’Inghilterra nel contempo era anche feudatario del re di Francia per via di alcuni territori: egli era Duca di Normadia e attraverso il matrimonio divenne anche Duca di Aquitania. Questo comporterà il fatto che i vassalli feudatari di Normandia e Aquitania dovevano obbedienza al re d’Inghilterra, e quindi prestare i giorni di servzio militare sotto l’esercito inglese, e non al re di Francia ove questi territori erano posti. Questa sarà la premessa della guerra dei cent’anni. L’Inghilterra aveva nel frattempo iniziato la sua ascesa politca, commerciale e navale nel continente ed il fatto di dover sottostare al sovrano francese per questi territori menzionati creerà inevitabilmente il conflitto tra le due monarchie, conflitto che ha devastato il vecchio continente per ben 116 anni. La guerra dei cent’anni (1337 – 1453) La situazione diventa insostenibile con Edoardo III, duca di Guienna, che giura fedeltà a malincuore al sovrano francese Filippo VI nel 1328. Il casus belli diventa la regione della Guienna, da un secolo feudo inglese e terra contesa con il regno di Francia. La guerra fu quindi lunga ma con pause frequenti perché le campagne furono solo prevalentemente estive (duravano al massimo 2 o 3 mesi) e vi era l’impossibilità di campagne lunghe per via della limitazione dei banni – infatti non si andava mai oltre l’autunno. Impossibile combattere d’inverno per ragioni già viste. La ragione di banni brevi non era dovuta solo al fattore meteorologico ma anche al fatto che non si trattava di eserciti permanenti con soldati di professione. Più spesso era il sovrano inglese che capeggiava le spedizioni di invasione verso la Francia attraversando il canale della Manica e questo fattore limitava altresì la possibilità di campagne lunghe con tutti i problemi logistici che ciò comportava – spesso venivano usate navi di mercanti, svuotate a tal fine ed affidate ai soldati perché non erano ancora quella potenza navale che sarà in futuro. Questo svantaggio era compensato dal fatto che gli inglesi partivano dal porto di Calais, che era molto vicino in linea d’aria alla Francia, e dal fatto che il sistema feudale era compatto e prestava la massima obbedienza al sovrano, al contrario del sistema francese (in cui la corona in mano a Carlo VI che aveva pure problemi mentali, era spesso contesa tra la Borgogna e gli Armagnani ed inoltre c’erano faide e rivalità fra feudatari), alquanto frazionato e ove imperava l’anarchia. Al sovrano inglese bastava fare un semplice appello per raccogliere in breve tempo un numeroso e compatto esercito. Così le truppe di Enrico V, che era consapevole della situazione delicata in cui versava la Francia, invadono Francia nell’agosto 1415, in un momento difficile per i francesi. Dopo l’assedio fallito del porto di Arfleur e capendo che ormai l’autunno è alle porte e i soldati sono stanchi e provati, ripiega di nuovo verso il porto di Calais per passare l’inverno. 34 DAL MEDIOEVO ALL’ETA’ MODERNA Sul piano politico vediamo il rafforzamento di alcuni stati nazionali, il rafforzamento del potere centrale, il declino del feudalesimo e la nascita di truppe regolari, prevalentemente di fanteria logicamente. I feudatari, avevano naturalmente l’esigenza di rafforzare la propria posizione trasmettendo il suo patrimonio ai figli – di conseguenza il modello della cavalleria entra in crisi perché molti cavalieri preferiscono rimanere al sicuro nei loro castelli piuttosto che morire in battaglia. Fu la guerra dei Cento Anni (1337 – 1453) a fungere da volano per questi mutamenti – la forma di guerra feudale viene sostituita da pratiche militari moderne e il ruolo della cavalleria declina. Le tattiche dell’urto frontale prendono il posto delle combinazioni fra armi diverse – quindi non solo la cavalleria, la fanteria e l’artiglieria. Al tempo stesso veniva migliorata l’arte delle fortificazioni. Tre furono i protagonisti di queste trasformazioni: il long bow ossia l’arco della fanteria inglese, l’alabarda degli svizzeri e l’introduzione di armi da fuoco, prima in artiglieria e poi con le armi portatili. Il primo era un arco usato dalla fanteria inglese, lungo fino a 180 cm, che veniva teso fino alle orecchie ed era molto più lungo di tutti gli altri presenti fino a quel momento. Era superiore alla balestra e la sua forza di penetrazione era più elevata. La sua freccia era lunga 90 cm circa e non poteva perforare le armature – poteva però penetrare nelle cotte di maglia ed era devastante per i cavalli. Questo tipo di arma veniva utilizzata in massa e questo vuol dire che il cavaliere vedeva cadersi addosso una pioggia di frecce, con una cadenza di tiro che era di 10-12 frecce al minuto e la sua portata teorica era di circa 360 metri ma nella pratica poteva andare dai 50 ai 150 metri. Questo comportava che gli arcieri dovevanmo coprire il loro fronte con pali appuntiti alti circa 180 metri. La forza per tendere fino alle orecchie un arco del genere doveva essere tanta perciò ci voleva un duro addestramento. La battaglia di Agincourt nel 1415 segna il culmine dell’utilizzo di questo strumento – in questa battaglia, la cavalleria francese appesantita dalle armature rimase praticamente immobilizzata dalle frecce. In Svizzera, come visto, i fanti armati di alabastra potevano battere i cavalieri – questo strumento, usato assieme all’angone (un’arma molto simile), racchiudeva in se tre armi. Era alta due metri e mezzo, nell’estremità superiore aveva una punta di lancia, una lama d’ascia e un uncino, usato per disarcionare il cavaliere dopo averlo ferito. Era un’arma essenzialmente offensiva quindi prima di essere utilizzata gli svizzeri dovevano risolvere due problemi: come opporsi all’effetto dell’avanzata della carica di cavalleria corazzata e impedire il formarsi di vuoti nei propri ranghi che potevano essere utilizzati dalla cavalleria per rompere il loro schieramento. La soluzione venne presa dal mondo antico: una formazione standard a falange simile a quella macedone dotata di un’arma, la picca che era un’asta lunga 5,5 metri e la cui punta era collegata al fusto da un collo di ferro lungo un metro per impedire che la punta potesse essere mozzata da un colpo di spada. Quindi di fronte alla cavalleria, le truppe svizzere presentavano uno schieramento massiccio e irto di lame ma il loro schieramento non era rigido ma altamente flessibile come nella legione romana con la possibilità di suddividersi in formazioni minori e ricompattandosi all’esigenza. 35 Le armi da fuoco compaiono dapprima con artiglierie ingombranti, poi con cannoni sempre più leggeri – questo all’allargò i compiti dell’artiglieria, dalla sola guerra d’assedio all’intervento vero e proprio negli scontri campali. Le armi da fuoco portatili invece comparvero verso il 1520 e in fase iniziale, il loro apporto non fu di successo: i primi archibugi infatti erano complicati da maneggiare, lunghi da caricare e non avevano una potenza pari al fitto lancio di frecce. Era comunque chiaro che la guerra stava cambiando. I piccoli nuclei di combattenti dell’era feudale sono sostituiti da eserciti sempre crescenti grazie anche alle innovazioni. Nel momento che le tecniche del mondo antico stavano tramontando e nascevano le invenzioni, la cavalleria scemava e l’esercito si modernizzava con la presenza dell’artiglieria. I CONDOTTIERI In età di transizione tra medioevo ed età moderna, specie in occasione della guerra dei Cento Anni, c’erano in giro bande di combattenti che agivano in nome e per conto proprio, girando per la Francia spargendo violenza e mettendosi al servizio del migliore offerente – la maggior parte di queste bande era guidata da cavalieri nobili decaduti, privati dei loro possedimenti feudali che erano in cerca di riscatto individuale e sociale. A partire dal 1360, queste bande assunsero la denominazione di ‘grandi compagnie’, ed erano state in grado di vincere perfino l’esercito regio. Fu il re Carlo VII a decidere di istituzionalizzarle con la creazione delle ‘compagnie di ordinanza’, dalle quali sorgerà poi l’esercito regolare francese. Un fenomeno simile si verificò in Italia, all’epoca del periodo frammentato e tormentato dalle rivalità reciproche tra signorotti, troppo occupati nei loro affari per interessarsi alla guerra – essi conducevano un’esistenza agiata alla quale era difficile rinunciare prendendo le armi. L’eventuale ricorso a milizie del popolo era vista con comprensibile diffidenza per la paura che poi il popolo, una volta addestrato, si rivoltasse contro di loro. Ma siccome le rivalità tra stati erano troppo forti, si fece ricorso a soldati di mestiere, le cosiddette ‘compagnie di ventura’ – in un primo momento erano composte da francesi, tedeschi e inglesi ossia soldati di professione rimasti senza occupazione nei loro paesi in seguito ai periodi di pace più o meno lunghi e la guerra era ormai l’unico mestiere che sapevano fare. Tra i primi soldati di ventura a trovare fortuna in Italia ci fu Werner von Urslingen, noto nel nostro paese come ‘il duca Guarnieri’ – egli si proclamò capo della gramnde compagnia e nemico di Dio, della pietà e della misericordia e combattè per diversi padroni e alla fine, ironia della sorte, passò al servizio del Papa. Molto noto fu pure l’inglese John Hawkwood, detto Giovanni Acuto. Fu Alberico da Barbiano, discepolo dell’Acuto, a formare nel 1379 la prima compagnia di ventura italiana e questo fenomeno di crescente italianizzazione delle compagnie portò ad una specie di contratto, detto ‘condotta’, sancito da un solenne giuramento stabilito tra il capitano di ventura e lo Stato presso cui prestava servizio – nascono quindi i c.d. ‘condottieri’, ossia coloro che erano a capo delle compagnie di ventura. Il contratto aveva una durata specifica e dettagliava il tipo di armi usate e la remunerazione. Il condottiero era padrone assoluto della propria truppa, proprietario spesso dei cavalli e delle armi. Scaduto il contratto, egli era libero di passare ad altro padrone. L’epopea dei condottieri vide nomi quali Gattamelata, 36 Bartolomeo Colleoni, il conte di Carmagnola – la loro incidenza sull’arte della guerra fu scarsa o nulla e il soldato di ventura, ora come allora, non è interessato alla pace perché vive di guerra e agisce con grande prudenza perché fa la guerra per vivere e guadagnare e non ha quindi interesse che duri poco. Quindi le guerre dei condottieri erano conflitti limitati, con ridotto livello di violenza – conflitti del genere quindi, tendevano a diventare cronici. Ma il mondo stava cambiando ed era vicina la definitiva affermazione delle armi da fuoco, una svolta di portata epocale. IL TERCIO Abbiamo parlato di come gli svizzeri riuscivano a controllare la cavalleria usando l’alabarda; l’eredità degli svizzeri fu raccolta dagli spagnoli alla fine del XV secolo quando la Spagna uscì vittoriosa dalle lunghe guerre con i Mori. Gonzalo de Cordoba riorganizzò la fanteria adottando, per metà dei suoi reparti, la picca degli svizzeri mentre i due sesti dei medesimi conservavano un armamento tradizionale con la spada e il sesto residio venne armato di archibugio. Nel 1534 naque il tercio, ossia una formazione che trae origine dalla flessibile organizzazione della legione romana – il nome sembra derivi dal numero iniziale degli uomini che lo formavano ossia 3.000; successivamente salirono a 6.000. Al proprio interno riuniva tre diverse specialitò ossia i picchieri, gli uomini armati di spada e scudo e gli archibugieri. Può essere insomma considerato l’antesignano dell’organizzazione reggimentale. In Spagna l’arruolamento sin dall’inizio del ‘500 era basato sulla maniera simile alla moderna coscrizione obbligatoria. L’ordinanza di Valladolid del 1494 decretava che un uomo su 12, in età compresa tra i 20 e i 45 anni, era tenuto a prestare servizio militare a pagamento ma a questi coscritti si aggiungeva una componente cospicuia di volontari. Nel paese comunque non esisteva la tradizione cavalleresca come c’era in molti paesi europei e quindi era normale che un nobile prestasse servizio come ufficiale nella fanteria insieme ad elementi del ceto medio e ciò portò a una rivalutazione della fanteria. Ogni tercio comunque comprendeva 12 compagnie di 250 uomini ciascuna, al comando di un capitano; al vertice del tercio stava un maestro di campo assimilabile al grado di colonnello. Il tercio fu alla base delle grandi vittorie riportate dagli spagnoli all’epoca di Carlo V e dei suoi successori. I membri dei tercios erano altresì combattenti per vocazione, poco inclini ai giochi della politica e pertanto valorosi ma difficili da gestire, e bramosi di bottino. Non sempre la paga era costante da parte del regno spagnolo perciò spesso si davano al saccheggio. Il tercio aveva la caratteristica di essere molto flessibile ma organizzato e col tempo prevalsero gli elementi armati di archibugio. Intorno al 1550 cominciò a diffondersi il moschetto, che aveva la canna più lunga, era più pesante dell’archibugio e quindi poteva sparare proiettili più pesanti – poteva trapassare l’armatura di un soldato da una distanza di 180 metri. Ma i moschetti erano costosi per cui fino al 1600 predominò l’uso degli archibugi. Sul campo di battaglia la soluzione tattica preferibile erano le formazioni a istrice, massicci quadrati o rettangoli di uomini in cui ogni combattente aveva un posto e un compito definito nell’ambito di formazioni rigide ma flessibili, in grado di cambiare rapidamente assetto se necessario in unità minori per poi ricomporsi. Notiamo che tra la fine del ‘500 e l’inizio del ‘600 fa 39 IL DECLINO DELLA CAVALLERIA, L’ASCESA DELLA FANTERIA Abbiamo visto che in passato, nell’arte della guerra, predominava la fanteria e quindi la figura del fante – poi in epoca feudale e medievale abbiamo la prevalenza della figura del cavaliere e quindi la predominanza della cavalleria negli eserciti – il cavallo e il cavaliere diventarono una vera e propria macchina da guerra. Verso il XIV secolo questo sistema incentrato sul cavaliere entra in crisi – in concomitanza si ha la crisi del sistema feudale perché l’economia non è solo agricola adesso ma nella società prendono piede le classi borghesi con l’avanzata dei traffici commerciali, degli artigiani e anche i contadini, che si ritagliano spazio sia nella società che negli eserciti. Col declino della cavalleria si ha anche il declino dell’individualismo cavalleresco. Lo strapotere della cavalleria in pratica veniva messo da parte con la nascita di nuove armi e con l’invensione di nuove tecniche. E’ questo il periodo in cui nascono infatti nuove armi con nuove specializzazioni: adesso compaiono gli arcieri inglesi, i balestrieri genovesi, i picchieri svizzeri, che intaccano lo strapotere del binomio cavaliere‐cavallo e anche del combattimento corpo a corpo dei fanti. Queste nuove specialità riuscivano a tenere a bada il cavaliere, che non riusciva più adesso ad arrivare a ridosso del nemico. LE ARMI DA FUOCO INDIVIDUALI L’invenzione della polvere da sparo, una miscela di zolfo, carbone e nitrato di potassio, fu inventata nel VIII secolo in Cina – i primi utilizzi in Europa avverranno dal XIII – XIV secolo nella guerra dei cent’anni. La sua diffusione è ostacolata da una iniziale diffidenza della chiesa verso le armi considerate letali come le balestre e quant’altro. In realtà il loro utilizzo penalizzava i cavalieri e quindi la classe dei nobili perciò alla base di questa diffidenza c’era anche e soprattutto un motivo politico. Anche le prime armi, come la colubrina, che era un cannone a mano con canna incastrata su un’asticella e lo schioppo che era una specie di piccolo cannone caricato con sassi, venivano ritenute pericolose per il tiratore quanto per il bersaglio. C’era il pericolo che queste nuove armi scoppiassero in faccia al tiratore perciò in un primo momento il loro utilizzo viene fatto con molta titubanza. Importante fu l’invenzione dell’archibugio (XV secolo): la prima vera arma portatile con una certa precisione di tiro. Verrà in seguito il moschetto. CONFRONTO TRA ARCO E ARCHIBUGIO ARCO La sua cadenza di tiro è di circa 10/20 tiri al minuto La sua gittata: fino a 370 metri per longbow L’Ingombro: 2 kg La sua penetrazione nelle armature: buona Per l’addestramento al suo uso: occorrono molti anni e c’è la necessità di un continuo allenamento con uomini robusti, ma che avranno problemi di scoliosi nel tempo 40 ARCHIBUGIO La cadenza del tiro: 1 tiro al minuto La sua gittata: 50 metri L’ingombro: 4‐9 kg La sua penetrazione anelle rmature: Ottima, con ferite più letali per la presenza della polvere da sparo L’addestramento: occorreva poca tecnica e abilità, ma un allenamento ripetitivo facile da imparare LE ARMI DA FUOCO INDIVIDUALI Vennero fatto dei manuali. Ad esempio il Manuale inglese per l’addestramento delle reclute di archibugieri venne fatto con 44 tappe: erano manuali corredati da figure perché al tempo la maggiorparte della popolazione non sapeva leggere L’archibugio ad accensione aveva una miccia con sacchettini di polvere da sparo messi nello scodellino dell’arma e una palla di piombo messa nella canna da un calcatoio. Per accendere una miccia veniva utilizzata una forcella, con problemi di accensione in caso di intemperie. Tutto ciò rendeva quest’arma non efficace completamente e poi ricordiamoci dello sparo ogni minuto che si riusciva a fare. Quindi gli archibugieri, potendo sparare una volta al minuto sono estremamente indifesi. FORMAZIONI DI FANTERIA, IL RICCIO Nasce così il sistema svizzero: – gli archibugieri sono nel mezzo con protezione a riccio da parte di una linea di alabardieri e di soldati con spade che hanno la funzione di proteggerli per farli sparare in sicurezza – poi viene inventata l’alabarda, che è fatta per disarcionare i cavalieri LA RIFORMA PROTESTANTE Il 31 ottobre 1517 Martin Lutero elabora le 95 tesi contro le indulgenze – il movimento si propaga attraverso l’Europa, soprattutto quella centrale (Prussia, Sassonia, Palatinato) e del Nord (Svezia, Danimarca e Norvegia) – questa rivoluzione religiosa influenzerà anche il modo di fare guerra e l’organizzazione degli eserciti di questi paesi. In Inghilterra, Enrico VIII fonda la Chiesa anglicana per ragioni politiche ma anche personali: chiede l’annullamento del matrimonio con Caterina d’Aragona nel 1537 perché gli aveva dato solo una figlia femmina, annullamento che gli viene negato dal papa cattolico e lui non riesce in un primo momento a sposare la sua amante. Quindi la rivoluzione militare, viene attuata soprattutto in due paesi, l’Olanda e la Svezia, due paesi entrambi protestanti. 41 LE PROVINCE UNITE Le Province Unite (ossia gli odierni Paesi Bassi) facevano parte dell’impero spagnolo di Filippo II: col tempo c’è una progressiva domanda di maggiore autonomia fiscale, politica e religiosa (con lo sviluppo del Calvinismo) da parte di queste province. Naturalmente gli spagnoli, essendo questi territori molto ricchi, non vogliono accettare e questo sarà in sostanza il motivo che scatenò la guerra degli ottant’anni, una guerra fra olandesi e spagnoli senza esclusione di colpi. La Guerra degli ottant’anni (1568‐1648) si confluse poi con la pace di Westfalia che sancì l’indipendenza delle Province Unite ma che diede vita al sistema moderno degli stati, delle grandi monarchie che caratterizzarono l’Europa moderna. Maurizio di Nassau (1567‐1625), che era il Capitano, Generale e poi Ammiraglio dell'Unione nel 1590, sarà l’istigatore delle riforme militari attuate in quel periodo e che modernizzarono l’esercito. Egli in poche parole afferma che bisogna tornare al modello romano, avendo letto gli scritti di Vegezio, di Cesare e degli altri grandi storici di Roma – predica dunque un ritorno all’origine e alla disciplina, un esercito che combatteva con lo spirito di corpo e non come avveniva nel medioevo in cui l’individualismo ne minava la sua efficacia. Quindi occorreva un ritorno alle regole e alla disciplina, al senso di appartenenza simile a quello delle legioni romane, ad un esercito permanente che non viene sciolto dopo ogni campagna militare e che si alleni durante l’inverno nelle caserme. Questo sistema andava anche coniugato con le invenzioni che nel frattempo c’erano state, con la polvere da sparo e con le nuove armi che erano venute alla ribalta. LE RIFORME OLANDESI Queste riforme guardando dunque all’esempio dell’Antica Roma (sulla base degli scritti di Vegezio). L’esercito olandese aveva al suo interno una numerosa fetta di soldati mercenari, perciò era un esercito diciamo così internazionale, inglesi, francesi e scozzesi soprattutto - ma tutti addestrati alla stessa maniera. Veniva quindi data importanza all’addestramento militare e alla disciplina, con la creazione di un esercito permanente e fu attuata poi una uniformizzazione dell’equipaggiamento, come pure del calibro delle armi da fuoco. Vennero creati dei battaglioni sul modello della coorte romana formati da 500 uomini con 300 archibugieri / moschettieri con una formazione a scacchiera. Molto spesso gli archinugieri si mettevano ai due lati, i picchieri in mezzo – si disponevano anche in linea durante la battaglia e i secondi poi si mettevano davanti per proteggere gli archibugieri, che sparavano e rientravano nei ranghi. Un sistema molto efficiente. LE RIFORME SVEDESI Gustavo Adolfo (1594‐1632), divenne re di Svezia a 17 anni – all’epoca il paese era un piccolo reame, molto povero, con la necessità di una riforma militare. Quando ci fu la guerra del Trent’anni (1418 – 1448), che vide 44 IL BASTIONE (DETTO BALUARDO) AL POSTO DELLE TORRI Il bastione al posto delle torri medievali, viene costruito per evitare le zone morte e aumentare il fuoco d’infilata – in poche parole con le torri medievali rotonde, nell’area compresa tra le due torri vicine, l’assediante è coperto dal fuoco proveniente dalla cime delle due torri; questo invece non accade con la costruzione che ha al posto della torre medievale rotonda il bastione, che ha la punta a forma di picche oppure di diamante, che favorisce in sostanza il fuoco d’infilata proveniente dai baluardi. Il baluardo ha la stessa altezza delle mura ed inoltre è presente la protezione del muro di cortina. LA GUERRA DEI TRENT’ANNI Sotto il profilo militare questo conflitto segna l’affermarsi di re Gustavo Adolfo di Svezia e del suo esercito – la Svezia era una potenza emergente che si era da poco liberata dal dominio danese. L’esercito di Gustavo era un esercito nazionale, in cui potevano entrare anche i contadini ed inoltre, la lotta per poter professare la religione luterana, aveva cementato il loro sentimento monarchico e nazionale. Il sovrano aveva studiato l’arte della guerra e voleva trasformare il suo paese in una potenza e infatti, il paese era solito devolvere il 70% del bilancio per le spese militari. Il sistema era a coscrizione obbligatoria che coinvolgeva tutti i cittadini maschi dai 15 ai 60 anni, e di cui 1 su 10 era tenuto effettivamente a prestare il servizio militare. Il reclutamento avveniva su base regionale pertanto tra i componenti c’era affiatamento. Al tempo della guerra dei Trent’anni l’esercito svedese era quanto di più moderno c’era: gli ufficiali erano nobili ma c’era anche la meritocrazia; la disciplina era severa, la paga era regolare e non era tollerata nessuna forma di saccheggio; anche il vestiario dei soldati si avvicinava all’uniforme come la conosciamo oggi. Il sovrano diffuse l’uso del moschetto, che stava diventando sempre più leggero e maneggevole, e decise di schierare i reparti in linea, in genere su sei righe – la prima sparava e le altre subentravano a turno da dietro al ritmo di caricamento e sparo dei moschetti in modo da avere una cadenza di tiro continua e che poteva essere accellerata se le righe diminuivano da sei a tre. La fanteria svedese fu poi alleggerita – 4 compagnie formavano un battaglione, 2 battaglioni un reggimento, da 2 a 4 reggimenti formavano una brigata. Quest’ultima aveva la consistenza numerica del tercio spagnolo ma era molto più flessibile sul piano tattico – poteva schierarsi in linea, a quadrato, a cuneo. Le vittoriose battaglie di Breitenfield del 1631 e di Lutzen del 1632, dove peraltro il re Gustavo trovò la morte, sono una chiara dimostrazione di tutto ciò. Egli capì che lo scontro campale stava per essere sostituito dalla potenza delle nuove armi da fuoco. In relazione al livello di violenza, questa guerra fu la prima autenticamente definibile come moderna, e non solo per l’invenzione delle nuove armi viste. Essa provocò ben 4 milioni di morti in Europa, soprattutto in Boemia e in Germania e molti storici ritengono anzi che questa cifra sia sottostimata e che andrebbe addirittura raddoppiata. Le vittime civili furono tantissime e tanti furono i saccheggi e le devastazioni. 45 Fino a quel momento infatti, la guerra aveva convissuto con la pace. Da ora in poi non sarà più cosi e in molti si chiederanno in questo momento se non sia il caso di dare delle regole ad un conflitto. A questo proposito, nel 1625, il giurista olandese Ugo Grozio (1583 – 1645) pubblica l’opera ‘De iure belli ac pacis’, nella quale formulò la teoria che gli Stati dovevano esseree collegati tra loro da un’autorità superiore che governava sulla base della legge naturale, e che di conseguenza decideva se i motivi di un conflitto erano validi per scatenarlo oppure no. Egli riprese anche il tema della guerra giusta condotta dai cristiani e arrivò a dire che qualsiasi guerra era giusta, al di là del fattore religioso, purchè fosse combattura secondo le norme del diritto bellico con regole chiare che limitassero il suo carico di violenza. Questi principi si affermano soprattutto dopo la pace si Westfalia del 1648, quando si cerca di riportare i conflitti all’interno di una violenza rituale e codificata. CONCLUSIONI Abbiamo visto la rivoluzione militare attraverso l’età moderna (XV‐XVIII secolo), con la modernizzazione degli ordinamenti militari attraverso un’evoluzione delle mentalità e un desiderio accresciuto dei nuovi ceti sociali di partecipare alla guerra per elevarsi economicamente. L’arrivo della polvere da sparo ha onseguenze sia sulle armi individuali che sull’artiglieria pesante. Infine la fortezza moderna (esempio la trace italienne), favorisce un’evoluzione della guerra a favore delle grandi monarchie e degli stati agiati, in quanto la costruzione di fortezze ed artiglierie divenne molto costosa e solo gli stati che stanno bene economicamente possono permettersi di fare la guerra. Scompare ovviamente la figura del cavaliere. Questi cambiamenti portarono al sorgere delle grandi monarchie quali la Francia e l’Inghilterra, che creeranno grandi eserciti e cambieranno il volto dell’Europa medievale. 46 LA GUERRA A CAVALLO TRA SEICENTO E SETTECENTO Sotto Luigi XIV in Francia (1643 – 1715), si sviluppa un esercito di tipo moderno come lo intendiamo oggi e che era frutto del rafforzamento del potere statale e dell’amministrazione centralizzata istaurata da Richeliueu e poi da Colbert. Grazie a questo fu possibile creare un ministero della guerra sotto la direzione di Michel Le Terrier (1603 – 1685) e poi di suo figlio Michel Le Terrier (1641 – 1691) – lo Stato si preoccupava ora di reclutare l’esercito, organizzarlo, vestirlo, sfamarlo e armarlo. Nel 1695 l’esercito del Re Sole aveva 400.000 uomini ossia il 2% della popolazione francese. La spesa militare assorbiva il 76% del bilancio, di cui il 17% era dedicato per le fortificazioni permanenti dei confini. Fu Luvois a integrare le unità dell’esercito in reggimenti e brigate permanenti, a rendere standard l’unifrme bianca tipica delle armate francesi pre-rivoluzionarie e a creare l’INTENDANCE, che doveva amministrare l’esercito negli aspetti tecnico-operativi, allestire strutture e creare un servizio cartografico efficiente. Alcuni reggimenti permanenti come quello dei moschettieri erano destinati alla protezione del sovrano, altri erano organizzati su base territoriali – questo esercito comunque era devoto al sovrano. L’esercito comuque restava lo sbocco principale dei nobili ma in quel periodo si fece più forte l’aflusso sotto le armi dei figli dei borghesi, specie nelle specialità quali l’artiglieria e il genio – restava però loro preclusa la possibilità di andare oltre il grado di colonnello. Per lungo tempo il soldato era stato in Francia una figura tra il delinquente e il predatore ma ora la sua figura si stava valorizzando – gli ideali provenienti dalla cavalleria si fondevano ora con l’idea di dovere, di fedeltà al sovrano, di solidarietà con i commilitoni e del giuramento prestato. Questo è il periodo in cui il più grande anchitetto della storia militare, VAUBAN, realizza un massiccio sistema di fortificazioni – la c.d. fortezza Francia edificando fortificazioni lungo i confini orientali, modificando 83 città e creando 8 nuovi centri strategici. Questa esigenza venne alla ribalta soprattutto dopo le violenze scatenate dalla guerra dei Trent’anni. Dalla seconda metà del XVI secolo, si sviluppa inoltre l’idea dell’arma bianca: verso il 1670 si ebbe, pare in Gran Bretagna, la trasformazione del moschetto in arma bianca mediante l’inserimento all’interno della canna di un pugnale speciale, la cui impugnatura si adattava alla luce dell’arma da fuoco. I primi esemplari sperimentali furono prodotti a Boyonne, in Francia e per questo prese il nome di baionetta. Questa interscambiabilità tra arma da fuoco e arma bianca consentiva ai comandati sul campo di alternare a piacimento l’azione distruttiva dell’arma da fuoco con quella risolutiva affidata all’arma bianca. E cosa fare della fanteria? All’inizio del ‘700 le giacche rosse della fanteria inglese molto addestrate al tiro, si schieravano ora su tre file, ma i tempi per caricare le armi erano ancora lunghi e rendevano la disposizione su tre file difficoltosa. Quindi a cavallo di questi due secoli, gli eserciti di alcune potenze europee si modernizzarono e soprattutto la loro consistenza quantitativa crebbe notevolmente. 49 L’ESERCITO DEL RE SOLE All’epoca, l’esercito francese è uno degli eserciti più importanti in Europa con ben 300.000 uomini – un numero enorme per quel tempo. C’era però il problema delle Commissioni: i Capitani a capo delle compagnie, i colonelli dei reggimenti, pagavano le loro cariche e quindi vi era la venalità delle cariche con grossi problemi di corruzione perché non vi era meritocrazia – spesso al loro fianco vi erano validi aiutanti che dovevano rimpiazzare la loro inerzia e la loro inettitudine – capitava anche spesso che i capitani e i colonnelli, per rifarsi dei soldi che avevano speso per comprare la carica, si intascavano i soldi della paga e dell’equipaggiamento di soldati inesistenti e presenti solo sulla carta. All’epoca questo era un grosso problema per il re. Un altro problema era la Divisione per classi sociali: gli ufficiali erano aristocratici, i soldati invece venivano reclutati fra le classi povere col metodo del racolage e dell’adescamento anche nelle bettole perché venivano fatti firmare mentre erano ubriachi. Questo veniva fatto per avere il numero sufficiente di soldati per poter iniziare una guerra e faceva sì che il reclutamento avveniva presso vagabondi, emarginati, delinquenti – questo acuiva la distanza fra l’ufficiale e il soldato e portava al fatto di avere soldati poco qualificati e disprezzati dalla popolazione. Per questo motivo le caserme cominciarono ad essere costruire al di fuori dei centri abitati in modo da evitare ritorsioni e risse tra la popolazione e i soldati. RIFORME DI MICHEL LE TELLIER Michele Le Tellier fu ministro della guerra dal 1603 al 1685. Egli diede una impronta di disciplina feroce per arginare la piaga della diserzione, anche di massa, specialmente iniziata durante la guerra dei trent’anni. I soldati venivano spesso trattati come bestie con l’inflizione di severe punizioni corporali quando disubbidivano. Venne data un’enorme importanza dell’uniforme sia per motivi disciplinari (per rendere più difficile la diserzione) e sia per facilitare le manovre militari. Vennero creati i Commissari di guerra con controlli a tappetto sulle unità ma anche per attuare i controlli sul bilancio in modo da verificare che non ci fossero casi di corruzione. Fu creato un Dipartimento della guerra con 5 sezioni, ognuna delle quali aveva un compito ben preciso: - regolamenti; - controllo del personale; - informazioni riservate; - logistica; - viveri e pensioni Sarà quindi un esercito di tipo moderno ed organizzati. Ci fu anche la creazione di servizi sociali quali ospedali e case di ripose, come per esempio Les Invalides, il système d’étapes ossia un sistema di caserme dislocate sul territorio in modo tale che l’esercito, quando si spostava, potesse avere sempre un posto in cui ricoverarsi. 50 Malgrado tutti questi sforzi, il 20% dei soldati erano comunque ancora dei mercenari ma iniziamo ad intrevedere un esercito di tipo moderno. LA GUERRA DI SECESSIONE SPAGNOLA (1701 – 1714) E’ una classica guerra dinastica: il re di Spagna Carlo II, gravemente infermo dalla nascita, non avendo eredi e in precarie condizioni di salute, sul letto di morte optò Filippo duca di Angiò e nipote di Luigi XIV, dunque per i francesi. Il problema divenne geo-politico perché sarebbe nato un enorme regno franco-spagnolo. Quindi vi sarebbe stato il problema di un accorpamento di un unico reame franco‐spagnolo e l’Austria, con il secondogenito di Leopoldo I d’Asburgo, l’arciduca Carlo, ambiva a quella corona ed era sostenuta in tal senso da olandesi, britannici e Sacro Romano Impero. Nasce una guerra su due continenti, con la guerra della regina Anna (1702‐1713) tra Francia ed Inghilterra. Furono lunghe campagne in cui si distinsero il duca di Marlborough e il principe Eugenio di Savoia, in battaglie che divennero leggendarie. Con la Pace di Utrecht (1713) i possedimenti spagnoli passarono in mano agli austriaci (in particolare ricordiamo Napoli, Milano e Toscana) e Filippo V duca d’Angiò diventa re di Spagna, ma le corone di Francia e Spagna rimangono separate per andare incontro alle richieste austriache. E’ il caso evidente di guerra dinastica che non coinvolgono ed interessano la popolazione. IL SISTEMA DI FORTIFICAZIONI DI VAUBAN Abbiamo visto le classiche fortificazioni a stella che subentrarono dopo il medioevo. Questo sistema verrà perfezionato dal Marchese Sébastien Le Prestre de Vauban (1633‐1707), l’ingegnere del regno di Luigi XIV, un personaggio chiave delle guerre condotte dal sovrano. Era di una famiglia della piccola nobiltà, entrò presto come ufficiale nell’esercito di Luigi XIV e poi nel 1655 divenne ingénieur du roi con la partecipazione a vari assedi e venendo ferito per ben tre volte, poi divenne commissaire général des fortifications nel 1678, uno dei ruoli più ambiti dell’esercito. Sotto la sua guida furono fortificati quasi tutti i confini francesi, ad eccezione di quelle sul mare e di quelle delimitate da montagne – infatti erano concentrate a nord-est della Francia e a sud-est e non sui pirei e sulle coste e questo era il suo metodo, ossia incastonare poche fortezze nelle regioni favorite dalla geografia ed implementare le altre fortificazioni sui confini. Fu nominato Maresciallo di Francia il 14 gennaio 1703. Mise su un sistema di centinaia di fortezze alle frontiere della Francia, in funzione difensiva ed offensiva, con grande capacità di fare assedi fruttuosi - 12 delle fortezze sono state messe nel Patrimonio dell’Umanità UNESCO. IL PRÉ CARRÉ Il Pré Carré (prato quadrato o aiuola significa) e veniva adoperata alla frontiera con i Paesi bassi, ossia nella piatta conformazione territoriale delle frontiere di nord-est perché un territorio dalla geografia piatta era difficilmente difendibile – si trattava di due linee di fortificazioni parallele, in cui la seconda che era quella 51 arretrata in territorio francese, correva in ausilio della prima linea di fortezze impegnate a resistere in un assedio contro i nemici. Era in pratica un sistema di fortificazioni su due linee per evitare l’isolamento delle fortezze (fortezze collegate anche per mezzo di canali) e creare quindi una difesa in profondità – furono costruite nella seconda parte del regno di Luigi XIV con le guerre difensive. IL SECONDO SISTEMA DI VAUBAN Come possiamo vedere dalle figure, il sistema ricalca quello della trace italienne, con l’uso dei bastioni anziché delle torri, a forma di picche sulle cui cime c’era l’artiglieria da utilizzare contro gli assedianti; c’era poi un secondo strato di fortificazioni davanti ai bastioni, il c.d. rivellino, che doveva difendere i punti più deboli proteggendo i bastioni con la presenza anche di cannoni. ASSEDIO SCIENTIFICO DI VAUBAN Vauban aveva quindi portato avanti un discorso di tipo scientifico nella progettazione degli assedi per poter espugnare in maniera rapida, anche in pochi giorni, una fortezza nemica. Ma in cosa consisteva il suo metodo? Innanzitutto portare l’artiglieria in posizione per praticare una breccia nelle mura. Scavare trincee parallele collegate da trincee di avvicinamento, che erano in zigzag per evitare il tiro d’infilata e il rimbalzo (detto ricochet). Davanti a queste c’era una prima parallela fatta al di là della portata artiglieria nemica (a 600 metri), e poi una seconda parallela con l’artiglieria piazzata nelle ridotte e che si concentra sul lato debole del bastione e sull’artiglieria nemica. Infine vi era una terza parallela per creare una grossa breccia ed ammassare truppe per attacco finale. Tre cerchi quindi per proteggere i bastioni. 54 anche se in inferiorità numerica. Ma la superiorità austro-russa e ad agosto 1758 un esercito russo si spinge fino a soli 100 km dalla capitale Berlino – venne fermato a Zorndorf in uno scontro sanguinoso in cui entrambi gli schieramenti persero il 30% degli uomini. Per quanto riguarda Francia e Gran Bretagna, fino al 1759 si combattè solo sul mare e nelle colonie del nord America e dell’India – gli inglesi avevano elaborato una nuova tattica con operazioni combinate mare-terra e assalti anfibi inviando piccoli contingenti dove c’era bisogno ottenendo successi come quello in Quebec dal generale Wolfe, successi modesti ma di prestigio – infatti questo successo sottrasse il conrrollo del Canada ai francesi. Invece i prussiani furono sconfitti nel 1759 a Kunendorf perdendo 19.000 uomini su un totale di 50.000 effettivi. L’anno dopo per un breve periodo fu occupata Berlino ma il sovrano prussiano riuscì a sconfiggere i prussiani e Liegnitz e a Torgau (1760). Ma quando William Pitt si dimette, il sostegno della Gran Bretagna va scemando ma la situazione cambia con la morte improvvisa di Elisabetta di Russia – a lei successe Pietro III, apertamente filo-prussiano che firmò subito una pace con Federico II. Questo atteggiamento non fu condiviso dalla sua corte e lo rese vittima di una congiura 6 mesi dopo. Nel febbraio 1763 il trattato di Parigi pose fine alle ostilità. Il risultato dopo 7 anni di guerra fu la perdita di primato della Francia in nord America e conservava solo una limitata presenza simbolica in India – il controllo delle rotte commerciali passava in mano inglese. Sul piano militare l’ordino obliquo, l’impiego vario della cavalleria e la flessibilità d’azione dell’artiglieria avevano tenuto sotto controllo i più potenti eserciti d’Europa da parte di Federico II mentre vediamo da parte inglese l’azione combinata mare-terra. Era comunque ancora un conflitto combattutto con regole fisse. LA BATTAGLIA DI LEUTHEN (5 DICEMBRE 1757) La Slesia era già stata protetta e conquistata dopo vittoriosa battaglia di Roßbach il 5 Novembre contro i francesi. Nella battaglia di Leuthen furono impiegati 29.000 prussiani contro 87.000 austriaci guidati da Carlo Alessandro di Lorena e il generale Leopold Joseph Daun – quindi gli austriaci erano il triplo dei prussiani ma questi ultimi dimostrarono ugualmente la loro potenza, guidati da Federico II stesso fisicamente presente. Utilizzarono un metodo da manuale, il c.d. schieramento obliquo: veniva dapprima mandata un’avanguardia che fungeva da speccio per le allodole e far credere che l’attacco arriverà a nord e che quella sarebbe stata il grosso dell’esercito a disposizione, mentre il resto dell’esercito aggira il nemico nascosto dalla nebbia, dalle intemperie o dalle colline a sinistra avanzando in maniera obliqua. Con questo metodo l’ala sinistra dei prussiani accerchia il nemico di sorpresa procedendo alla loro sinistra coperti da una collina, che nel frattempo si era concentrato sul suo lato destro credendo che l’attacco provenisse solo da lì – i prussiani riportano così una vittoria netta, con 6.000 morti contro i 22.000 tra morti e prigionieri da parte degli austriaci, che verranno colti di sorpresa. Questa battaglia dimostra il genio tattico di Federico II. 55 I LIMITI DELLE CAMPAGNE DI FEDERICO II Sono naturalmente guerre di usura che si protaggono per anni perché c’è la volontà di distruggere gli altri eserciti nemici; si è comunque alla ricerca della battaglia decisiva ma le costrizioni di reclutamento e i limiti logistici, e soprattutto di addestramento, fanno andare le cose per le lunghe. Vi era inoltre la paura endemica delle diserzioni e pertanto non voleva borghesi nel suo esercito e questo costituì un vero e proprio pregiudizio contro i borghesi da parte di questo sovrano. Nell’intendo di sopravvalutare la ferrea disciplina, era ovvio che l’esercito prussiano fosse di tipo molto conservatore e spesso vi erano liti furibonde tra gli ufficiali anche su fatti irrilevanti, quali quelli riguardanti la marcia: se bisognava in sostanza marciare a 80 o 81 passi al minuto. L’esercito si focalizzò insomma sulla maniera tradizionale di fare guerra e questo sarà il motivo principale che causerà la sua distruzione di fronte all’esercito di Napoleone, un esercito che rivoluzionerà l’arte di fare la guerra. CONCLUSIONI Iniziano quindi le guerre fatte da eserciti professionisti, con due anni di addestramento in media per i soldati. Molte guerre furono di movimento, con poche battaglie decisive. Erano alimentate dalle ambizioni personali dei sovrani (come le guerre dinastiche), che non infiammano lo spirito della popolazione. Gli scopi erano sempre i territori e la gloria personale e non erano volte all’annientamento dei nemici. La logistica a sostegno militare era limitata, con un successo spesso assicurato dalle distruzioni delle linee di approvigionamento nemiche. 56 LA RIVOLUZIONE FRANCESE La rivoluzione del 1789 si innesta su un retroterra preciso, quello di un paese che aveva digerito a fatica la dura sconfitta contro la Gran Bretagna nella Guerra dei Sette Anni. Quindi il suo impegno si volse a consolidare il suo prestigio e quindi rafforzare la sua potenza militare. L’ispettore generale Jean-Baptiste Gribeauval stava lavorando al perfezionamento dell’artiglieria creando un sistema dove i cannoni, anche di calibro diverso, avevano parti interscambiabili ma con carriaggi standandizzati e migliore mobilità. Invece il conte di Guibert cambiò le strategie: non più conflitti statici bloccato intorno a piazzeforti ma eserciti in movimento tesi a ricerchare l’annientamento del nemico in una sola battalgia decisiva. Con la rivoluzione del 1789 l’esercito rimane ovviamente coivolto, un esercito dove i posti di comando erano ancora appannaggio dei soli nobili – la situazione militare quindi cambia perché porta una nuova mentalità, nuovo spirito e nuovi valori. Solo nel 1792 ben 5.500 ufficiali dei 9.500 cercarono rifugio all’estero fuggendo quindi fu necessario promuovere rapidamente ai gradi superiori quei membri della piccola nobiltà di provincia, a cominciare dallo stesso Napoleone Bonaparte, che avevano frequentato le scuole del regno e quindi avevano una buona preparazione. In poche parole, la professionalità, la volontarietà, la regolarità e lo slancio rivoluzionario si fusero. Quando poi venne il momento in cui i nemici premevano alle frontiere, il 24 febbraio 1793 si ricorse alla coscrizione obbligatoria per tutti i cittadini maschi fra i 18 e i 40 anni, celibi o vedovi senza figli, una leva di massa che diede vita ad una nazione armata primogenita della rivoluzione piena di spirito e di entusiasmo spesso proveniente dal basso, dai soldati semplici. Furono loro a mostrare al mondo come doveva essere combattuta la guerra per la libertà – ossia con l’assalto frontale, lo sfruttamento del principio della massa e naturalmente le idee di Gribeauval e Guibert. Sotto la regia del ministro della guerra Lazare Carnot l’esercito divenne efficiente in termini di reclutamento e mobilitazione degli uomini – l’unico difetto di questo esercito fu l’aspetto logistico ma i soldati francesi erano abituati ad approfittare a man bassa di ciò che forniva loro il territorio in cui si muovevano e perciò questo si risolse in un vantaggio sul nemico perché risultavano essere sempre più veloci in quando indipendenti da una eventuale catena di rifornimento. Quindi era un esercito con grande mobilità capace di percorrere tantissimi chilometri in pochi giorni e dal punto di vista tattico, visto che i francesi non erano capaci di compiere le manovre di movimento complesse degli altri eserciti, Gilbert aveva progettato l’impiego di reparti di colonna che favoriva il ruolo della massa e i nemici, di fronte a queste orde indiavolate a cui non erano abituati, spesso fuggivano – l’attacco in colonna era comunque rischioso perché metteva gli attaccanti alla mercè del fuoco nemico ma all’epoca i moschetti non erano efficaci a più di 100 metri e la loro avanzata era coperta da nugoli di fanteria leggera, i tirailleurs operanti in ordine sparso per coprirli. Spesso quindi l’attacco in colonna era accompagnato dal fuoco di una parte delle truppe schierate in linea – questa c.d. orda mista fu portata a perfezionamento da Napoleone. 59 dettami della rivoluzione. Accadde quindi che poi, sotto i commissari, qualche generale e alcuni ufficiali disertarono per passare al nemico. Vennero attuate delle tattiche c.d. semplificate: ad esempio la ‘’Tattica dell’orda’’, con veterani ed élites mandati in avanguardia a fare scaramucce per demoralizzare nemico, e poi in un secondo momento le forze regolari che effettuava un attacco alla baionetta – l’attacco alla baionetta richiedeva più ardore che abilità e quindi non occorreva un addestramento specifico. Il 20 settembre 1792 questa tattica diede dei frutti con la vittoria insperata francese a Valmy contro gli austro‐ tedeschi, uno dei migliori eserciti d’Europa – questa vittoria fu frutto delle riforme d’artiglieria fatte da Gribeauval, che aveva imposto la standardizzazione dei prodotti con intercambiabilità delle parti, come gli affusti, che permetteva quindi di sostituire le parti danneggiate e tenere l’arma. Da qui in poi infatti, l’artiglieria assumerà un’importanza enorme per i francesi, tanto che arriveranno ad avere uno degli eserciti più efficenti dal punto di vista tecnologico. La battaglia non farà molte vittime ma avrà un alto valore simbolico perché sarà la volta in cui un esercito formato per la maggior parte dai volontari vince contro un esercito di professione. Si cercava di ovviare naturalmente alla mancanza di addestramento di questi volontari con l’ardore patriottico, con la propaganda politica molte nei confronti dei soldati. LA MORTE DEL PICCOLO BARA E’ un episodio vero preso a prestito dalla propaganda per crearne un mito. E’ la storia di un giovane volontario di 17 anni che fu ucciso dalle truppe monarchiche della Vandea nel 1793 per rubargli il cavallo – la propaganda rivoluzionaria cambia però alcuni dettagli della storia per prenderla a prestito per la causa rivoluzionaria. Bara diventa tredicenne e diventa anche tamburino e si sarebbe rifiutato di gridare Viva il Re per avere salva la vita e così viene fucilato dai monarchici. Il mito qui ha una duplice funzione: - positiva: dimostrare che ognuno può fare la sua parte per difendere la patria, se lo ha fatto un tredicenne che si è sacrificato per la patria - negativa: i monarchici e nemici della rivoluzione non si fermeranno davanti a nulla, neppure davanti ad un tredicenne e quindi il fatto viene utilizzato per demonizzare il nemico. Anche le parole della Marsigliese sono indicative e intrise di spirito patriottico. NAPOLEONE BONAPARTE (1769‐1821) Era un corso, di una famiglia della piccola nobiltà di origine italiana. Entra nella scuola d’artiglieria a 16 anni e diventa sottotenente nel 1785, quindi è un artigliere di professione – sarà decisivo per la resa dell’arsenale di Tolone nel dicembre 1793. 60 Diventa generale di brigata a 25 anni nel 1794, cosa incredibile al tempo, poi salvò il governo rivoluzionario in qualità di comandante della piazza di Parigi nell’ottobre 1795. Diventa comandante dell’esercito francese in Italia nel 1796, con numerose vittorie riportate contro le truppe piemontesi e austriache, che erano per giunta superiori in numero ed armi (a Mondovì, a Lodi e poi a Rivoli, quest’ultima il 14‐15 gennaio 1797, con il totale annientamento dell’esercito austriaco). Nel 1799 fu mandato a combattere in Egitto contro la potenza britannica – forse il vero motivo fu allontanarlo dalla Francia per la sua troppa ambizione - la campagna d’Egitto si rivela disastrosa allargandosi anche in Siria e in Palestina e afflitta da epidemie, ma comunque Napoleone riesce a tornare in Francia lasciando le proprie truppe al proprio destino e ad assumere poi la guida del Direttorio per poi diventare console nel periodo dei tre consoli, primo console ed in seguito imperatore. L’ESERCITO DI NAPOLEONE Il reclutamento dell’esercito di Napoleone avveniva tra giovani non sposati tra i 20 e 25 anni na venivano sorteggiati, anche se c’era un sistema di esenzione per classi più agiate – quindi i più ricchi potevano pagare in tasse per far prendere il proprio posto a qualcun altro. La leva durava dai 2 ai 5 anni o fino alla conclusione della campagna. L’uniforme per esprit de corps era molto ben curata, lo zaino pesava sui 15/20 chili con 4 giorni di rancio), un ricambio e con un fucile a pietra focaia modello 1777/Corrigé An IX. Non era un fucile eccellente ma faceva la sua parte. Napoleone faceva spesso ricognizioni sul campo per vedere la situazione e, siccome l’esercito non aveva un’organizzazione logistica forte, i soldati venivano abituati a fare lunghe marcie ed anche in maniera veloce, sia per gli spostamenti ai fini di rifornimento di viveri e sia per contrastare l’effetto sorpresa in caso di attacchi improvvisi del nemico. Quindi la requisizione sul terreno per rifornimenti di cibo permetteva ai soldati di fare marce forzate anche di 20‐30 chilometri al giorno. I soldati comunque vivevano in condizioni difficili e il più delle volte dovevano dormire all’addiaccio e combattere contro malattie endemiche (come ad esempio il tifo e la malaria nella campagna di Russia) – ricordiamo che all’epoca, spesso capitava che vi erano quasi più morti per le epidemie che per la battaglia stessa. Napoleone in pratica fu l’artefice di quella straordinaria trasformazione dal punto di vista strategico ed operativo nell’esercito, non tanto sul piano tattico perché le innovazioni dei suoi predecessori erano già in atto. Attento lettore di Guibert, il generale Bonaparte aveva sicuramente sviluppato a livello teorico un proprio sistema di guerra. Figlio della rivoluzione, aveva una concezione del tempo e della rapidità di movimento decisamente diversa rispetto ai suoi nemici, abituati alle mollezze dell’Ancienne Regime. 61 Fin dai suoi esordi si preoccupò di colpire duro, in fretta e in profondità – egli affermava che per annientare il nemico bisognava agire in fretta e non con l’assedio di una o due piazzeforti, con l’annessione di territori o con l’occupazione della loro capitale ma semplicemente distruggendo l’esercito nemico. Questa fu la sua idea fino al 1806, ossia fino alla battaglia di Jena. Poi fra il 1807 e il 1809 ci fu invece la guerra di stabilizzazione fino alla battaglia di Wagram. Il suo esercito aveva spirito di corpo, professionismo, slancio rivoluzionario che non vennero mai meno, neppure quando la Francia il 2 dicembre 1804 divenne una monarchia. L’esercito prima di Napoleone era a sistema divisionale, poi con lui fu diviso in corpi d’armata, piccoli eserciti autonomi formati da reparti di tutte le armi e che in genere venivano fatti muovere divisi per poi farli riunire al momento di combattere. Questa fitta trama di movimenti spesso portò alla vittoria sfruttando l’elemento sorpresa grazie alle manovre e grazie agli espedienti usati per dissimulare le reali intenzioni. Era comunque una rigida pianificazione centralizzata al cui vertice c’era Napoleone, assistito da un efficiente Stato Maggiore. Il capolavoro strategico di Napoleone fu sicuramente la battaglia di Ulm condotta contro il generale austriaco Mack nel 1805: ci fu una manovra diversiva per disorientare il nemico e poi una manovra da dietro per intercettare le linee di rifornimento avversarie per isolarlo e renderlo vulnerabile; una vittoria conseguita non solo con i fucili sul campo ma con le gambe dei soldati con una serie di marce di aggiramento strategico e di accerchiamento che constrinsero il nemico ad arrendersi in assenza di una grossa battaglia campale. Ma anche in quei casi in cui si rese necessario un confronto sul campo (come ad Austerlitz nel 1805, a Jena nel 1806 e a Friedland nel 1807) la vittoria fu sempre francese grazie all’impiego aggressivo della fanteria di massa e il forte supporto dell’artiglieria, il ricorso a cariche gigantesche di cavalleria in funzione di sfondamento per sfaldare il nemico e dilagare poi nelle sue retrovie. A Eylau nel 1807 le difficili condizioni climatiche resero necessario rinunciare alle manovre di accerchiamento a favore dello scontro frontale e qui Napoleone riuscì a prevalere ma a prezzo di 15.000 soldati uccisi. In Spagna vince nel 1808 anche contro gli inglesi, vince anche in Austria nel 1809 con la vittoria di Wagram con 35.000 perdite – qui però furono essenzialmente guerre di logoramento. Dopo questo periodo, la Grande Armata francese sembra perdere il suo slancio, anche per via delle grosse perdite subite – c’erano sempre le nuove reclute, ma si trattava di giovani ed inesperti. Infine, i nemici di Napoleone avevano studiato attentamente le tattiche di Napoleone e conoscevano perfettamente le sue manovre; la dilatazione del territorio inoltre, faceva si che nuovi nemici premevano ai confini. Alla fine, i liberatori, i rivoluzionari, erano diventati forze d’occupazione invise agli occupati – ciò porterà quindi al risveglio delle identità nazionali. Gli uomini della Grande Armata, con le loro eleganti e scintillanti divise, avevano scritto con il sangue pagine di storia importanti e avevano raggiunto l’apogeo ma presto ci sarebbe stato l’inizio della fine. 64 IL PRIMO IMPERO FRANCESE Dopo pace di Tilsit (1807), ci fu la spartizione con la Russia dell’Europa – in pratica la Francia, tra il proprio territorio e quello degli alleati quali Austria e Prussia (alleati forzati in pratica) arriva ad estendere il proprio dominio su quasi tutta l’Europa. Rimane il blocco della Russia e naturalemente l’Inghilterra. Fu attuato contro quest’ultima un blocco economico, che però si rivelerà essere un fallimento perché c’erano troppi interessi commerciali scandinavi, russi e tedeschi che continuavano a fare affari con l’Inghilterra e questo fattore sarà uno dei motivi che fece fallire l’alleanza russo-francese. A capo degli stati satelliti Napoleone mise dei familiari, tra cui il fratello Giuseppe sul trono di Madrid ma questo fu un errore: egli era impopolare e poi ci fu pure la guerriglia spagnola con aiuto degli inglesi di Wellington ed egli non riuscì di fatto mai a pacificare la Spagna. L’altro fratello Luigi fu posto sul trono d’Olanda menrtre la sorella minore Carolina fu nominata regina di Napoli ma alla fine si unirono per complottare contro di lui. Quindi qui Napoleone fece male i suoi conti perché non poteva contare su una famiglia unita. Fu anche un errore la fine dell’alleanza con lo zar di Russia nel 1812 perché Napoleone deciderà di invadere la Russia. Questo fu l’inzio della fine dell’avventura napoleonica, dopo il suo esilio di 100 giorni sull’Elba. CAMPAGNA DI RUSSIA 1812 Prima dell’invasione c’è un progressivo deterioramento dei rapporti con la Russia. Nell’estate del 1812 si decide per invadere il paese: era un esercito multinazionale formato da piu di 600.000 soldati, (300.000 francesi), ma anche austriaci (30.000) e prussiani (20.000), poi italiani, altri tedeschi e poi polacchi. L’esercito principale era formato da 450.000, divisi in nove corpi d’armate. I russi con 400.000 soldati circa, di cui 211.000 in prima linea al comando dei generali Aleksej Arakseev e Michail Barclay de Tolly riescono a tenere sotto controllo l’esercito francese ma lo fanno avanzare. Questa strategia era in realtà incerta, non ragionata e dettata piu dal timore dell’esercito napoleonico, si rivela alla lunga vincente perché portò al logoramento dell’esercito napoleonico afflitto per di più da un’estate torrida. Al logoramento progressivo della Grande Armée si aggiunge poi politica della terra bruciata attuata dai russi e l’insufficienza di risorse locali – le truppe perciò restano senza risorse. Prima di allora la tattica di Napoleone, sulle più brevi distanze europee, aveva funzionato ma ora nell’immenso territorio russo non è più efficace. A complicare le cose ci sono le epidemie di tifo e migliaia di cavalli morti ogni giorno. L’esercito viene decimato inoltre dai continui attacchi nemici. Con la battaglia di Borodino, nel settembre 1812, ci fu uno scontro sanguinoso con 33.000 morti francesi. Entrata a Mosca a settembre, ma ci fu un incendio nella città in circostanze mai chiarite, e quindi Napoleone decide per la ritirata per non essere isolato in Russia in pieno inverno con il pericolo di insurrezione in Francia ma anche in Germania. Decide quindi la ritirata capendo che il suo potere era in pericolo e dal 23 ottobre 65 1812 con 87.000 soldati e 14.000 cavalieri inizia la ritirata fra attacchi continui dei cosacchi, dei contadini russi e del generale inverno con punte di ‐25 gradi che decimano i ranghi francesi. Le perdite quindi furono ingenti: su 450.000 soldati all’inizio della campagna di Russia, rimangono solo un decimo dei soldati, una sconfitta rovinosa che gli farà perdere anche fiducia in sé stesso. Con campagna di Russia si può fare un parallelismo interessante con la seconda guerra mondiale e l’operazione Barbarossa attuata da Hitler. L’ESILIO DI UN IMPERATORE Nel 1813, dopo la battaglia di Lipsia (del 16‐19 ottobre 1813), poi con la sua l’abdicazione e con il trattato di Fontainebleau dell’11 aprile, fu disposto il suo primo esilio sull’isola d’Elba durato poco più di tre mesi. Nel frattempo al trono francese sale Luigi XVIII, un nobile molto conservatore. Dopo i c.d. ‘’Cento Giorni’’ sull’isola, Napoleone fu richiamato in Francia: slo barco avvenne l’1° marzo 1815 in Francia con un esercito riorganizzato in fretta e furia, ma subisce una seconda sconfitta a Waterloo il 18 giugno 1815 – questa battaglia segnò definitivamente il tramonto napoleonico e fu deciso il suo secondo esilio a Sant’Elena, un isola in mezzo all’Atlantico dove morirà il 5 Maggio 1821. CONCLUSIONI L’impatto della Rivoluzione francese segna un momento epocale nella storia mondiale, con pesanti ripercussioni anche a livello militare. E’ il periodo della nazione in armi e l’inizio degli eserciti nazionali. La rivoluzione strategica napoleonica consiste nella creazione dei corpi d’armata, che vengono divise e possono maricare separatamente ad opera di uno dei più grandi strateghi militari dell’era moderna. La folle ambizione di voler conquistare tutta l’Europa, con una disastrosa campagna di Russia segna la fine dell’avventura di Napoleone. Egli decideva tutto a tavolino, anche i minimi dettagli attraverso il suo capo di stato maggiore, che poi doveva attuare le decisioni prese – c’era quindi una gestione troppo accentrata dell’esercito e questo rappresenta poi un limite. Il concetto di Stato Maggiore moderno così com’è oggi verrà nel 19imo secolo. Una guerra non si può pianificare da una sola persona e questa è la grande lezione che verrà tratta dalla storia di questo periodo. 66 SLIDE 8 – LA GUERRA NAVALE FINO ALL’INIZIO DEL XIX SECOLO Nella presente lezione verranno trattati i seguenti argomenti: – l’evoluzione della guerra navale, dall’antichità fino all’inizio del XIX secolo; – le differenze della guerra su mare ed oceani con quella su terra; – la guerra come prolungamento della guerra su terra fino al Medioevo; – l’arrivo dei cannoni nella guerra su mare e delle galeazze nella battaglia di Lepanto (7 Ott. 1571); – l’evoluzione del ‘’design’’ delle navi da guerra, con l’arrivo del vascello (Ship of the Line); – la battaglia decisiva navale: la battaglia di Trafalgar (21 Ottobre 1805). In un periodo dove non c’era la ferrovia, la nave rappresentava il più importante mezzo di comunicazione nel mondo e soprattutto per i commerci; il controllo del mare fu voluto e cercato da molte potenze che poi si scontrarono per il predominio del mare. Le battaglie sul mare saranno differenti da quelle terrestri. CONFRONTO DELLA GUERRA SU TERRA E MARE TERRA Innanzitutto il 30% della superficie terrestre è rappresentato dalla terra emersa. Le condizioni metereologiche su terra possono influire ma si può decidere di interrompere le campagne militari e rinviarle oppure a volte esse favoriscono un’azione (come nel caso della nebbia) oppure sono controproducenti (nel caso della campagna di Russia). Il mondo su terra ha una geografia variabile, occupabile e fortificabile con possibilità di stabilirvi forze statiche. Il controllo territoriale è fondamentale e vi è la possibilità di dispiegamento con forze statiche. Le battaglie su terra sono spesso battaglie decisive, ma anche con lunghe campagne a guerra d’usura che durano mesi o talvolta anni. MARE Il mare rappresenta il 70% della superficie terrestre. Le condizioni metereologiche sono qui un fatore fondamentale e hanno un impatto assolutamente decisivo sulle campagne navali. Si tratta di un mondo vasto ma vuoto, sempre uguale e che non può essere occupato o fortificato – quindi le battaglie di mare sono più rare rispetto alle battaglie di terra. Invece del controllo territoriale di una area, la strategia incorpora l’uso o il diniego dell’uso (denial of use) del mare. La battaglia con le navi risulta molto più costosa rispetto ad un esercito di terra e possono essere affondate in alcuni minuti con perdite di bilancio notevoli. Non ci sono possibilità di fuga. Le battaglie maggiori più letali e decisive, sono decise in qualche ora o anche minuti e al massimo possono durare uno o due giorni. La durata diminuisce specie nei tempi moderni. 69 LA CARACCA (XVI SECOLO) Era un grande veliero con tre o quattro alberi, sviluppato in Europa durante l’"Età delle scoperte’’ – era adatta alle lunghe tratte oceaniche, era abbastanza larga e stabile per il mare mosso e per gli scambi commerciali e di cibo. La poppa era alta, a cassero pronunciato, mentre la prua era rinforzata da un castello. Era un’imbarcazione fatta per il mare aperto e aveva un dislocamento di 400 tonnellate. Aveva una quindicina in media di cannoni o anche di più se era unacaracca impiegata per la guerra – essi erano disposti nei fianchi e questa imbarcazione si può considerare l’antenato del galeone. Il costo e il mantenimento di queste navi era alto perché una nave durava non più di 10 anni. La Spagna era una potenza militare (culminata con la scoperta dell’America da parte di Colombo), ma ora si affaccia sui mari anche l’Inghilterra sotto Enrico VIII. L’INVICIBILE ARMATA (AGOSTO 1588) Il conflitto tra Spagna ed Inghilterra per contrastare crescente potere navale inglese (con le incursioni di pirati inglesi di Francis Drake) e fece parte della guerra degli ottant’anni tra Spagna e le Province Unite, che furono aiutate in questo conflitto dagli inglesi – queste ultime, che erano l’attuale Olanda, erano protestanti come gli inglesi. C’erano anche delle rivalità personali tra Filippo II, che prima di Anna Bolena era sposato con Maria d’Inghilterra che era cattolica, e naturalmente la regina Elisabetta d’Inghilterra che aveva rifiutato la sua mano. La formazione spagnola era fatta da 130 navi tra cui 65 galeoni e circa 30.000 uomini (marinai, ma anche molti fanti, i c.d. tercios) – il piano era quello di partire dalla Spagna, approdare nelle Fiandre (sotto il controllo spagnolo) e poi sbarcare sul suolo inglese per invadere Londra. Le tattiche spagnole antiquate perché erano ancorate alle tattiche dell’abbordaggio, mentre le navi inglesi, tra cui quella del famoso Francis Drake, erano meno armate ma molto più veloci, con cannoni di grosso calibro per indebolire navi nemiche. Il 7 Agosto ci fu la battaglia di Gravelinga, in territorio delle Fiandre, con la flotta spagnola ancora ancorata per imbarcare le truppe di Alessandro Farnese (che di fatto non arrivarono mai perché aveva altri problemi interni a cui pensare) e l’utilizzo da parte inglese delle c.d. navi incendiarie, che esplodevano vicino alle navi nemiche e provocando gravi danni alla flotta spagnola. Così la c.d. invincibile armata spagnola riprese la rotta del rientro ma i venti contrari spingono l’Armata molto più a Nord, costringendola ad un giro lungo per arrivare dall’altro lato dell’Inghilterra e cercare di scendere verso la Spagna – ci furono poi tempeste vicino alle coste irlandesi che ne distruggono parzialmente la flotta e furono perse 45 imbarcazioni con più di 10.000 uomini persi. Molti approdarono sulle coste irlandesi rimanendovi e sposandosi con donne del luogo. Fu una campagna che costò molto alla Spagna, sia sul piano del prestigio che sul piano economico. Per la Regina Elisabetta fu invece un grandissimo successo. 70 LA MARINA COME SIMBOLO IMPERIALE Quind il fallimento dell’Invincibile Armata sancisce la dominazione inglese attraverso il globo, con una rivalità con gli olandesi ed i francesi, che non saranno mai a livello degli inglesi. Il mercantilismo inglese spinge il governo ad una politica economica volta all’arricchimento delle nazioni gravitanti intorno all’orbita inglese attraverso un surplus commerciale, ossia l’eccedenza delle esportazioni sulle importazioni. Quindi per avere guadagni bisognava avere una efficiente flotta commerciale e di conseguenza anche una flotta militare efficiente. Il controllo del governo sul commercio estero era fondamentale per la sicurezza dello stato. Difatti per la Spagna, il fatto di non aver accesso libero al mare per poter attuare i propri commerci con le colonie, provocò un danno enorme al bilancio dello Stato mettendo il paese sul lastrico. Infatti il commercio rappresentava la ricchezza per la Gran Bretagna – ciò voleva dire arricchimento anche per i commercianti e ciò equivaleva a maggiori tasse che poi venivano investite nella flotta militare e negli eserciti che dovevano garantire le vie commerciali per poter svolgere i propri scambi commerciali: • Commercio > richezza quindi tasse > flotta ed eserciti > vie commerciali garantite L’opzione della marina francese, visto che era inferiore in potenza di fuoco a quelle inglesi ed olandesi, fu l’utilizzo dei Corsaires – questi c.d. corsari, ufficialemente lavoravano per se stessi ma ufficiosamente erano al servizio della corona francese. Veniva utilizzata la lettera di corso per autorizzare il portatore della stessa ad attaccare le navi di stati in guerra con l’emissario del documento. Il vantaggio per il pirata era la spartizione del bottino, l’agire con una certa ufficialità e usare le navi regolari e non proprie ma da parte dei sovrani c’era il vantaggio di poter dire sempre che non avevano nulla a che fare con il pirata in questione se qualcosa andava storto. I VASCELLI DA GUERRA (XVII‐XIX SECOLO) I Vascelli, i c.d. Ship of the Lines o navi di linea, erano immensi vascelli a tre ponti armati dalle marine più potenti del tempo ossia Spagna, Inghilterra e Francia – erano armati da tre file continue di pesanti cannoni di bronzo e di ferro (spesso 60 o 70 e qualche volta di più), più numerosi altri pezzi di minor calibro sui casseri e sui castelli. La tattica usata era quella di attaccare in fila indiana con intervalli anche di 200 metri – quindi erano file di 7‐8 km. Lo scontro avveniva con due schieramenti nemici paralleli che si sparavano a vicenda attaccando la poppa, che era la parte più debole di ogni nave, la parte posteriore cioè. Occorreva avere il vento in prua: si cerca di utilizzare quindi il vento a proprio vantaggio perché così la propria flotta è più veloce rispetto a quella del nemico e naturalmente anche perché il fumo dei cannoni disturba il nemico. Nell’immagine che segue abbiamo due tipi di fare abbordaggio e di sparare nella guerra su mare: a sinistra si cerca di distruggere i cannoni e quindi l’artiglieria nemica e poi far affondare la nave, mentre nell’immagine di destra si mira più in alto per danneggiare alberi e vele per non farla muovere e senza distruggere quindi la nave. 71 LA BATTAGLIA DI TRAFALGAR (21 OTTOBRE 1805) E’ una battaglia navale delle guerre napoleoniche, tra la flotta franco‐spagnola e quella inglese. L’esercito francese era in vantaggio su tutti i fronti. Lo schieramento nemico era formato da 27 vascelli di linea inglesi agli ordini dell’ammiraglio Horatio Nelson contro la formazione franco-spagnola costituita 33 navi (18 francesi e 15 spagnole), comandati dall’ammiraglio Pierre‐ Charles Silvestre de Villeneuve. In una manovra ortodossa le due flotte si sarebbero affrontate fronteggiandosi parallelamente invece vediamo qui il c.d. Tocco di Nelson (Nelson’s Touch): si tratta di una manovra a T perché le due navi ammiraglie sfondano la linea nemica cercando di passare oltre; con lo svantaggio iniziale di esporre la prua della nave ammiraglia, ma con il vantaggio di utilizzare poi ambedue i fianchi del nemico colpendolo da entrambi i lati. Egli era entrato come mozzo nella marina inglese fino a diventare Lord Ammiraglio e dirà in seguito ‘’ENGLAND CONFIDES THAT EVERY MAN WILL DO HIS DUTY“ ‐ "L'Inghilterra si aspetta che ogni uomo faccia il suo dovere". Oppure ancora “Nessun capitano puo sbagliarsi se piazza la sua nave a fianco di quella nemica” – egli aveva piena fiducia nei suoi comandanti. Ci sarà uno scontro di 5 ore, con la vittoria schiacciante inglese (21 navi catturate, 1 affondata), che fermerà per sempre i piani di Napoleone di invadere l’Inghilterra. Nelson morirà per colpo di cecchino francese senza aver visto la vittoria finale, vittoria dovuta all’intuizione strategica di Nelson, ma anche ad un superiore addestramento inglese con una marina francese con poca esperienza e con molti ufficiali nobili esiliati. APPROFONDIMENTO All’inizio del ‘400 quindi, entra in uso il vascello, il veliero a tre alberi impiegato da spagnoli e portoghesi durante il ‘500 per i loro viaggi di scoperta. Nella seconda metà del XVI secolo gli spagnoli crearono il galeone, che aveva un sistema di velatura in grado di sfruttare meglio il vento e quindi garantire maggiore velocità; 74 LA GUERRA DI CRIMEA (1854 – 1856) Questa guerra è importante dal punto di vista tattico e apre la questione del ruolo della stampa e dell’informazione nel racconto della guerra, una questione aperta ancora oggi. Il conflitto nasce per la paura da parte delle grandi potenze europee quali la Gran Bretagna, che la Russia potesse approfittare della grave crisi dell’Impero ottomano in quel momento e dopo aver distrutto la flotta turca a Sinope nel 1853, per trovare uno sbocco nel Mediterraneo. Quindi nel marzo del 1854 la Gran Bretagna e la Francia dichiarano guerra alla Russia e ad esse si aggiunse poi il Regno di Sardegna per volontà di Cavour, il quale voleva portare la questione dell’unità d’Italia sullo scenario mondiale. Questo corpo di spedizione alleato sbarcò in Crimea nella metà del 1854 per bloccare sul nascere l’espansionismo russo verso la Turchia e il Mediterraneo. Dopo la vittoria degli anglo-francesi nei pressi del fiume Alma il 20 settembre, ci fu un successivo scontro a Balaclava il 25 ottobre. Nel frattempo dobbiamo dire che vi era stato l’avvento di armi da sparo più potenti e precise – per quanto riguarda la fanteria ad esempio, l’avvento delle pallottole sottocalibrate dette Miniè intorno al 1850 consentì l’impiego in combattimento delle canne rigate, che aumentò di molto la distanza di ingaggio col nemico – si passa da poco più di 100 metri a ben 1.000 metri, anche se l’efficacia vera e propria la si aveva a circa 600 metri. Quindi non occorreva più l’attacco di massa frontale oppure a quelli in ordine chiuso tipici dell’epoca napoleonica e si comincia con l’attacco in ordine sparso. Nella battaglia di Balaclava infatti, il 93° Reggimento di fanteria scozzese, colto di sorpresa da un’avanzata della cavalleria russa, venne schierato dal generale di divisione Colin Campbell su una semplice doppia linea di fila, nascosta dietro una collina, nonostante i manuali dell’epoca parlavano di uno schieramento a quadrato in caso di attacco a sorpresa del nemico o comunque in tripla fila per sfruttare appieno la fucileria. Ma Campbell prese quella decisione perché aveva solo un migliaio di uomini, e contava quindi sulla potenza di fuoco delle nuove armi e sulla professionalità dei suoi uomini. E l’espediente funzionò senza doversi mettere a quadrato esponendosi troppo. Quello stesso giorno, sempre a Balaclava, ci fu la celeberrima Carica della Brigata Leggera o Carica dei Seicento – in quell’occasione la cavalleria inglese fu lanciata incautamente contro l’artiglieria russa e venne quindi pesantemente colpita da questa, a conferma del fatto che le nuove armi facevano in modo che un attacco chiuso – da qualsiasi parte provenisse – era destinato al fallimento perché le nuove armi rendevano efficace la difesa. Quindi la potenza difensiva stava prendendo il sopravvento su quella offensiva. Infatti dei 673 effettivi della Brigata Leggera, solo 195 riuscirono a tornare perché lasciarono sul terreno 113 morti e 247 feriti. La tecnologia stava quindi influenzando il modo di fare guerra. Questa conflitto fu anche il primo in cui furono presenti corrispondenti di guerra come William Howard Russel corrispondente del Times di Londra – si apre la questione del rapporto tra guerra e rappresentazione mediatica della stessa. Fino ad allora le guerre avevano goduto della sola rappresentazione eroica, utile a creare il consenso nella popolazione, spesso non conforme alla realtà proprio per questo scopo. 75 La presentza dei corrispondenti ora faceva pervenire al pubblico la cruda realtà del sangue, della sofferenza, delle miserie e della morte che la guerra portava con sé. Era quindi una visione più realistica dove venivano alla luce tutti gli orrori della guerra ma anche fatti che i governi e i vertici militari avrebbero voluto occultare. Gli inglesi in Crimea, falciati dal freddo, dalla fame e dal colera ebbe a scrivere: “questi uomini muoiono senza che si faccia alcun sforzo per salvarli”. Tutto ciò indusse il governo britannico ad introdurre la censura preventiva di queste corrispondenze in modo che arrivasse al pubblico solo ciò che il potere politico riteneva opportuno. Si avvia così una profonda frattura fra realtà e narrazione, frattura che ancora oggi attende di essere sanata. Dopo la conquista di Sebastopoli da parte degli anglo-francesi con il supporto piemontese e turco nel 1856, il conflitto si avvia alla conclusione perché il nuovo zar Alessandro II voleva arrivare alla pace, sancita il 30 marzo 1856 con il trattato di Parigi, con la quale la Russia riconosce l’integrità territoriale dell’Impero ottomano e rinuncia ad ogni mira espansionistica su di esso e sul Mediterraneo. Quindi con la guerra di Crimea la guerra inizia la sua marcia verso la modernità, sia sul piano tattico che su quello comunicativo. 76 LA SECONDA GUERRA DI INDIPENDENZA E LA SPEDIZIONE DEI MILLE (1859 – 1860) La seconda guerra di indipendenza italiana fu preparata attentamente da Cavour con la partecipazione alla guerra di Crimea da parte del regno di Sardegna. Sicuramente l’esercito sardo era molto più piccolo a confronto dei due tra i migliori eserciti europei, quello francese e quello autro-ungarico, ma la mossa di Cavour era quella di accendere i riflettori sulla questione italiana. Cavour, dopo il congresso tenutosi a Parigi, stipula un’alleanza con i francesi e, di fronte all’ultimatum austriaco del 23 aprile 1859 per il movimento di truppe piemontesi al confine lombardo, aspettando proprio questo rifiuta di acconsentire aprendo volutamente la guerra contro gli austriaci per la conquista della Lombardia. Gli austriaci avrebbero dovuto attaccare velocemnte il Piemonte impedendo che arrivassero in supporto le truppe di Napoleone III ma il comandante supremo austriaco, il generale Gyulai non era un tipo deciso e l’invasione del Piemonte fu lenta e tentennante. A metà maggio, con l’arrivo sul campo dei francesi, l’iniziativa passò in mano alleata – dopo una prima vittoria a Montebello il 20 maggio, Napoleone III diede inizio a una manovra aggirante passando per Vercelli e Novara per arrivare sul fianco destro austriaco – tale manovra si rivelò però lenta anche se portò ai successi di Palestro il 30 e 31 maggio e di Magenta il 4 giugno, aprendo ai franco-piemontesi la via per Milano. Sul fianco destro austriaco nel frattempo, arrivarono i Cacciatori delle Alpi di Giuseppe Garibaldi che punzecchiavano continuamente il nemico su quel fianco con la loro intraprendenza ottenendo piccoli successi a Varese e a San Fermo il 26 e il 27 maggio. Gli austro-ungarici si ritirarono in un primo momento presso il fiume Chiese ma vedendo l’incertezza dei franco-piemontesi, tornarono all’attacco a Solferino e a San Martino il 24 giugno, dove lo slancio franco-piemontese riuscì a tamponare e a vincere ma al costo di gravi perdite. La durezza dello scontro indusse Napoleone III, minacciato anche dalla Russia, a stipulare con l’imperatore d’Austria l’armistizio di Villafranca l’11 luglio – questo fatto segna il fallimento della guerra regia di Cavour di fronte alla sinistra che chiedeva la guerra di popolo. In realtà l’esercito sardo era professionale ma purtroppo aveva gravi carenze a livello di comando e non aveva delle riserve addestrate che potevano subentrare. Di contro c’era la guerra asimmetrica di Garibaldi, che aveva dimostrato il successo della forma volontaria di guerra perché aveva creato non pochi fastidi al fianco del nemico. Fu proprio il fallimento dei moderati a far sì che l’anno dopo, l’iniziativa di guerra passasse ai democratici – in quest’ottica va vista la spedizione dei Mille effettuata da Garibaldi l’11 maggio 1860 in Sicilia – le camicie rosse sbarcate a Marsala, intendevano provocare un’insurrezione tra i siciliani già scontenti per dirigerla e coordinare gli sforzi – bisognava unire l’insorgenza urbana con quella contadina. Battuti i borbonici a Calatafimi il 15 maggio in un durissimo scontro, Garibaldi con una serie di abili manovre aggirò il nemico ed entra a Palermo (27-30 maggio) – dopo una breve sosta, si riorganizza e batte i bobonici a Milazzo il 20 luglio – una volta conquistata la Sicilia passa lo stretto di Messina per sbarcare in Calabria. Qui l’esercito borbonico già disgregato, non riuscì a fronteggiare l’avanzata garibaldina perciò il 7 settembre viene anche conquistata la capitale del Regno, ossia Napoli – qui le forze di Garibaldi erano arrivate stremate perché non ci fu la partecipazione di massa che egli si aspettava. Il nemico, approfittando ci ciò cerca di 79 quali celare le proprie forze per consentire loro di reggere l’urto del nemico. Ampie zone della Virginia si riempirono di chilometri di trincee anticipando così gli scenari dell’Europa della prima guerra mondiale. Le altre soluzioni operative adottate dai confederati furono le grandi incursioni di cavalleria oltre le linee nemiche effettuando penetrazioni anche di centinaia di chilometri nella speranza di colpire le retrovie del nemico e indurre agitazione nella popolazione civile ottenendo il massimo dei risultati con il minimo dispendio di forze. La Confederazione fece anche ricorso a forme di guerriglia e di guerra partigiana, ma malgrado i successi conseguiti con queste operazioni, la dirigenza confederata che era molto conservatore non ne colse la loro utilità e non diede seguito a questa linea per non continuare la guerra ad oltranza. Prevalse quindi una visione di tipo tradizionale per difendere la popolazione civile, soprattutto per difenderla dagli attacchi terroristici del generale Sherman, che si spinse fino ad Atlanta in Georgia con la politica di terra bruciata in un crescendo di violenze anche contro la popolazione. Il sud si rende così conto troppo tardi che deve liberarsi del fardello della schiavitù. Dal punto di vista della guerra sul mare, la Confederazione si dotò di navi corazzate per colmare il divario esistente con la marina nordista, imbarcazioni protette da lastre in acciaio al posto di quelle tradizionali in legno, ma la marina nordista era superiore numericamente. Questo conflitto vide inoltre l’impiego delle mine, altra novità, e soprattutto l’impiego del primo sommergibile, il celebre Hunley che il 17 febbraio 1864 affondò nella baia di Charleston una nave da guerra unionista – si trattò di un fatto eclatante che si ripetè solo nell’ambito della prima guerra mondiale. Un’altra innovazione fu il ricorso alle navi corsare ben armate e veloci, incaricate di violare il blocco che la flotta unionista aveva messo contro la Confederazione – questa soluzione diede ottimi risultati ma venne messa in pratica troppo tardi. L’ultima nave corsara fu il Shenandoach che fu costretto ad abbassare la propria bandiera il 6 novembre 1865 a Liverpool. Questa guerra quindi fu un formidabile concentrato di innovazione che avrebbero segnato per decenni le guerre successive – fece però più di 600.000 morti, a causa anche dell’impiego di fucili a ripetizione e mitragliatrici Gatling. LA TERZA GUERRA DI INDIPENDENZA ITALIANA La guerra fu condotta dall’Italia avendo come alleato la Prussia e aveva come obiettivo la liberazione del Veneto ancora in mano agli austriaci – era necessario appoggiarsi ad un alleato straniero. Preparata diplomaticamente e politicamente male, risultò anche peggiore sul piano strategico, dove i contrasti e le invidie tra i generali La Marmora e Cialdini, portarono alla divisione dell’esercito in due masse separate e ciò annullò la schiacciante superiorità italiana in termine di numero di soldati – infatti il grosso delle forze austriache si era rivolto contro la Prussia (siamo nell’ambito della guerra austro-prussiana) e il fronte italiano con la sua divisione favorì le manovre interne del nemico. La parte di esercito al comando di La Marmora, attraversò il Mincio e si fece sorprendere a Custoza dagli austriaci il 24 giugno 1866 – era un insuccesso dovuto alla disorganizzazione e all adivizione dei due comandi 80 ma psicologicamente pesò come un disastro sull’esercito italiano – si pensò allora di dare alla Marina militare il suo ruolo, cosa che non era mai accaduta nelle altre due guerre di indipendenza, pensando ad un attacco via mare. Era una marina di nuova formazione, come l’esercito ed era anche impreparata ad affrontare una guerra navale e per di più era guidata da un inetto, l’ammiraglio Carlo Pellion di Persano. Non era stato preparato alcun piano per la flotta e lo stesso Persano era contrario ad un intervento e furono necessarie pesanti pressioni per farlo agire. Quindi egetthoffla flotta italiana si muove verso l’isola dalmata di Lissa dove però venne sorpreso dalla flotta austriaca, numericamente inferiore ma ben guidata dall’ammiraglio Tegetthoff – la vittoria fu così commentata: ‘Navi di legno comandate da uomini con la testa di ferro hanno sconfitto navi di ferro comandate da uomini con la testa di legno’. Dop una lunga stasi, l’avanzata italiana riprende solo dopo l’avvio della ritirata delle truppe austriache verso il cuore dell’Impero causata però dalle sconfitte inflitte dai prussiani – la pace di Vienna del 3 ottobre sancì l’annessione del Veneto all’Italia. In sostanza il mezzo fallimento italiano può essere imputato al fatto che quando il conflitto fu preparato a livello diplomatico, il ministro della guerra che era Alfonso La Marmora adottò una linea di estrema cautela, tesa ad ottenere il Veneto per via diplomatica o al massimo con un abbozzo di guerra e tale doppiezza si riflesse inevitabilmente nella successiva condotta strategica in guerra, senza un piano preciso. E poi l’esercito era del tutto disorganizzato e provato dalle lunghe lotte contro il brigantaggio in meridione. Il problema dell’esercito nazionale non era stato risolto, semplicemente si era allargato a dismisura quello piemontese, che aveva favorito la carriera di militari inetti al comando. E l’impiego di volontari delle altre forze politiche che non fossero i moderati era naturalmente mal vista dal governo italiano perciò l’azione dei garibaldini in particolare fu circoscritta volutamente. L’ottima difesa austriaca favorita dal terreno montuoso fece naturalmente il resto e la campagna garibaldina non fu all’altezza delle precedenti ma, ironia della sorte, le pagine più belle del conflitto furono scritte proprio da questi volontari. Quindi l’esercito italiano era impreparato, male organizzato, mal diretto e poco equipaggiato e ciò valeva anche per la Marina, con un corpo ufficiali poco aggiornato con una volontà di ottenere gli obbiettivi sacrificando le vite degli alleati a cui ci si intendeva appoggiarsi – di questo modo italiano di fare la guerra si è sempre parlato poco e si è volutamente taciuto e si è preferito parlare del pacifismo italiano. 81 SLIDE 9 – LA GUERRA INDUSTRIALE NEL 19IMO SECOLO Nella presente lezione verranno trattati i seguenti argomenti: – l’arrivo della Rivoluzione industriale e le sue innovazionI tecnologiche; – l’impatto del treno sulla strategia americana nella guerra di Secessione; – le riforme dell’ordinamento militare prussiano, con l’arrivo dello stato maggiore generale; – l’avvento della potenza tedesca nella guerra austro‐prussiana (1866) e franco‐prussiana (1870). In questa guerra ne faranno le spese i francesi e questa rivalità tra i due paesi fino allo scoppio del primo conflitto mondiale. Rivoluzione che nasce in Inghilterra nel XVIII secolo (dovuto a fattori quali posizione geografica, impero, materie prime come carbone e ferro in abbondanza, manodopera a basso costo dovuto alla rivoluzione agricola) che poi si espande attraverso l’Europa, soprattutto nelle regioni con più miniere di ferro e carbone (Fiandre, Nord della Francia, alcune zone della Germania). La rivoluzione industriale fu quindi un catalizzatore di grande novità. Nasce soprattutto nell’europa del Nord. Si basò su tre principi: - la sostituzione del lavoro artigianale con strumenti meccanici di nuova invenzione - l’uso del vapore e del carbone al posto della forza animale e umana - l’ammodernamento nella trasformazione delle materie prime - soprattutto nel campo della metallurgia e delle industrie chimiche LA RIVOLUZIONE INDUSTRIALE SI ESPANDE Nel XVIII secolo nascono molte fabbriche dove gli operai lavorano con nuovi macchinari: – infatti nel 1765 c’è l’invenzione di una macchina meccanica per filare il cotone (il filatoio meccanico) e la produzione aumenta di ottanta volte rispetto alla filatura manuale; – nel 1769 James Watt inventa la macchina a vapore. Molte fabbriche sono filande, ma crescono anche altre industrie come quella meccanica, mineraria e metallurgica. Le fabbriche sono vicine a città sempre più grandi e popolate. Nascono importanti centri industriali e soprattutto i sobborghi urbani cambiano volto con l’insediamento degli operai venuti dalle campagne. Nascono città industriali quali Liverpool e Manchester. Le condizioni di lavoro sono però dure soprattutto per donne e bambini con turno di lavoro di ben 12 ore. Gli operai non avevano tutele previdenziali e sorge con urgenza la questione sociale e di conseguenza la nascita dei partiti socialisti e comunisti. Il carbone e il coke (combustibile ottenuto dal carbone) sostituiscono il legno e si ottiene un ferro di migliore di qualità. • Dal 1814 al 1853 le esportazioni di ferro della Gran Breltagna raddoppiano e rappresentano oltrettutto il 50% produzione mondiale. 84 Sotto Von Moltke, ogni anno 120 ufficiali di tutti i reggimenti entrano nella Kriegsakademie dietro concorso, ma solo 12 scelti personalmente da Von Moltke per entrare nello Stato maggiore generale, gli altri restano nei loro reggimenti e la metà abbandona il corso strada facendo. Era quindi una scuola altamente selettiva. Ne uscivano ufficiali altamente qualificati in affari politici, dottrine militari, logistica, esercizi di topografia – venivano fatte le simulazioni delle battaglie passate dove si era avuta una sconfitta, in modo da poter analizzare i motivi delle sconfitte avute - formano il c.d. ‘’Sistema nervoso’’, lo Stato Maggiore Generale i cui componenti venivano messi ognuno in un reggimento e dovevano occuparsi della parte tattica, strategica e logistica. Lo Stato Maggiore crea diversi dipartimenti, tra cui quelli di diversi teatri di Guerra, ma anche addetti ai trasporti (ad esempio le ferrovie) e al telegrafo. LA GUERRA AUSTRO‐PRUSSIANA (1866) E’ una guerra che fu combattuta da giugno fino ad agosto 1866 tra Austria e Prussia (con il supporto del Regno d’Italia che voleva recuperare i territori italiani del nord ancora sotto l’impero austro-ungarico. Il sistema militare prussiano era basato sulla coscrizione obbligatoria di 3 anni al bisogno, con la riserva stabilita vicina ai depositi reggimentali in caso di mobilitazione, in modo da poter intervenire velocemente se vi era necessità di spostare le truppe. I prussiani avevano 4 linee ferroviarie, contro l’unica linea ferroviaria in Austria e per di più a scartamento unico. Inoltre l’impero austriaco era molto vasto e con buona parte dell’esercito stanziata in diversi territori oppure di parata. Per quanto riguarda infatti la mobilitazione dovuta alle linee ferroviarie: - la Prussia riesce a muovere 285.000 uomini in 25 giorni - l’impero austro-ungarico muove 200.000 in 45 giorni Poi c’era anche da considerare che i fucili prussiani erano migliori – l’esercito prussiano era dotato del fucile Dreyse a retrocarica) – in compenso però, erano migliori i cannoni austriaci in quanto erano a retrocarica e a a canne rigate. LA BATTAGLIA DI SADOWA (3 LUGLIO 1866) La battalgia di Sadowa in Boemia, è un esempio di ottima pianificazione strategica, con tre eserciti prussiani sotto il comando di Von Moltke che convergono sull’esercito austriaco comandato da Ludwig Von Benedek da tre direzioni differenti – il principio dell’esercito prussiano era ‘marciare separatamente e colpire uniti’. L’esercito austriaco contava 184.000 uomini contro i 134.000 prussiani e quindi in un primo momento si trova in superiorità numerica – la prima armata prussiana cerca di sfondare la linea dell’Elba e i cannoni austriaci Armstrong, superiori a quelli prussiani ancora di tipo napoleonico, in un primo momento mettono in difficoltà l’esercito prussiano, che dovette sostenere furiosi combattimenti per non subire la sconfitta. Al momento decisivo invece arriva la seconda armata prussiana da nord-ovest con 100.000 uomini che danno una disfatta totale agli austriaci. 85 Dopo battaglia, Von Moltke vuole inseguire l’esercito fino a Vienna, ma Bismarck vuole l’armistizio per non dare una pace punitiva agli austriaci, umiliarli per poi avere dei nemici in futuro. In una eventuale guerra contro la Francia, egli voleva avere quanto meno un’Austria neutrale. Tale politica si rivelerà poi un successo diplomatico se guardiamo all’ambito della guerra franco-prussiana. LA GUERRA FRANCO‐PRUSSIANA (1870‐1871) La rivalità fra Francia e Prussia portò alla guerra che opponeva la Francia e la Confederazione tedesca del Nord (sotto guida ovviamente prussiana) con inoltre l’appoggio di Baden, Baviera e Württemberg. Dopo la guerra con austriaci, la Prussia annette altri territori tedeschi come lo Schleswig, l’Holstein, Hannover, l’Assia‐Kassel e Nassau) e forma anche un’alleanza con altri stati della Confederazione. Si avvia quindi a diventare uno stato forte e potente al centro dell’Europa. Il casus belli fu la crisi dovuta alla successione sul trono di Spagna nel 1868 quando muore Filippo II – ci fu la candidatura di un prussiano e naturalmente ci fu l’opposizione francese, che non volevano ritrovarsi presi tra due fuochi con gli Hohenzollern sia in Spagna che in Prussia. Mandano pertanto un loro emissario a parlare con Guglielmo I tramite dispacci – il sovrano era alle terme e pertanto Bismark prese la situazione in mano. Con il dispaccio di Ems, che recava il rifiuto del re di Prussia nel mettere il veto in futuro sul figlio quale pretendente al trono di Spagna, il testo fu cambiato da Bismarck, che manipolò il dispaccio per farlo sembrare un insulto ai francesi – il re in realtà aveva assicurato che il figlio non sarebbe mai diventato il re di Spagna. Bismark così ottiene di esacerbare i francesi e fare in modo di essere attaccato per primi da loro – avviene quindi la dchiarazione di guerra francese il 19 luglio, ma la Francia si trova isolata diplomaticamente, con l’Austria e l’Italia che si rifiutano di intervenire. Ecco qui i frutti del lavoro diplomatico di Bismarck. La Prussia inizia la mobilitazione ingente con più di 1 milione di uomini, di cui 460.000 vicino alla frontiera, contro i 260.000 soldati francesi. C’è però un problema strategico da parte francese: l’esercito francese era diviso in due parti, una prima parte in Lorena e a Metz e una seconda parte più a nord dalle parti di Chalon, con Napoleone III che oltretutto concentra tutte le decisioni strategiche senza dare autonomia alle varie armate divise. I prussiani, con una manovra a tenaglia divisono definitivamente le due armate. L’esercito francese si sfalda così definitivamente e non si riunirà mai durante questa guerra. LA BATTAGLIA DI SEDAN (1° SETTEMBRE 1870) Fu la battaglia decisiva della guerra franco‐prussiana - 130.000 francesi comandati da Patrice de MacMahon, si ritrovarono circondati e invano cercarono di ricongiungersi con il resto dell’esercito francese assediato a Metz (Bazaine), da 200.000 prussiani guidati appunto da Von Moltke. Con la battaglia Kesselschlacht (detta la battaglia del calderone) per l’accerchiamento e l’annientamento del nemico, i francesi cercano di resistere con abnegazione e coraggio, ma hanno posizioni scoperte decimate dall’artiglieria prussiana che ora ha anch’ssa i cannoni Armstrong. Ci fu la resa francese con Napoleone III che viene fatto prigioniero. 86 LA NASCITA DEL II REICH Il 18 gennaio 1871, nella Galleria degli Specchi di Versailles (il simbolo dle predominio francese), nasce dell’Impero tedesco con Guglielmo I proclamato Kaiser (Imperatore) della Prussia oramai allargata agli altri stati del nord alleati e con l’annessione dell’Alsazia e della Lorena strappati alla Francia. Quindi una grande umiliazione volutamente inflitta alla Francia. Ecco quindi il germe futuro della rivalità franco‐tedesca che assieme ad altri motivi porterà allo scoppio della prima guerra mondiale. CONCLUSIONI L’impatto della Rivoluzione industriale rende i conflitti più totali e con mobilitazioni più ingenti. Viene utilizzata la ferrovia come arma strategica decisiva per i rifornimenti logistici. La creazione dello Stato maggiore generale in Prussia è una novità importante negli ordinamenti militari. La creazione del Secondo Reich, fatta attraverso le vincenti guerre contro Austria e Francia umilierà pesantemente quest’ultimo paese. 89 SLIDE 10 – LE GUERRE COLONIALI Si tratta di tutti quei conflitti che furono combattuti in aree geografiche lontane dall’Europa – tra il 1870 e il 1914 infatti, la duratura pace esistente in Europa ridusse grandemente i livelli di conflittualità interni e la competizione tra stati si rivolse all’esterno del vecchio continente, visto che ognuno di essi era ora impegnato nelle conquiste coloniali – quindi le rivalità tra gli Stati in materia coloniale furono essenzialmente a livello diplomatico, mentre gli scontri diretti si svolsero tra le truppe europee e le popolazioni locali. In realtà Francia e Gran Bretagna avevano iniziato le loro imprese coloniali prima del 1870 in Algeria e in Egitto – poi queste operazioni si intensificarono perché anche la Germania e l’Italia divennero potenze coloniali. In questi tipi di conflitto emergono le difficoltà dovute alla diversa conformazione del territorio, le condizioni ambientali e climatiche, l’adeguato supporto logistico e la presenza di malattie nu0ove. Un altro problema fu la sottovalutazione del nemico che portò a scontitte come quella inglese a Isandlwana nel 1879 e quella italiana ad Adua nel 1896. Ciò è sicuramente dovuto ad una certa mentalità razzista che considerava gli indigeni inferiori – tant’è che gli eserciti europei erano sempre in sottonumero rispetto alle formazioni indigene. C’è da considerare che le innovazioni nel campo delle armi compariranno in questi territori solo a metà dell’800, quando la comparsa dei fucili rigati a retrocarica fece spesso capovolgere la situazione in favore degli europei perché gli indigeni avevano ancora i moschetti ad avancarica. L’artiglieria invece non si poteva spesso usare perché si trattava di paesi con vie di comunicazione scarse ed accidentate. A ciò si aggiunge il fatto che gli eserciti europei, invece di mettere sul campo truppe regolari assai esposti alle malattie del posto, preferirono integrarle con truppe indigene meno costose, più a loro agio nel loro ambiente e più veloci negli spostamenti. Inoltre, per questioni di politica interna, la morte di truppe indigene suscitava meno indignazione di quelle nazionali. La novità di queste guerre è che di fronte a nuovi nemici e nuovi territori, le tattiche di guerra fin’ora conosciute non sempre funzionavano e perciò ci si dovette adeguare ad un tipo di guerra irregolare. Nel libro Small wars di Charles Edward Callwell del 1879, l’autore fissa alcuni principi operativi: prima di tutto lo scontro decisivo per fiaccare il nemico e neutralizzarlo. Col tempo però questo non funzionò più perché le popolazioni locali avevano capito l’antifona e non cercarono più lo scontro decisivo preferendo la strategia di logoramento – gli occidentali potevano certamente vincere negli scontri diretti (gli inglesi a Tel El-kebir nel 1882 e a Omdurman nel 1898) ma non avevano truppe a sufficienza per il completo controllo del territorio ed inoltre la popolazione civile li odiava. Tutto ciò portò ad un inasprimento dei conflitti e alla loro evoluzione verso gli estremi, con gli occidentali che usavano la mano pesante con gli indigeni come ad esempio la distruzione sistematica delle fonti di approvvigionamento e l’adozione di varie forme di repressione contro la popolazione civile. In particolare la seconda guerra anglo-boera (1899-1902) fu una delle primissime guerre moderne – iniziata come un conflitto tradizionale, si trasforma in una guerra di guerriglia quando i boeri si resero conto di non avere possibilità in campo aperto contro gli inglesi e in un primo momento la tattica della guerriglia funzionò. Poi i comandanti britannici si resero conto che non dovevano muoversi liberamente tra la popolazione civile 90 e allora cominciarono ad attuare una politica di terra bruciata distruggendo ben 30.000 fattorie, uccidendo milioni di capi di bestiame, una soluzione che privò delle risorse la guerriglia e coinvolse la popolazione civile. Poi 120.000 persone della regione Transvaal e dello stato libero d’Orange vennero raccolte all’interno di campi di concentramento per evitare che i terroristi avessero contatti con la popolazione e dove le condizioni di vita era terribili – vi trovarono la morte 28.000 persone. Questa soluzione era stata già usata durante la guerra ispano-americana del 1898-1902 e trovò la sua consacrazione in Sud Africa, creando un precedente che sarà largamente utilizzato nei conflitti post-coloniali del XX secolo. Sul piano tattico la guerra anglo-boera insegnò quello che già si sapeva e cioè che l’impiego delle nuove armi rigate e a retrocarica richiedevano un uso cato della fanteria e che gli attacchi chiusi erano praticamente impossibili a causa dell’alto numero di perdite che l’attaccante ogni volta subiva. C’è anche da dire che i cittadini-soldati boeri si rivelarono in più occasioni non inferiori ai militari britannici e poi lo sdegno profondo dell’opinione pubblica inglese che seppe, attraverso la stampa, delle pratiche messe in atto da parte degli inglesi. In sintesi, le guerre colonniali, dal punto di vista militari, rappresentano un caso a parte nella storia militare perché diverse da ogni tipologia di conflitto venuto alla luce sino ad allora ponendole a cavallo tra la guerra regolare e la guerra irregolare. Rivelò poi una possibilità fino ad allora sconosciuta – la possibilità di vincere la guerra regolare ma di perdere quella irregolare. Le guerre coloniali nel 19imo secolo Nella presente lezione verranno trattati i seguenti argomenti: – la teoria del nuovo imperialismo e i principi della nuova spinta colonizzatrice nel XIX secolo; – l’impero coloniale francese e la sua espansione nel XIX secolo; – vantaggi e svantaggi dell’utilizzo di truppe metropolitane e truppe indigene; – l’esempio di due politiche coloniali di contro insurrezione: la soluzione militare del Generale Bugeaud in Algeria e la soluzione politica del Generale Galliéni in Tonchino. La natura delle guerre coloniali è differente, aiutata soprattutto anche dalla nuova tecnologia emergente dovuta alla rivoluzione industriale in atto. LA DEFINIZIONE DI NUOVO IMPERIALISMO (IL ‘NEW IMPERIALISM’) Il processo attraverso il quale uno Stato, con una forza militare più potente e una tecnologia più avanzata, impone il suo controllo su un territorio, sulle risorse e sulla popolazione di una regione meno sviluppata – nel 19imo secolo si tratta soprattutto di territori africani ed asiatici. Abbiamo già assistito nel mondo antico al concetto di impero con l’esempio dell’impero romano ma nel colonialismo moderno abbiamo altre carattersitiche perculiari rispetto al mondo antico: 91 - innanzitutto l’imposizione attraverso la forza e la tecnologia (grazie alla rivoluzione industriale che porta alle armi rigate, alla ferrovia e così via ed arriva per prima in Europa, fa sì che siano i paesi occidentali a colonizzare i territori più poveri) - il rapporto iniquo tra territorio metropolitano e periferie, con lo sfruttamento delle colonie fatto sempre e senza mai nessun vantaggio per le stesse - i tre pilastri del nuovo imperialismo ossia la ricchezza, la gloria e Dio (in inglese Gold, Glory and God) LA RICCHEZZA OSSIA IL COMMERCIO La rivoluzione industriale in Europa comporta una maggiore domanda di materie prime non presenti in Europa stessa quali gomma, petrolio, stagno, seta e così via… Il capitale privato delle aziende metropolitane ha bisogno di essere reinvestito nelle colonie e ciò comporta vantaggi anche per gli Stati occidentali, che vedono le bilance commerciali così in attivo ma vedono anche maggiori introiti da punto di vista delle tasse prelevate. Spesso ci furono investimenti rischiosi in territori considerati come zone di frontiera, ma a lungo termine molto redditizi per la metropoli occidentale. La bilancia commerciale quindi volge a profitto delle patrie occidentali con un’eccedenza di esportazioni di prodotti manufatti sulle materie prime importate. Consideriamo che ci fu anche un imperialismo di tipo sociale con l’esportazione di problemi interni quali detenuti, prigionieri politici, persone senza lavoro che si riversarono verso questi nuovi territori. GLORIA E PRESTIGIO Il nuovo colonialismo era volto anche a proiettare il proprio potere e il proprio prestigio nel mondo – quindi si verifica la corsa verso l’espansione in nuove regioni per danneggiare altre nazioni, una corsa verso la conquista di nuove colonie che vide impegnate in prima linea Francia e Inghilterra, ma poi anche la Spagna e il Portogallo. L'esperienza coloniale si pone al centro della coscienza nazionale e pone alla ribalta internazionale unp stand di prodotti coloniali nuovi, fino a quel momento sconosciuti. DIO E LA MISSIONE DI CIVILIZZAZIONE L’ipotesi che i non bianchi fossero culturalmente e razzialmente inferiori portò a questa missione civilizzatrice verso queste nuove popolazioni e i paesi occidentali si assunsero la responsabilità morale di civilizzare i popoli considerati "ignoranti" diffondendo anche il cristianesimo e il cattolicesimo in parecchie regioni del mondo, soprattutto da parte di Spagnoli e Portoghesi in America Latina. La razza bianca si considera superiore in quanto detentrice della vera civilità e prende piede una sorta di razzismo da parte dell’occidente. I rapporti quindi tra Europa e territori colonizzati saranno sempre impari, con una posizione sempre di vantaggio da parte dell’Occidente. 94 Poi ci sono i Spahis, termine di origine araba ossia ‘’sbah‘’ (che vuol dire mattino), ossia i ''cavalieri del mattino'', truppe mobili a cavallo reclutate localmente che partecipano alla contro-insurrezione in Algeria. IL MARESCIALLO THOMAS BUGEAUD (1784‐1849) Era un veterano napoleonico - partecipa come caporale alla battaglia di Austerlitz, poi in Spagna fu promosso tenente colonnello nel 1813 – acquisisce una notevole esperienza in campo contro l'insurrezione spagnola. E’ in questa occasione che egli applica la strategia c.d. Hearts and Minds (ossia Cuori e Menti): vennero difatti proibiti i saccheggi sul territorio a danno della popolazione locale e usò degli spagnoli filo‐francesi nell'amministrazione pubblica. Fu uno dei primi infatti a capire che, nelle conquiste coloniali, non si poteva fare tutto da soli ma occorreva anche l’appoggio dei notabili, di una parte della popolazione locale per riuscire ad imporsi. L’OCCUPAZIONE DELL’ALGERIA (1830‐1956) Bugeaud fu l’artefice della conquista dell’Algeria. La guerra scoppiò con un incidente diplomatico perché il console francese fu schiaffeggiato dal bey di Algeri per una questione di soldi – il console minaccia la guerra e quindi arriva un contingente francese di 27.000 uomini. Algeri fu conquistata il 7 luglio 1830, con l’immediata annessione – la conquista fu attuata attraverso decenni e resa difficoltosa da un clima caldissimo e da zone montagnose e desertiche ricche di grotte che le forze algerine sfruttavano per nascondersi. ABDELKADER IBN MUHIEDDINE (1808‐1883) L’insurrezione algerina anti-colonialista fu guidata da Abdelkader ibn Muhieddine (1808‐1883), l’emiro del Marocco, che riuscì a unire le varie tribù algerine per contrastare la colonizzazione francese. Si trattava di un leader notevole, con una forte personalità e che conduceva una vita molto frugale (dormiva ad esempio in tenda) ed era molto tollerante nei confronti di cristiani ed ebrei – quindi era molto ammirato. Egli attua la politica della guerriglia negli anni '40, evitando le battaglie campali perché si rende conto che sul campo non poteva farcela contro l’esercito francese. Si arrese il 21 dicembre 1847 e fu esiliato in Francia. Fu poi liberato da Napoleone III il 16 ottobre 1852. Nonostante questo, sono anni in cui le truppe francesi annaspano, fiaccati dal clima e dall’ostilità della popolazione e a costo di tante perdite ma anche di molte stragi attuate da parte loro – d’altronde le truppe indigene sfruttando la geografia del loro territorio per cercare di prevalere. LA PACIFICAZIONE DI BUGEAUD (1841‐1860S) «L'obiettivo non è quello di inseguire gli arabi, il che è molto inutile; è di impedire loro di seminare, raccogliere, far pascolare, [...] godersi i loro campi [...] Andate ogni anno a bruciare i loro raccolti [...], o 95 sterminateli fino all'ultimo uomo.» queste le parole di Bugead, che non vide altra soluzione se non quella di attuare la vecchia politica di far ‘terra bruciata’ sotto i piedi degli insorti. Essa fu attuata da più di 100.000 soldati con le tattiche della guerra spagnola contro i guerriglieri: le truppe venivano divise in colonne mobili con un equipaggiamento dei soldati alleggerito, l’uso di cavalli da soma e un’artiglieria leggera in modo da non avere grossi carichi da spostare. Quindi la politica della terra bruciata consisteva in poche parole nell’affamare la resistenza, bruciare i villaggi, raccogliere le mandrie, attuare razzie di ogni genere. LES ‘’ENFUMADES’’ (AFFUMICATE) ALGERINE Le Enfumades algerine consistevano nell’attentare ai rifugiati algerini per farli asfissiare nelle caverne, con fuochi postiall'ingresso delle grotte che consumavano l’ossigeno disponibile. Ci furono così migliaia di morti, tra cui donne e bambini, specialmente nel fumo di Dahra (18 giugno 1845). Esse non furono mai vietate da Bugead ma ci furono proteste perenni nel parlamento francese, così pure in Algeria: "stiamo distruggendo il paese che pretendiamo di colonizzare e civilizzare" dirà lo stesso colonnello francese Dubern. I BUREAUX ARABES CIOE’ GLI UFFICI ARABI (1840‐1860) Bigeau si rende conto infine, che forse era necessario attuare un controllo del territorio, magari attraverso una rete di informatori e notabili locali – vennero così creati i c.d. uffici arabi, devi veri e propri centri del controllo del territorio pagando dei funzionari che collaboravano con l’esercito francese. Vennero creati nel 1844 circa 50 uffici, coordinati da un segretario arabo (detto "khodja"), un segretario francese, un interprete, alcuni ufficiali e spesso un medico che potesse fare da mediatore con la popolazione locale. L’obiettivo era creare una rete per monitorare il paese e gli esattori delle tasse, ma anche per decidere le controversie sui terreni tra coloni francesi (i c.d. ‘piedi neri’ che inevitabilmente si stabilirono nel paese nel corso degli anni e non vorranno poi lasciare il paese negli anni ‘60) e arabi. Si formarono altresì le Colonie militari, condotte da militari che si insediano permanentemente nelle colonie in modo da avere un ulteriore controllo sul territorio – ebbero però vita dura perché la popolazione de luogo non vuole vivere una vita da caserma e vede il loro insediamento in maniera ostile. L’INDOCINA FRANCESE (XIX SECOLO) La colonia di Indocina fu fondata nel 1887 – era formata dalla colonia di Cocincina (a sud del Vietnam), dai protettorati di Annan e di Tonchino (il Vietnam centrale e settentrionale), il protettorato della Cambogia e il protettorato del Laos – non si tratta di una colonia di insediamento perché in questi territori, essendo molto lontani, non vedrà parecchi insediamenti francesi – sarà infatti soprattutto una zona di sfruttamento economico, da cui verranno tratte molte materie prime quali gomma, minerali, riso, ecc.) 96 IL GENERALE JOSEPH GALLIÉNI (1849‐1916) Era un ufficiale di fanteria navale (marsouins), rimasto ferito nella battaglia di Sedan – aveva esperienza nelle truppe coloniali con i tirailleurs senegalesi e nel Sudan francese (1876‐1888), poi nel 1892‐1896 fu in Indocina. Egli diceva: «Il modo migliore per raggiungere la pacificazione nella nostra nuova colonia è usare l'azione combinata di forza e politica. Dobbiamo ricordare che nelle lotte coloniali dobbiamo distruggere solo come ultima soluzione e, anche in questo caso, solo distruggere per costruire meglio. Dobbiamo sempre risparmiare il paese e la gente, poiché questa è destinata a ricevere i nostri futuri progetti di colonizzazione e saranno i nostri principali agenti e collaboratori per svolgere le nostre imprese.» UN APPROCCIO POLITICO OSSIA LA POLITICA DI TÂCHE D’HUILE (LA MACCHIA D’OLIO) Nei primi anni ci fu parecchia frustrazione in un primo momento da parte delle truppe francesi perché gli insorti svanivano nel nulla prima dell’arrivo delle colonne francesi. I francesi con gli anni adottano quindi unb cambio di tattica, ossia persuadere la popolazione locale che è nel loro interesse collaborare, magari con la promessa di compensi, benefici, utilità. Furono così create delle aree sicure interessate da un certo sviluppo economico e amministrativo con la costruzione di ospedali, strade, infrastrutture – così venne creato il fenomeno delle Macchie d’Olio: ossia altre aree sicure con avamposti permanenti, collegate alle precedenti. I villaggi sorti in questi campi fortificati con la consegna di armi ai sudditi leali favorirono l’avanzata francese e spesso in questi villaggi i medici francesi prestavano le cure alla popolazione. Furono infine usate anche delle truppe indigene con la classica ‘’politica delle razze,’’ il divide et impera dei romani, dando la preferenza ad una etnia a scapito di un’altra in modo da avere l’appoggio di una parte della popolazione.
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