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Paniere svolto "Metodologie analisi del testo", Panieri di Letteratura

Contiene le risposte a tutte le domande aperte e chiuse dell'esame di Metodologie analisi del testo, università E campus, docente De Blasio Antonella. Si fa presente che sono incluse anche le risposte riferite agli altri due testi programma d'esame: Narrare al tempo della globalizzazione e "Leggere storie".

Tipologia: Panieri

2019/2020

In vendita dal 13/09/2020

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Scarica Paniere svolto "Metodologie analisi del testo" e più Panieri in PDF di Letteratura solo su Docsity! Lezione 002 01. Il "narrative turn" avviene: a partire dalla metà degli anni Ottanta a partire dalla metà degli anni Sessanta a partire dalla metà degli anni Settanta a partire dalla metà degli anni Novanta 02. Chi ha scritto "La condizione postmoderna"? Salmon Barthes Bruner Lyotard 03. Chi ha scritto "La scienza nuova"? Schiller Crescimbeni Herder Vico 04. Secondo Lyotard le metanarrazioni: danno vita a narrazioni false sono sempre parziali offrono una spiegazione del reale sono fittizie 05. Quale dei seguenti autori non viene citato nel testo di Tabucchi "Elogio della letteratura"? Flaubert Baudelaire Stendhal Barthes 06. L'analisi del testo narrativo (il carattere esteso della narrazione, l'importanza della narrazione, la svolta narrativa). Inizialmente per narrazione si intendevano il romanzo e il racconto, ma progressivamente sono stati concepiti come narrativi anche i generi testuali non di invenzione, come il discorso storiografico, autobiografia, la scrittura di viaggio. Successivamente è stata riconosciuta una narratività anche nelle arti non verbali di matrice figurativa. Oggi viene applicato un approccio narrativo lista anche allo studio dell'antropologia, nel campo della teoria dei giochi, dell'intelligenza artificiale e del marketing. Lyotard afferma che la postmodernità è caratterizzata dalla perdita delle verità universali e dallo sfaldamento di ogni certezza, processo che coincide con la fine delle grandi narrazioni. Il processo di delegittimazione colpisce solo i grandi racconti, lasciando inalterate le piccole storie che preservano la propria autonomia e il proprio valore, poiché si fondono proprio sulla rinuncia ad ogni pretesa di universalità. Si assiste, pertanto, al moltiplicarsi di trame narrative sempre più frammentate, più inclini alle reti micro sociali dei singoli individui che al macro territorio della ideologie e delle istituzioni. Nella società contemporanea il racconto assume un ruolo centrale e gli studiosi hanno parlato di narrative turn. In tale fenomeno, che si registra a partire dalla metà degli anni Novanta in diversi ambiti del sapere, la narrazione acquista un ruolo centrale. La narratività e lo storytelling trionfano e arrivano a coinvolgere anche ambiti tradizionalmente anarrativi come la politica, la salute e il discorso di marca. Nelle scienze umane lo storytelling diviene uno strumento di comprensione e di interpretazione del mondo da parte dell’uomo. Lo scrittore e studioso francese Christian Salmon spiega che il caos dei saperi frammentati proprio degli ultimi vent’anni ha favorito la “svolta narrativa” nella comunicazione politica, e poi nella stessa produzione materiale e immateriale. Lezione 003 01. Quale studioso ha definito la narratività come la rappresentazione di avvenimenti e situazioni reali o immaginari in una sequenza temporale Abelson Stanzel Prince Barthes 02. Quale studioso ha parlato dell'uomo come di un animale che racconta storie? Abelson Kellog Scholes Gottschall Lezione 004 01. Secondo Saussure il segno è: un'entità psichica a due facce un'entità psichica a quattro facce un'entità psichica a una faccia un'entità psichica a tre facce 02. La linguistica sincronica studia: gli aspetti statici della lingua, in un tempo preciso la lingua in una prospettiva storica gli aspetti evolutivi della lingua i cambiamenti della lingua 03. La linguistica diacronica studia: gli errori dei parlanti l'evoluzione di una lingua nel tempo gli aspetti statici della lingua, in un tempo preciso il principio di arbitrarieta? 04. Secondo Saussure il valore di un segno linguistico è determinato: dai suoi aspetti relazionali, differenziali, oppositivi dalla sua frequenza nell'uso quotidiano dai suoi aspetti concreti, materiali dagli studiosi 05. Secondo Saussure il significato: coincide con l'atto di fonazione è un modello collettivo che l'individuo apprende nella comunità in cui cresce coincide con il linguaggio è un qualcosa di individuale Lezione 005 01. Il formalismo: È un movimento che ha per massimo esponente Claude Lévi-Strauss Si diffonde nell'Europa occidentale e negli USA a partire dal 1930. I suoi terreni privilegiati sono la linguistica e l'etnologia. È un movimento che ha per massimo esponente Roland Barthes È una scuola letteraria affermatasi in Russia tra il 1914-15, fiorita fino al 1930, influì profondamente sullo strutturalismo e sulle correnti critiche posteriori. I motivi sono elementi di contenuto ricorrenti, in genere di carattere astratto, composti da aggregati semantici minori chiamati temi I motivi sono costituiti da nuclei tematici I miti sono elementi che emergono dalla scomposizione dei racconti fiabeschi e delle saghe 08. Indicare quale delle seguenti affermazioni è vera: I temi sono elementi di contenuto ricorrenti, in genere di carattere astratto, composti da aggregati semantici minori chiamati motivi I motivi sono elementi di contenuto ricorrenti, in genere di carattere astratto, composti da aggregati semantici minori chiamati temi I motivi sono costituiti da nuclei tematici I miti sono elementi di contenuto ricorrenti, in genere di carattere astratto, composti da aggregati semantici minori chiamati temi 09. Indicare quale delle seguenti affermazioni è falsa: La fabula può essere ricostruita a partire dall'intreccio L'intreccio può essere costruito modificando la fiaba La fabula è l'organizzazione dei fatti narrati così come è stata strutturata dall'autore che può decidere di anticipare o posticipare alcuni eventi La fabula è l'ordine logico e cronologico di un insieme di fatti narrati 10. I principi di analisi del testo secondo i formalisti Secondo i formalisti, i testi letterari sono dei sistemi dinamici, in cui gli elementi sono organizzati gerarchicamente, a seconda del loro valore. Boris Ejchenbaum spiega il concetto di “dominante” nel suo saggio del 1922 Melodica del verso lirico russo. A suo parere, l’opera d’arte è sempre il risultato di una lotta complessa di distinti elementi formativi ed è sempre una forma di compromesso. A seconda del carattere generale dello stile, questo o quell’altro elemento ha significato di dominante organizzativa, che sottomette a sé gli altri elementi. Roman Jakobson ha definito il concetto di dominante come «componente chiave di un'opera d'arte, che regola, determina e trasforma gli altri elementi». Evidenzia che ogni poetica è legata a un periodo storico, e che ogni periodo storico possiede un proprio elemento dominante che deriva da un sistema non letterario. Ad esempio, la componente dominante della poesia rinascimentale sarebbe derivata dalle arti visive; quella della poesia romantica dalla musica; quella del realismo dall'arte verbale. A seconda delle epoche, la dominante di un’opera in versi cambia: può essere la rima, l’intonazione, lo schema sillabico ecc., tutti elementi che, di volta in volta, possono assumere un diverso peso specifico. Boris Tomasevskij (1890-1957), filologo e critico letterario appartenente al circolo linguistico di Mosca, ha introdotto un altro concetto chiave per il metodo formale, vale a dire la distinzione tra “fabula” e “intreccio”. La “fabula” è il materiale per realizzare l’intreccio, è la storia così come è avvenuta, secondo l’ordine cronologico dei fatti; l'intreccio è la maniera in cui la fabula viene riorganizzata nell'opera letteraria. In una storia la fabula è data dall’ordine dei fatti così come si succedono cronologicamente, mentre l’intreccio si crea se decidiamo di raccontare la stessa storia senza seguire in modo rigido l’ordine cronologico degli avvenimenti, ad esempio anticipando e posticipando alcuni eventi. Tomasevskij, inoltre, ha introdotto il concetto di “motivo” definendolo come la parte più piccola dell'intreccio, che si può intendere come una singola azione. Se il tema è ciò che rende omogeneo e unitario il materiale contenuto nell’opera letteraria, sia nella sua totalità che in ogni sua parte (alcuni esempi di temi letterari sono: la follia, il potere del destino, l’amore ecc.), per Tomasevskij e Propp i motivi sono unità minime (vale a dire non scomponibili) del tema. Esempi di motivi nella letteratura folclorica sono: l’anello magico, la terra desolata ecc. Tomasevskij ha distinto i motivi "legati" dai motivi “liberi". I motivi legati sono componenti insostituibili per lo sviluppo del racconto, mentre i motivi liberi sono inessenziali ai fini delle vicende narrate, hanno cioè una funzione marginale, un carattere complementare e aggiuntivo (es. digressioni, descrizioni). I motivi liberi costituiscono degli elementi inattesi, capaci di attirare la nostra attenzione, e dunque più interessanti dal punto di vista strettamente letterario; i motivi legati, al contrario, sono elementi non marcati, poiché corrispondo esattamente a ciò che ci si aspetta e non suscitano nessuno stupore. In base alla rilevanza che hanno nello sviluppo degli eventi della narrazione, Tomasevskij distingue motivi dinamici che producono mutamenti nella situazione narrativa, e motivi statici, che possono anche essere dimenticati senza compromettere la successione della narrazione. I motivi legati sono quelli obbligatoriamente richiesti dalla storia, mentre quelli liberi sono inessenziali dal punto di vista della storia. Il carattere non essenziale dei motivi "liberi" li rende interessanti dal punto di vista strettamente letterario, perché sono precisamente quegli effetti di stile voluti dall'autore. In base a una terminologia tecnica mentre i motivi "legati" sono elementi non-marcati, vale a dire elementi che non destano particolare interesse, i motivi "liberi" sono elementi marcati, ossia elementi inattesi, e dunque interessanti. Lezione 007 01. La funzione «fàtica»: si riferisce a un'affermazione è incentrata sul codice è relativa al contatto si riferisce a una comunicazione stentata 02. «Pronto?» è una frase in cui prevale: la funzione poetica la funzione metalinguistica la funzione referenziale la funzione fàtica 03. Secondo la teoria delle funzioni linguistiche di Roman Jakobson, quando la comunicazione si focalizza sul messaggio prevale: la funzione metaliguistica la funzione poetica la funzione referenziale la funzione conativa 04. Secondo la teoria della comunicazione di Roman Jakobson, quale funzione è legata al codice condiviso tra mittente e destinatario? conativa fàtica poetica metalinguistica 05. Chi ha scritto "Saggi di Linguistica generale" (1963)? Roman Jakobson Ferdinande De Saussure Karl Bühler Claude Lévi-Strauss 06. Secondo la teoria della comunicazione di Roman Jakobson, quale funzione del linguaggio verbale si attiva quando il mittente cerca di influire sul destinatario mediante l'uso di frasi imperative o del vocativo? conativa fàtica metalinguistica poetica 07. Secondo la teoria della comunicazione di Roman Jakobson, quale funzione della comunicazione si attiva quando il mittente cerca stabilire, prolungare o mantenere un contatto con il destinatario? metalinguistica fàtica poetica conativa 08. In un articolo scientifico, che ha lo scopo di fornire informazioni, quale tra le funzioni della comunicazione individuate da Jakobson, sarà la funzione prevalente? referenziale conativa metalinguisitca contestuale 09. Lo strutturalismo letterario in Europa: Jakobson e la funzione poetica La funzione poetica (o estetica) prevale quando l’accento viene posto sul messaggio in sé. Jakobson precisa che la funzione poetica non si ritrova esclusivamente nella poesia – dove certamente prevale – ma emerge in ogni enunciato ricercato dal punto di vista stilistico che sia esteticamente efficace. Infatti, in poesia spesso non si seguono i princìpi della costruzione sintattica, vale a dire le "regole" che solitamente impediscono certe costruzioni della frase. Ad esempio: «ahi! tanto amò la non amante amata» (T. Tasso, La Gerusalemme liberata). Normalmente il parlante compie una scelta tra parole simili e poi seleziona un verbo, dunque prima sceglie degli elementi e poi li combina. In poesia, invece, la combinazione (che produce rime, effetti di ritmo ecc.) è la ragione primaria della scelta, e non un suo effetto. Gli spot pubblicitari e molti messaggi promozionali si servono dei dispositivi formali tipici del linguaggio poetico (uso di rime, scelte ritmiche, uso di figure retoriche). Lo stesso Jakobson richiamava l’attenzione su uno slogan politico usato dal candidato Eisenhower negli anni Cinquanta durante una campagna elettorale per le presidenziali americane. Lo slogan, che era “I like Ike”, ebbe successo poiché la sua struttura era basata su una allitterazione. L’allitterazione è una figura retorica che consiste nella ripetizione di lettere o sillabe, di solito iniziali, di due o più vocaboli successivi. È la ripetizione di una stessa consonante o di una sillaba in parole vicine (ad esempio la ripetizione della ‘c’ nel verso “e caddi come corpo morto cade” (Dante, Inferno, Canto V, v 142). In “I like Ike” si succedono tre dittonghi /aI/ ciascuno dei quali è seguito da un suono consonantico). Lo slogan tradotto significa “Mi piace Ike” (il generale Dwight D. Eisenhower, infatti, era detto “Ike”). Lezione 008 01. Quante sono le funzioni individuate da Propp nelle fiabe di magia? 39 31 41 30 02. Chi ha scritto "Morfologia della fiaba" (1928)? Propp Lüthi Greimas Barthes 03. Indicare quale delle seguenti affermazioni è vera: Secondo Propp nelle fiabe di magia è possibile individuare 30 funzioni Secondo Propp la successione delle funzioni nella fiaba è sempre variabile Secondo Propp tutte le fiabe contengono le funzioni da lui individuate Secondo Propp la successione delle funzioni nella fiaba è sempre la stessa Alcune fiabe si concludono con la funzione nozze, in altri casi l’eroe può subire un nuovo danneggiamento il quale innesca le funzioni che ne derivano e che, dunque, possono ripetersi, anche solo in parte, producendo nuovi sviluppi della fiaba. Lezione 009 01. Indicare quale delle seguenti affermazioni è falsa: Lo strutturalismo evolve nel formalismo La struttura è un sistema poiché ogni modifica di uno degli elementi che la compongono comporta una variazione di tutti gli altri Lo strutturalismo ha alla base il modello di lingua come sistema di differenze tra i suoi diversi elementi Lo strutturalismo è un metodo d'analisi che si è affermato in diverse discipline 02. Indicare quale delle seguenti affermazioni è falsa: La struttura è un modello teorico costruito dal ricercatore per spigare i fenomeni che analizza Lo strutturalismo ha alla base il modello di lingua come sistema di analogie tra i suoi diversi elementi Lo strutturalismo è un metodo d'analisi che si è affermato in diverse discipline La struttura è un insieme organico i cui elementi assumono valore nelle relazioni oppositive 03. Indicare quale delle seguenti affermazioni è falsa: Il poststrutturalismo si dimostra critico nei confronti dei significati stabili del testo Il poststrutturalismo rappresenta il superamento dello strutturalismo più rigido Lo strutturalismo affida al lettore un ruolo importante nell'interpretazione del testo Lo strutturalismo un movimento filosofico, scientifico e critico letterario che si sviluppa soprattutto in Francia durante gli anni Sessanta 04. Indicare i caratteri principali dello strutturalismo e spiegare in che modo lo strutturalismo ha influenzato l'analisi testuale Lo strutturalismo è una impostazione che tiene conto dell'interdipendenza e dell'interazione delle parti in seno al tutto. Sebbene Saussure non abbia mai usato il termine “struttura”, lo strutturalismo europeo si ispira certamente ai suoi insegnamenti (nel Corso di linguistica generale, invece del termine ‘struttura’ viene usato il sinonimo ‘sistema’). Gli elementi chiave della linguistica saussuriana, che verranno poi ripresi dallo strutturalismo, sono: • la distinzione tra langue e parole • il linguaggio come sistema • la definizione di segno linguistico (costituito da significante e significato) • l’arbitrarietà del linguaggio • la differenza tra sincronia e diacronia nello studio della lingua La langue è l’aspetto sociale del linguaggio, è un sistema comune a tutti, è l’insieme di convenzioni necessarie adottate dal corpo sociale per consentire l’esercizio della facoltà del linguaggio negli individui. La parole è l’atto linguistico individuale, reso possibile dal fatto che emittente e ricevente condividono la langue (vale a dire il codice). La lingua è come un "sistema" in cui tutti gli elementi hanno un ruolo e sono in relazione tra di loro per produrre senso. Secondo lo studioso ginevrino, la lingua possiede dunque una natura strutturale: i segni non sono definiti dal loro rapporto con il mondo esterno (referente), ma in base al rapporto con gli altri segni linguistici, come accade per i pezzi della scacchiera, la cui funzione è determinata dalla funzione degli altri pezzi (la metafora degli scacchi viene spesso usata da Saussure per spiegare le sue teorie). Lo strutturalismo linguistico teorizzato da Saussure aiuta a comprendere lo strutturalismo in quanto teoria che si afferma in diverse scienze a partire dal primo Novecento. In particolare, nella critica letteraria lo strutturalismo considera soprattutto l’aspetto formale dell’opera, e la scompone in elementi e unità il cui valore è determinato dai rapporti con gli altri elementi dell’opera. Il segno è considerato da Saussure come una relazione solidale tra due entità: un’espressione (significante) e un contenuto (significato). Il piano dell’espressione (significante), che è presente, rinvia a un’entità assente (significato). Il significante è la forma fonica o grafica utilizzata per richiamare l’immagine che, nella nostra mente, è associata a un determinato concetto o significato. Un esempio: al semaforo, il significante "colore rosso" è legato al significato "fermarsi", e il significante "colore verde" al significato "avanzare". Secondo Saussure, la lingua possiede un aspetto stabile e un aspetto evolutivo, che aprono la strada a due prospettive di studio: una linguistica sincronica e una linguistica diacronica. La linguistica sincronica analizza la lingua in un dato momento storico, al contrario la linguistica diacronica guarda alla lingua come una successione di trasformazioni avvenute nel corso dei secoli. La linguistica diacronica studia gli aspetti evolutivi della lingua, i rapporti tra i termini che, nel tempo, si sostituiscono gli uni agli altri. La diacronia riguarda la parole, che è appunto l’espressione dei cambiamenti della lingua. La linguistica sincronica, fotografa la lingua in un determinato momento, si concentra sullo stato delle lingua, sugli aspetti grammaticali, sui rapporti logici e psicologici tra termini coesistenti che formano un sistema, e che la coscienza collettiva stessa percepisce come sistema. Saussure si concentra sulla lingua come sistema dando priorità ad uno studio sincronico. La linguistica è stata molto importante per la critica letteraria strutturalista, corrente che si sviluppa in Francia tra gli anni Cinquanta e Sessanta, grazie all’influsso di molte altre tendenze scientifiche interessate all’analisi delle strutture. Roland Barthes (1915-1980), in Elementi di semiologia (1964) riprende l’idea di F. de Saussure sulla possibilità di costituire una "scienza generale dei segni" o semiologia, ma rovescia il rapporto tra le due discipline: se per Saussure la linguistica è una parte della semiologia, per Barthes è la semiologia ad essere una parte della linguistica, poiché solo nel linguaggio è possibile identificare i significati delle diverse forme di significazione (dal romanzo, al cinema alla pubblicità), all’interno del contesto sociale e culturale. In Mitologie (1957) Barthes analizza i miti e segni della cultura contemporanea (film, quotidiani, mostre, spettacoli ecc.) e, diversamente dalle impostazioni tradizionali, non indaga le intenzioni dell’autore ma il testo in sé, in quanto sistema di segni, in quanto struttura capace di produrre significato. Ogni prodotto culturale deve essere analizzato a partire dal linguaggio, poiché la cultura è un sistema di rapporti descrivibili linguisticamente e in quanto tale si organizza secondo un modello linguistico. Il compito del critico, dunque, non è quello di definire una volta per tutte il significato del testo, ma di ricostruirne i percorsi di senso, le modalità attraverso le quali si producono determinati significati proprio a partire dagli elementi linguistici. Inoltre, suggerisce di considerare, anche gli indizi che forniscono informazioni sul carattere e i sentimenti dei personaggi e che possono contribuire a creare una certa atmosfera, a dare delle coordinate spaziali e temporali. Barthes diviene uno degli esponenti della Nouvelle critique, che raccoglie un insieme di tendenze (emerse in Francia negli anni Cinquanta), che volevano rinnovare la critica letteraria tradizionale, attraverso il contributo di discipline come la linguistica, la sociologia, l’antropologia, l’etnologia e la psicanalisi. All’interno della Nouvelle critique nascono diversi filoni critici che tuttavia condividono strumenti, metodologie e una comune matrice strutturalista. Tra filoni più importanti c’è sicuramente la narratologia, che riprende le ricerche di Propp sulle funzioni nel racconto per cercare un codice universale della narrazione, mentre un altro filone è quello della semiotica. Genette, massimo esponente della narratologia, sarà il primo ad analizzare alcuni importanti aspetti della narrazione. Il suo studio più fortunato è Analisi del discorso (o Figures III), del 1972 dedicato al romanzo in sette volumi di Marcel Proust (1871-1922) À la recherche du temps perdu (1913-1927). In questo saggio Genette rielabora le categorie narrative della voce e del punto di vista già introdotte sia dagli studiosi della scuola anglosassone che da quelli francesi (Barthes e Todorov). La teoria della narrazione diviene sempre più ricca di strumenti e si prepara a cogliere i significati delle narrazioni contemporanee. 05. Dal formalismo allo strutturalismo. Il movimento del formalismo si sviluppò in Russia tra il 1914-15 e il 1928-30. Il primo centro propulsore fu il Circolo linguistico di Mosca, al quale si affiancò nel 1917 la Società per lo studio del linguaggio poetico di San Pietroburgo (nota come Opojaz). Il formalismo valorizza la poesia come fatto autonomo, indipendente dalla biografia dell’autore e dalle condizioni storiche in cui l’opera nasce, e si concentra sulla sua organizzazione formale. Roman Jakobson proseguì l’esperienza del Circolo linguistico di Mosca fondando il Circolo linguistico di Praga e poi sviluppando le Tesi (1929) che saranno fondamentali per lo strutturalismo. I critici legati al movimento del formalismo non costituirono una scuola unitaria, ma condividevano un’idea di letteratura e di arte fondate su delle regole e consideravano l’opera come un insieme in cui ogni elemento doveva essere giustificato. Tra gli studi dei formalisti, importanti sono i saggi di Boris EJchenbaum (1886-1959), Come è fatto «Il cappotto» di Gogol (1918) e Teoria del metodo formalistico (1925) (importante è la sua analisi della forma narrativa in cui evidenzia la differenza tra fabula e intreccio). Alcune idee basilari del formalismo vennero accolte da Vladimir Propp (1825-1970), studioso di folklore. Nella sua analisi dei racconti fiabeschi, si rese conto che queste narrazioni erano riconducibili a un numero limitato di azioni che rimanevano essenzialmente sempre uguali. La sua opera “Morfologia della fiaba “(1928) divenne uno studio fondamentale e fu oggetto di numerose riflessioni. La prospettiva di analisi unicamente interna dell’opera letteraria fu uno dei motivi di crisi del formalismo. Già nel 1924 Tynjanov, uno degli esponenti del movimento, introdusse la nozione di fatto letterario, ponendo il problema della storia della letteratura. Lo strutturalismo si basa sul presupposto che l’oggetto di studio costituisce una struttura, vale a dire un insieme organico i cui elementi non hanno un valore autonomo, ma lo assumono nelle relazioni oppositive di ciascun elemento, rispetto a tutti gli altri dell’insieme. Per quanto riguarda l’evoluzione del formalismo verso lo strutturalismo, sono fondamentali i punti chiave della linguistica di Ferdinand de Saussure, considerato il padre della linguistica moderna e dello strutturalismo di stampo europeo. In realtà Saussure ha parlato di “sistema” e non ha mai usato il termine struttura (il Corso è stato pubblicato postumo dai suoi allievi). Il rapporto tra formalismo e strutturalismo avviene su più piani, uno dei quali è quello linguistico. In particolare furono gli studi di Roman Jakobson a fare da mediazione. Egli fu tra i primi a usare il termine “strutturalismo” in ambito praghese. Sostiene che la poeticità e la letterarietà di un testo possono essere stabilite su base linguistica, inoltre, in base all’approccio strutturalista, i testi dovevano essere analizzati considerando i tratti di superficie (il piano dell’espressione nella terminologia di Saussure), ad esempio nella poesia i rapporti fonico-linguistici, per poi ricercare un senso non visibile (significato, il piano del contenuto). Lezione 010 01. Genette articola l'analisi del racconto sulla base delle seguenti categorie: racconto, storia, narrazione tempo, ordine, anacronie tempo, durata, voce tempo, modo, voce 02. I cambiamenti nell'ordine temporale del racconto vengono definiti: anacronie discronie pluricronie sincronie Lezione 011 01. L'anacronia riguarda: unicamente le analessi unicamente le anticipazioni l'epoca della narrazione l'ordine del discorso 02. Come si chiama il processo narrativo che consiste nel far seguire un elemento che nella storia è anteriore? flashforward metalessi La analessi è detta anche flashback o anacronia per retrospezione. Si tratta del racconto che sposta in avanti l'ordine della storia, posticipandone una parte. Dunque la analessi è un posticipo: ciò che, stando alla storia, dovrebbe essere narrato prima è invece narrato dopo. 06. Fenomeni di ordine: le prolessi La prolessi è detta anche flashforward o anacronia per anticipazione. Si tratta del racconto che sposta indietro l'ordine della storia, anticipandone una parte. Dunque la prolessi è un anticipo: ciò che stando alla storia dovrebbe essere narrato dopo è invece narrato prima (una sorta di “impazienza” narrativa) Lezione 013 01. «Cominciò con un numero sbagliato, tre squilli di telefono nel cuore della notte e la voce all'apparecchio che chiedeva di qualcuno che non era lui. Molto tempo dopo, quando fu in grado di pensare a ciò che gli era accaduto, avrebbe concluso che nulla era reale tranne il caso. Ma questo fu molto tempo dopo. All'inizio, non c'erano che il fatto e le sue conseguenze. La questione non è se si sarebbero potuti sviluppare altrimenti o se invece tutto fosse già stabilito a partire dalla prima parola detta dallo sconosciuto. La questione è la storia in sé: che abbia significato o meno, non spetta alla storia spiegarlo». In questo brano è possibile individuare: un'anacronia una sillessi una narrazione sospesa un racconto iterativo 02. "Tommaso, che un tempo era un buon confidente, doveva far fronte ai tanti problemi in famiglia" è un esempio di: riassunto sommario prolessi flashback 03. Quando si ha un'ellissi: La durata della storia e quella della narrazione sono equivalenti Il tempo della storia trascorre, ma la narrazione si ferma completamente Il narratore tralascia solo gli eventi che coinvolgono i personaggi secondari Il lettore non riesce a ricostruire le relazioni tra fatti e personaggi 04. Quando si ha una scena: Il narratore tralascia solo gli eventi che coinvolgono i personaggi secondari La durata della storia e quella della narrazione sono equivalenti (per esporre gli eventi o i dialoghi si impiega lo stesso tempo che essi occupano nella realtà) Arco temporale e durata narrativa non coincidono Il tempo della narrazione scorre più veloce di quello della storia 05. Quando si ha un sommario: Il tempo della narrazione scorre più veloce rispetto a quello della storia La narrazione si ferma per lasciare spazio a opinioni o riflessioni Il ritmo narrativo rallenta Il lettore non riesce a ricostruire le relazioni tra fatti e personaggi 06. Indicare quale tecnica narrativa viene usata nel seguente brano: "Così il padre di Ludovico passò i suoi ultimi anni in angustie continue, temendo sempre d'essere schernito, e non riflettendo mai che il vedere non è cosa più ridicola che il comprare...Fece educare il figlio nobilmente, secondo la condizione de' tempi, e per quanto gli era concesso dalle leggi e dalle consuetudini...e morì lasciandolo ricco e giovinetto" scena sommario ellissi pausa 07. Indicare quale tecnica narrativa viene usata nel seguente brano: "Avevo lasciato la città con l'intenzione di non tornarci più, ed ero stata due anni nell'ufficio reclami di una compagnia a Roma. Finché, dopo il matrimonio, mi ero licenziata e avevo seguito Mario lì dove lo portava il suo lavoro di ingegnere. Luoghi nuovi, vita nuova". ellissi scena sommario pausa 08. Indicare quale tecnica narrativa viene usata nel seguente brano: "Dal 1952 al 1957 la vita di Anna, per la sua fitta e compatta semplicità rimase impenetrabile, non diremo dunque cosa le era accaduto". sommario ellissi scena pausa 09. Indicare quale tecnica narrativa viene usata nel seguente brano: "Sono i cugini Vigna quei due? " "Sì, proprio loro". "E perché stanno correndo verso il fiume?" ellissi pausa scena sommario 10. Indicare quale tecnica narrativa viene usata nel seguente brano: "Di solito camminava col mento alto, guardando le terrazze degli ultimi piani, portava una giacca forse troppo abbondante, sorrideva poco, non affrettava mail il passo". ellissi pausa scena sommario 11. Indicare quale tecnica narrativa viene usata nel seguente brano: "Pensi che arriveremo in tempo?" "Se non affrettiamo il passo ne dubito". "Non credo di potercela fare" sommario scena pausa ellissi 12. «Laura, che un giorno sarebbe diventata più saggia, in quei giorni si dimostrava troppo poco riflessiva» è un esempio di: pausa prolessi sommario analessi 13. Analessi, prolessi, sillessi e ritmo narrativo secondo G. Genette. La analessi è detta anche flashback o anacronia per retrospezione. Si tratta del racconto che sposta in avanti l'ordine della storia, posticipandone una parte. Dunque la analessi è un posticipo: ciò che, stando alla storia, dovrebbe essere narrato prima è invece narrato dopo. La prolessi è detta anche flashforward o anacronia per anticipazione. Si tratta del racconto che sposta indietro l'ordine della storia, anticipandone una parte. Dunque la prolessi è un anticipo: ciò che stando alla storia dovrebbe essere narrato dopo è invece narrato prima (una sorta di “impazienza” narrativa). La sillessi – che letteralmente vuol dire “prendere insieme”, è il racconto che mette in fila storie a prescindere dal loro ordine o disordine temporale, ma in base ad altre ragioni, che possono essere ad esempio tematiche, o spaziali, o di qualsiasi altro genere. E’ una forma di acronia in cui non vi è nessuna relazione cronologica tra storia e discorso ma un’associazione causale o basata su altri criteri non temporali quali la vicinanza spaziale, la logica discorsiva e così via. Con la sillessi vengono raggruppati eventi e situazioni che non sono accumunati da un principio cronologico, ma hanno solo una parentela tematica, spaziale o di altro tipo. Ad esempio, i racconti di viaggio arricchiti da aneddoti si fondano prevalentemente su un tipo di agglomerazione narrativa non governato da un principio cronologico, ma da una parentela perlopiù geografica e spaziale. La velocità della narrazione è sempre relativa rispetto alle sue possibili accelerazioni e ai suoi eventuali rallentamenti. Il momento dell'accelerazione o del rallentamento è detto anisocronia. Il racconto anisocrono è costitutivo della narrazione, rappresenta il ritmo narrativo. Ed è proprio al ritmo narrativo e alle sue scansioni che vengono affidate precise funzioni narrative. Ad esempio, nella Madame Bovary (1857) di Flaubert, episodi salienti quali il ballo che sembra realizzare i sogni di Emma e poi la morte di Emma stessa sono trattati più diffusamente rispetto all'episodio della morte della prima moglie di Charles. 14. Fenomeni di durata e di frequenza nel racconto La durata è la velocità di un racconto, definita mediante il rapporto fra una durata (quella della storia) misurata in secondi, minuti, ore, giorni, mesi e anni, e una lunghezza (quella del testo), misurata in righe e in pagine». Un racconto che abbia un rapporto tra durata della storia e lunghezza del racconto sempre costante, cioè una velocità uguale, si definisce isocrono, ma, come precisa Genette, «un racconto del genere non esiste, e può esistere solo come esperimento di laboratorio». I vari rapporti tra tempo del racconto (TR) e tempo della storia (TS) possono dare vita a diverse situazioni, la cui alternanza in un testo narrativo genera gli effetti di ritmo, che possono consistere in un rallentamento (pausa), in un equilibrio (scena) o in una accelerazione (sommario e ellissi). La frequenza si occupa dei rapporti tra un evento e il numero di volte in cui viene narrato. In particolare ci possono essere: racconti singolativi che narrano una volta ciò è accaduto una volta (1R/1S); es.: «Ieri mi sono coricato presto»; racconti ripetitivi che narrano n volte quello che è accaduto una volta (nR/1S); es.: «Ieri mi sono coricato presto, ieri mi sono coricato presto, ecc.»). Certamente questa ripetizione conferisce importanza all’episodio narrato più volte, lo mette, per così dire, sotto i riflettori davanti al lettore; racconti iterativi che narrano una volta quello che è accaduto n volte (1R/nS); es.: «A lungo mi sono coricato presto». Il tempo tipico del racconto iterativo è l’imperfetto. Si tratta di un tipo di racconto molto diffuso fin dall’antichità, anche se nel racconto classico ma, come rileva Genette, è sempre subordinato rispetto alle scene singolative. Il racconto iterativo può avere lo scopo di enfatizzare la monotonia di un certa situazione («tutti i giorni accadeva che…»). Lezione 014 01. La frequenza: Indica quante volte i fatti si ripetono nel passato È relativa all'ampiezza dell'anacronia Indica se qualcosa viene detto secondo una modalità singolativa o ripetitiva È relativa alla portata dell'anacronia 02. La frequenza: che vede, pensa e fa il personaggio in questione. Si tratta del caso in cui il narratore dice solo quello che sa il personaggio in questione. Esempio: nel IV capitolo del romanzo Mastro don Gesualdo (1889), il protagonista con un lungo discorso indiretto libero rievoca la sua ascesa sociale: «Si sentiva allargare il cuore. Gli venivano in mente tanti ricordi piacevoli. Ne aveva portate delle pietre sulle spalle, prima di fabbricare quel magazzino! E ne aveva passati dei giorni senza pane, prima di possedere tutta quella roba!». Si possono avere due casi di focalizzazione interna: • Narratore interno come io narrante (in prima persona): «Nel silenzio della casa solitaria, mentre disegnavo, un pomeriggio di inverno, udii alle mie spalle una voce placida e di tono benevolo che chiamò: “Dino”, in modo distintissimo. Mi voltai, ma non c’era che Tobi, il barbone nero, il quale, accoccolato sul tappeto, mi stava fissando» (D. Buzzati, Chi? , in Le notti difficili , 1971). • Narratore esterno (terza persona): la focalizzazione interna si può avere anche con un narratore esterno che, pur narrando in terza persona, mostra gli eventi dal punto di vista di un personaggio. Lo abbiamo visto nell’esempio verghiano tratto da Mastro Don Gesualdo appena riportato. La focalizzazione interna può darsi in forma fissa, variabile o multipla. 1. Il racconto può mantenere la messa a fuoco su un certo personaggio, ma può anche spostarla da un personaggio all'altro, o ancora ripercorrere la stessa storia a partire da punti di vista di personaggi diversi. L'esempio canonico di focalizzazione interna fissa è il romanzo What Maisie Knew (1897) di Henry James, nel quale non si abbandona pressoché mai la prospettiva della ragazzina protagonista. Si adotta il punto di vista di un solo personaggio per tutta la durata della narrazione nel romanzo Io non ho paura (2001) di Niccolò Ammaniti dove il punto di vista è sempre quello di Michele Amitrano (benché permanga una sfasatura tra io narrante e io narrato). 1. In una narrazione a focalizzazione interna variabile si alternano i punti di vista di diversi personaggi. Un esempio classico di focalizzazione interna variabile è il romanzo di G. Flaubert Madame Bovary (1856), dove il personaggio focale (ovvero sede del punto di vista) è in un primo tempo Charles, poi sua moglie Emma, e poi ancora Charles. In una narrazione a focalizzazione interna multipla il medesimo fatto viene presentato da punti di vista differenti. La focalizzazione interna multipla è quella di molti romanzi epistolari, dove lo stesso avvenimento può essere evocato varie volte a seconda del punto di vista dei corrispondenti; oppure di certi gialli nei quali il caso è visto dalle prospettive dell'assassino, della vittima, della difesa, dell'accusa ecc., come avviene in The Ring and the Book (1868) di Robert Browning, la storia di un processo per omicidio ambientata alla fine del Seicento. Accade dunque che diversi testimoni raccontano la loro personale versione dei fatti. La particolarità di questo tipo di focalizzazione è che non esiste una oggettività dei fatti: non abbiamo nessuna informazione sulla storia se non quella che viene trasferita dal racconto dei personaggi mentre la storia stessa si sviluppa. Il racconto a focalizzazione esterna, è un racconto oggettivo, che presenta le vicende dall’esterno. Nei racconti a focalizzazione esterna, infatti, prevalgono i dialoghi e le descrizioni di azioni, e viene riservato poco spazio agli interventi del Narratore. Può essere esterno oppure coincidere con un personaggio che è stato soltanto un testimone. Il Narratore vuole rimanere estraneo ai fatti che racconta, per questo, si astiene da commenti e giudizi, limitandosi a registrare gli avvenimenti in modo neutro e impersonale. Racconta solo quello che si può vedere dall'esterno e gli atti di coscienza dei personaggi vengono conosciuti non in se stessi, ma nelle loro manifestazioni. Si tratta di un narratore che si colloca al di fuori della storia e non partecipa emotivamente alle vicende. Espone i fatti in modo impersonale e ne sa meno dei personaggi, dei quali non esplora i pensieri ma racconta soltanto le azioni. Questo tipo di focalizzazione è presente in particolare nelle descrizioni oggettive o nel dialogo, in cui il narratore riporta ciò che i protagonisti dicono, come se l'avesse registrato. Venendo meno il ruolo di mediatore del narratore, la storia sembra procedere in maniera del tutto autonoma. La maggior parte delle informazioni sui personaggi, sui loro pensieri, sui loro stati d’animo, sui luoghi in cui si svolge l’azione, affiorano progressivamente attraverso le loro parole e i loro gesti. Esempi di narrazioni in cui prevale una focalizzazione esterna sono quei romanzi dove il protagonista agisce senza che il lettore possa mai conoscere i suoi pensieri o i suoi sentimenti, come avviene in certe novelle di Hemingway quali The Killers (1927) o Hills like White Elephants (1927). Al limite, la “discrezione” del narratore può essere spinta fino al vero e proprio “indovinello” o enigma narrativo. 05. G. Genette: tipologie di narratori Esistono due tipi di Narratore: • Narratore interno o omodiegetico: il narratore racconterà le vicende attraverso gli occhi del personaggio con cui si identifica, calandosi nei suoi panni. Tutto ciò che accadrà verrà quindi filtrato attraverso il suo punto di vista, il suo sguardo, i suoi sentimenti, i suoi pensieri, il suo personale modo di vedere le cose. • Narratore esterno o eterodiegetico: è una voce fuori campo che racconta i fatti senza parteciparvi direttamente. È un’entità astratta che non ha un volto né un corpo. 06. Spiegare le caratteristiche del narratore extradiegetico E’ una voce fuori campo che racconta i fatti senza parteciparvi direttamente. È un’entità astratta che non ha un volto né un corpo che dà vita ad un racconto oggettivo, in cui le vicende sono presentate dall’esterno. Prevalgono i dialoghi e le descrizioni di azioni, e viene riservato poco spazio agli interventi del Narratore, che dice meno di quanto ne sappia il personaggio. Vuole rimanere estraneo ai fatti che racconta, per questo, si astiene da commenti e giudizi, limitandosi a registrare gli avvenimenti in modo neutro e impersonale. Si colloca al di fuori della storia e non partecipa emotivamente alle vicende. Espone i fatti in modo impersonale e ne sa meno dei personaggi, dei quali non esplora i pensieri ma racconta soltanto le azioni. Lezione 018 01. Riconoscere la focalizzazione nel seguente brano: "Una sera me ne stavo a sedere sul letto della mia stanza d'albergo, a Bunker Hill, nel cuore di Los Angeles. Era un momento importante nella mia vita, dovevo prendere una decisione nei confronti dell'albergo: o pagavo o me ne andavo: così diceva il biglietto che la padrona mi aveva infilato sotto la porta. Era un bel problema, degno della massima attenzione. Lo risolsi spegnendo la luce e andandomene a letto ": zero mista esterna interna 02. La focalizzazione esterna si ha: se il narratore ne sa quanto i personaggi se il narratore ne sa più dei personaggi se il narratore possiede solo informazioni generiche rispetto alla storia se il narratore ne sa meno dei personaggi 03. Nella focalizzazione interna fissa lo stesso evento è narrato più volte attraverso personaggi-riflettori diversi, si ritrova soprattutto nei romanzi epistolari Il punto di vista è quello di un narratore impersonale il punto di vista varia durante la narrazione, passando da personaggio a personaggio si adotta il punto di vista di un solo personaggio per tutta la durata della narrazione. 04. Se il narratore dice di più rispetto a quanto sarebbe coerente con la focalizzazione adottata, siamo di fronte a un caso di: parallessi parallissi narrazione intercalata narrazione ulteriore 05. Se un racconto a focalizzazione interna, ci nasconde ciò che il personaggio conosce benissimo, siamo di fronte a un caso di: narrazione ulteriore parallessi parallissi narrazione intercalata 06. Riconoscere la focalizzazione nel seguente brano: "Un trapezista - come si sa quest'arte che si pratica in alto nelle cupole dei grandi palcoscenici di varietà è una delle più difficili tra tutte quelle in cui gli uomini possano cimentarsi - all'inizio soltanto per la ricerca della perfezione, in seguito anche per abitudine divenuta tirannica, aveva regolato la sua vita in modo da restare giorno e notte sul trapezio, per tutto il tempo in cui restava in una stessa compagnia. Si faceva fronte a tutte le sue necessità, invero molto modeste, con l'ausilio di inservienti che si alternavano, vigilando in basso e mandando su e giù tutto quello che serviva in alto, in appositi contenitori": zero esterna interna mista 07. G. Genette: analisi della prospettiva di un racconto. Nell'adozione di un punto di vista sulla storia il narratore può: •conformare il proprio filtro percettivo a quello di un personaggio (focalizzazione interna) •concedersi la libertà di osservare i fatti da tutte le angolazioni (focalizzazione zero) •adottare un punto di vista limitato senza poter vedere all'interno di dei personaggi (focalizzazione esterna) Focalizzazione zero: N > P Il narratore conosce tutto della storia e sa più dei personaggi che descrive (narratore onnisciente). In questo caso si parla anche di racconto non focalizzato. •Focalizzazione interna: N = P Il punto di vista è quello di un personaggio per cui il narratore dice solo ciò che sa il personaggio in questione (personaggio-riflettore) •Focalizzazione esterna: N< P Il narratore finge di saperne meno dei personaggi, i quali agiscono davanti a noi senza che siamo mai ammessi a conoscerne pensieri e sentimenti. Il punto focale è collocato all'interno dell'universo diegetico, ma al di fuori di qualsiasi personaggio. Lezione 020 01. Il narratario è: il narratore ideale il destinatario al quale il narratore racconta la storia il lettore modello il narratore 02. G. Genette: narratori attendibili e narratori inattendibili. Si parla di narrazione inattendibile quando un narratore si discosta dall’idea che ci siamo fatti di lui attraverso la sua opera. Un esempio di narratore inattendibile è quello de La coscienza di Zeno (1923) di I. Svevo (1861 -1928). Solitamente un romanzo scritto in prima persona produce l’identificazione del lettore con il narratore, vale a dire la partecipazione di chi legge ai sentimenti chi scrive. In La coscienza di Zeno ciò non accade e il narratore si rivolge al lettore come a un testimone da convincere. In diversi momenti, dunque, il lettore si chiede se il protagonista-narratore stia dicendo la verità, lo stia ingannando o stia ingannando se stesso. La narrazione inattendibile è anche una forma ironica, che si trova frequentemente nella satira, nella parodia e nelle barzellette. Il narratore inattendibile spesso si presenta come un enigmatico miscuglio di sincerità e falsità, provocando un effetto di disorientamento nel lettore. Es. Nel caso del professor Humbert Humbert in Lolita (1955) di Nabokov non riusciamo a capire fino alla fine se il professore sia realmente pentito o no relativamente ai suoi atti di pedofilia. un monologo interiore un flusso di coscienza 02. «Il cameriere. Il tavolo. Il mio cappello sull'attaccapanni. Togliamoci i guanti; devono essere gettati negligentemente sul tavolo accanto al piatto; o meglio nella tasca del soprabito; no, sul tavolo; queste piccole cose rientrano nella correttezza del comportamento in genere. Il mio soprabito sull'attaccapanni; mi siedo; uff! ero stanco. Metterò i guanti nella tasca del soprabito. Illuminato, dorato, rosso, con gli specchi, questo sfavillio; cosa? Il caffè; il caffè in cui mi trovo». In questo frammento possiamo individuare: un monologo interiore una narrazione eterodiegetica un flusso di coscienza un'ellissi Lezione 024 01. Algirdas Julien Greimas è stato: il massimo teorico dello strutturalismo applicato agli studi antropologici uno degli studiosi più importanti di narratologia, linguista e semiologo lituano. linguista svizzero elabora le dottrine fondamentali della fonetica e della fonologia indieuropee studioso di floklore russo, esponente del formalismo 02. Indicare quale delle seguenti affermazioni è falsa: Secondo Propp tutte le fiabe hanno una struttura costante Greimas vuole costruire un modello narrativo che possa spiegare ogni tipo di racconto Propp elabora il modello attanziale Greimas riprende e rielabora le funzioni di Propp 03. Facendo riferimento al sistema dei personaggi di Greimas, l'Innominato dei "Promessi sposi" è: protagonista l'oppositore che diventa aiutante oppositore antagonista 04. Nel sistema dei personaggi, chi si schiera con uno dei contendenti, con l'antagonista, è chiamato: aiutante protagonista attore oppositore 05. Chi ha parlato di attanti come categorie astratte che corrispondono alle sfere d'azione dei personaggi? Greimas Booth Eco Propp 06. Facendo riferimento al sistema dei personaggi di Greimas, Lucia dei "Promessi sposi" è: il mezzo l'oggetto del desiderio l'oppositore l'oppositore che diventa aiutante 07. Il modello attanziale di A. J. Greimas Il modello attanziale è uno schema interpretativo applicabile a tutte le forme di narrazione. Questo modello descrive le relazioni fra sei fondamentali ruoli narrativi che sono: il Soggetto (colui che compie l’azione), l’Oggetto (che è lo scopo dell’azione), l’Aiutante (che aiuta il soggetto a raggiungere il suo scopo), l’Opponente (che ostacola il soggetto), il Destinante (chi incarica l'eroe di compiere una certa impresa), Destinatario (a cui viene affidato alla fine l’oggetto). Lezione 025 01. Il modello attanziale di Greimas è uno schema che prevede: Manipolazione, Abilità, Speranza, Lotta e Sanzione Soggetto, Oggetto, Manipolazione e Performanza Soggetto, Oggetto, Aiutante, Opponente, Destinante e Destinatario Manipolazione, Performanza, Lotta, Premio 02. Lo schema narrativo canonico di Greimas prevede i seguenti momenti: prova qualificante - prova decisiva - prova glorificante rottura - prove - performanza - premio promessa - minaccia - provocazione manipolazione - competenza - performanza – sanzione 03. La provocazione è una figura che rientra nella: competenza performanza sanzione manipolazione 04. Il poter-fare è una modalità relativa: alla competenza alla manipolazione alla sanzione alla performanza 05. Il dover-fare è una modalità: attualizzante virtualizzante sia virtualizzante che realizzante realizzante 06. Greimas definisce come attanti: i ruoli tematici i tipi narrativi i personaggi i ruoli principali 07. Da Propp a Greimas: la struttura del testo Vladimir Propp, in Morfologia della fiaba (1928), lavora su un corpus di quasi 400 fiabe russe di magia e individua degli elementi costanti che ricorrono in tutte le fiabe analizzate. Il suo scopo è quello di individuare le forme soggiacenti, ovvero gli elementi costanti che, al di sotto della superficie mutevole delle singole fiabe, ricorrono in tutto il corpus (in analogia con l’approccio strutturalista). Il modello di Propp è stato molto studiato e ha aperto un acceso dibattito negli anni Sessanta. Il linguista e semiologo A. J. Greimas (1917-1992) accoglie riflessioni e prospettive di diversi studiosi (Saussure, Hjelmslev, Benveniste, Merleau-Ponty, Lévi-Strauss, Propp, Jakobson, Barthes ecc.) e individua una serie di limiti nel modello di Propp. Innanzitutto tale modello non può essere generalizzato, ma vale solo per il genere specifico che intende descrivere, e cioè la fiaba russa di magia. Greimas, infatti, vuole costruire un modello narrativo che possa spiegare qualsiasi tipo di racconto, non solo le fiabe. Poiché considera le funzioni di Propp troppo eterogenee e a volte prive di una interrelazione logica tra loro, le rielabora concentrandosi sui ruoli narrativi e propone il cosiddetto modello attanziale. Le funzioni vengono ridotte (funzioni contrattuali, funzioni di comunicazione...) e la teoria delle sfere d’azione viene riformulata in una struttura di attanti, ovvero tipi di personaggi agenti, di cui vengono descritte le relazioni. I ruoli narrativi fondamentali sono: il Soggetto (colui che compie l’azione), l’Oggetto (che è lo scopo dell’azione), l’Aiutante (che aiuta il soggetto a raggiungere il suo scopo), l’Opponente (che ostacola il soggetto), il Destinante (chi incarica l'eroe di compiere una certa impresa), Destinatario (a cui viene affidato alla fine l’oggetto). 08. Lo schema narrativo canonico di A. J. Greimas Lo Schema Narrativo Canonico, che può essere applicato a tutti gli universi narrativi, descrive quattro momenti della struttura di un racconto: 1. la manipolazione, in cui il Destinante convince in qualche modo il Soggetto circa l'opportunità di intraprendere un determinato programma narrativo. Il Destinante persuade il Soggetto a compiere una missione, ricorrendo a quattro tipologie di strategie (la promessa, la minaccia, la seduzione e la provocazione); 2. la competenza, in cui il Soggetto si procura i mezzi per procedere al suo scopo; 3. la performanza, che corrisponde alla prova principale, in cui il Soggetto porta a termine il suo programma narrativo; 4. la sanzione, il Destinante emette un verdetto sul compito svolto dal Soggetto e lo valuta in modo positivo o negativo. Lezione 026 01. Indicare quale delle seguenti affermazioni è falsa: Il quadrato semiotico rappresenta le categorie differenziali che fondano la significazione Il quadrato semiotico viene collocato al livello più superficiale del percorso generativo del senso Il Destinante interviene nella fase si Manipolazione Secondo Greimas in ogni narrazione c'è un oggetto di valore da conquistare 02. Il quadrato semiotico: rappresenta la disposizione degli attanti rappresenta i programmi narrativi rappresenta le azioni principali della narrazione rappresenta i valori fondamentali che sono alla base di una narrazione 03. Greimas: il percorso generativo del senso Per Greimas il significato di un testo può essere colto nel suo percorso generativo, vale a dire analizzando la progressiva emersione del senso del testo, dai livelli più profondi e astratti a quelli più superficiali e concreti. Il percorso generativo, in altri termini, è un ideale percorso di costruzione e ricostruzione del significato di un testo che viene visto come il prodotto complessivo di diversi livelli di strutturazione tra loro interconnessi, secondo una relazione gerarchica che va dal più semplice al più complesso. Vengono quindi ricostruiti i modi della produzione del significato, le tappe del suo dispiegarsi, e si passa da uno stato iniziale più semplice, astratto, immanente, allo stato finale più complesso, concreto, di manifestazione. Ne risulta un'organizzazione del contenuto a strati, ciascuno dei quali presenta le proprie articolazioni e categorie formali. Nello specifico Greimas distingue strutture semio-narrative (articolate in profonde e superficiali) e strutture discorsive. Il piano semi-narrativo è un livello più astratto di strutturazione del contenuto, riguarda l’ossatura narrativa, la semantica del discorso, vale a dire significati profondi messo in gioco (di cosa si parla), i valori incarnati (la morale), i tipi di azione realizzata (la perdita, il dono, la conquista). Il piano discorsivo rende conto della messinscena del discorso, vale a dire vengono presi in considerazione gli elementi immediatamente riconoscibili come le tematiche affrontate, lo scenario temporale spaziale, i dettagli figurative, la caratterizzazione dei personaggi. Eco Hjelmslev Derrida Barthes 05. Zambinella è un personaggio di: "I Lanty" "S/Z" "Serrasine" "Le illusioni perdute" 06. Chi ha scritto "S/Z" (1970)? Barthes Saussure Eco Balzac 07. Chi è l'autore di "C'è un testo in questa classe?" R. Barthes J. Derrida S. Fish S. Sontag 08. Caratteri e protagonisti del Decostruzionismo Il decostruzionismo si sviluppa nella scuola di Yale e Jonathan Culler, docente di letteratura comparata alla Cornell University di Ithaca (New York), è tra i primi teorici che contribuiscono a definirne i termini. Ha origine dalle teorie di Jaques Derrida (1930-2004), il quale interviene sull’importanza della lettura intesa come gioco di associazioni, inaugurando un nuovo modello interpretativo che riconosce al testo un alto grado di polisemia, vale a dire una pluralità di significati. Nei suoi saggi “La scrittura” e “La differenza e Della Grammatologia”, entrambi del 1967, lo studioso sostiene che il linguaggio è caratterizzato da una infinita equivocità e dunque è continuamente reintepretabile, non può essere razionalizzato. Di conseguenza, in un testo letterario non ha valore l’intenzione dell’autore, ma piuttosto il senso che gli attribuiscono i lettori, dunque il testo possiede significati potenzialmente infiniti. La critica letteraria, secondo Derrida, non deve andare alla ricerca della struttura che organizza il testo, così come aveva fatto lo strutturalismo, ma deve decostruire il testo, rivelarne gli aspetti imprevedibili, le crepe, le sconnessioni, le incongruenze, la doppiezza. La traccia scritta, spiega lo studioso, non possiede un significato a priori, il linguaggio è infatti un fraintendimento illimitato, possiede una equivocità intrinseca, può essere interpretato in modi diversi. Il senso di un testo, dunque, non potrà mai essere definito una volta per tutte. Lo studioso applica le sue teorie a testi particolarmente oscuri come quelli di Baudelaire, Poe, Artaud, Joyce, ma le sue analisi non hanno lo scopo di svelare le metafore oscure usate da questi scrittori, di spiegarle attraverso un concetto, vogliono piuttosto dimostrare che il senso originario non può essere afferrato. Tra i critici più significativi di questo movimento si ricordano: Geoffrey Hartman (1929-2016), autore della raccolta Beyond Formalism (1970) e Paul de Man (1919-1983) di origine belga e trasferitosi poi negli Stati Uniti nel secondo dopoguerra. De Man, considerato il decostruzionista più rigoroso, pensa che il conflitto testuale nasce dall'ambivalenza del significato letterale in rapporto a quello figurato, che tuttavia diversamente da quanto affermato dalla critica tradizionale non possono essere conciliati. Il significato letterale sarebbe smentito da quello figurale, per questo sarebbe impossibile arrivare a una verità. 09. Spiegare che cos'è il Poststrutturalismo Il poststrutturalismo è una tendenza filosofica che si sviluppa negli anni Sessanta e Settanta nell'ambito dello strutturalismo francese, di cui costituisce sia uno sviluppo che una critica. Rappresenta il "superamento" dello strutturalismo più rigido, caratterizzato dalla prevalenza del concetto di sistema, dall’antistoricismo, e dal formalismo (in base al quale, il significato è il risultato di rapporti, relazioni, strutture, differenze, dunque elementi unicamente formali). Nell’ambito della critica letteraria, il post-strutturalismo nasce come sfiducia nei confronti delle analisi descrittive dei sistemi linguistici e semiotici fino ad allora ritenuti oggettivi. Il post-strutturalismo critica il concetto di verità e di conoscenza oggettiva, quindi rifiuta l’idea di verità del significato dell'opera. I principali teorici di riferimento del post-strutturalismo sono Foucault, Lacan, Derrida, Kristeva, Bachtin, Eco. Lezione 029 01. Chi ha scritto i "Saggi sul realismo"? Auerbach Lukács Balzac Marx 02. Indicare quale delle seguenti affermazioni è falsa: Secondo Marx l'arte deve essere simbolista Secondo Marx l'arte restituisce la «falsa coscienza» dell'ideologia borghese Secondo Marx l'arte è espressione dei rapporti socio-economici Secondo Marx l'arte deve essere realista 03. La critica marxista: il pensiero di G. Lukács Lukács si oppone ai non-realisti come Flaubert, ai naturalisti come Zola, e a tutta l'arte decadente del Novecento. La sua idea di realismo è legata alla capacità di narrare, che si contrappone al puro descrivere, e in questo senso ritiene che Balzac sia superiore a Zola. Lo studioso prende le distanze dalle avanguardie letterarie e artistiche, che giudica le punte estreme dell’«irrazionalismo borghese», inoltre pensa che l’arte debba saldarsi al processo storico, ciò significa che deve «rispecchiare» la realtà, pur in piena libertà e autonomia. 04. Spiegare la teoria lukàcsiana del rispecchiamento e del tipico In Sulla categoria della particolarità (1957), Lukács espone la propria visione dell’arte come “rispecchiamento” del reale. Non si tratta di fotografare in maniera mimetica il reale poiché il rispecchiamento usa la categoria della particolarità. Questa categoria tiene insieme individualità e universalità, infatti permette di cogliere la struttura dialettica di una situazione storica. L’arte realistica non è solo quella che imita naturalisticamente il reale, me ne coglie l’aspetto tipico. Secondo Lukács la narrativa realistica dell’Ottocento rappresenta uno dei momenti più alti raggiunti dal romanzo moderno. Condanna la sperimentazione delle avanguardie per il modo in cui intende il realismo. Il concetto di tipico diventa una categoria universale del realismo ed è ispirato al realismo ottocentesco. Secondo Lukács la letteratura può costituire lo specchio fedele della realtà solo quando lo scrittore è in grado di offrire una visione completa e complessa delle condizioni strutturali della società, essendo appunto realistica quell’arte che coglie ciò che è tipico di un determinato periodo storico e non realistica quella che imita in modo naturalistico la vita quotidiana nei suoi dettagli anche minimi, deformando i criteri del rispecchiamento artistico. 05. La critica marxista e il realismo nell'arte Nella prospettiva marxista, l’arte deve essere realistica, non simbolista o introspettiva, deve cioè rispecchiare la realtà, ma allo stesso tempo prefigurare una società ideale ricreando immaginari e modelli che possano essere riprodotti nella vita reale. «I filosofi», spiega Marx, «si sono finora limitati a interpretare il mondo, ma ora si tratta di cambiarlo». Da una prospettiva marxista, dunque, l’arte può e deve svolgere un compito critico nei confronti della realtà. 06. Caratteri della critica marxista Nel corso del Novecento, in particolar modo a partire dal primo dopoguerra, ha avuto un grande impulso una critica letteraria che si ispira al pensiero di Marx e che studia la letteratura alla luce dei suoi rapporti con la dimensione economico-sociale. Le basi di questo approccio critico sono da ricercarsi pensiero sull'arte di Karl Marx (1818-1883) e di Friedrich Engels (1820-1895). Innanzitutto è importante introdurre il concetto di materialismo storico sviluppato dai due studiosi, in base al quale le forze motrici della storia non hanno una natura spirituale – non sono cioè le religioni, le filosofie o la politica – ma hanno una natura materiale: sono le forze di produzione (la forza lavoro, gli strumenti di produzione, le esperienze e le conoscenze sui modi di produzione) e i rapporti di produzione (la regolamentazione sociale e giuridica dei rapporti di lavoro che caratterizzano una data epoca storica e che si sono tradotti in schiavismo, capitalismo ecc.). Le forze di produzione e i rapporti di produzione costituiscono la “struttura” della società, la sua base socio- economica. La “sovrastruttura”, invece, secondo Marx ed Engels, è costituita da tutti gli altri aspetti della vita sociale (la religione, la cultura, la politica ecc..), e che sono determinati dalla struttura economica. avviene attraverso migliaia di copie perfettamente uguali all’originale, proiettate in tempi e luoghi diversi; al contrario, nell’arte del passato, l’originale era ben distinto dalla copia e prevedeva il suo godimento in luogo e tempo ben determinati. 10. La Scuola di Francoforte: Benjamin e la riproducibilità tecnica Il filosofo, critico e sociologo tedesco Walter Benjamin (1892-1940), che interpreta in maniera personale le teorie marxiste, si concentra sulle avanguardie e sui fenomeni artistici nella moderna società di massa, conducendo i suoi studi dapprima a Francoforte e, dopo l’avvento del nazismo, a Parigi. Per Benjamin l’avanguardia rappresenta il compimento delle trasformazioni subite dall’arte e dalla sensibilità estetica nella modernità. Esamina il passaggio dall’opera d’arte tradizionale – considerata un oggetto unico e irripetibile –, alle forme moderne di espressione artistica: la fotografia e il cinema, spiega il critico, dissolvono l’hic et nunc (il “qui e ora”) dell’opera d’arte in una molteplicità di copie riproducibili. Secondo Benjamin, le nuove tecniche per produrre, riprodurre e trasmettere le opere hanno radicalmente cambiato l’atteggiamento verso l’arte e la sua fruizione. Nel cinema, ad esempio, la ricezione dell’opera avviene attraverso migliaia di copie perfettamente uguali all’originale, proiettate in tempi e luoghi diversi; al contrario, nell’arte del passato, l’originale era ben distinto dalla copia e prevedeva il suo godimento in luogo e tempo ben determinati. 11. La critica marxista e la Scuola di Francoforte Il tema del rapporto tra opera d’arte e società è centrale nella linea marxista della Scuola di Francoforte, una scuola di filosofia sociale e di ricerche sociologiche nata nel 1923 all'Institut für Sozialforschung di Francoforte sul Meno, e che continua la sua attività fino agli anni Settanta. Tra i suoi maggiori esponenti ricordiamo intellettuali come Adorno, Pollock, Horkheimer, Marcuse, Fromm, e Benjamin. Il gruppo dei filosofi della Scuola di Francoforte sviluppa un’idea di letteratura che parte da premesse analoghe a quelle della tradizione marxista: la letteratura deve influire sui mutamenti storico-sociali, porsi in maniera critica nei confronti del mondo tecnico-industriale moderno – che relega l’essere umano in una condizione di infelicità e asservimento –, e promuovere una società di uomini liberi. Lezione 031 01. Indicare quale delle seguenti affermazioni è falsa: I motivi sono costituiti da nuclei tematici Temi e motivi sono strutture interpretative della realtà I motivi sono elementi di contenuto ricorrenti, in genere di carattere astratto, composti da aggregati semantici minori chiamati temi I miti sono elementi che emergono dalla scomposizione dei racconti fiabeschi e delle saghe 02. Indicare quale delle seguenti affermazioni è vera: I motivi sono costituiti da nuclei tematici I temi sono elementi di contenuto ricorrenti, in genere di carattere astratto, composti da aggregati semantici minori chiamati motivi I miti sono elementi di contenuto ricorrenti, in genere di carattere astratto, composti da aggregati semantici minori chiamati temi I motivi sono elementi di contenuto ricorrenti, in genere di carattere astratto, composti da aggregati semantici minori chiamati temi 03. La Stoffgeschichte: è un filone di ricerca inaugurato dallo studioso Gaston Paris è un filone di ricerca che nasce nel Settecento è la storia dei contenuti tematici nel loro passaggio da una tradizione all'altra non è un filone di ricerca che nasce nel Novecento 04. Lo studio dei temi in letteratura Gli studi sul folclore (l’insieme delle manifestazioni della vita e della cultura popolare) hanno indagato la ricorrenza e la migrazione dei temi nella letteratura popolare e orale, mentre la letteratura comparata si è interessata alla trasmissione dei temi e dei miti nelle letterature moderne. I filologi e linguisti tedeschi, fratelli Grimm, nei primi decenni del XIX secolo, avevano inaugurato un filone di ricerca basato sulla trasmissione dei temi attraverso la letteratura popolare di tradizione orale e anonima. Si tratta della Stoffgeschichte, vale a dire la storia dei materiali e dei contenuti tematici nel loro passaggio da una tradizione all’altra. Negli anni Trenta Paul Van Tieghem, nell’ambito della scuola comparatista francese, introduce il termine thémathologie – dichiarandosi scettico nei confronti delle ricerche tematologiche a lui contemporanee, che a suo parere produrrebbero semplicemente inventari e schedature di materiali. Mentre i formalisti hanno studiato i temi in relazione all’architettura del testo, la critica tematica li considera da un punto di vista contenutistico. Già a partire dagli anni Trenta, la tematologia utilizza la psicanalisi per spiegare la presenza di immagini ricorrenti all’interno di testi letterari molto diversi tra loro, in particolar modo riprende le teorie di Carl Gustav Jung sugli archetipi dell’inconscio collettivo (non troppo diversi dai motivi e i temi ancestrali). Gaston Bachelard (1884-1962) si concentra sui temi archetipici anche attraverso le teorie junghiane, studiando ad esempio la rappresentazione dei quattro elementi primordiali (acqua, aria, terra, fuoco) in rapporto ai sogni. Secondo Bachelard è innanzitutto la zona pre-riflessiva della coscienza che produce immagini, e in cui si origina la rêverie, l’immaginazione fantastica. Negli anni Trenta l’anglista italiano Mario Praz pubblica il saggio La carne, la morte e il diavolo nella letteratura romantica (1930) in cui esamina i temi morbosi, scabrosi, legati ad aspetti noir, come il sesso e la putrefazione, rintracciabili all’interno della letteratura romantica. Pur riprendendo alcune indicazioni freudiane, Praz si concentra sugli elementi letterari che completa con il materiale extratestuale, facendo riferimento al contesto storico-culturale delle opere. Negli stessi anni, in area tedesca, Ernst Robert Curtius inizia il suo progetto filologicoecdotico dell’Europäische Literatur und lateinisches Mittelalter (trad. it. Letteratura europea e Medio Evo latino) pubblicato nel 1948, un inventario di tòpoi che dalla letteratura della tarda latinità si travasano nelle letterature europee. L’ecdotica è la branca della filologia che si propone la ricostruzione in una forma quanto più possibile vicina all’originale di un testo antico, attraverso lo studio e la comparazione dei suoi testimoni (per lo più manoscritti). Gli studiosi che hanno teorizzato la critique thématique (Poulet, Richard, Starobinski) sono attivi soprattutto tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta. In particolar modo Georges Poulet (1902-1991) si concentra su temi astratti come il tempo e lo spazio, evidenziando che nel corso dei secoli la letteratura li ha rappresentati molto spesso attraverso la forma del cerchio, facendo cioè riferimento a figure circolari. J. P. Richard evidenzia che nei testi i temi possono essere estrapolati in base alla frequenza con cui ricorrono e a come sono distribuiti nel testo, inoltre lega i nuclei tematici alla sensibilità dell’autore. Anche la Nouvelle critique (orientamento che nasce in Francia negli anni Cinquanta e vuole rinnovare la critica letteraria tradizionale attraverso il contributo di discipline come linguistica, la sociologia, l’antropologia, la psicanalisi ecc.) ai suoi esordi, è per alcuni aspetti una critica tematica. Secondo R. Barthes – che ha contribuito all’affermarsi della Nouvelle critique – il tema è una rete di elementi legati tra loro da un rapporto di dipendenza. La cosiddetta psicocritica degli anni Sessanta, il metodo della critica letteraria elaborato dal francese C. Mauron (1899 – 1966), a partire dalla nozione freudiana di inconscio, individua una serie di temi e motivi ricorrenti in un autore o in un’opera, che rappresentano una rete di «metafore ossessive». Secondo J.P. Weber (1899-1966) la creazione letteraria è la ripetizione di un unico tema, di un’immagine ossessiva che nasce da un ricordo d’infanzia custodito nella memoria dello scrittore. J. Starobinski precisa che non è sufficiente redigere un inventario dei temi che fanno parte dell’immaginario di un autore, ma bisogna individuare il tema più rilevante. In Ritratto dell’artista da saltimbanco (1970) lo studioso analizza la figura del clown (e figure simili come il saltimbanco, la ballerina e l’acrobata), riflettendo sulla ricorrenza di quest’immagine nella letteratura e nella pittura tra Ottocento e Novecento. Gli artisti, secondo Starobinski, ripropongono il tema del clownismo poiché riconoscono che la loro condizione è per molti versi affine a quella del saltimbanco, una figura che può essere irriverente, ambigua e creare scompiglio. Nell’ambito della critica tematica bisogna ricordare anche gli studi del canadese Northrop Frye, particolarmente diffusi e ben accolti in Europa. In Anatomia della critica (1957) Frye riprende da Aristotele il termine diànoia, e lo traduce con ‘tema’. A differenza di quanto accade nei romanzi e nei drammi, spiega Frye, nei saggi e nella poesia lirica l’interesse fondamentale risiede nella diànoia, l’idea o pensiero poetico che il lettore desume dallo scrittore. Forse la migliore traduzione di diànoia è ‘tema’, mentre la letteratura che ha quest’interesse ideale o concettuale può essere definita tematica. Lezione 032 01. Chi ha parlato di "polifonia" nel romanzo? F. Dostoevskij I. Richards M. Bachtin F. Dostoevskij 02. Chi ha parlato di "dialogicità" nel romanzo? F. Dostoevskij E. Auerbach M. Bachtin G. Poulet 03. Indicare quale delle seguenti affermazioni è vera: L'intreccio è l'insieme dei motivi legati da un rapporto causale e temporale I temi sono unità minime dei motivi I motivi sono unità minime del tema I motivi legati sono relativi alla durata degli eventi 04. Indicare quale delle seguenti affermazioni è falsa: La fabula è l'insieme dei motivi legati da un rapporto causale e temporale I temi sono unità minime dei motivi I motivi non sono relativi alla durata degli eventi I motivi sono unità minime del tema 05. Chi ha scritto "Letteratura europea e Medio Evo latino"? Croce Praz Curtius Paris 06. Chi ha scritto "Ritratto dell'artista da saltimbanco" (1970)? N. Frye J. Starobinski C. Mauron J. P. Weber 07. Evoluzione della critica tematica Negli anni Sessanta il critico belga Raymond Trousson (1936-2013) prova a mettere ordine nella terminologia, identificando la “tematologia” con lo studio dei processi politici, sociali ed estetici legati alla continua rigenerazione di determinati temi (ad esempio quello dell’eroe assoluto). Per Trousson la critica tematica è l’indagine di un tema in una singola opera, mentre la tematologia è lo studio comparatistico delle trasformazioni storiche di un tema attraverso diversi testi. La tematologia, dunque, interpreta le metamorfosi di un tema letterario nel tempo, le sue variazioni rispetto ai diversi contesti storici, culturali e ideologici. Trousson distingue: sequenze canoniche, le cosiddette “sceneggiature”, che permettono di riconoscere determinate situazioni e prevedere gli sviluppi di una storia. Lezione 034 01. Quali sono i due principali studiosi della Scuola di Costanza? E. Husserl e M. Heiddeger R. Jauss e W. Iser G. Vattimo e U. Eco E. Husserl e M. Heiddeger 02. L'orizzonte di attesa: in genere è sempre confermato dalla lettura integrale del testo letterario resta solitamente immutato nel tempo non è collegato al successo dell'opera è un sistema di aspettative relative al genere, allo stile e alla forma 03. Indicare quale delle seguenti affermazioni non è corretta: L'orizzonte di attesa del lettore in genere è sempre confermato dall'opera letteraria L'orizzonte di attesa dei lettori cambia nel tempo L'orizzonte di attesa del lettore è un fattore che si collega al successo e all'insuccesso dell'opera letteraria L'orizzonte di attesa del lettore è un sistema di aspettative relative al genere, allo stile e alla forma 04. La Scuola di Costanza: studiosi e caratteri principali Vedi lezione precedente “teoria della ricezione” 05. L'interpretazione testuale secondo Jauss e Iser Vedi lezione precedente “teoria della ricezione” Lezione 035 01. Indicare quale delle seguenti affermazioni è falsa: Il Lettore Modello è il lettore ideale che coglie i vari significati del testo Il Lettore Modello possiede le competenze necessarie a disambiguare il significato del testo Il Lettore Modello coincide con il lettore reale Il Lettore Modello è il lettore previsto dal testo 02. Il lettore modello è: un lettore immaginario, che è il risultato della strategia messa in atto dall'autore per la buona riuscita della comunicazione. un lettore in carne e ossa che si lascia guidare dalle regole dettate dall'autore all'interno del testo. Un lettore in carne e ossa, colto e attento: il lettore ideale che ogni scrittore vorrebbe. Un lettore della società postmodernista. 03. Il concetto di enciclopedia nella teoria di Eco L’enciclopedia è l’insieme di tutte le nostre conoscenze. Ogni contesto è caratterizzato da usi, convenzioni e peculiarità che regolano le relazioni comunicative tra i soggetti, e l'enciclopedia registra tali convenzioni sotto forma di regole, codici, sottocodici, ecc. È possibile comunicare proprio perché si condividono delle porzioni di enciclopedia, ci può essere comprensione poiché esiste un sapere comune. Il concetto di enciclopedia, dunque, costituisce il punto di chiave dell'attività interpretativa. La competenza enciclopedica riguarda: • l'enciclopedia globale, che rappresenta il livello più generale e astratto, ed è intesa come repertorio di tutto il sapere; • l'enciclopedia come sapere medio, che individua le conoscenze che caratterizzano una data cultura e la differenziano da altre; • la competenza enciclopedica, intesa come la competenza media che ciascun individuo dovrebbe possedere; • la competenza semantica, che è la competenza più specificatamente linguistica e riguarda le regole semantiche che organizzano i significati di una lingua. L'enciclopedia, intesa come l'insieme registrato di tutte le interpretazioni possibili, è potenzialmente illimitata, non è descrivibile nella sua totalità. Eco sostiene che esistano delle rappresentazioni enciclopediche locali: infatti, quando comunichiamo, attiviamo solo delle porzioni di enciclopedia, che consentono comunque la comprensione reciproca. Eco, inoltre, cita come esempio il seguente dialogo «Giovanni entrò nella stanza. “Sei tornato, allora!”, esclamò Maria, raggiante». Il lettore, per essere in grado di comprenderne il significato, deve possedere una competenza grammaticale, una competenza semantico-enciclopedica (es. deve conoscere il significato del verbo “tornare”), deve saper disambiguare gli impliciti (es. Giovanni e Maria sono nella stessa stanza), deve avere la capacità di fare inferenze (es. Se Maria è raggiante allora è contenta di rivedere Giovanni). Attraverso l’esempio riportato, l’autore dimostra che i testi lasciano implicita una gran quantità di informazioni che il destinatario è chiamato a estrapolare in base alla sua conoscenza del contesto comunicativo. 04. U Eco: il ruolo del lettore Secondo Eco un testo rimane incompleto senza l’intervento di un lettore che, con la sua attività interpretativa, riempie di senso i suoi «spazi bianchi». Un testo è «intessuto di non detto» poiché lascia implicita una gran quantità di informazioni che il destinatario è chiamato a estrapolare in base alla sua conoscenza del contesto comunicativo. 05. La cooperazione testuale secondo U. Eco Eco sottolinea che il testo è una macchina pigra che presuppone un lavoro da parte del lettore: ciò vuol dire che il lettore, tramite una serie di inferenze – ragionamenti logici che consistono nell’arrivare a una conclusione a partire da una serie di premesse – segue uno o più dei percorsi interpretativi possibili. Secondo Eco, dunque, il testo è un prodotto la cui sorte interpretativa deve far parte del proprio meccanismo generativo: generare un testo significa attuare una strategia che comprende le previsioni delle mosse altrui. Lezione 036 01. Indicare quale delle seguenti affermazioni non è corretta: "I misteri di Parigi" di E. Sue rappresenta un esempio di "uso" del testo "I misteri di Parigi" di E. Sue nasce come romanzo per il pubblico colto "I misteri di Parigi" di E. Sue è un feuilleton "I misteri di Parigi" di E. Sue rappresenta un esempio di testo chiuso 02. Indicare quale delle seguenti affermazioni non è corretta: La teoria dei mondi possibili permette di confrontare i fatti narrati nel testo con il mondo della nostra esperienza I mondi possibili verosimili alternano solo alcune delle leggi fisiche del nostro mondo di riferimento I mondi possibili testuali sono costruiti progressivamente dal lettore attraverso le sue ipotesi I mondi possibili possono o meno alterare le leggi fisiche del nostro mondo di riferimento 03. Il lettore modello è: Un lettore in carne e ossa, colto e attento: il lettore ideale che ogni scrittore vorrebbe un lettore immaginario, che è il risultato della strategia messa in atto dall'autore per la buona riuscita della comunicazione Un lettore della società postmodernista un lettore in carne e ossa che si lascia guidare dalle regole dettate dall'autore all'interno del testo 04. Indicare quale delle seguenti affermazioni non è corretta: "I misteri di Parigi" di E. Sue rappresenta un esempio di testo chiuso "I misteri di Parigi" di E. Sue rappresenta un esempio di "uso" del testo "I misteri di Parigi" di E. Sue nasce come romanzo per il pubblico colto "I misteri di Parigi" di E. Sue è un feuilleton 05. Indicare quale delle seguenti affermazioni non è corretta: I mondi possibili verosimili alternano solo alcune delle leggi fisiche del nostro mondo di riferimento I mondi possibili testuali sono costruiti progressivamente dal lettore attraverso le sue ipotesi La teoria dei mondi possibili permette di confrontare i fatti narrati nel testo con il mondo della nostra esperienza I mondi possibili possono o meno alterare le leggi fisiche del nostro mondo di riferimento 06. Quale dei seguenti testi viene analizzato da U. Eco "Lector in fabula"? L'assomoir La Paix du ménage La horla Un dramme bien parisien 07. Lettore modello e autore modello nella teoria di U. Eco Il Lettore Modello, vale a dire quel lettore previsto dal testo per la realizzazione dei suoi effetti. Il significato del testo, infatti, è determinato solo in parte dalle strutture o dai percorsi di senso potenziali costruiti dall'emittente, poiché un ruolo fondamentale viene svolto dal fruitore, dalle strategie interpretative del lettore. Secondo Eco, l’interpretazione di un testo consiste nel mettersi nei panni del Lettore Modello, nell’accettare di giocare il gioco predisposto dal testo. Del Lettore Modello si analizzano anche le competenze che corrispondono a un bagaglio di “sceneggiature”, sequenze canoniche conosciute e riconosciute dal lettore che permettono di prevedere gli sviluppi probabili di determinate situazioni (un esempio: se in una sit-com compare una torta, è presumibile che verrà tirata in faccia a uno dei personaggi). L’Autore Modello è la strategia testuale impiegata dall’autore empirico per indirizzare nel senso voluto l’attività cooperativa del lettore. Il destinatario cercherà nel testo l’Autore modello, ovvero l’immagine dell’autore così come la si può ricavare dalla lettura di un testo. L’Autore Modello è lo stile complessivo del testo e va rigorosamente distinto dall’autore empirico (l’individuo concreto, con una sua biografia). L’autore empirico disegna, in termini di strategia testuale, un’ipotesi di Lettore Modello; il lettore empirico formula un’ipotesi interpretativa di Autore Modello, deducendola dai dati testuali. La cooperazione testuale si realizza dunque tra due strategie discorsive e non tra due soggetti empirici. 08. Il lettore ingenuo e il lettore critico secondo U. Eco Corrispondono ai due modi che si utilizzano per percorrere un testo narrativo. Alcuni testi, infatti, sembrano scritti per essere letti almeno due volte: la prima lettura presuppone un lettore ingenuo, la seconda è quella di un lettore critico che interpreta i fallimenti del primo. Il lettore ingenuo è colui che viene indotto a fare false previsioni, che vengono poi disattese a livello della fabula (cioè dall’ordine logico e cronologico degli accadimenti). Ad esempio, nei romanzi polizieschi, le strutture discorsive traggono in inganno il lettore, (magari disseminando falsi indizi su un personaggio) per spingerlo a fare ipotesi avventate. Nello stadio finale della fabula il lettore sarà poi obbligato a rivedere le proprie previsioni. 09. La differenza tra testi aperti e testi chiusi secondo U. Eco. I testi aperti sono strutturati in modo da lasciare al lettore un ampio margine di manovra interpretativa, sfruttando la fondamentale ambiguità e incompletezza di ogni testo a fini strategici. I testi chiusi cercano invece di indirizzare in maniera univoca l’interpretazione del lettore, in modo che i termini scelti, le espressioni utilizzate e i riferimenti enciclopedici siano quelli che, prevedibilmente, il lettore può capire. I testi chiusi lasciano poco spazio alla creatività interpretativa del lettore, gli chiedono di seguire un percorso prestabilito, non lo stimolano a cooperare. 10. U. Eco: la teoria dei mondi possibili il romanzo storico il romanzo d'avventura il romanzo sociale il romanzo di formazione 06. Indicare quale delle seguenti affermazioni è falsa: La saga è una narrazione seriale La saga è tipica delle culture nordiche La saga non contiene quasi mai il discorso diretto Molte saghe sono legate a cicli familiari 07. Nel "Decameron" di Boccaccio, i dieci narratori che fanno parte del racconto primario (la cornice) sono: narratori diegetici narratori intradiegetici narratori inattendibili narratori eterodiegetici 08. Indicare quale delle seguenti affermazioni è falsa: La saga è tipica delle culture nordiche La saga è una narrazione seriale Molte saghe sono legate a cicli familiari La saga non contiene quasi mai il discorso diretto 09. Il Bildungsroman è: il romanzo di formazione il romanzo storico il romanzo d'avventura il romanzo sociale 10. Nel "Decameron" di Boccaccio i personaggi delle novelle che diventano essi stessi narratori fanno parte: del livello extradiegetico del livello secondario del livello diegetico del livello metadiegetico 11. I generi letterari: definizione ed esempi I generi letterari sono modelli di classificazione delle opere letterarie e raggruppano opere con caratteristiche comuni, sia a livello di forma che di contenuto. Non solo vengono utilizzati dai critici, ma incidono anche sulle scelte del pubblico Critici, editori e storici della letteratura hanno da sempre individuato generi e sotto-generi, basti pensare alle etichette date alle diverse forme di romanzo (storico, rosa, di formazione, di fantascienza, cavalleresco ecc.). Allo stesso tempo sono state individuate delle categorie sovrageneriche, chiamate “modi”, che indicano caratteristiche simili presenti in più generi, ad esempio il “fantastico “o il “realismo”. La terminologia e i criteri classificatori dei generi sono cambiati in base alle epoche e alla cultura. Il mito è una narrazione fantastica che ha origine nella tradizione orale che giustifica il significato sacrale che si attribuisce a fatti o a personaggi storici e, in generale, offre una spiegazione dei fenomeni naturali e dei fenomeni che interessano l’intera umanità (la vita, la morte, i sentimenti). Ha un valore spesso religioso o comunque simbolico, racconta le gesta compiute da figure divine o da antenati che per una certa civiltà costituiscono il fondamento del sistema sociale. La leggenda era il racconto della vita di un santo (agiografia) che solitamente conteneva elementi meravigliosi e miracolosi. Era destinato alla lettura pubblica nei monasteri spesso in occasione nel giorno della festa del santo. Si trattava di un racconto che si riferisce a luoghi, personaggi e avvenimenti reali, ma che modificava la realtà storica mettendo l’accento sul significato religioso. Il termine leggenda ha assunto progressivamente un significato più ampio, fino a indicare una narrazione di fatti e personaggi lontani nel tempo (si pensi ai grandi condottieri come Napoleone), tramandata oralmente e arricchita progressivamente di particolari fantastici, esotici ecc. La saga è una forma di narrazione seriale, tipica delle antiche culture nordiche, trasmessa oralmente e poi registrata in testi in prosa scritti in una lingua scandinava arcaica (il norreno). Diffusa in tutta l’area norrena, in particolare in Islanda, a partire dall’XI sec., e fissati per iscritto soprattutto tra il XIII e il XIV secolo. Racconta avventura epiche condite con elementi romanzeschi o fiabeschi. Nonostante contenga molti elementi di invenzione, ha una base storica e geografica, rivela, ad esempio, i nomi dei personaggi, dei clan, e dei luoghi. E’ caratterizzata da uno stile scarno e conciso, che ricorre spesso al discorso diretto (mutuato dalla tradizione orale e che permette di restituire un patrimonio di reminiscenze storiche e di costruzioni leggendarie). Oggi si parla di saga anche in relazione alle forme di narrazione moderna come i romanzi basati sulla storia di una famiglia o i testi cinematografici e televisivi. Il romanzo è un genere di narrazione che ha preso tantissime forme, rivelando una grande malleabilità. Possiamo distinguere i diversi tipi di romanzo a seconda della forma narrativa (romanzo epistolare, romanzo- diario, romanzo-saggio, romanzo-allegorico, romanzo-inchiesta), oppure in base al tipo di storia che viene raccontata, dell’ambientazione, della presenza di elementi di realtà o di finzione (novel, romance, romanzo picaresco, romanzo di formazione o Bildungsroman, romanzo storico, romanzo sociale, romanzo poliziesco o detective-novel, romanzo di spionaggio, romanzo di fantascienza ecc.). Il racconto è un romanzo più breve e si distingue dalla novella per la maggiore presenza di elementi realistici e per un maggiore approfondimento psicologico dei personaggi. Si tratta di un genere diffuso soprattutto nella modernità. Possiamo distinguere il racconto realistico, il racconto storico, il racconto filosofico, il racconto poliziesco ecc. Lezione 039 01. Nel "Decameron" di Boccaccio i dieci narratori che fanno parte del racconto primario (la cornice) sono: narratori inattendibili narratori eterodiegetici narratori diegetici narratori intradiegetici 02. Nel "Decameron" di Boccaccio i personaggi delle novelle che diventano essi stessi narratori fanno parte: del livello secondario del livello metadiegetico del livello extradiegetico del livello diegetico 03. Il "Decameron" di Boccaccio: i livelli del racconto. Ogni volta che un personaggio della storia diventa a sua volta narratore di un altro racconto, inserito nel racconto primo, si ha una incastonatura narrativa ovvero – nei termini dello studioso G. Genette – si produce un cambiamento di livello narrativo, detto anche livello diegetico. Quando si ha una variazione del grado della diegesi (nel caso di racconti nel racconto, come avviene in Le mille e una notte), è possibile distinguere diversi livelli narrativi: il livello extradiegetico: è il livello narrativo primo, del narratore che si trova fuori dalla diegesi; il livello intradiegetico, cioè interno alla diegesi: un narratore di secondo grado racconta i fatti all’interno di fatti narrati da un altro narratore (per esempio, Ulisse di fronte ai Feaci nell’Odissea); il livello diegetico (racconto primario); i livelli metadiegetici (racconti secondari) Il Decameron è la raccolta di cento novelle scritta da Boccaccio nel XIV secolo e narra la storia di un gruppo di giovani che per quattordici giorni si trattengono fuori Firenze per sfuggire alla peste e che, a turno, si raccontano delle novelle. A un primo livello extradiegetico troviamo l’autore, Boccaccio, che parla ai suoi lettori. Il narratore non prende parte alla narrazione che lui stesso sta articolando ma narra soltanto il racconto primario. Di questo primo livello fanno parte ad esempio il proemio e l’introduzione alla IV giornata. Il livello intradiegetico è rappresentato dai dieci narratori che fanno parte del racconto primario (la cornice), raccontato dal narratore extradiegetico. Appartengono al livello intradiegetico: l’introduzione generale con la descrizione della peste, le introduzioni e le conclusioni alle varie giornate e i collegamenti fra le varie novelle sotto forma di breve preambolo che introduce la novella raccontata precedentemente. I dieci giovani sono narratori eterodiegetici, ciò vuol dire che sono delle voci narranti “asettiche” e “assenti”, non fanno mai riferimento a se stessi, non entrano nella storia ma si limitano a raccontare le novelle. Il terzo livello è quello diegetico, in cui si passa dal narrare al narrato, vale a dire che dall’enunciazione primaria (l’autore) e secondaria (i narratori) si passa agli enunciati narrativi (le novelle). Nel Decameron è possibile individuare anche un quarto livello, metadiegetico: alcuni dei personaggi delle novelle diventano essi stessi narratori quando raccontano a loro volta una novella. Il livello metadiegetico, dunque, è riconoscibile solo quando nel racconto si incastona un’ulteriore occasione di racconto. Lezione 040 01. Secondo Propp nelle narrazioni fiabesche: nella fase pre-liminale il protagonista incontra aiutante nella fase pre-liminale il protagonista viene rapito nella fase pre-liminale il protagonista lascia lo spazio domestico nella fase pre-liminale il protagonista cambia 02. Secondo Propp nelle narrazioni fiabesche: nella fase pre-liminale il protagonista ha superato la prova di coraggio nella fase post-liminale il protagonista ha superato la prova di coraggio nella fase pre-liminale il protagonista incontra l'opponente nella fase liminale il protagonista ha superato la prova di coraggio 03. Indicare quale delle seguenti affermazioni è falsa: Secondo Propp nelle fiabe la fase della trasfigurazione segue sempre la persecuzione Secondo Propp nelle fiabe la fase del danneggiamento segue sempre la partenza Secondo Propp nelle fiabe la fase dell'adempimento segue sempre quella del compito difficile Secondo Propp nelle fiabe la fase della nozze segue sempre la punizione dell'antagonista 04. La versione di "Cappuccetto Rosso" dei fratelli Grimm viene pubblicata: nel 1812 nel 1798 nel 1689 nel 1921 05. Temi e motivi ricorrenti nella fiaba "Cappuccetto rosso". In Cappuccetto Rosso il tema (vale a dire l’idea comune) è l’iniziazione. Tale tema viene veicolato attraverso la messa in scena della morte apparente e si accompagna al motivo del bosco o della foresta, luoghi in cui venivano celebrati i rituali di iniziazione. Il bosco, dunque, è la sede del rito, viene percepito come un luogo minaccioso e magico allo stesso tempo, rappresenta ciò che è selvaggio, intricato e difficile da risolvere. Abbiamo poi il motivo dell’inghiottimento, in quanto la bambina viene mangiata dal lupo. Si tratta di un motivo ricorrente nei miti indoeuropei e nelle fiabe i magia. Es. Pinocchio, nella fiaba di Collodi (1826-1890) viene inghiottito dalla balena. Può essere ricondotto alla leggenda di Giona e la balena che, nella tradizione ebraica, rappresenta il viaggio stimolato dalla voglia di conoscere mondi nuovi. perseveranza e la moralità del protagonista, e vengono introdotti anche i temi del sesso e della violenza, che porteranno tale forma a dissolversi nella spy story e nel thriller. 3. Detective fiction police procedural, nata intorno agli anni Quaranta del Novecento, e rappresentata attualmente dai romanzi di Patricia Cornwell. Si è diffusa anche nel cinema e in televisione, dove l’accento viene posto sulle procedure delle indagini (referti medico-legali, autopsie, raccolta di prove, interrogatori, ecc.); al posto di un unico investigatore, in questo sottogenere troviamo una squadra di agenti che indaga e risolve i casi in modo corale. 4. Detective fiction femminista, in cui viene adottato un punto di vista critico nei confronti della società di tipo patriarcale mettendo in scena un investigatore privato donna (si vedano ad esempio le opere della scrittrice statunitense Sara Paretsky). 5. Detective fiction metafisica, che accentua le caratteristiche del genere presentando il testo stesso come un mistero da risolvere, come avviene nelle opere di Paul Auster (1947-) e Thomas Pynchon (1937) che alterano le relazioni temporali e causali, presentano soluzioni che non concludono, e fanno perdere coerenza alla narrazione, una coerenza che il lettore è chiamato a ricostruire. Il genere noir è una variante della detective fiction, e più specificatamente del sottogenere hard-boiled, nato negli Stati Uniti alla fine degli anni Venti del XX secolo. Mentre nel giallo la tensione narrativa non deriva tanto dai fatti ma dal procedimento intellettuale dell’investigatore che giunge a decifrare il mistero, nel noir la narrazione è più attenta a sviscerare il perché del crimine o del reato, le cause sociali o psicologiche che lo hanno generato, il contesto in cui è maturato ecc. Il noir si concentra sul lato torbido e oscuro nell’animo umano che spinge a compiere azioni criminali. Lo stesso investigatore diventa parte integrante della trama non come giustiziere che incarna verità, giustizia, infallibilità, ma come persona suscettibile di errore, esposta ai sentimenti e alle emozioni, da questi travolgibile, partecipe diretto degli eventi. Alcuni rappresentanti di questo genere sono Gianrico Carofiglio e Carlo Lucarelli. 06. I generi letterari: il romanzo rosa. Il romanzo rosa è il solo genere, insieme alla letteratura per l’infanzia, che sceglie il proprio destinatario a partire da dati anagrafici (la letteratura per l’infanzia attraverso l’età, quella rosa attraverso il sesso). E’ finalizzato essenzialmente al divertimento e all’evasione, gli autori sono spesso donne e in generale l’intreccio è costruito dal punto di vista delle donne che spesso dalla letteratura viene trasferito in altri media (cinema, televisione, fumetti, fotoromanzi, pubblicità ecc.), trasformandosi anche in un particolare trattamento delle notizie (la cronaca rosa). Il romanzo rosa narra una storia d’amore, e da ciò deriva il suo successo di massa, poiché il tema dell’amore è una componente stabile della tradizione letteraria occidentale. Presenta una sequenza narrativa standard fatta di un incontro, degli ostacoli (rivali, equivoci, divieti ecc.) e dell’unione finale. Prevede una serie pressoché infinita di varianti delle componenti narrative (relative all’eros, agli ambienti, agli oggetti ecc.), influenzate dalla trasformazione del costume e dalle mode. Il romanzo rosa è un prodotto narrativo la cui lettura non richiede sforzi cognitivi né competenze specifiche, anche perché presenta una struttura tendenzialmente ripetitiva: la fortuna del romanzo rosa seriale, dunque, non sarebbe legata all’abilità dell’autore o alla particolarità dell’intreccio, ma alla presenza rassicurante di schemi sempre uguali a se stessi. L’intreccio propone una serie di episodi disposti per lo più in ordine cronologico, talora con il ricorso a limitati flashback. Sono presenti molti stereotipi, cliché e modelli comportamentali riferiti soprattutto ai personaggi maschili, che appaiono generalmente privi di spessore, mentre le figure femminili che vengono costruite sono più complesse. Il romanzo rosa usa un linguaggio piatto e disadorno, fa poco uso di citazioni e allusioni colte per non compromettere la facilità di lettura, le sequenze descrittive si alternano a quelle dialogiche e viene evitato il discorso indiretto. Lezione 043 01. Indicare quale delle seguenti affermazioni è falsa: La nuova narratologia è aperta agli apporti scientifici Lo storytelling è la nuova narratologia Gli schemi cognitivi possono avere una funzione predittiva La sinestesia spiega la connessione tra il linguaggio e le nostre percezioni corporee 02. Spiegare i caratteri principali e i protagonisti delle diverse fasi di sviluppo della narratologia. La Scuola di Parigi è animata da studiosi come Roland Barthes, Tzvetan Todorov e Gérard Genette, i quali volevano identificare le unità minimali della narrazione e trovare la struttura universale di qualsiasi tipo di racconto (epos, romanzo, autobiografia, resoconto giornalistico, promozione pubblicitaria, ecc.). In questa prima fase vengono messi a punto una serie di strumenti di analisi per classificare la posizione del narratore all’interno di una storia, valutare il rapporto sempre mutevole tra il tempo della storia narrata e il tempo del discorso che la narra, identificare il punto di vista attraverso cui una storia è raccontata ecc. La narratologia in questa fase viene chiamata analys du récit (analisi del racconto) e il suo obiettivo primario è quello di allargare le funzioni individuate da Propp nelle fiabe a tutti i tipi di narrazione. R. Barthes suggerisce di considerare, oltre alle funzioni, anche gli indizi che forniscono informazioni sul carattere e i sentimenti dei personaggi e che possono contribuire a creare una certa atmosfera, a dare delle coordinate spaziali e temporali. G. Genette è il primo ad analizzare alcuni importanti aspetti della narrazione come la persona narrante o il tempo narrativo. La teoria della narrazione, grazie a questi studiosi, diviene sempre più ricca di strumenti e si prepara a cogliere i significati delle più complesse narrazioni contemporanee. Secondo gli studiosi della “Scuola di Parigi” ogni narrazione, seppur appartenente a generi diversi, racchiude delle unità comuni. Questi studiosi volevano ricostruire una “grammatica universale” del racconto, rintracciare cioè la struttura comune a tutti i testi narrativi, per questo hanno messo a punto una serie di strumenti di analisi per analizzare i ruoli narrativi, la posizione assunta dal narratore, la prospettiva da cui viene raccontata la storia ecc. A partire anni Novanta del Novecento, la lezione della Scuola di Parigi è stata in parte recuperata e aggiornata attraverso l’incontro con il cognitivismo e le neuroscienze. La nozione di schema e le nozioni affini di frame e script rappresentano gli elementi centrali della ricerca nelle scienze cognitive. Il termine schema è stato messo a punto intorno agli anni Trenta del Novecento nell’ambito della psicologia sperimentale da F. Bartlett (1886-1969). Gli schemi sono dei blocchi di costruzione di conoscenze. È grazie agli schemi che recuperiamo le informazioni conservate dalla memoria, organizziamo le azioni, determiniamo gli scopi delle azioni ecc. A ogni concetto corrispondono degli schemi di rappresentazione della conoscenza. Uno schema contiene la rete di interrelazioni che si pensa esista normalmente tra i costituenti di un dato concetto. Il concetto di schema viene utilizzato anche in ambito letterario, in particolare dalla Cognitive Poetics, la scuola critica che applica i principi delle scienze cognitive all’interpretazione dei testi. Secondo questo filone di studi, la comprensione di un testo letterario è strettamente vincolata all’attivazione di un insieme di schemi che stimolano i processi mentali di astrazione e di categorizzazione. In altre parole il lettore confronta gli schemi letterari, vale a dire le situazioni rappresentate nella narrazione, con gli schemi che ha interiorizzato grazie alla sua esperienza reale. In questo confronto può trovare o meno una corrispondenza tra finzione e realtà. Gli schemi, inoltre, hanno la funzione di identificare i legami discorsivi mancanti, cioè le connessioni non esplicitate, utili per stabilire la coerenza di un discorso o di una situazione, e in generale per identificarne il significato. 03. Quali sono le fasi di sviluppo della narratologia? La narratologia nasce in Francia a partire dagli anni Sessanta, e conosce ulteriori fasi di sviluppo negli anni successivi. Possiamo individuare: 1) una narratologia di prima generazione che nasce tra gli anni Sessanta e Settanta grazie agli studiosi della cosiddetta Scuola di Parigi; 2) una narratologia di seconda generazione che si sviluppa a partire dalla seconda metà degli anni Novanta, quando viene riconosciuta l’importanza dello storytelling (‘narrazione’, ‘atto del narrare’) nella comprensione del mondo da parte dell’uomo e si rivolge una particolare attenzione ai processi mentali di chi produce il testo narrativo e di chi lo interpreta. Negli ultimi anni la narratologia rivela una forte vocazione transdisciplinare e si arricchisce: 1) del contributo delle scienze cognitive; 2) delle riflessioni in ambito antropologico sulla centralità dello storytelling, sull’istinto di narrare storie che è proprio dell’uomo; 3) del contributo delle neuroscienze, creando i presupposti per una «neuronarratologia» Lezione 044 01. Indicare quale delle seguenti affermazioni è falsa: Gli schemi cognitivi ci permettono di classificare i dati dell'esperienza Gli script sono sequenze di azioni ("copioni") Gli schemi cognitivi sono microsceneggiature Gli script sono microsceneggiature 02. Come possiamo definire uno 'schema cognitivo'? come un modello stereotipico della realtà attraverso cui registriamo un'esperienza e la conserviamo in memoria come microsceneggiature come una successione di avvenimenti come l'insieme delle situazioni reali o narrate 03. Come possiamo definire lo 'schema'? come una successione di avvenimenti come l'insieme delle situazioni reali o narrate come i modelli che si attivano grazie alla sinestesia come un modello stereotipico della realtà attraverso cui registriamo un'esperienza e la conserviamo in memoria 04. Indicare quale delle seguenti affermazioni è falsa: Gli schemi cognitivi non hanno mai una funzione predittiva Per comprendere un testo letterario attiviamo un insieme di schemi che abbiamo in memoria Lo schema è un modello stereotipico della realtà attraverso cui registriamo un'esperienza e la conserviamo in memoria Gli schemi cognitivi ci permettono di interpretare le nuove informazioni 05. I processi di lettura alla luce della neuronarratologia. La capacità di lettura delle situazioni e il sistema di aspettative ad esse legate sono stati spiegati attraverso la teoria dello schema (al plurale schemata), formulata originariamente negli anni Trenta e poi sviluppata nell’ambito delle ricerche sull’Intelligenza Artificiale a partire dagli anni Settanta. In base a questa teoria, la conoscenza può essere rappresentata attraverso mappe mentali composte da schemi cognitivi interconnessi che ci aiutano a comprendere ciò che accade intorno a noi. Lo schema è dunque un modello stereotipico della realtà attraverso cui registriamo un’esperienza e la conserviamo in memoria. Gli schemi cognitivi non permettono solo di interpretare la realtà, ma hanno anche una funzione predittiva, ci consentono cioè di fare ipotesi rispetto alle situazioni, reali o narrate, e formulare aspettative rispetto ad esse. Il concetto di schema è molto vicino a quello di frame elaborato da Minsky negli anni Settanta nell’ambito degli studi sull’Intelligenza Artificiale per spiegare come funziona la conoscenza umana e la creazione delle aspettative riguardo a eventi e situazioni standard. I frame (letteralmente ‘cornici’) sono conoscenze strutturate che contengono informazioni fisse, raggruppano cioè tutte le informazioni relative un concetto. La mente costruisce una scala di modelli della realtà per anticipare eventi e reazioni, e per costruire spiegazioni; in questo processo il frame è ciò che permette la rappresentazione mentale degli oggetti, delle loro funzioni e delle loro caratteristiche. 06. La teoria degli schemi cognitivi applicata alla letteratura. Lo schema cognitivo è un modello stereotipico della realtà attraverso cui registriamo un’esperienza e la conserviamo in memoria. Gli schemi non permettono solo di interpretare la realtà, ma hanno anche una funzione predittiva, ci consentono cioè di fare ipotesi rispetto alle situazioni, reali o narrate, e formulare aspettative rispetto ad esse. Anche la comprensione di un testo letterario è strettamente vincolata all’attivazione di un insieme di schemi in grado di stimolare i meccanismi mentali di astrazione e di categorizzazione. Il lettore confronta gli schemi L’explicit è il segmento conclusivo di un plot o di un’azione, dunque fornisce, o può fornire, degli elementi per la comprensione degli eventi che chiude. Si tratta di sequenze narrative che vogliono creare nel destinatario un’impressione di completamento appropriato e di compiutezza. Una narrazione, tuttavia, può concludersi anche senza una chiusura, ad esempio la narrativa postmoderna presenta spesso delle “antichiusure” o dei “finali aperti”. In alcuni finali, come ad esempio quello dei Promessi Sposi, il narratore riveste un ruolo di osservatore distaccato e traduce le conclusioni dei due personaggi in una sua conclusione generale, valida per tutti, che presenta ai lettori, in cui si evidenzia il profondo cambiamento di Renzo. In altri finali ci possono, invece essere conclusioni provvisorie a numerose scelte da parte dei personaggi, che avrebbero potuto condurre la narrazione su percorsi differenti. In questo modo stabiliamo rapporto con i personaggi, impariamo a conoscere la varietà e la profondità dell’essere umano, possiamo affinare i nostri criteri di giudizio e immedesimandosi nelle scelte dei personaggi, condividendole o prendendone le distanze. A volte la vicenda narrata si conclude solo apparentemente, per questo Viktor Sklovskij in Teoria della prosa (trad. it. Torino, Einaudi 1976) ha parlato di pseudofinali o falsi finali in cui all’apparente conclusione delle vicende narrate seguono descrizioni relative al fatto che la vita prosegue e le ore continuano a scorrere. Ci sono poi narrazioni volutamente senza una conclusione, che si arrestano bruscamente e lasciano aperti diversi sviluppi possibili della trama. Ad esempio i romanzi di Antonio Tabucchi Notturno indiano (1984) e Il filo dell’orizzonte (1986) presentano un mistero da risolvere che tuttavia non viene sciolto nella conclusione. Nella parte finale la narrazione invita il lettore a riflettere e a ripercorrere la storia per leggerla, non più come un romanzo di investigazioni tradizionale, ma come un romanzo di analisi dell’io e dunque un romanzo di formazione. Il tema dell’explicit è stato affrontato in particolare nel libro del critico inglese Frank Kermode Il senso della fine. Studi sulla teoria del romanzo (trad. it. 1967). Kermode riprende le riflessioni proposte dal filosofo francese Jean- Paul Sartre nel testo Che cos’è la letteratura (1948), e spiega che la conclusione fornisce un senso alla storia, ne svela la logica interna, dà un significato complessivo agli eventi. Il lettore ha bisogno di un’armonia finzionale tra l’inizio e la fine. Tuttavia, spesso nel finale le narrazioni non raggiungono uno stato di chiusura e di completezza. In alcune narrazioni accade che l’inizio sia già la fine, e che dunque lo sviluppo sia solo illusorio, poiché non c’è nessuno sviluppo. Pensiamo ad esempio alle opere di Samuel Beckett Waiting for Godot (1952) o Endgame (1957), che mostrano il paradosso di attendere qualcosa che deve ancora venire e che è già passato. In maniera simile nella Nausée (1938) di J. P. Sartre, il protagonista Roquentin diventa consapevole del fatto che ha cercato di vivere la sua vita come una storia e comprende che in questa storia «in realtà è dal finale che si è cominciato». Al contrario di quanto accade nel romanzo ottocentesco, che assegna agli incipit un ordine fondativo, nel romanzo postmoderno, che si muove in un eterno presente e non rispetta alcun ordine temporale, l’epilogo e l’incipit perdono le loro funzioni classiche. Lezione 049 01. La rappresentazione dello spazio all'interno della narrazione: è sempre di tipo simbolico non è mai esplicita è strettamente legata al topos del viaggio può servire a presentare un personaggio 02. La rappresentazione dello spazio nella narrazione: funzioni ed esempi. Rappresentare la dimensione spaziale nella narrazione significa creare, attraverso un gioco di localizzazione, un sistema di confini ideali o reali all'interno del mondo possibile, articolandolo in vari domini e sotto-domini. Ogni creazione di scenario presuppone una rete spaziale che lo distingue dagli altri e che influenza le possibili azioni dei soggetti al suo interno. Esempi: «Tutto intorno alla città, la battaglia aveva lasciato solo morte e distruzione». «La casa era sulla sommità della collina, poco più in basso si estendeva il bosco è giù nella valle scorreva il fiume». «Gli uomini, armati, erano in testa al corteo; dietro, di seguito, le donne con accanto i bambini e in ultimo, lenti arrancanti, gli anziani». Oltre a una spazialità di superficie, fatta di scenari riconoscibili più o meno standardizzati (una città, una strada, un edificio, una stanza ecc.), è possibile individuare nei testi una spazialità più profonda, detta topologica, fatta di relazioni più astratte come dentro/fuori, sopra/sotto, davanti/dietro, verticale/orizzontale, contenente/contenuto. Secondo il semiologo francese Denis Bertrand il livello topologico profondo condensa e trasmette significati ulteriori. Esempio: se all’interno di un racconto vengono rappresentati due spazi contrapposti come la città e la campagna, possiamo interpretarli come opposizione topologica (ad esempio centro vs periferia) che trasmette un’opposizione tematica tra due concetti (ad esempio ricchezza vs povertà) o tra due attori (ad esempio contadino vs borghese). La definizione di uno spazio è legata anche ai personaggi e alle azioni che questi vi svolgono. Nei romanzi di avventura e cavallereschi solitamente è l'organizzazione degli spazi e il loro progressivo attraversamento a scandire il susseguirsi delle azioni e delle vicende dell'eroe. Ad esempio l'abbandono del villaggio segna l'inizio di un'impresa, l’ingresso in uno spazio altro, diverso da quello familiare, rappresenta il momento dello scontro ecc. In generale il topos del viaggio come spostamento attraverso confini tende sempre a suggerire una qualche evoluzione, sia in termini di azione che di maturazione interiore, anche quando si tratta di viaggi apparentemente senza scopo, come accade in Cuore di tenebra (1899) di Joseph Conrad (1857-1924). Lo spazio si manifesta nelle parti descrittive: la narrazione esprime nel tempo la successione del tempo, mentre la descrizione esprime nel tempo la successione dello spazio. Lo spazio, che può essere presentato in modo realistico o simbolico, assume un vero e proprio ruolo narrativo e può svolgere diverse funzioni:  ambienta le vicende in senso geografico, storico o sociale;  crea un determinata atmosfera;  allude simbolicamente a un tema;  presenta un personaggio;  esprime o fa da sfondo agli stati d’animo di un personaggio. Lezione 050 01. Gli studi sul personaggio: il personaggio come forma del reale (teorie cognitive). In base a un modello cognitivo il personaggio viene costruito gradualmente dal lettore durante la comprensione del testo, sulla base di specifici dati testuali e di strutture cognitive generali, conservate nella memoria a lungo termine di chi legge. La costruzione del modello mentale inizia riconoscendo delle forme, degli indizi testuali. Vengono riconosciuti scripts, schemata e stereotipi, che possono derivare dall’esperienza empirica o dalla conoscenza di convenzioni specifiche dei generi e dei testi letterari. Una volta che i dati vengono ricondotti a una categoria mentale vengono integrate tutte le informazioni disponibili, e il lettore completa il suo modello mentale del personaggio, in altri termini formula aspettative riguardo alle altre informazioni che il testo fornirà su di lui, si dà una spiegazione sulle informazioni precedenti. Il modello mentale relativo al personaggio può essere modificato alla luce di informazioni aggiuntive. Può inoltre accadere che le informazioni nuove siano in contrasto con le caratteristiche della categoria selezionata, creando pertanto una rottura dello schema – una decategorizzazione del personaggio – e invalidando le ipotesi precedenti (in questo caso vengono ricercate categorie più adeguate). 02. Gli studi sul personaggio: i personaggi come unità testuali. La scuola formalista considera il personaggio come un elemento di natura puramente verbale, come il prodotto di un artificio stilistico con la funzione di sorreggere la struttura del racconto. In questo modo gli attori vengono subordinati alle storie e alle loro regole di funzionamento, hanno unicamente ruolo di meri esecutori dell’azione. Per i formalisti l'elemento più importante del racconto è la funzione, vale a dire «l'operato di un personaggio determinato dal punto di vista del suo significato per lo svolgimento della vicenda». In questo modo il carattere del personaggio diventa un elemento accessorio, poiché i formalisti non considerano né lo spessore né l’identità dei personaggi, ma li considerano solo come elementi che permettono alle funzioni di esprimersi, e le cui caratteristiche servono solo a giustificare determinati elementi narrativi. A esempio in L’Asino d’oro di Apuleio la curiosità di Lucio – che origlia a tutte le porte e guarda attraverso i buchi della serratura – serve solo a giustificare il fatto che il personaggio incorra spesso in delle disavventure (Slovskij 1966, trad. it. Una teoria della prosa, De Donato, Bari). Molti strutturalisti (Propp, Tomasevskij, Bremond e Greimas) affermano che i personaggi sono prodotti dell’intreccio, che il loro statuto è “funzionale”, in breve che essi sono partecipanti o attanti più che persone. Propp, nella sua descrizione delle fiabe di magia, individua, oltre a trentuno funzioni, sette sfere d’azione: l’antagonista, il donatore, l’aiutante, la principessa e suo padre, il mandante, l’eroe e il falso eroe (Propp 1966). Greimas riformula le sfere d’azione proppiane in attanti. Con tale termine si indica un ruolo fondamentale nella struttura profonda del testo, che si contrappone agli attori, i quali compaiono nella struttura superficiale del testo e sono costituiti da personaggi concreti, testualmente determinati. Il modello di Greimas è costituito da sei attanti: Soggetto, Oggetto, Destinatore, Destinatario, Aiutante, Oppositore; il nucleo di questo schema consiste nel fatto che esso è centrato sull’oggetto del desiderio agognato dal soggetto e situato, come oggetto di comunicazione, tra il destinatore e il destinatario. Secondo Greimas l’attore è definito dalla confluenza di un ruolo tematico e un ruolo attanziale. I ruoli attanziali sono le funzioni narrative assunte dai personaggi in base alle modalità d’azione (volere potere ecc.). A livello attanziale, ad esempio, Amleto è un Soggetto persuaso da un Destinante (il fantasma del padre) a dover ottenere un Oggetto di valore (la vendetta). I ruoli tematici sono stereotipi culturali più o meno stabilizzati (principe, giovane, figlio) che portano con sé oltre a una serie di caratteristiche figurative, tematiche e passionali, anche spazi, scenari di situazioni tipiche (il castello, la vita di corte, le cerimonie ufficiali). Un attore può rivestire più ruoli tematici, anche contrastanti rispetto agli schemi usuali. Ad esempio il protagonista di American Psyco (2001) di Breat Easton Ellis è un giovane di successo, ricco e ben educato, ma è anche un assassino spietato. Un attore può rivestire più ruoli attanziali. Ad esempio in Madame Bovary (1856), il personaggio di Emma e allo stesso tempo soggetto e destinante, e a livello tematico e donna, moglie, e amante. Lezione 051 01. La costruzione dei personaggi: strategie ed esempi. Il narratore che presenta un personaggio compie tre operazioni:  seleziona i tratti che lo caratterizzano lasciando il resto all’immaginazione del lettore;  costruisce il carattere del personaggio attraverso le azioni che compie e il ruolo che svolge (in alcuni casi vengono mostrati i cambiamenti nel tempo, si assiste a una mutazione di carattere e di comportamento, come accade ad esempio con il cardinale Federigo nei Promessi sposi);  presenta il personaggio in relazione agli altri personaggi del romanzo, costruendo quello che è stato definito sistema dei personaggi, per cui ciascuno di essi assume un ruolo ed è contraddistinto da alcune caratteristiche in contrapposizione con altri personaggi che agiscono nella storia. Il narratore fornisce un ritratto del personaggio per aiutare il lettore a immaginarlo. La tradizione retorica ha fornito una serie di indicazioni su come organizzare la descrizione di un personaggio: partire dalla fronte e dei capelli per poi descrivere gli occhi, il naso, la bocca; mettere in rilievo (ispirandosi alla Fisiognomica) dettagli caratteristici che aiutano il lettore a distinguerlo dagli altri. Nella tradizione comica, nel romanzo naturalistico e in quello realistico spesso le figure secondarie sono presentate con tratti caricaturali. Nella tradizione letteraria francese del Seicento e del Settecento erano diffusi i portrait littéraires (ritratti letterari) di persone reali che per qualche motivo erano degne di essere ricordate. In questi casi la descrizione dei tratti fisici si accompagnava a un ritratto morale relativo al carattere del personaggio, alla sua vita interiore, ai suoi atteggiamenti e comportamenti. Questo tipo di tradizione è influenzata dalle biografie dei grandi personaggi, come le Vite parallele (fine del I sec. - II sec.) dello storico greco Plutarco (biografie di uomini celebri accostate a coppie per analogie di vizi e virtù), o dalle biografie dei santi proprie della tradizione agiografica. Alla tradizione francese del ritratto morale si ispira Alessandro Manzoni quando nel XXII capitolo dei Promessi Sposi presenta il ritratto del cardinale Federico Borromeo. Si tratta di una descrizione di diverse pagine (che Manzoni invita i lettori impazienti di seguire la storia a saltare), in cui viene tracciato un ritratto morale del cardinale. 03. Nei romanzi dei primi decenni del Novecento: la narrazione segue solitamente la successione logico-cronologica il tempo viene rappresentato come realtà oggettiva la narrazione si concentra sui fatti il narratore si concentra sulla psicologia dei personaggi 04. Spiegate come cambia il romanzo nei primi decenni del Novecento rispetto al modello precedente (anche attraverso i romanzi a quali si fa riferimento nelle lezioni). I primi anni del Novecento sono caratterizzati dall’affermarsi di tendenze filosofiche spiritualistiche, da orientamenti basati sul riconoscimento della realtà sostanziale dello spirito portati avanti da figure come A. Rosmini (1797-1855) e H. Bergson (1859-1941); anche lo sviluppo della fisica, soprattutto con Einstein, contribuisce a mettere in discussione l’idea consolidata che sia possibile una conoscenza oggettiva della realtà; infine la nascita della psicanalisi freudiana scardina la concezione di un io unitario. In questo modo vengono messe in dubbio le tradizionali certezze scientifiche e la percezione che l’uomo ha di sé e del suo rapporto col reale. La narrativa riflette la crisi dell’idea che il reale possa essere interpretato in maniera unitaria e oggettiva. Il narratore diventa espressione della complessità del rapporto dell’uomo con la realtà che lo circonda, non ambisce più a costruire un mondo organico, rinunciando a governare le vicende e la psicologia dei personaggi. Nel primo Novecento il romanzo assume caratteristiche molto diverse rispetto a quelli della stagione realista. Se il romanzo dell’Ottocento mirava a rappresentare la realtà esterna, mentre quello del Novecento è interessato alla coscienza e all’animo umano. Vediamo attraverso quali tecniche narrative viene veicolata questa mancanza di certezze (poiché i romanzi europei di inizio Novecento, pur nella loro specificità, presentano alcuni tratti comuni): 1. l’intreccio perde importanza e al primato della narrativa subentra il primato dell’introspezione; per questo l’intreccio è destrutturato, la narrazione non segue infatti la successione logico-cronologica di avvenimenti ma procede per blocchi tematici che possono anche sovrapporsi cronologicamente; 2. il narratore anche quando resta extradiegetico non è più onnisciente, ma anzi esprime dubbi, problematiche o mostra la sua inattendibilità; 3. il narratore si concentra sulla psicologia dei personaggi e non sulle vicende narrate; 4. i personaggi non sono eroi, ma uomini comuni che vivono la quotidianità; 5. il tempo non viene rappresentato come una realtà oggettiva, ma come frutto della coscienza individuale (tempo interiore); 6. prevalgono i temi della malattia e della nevrosi, metafore della dissoluzione del personaggio; 7. vengono usate tecniche narrative come il monologo interiore e il flusso di coscienza. La metamorfosi del genere romanzesco è risultato convergente di alcune eccezionale personalità isolate come T. Mann, R. Musil, J. Joyce, e F. Kafka. Questi scrittori europei descrivono un rapporto problematico con la realtà ed esprimono l’impossibilità a ricondurla a una prospettiva unitaria. 1. M. Proust (1871-1922) che seguendo i percorsi della “memoria involontaria” (in Alla ricerca del tempo perduto) abbandona la linearità cronologica della narrazione; 2. V. Woolf (1882-1941) che si concentra su percezioni e punti di vista soggettivi, sul fluire dei pensieri e delle emozioni dei personaggi; 3. J. Joyce (1882-1941), utilizzando la tecnica del “flusso di coscienza” esplora l’interiorità dei personaggi e l’accavallarsi dei loro stati d’animo; 4. R. Musil (1880-1942) che sottolinea il carattere fittizio e convenzionale delle storie che racconta mette in discussione l’atto stesso del narrare. 5. F. Kafka (1883-1924) che descrive lo smarrimento e l’angoscia dell’uomo moderno con storie enigmatiche simili a incubi. 05. Monologo interiore e flusso di coscienza: caratteristiche ed esempi. Nel monologo interiore (o soliloquio muto) i pensieri del personaggio vengono presentati in maniera diretta, i predicati verbali si riferiscono al momento in corso, i ricordi vengono presentati al passato e non al trapassato, inoltre non ci sono spiegazioni dei fatti e delle azioni se non quelle strettamente necessarie al flusso di pensieri. Il flusso di coscienza è la presentazione di un pensiero illogico e associativo. Alcuni studiosi considerano il flusso di coscienza come una variante particolare del monologo interiore (M. Fludernik, An Introduction to Narratology, 2009), altri ritengono che i due termini siano intercambiabili. In ogni caso esistono delle differenze tra queste due tecniche narrative: il monologo interiore presenta i pensieri di un personaggio tramite discorsi in prima persona che contengono un ininterrotto e non mediato pensiero diretto libero, come avviene nelle prime tre parti di The Sound and the Fury (1929) di Faulkner, nel flusso di coscienza abbiamo sia le impressioni che i pensieri, e l’uso di enunciati in terza persona (un esempio: i primi capitoli dell’Ulysses di Joyce). Il monologo interiore riproduce il pensiero del personaggio restando fedele alla spontaneità che spesso lo caratterizza, soprattutto quando chi parla è colto in un momento di meditazione e non si rivolge a uno specifico interlocutore. È riportato senza virgolette o trattino e non è introdotto da verbi di pensiero (penso che, credo che, ritengo che ecc.). Il flusso di coscienza indica un accostamento casuale di pensieri che fluiscono liberamente, sono immediati e spesso incoerenti, tipici di chi pensa senza imporsi un ragionamento rigoroso. Le frasi vengono costruite in modo irregolare, spesso senza rispettare le norme della sintassi, rinunciando alla punteggiatura e alla concatenazione logica degli argomenti. Troviamo un esempio di monologo interiore nel romanzo di Svevo La coscienza di Zeno (1923): «Era un’ultima sigaretta molto importante. Ricordo tutte le speranze che l’accompagnarono […]. Quest’ultima sigaretta significava proprio il desiderio di attività (anche manuale) e di sereno pensiero sobrio e sodo […]. Adesso che sono qui, ad analizzarmi, son colto da un dubbio: che io forse abbia amato tanto le sigarette per poter riversare su di esse la colpa delle mie incapacità? Chissà se, cessando di fumare, io sarei divenuto l’uomo ideale e forte che m’aspettavo?». Un esempio di flusso di coscienza tratto l’Ulisse (1922) di Joyce: «Un bel sollievo dovunque si sia non tenersi l’aria in corpo chissà se quella braciola di maiale che ho preso col tè dopo era proprio fresca con questo caldo non ho sentito nessun odore sono sicura che quell’uomo curioso del norcino è un gran furfante spero che quel lume non fumi […]». Lezione 055 01. Il protagonista de "Il processo" di Kafka e la crisi dell'uomo contemporaneo (fare riferimento anche al brano riportato nella lezione). Il processo (1925) di J. F. Kafka (1883-1924) racconta l’accusa e la condanna inflitta a un mite impiegato di banca, Joseph K., per una colpa che non conosce e non conoscerà mai. Nessuno gli rivelerà con precisione il reato di cui è accusato, ma progressivamente un oscuro senso di colpa si impossessa di lui. Nonostante la esasperante lentezza della burocrazia, la sua causa va avanti, e ogni tanto Joseph K. viene convocato in tribunale, senza però ottenere mai notizie precise. Nel suo percorso incontra magistrati corrotti, funzionari volgari e strani individui, come il pittore Titorelli, secondo il quale Joseph K. non ha speranze poiché mai nessuno è innocente. Nel duomo di Praga apprende da un cappellano l’oscura parabola della Legge secondo la quale Joseph K. ha cercato la verità con mezzi sbagliati, poiché di fronte alla legge l’uomo è sempre colpevole, e solo riconoscerlo può essere un primo passo verso la salvezza. All’inizio del romanzo il protagonista, svegliandosi, trova nella sua camera due individui venuti ad arrestarlo. L’episodio dell’arresto sconvolge la vita di Joseph K., che per un po’ spera, o vuole credere, che si tratti solo di uno scherzo dei colleghi della banca. Dentro di sé, tuttavia, intuisce che si tratta di una cosa ben più seria. Un primo segnale di allarme è il fatto che la colazione non gli è stata servita (scoprirà poi che è stata requisita dalle guardie); un altro cambiamento è che la signora Grubach, l’affittacamere, non si avvicina più alla sua stanza, probabilmente seguendo gli ordini delle guardie. In Joseph K. comincia a nascere il dubbio di aver commesso effettivamente qualche sbaglio di cui non si rende conto. Il capitolo è denso di mistero. Diverse domande non trovano una risposta: perché Joseph K. è stato arrestato? Quale autorità a preso questa decisione? Secondo quale legge? Attraverso questi fatti Kafka presente il tema della inconoscibilità del mondo e dell’angoscia che ne deriva. Joseph K. non trova una risposta a nessuna delle sue domande (perché sono stato arrestato? perché in questo modo?), e questo lo spinge a mettere in discussione tutto, a partire dalla sua identità personale. Un anno dopo il suo arresto Joseph K. viene prelevato in albergo da due sicari che eseguono la sentenza e gli conficcano un coltello nel cuore. Nel romanzo kafkiano l’insolito e la stranezza non derivano da presenze o cause soprannaturali, come accadeva nei racconti fantastici del Romanticismo, ma Kafka evidenzia che l’insolito e il mostruoso si nascondono dietro la quotidianità, piatta e monotona. La storia di K. è un racconto simbolico sull’assurdità dell’esistenza. Infatti, secondo Kafka, la vita è assurda, casuale, priva di significato, proprio come lo è la drammatica vicenda di Joseph K. La burocrazia (incarnata dal potere asburgico a cui nel 1914 la città di Praga apparteneva) riduce l’uomo a una particella anonima, lo schiaccia negli ingranaggi della vita sociale. Il processo è soprattutto il racconto di una crisi culturale, della decadenza, dello smarrimento di una umanità sempre più carica di dubbi e con poche certezze. A livello stilistico viene adottato uno stile medio, che comunica un senso di grigiore e monotonia. Il linguaggio usato è privo di elementi che creano uno scarto o suspense. In questo modo il racconto assomiglia a un racconto poliziesco, a un verbale giudiziario, rappresenta dunque una delle forme dell’antiromanzo novecentesco. Lezione 056 01. Chi ha scritto "L'angoscia dell'influenza"? Kristeva Freud Barthes Bloom 02. La paratestualità: è la presenza effettiva di un testo in un altro testo è la relazione che un testo intrattiene con le diverse tipologie di generi discorsivi è data dalle relazioni tra il testo e il suo paratesto, vale a dire elementi come la quarta di copertina si ha in tutti i casi in cui testo diviene oggetto di commento o di interpretazione da parte di un secondo testo 03. L'intertestualità: è la relazione che un testo intrattiene con le diverse tipologie di generi discorsivi è la presenza effettiva di un testo in un altro testo (citazioni, allusioni, ecc.) si ha in tutti i casi in cui testo diviene oggetto di commento o di interpretazione da parte di un secondo testo è data dalle relazioni tra il testo e il suo paratesto, vale a dire elementi come la quarta di copertina 04. L'intertestualità: è la relazione tra un testo e il suo paratesto è la relazione tra un testo e il suo peritesto è la presenza effettiva di un testo in un altro testo (citazioni, allusioni, ecc.) è data da tutti i casi in cui testo diviene oggetto di commento o di interpretazione da parte di un altro testo 05. Le relazioni intertestuali: tipologie ed esempi. Il termine intertestualità è stato coniato tra il 1960 il 1970 all'interno della scuola critica francese che, ispirandosi al formalismo russo e praghese e alla linguistica strutturale di Ferdinand de Saussure e Jakobson, ha elaborato una teoria letteraria fondata su modelli linguistici e testuali che vanno sotto il nome di critica strutturalista e semiotica. Julia Kristeva, allieva a Parigi di Roland Barthes, è la prima a proporre il concetto di intertestualità. Definisce il testo come una rete di senso potenzialmente infinita, il prodotto dell’intreccio di differenti codici, discorsi e ideologie. Secondo questa prospettiva, non esiste più alcun autentico atto creazione individuale e originale, ma esistono soltanto riedizioni e assemblaggi di porzioni di testo nei quali la figura autoriale risulta marginale nella costruzione del nuovo testo. Il termine intertestualità viene impiegato da Genette per identificare la forma più puntuale e delimitata di relazione tra testi. Si tratta di ogni relazione in cui è possibile individuare “la presenza effettiva di un testo in un altro”. L’esempio più esplicito di intertestualità è la citazione, segnalata dalle virgolette o dal corsivo, elementi grafici tramite i quali vengono ripresi e riportati in maniera letterale dei brani o delle porzioni testuali provenienti da altri testi. Una forma implicita è invece l’allusione, vale a dire i casi in cui non si riprendono frasi puntuali, A. La parodia satirica è una trasformazione intertestuale che mette in ridicolo il testo di riferimento. Ne è un esempio il Virgile travesti, opera del XVII secolo di Paul Scarron (1610-1660) che trasforma l’Eneide raccontandone le vicende con uno stile familiare che riporta le vicende alla quotidianità (ad esempio l’infelice Didone virgiliana nel testo di Scarron diventa una donna che si perde in divagazioni sui trucchi e la bellezza). B. La parodia ironica nasce da un confronto dialettico tra i due testi, quello parodiato e quello parodiante. Ne è un esempio il rapporto che lega il testo di S. Richardson (1689-1771) Pamela (1741) alla parodia che ne fa subito dopo H. Fielding (1707-1754). La Pamela di Richardson aveva un chiaro intento pedagogico e didattico all'interno della classe borghese emergente, gruppo sociale a cui lo stesso autore apparteneva. Diversamente Fielding era un nobile ed era particolarmente critico nei confronti della funzione pedagogica del romanzo epistolare di Richardson. Lezione 058 01. Quale delle seguenti non è una funzione del titolo? valorizzare l'opera identificare l'opera promuovere l'opera designarne il contenuto 02. Le fascette di un libro fanno parte: dell'epitesto del peritesto solo se riporta la biografia dell'autore sia del peritesto che dell'epitesto del peritesto 03. La copertina di un romanzo fa parte: dell'epitesto sia del peritesto che dell'epitesto del peritesto del peritesto solo se riporta la biografia dell'autore 04. La quarta di copertina di un romanzo fa parte: sia del peritesto che dell'epitesto del peritesto del peritesto solo se riporta la biografia dell'autore dell'epitesto 05. Le interviste rilasciate da uno scrittore fanno parte: sia del peritesto che dell'epitesto dell'epitesto del peritesto solo se rilasciate da autori che sono ancora in vita del peritesto 06. Il paratesto: caratteristiche e funzioni. Una narrazione è essenzialmente costituita da un testo, vale a dire da una serie di enunciati. A sua volta l'enunciato narrativo si presenta accompagnato o anticipato da un certo numero di “produzioni” testuali – ad esempio il nome dell’autore, un titolo, una prefazione, delle illustrazioni etc. – che vengono definiti dallo studioso G. Genette paratesto della narrazione. La loro funzione è quella di presentare il testo e assicurarne la ricezione, la diffusione e il consumo. Si tratta dunque di un insieme di pratiche e discorsi di ogni tipo, verbali e non verbali, che accompagnano il testo vero e proprio e ne orientano il gradimento da parte del pubblico. I modi, le possibilità e i casi del paratesto attraversano le epoche e i luoghi della narratività con una loro storia, e cambiano a seconda delle culture, dei generi, delle tradizioni ecc. Per studiare il paratesto bisogna considerare un certo numero di tratti, ovvero di coordinate spaziali, temporali, sostanziali, pragmatiche e funzionali. In altre parole, definire un elemento del paratesto vuol dire determinare la sua ubicazione, la data della sua comparsa, la sua modalità materiale d'esistenza, il suo destinatore e il suo destinatario, nonché le funzioni che animano il suo messaggio. All’interno del paratesto Genette distingue tra peritesto ed epitesto. Fanno parte del peritesto tutti gli elementi paratestuali che rientrano nell’ambito del volume stesso, si collocano cioè nello spazio del testo (ad esempio il nome dell’autore, il titolo, le prefazioni, le illustrazioni, i titoli dei capitoli, le note ecc.). A distanza maggiore dal testo, e magari in altri media, si trova il cosiddetto epitesto (ad esempio interviste, corrispondenze, diari d'autore ecc.). Dunque: paratesto = peritesto + epitesto Quanto al tempo del paratesto, anche questo parametro si definisce in relazione al testo di riferimento (ovvero alla sua edizione originale). Abbiamo allora il paratesto anteriore (ad esempio i preannunci pubblicitari), il paratesto originale (contemporaneo al testo, ad esempio le prefazioni), e il paratesto ulteriore o postumo (ad esempio una prefazione scritta dopo la prima edizione del testo che può contenere integrazioni, risposte alle critiche ecc.). Il paratesto è spesso un testo verbale, tuttavia si può parlare di paratesto fattuale in tutti quei casi in cui un messaggio paratestuale è costituito non da un testo esplicito (verbale o meno) bensì da un fatto che, se viene reso noto al pubblico, produce un qualche commento al testo e influisce sulla sua ricezione (ad esempio, un premio letterario). Possiamo dire che il paratesto fattuale coincide con il contesto di produzione e ricezione dell'opera narrativa. Il paratesto è un fatto di comunicazione, e come tale riguarda la natura di due istanze comunicative: il destinatore e il destinatario. Il destinatore del messaggio paratestuale non coincide necessariamente con il suo produttore di fatto, ma si identifica in una attribuzione di autorità e di responsabilità, una firma insomma: il paratesto autoriale (è l’autore che scrive), il paratesto editoriale (le scelte fatte dall’editore), il paratesto allografo (ad esempio una prefazione scritta da un critico) etc. Il paratesto – in quanto atto di comunicazione – ha una forza pragmatica. Un messaggio paratestuale può comunicare una pura e semplice informazione (ad esempio “questo è il libro scritto da Alice Munro e pubblicato da Einaudi), ma anche rendere nota una intenzione autoriale, o una interpretazione editoriale (ad esempio “questo libro è da considerarsi un romanzo giallo e non un saggio politico”), può imporre una decisione (ad esempio “mi farò chiamare Stendhal e dovrete chiamare questo libro Il Rosso e il Nero”) o affermare un impegno (ad esempio “con queste memorie mi impegno a dire la verità”). Avendo la funzione di dare un’identità al testo, il paratesto è frutto di uno specifico contesto culturale e sociale e quindi rispecchia abitudini e gusti dell’epoca in cui è stato prodotto. Il concetto di paratesto comprende un ampio numero di elementi che presentano il testo e gli conferiscono natura di libro: titolo, sottotitolo, prefazione e postfazioni, premesse, note, epigrafi, illustrazioni, sovraccoperta e altri accessori che incorniciano il testo. Lezione 059 01. La dedica dell'autore fa parte: del peritesto del peritesto solo se riporta la biografia dell'autore dell'epitesto sia del peritesto che dell'epitesto 02. Gli elementi peritestuali: esempi. Si dice peritesto editoriale ogni messaggio che accompagna materialmente l'opera narrativa e che si trova nello spazio del volume (nome dell'autore, titolo, dedica, epigrafe, prefazione, note). Si tratta di elementi di carattere tipografico e bibliografico. Ad esempio, l'aspetto più immediato e globale del messaggio paratestuale di un libro è quello che viene definito “formato”, ovvero le dimensioni del libro, la legatura e la sua eventuale composizione in volumi, tomi o collane. Oggi ad esempio un “formato tascabile in brossura” connota tutta una serie di caratteri, intenzioni, proposte, aspettative etc. Si tratta infatti di libri che si distinguono per le dimensioni ridotte rispetto alle edizioni rilegate e per il prezzo contenuto. Molte case editrici hanno creato collane di volumi tascabili, particolarmente indicate per i giovani. Tra gli elementi peritestuali abbiamo: la copertina, il caso forse più famigliare di peritesto editoriale. il frontespizio, vale a dire le pagine interne di copertina (seconda e terza di copertina, generalmente bianche, ma anche sede di notizie redazionali o inserti pubblicitari); la cosiddetta “quarta” di copertina, ossia l’ultima facciata della copertina (il retro del libro), luogo anch'esso strategico dove di solito viene inserita una citazione, una biografia o l’estratto di una recensione, allo scopo di convincerci che vale la pena leggere il libro in questione); il dorso del libro, detto anche “costa”, è la parte della copertina che copre e protegge le pieghe dei fascicoli, ed è visibile quando il volume è posizionato di taglio (ad esempio su una libreria). Riporta solitamente titolo, autore, e editore del libro. eventuali sovracoperte (fogli di carta o di cartoncino leggero in cui può essere avvolta la copertina di un libro) e i loro risvolti; le fascette, ossia la striscia di carta applicata trasversalmente alla copertina del libro usata per sottolinearne il successo (ad esempio riportando “vincitore del premio…”); i cofanetti e i segnalibri; l'impaginazione stessa; il carattere di composizione; la tiratura di stampa (il numero complessivo delle copie stampate, particolarmente alto nel caso dei best- seller). Il nome dell'autore (o colui che ne fa le veci) è indubbiamente uno dei tratti salienti del paratesto narrativo, eppure la sua presenza è oggi molto mutevole: è disseminato nell'epitesto (annunci pubblicitari, opuscoli, cataloghi, articoli, interviste, echi e pettegolezzi etc.) ed è circoscritto al canonico posto in copertina. Riguardo al nome dell'autore si possono avere tre casi principali: la firma: l'autore si menziona col suo nome di stato civile (resta il caso più frequente); lo pseudonimo: l'autore si menziona con un nome falso, preso in prestito o inventato; l'anonimato: l'autore non si menziona, a prescindere dal fatto che altri ne facciano o meno menzione, ovvero a prescindere dal fatto che la sua identità sia o non sia pubblicamente nota. Genette distingue l’anonimato “di fatto”, le cui ragioni sono indipendenti dalle decisioni dell’autore (possono essere ad esempio circostanze storiche che hanno determinato una lacuna nella tradizione del paratesto narrativo), o “di convenienza”, quando cioè il nome non viene messo per ragioni precauzionali (in passato per questioni di rango, di reputazione, di opportunità etc., in epoca moderna perlopiù per una strategia editoriale). Le ragioni della scelta di uno pseudonimo sono addirittura più varie, distinguiamo: l’apocrifo, quando un autore attribuisce al suo testo il nome di un autore famoso; il plagio quando l’autore firma un testo non suo; la finzione quando un autore attribuisce alla sua opera un autore con un nome inventato. Il titolo è una sorta di sistema a tre termini: titolo, sottotitolo e indicazione generica, dei quali soltanto il primo è obbligatorio, e dei quali si hanno diverse combinazioni. Vediamo alcuni esempi: Voltaire scrive Zadig (titolo), ovvero il Destino (sottotitolo), storia orientale (indicazione generica). Flaubert scrive Madame Bovary (titolo), moeurs de Province (sottotitolo) e non aggiunge nessuna indicazione generica. Sartre scrive La nausea (titolo), romanzo (indicazione generica), senza sottotitolo. Le funzioni del titolo sono principalmente quelle di:  identificare l'opera  designarne il contenuto  valorizzarla. In questo contesto Genette identifica due grandi categorie di titoli:  titoli tematici: quelli che indicano in un modo o nell'altro il contenuto di una narrazione (ad esempio Lo spleen di Parigi, Candide ou l’Optimisme ecc.).  titoli rematici: quelli che indicano la forma della narrazione, danno indicazioni sul genere (ad esempio Piccoli Poemi in prosa, Traité de la nature humaine, Essais sur l’entendement humain, Étude de femme ecc.). 03. Gli elementi epitestuali: esempi. L’epitesto si distingue dal peritesto in base a un principio puramente spaziale: è epitesto qualsiasi elemento paratestuale che non si trovi annesso al testo nella stessa unità materiale, ma che circoli in qualche modo liberamente, indipendentemente. Ciò non esclude che successive vicende editoriali possano includere un come genere letterario caratterizzato da sviluppi narrativi potenzialmente illimitati e molteplici livelli interpretativi, che prevede un inizio, uno svolgimento lineare e una fine, ma si ripete all’infinito in percorsi e conclusioni plurime. Lezione 063 01. Chi è l'autore del racconto "Un caso pietoso"? Céline Calvino Joyce Borges Lezione 064 01. Chi ha scritto "Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio"? Igiaba Scego Amara Lakhous Younis Tawfik Salman Rushdie Lezione 065 01. Spiegare le caratteristiche della letteratura migrante anche alla luce dei brani riportati nelle lezioni 64 e 65. A partire dagli anni Novanta del Novecento diversi studiosi hanno individuato la nascita della cosiddetta letteratura dell’immigrazione – definizione mutuata dall’inglese migrant writers – con cui si indica la produzione letteraria di scrittori stranieri che scelgono di esprimersi nella lingua del paese “ospitante”. Questa produzione letteraria ha attraversato un percorso di crescita: inizialmente si tratta di storie scritte a quattro mani, con l’aiuto di co-autori (scrittori, giornalisti) del paese adottivo, poi la scrittura acquista una progressiva autonomia, con la conquista di un proprio, originale, linguaggio, fino agli scrittori di seconda generazione. Le opere della prima generazione sono legate all’autobiografismo e nascono dalla volontà di raccontare episodi di razzismo, dal bisogno di condividere le difficoltà. La narrativa migrante in Italia è inaugurata nel 1990 da opere come Io, venditore di elefanti. Una vita per forza tra Dakar, Parigi e Milano (Garzanti 1990) di Pap Khouma, scritto con Oreste Pivetta, Immigrato (Theoria, 1990), La promessa di Hamadi (De Agostini, 1991) scritto da Saidou Moussa e Alessandro Micheletti, Immigrato (Theoria, 1991) di Salah Methnani e Mario Fortunato. Si tratta di una fase in cui prevale un carattere testimoniale e di denuncia, si vuole comunicare la difficoltà a inserirsi nella società italiana, il diritto a essere considerati non solo come manodopera, ma come individui con uno spirito, delle trazioni, una cultura. Dopo la prima fase gli scrittori maturano una certa competenza linguistica, non si affidano più a co-autori, di conseguenza prevale un uso della lingua più originale, fatto anche di ibridazioni linguistiche. Le opere di questa seconda fase descrivono soprattutto gli usi e i costumi dei Paesi di provenienza degli scrittori, poiché l’intenzione è quella di far conoscere la loro cultura d’origine al Paese che li ha accolti. Un esempio di romanzo basato sulla rappresentazione dell’alterità è Scontro di civiltà per un ascensore a Piazza Vittorio (2006) dello scrittore algerino Amara Lakhous – immigrato in Italia durante il periodo di terrorismo nella sua patria. In un palazzo di piazza Vittorio, quartiere romano noto per la sua grande concentrazione di immigrati, c’è stato un omicidio. I vicini, uno dopo l’altro, narrano la propria versione dei fatti e, allo stesso tempo, ricostruiscono il loro passato, le loro storie e le loro vite quotidiane di migranti. Parviz Manssor Samadi è iraniano e Benedetta Esposito è di Napoli; Iqbal Amir Allah è bengalese, Maria Cristina González viene dal Perù; Antonio Marini è nato a Milano, Johan Van Marten viene dall’Olanda e sogna di diventare il “nuovo Fellini” girando un film sui personaggi di Piazza Vittorio. Tutti inconsapevolmente forniscono un tassello per svelare la verità sull’omicidio. I loro racconti sono seguiti dal commento del signor Amedeo, rispettato straniero che sembra un italiano, di cui nessuno riesce a indovinare la provenienza, che conosce tutti i condomini e ogni giorno appunta nel suo diario i pensieri e le sensazioni della vita migrante. L’originalità della scrittura e dei temi è ancora più spiccata negli scrittori della seconda generazione migratoria, persone nate e cresciute in Italia, per le quali l’italiano non è più una seconda lingua – non è più una lingua appresa grazie a un lavoro, a un matrimonio, alla scolarizzazione dei figli o ad altre forme di contaminazione – ma è la lingua primaria. Ad esempio, nel romanzo La mia casa è dove sono (Rizzoli, 2010), Igiaba Scego racconta della Somalia e di Roma, due patrie distinte che si fondono attraverso le vicende della sua famiglia. L’autrice è un’immigrata di seconda generazione che però non dimentica le sue radici e racconta un percorso di conciliazione identitaria. Parla delle fiabe che le raccontava la mamma quando era piccolina, ma si tratta di racconti in cui non esistevano principesse, palazzi, balli e scarpine, in quanto riflettevano il mondo in cui era nata la mamma, ovvero la boscaglia della Somalia orientale dove uomini e donne si spostavano di continuo in cerca di pozzi d’acqua. Quando in un’antologia delle medie, la ragazza legge la fiaba di Biancaneve capisce che l’Europa e l’Africa hanno tanti punti in comune, perché nella versione originale raccolta dai fratelli Grimm il finale è ben diverso da quello che tutti conoscono. La perfida matrigna viene invitata allo sposalizio. Ma è proprio alle nozze che la regina cattiva paga tutte le sue malefatte. Lezione 066 01. Chi ha parlato di rimediazione? Bolter e Gruisin Bloom Jauss e Iser Eco 02. Spiegare che cos'è la rimediazione e che cosa sono i riferimenti intermediali. Con il termine rimediazione (remediation) si intende il modo in cui i media, in particolare quelli digitali, rimodellano gli altri media. Bolter e Grusin riprendono l’idea dello studioso di media canadese Marshall McLuhan – secondo il quale «il “contenuto” di un medium è sempre un altro medium; il contenuto della scrittura è il discorso, così come la parola scritta è il contenuto della stampa, e la stampa quello del telegrafo» (McLuhan 1967, Gli strumenti del comunicare, trad. it., p. 16). Accade dunque che ogni nuovo medium eredita e allo stesso tempo riorganizza le caratteristiche del vecchio medium: la scrittura ha ri-mediato la comunicazione orale, la fotografia e il cinema hanno ri-mediato l’uso dell’immagine fissa propria della pittura, i videogames hanno ri-mediano il cinema proponendo dei film interattivi. In questo processo di traduzione alcune caratteristiche vengono conservate e allo stesso tempo vengono introdotti elementi innovativi. Esempio: il personaggio del commissario Montalbano, ad esempio, nasce nel mondo della letteratura, dai romanzi e dai racconti di Camilleri, ma diventa un eroe mediatico poiché ritorna nella serie televisiva, nelle realizzazioni a fumetti ecc., circola cioè nella rete intertestuale e intermediale (Marrone G. 2003, Montalbano. Affermazioni e trasformazioni di un eroe mediatico, Roma: Nuova Eri/Vqpt). Il riferimento intermediale è una delle categorie individuate nell’ambito delle relazioni tra i media. Esso evoca o tematizza un altro medium (sia per il suo contenuto che per le sue strutture e le sue tecniche). Si pensi ad esempio alla citazione cinematografica di opere pittoriche, alla descrizione letteraria di opere d’arte o di brani musicali, le riprese che nei film riprendono le strategie espressive dei videogiochi ecc. Il riferimento intermediale è esplicito ogni volta che un testo menziona un altro medium, come accade nell’Idiota (1869) di Dostoevskij quando viene descritto il dipinto Christus im Grabe di Hans Holbein il Giovane, un quadro che avrà un ruolo significativo nello sviluppo del romanzo. Parliamo di intermedialità esplicita anche quando in un’opera pittorica è presente un riferimento alla musica o alla letteratura. Il riferimento intermediale implicito può presentarsi sotto forma di citazione o di riproduzione parziale, come avviene nel romanzo di La nausea (1938) di J.P. Sartre, in cui viene parzialmente citato il testo della canzone Some of These Days che ossessiona il protagonista. Parliamo di riferimento implicito anche nel caso di un’evocazione che imita gli effetti di un altro medium, senza ricorrere alla citazione. Un romanzo, ad esempio, può evocare una melodia attraverso la descrizione dei suoi effetti sui personaggi, come avviene in La sonata di Kreutzer (1891) di Tolstoj, dove il protagonista uccide la moglie dopo che questa ha suonato la celebre melodia di Beethoven che dà il titolo al romanzo. Altre forme di riferimento implicito si hanno quando un medium tenta di imitare le caratteristiche tipiche di un altro mezzo espressivo. È il caso della “musicalizzazione” della pittura (pensiamo alle opere dei pittori P. Klee e V. Kandinsky chiamante “composizioni” e “improvvisazioni” come se fossero partiture musicali) e della “letteraturizzazione” della musica (pensiamo alla partitura della Symphonie fantastique di Berlioz, che nasce per raccontare una storia attraverso i suoni così come la letteratura si serve delle parole). Lezione 067 01. Chi ha introdotto il concetto di Weltliteratur? Goethe Bloom Schiller Ceserani 02. Narrazione e globalizzazione: spiegare cosa si intende per romanzo de-territorializzato Il mondo contemporaneo è fatto di somiglianze, di omogeneità cultuali ed economiche, per cui si è assistito ad un progressivo attenuarsi delle specificità nazionali e allo stesso tempo si è allentato il legame tra lingua e patria. Il romanzo, dunque, ha attraversato un processo di de-nazionalizzazione, in cui i tratti locali vengono sempre più sopraffatti da quelli planetari. Oggi si tende a costruire storie letterarie non più su basi nazionali ma globali. I grandi romanzi contemporanei, compresi quelli americani, sono sempre di più a destinazione mondo, oltrepassano cioè i confini nazionali. Lezione 068 01. Chi ha parlato di romanzo mondo? Ascari Bloom Coletti Ceserani 02. I romanzi per ragazzi: non sono mai oggetto di rimediazioni non vengono letti in Paesi diversi da quelli in cui sono stati pubblicati difficilmente diventano un prodotto per tutti i mercati nazionali propongono motivazioni pedagogiche universali Lezione 069 01. Come si chiama la famiglia protagonista del romanzo "Le correzioni"? Melpot Lambert Osward Bennet 02. Indicare quale tra i seguenti è il titolo del primo romanzo di J. Franzen: "Forte movimento" "Le correzioni" "La ventisettesima città" "Purity" 03. Attraverso i contenuti della lezione 69, e dopo aver letto il paragrafo 1.2 del libro "Narrare al tempo della globalizzazione", enucleare le caratteristiche principali del romanzo Le correzioni di J. Franzen. The Corrections racconta la storia dei Lambert – una famiglia originaria di St. Jude, cittadina del Missouri, nel Midwest; è composto di cinque lunghi capitoli incorniciati da un prologo intitolato “St. Louis” e da un epilogo che reca lo stesso titolo del romanzo. hanno vite e destini diversi, ma sono entrambi rappresentativi delle vite desolate che popolano la società di fine millennio. Houellebecq riprende la realtà con uno sguardo insistente e trasgressivo, ostenta le ferite e le devastazioni della società contemporanea, attraverso un punto di vista ravvicinato che non vuole stimolare la riflessione, ma sembra avere l’unico scopo di restituire il presente in maniera distruttiva. In “Lanzarote”, breve romanzo in forma di taccuino di viaggio che illustra le forme del turismo borghese, Houellebecq guarda con ironia al viaggiatore contemporaneo, che segue lo stesso sistema di classificazione del mondo della famosa guida Michelin (le stelle come garanzia di bellezza dei luoghi), e acquista pacchetti preconfezionati di esperienze esotiche, eco-friendly ecc. Nell’epilogo viene annunciato che l’esotico non può più rappresentare un’esperienza alternativa, poiché è divenuto anch’esso un qualcosa di monetizzabile. Lezione 075 01. Indicare quale dei seguenti romanzi non è stato scritto da Roberto Bolaño: "La ragazza dello Sputnik" "2666" "I detective selvaggi" "Chiamate telefoniche" 02. Indicare in quale dei seguenti romanzi compare il personaggio di Arcimboldi: "Chiamate telefoniche" "2666" "La pista degli elefanti" "1Q84" 03. Attraverso i contenuti della lezione 75 e del paragrafo 1.6 del libro "Narrare al tempo della globalizzazione" spiegate quali sono le caratteristiche principali dei romanzi di di R. Bolaño? Roberto Bolaño è stato un apolide per gran parte della propria vita, diviso tra le radici cilene, il Messico, la Spagna, i viaggi con Salvador Allende, le notti in carcere. È stato un rivoluzionario trotzkista, ha lavorato come lavapiatti, come custode di un campeggio, come fattorino, ha vissuto diverse vite e diverse città. È stato testimone del colpo di stato in Cile, ha sperimentato la condizione di esiliato, la povertà e la malattia. Nei suoi scritti riesce a trasmettere lo straordinario attaccamento alla vita di un uomo che deve scappare, soffrire, combattere. In altri termini la sua condizione si riflette nella scrittura ed è uno dei motivi che lo hanno fatto arrivare al grande pubblico, infatti, restituisce un’immagine deterritorializzata dell’America Latina, poiché non descrive una geografia specifica, ma uno stato della psiche e una condizione mentale. Ad esempio, “I detective selvaggi” è un Bildungsroman, un romanzo di formazione sentimentale, che racconta la storia di due amici che vagano in macchina alla ricerca del significato dell’esistenza. Bolaño vuole dimostrare che la vita può essere un atto poetico, considera il poeta come un detective che indaga l’esistenza in modo selvaggio, eterodosso. La maggior parte dei suoi personaggi si interessa di poesia, ciascuno a suo modo, ma pochissimi la scrivono. I suoi detective selvaggi, infatti, non hanno bisogno di concepire versi, ma creano poesia vivendo in modo fantasioso e poetico. Il romanzo ha avuto successo anche perché si configura come un’opera collettiva, un libro a più voci, quelle degli scrittori latino-americani ma anche statunitensi ed europei, in un gioco di rimandi e proiezioni, di riferimenti al cinema d’autore ecc. Lezione 076 01. Il feuilleton: è un format narrativo che in Italia non ha avuto successo nasce nell'Ottocento ed è destinato a un pubblico colto solitamente non usava strategie di suspense proponeva storie dilatate nel tempo 02. Che cosa sono i prequel? Forme narrative che sviluppano un elemento di una storia già esistente, come un personaggio Forme narrative che fanno sempre parte di una trilogia Opere che raccontano cosa è accaduto prima rispetto delle vicende narrate da un'altra opera che ha già avuto successo Opere che possono essere fruite tramite diversi media 03. Le narrazioni seriali: origini e caratteristiche. Il modello di riferimento per lo sviluppo delle narrazioni seriali è il romanzo pubblicato a puntate sulla stampa. Esso conosce il successo con la nascita, all'inizio dell’Ottocento, del feuilleton, la parte in basso di un giornale (o un suo inserto) che ospitava racconti di viaggio, novelle e, successivamente, romanzi a puntate detti anche romanzi d’appendice. In seguito il termine feuilleton è stato usato per indicare la forma narrativa stessa, il genere letterario che proponeva storie sviluppate a puntate, dense di colpi di scena, il cui scopo era quello di coinvolgere a livello emotivo un pubblico vasto e generalmente non colto. È Louis-François Bertin, direttore del quotidiano parigino “Journal des Débats”, che decide per primo di dare spazio a notizie di taglio culturale (allora si trattava soprattutto di recensioni teatrali) nella parte in basso della pagina del suo giornale. Questo spazio presto inizia a ospitare racconti a episodi destinati a un pubblico popolare, un target che, pur sapendo leggere, solitamente non comprava il giornale. Il romanzo a puntate, dunque, farà la fortuna di molte testate poiché costruisce storie dilatate nel tempo giocando su meccanismi di suspense che invogliano il lettore a comprare il numero successivo. Il feuilleton nasce dunque dall’incontro tra stampa e letteratura. Poiché gli intrecci non sono pensati per una fine, cambia il modo di scrivere degli autori, i quali introducono trame secondarie, nuovi personaggi e legami che complicano la trama. In questo modo si sviluppa una stampa popolare che è in grado di raggiungere un pubblico molto vasto, fa uso di elementi come la ripetitività e la narrazione interrotta, asseconda il piacere del pubblico nel ritrovare personaggi e ambienti già noti. Un altro elemento importante, e che inciderà sui prodotti seriali futuri, è il fatto che la modalità di lettura di questi testi non è più individuale, bensì collettiva e dunque basata sul confronto. Un altro mezzo che conosce la sua fortuna anche grazie alla serializzazione è il cinema. Il serial è stato una forma caratteristica del cinema sin dal primo decennio del Novecento, periodo in cui venivano prodotti diversi film caratterizzati da una struttura episodica, in cui una story line veniva portata avanti per un numero variabile di puntate. La struttura della narrazione prevedeva l'interruzione del racconto proprio nel momento di apice della tensione, con un finale sospeso. Tale interruzione, definita cliffangher, era accompagnata generalmente da un colpo di scena: l’episodio si chiudeva con il protagonista che restava sospeso in una situazione, in attesa di una soluzione che sarebbe arrivata solo nell’episodio successivo. La nascita della serialità in ambito cinematografico si inserisce nell'ambito dei processi di industrializzazione che avvengono tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento. La frammentazione mantiene vivo l'interesse e la curiosità del pubblico e dunque moltiplica il consumo del supporto che attraverso la quale viene diffusa (cinema, radio, televisione). L’obiettivo primario diventa quello di catturare lo spettatore, un soggetto che ha memoria, è in grado di collegare i film ad altre forme di comunicazione stabilendo delle relazioni intertestuali. Alla diffusione dei prodotti seriali contribuisce anche il medium radiofonico commerciale che lavora molto con gli inserzionisti pubblicitari. Le trasmissioni seriali possono essere facilmente scomposte in blocchi narrativi per poter inserire messaggi pubblicitari, fidelizzano il pubblico e permettono ai marchi pubblicizzati di riferirsi all'universo finzionale rafforzando il messaggio pubblicitario. A partire dagli ultimi decenni del XX secolo, l’industria abbandona la produzione di massa e adotta le tecnologie che consentono una maggiore flessibilità produttiva e organizzativa. In questo modo l’offerta di beni di consumo e di prodotti culturali diventa sempre più differenziata, adeguandosi alla domanda e alla sua variabilità. Negli ultimi decenni è cresciuto notevolmente il numero delle narrazioni serali: romanzi e best seller di successo danno luogo a trilogie, quadrilogie, oppure ad ampliamenti narrativi come i sequel (trame che si riallaccia a quella di un'opera precedente, sull'onda del successo di quest’ultima), i prequel (storie che raccontano gli episodi che accadono prima rispetto alle vicende di un’altra opera realizzata in precedenza che ha avuto successo), gli spin-off, vale a dire le forme narrative nate da un’opera esistente, ma focalizzate su un elemento di quella storia (personaggio secondario, comprimario, ambientazione, ecc.). Sono degli spin-off le due opere di J.K. Rowling Il Quidditch attraverso i secoli (2001) e Gli animali fantastici: dove trovarli, entrambi scritti per beneficenza, comparsi come pseudobiblium (libri mai scritti ma citati come veri) nella saga di Harry Potter. Oggi il romanzo è solo uno dei tanti intrattenimenti globali, e l’attuale consumo culturale, diversamente da quanto avveniva in passato, presenta una mescolanza transmediale di musica, letteratura, cinema, informazione giornalistica, entertainment televisivo ecc. Oggi i lettori vogliono esperire la finzione come se fosse una realtà che ci accompagna giorno dopo giorno, vogliono vivere una vita parallela, pensiamo al fenomeno del binge reading (la fruizione compulsiva), la «fame» di storie che si applica soprattutto alle saghe, alle trilogie, ecc., e che spinge i lettori a divorare un libro dopo l’altro. I lettori della saga di Harry Potter, ad esempio, sono disposti a fare la fila attendendo ore e ore fuori dalle librerie per aggiudicarsi le prime copie di un determinato volume atteso per un anno intero. Passando dal mondo dell’editoria a quello delle altre industrie culturali ricordiamo che accanto al fenomeno dello binge reading esiste quello dello dello binge watching, che consiste nel guardare una serie televisiva in maniera compulsiva. Il binge watching è stato favorito soprattutto dalla nascita di colossi come Netflix, una internet tv che distribuisce ai suoi abbonati film, serie televisive e altri contenuti d’intrattenimento permettendo il consumo bulimico e prolungato. Un esempio su tutti: le cinque stagioni di Breaking Bad, la serie televisiva ideata da Vince Gilligan andata in onda negli Stati Uniti dal 2008 al 2013, sono state seguite da fan fedelissimi che hanno seguito con passione le vicende del protagonista, il professore di chimica, Walter White. Oggi il consumo di finzioni seriali è una pratica radicata nel mercato estetico mondiale. Possiamo distinguere:  una serialità aperta, con una struttura a saga potenzialmente illimitata, basati su un insieme di personaggi la cui esistenza evolve insieme a quella dello spettatore;  una serialità chiusa, con una struttura divisa in episodi destinati a una conclusione, basata su un protagonista la cui identità è perfettamente riconoscibile, come il Montalbano di Camilleri. Particolare è il caso di Romanzo criminale, pubblicato da Giancarlo De Cataldo nel 2002, che nel 2005 diventa una film e poi è oggetto di serializzazione: diventa una serie televisiva andata in onda dal 2008 al 2010 per un totale di 22 episodi. Lezione 077 01. Indicare quale dei seguenti elementi può essere un ingrediente delle narrazioni immersive e che creano empatia: la narrazione in prima persona il grado di realtà dei fatti raccontati la presenza di personaggi femminili la presenza di dati statistici 02. Che cosa significa per il lettore immergersi in una storia? In base alla teoria dell’immersive experiencer, nella lettura prima simuliamo mentalmente ciò che ci viene raccontato e poi lo integriamo con ciò che conosciamo, che abbiamo già sperimentato di fatto, modificandolo. Le narrazioni tradizionali, nonostante fossero spesso avvincenti e in grado suscitare emozioni forti nel lettore, ci rendevano puri spettatori, diversamente le nuove macchine narrative della contemporaneità offrono sempre più spesso un’esperienza immersiva. Ad esempio, la fiction rimodella l’emotività del destinatario più di quanto possa fare un discorso persuasivo (ad esempio un discorso politico) poiché è più facile essere influenzati emotivamente da una narrazione che contiene informazioni su un singolo individuo o su un numero limitato di individuo, che non da informazioni relative a interi gruppi di individui. Ad esempio le statistiche non sono in grado di generare l'empatia che invece può sviluppare un racconto relativo a un singolo individuo, infatti è più facile mettersi nei panni di un altro che non di migliaia di individui. È stato appurato, infatti, che nel caso di una campagna di donazioni per la fame nel mondo, le persone sono molto più disposte a donare denaro se viene raccontata loro la storia di una persona nello specifico che è in difficoltà, mentre lo sono meno davanti alle statistiche che indicano numeri e percentuali delle persona che soffrono la fame. Rispetto alle storie di grandi gruppi e ai numeri interviene infatti un processo di “intorpidimento psicologico”. Le fiction che favoriscono l’immersione sono narrazioni in cui tendiamo a identificarci in un personaggio, come accade in un videogame. Oggi il consumo culturale si modella sempre di più sulla immersività, poiché l’imporsi del web e di sistemi di lettura non-sequenziali (i link danno accesso a ulteriori informazioni che si aprono in nuove finestre) ha fatto sviluppare un nuovo modello di empatia, fondata sul coinvolgimento emotivo che produce una sorta di indistinzione tra destinatario ed emittente della narrazione. inviando suggerimenti agli autori – accade con i romanzi a puntate di Charles Dickens e Eugéne Sue – e dunque divenendo una sorta di co-autore. È possibile distinguere tre varianti di intrecci incentrati sul triangolo delitto-indagine-riparazione:  il “romanzo- enigma”, che ha come obiettivo la scoperta di chi ha commesso il delitto e come lo ha portato a termine (questo tipo di intreccio è basato sul passato, ripercorre i fatti già accaduti);  il noir, basato sulla dimensione del presente e segue l’azione passo passo;  il “romanzo di suspense”, incentrato sulla dimensione del futuro, in cui il fine è la prevenzione dell’atto criminoso. Lezione 079 01. Indicare quale delle seguenti affermazioni non è corretta: la suspense genera uno stress positivo che ci rende più abili la suspense è uno stato affettivo che si genera dall'incertezza la suspense consiste nell'anticipazione incerta di un evento narrativo del passato la suspense ci allena a simulare eventi 02. Chi ha scritto "L'assassino"? A. Conan Doyle E. A. Poe G. Simenon A. Christie 03. Cosa rivelano gli studi sulla suspense condotti in collaborazione con i neuroscienziati? Per i neuroscienziati la a suspense è uno stato affettivo che si genera a partire dal conflitto, dall'instabilità e dall’incertezza. I diversi gradi di incertezza che si generano dopo aver scommesso su un finale sono legati al livello del piacere che si genera dalla sua (eventuale) risoluzione, dunque i neuroscienziati spiegano che gli effetti della suspense sono simili alla condizione biochimica che si crea durante l’esercizio degli sport estremi. Come dimostrano diversi esperimenti, i soggetti impegnati nella lettura di frammenti narrativi a elevato indice di suspense sono portati ad adottare la prospettiva del protagonista e a fare scommesse interpretative sul suo stato mentale. La suspense nasce dalla discrepanza tra la consapevolezza del protagonista e quella del lettore. I ricercatori hanno osservato che la suspense letteraria attiva le aree del cervello associate al mind reading, vale a dire la capacità di interpretare le azioni facendo ipotesi sui pensieri, le intenzioni, le credenze e i desideri che le hanno generate. La suspense attiva un coefficiente mediobasso di stress che migliora i processi di memorizzazione, crea nuove connessioni categoriali, ci rende più vigili e ci rende più abili ad affrontare prontamente gli stimoli. Lo stress, infatti, secondo le definizioni scientifiche, non è solo un’alterazione del nostro equilibrio psico-fisico e delle nostre capacità cognitive, ma è anche uno strumento adattivo, che favorisce un nuovo assetto corporeo e cognitivo. Giocando sull’alternanza tra conoscenza e ignoranza, tra stress e equilibrio, la suspense allena i nostri processi neuronali alle operazioni di predizione e anticipazione e suscita stati d’ansia per allenarci a simulare eventi e situazioni. Lezione 080 01. Cosa significa "Gestalt"? visione forma linea figura 02. Indicare quale di quelle che seguono non è una legge della Gestalt: legge dell'esperienza passata legge della adesione legge della buona forma legge della continuità di direzione 03. La comunicazione visiva: le leggi della Gestalt. Gli psicologi della Gestalt hanno formulato delle vere e proprie leggi che regolano i processi di lettura di una composizione visiva, percorsi cognitivi consolidati che non richiedono alcuno sforzo aggiuntivo perché l’organizzazione della forma sarebbe basata su costanze percettive, valide sia per lo spazio reale che per le immagini catturate da una fotografia, riprodotte attraverso un dipinto o rappresentate in un cartellone pubblicitario. Legge della somiglianza - In un insieme costituito da più elementi, si ha la tendenza a raggruppare gli elementi simili tra loro per forma, colore, direzione ecc. che dunque saranno percepiti come collegati. Legge della vicinanza - Minore è la distanza che separa due oggetti, maggiore sarà la tendenza a percepirli come appartenenti a un’unità, in altri termini più due oggetti sono vicini, più alta è la possibilità che vengano percepiti non come elementi singoli, ma come figure. Questa legge spiega perché un testo scritto diviso in paragrafi rende più chiara l’organizzazione della pagina. Legge del destino comune. Si tende a percepire come appartenenti a un’unica forma gli elementi che hanno un movimento solidale, che vanno cioè nella stessa direzione. Legge della continuità di direzione. Se due elementi continuano nella stessa direzione, vengono percepiti come appartenenti a una stessa unità. Legge della chiusura. Gli elementi disposti in maniera tale da creare forme regolari, chiuse, simmetriche sono percepiti come appartenenti a una unità coerente. Linee e forme familiari, anche se non sono chiuse e complete, vengono percepite come linee continue e forme chiuse. Legge dell’esperienza passata. Elementi che per la nostra esperienza passata sono abitualmente associati tra di loro tendono ad essere uniti in forme. Legge della simmetria. La simmetria, vale a dire le ripetizioni nella forma geometrica di un oggetto, trasmette un senso di equilibrio, ordine e regolarità. Lezione 081 01. Nel rapporto figura/sfondo: vengono percepite come figure le forme più complesse vengono percepite come figure le forme più grandi vengono percepite come figure le forme più piccole vengono percepite come figure le forme più colorate 02. La tendenza a ricostruire percettivamente delle linee per completare un'immagine astratta segue il principio: dell'astrazione figura-sfondo della similarità della chiusura 03. Il triangolo di Penrose: è una figura semplice è una figura impossibile è una legge della Gestalt è legato al semisimbolismo 04. La comunicazione visiva: il rapporto figura/sfondo e le illusioni percettive. Un aspetto particolarmente studiato dalla Gestalt è il rapporto tra la figura e lo sfondo, fondamentale per la lettura delle immagini. Accade infatti che durante la lettura di un testo visivo si attivano processi percettivi in base ai quali attribuiamo alle figure un ruolo primario rispetto allo sfondo. La figura è costituita da uno o più elementi delimitati da contorno che attira la nostra attenzione all’interno di un’immagine. Lo sfondo è la parte dell’immagine che avvolge la figura, e che viene considerata come secondaria dal nostro occhio, poiché ci appare come più lontana e indefinita. Riconosciamo una figura quando la isoliamo dallo sfondo, quando la mettiamo a fuoco riconoscendone i contorni. Nel rapporto figura/sfondo: •accade che la superficie o le forme più piccole tendono a essere lette come figure, mentre quelle più grandi come sfondo •vengono generalmente percepite come figure le forme chiuse, nitide, definite, mentre quelle aperte vengono viste come sfondo •vengono generalmente percepite come figure le forme semplici, mentre come sfondo quelle più complicate •maggiore è il contrasto della figura con lo sfondo, maggiore sarà la possibilità di distinguerla Le illusioni ottiche. In alcuni casi non è chiaro se una linea faccia da contorno a un’area o alla zona vicina. Accade cioè che il nostro cervello possa leggere un elemento visivo come figura e come sfondo, oscillando tra due diverse scelte percettive. Accanto alle figure ambigue troviamo vere e proprie illusioni ottico-geometriche, vale a dire casi in cui il nostro cervello commette degli errori nel valutare ciò che si vede. Lezione 082 01. La funzione referenziale è focalizzata: sul codice sull'emittente sul messaggio sul contesto 02. La funzione fàtica è focalizzata: sull'emittente sul ricevente sul messaggio sul canale 03. La funzione conativa è focalizzata: sul messaggio sul ricevente sull'emittente sul canale 04. Se vediamo in lontananza tre oggetti/tre persone e li percepiamo come appartenenti ad un unico gruppo stiamo applicando il principio: della chiusura della similarità della buona forma della vicinanza 05. La funzione metalinguistica e la funzione estetica nelle immagini pubblicitarie: definizioni ed esempi. La funzione metalinguistica prevale quando il discorso si riferisce al codice della comunicazione, vale a dire quando il codice “parla” del codice, pensiamo ad esempio ai vocabolari o alle grammatiche che spiegano la lingua. Esempio: “Gli aggettivi concordano in genere e numero con i nomi a cui si riferiscono”. La body-copy è un testo verbale di lunghezza variabile, generalmente più lungo della headline, proprio perché ne spiega il significato, fornendo spesso informazioni tecniche sul prodotto o descrivendone i benefici/vantaggi. Viene scritto in corpo minore proprio perché viene letto solo da chi è interessato ad acquistare il prodotto e ad avere informazioni sulle sue caratteristiche. Per questo la body-copy è presente generalmente nelle pubblicità di prodotti tecnologici (elettrodomestici, computer, automobili), mentre in genere è assente nei messaggi che pubblicizzano prodotti di moda o articoli di design. Il pack-shot è la foto del packaging, è la rappresentazione visiva del prodotto o della sua confezione, in modo da rendere il prodotto ben riconoscibile all’atto dell’acquisto. Viene utilizzato quando il prodotto che si sta pubblicizzando non viene mostrato né nel visual primario né in quelli secondari. Pensiamo ad esempio alle campagne che pubblicizzano i profumi attraverso l’immagine di una modella o di paesaggi esotici, marini, o surreali, dove il packshot raffigura la confezione della fragranza confezione o un suo dettaglio. Il logo (o logotipo) è il nome del brand scritto seconda una grafica studiata, con un lettering (caratteri) specifico che lo renda riconoscibile. Può consistere in una parola articolata, un’espressione fonetica o una sigla. Il trademark è il marchio visivo di un brand, nel caso delle Ferrari, è ad esempio un cavallino rampante nero su fondo giallo. Accade spesso che il marchio divenga nel tempo più semplice, più stilizzato quando il marchio acquista notorietà e conquista il mercato. È accaduto ad esempio alla mela di Apple, che nasce a bande colorate per poi divenire più astratta e monocromatica. Il pay-off è una breve sequenza verbale (scritta in corpo minore rispetto alla headline, ma in corpo maggiore rispetto alla body-copy) che racchiude la mission dell’azienda e in genere tende ad essere invariato nel tempo, pensiamo ad esempio a pay-off come “Dove c’è Barilla c’è casa”, “Think different” per Apple, “Connecting people” per Nokia, “Impossible is nothing” per Adidas. Si tratta dunque di un gioco di parole, di una sorta di ritornello confezionato per essere facilmente memorizzato; può essere simile alla headline ma ha una funzione diversa, vale a dire quella di esaltare le qualità del prodotto. Quasi sempre lo spazio percettivamente più di valore viene considerato quello nella parte inferiore destra dello spazio grafico, in quanto si ritiene che il nostro sguardo proceda sempre dall’alto al basso e da sinistra a destra (secondo le procedure della lettura per noi occidentali, mentre per il mondo arabo le cose vanno diversamente), per questo motivo logotipo, trademark e pay-off – quando sono presenti – tendono a sistemarsi segnatamente nell’angolo inferiore destro. In realtà ogni messaggio organizza testo e immagine secondo una certa gerarchia e fornisce all’occhio l’orientamento per decodificare il messaggio in maniera corretta. Le headline più leggibili sono solitamente quelle scritte in minuscolo e senza punto alla fine della frase. I punti fermi infatti rallentano la lettura, così come le maiuscole poiché, al contrario delle minuscole, non hanno lettere ascendenti e discendenti che aiutano a identificare le parole. Lezione 084 01. Se all'interno di un testo visivo un colore rimanda, per una convenzione culturale, a un determinato significato, questa correlazione è di tipo: metalinguistico simbolico semi-simbolico astratto 02. Indicare quale delle seguenti categorie non fa parte del livello plastico: categorie eidetiche categorie cromatiche categorie dinamiche categorie topologiche Lezione 085 01. Spiegare la differenza tra piano plastico e piano figurativo e tra simbolismo e semi-simbolismo nei testi visivi. Il semiologo Algirdas Julien Greimas (1917-1992) ha evidenziato che in un testo visivo è possibile distinguere un piano figurativo da un piano plastico. Il piano figurativo è quello in cui riconosciamo le figure, gli oggetti del mondo reale, per cui esiste una gradualità del figurativo che va da un livello più astratto – quello delle cosiddette rappresentazioni figurali – a un livello iconico, in cui i dettagli concorrono a una densità figurativa massima che produce effetti di realtà. Il livello plastico è rappresentato dalle linee e dai colori che nella composizione possono essere portatori di determinati significati. Le categorie plastiche si dividono in tre grandi famiglie: categorie eidetiche, che descrivono le linee e le forme categorie cromatiche, che descrivono i colori categorie topologiche, che descrivono l’organizzazione spaziale. Le categorie eidetiche, quindi, vengono usate per descrivere quelle che nel linguaggio comune chiamiamo forme (es: circolare, ellittico, rettangolare, concavo, convesso, ecc.) e le linee. Le linee, da sole o combinate, comunicano diversi significati: •le linee orizzontali esprimono un significato di staticità e piattezza •le linee verticali hanno un significato di slancio, di movimento •le linee oblique o diagonali esprimono un significato di tensione e instabilità •le linee spezzate, essendo il risultato di più forze convergenti o divergenti, esprimono dinamismo e confusione •le linee curve possono veicolare significati di tensione e dinamismo, di quiete, di movimento. Nell’analisi del colore è possibile valutare diversi aspetti. La tonalità è la qualità percettiva che ci permette di riconoscere un colore dall’altro (verde, giallo, blu ecc.). Da un punto di vista fisico è data dalla lunghezza d'onda della radiazione luminosa; la saturazione, vale a dire il grado di purezza, di intensità del colore; la luminosità, vale a dire la quantità di bianco o di nero presente in un colore che determina quanta luce vediamo in quel colore. Le categorie topologiche – rettilinee (alto/basso, destra/sinistra) e curvilinee (inglobante/ inglobato, centrale/periferico) – sono usate per descrivere la posizione e l’orientamento degli elementi che compaiono nel testo visivo. Le usiamo per descrivere la posizione (in alto, in basso, al centro, all’interno di..., ecc.) o l’orientamento (verso l’alto, verso destra, ecc.) degli elementi che compaiono nel testo visivo. Hanno due funzioni: segmentano l’insieme in parti discrete e orientano i percorsi di lettura. Un formante plastico può rimandare a un contenuto in due modi: 1.perché c’è una convenzione che lo lega simbolicamente a un significato; 2.perché appartiene a una coppia oppositiva, una categoria dell’espressione che rimanda, in un certo testo, a una categoria del contenuto. In questo caso i formanti plastici si organizzano per contrasti che rimandano semi-simbolicamente a opposizioni sul piano del contenuto. Un valore plastico (la forma di una linea, una tinta o un grado di saturazione, ecc.) potrebbe, in una certa cultura, indicare un contenuto al quale è solitamente legato. In questi casi si dice che il valore plastico assume un significato per simbolismo. Ma occorre evitare le associazioni non supportate da un effettivo riscontro nei testi visivi di una certa cultura. Inoltre non sempre un certo valore ha il significato simbolico che gli viene solitamente attribuito (il nero non ha sempre un significato negativo). I formanti plastici veicolano significati simbolicamente quando c’è una convenzione che lega il formante all’unità culturale. Esempi: oro = sacro rosso = passione nero = morte. Nelle pitture sacre medievali, ad esempio, il color oro per convenzione rimandava alla dimensione del sacro e del divino. Nel rimando simbolico a una unità del piano dell’espressione (ad esempio il color oro) corrisponde una unità del piano del contenuto (ad esempio il significato di sacro) per convenzione o perché il testo istituisce tale relazione uno a uno. Un altro caso di simbolismo può essere quello del verde, che viene spesso associato all’idea di natura. Si ha un sistema semi-simbolico quando significati opposti sono rappresentati da opposizioni a livello dei tratti eidetici, topologici o cromatici. Un esempio: in un film a colori si può usare il bianco e nero per marcare i flashback del protagonista, dunque l’opposizione tra colore e bianco e nero corrisponderà all’opposizione tra presente e passato. colore: bianco e nero = presente : passato (il colore sta al bianco e nero come il presente sta al passato). Nella pittura sacra è molto diffusa un’organizzazione topologica nella quale l’alto si oppone al basso così come i valori sacri sono in contrapposizione con i valori terreni. alto: basso = sacro : terreno In genere nei quadri sacri la parte superiore viene occupata dalle figure sacre (angeli, santi ecc.) mentre la parte inferiore è riservata tutto ciò che è terreno, materiale legato al mondo degli gli uomini. Lezione 086 01. L'organizzazione degli spazi nelle immagini: linee di forza e peso visivo. Gli annunci pubblicitari, i dipinti, e in generale le composizioni visive sono organizzati secondo delle linee compositive, chiamate linee di forza, che guidano l’occhio dell’osservatore verso i punti più significativi dell’immagine. Esse rappresentano l’ossatura dell’immagine, direzionano lo sguardo dell’osservatore verso i personaggi principali, verso un particolare ecc. Le immagini occupano uno spazio costituto da una superficie piana che possiede un determinato formato. Il formato rettangolare è organizzato secondo una struttura fatta di due mediane e due diagonali. Lo storico dell’arte e psicologo tedesco Rudolf Arnheim (1904-2007) evidenzia che in un formato rettangolare le figure sono in equilibrio quando si trovano su una delle rette che formano la struttura (Es. dipinto Madonna di Pompei). Se invece non sono legate alla struttura la composizione appare più movimentata (Es. Crocifissione di San Pietro di Caravaggio). Le narrazioni pubblicitarie traducono e raccontano le passioni che animano il discorso della marca. Ad esempio il brand Barilla punta su valori culturali tradizionali (come la casa, la famiglia, gli affetti domestici), mentre altre marche puntano sulla trasgressione. Queste scelte vengono fatte in vista del loro posizionamento sul mercato. Nella costruzione del discorso di marca la componente affettiva riveste un ruolo importante. Il cosiddetto emotional branding mira a sollecitare le emozioni degli attori coinvolti nel gioco della comunicazione e orienta i percorsi passionali dei consumatori. Il marketing che si concentra sulla sfera affettivo-sensoriale ha lo scopo di entrare in relazione con il target di riferimento. Secondo gli studi di psicologia cognitiva l’advertising che propone un’esperienza multisensoriale contribuisce alla fidelizzazione del consumatore. Multisensorialità significa coinvolgimento di più sensi, non solo della vista. Si ricorre ad esempio a inquadrature iper-ravvicinate che colgono il dettaglio di un oggetto o di un corpo, esaltando le qualità di materiali e superfici e dunque veicolando sensazioni tattili. Lezione 089 01. Il pittogramma: può essere un'immagine acustica può essere un'immagine stilizzata può essere un logotipo può essere un'espressione fonetica 02. Il logotipo: corrisponde a un'espressione fonetica è un'immagine astratta è simile al pittogramma è un'immagine stilizzata 03. Spiegare che cos'è un logo anche facendo riferimento al logo Apple e al logo IBM analizzati in una lezione. Il logo è la scritta o simbolo grafico (o l'insieme di entrambi) che identifica un prodotto, un'azienda, un’associazione. I loghi possono essere distinti a seconda del fatto che si ricorra alla scrittura, al linguaggio delle immagini o a entrambi. Sono delle suggestioni, delle sottrazione di informazione, hanno lo scopo di comunicare in modo immediato i significati e le sensazioni che rappresentano e distinguono un’azienda, un’associazione, una prodotto, una testata giornalistica. Si distingue: •il logotipo composto da scritte e segni grafici che corrispondono cioè a un’espressione fonetica. In altre parole il logotipo è la parte leggibile e pronunciabile di un marchio. Ciascun logotipo possiede un lettering specifico, cioè un carattere tipografico (font), progettato per essere riconoscibile e distinguibile da qualsiasi altro logo. Possiamo distinguere gli acronimi, in cui il nome dell’azienda viene abbreviato tramite le sue iniziali, e i monogrammi, simboli grafici che nascono dalla combinazione di due o più lettere. •il pittogramma, vale a dire i disegno di un oggetto, un’immagine stilizzata che rappresenta per analogia visiva un oggetto o un concetto molto semplice (pensiamo ad esempio ai segnali stradali). In un logo: •si può usare il nome (come fanno Microsoft e Google) o le iniziali dell’azienda (in questo caso la lettura è più lenta perché l’occhio deve interpretare le lettere) •si può decidere di rappresentare direttamente di ciò di cui si occupa l’azienda •si può ricorrere a disegni/foto di animali o mascotte (pensiamo ad esempio alla volpe di Firefox) •si può ricorrere a un segno astratto (come nel caso dei loghi Nike e Adidas, che veicolano dinamismo proprio attraverso delle forme astratte). Il logo IBM era inizialmente tutto nero. Nel 1962 Rand introduce le bande orizzontali. L’allineamento delle tre lettere determina una struttura ternaria complessa, il sistema delle bande organizza ripetizioni di tratti spessi, orizzontali, disgiunti e monocromatici. Le forme derivano dal carattere egiziano (potenza, angolarità), il significato è rapidità ed efficacia. Le forme e i cromatismi costituiscono la configurazione visiva generale del logo. Il logo Apple fu creato da Rob Janov nel 1977, in sostituzione di quello creato nel 1975 da Ron Wayne, vecchio collega di Jobs che aveva creato un logo raffigurando Newton sotto un albero di mele. La mela arcobaleno addentata è più leggibile e abbandona il confronto con la scienza. Il logo presenta le seguenti caratteristiche: il profilo della mela è una configurazione semplice, la foglia non rappresenta un’entità visiva autonoma, non si tratta di un dittico (così come il logo IBM era un trittico), le forme del frutto e della foglia sono costruite a partire da arcobaleni, si tratta di una non ripetizione di bande congiunte policrome, con i colori freddi che aprono e chiudono la sequenza, mentre i colori caldi sono privilegiati, si trovano al centro e sono più numerosi. La mela incarna l’alternativa rispetto a IBM, in quanto vuole trasmettere il messaggio di un modo alternativo di concepire la tecnologia: informatica come creatività (colori), convivialità (rapporto utente-computer), libertà (tecnologia per tutti) •IBM = competenza tecnologica •Apple = competenza creativa. Tali loghi però, pur presentando tratti visivi opposti esprimono un racconto simile basato su: •produzione di un valore aggiunto •contributo alla storia dell’informatica •un beneficio cliente •ricchezza cognitiva data dal computer e dall’informatica Lezione 090 01. La pubblicità obliqua: fa uso di citazioni esalta le proprietà materiali del prodotto mette al centro il prodotto attribuisce al prodotto valori esistenziali 02. La valorizzazione utopica è relativa a valori: misurabili concreti utilitari esistenziali 03. Spiegare in che modo possono essere valorizzati i beni di consumo e quali tipologie pubblicitarie sono state individuate da Floch. L’obiettivo della marca è quello di trasmettere dei valori associati al proprio prodotto/servizio che siano apprezzati dal target che si vuole raggiungere. In particolare Floch ha individuato quattro tipi di possibili «valorizzazioni dei beni di consumo»: •la valorizzazione pratica •la valorizzazione utopica •la valorizzazione ludica •la valorizzazione critica. 1. La valorizzazione pratica corrisponde a valori utilitari, in altre parole alla utilità del bene di consumo/del servizio (comfort, maneggevolezza, robustezza, affidabilità ecc.). 2. La valorizzazione utopica è relativa a valori esistenziali, riferiti cioè al rapporto di consumo. In questo caso la marca si propone di soddisfare dei bisogni che non hanno carattere materiale, ma sono relativi all’identità del consumatore, modellano il suo progetto di vita (l’aggettivo utopico in questo caso non è da intendersi come illusione ma come ideale). 3. La valorizzazione ludica è relativa agli aspetti non utilitari: raffinatezza, qualità estetiche di un prodotto ecc. (l’aggettivo «ludico» in questo caso non è riferito solo al gioco). 4. La valorizzazione critica è relativa agli aspetti non-esistenziali del consumo: rapporto qualità-prezzo, rapporto costo-benefici ecc. I quattro modi di fare pubblicità individuati da Floch sono i seguenti: •Pubblicità referenziale •Pubblicità mitica •Pubblicità sostanziale •Pubblicità obliqua È importante sottolineare che le tipologie pubblicitarie individuate da Floch sono strumenti di lettura utili a capire come vengono costruiti i significati nei testi visivi. Le quattro ideologie non sono alternative tra loro, possono anche essere impiegate insieme nel testo pubblicitario, ma una sola di esse sarà prevalente. Pubblicità referenziale: mette al centro il prodotto con le sue caratteristiche esaltandone la praticità, l’utilità, la funzionalità, la durata. Impiega determinate strategie discorsive per presentare queste caratteristiche come vere, ad esempio utilizza foto e immagini realistiche, mette in scena piccole storie e usa uno stile oggettivo (discorsi in terza persona). Pubblicità mitica: esalta il prodotto trasferendolo in una atmosfera da sogno, lo associa a eroi, leggende e simboli che il consumatore riconosce. Il prodotto non viene presentato nelle sue caratteristiche pratiche, ma viene caricato di valori esistenziali (vita, passione, avventura, libertà), fa sognare e tramite esso il pubblico di riferimento può costruire la propria identità. Es: l’auto non viene presentata semplicemente come un mezzo di trasporto, ma è lo strumento che permette di sperimentare benessere e piacevolezza. Pubblicità sostanziale: enfatizza le caratteristiche del prodotto in maniera iperrealistica adottando un punto di vista ravvicinato, ne esalta le proprietà materiali ed estetiche (ad esempio nel caso dei prodotti alimentari la piacevolezza e il gusto al palato). Viene proposta una valorizzazione critica del prodotto sottolineandone la sua utilità o mettendo in rilievo il rapporto qualità/prezzo. Pubblicità obliqua: è basata sulla valorizzazione ludico-estetica, sfrutta le strategie del paradosso e dell’ironia, fa uso di citazioni e giochi metalinguistici. Al contrario di quanto avviene nella pubblicità referenziale, dove il messaggio esplicita il significato, le strategie oblique stimolano l’attività interpretativa dei target, lo invitano a co-produrre il significato. Questo tipo di pubblicità si rivolge dunque a un target di nicchia, che possiede determinate abilità cognitive. La pubblicità obliqua punta a stupire il consumatore. Esempio: Bill Bernbach (1911-1982) è stato un pioniere della pubblicità obliqua, ricordiamo ad esempio la pubblicità che ha creato negli anni Sessanta per Maggiolino Volkswagen, un annuncio in bianco e nero dove la foto della macchina viene posta in lontananza, nell’angolo in alto a sinistra, mentre in basso il pay-off recita “Think small”. La Volkswagen ai tempi aveva l’arduo compito di vendere sul mercato americano un’auto tedesca, all’indomani della seconda guerra mondiale, che inoltre era piccola. Bernbach propone un annuncio in cui fa della piccolezza dell’auto il suo punto di forza, e in una lunga bodycopy elenca tutti i vantaggi di avere una macchina poco ingombrante. Dunque un difetto viene investito di nuovi significati positivi (maneggevolezza e libertà) e il Maggiolino ottiene un grande successo. Lezione 091 01. Per la retorica l'elocutio: è l'arte di trovare cosa dire nel discorso è l'arte di organizzare il discorso è l'arte di recitare il discorso è l'arte di abbellire il discorso L’iperbole è una figura retorica che consiste nell'esagerazione nella descrizione della realtà tramite espressioni che la amplifichino, per eccesso o per difetto. In altre parole l’iperbole è una espressione esagerata che presa alla lettera sarebbe inverosimile. Esempi: •«Ti stavamo aspettando da una vita», «È un bulldozer» (esagerazione per eccesso). •«Andiamo a fare due passi?», anziché una passeggiata (esagerazione per difetto) Esempio: Nella promocard Volkswagen lo spazio a disposizione nel bagagliaio dell’auto pubblicizzata viene iperbolicamente paragonato a quello di un tir in grado di accogliere (altra iperbole) la statua della libertà. La personificazione è una figura retorica che consiste nel trasformare un concetto astratto o un oggetto inanimato in persona reale grazie all’attribuzione di comportamenti, pensieri, e tratti umani. Es: i pneumatici Michelin rappresentati dall’omino. Per ossimoro si intende l’accostamento di parole di significato opposto, nel senso di contrario o contraddittorio, facciamo alcuni esempi: «ghiaccio bollente» «doloroso piacere» «chiara oscurità» Esempio: in una campagna contro il fumo, vengono messi a confronto due concetti opposti: “quick” (veloce), e “slow”, (lento). Il primo termine si riferisce al proiettile, responsabile di una morte veloce, mentre il secondo alla sigaretta, che uccide lentamente. Lezione 094 01. La paronomasia: è la ripetizione di lettere o sillabe all'interno di due o più parole vicine è l'accostamento di due parole simili nel suono e nella grafia ma distanti nel significato è l'accostamento di parole di significato opposto è data da gruppi di parole che riproducono o evocano dei suoni 02. L'ellissi: è la sostituzione di una parola con un'altra che ne altera il senso è l'omissione di una o più parti che è possibile sottintendere è la sostituzione di una parola con un'altra che ne restringe il senso finge di non voler dire ciò di cui si sta parlando a chiare lettere 03.L'allitterazione: è la ripetizione di lettere o sillabe all'interno di due o più parole vicine è data da gruppi di parole che riproducono o evocano dei suoni è l'accostamento di parole di significato opposto è l'accostamento di due parole simili nel suono e nella grafia ma distanti nel significato 04. Ellissi, onomatopea, allitterazione e paronomasia: definire queste figure retoriche e spiegare in che modo possono essere usate nei testi pubblicitari. L’ellissi consiste nell’omettere alcuni elementi del contenuto, nell’eliminare uno o più termini all’interno di una frase o un intero segmento discorsivo, elementi che possono essere sottintesi poiché sono già noti agli interlocutori o possono essere desunti dal contesto. Un esempio: «Io sto bene in città. Tu in campagna?» (lasciamo sottointeso “stai bene” nella frase interrogativa). Si tratta di una figura retorica molto diffusa nei proverbi e nei modi di dire (ad esempio “oggi a me, domani a te”), nei titoli giornalistici e nelle headline pubblicitarie, che la utilizzano per essere più incisivi e memorabili. Esempio: una pubblicità di McDonald’s si focalizza su uno dei prodotti più rappresentativi della nota catena di fast food, il Big Mac. Il nome del prodotto (noto per le sue proporzioni rispetto agli altri panini McDonald’s) rappresenta un suo equivalente visivo, infatti viene usato un lettering talmente grande che non entra nello spazio dell’annuncio. In questo caso visual e headline coincidono. Le onomatopee sono parole, o gruppi di parole, che riproducono o evocano suoni come il verso di un animale o il rumore prodotto da un oggetto o da un’azione attraverso espressioni verbali che acusticamente suggeriscono i suoni stessi. Esempi di onomatopee di oggetti e azioni: tic tac, crac, plin, din don, eccì, brr Onomatopee che sono versi di animali: bau, miao, grrr, chicchirichì Si usano in serie ripetute (crac crac, bau bau, plin plin) o in un’unica sillaba (patatrac, patapum, taratatà). Le onomatopee possono essere usate anche come sostantivi (il tic tac della sveglia, i chicchirichì dei galli, un patatrac). Esempio: pubblicità Brancamenta: brrr, la bevanda bevuta ghiacciata trasmette brividi di freddo. L’allitterazione è la ripetizione di lettere o sillabe all’interno di due o più parole vicine. Si tratta di una figura retorica che ricorre spesso in poesia: Nella poesia di Quasimodo riportata di seguito, ad esempio, notiamo la ripetizione della lettera s nei vari versi. Ognuno sta solo sul cuor della terra trafitto da un raggio di sole: ed è subito sera. (S. Quasimodo, Ed è subito sera, in Acque e terre) Esempi di allitterazione in pubblicità sono: •il payoff di Ceres: «Ceres c’è» •il payoff Limononcé: «Se c’è il limone è Limone» La paronomasia è l’accostamento di due parole simili nel suono e nella grafia ma distanti nel significato («volente o nolente», «il troppo storpia», «via vai»). È alla base di molti giochi di parole: «Chi non risica non rosica». La paronomasia ricorre anche in molti spot pubblicitari: •«Fiesta ti tenta tre volte tanto» •«La birra che berrei» •«Panettone Maina: piano piano, buono buono» Lezione 095 01. Spiegare che cos'è l'intertestualità nella comunicazione visiva anche attraverso degli esempi La pubblicità è un mix di innovazione e uso di elementi già conosciuti, attinge dagli elementi culturali ricorrenti, ma soprattutto presuppone una serie di testi precedenti, dunque fa parte di una rete intertestuale. Il concetto di intertestualità è nato nell’ambito della ricerca sulla letteratura e indica le relazioni che un determinato testo intrattiene con altri testi dello stesso autore e con i modelli della tradizione letteraria. Intertestuale è il rapporto che si stabilisce tra un testo e un altro, precedente o contemporaneo. I testi pubblicitari, infatti, utilizzano motti, proverbi, frasi celebri provenienti dai film, immagini relative ad altri testi, a film, a opere d’arte. L’intertestualità è la capacità di rinviare ad altri testi, a testi appartenenti ad altri universi espressivi, è uno strumento a disposizione del copywriter che può citare un testo, riusarlo e riorganizzarlo secondo le proprie esigenze. Molto spesso, ad esempio, la pubblicità reinterpreta, rielabora o cita le opere d’arte per coinvolgere il pubblico sfidandolo a riconoscere l’opera a cui si fa riferimento. Esempio: Ferrarelle ha utilizzato la Gioconda di Leonardo (1452-1519) per presentare i tre tipi d’acqua esistenti: liscia, gassata o effervescente naturale. Lezione 096 01. Spiegare che cosa si intende per transmedia storytelling ed ecosistema narrativo nell'ambito delle narrazioni globali. Il transmedia storytelling è un processo dove le parti di un universo funzionale vengono sistematicamente disperse su più piattaforme mediali, con l’intento di creare un esperienza di intrattenimento coordinata e dove idealmente ogni media dà il suo contributo. Il transmedia storytelling descrive modalità narrative che sfruttano differenti mezzi (cinema, teatro, libri ecc.), differenti linguaggi (drammaturgico, pubblicitario ecc.), e differenti modi del discorso (testuale, visivo, audio ecc.). Es. un concept può essere introdotto in un film e successivamente espanso e completato attraverso altri oggetti mediali come serie TV, videogiochi, fumetti ecc. Il transmedia storytelling non sempre combacia con lo storytelling di un mondo, ma si riferisce alle narrazioni estese. Esse sono contrassegnate da molteplici ambientazioni, svariate linee narrative e da un elevato grado di complessità e ci permettono di spostarci dall’idea di testo a quella di ecosistema narrativo. Quest’ultimo si ispira al funzionamento degli ecosistemi naturali e si tratta di una costruzione genetica orientata alla narrazione, con un alto grado di coordinabilità tra le parti. Gli oggetti mediali sono sistemi aperti, formati da una componente abiotica (il mediascape in cui il prodotto ha origine) e una biotica (il materiale narrativo che viene adattato, modificato ecc.). Si crea in tal modo un universo che perdura anche al di fuori dello schermo e che presenta allo stesso tempo un alto grado di flessibilità, in modo tale da permettere costanti modifiche ad agenti esterni ed interni. Gli ecosistemi narrativi appaiono come autosufficienti e mobili, interagendo con le contingenze dell’industria culturale e con le attività dei fruitori; la loro resilienza si esplica nella capacità di reagire alle sollecitazioni e quanto più il sistema consente ai produttori e agli utenti di essere modellato in una serie potenzialmente infinita di varianti, tanto più sarà capace di crescere ed espandersi. 02. Facendo riferimento al libro in programma «Leggere storie. Introduzione all'analisi del testo narrativo», spiegare che cosa sono la scena e l'intreccio episodico. Come esempio di scena viene citato un passo del romanzo di Balzac “Eugenie Grandet”, in cui il lettore ha l’impressione di assistere in tempo reale, come se stesse guardando da una finestra, al pranzo e al dialogo della famiglia Grandet sull’opportunità di far prendere marito alla figlia. Mentre procede lo scambio di battute, l’autore sente il bisogno di inserire la descrizione della signora Grandet ed il tempo della scena viene congelato. Avviene poi un salto nel discorso che ci porta di colpo alla fine del pranzo, lasciandoci intendere che il dialogo non sia proseguito o comunque non sia stato interessante. In questo passo l’uso dei fenomeni di durata individuati da Genette corrisponde alla logica della selezione aristotelica, dove ai momenti più importanti è dedicata una rappresentazione in presa diretta, come appunto il matrimonio di Eugenie che avvierà la vicenda principale del romanzo. L’intreccio episodico, invece, viene citato come esempio di non rispondenza alla concezione aristotelica della narrazione, in quanto risulta privo di arco temporale ed è invece caratterizzato da una linea spezzata che, in una sequenza potenzialmente infinita di complicazioni e scioglimenti, procede verso un punto finale. Quest’ultimo non è strutturalmente diverso dai precedenti, ma dipende semplicemente dalla decisione dell’autore di non fargli seguire nessuna nuova azione. L’intreccio episodico è una forma molto antica di costruzione delle trame, che si trova già nel romanzo greco, e che si basa sulla moltiplicazione delle complicazioni che separano l’annodamento dallo scioglimento. In tali opere, infatti, non vi è una vera e propria trama, ma solo due punti fissi: l’inizio, ovvero l’innamoramento a prima vista dei due protagonisti, e la fine, costituita dal loro matrimonio. Ciò che succede tra questi due momenti essenziali sono tutte le peripezie che devono affrontare per riunirsi e tornare a casa, dopo essere stati separati. Ciò avviene in una dimensione del tutto eccezionale, detta tempo dell’avventura, che simula quello reale, ma ha natura fittizia, in quanto non produce cambiamenti. Le situazioni che si susseguono, infatti, sono legate tra loro dalla forma complessiva della trama, ma non possiedono legami forti l’una con l’altra e talvolta si lasciano cambiare di posto senza produrre alcun disturbo nel flusso della narrazione. Spesso risultano adattamenti di racconti brevi autonomi, rivisitati per renderli omogenei con il contesto prescelto. 03. Facendo riferimento al libro in programma «Leggere storie. Introduzione all'analisi del testo narrativo», spiegare il rapporto tra prolessi e suspense. La prolessi è l’anticipazione di un fatto che nella storia avviene successivamente. A partire dalla rivoluzione romantica e dall’affermarsi del “nuovo”, dell’”originale” e del “singolare” come valori letterari, diventa fondamentale mantenere vivo l’interesse del lettore, per cui gli scrittori si preoccupano di comporre racconti di cui non si può facilmente prevedere la conclusione. Di conseguenza le prolessi vengono poco utilizzate, sino a cadere in disuso. Anzi, prende potere la suspense, un procedimento che esisteva da parecchi secoli, ma che prima di questo momento aveva sempre avuto un’esistenza strumentale di “coloritura”. Si trattava, infatti, di una particolare figura retorica, spiegata nell’Institutio oratoria di Quintiliano, la quale indicava il modo in cui veniva suscitato nell’ascoltatore uno stato di ansiosa aspettativa. Lo scopo di questa tecnica era la preparazione ad un colpo di scena, che, indirizzando abilmente l’auditorio verso un certo tipo di attesa, per poi superarla o deluderla clamorosamente, suscitasse negli spettatori una reazione più intensa di quella che avrebbe avuto al semplice resoconto del fatto. Questa tecnica viene, ad esempio, utilizzata da Cicerone nella sua arringa contro Verre e ha lo scopo di spingere il pubblico a schierarsi dalla sua parte.
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