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Paolo Prodi - Storia Moderna, Dispense di Storia

Riassunto veramente ben fatto. Presi 30 e Lode, come tutti gli altri documenti che ho caricato.

Tipologia: Dispense

2020/2021

Caricato il 18/04/2022

jacopo-gusmeroli
jacopo-gusmeroli 🇮🇹

4.8

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Scarica Paolo Prodi - Storia Moderna e più Dispense in PDF di Storia solo su Docsity! LA STORIA MODERNA – PAOLO PRODI CAPITOLO 1 – LA STORIA COME DISCIPLINA 1.1 La storia come disciplina La prima operazione nel passaggio fra uno studio della storia liceale, a quello universitario è quella di distruggere il manuale. Non esiste nulla di più antistorico data la sua pretesa di fornire un quadro confezionato ed organico del passato umano. Esso, al più, è un mattone da utilizzare e disporre nella costruzione del nostro edificio personale, un fornitore di materiale grezzo da analizzare secondo la nostra intelligenza. Grande maestro che distrugge manuale del liceo a cui aveva lavorato da anni è una bella metafora: “è stato un rigurgito di ripugnanza e revulsione” (Cantimori). Lo stesso Cantimori, però, insiste sullo studio del manuale (e non è contraddittorio):”la storia generale è necessaria come l’aria anche e peculiarmente a coloro che hanno interessi specialistici”. Dobbiamo dunque studiare il manuale e la sua sintesi della storia generale, certo, ma mantenendo un atteggiamento di revulsione e di rigetto. Dobbiamo porlo in discussione e smontare ogni suo pezzo. Lo sforzo sarà quello di: 1) estrarre dalle pagine problemi e nozioni, per costruire in modo il più possibile personale quel reticolo di coordinate spazio-temporali che è necessario e preliminare \ 2) interrogarsi sul significato della storia come disciplina, intesa come definizione di un settore particolare del conoscere e come acquisizione faticosa dei metodi necessari per apprendere un mestiere. La storia oggi (dal greco istoria=indagine. Inchiesta) si è proclamata come disciplina che che studia il passato che è in noi, in funzione dell’oggi. È una conquista dell’Ottocento. Per Gustav Droysen, nel suo manuale che ha formato generazioni “per la storia il dato non sono le cose passate, ma quanto di essere hic et nunc non è ancora tramontato”. Per Droysen la storia ha senso per questa funzione, è un sostegno alla politica, lo storico è scienziato della società, mentre il politico è soltanto uno storico pratico. Come diceva Bloch consiste nel “comprendere il presente mediante il passato e comprendere il passato mediante il presente”, con la celebre metafora della pellicola “nella pellicola solo l’ultimo fotogramma è intatto, per ricostruire i tratti sfocati degli altri, è stato necessario riavvolgere la bobina in senso inverso”. Lo sforzo dello storico è recuperare l’elemento dinamico, il movimento, il divenire. Il passato non esiste se non in noi stessi e in ciò che esso rimane dentro e intorno a noi. Ha oggi poco senso la distinzione fra historia rerum gestarum (come racconto e interpretazione dei fatti) e come res gestae (come fatti e avvenimenti del passato). Sempre Droysen:1) noi storici non disponiamo dell’esperimento come nelle altre scienze sociali \ 2) anche l’indagine più approfondita contiene solo un’immagine frammentata del passato. Lo storico è continuamente teso fra il suo interrogarsi sul presente, ricercando le risposte nel passato. Il dibattito è circa l’utilità della storia come disciplina, oggi sempre più subordinata alle scienze sociali, che tolgono alla sua analisi parti sempre più cospicue, finendo per farle occupare dei pochi interstizi lasciati liberi delle altre discipline. La storia, però, pur avendo rinunciato a una pretesa di spiegare la realtà e dopo aver perso la sua egemonia, ha comunque un’importanza fondamentale e una sua funzione specifica. Il mestiere dello storico e il metodo di indagine vanno tutt’ora insegnati e possono essere un rimedio alle farmacopee per i mali della nostra società. Nietzsche in Sull’utilità e il danno della storia per la vita diceva “solo in quanto serva la vita, vogliamo servire la storia” denunciando la cultura accademica del suo periodo, come un’occupazione per vecchi, che fanno gravare sui giovani il peso opprimente del passato. Oggi il problema è vivo e pulsante, seppur in senso opposto: dopo il ’68 siamo convinti di poter costruire un mondo senza storia, senza fare i conti con essa. Prima il pericolo era la storia come esercizio del potere, per indottrinare all’obbedienza tramite il richiamo a un passato possessivo e oppressivo, oggi il pericolo è l’opposto è quello di uno sbandamento dovuto alla mancanza di identità collettive, a uno sradicamento che costringe tutti a una precarietà impossibile da sostenere. Noi, però, abbiamo bisogno di identità collettive, quanto di quella individuale. Lo storico deve far emergere brandelli di ciò che siamo senza sapere di essere ed è questa una funzione vitale per la società. 1.2. Lo sguardo dello storico: il tempo e lo spazio Ciò che distingue lo storico dagli altri studiosi delle scienze è sociali è il suo disporre di una “quarta dimensione”: il tempo. Egli vede le cose non solo come sono, ma come sono divenute e ricerca i rapporti che permettono di fissare le coordinate spazio-temporali di un fenomeno. Cerca di mettere in luce l’enorme rete che collega gli avvenimenti nella vita concreta degli uomini. Nulla può essere stato influenzato da ciò che è avvenuto dopo e nulla esiste in noi che non sia divenuto (questo il principio che concorre a rendere la cronologia fondamentale). Il tempo non è unico: anzi, quello unico dei calendari è artificiale, è esso stesso un fenomeno storico ed esiste una pluralità di tempi storici, di ritmi del divenire. Era ben diverso il tempo scandito dalle campane nelle campagne medievali, da quello del mercante che avvia la società moderna. Calendari e orologi son stati fondamentali per la transizione verso la modernità. Il tempo, comunque, dipende dalle caratteristiche del fenomeno specifico che si sta studiando. Non ha più senso contrappore la storia del lungo periodo, alla storia dell’evento (è superato): l’evento non esiste come particella, come molecola che forma le lunghe catene della vita. Braduel in un celebre articolo sugli Annales, introduce nel 1958 il concetto di dialettica della durata:”nulla è più istituzioni sociali e all’organizzazione della scienza. Foucault disse:”la storia ha cessato di essere la ricostruzione dei concatenamenti al di là delle successioni apparenti; esse praticano la messa in gioco sistematica del discontinuo. Bisogna abbandonare queste sintesi già fatte, bisogna accogliere ogni momento del discorso nella sua irruzione di evento”. Il compito dello storico appare oggi più complesso e incerto rispetto a quello delle generazioni precedenti. 1.4. GLI STRUMENTI CONCETTUALI: GLI IDEALTIPI Nella vita di tutti i giorni gli storici si sentono un po’ ambigui, partecipando un po’ alla natura dell’umanista e un po’ a quella dello scienziato. Dai primi son diversi per il suo lavoro sistematico di classificazione e interpretazione dei fatti del passato, molto più simile al lavoro di laboratorio dello scienziato, rispetto alla meditazione filosofica. Dai secondi li distingue l’uso di categorie concettuali astratte e l’impossibilità di replicare gli avvenimenti in laboratorio. I risultati a cui arriva lo storico sono validi solamente hic et nunc, relativamente al fenomeno che indaga, senza alcuna presa di validità eterna e universale. È ciò che distingue la filosofia dalla storia. Per intere generazioni l’idea dominante è stato lo storicismo, ovvero la credenza che, dopo il tramonto della metafisica, la storia fornisse un criterio di interpretazione del reale e che senza una chiave interpretativa non fosse possibile comprendere la storia. Lo storicismo di tipo idealista (marxista o positivista) ha dominato in larga parte la cultura con l’illusione di poter cogliere il senso, la direzione della storia. Dopo il crollo delle grandi filosofie interpretative e l’avvento della sociologia, un altro più debole, ma forse più pericoloso storicismo a preso piede, verso cui Popper, in Miseria dello storicismo si scaglia: per storicismo, scrive, si intende un’interpretazione del metodo delle scienze sociali che aspiri alla previsione storica mediante la scoperta dei “ritmi”, delle “leggi” che sottostanno all’evoluzione storica. Popper:”la storia è interessata agli avvenimenti reali, singolari e specifici, piuttosto che per le leggi e le generalizzazioni”. Oggi lo studio della storia ha ritrovato una sua libertà rinunciando alla pretesa di dare un’interpretazione ultima allo sviluppo storico. Non sono finite, però, le strumentalizzazioni ideologiche della storia, ma lo storicismo di qualsiasi colore politico ha mostrato il suo fallimento nelle tragedie del XX sec. L’unica cosa che interessa lo storico è l’uomo nella sua incarnazione sociale concreta. IMP: Anche se non può approdare alla formazione di leggi storiche universali, però, la storia deve comunque dotarsi di una propria strumentazione concettuale e di un metodo scientifico. Il metodo storico non procede dai singoli casi alla ricerca di una legge interpretativa, ma procede dai concetti storiografici acquisiti alla ricerca del particolare per ampliare e modificare i concetti di partenza. Per lo storico il particolare non è un caso. Huizinga: “la caratteristica principale della storia è e sarà sempre il fatto che essa concepisce e tratta la sua materia come avvenimento e non come organismo. I fatti suoneranno “caso” per lo psicologo, per il giurista, per il sociologo. Per lo storico saranno sempre una serie di avvenimenti accaduti in un dato momento”. Studiare concetti nella loro particolarità non fa comunque prescindere da concetti generali e termini generali: partiamo dalla base dei concetti storiografici, per superarli o spesso abbandonarli in favore di concetti più utili. Max Weber all’inizio del ‘900 teorizzò gli “ideal-tipi”, i “tipi ideali” in cui possiamo correlare fenomeni simili sotto un’unica denominazione, quali strumenti concettuali da modificare continuamente. Possiamo usare quest’espressione designando le più diverse interpretazioni, che consentano di far rientrare fenomeni diversi in un unico contenitore concettuale (es. Rinascimento, proletariato, Stato moderno, Riforma, assolutismo ecc.). Sono tutti strumenti provvisori, validi soltanto nei limiti della definizione che gli diamo e nel tempo e nello spazio in cui li applichiamo. Bloch fa un es. importante sul concetto di capitalismo: cap. è stato un termine utile. Trasportato senza precauzioni attraverso le civilizzazioni diverse riesce solo a mascherarne la sua originalità. Tanti storici e altrettanti atti di nascita” (sottolinea la sua eterogeneità interpretativa). Tale esempio (e la differenza di interpretazioni) sottolinea la cautela con cui uno storico deve maneggiare tali tipi ideali. In Italia, comunque, si sente la mancanza di concetti storici fondamentali ben strutturati, come l’opera (Concetti storici fondamentali) che in tedesco è stata redatta da Brunner. In tale quadro non può esistere una divisione fra macrostoria e microstoria (più a contatto con la vita, in quanto immersa nella particolarità del caso osservato e contrapposta alla storia tradizionale, ovvero alla macrostoria). Nessun fenomeno può essere indagato senza fare ricorso a categorie, o tipi ideali e nessuno fra questi tipi ideali può rimanere indenne da una ricerca realmente innovativa e concreta. 1.5. Il laboratorio dello storico: le fasi di ricerca La maggior parte dei manuali di metodo storico tendono a distinguere 4 fasi della ricerca. Il procedimento dello storico è artigianale e non dovrebbe ricorrere a una divisione del lavoro, a una catena di montaggio, ma spesso le esigenze editoriali riducono l’opera dello storico a un assemblaggio di pezzi prefabbricati. 1 FASE = Fase progettuale: porta alla formulazione della domanda, dell’ipotesi di ricerca che attinge alla personalità dello storico. “la storia è inseparabile dallo storico”, come diceva Benedetto Croce. Lo storico non è un individuo isolato, ma rappresenta al contempo tutta la sua categoria e le esigenze comuni a tutti gli individui del suo ambiente. Qui convergono dunque la sensibilità dello storico verso un dato argomento, lo stato degli studi sull’argomento, la presenza di testimonianze. Spesso nella tesi di laurea gli studenti sono affascinati da tematiche troppo ampie che non dominano culturalmente, è compito del professore far coincidere i loro interessi con un campo sufficientemente vasto, per essere svolto in modo soddisfacente. 2 FASE = Scavo dei dati bibliografici: delle testimonianze e delle fonti, chiamata nei vecchi manuali “euristica” o “del reperimento”. Il passaggio è determinato dalla persuasione della serietà dell’ipotesi e che la ricerca possa portare a risultati innovativi. È utile percorrere lo scenario a ritroso, partendo dai saggi di pubblicazione più recenti, per giungere solo in un secondo momento a quelle più antiche. Molte sono state le classificazioni delle fonti nei manuali, ma esse appaiono superate. Le fonti possono essere classificate solo secondo la loro morfologia esterna che può assumere forme molto diverse (avanzi archeologici dell’antichità, ai quotidiani di oggi). Esse sono raccolte nei musei, nelle biblioteche e negli archivi. I musei e le biblioteche sono stati istituiti per uno scopo culturale, il loro materiale è stato acquisito e selezionato in base a un progetto culturale, mentre gli archivi si caratterizzano per testimonianze depositate e accumulate nel tempo in base alla struttura e alle motivazioni pratiche, o alle esigenze delle istituzioni che le emanavano. In epoca moderna le fonti scritte sono solitamente le più importanti, per questo hanno grande valore la paleografia (capacità di leggere la scrittura delle varie epoche), la lingua latina ecc. La distinzione fra fonti intenzionali (redatte con il fine esplicito di lasciare una memoria) o preterintenzionali (tracce che l’uomo lascia nel suo passaggio senza lo scopo di tramandare la memoria) è obsoleta. Ogni fonte ha una parte intenzionale e una preterintenzionale, rispetto all’angolatura con cui la guardiamo. 3 FASE = Critica e Interpretazione delle Fonti: La conoscenza delle tecniche di lettura e schedatura è la base preliminare per affrontare il problema dell’attendibilità delle fonti. Innanzitutto bisogna distinguere l’autenticità di una fonte, dalla sua veridicità, o attendibilità. Una cosa è dimostrare l’autenticità di una fonte (es. che un dato documento sia stato realmente emanato da un dato organo pubblico) e un’altra è dimostrare la sua veridicità (dimostrare che le affermazioni in essa contenute corrispondono al vero). Nell’esame di autenticità prevalgono la critica esterna e l’esame morfologico delle fonti (lingua e stile, formule, grafia ecc.): occorre ricorrere a ogni strumento della tecnica filologica per verificare il grado di fedeltà della copia. Nell’esame di veridicità è necessaria sia la critica interna (l’esame dei dati contenuti nella testimonianza), sia la comparazione con i dati derivati da altre testimonianze sullo stesso argomento. È la fase più simile all’istruttoria del processo come analisi e verifica delle testimonianze. Anche i falsi, comunque, per lo storico possono avere un’importanza immensa. È necessaria la conoscenza di discipline non stiamo assistendo alla sua crisi (al suo tramonto) e ciò rende ancor più importante lo studio della sua genesi. Stiamo abbandonando le idee di continuo progresso della ragione, il dominio della natura, la conquista del mondo da parte dell’Europa, lo Stato come unico soggetto della politica. Don Giovanni Bosco, a metà dell’800 diceva, ancora succube del mito: “la storia moderna è tutto progresso, tutto scienza e incivilimento”. La crisi si aprì dopo la prima guerra mondiale con Weber, Spengler, Ortega y Gasset e hanno trovato concretezza nell’olocausto e nella brutalità della seconda guerra mondiale. Horkheimer pochi giorni dopo lo scoppio delle bombe atomiche disse: “La crisi della ragione trova espressione nella crisi dell’individuo come strumento la quale la ragione aveva consolidato i suoi trionfi. L’illusione della filosofia tradizionale nei confronti dell’individuo e della ragione – la loro eternità - si va perdendo. Al culmine del processo di razionalizzazione la ragione è diventata stupida e irrazionale”. La storia moderna, dunque, è l’esame di come siamo diventati ciò che siamo. Il passaggio dall’età moderna a quella contemporanea non è chiaro, è anzi sfumato e si possono eleggere eventi diversi (Rivoluzione industriale, francese, fine dei movimenti di unificazione nazionale dell’800). La periodizzazione fra queste due epoche è una frontiera mobile, è impossibile designare una linea di rottura. Siamo però pressappoco tutti d’accordo a vedere una continuità di sviluppo, sia pure accelerato, fra le prime ferrovie agli aerei supersonici, seppur le condizioni di vita quotidiana siano cambiate in progressione geometrica. Condividiamo l’idea di inizio di Voltaire dell’epoca moderna (XV sec.), ma a patto che si intendano questi 3 secoli come il baricentro di un periodo più grande e non come un’epoca chiusa: baricentro di forze che derivano in parte dai secoli precedenti e che si sono espressi in questi perché giunti a maturazione. Così le rivoluzioni non sono mai esplosioni del nuovo, ma la conseguenza di uno squilibrio fra strati sotterranei in movimento e strati in superficie rimasti immobili. 2.2. Il versante antropologico: individuo, famiglia, società Fin dall’inizio il più diffuso approccio al moderno è costituito dall’idea che esso corrisponda alla nascita dell’individuo, frutto dell’innovamento portato dall’umanesimo. Dalla rinascita della classicità si sviluppa quell’autoconsapevolezza personale che dà un colore nuovo all’arte e poi alla vita sociale europea. Il Rinascimento italiano funse da laboratorio intellettuale e politico. La grande trasformazione che avviene è il passaggio fra homo hierarchicus (gerarchico) all’homo aequalis. Si passa da una struttura sociale in cui l’uomo è visto come parte del cosmo, con una sua posizione fissa e determinato all’interno di un ordine preordinato, da una visione gerarchica legata alla casta a una NUOVA CONCEZIONE basata sul rapporto mobile ed egualitario fra gli esseri umani. Si innesta la rivoluzione che rende il mondo continuamente in trasformazione e modificabile per l’intervento dell’uomo. De Tocqueville coglie nella democrazia degli anni 30 dell’800 un nuovo tipo di umanità: “L’aristocrazia aveva fatto di tutti i cittadini una lunga catena che risaliva dal contadino al re; la democrazia spezza le catene e separa ogni anello”. Questo mutamento antropologico si ripercuote immediatamente sulle strutture sociali d’Europa. Ricordiamo infatti che, come dice Elias, individuo e società sono aspetti inseparabili tra loro nella misura in cui gli uomini sono coinvolti nei mutamenti di lungo periodo della società. Grazie al diffondersi di questa idea egualitaria si abbandona, come prima grande conseguenza, la divisione tripartita della società nelle 3 classi di preti, militi (nobili) e lavoratori e delle sottospecie in cui questi 3 ordini si dividevano. Non è avvenuto di colpo, ma si può affermare che nella prima età moderna questo schema viene meno: si afferma una mobilità sempre maggiore, basata soprattutto sul parametro economico, si afferma la centralità del “terzo stato” (o la borghesia). Non vengono meno i privilegi dell’aristocrazia, ma essi vengono designati sempre di più come “privilegi”, appunto, che gli aristocratici devono impegnarsi per giustificare, per legittimarli. Per Elias la società aristocratica non solo ha costituito un punto di resistenza al nuovo, ma ha fornito alle classi in ascesa modelli di comportamento che sono diventati pilastri della nuova società, non vi è solo scontro, ma anche osmosi. Lo scontro è fondamentale, ma è importante anche l’osmosi: l’ideologia nobiliare appare come l’ultima trincea di difesa della catena gerarchica degli esseri, ma fornisce al contempo dei valori adatti al nuovo tipo antropologico che sta nascendo (la nobiltà come onore e come esercizio di una funzione sociale). Nasce in questi secoli anche la moderna famiglia mononucleare incentrata sulla coppia e sui figli, molto diversa dalla tradizionale famiglia allargata e patriarcale. Tale nuova famiglia rimane il centro di interessi economici, patrimoniali e di produzione, ma viene separata dalla sfera pubblica. Il ruolo di patria potestas si dissolve a poco a poco, di fronte al potere avanzante dello Stato. Anche se il potere di punire i delitti e di amministrare la giustizia verrà lentamente e con fatica trasferito allo Stato, e rimasero a lungo reti di clientela interfamiliare. La Famiglia verrà ridefinita come cellula di base della sfera privata, svuotata dal suo significato politico. Nasce il matrimonio formalizzato come contratto di tipo particolare (nel Medioevo esisteva una pluralità di contratti, ora è soggetto a riconoscimento da parte dell’autorità politica e religiosa, sia nei paesi riformatori che in quelli cattolici). Si sviluppa un capillare sistema di controllo della vita sessuale, atta a distinguere i rapporti legittimi (giuridicamente sanciti) da quelli fuori dalla famiglia. La famiglia e il matrimonio si sviluppano in consonanza alla divisione fra una sfera pubblica (Stato) e a una sfera privata in cui domina l’individuo con le sue proiezioni patrimoniali. Nascono le marginalizzazioni dei figli illegittimi e la presa a carico dei neonati da parte degli Stati, che non hanno un preciso nucleo familiare (orfani o abbandonati). Il fanciullo non viene più visto come piccolo uomo, ma come individuo solo potenziale, di cui prendersi cura e prestare attenzione. Nasce la donna come individuo “dimezzato”: uscita dalla passività tipica delle ere precedenti acquisiva a poco a poco un suo ruolo nella dimensione privata: non viene certamente parificata all’uomo, ma tende verso il suo riconoscimento come soggetto che viene identificato come tale nella dimensione contrattuale e patrimoniale (pensare al problema delle doti, ma non dimentichiamo la corvè). 1.3: Il versante religioso: De-magnificazione. Riforma, Confessionalizzazione Il fattore più interno all’affermazione dell’individuo è stato la perdita della visione preesistente di un mondo sacro, di un cosmo governato da Dio in cui l’uomo era prigioniero di un universo immobile e animato da potenze invisibili, angeliche e demoniache. La prima definizione scientifica di questo processo fu data da Max Weber sotto il termine di “disincanto” o “de-magnificazione”. Più ambiguo è “secolarizzazione”, perché con esso si può intendere il rifiuto di un Dio come entità trascendente e non è questo Dio che viene escluso, in epoca moderna. Si rischia di proiettare nel passato una tendenza dell’epoca attuale. La secolarizzazione tende ad essere in questo caso astorica, basata su idee teistiche, razionalistiche e immanentiste che trionferanno con l’illuminismo. Weber, invece, ci fa capire che la prima tappa di questo processo avviene già nel Medioevo, con lo sviluppo del pensiero teologico e la graduale affermazione di una religione, il cristianesimo occidentale, che pone in primo piano il tema della trascendenza di Dio rispetto al mondo e che restituisce quindi al mondo una sua autonomia dalla sfera del sacro. Il culto dei santi libera il mondo dai demoni e da divinità animistiche, solo proclamando i miracoli come eccezioni rispetto alle leggi della natura si è potuto emarginare ed eliminare poi la percezione di un mondo animato e irrazionale. Solo partendo da questo si può capire il ruolo crudele di repressione delle eresie cristiane radicali, che credevano nel regno di Dio sulla terra. Al di là della repressione, il centro della vita sociale è rappresentato dalla comunità religiosa e di culto: il centro della vita sociale è la chiesa-parrocchia. La chiesa è il centro da cui il villaggio è stato costruito, svolgendo un fondamentale ruolo di acculturazione. La Riforma protestante e il concilio di Trento ci appaiono oggi non come improvvise fratture, ma come la conclusione di un lungo periodo di crisi della cristianità medievale. Non un punto di partenza, ma uno di arrivo sia del nuovo rapporto fra l’individuo e la Chiesa, sia del nuovo rapporto fra la Chiesa e lo Stato. Con lo scisma d’Oriente fra 300 e 400 si incrina l’unità della cristianità occidentale e fallisce l’ultimo tentativo dei grandi concili di Basilea e Costanza per ricostruire una nuova unità cristiana su base assembleare rappresentativa, che sostituisse i due poli medievali di papato e impero. Le guerre di religione fra cattolici e protestanti costituiscono un capitolo fondamentale nella storia moderna: il nostro moderno è nato da queste tragedie. Non ha senso nemmeno il diverbio Vi sono diverse interpretazioni al fenomeno: alcuni accentuano l’importanza dei primi tentativi di concentrazione del potere nelle signorie italiane del Rinascimento, altri evidenziano le indubbie lentezze e debolezze degli Stati (specie in Italia) che faticavano a imporre il loro potere sulla Chiesa. Le interpretazioni si differenziano soprattutto nel porre l’accento o sui fattori economici (la separazione tra le sfere della proprietà privata e la sfera del potere politico, la nascita dei mercati nazionali) o suoi fattori giuridici (l’abbandono del pluralismo degli orientamenti giuridici medievali universalistici, come il diritto romano e quello canonico, in funzione del monopolio della legge positiva e la costruzione di una rete di tribunali per l’amministrazione della giustizia). Nel Medioevo i rapporti di potere con il sovrano si basavano su rapporti personali di fiducia e di fedeltà, ora nasce un corpo di funzionari chiamati “ufficiali”, sempre più vasto e organizzato e specializzato (nascono i dicasteri), subordinati al principe. Alla base del rapporto vi è uno stipendio. Gli ufficiali erano però pochissimi e limitati a poche funzioni. È diffusa la venalità degli uffici, gli uffici ovvero vengono venduti dal sovrano come una specie di appalto, percepito per secoli come un investimento privato, che però permette al sovrano di legare a sé gran parte del ceto altoborghese. Le spese ingenti dello Stato portano anche a un nuovo sistema di tassazione diretto e indiretto: prima non esisteva un sistema continuo di tassazione, le riscossioni avvenivano a seconda delle circostanze. L’imposizione fiscale diventa permanente. Il più importante fattore di deficit è la guerra, lo Stato è costruito in sua funzione, nel Medioevo le guerre erano endemiche ma avevano un carattere episodico, a partire dal XV sec. l’esercito diviene permanente, elemento di continuità del potere. Si passa dai mercenari alla coscrizione obbligatoria di leva. L’invenzione dell’artiglieria e delle armi da fuoco favorisce la concentrazione della forza nelle mani del sovrano, gli unici a potersi permettere investimenti tanto ingenti. Altro fenomeno di innovazione fu l’esigenza di mantenere l’equilibrio con un continuo sistema di alleanze e contro-alleanze. Nel Medioevo le alleanze erano temporanee e disomogenee, all’inizio dell’età moderna nasce la diplomazia stabile: le moderne ambasciate. Esso tiene in vita il rapporto interstatale con diplomatici che vivono nei territori stranieri rappresentando il proprio sovrano. Unito a ciò lo Stato interviene nella vita privata dei sudditi con l’imposizione di un sistema sempre più organico di norme giuridiche e con l’imposizione di sistemi culturali e religiosi, di modelli di comportamento. Interviene nella vita sociale in campi un tempo destinati alla Chiesa: l’istruzione pubblica, l’assistenza ai poveri, il costume, la moda ecc. Diviene centrale, per il suddito, l’adesione anche interiore a un sistema di potere. L’identità collettiva si rispecchia nel monarca, nella dinastia, il suddito è legato a un rapporto col sovrano. Ciò determina la futura metamorfosi, che nella Rivoluzione francese e nel Romanticismo fa fondere Stato e Nazione, rendendo la Patria la nuova religione della coscienza collettiva. Negli ultimi decenni la crisi dello Stato moderno è lampante e sotto gli occhi di tutti e siamo ancora più interessati a coglierne l’origine, a studiarne l’anatomia. Ciò che si vuole cogliere non è soltanto la crescita del potere dello Stato, ma la sua dialettica con l’individuo, il modo in cui è cambiata la stessa vita politica. Cogliamo così una continuità assoluta tra ciò che chiamiamo “antico regime” e gli Stati dopo la rivoluzione francese. Ciò però non rende meno importante il distinguere diverse fasi intermedie. 1) lo stato confessionale che copre i primi 2 secoli dell’età moderna e può essere definito con il celebre cuius regio, eius et religio. Il suddito deve seguire la religione del principe e dello Stato a cui appartiene. In questa fase le confessioni religiose servono da primo cemento dell’identità collettiva statale moderna in cui si identifica il suddito-fedele. Serve per comprendere sia le guerre di religione e la repressione dell’eresia, sia le radici del controllo della vita quotidiana dell’individuo. 2) assolutismo illuminato, copre il XVIII secolo: le strutture statali e il controllo ideologico sono rafforzati abbastanza da permettere l’affermarsi della ricerca dei fini propri dello Stato nell’ordine della “felicità pubblica”, indipendentemente da ogni richiamo metapolitico e religioso. Il sovrano perde la sacralità e diviene il primo servo dello Stato, rimanendo assoluto, ma mutando la giustificazione del proprio potere. 3) stato costituzionale (o di diritto) si apre in modo traumatico (rivoluzionario) o gradualmente nella seconda metà del ‘700. Lo Stato riesce a penetrare e a centralizzare tutte le funzioni della società civile con l’idea di Nazione e Patria come anima collettiva nella quale il cittadino-suddito è in qualche modo assorbito. Il motto più efficace è il pro patria mori, l’amore verso la patria fino a morire. All’interno dello Stato emergono i principi fondamentali che si esprimono nelle nuove carte costituzionali. Le costituzioni formalizzano le norme fondamentali che sono oggetto di un patto collettivo e reggono tutto l’ordinamento statale: con garanzie per i diritti di libertà del singolo nel quadro di una formale divisione dei poteri, ma all’interno dell’unico potere sovrano dello Stato. A poco a poco la Democrazia si afferma come unica ideologia capace di sostenere questa costituzione politico- costituzionale. Il cittadino diviene così sovrano mediante il voto. 1.5: Il versante culturale e scientifico: università, stampa, istituzioni educative È solo nell’età moderna che l’uomo diviene capace di manipolare la natura e mettere al servizio della sua attività la scienza, la conoscenza. Perché solo in occidente? Risponde Koyrè nel celebre Dal mondo del pressappoco, all’universo della precisione:”se il mondo antico non ha sviluppato il macchinismo è perché esso aveva ritenuto che fosse cosa di nessuna importanza. E se il mondo moderno l’ha fatto è perché gli è risultato che quella era la cosa più importante”. Per comprendere ciò bisogna, ancora, riflettere sul medioevo. Un primo passo si può individuare nella nascita delle università e nello sviluppo del pensiero teologico e filosofico del sec. XII-XIII. Ciò che le distingue è la loro autonoma consistenza rispetto al potere politico e al potere religioso. L’università nasce come un’associazione giurata di studenti e docenti, importante sia per la sua autonomia, sia per l’affermazione della figura del “dottore” come grande interprete del mutamento della società. La prima classe dirigente europea è quella dei dottori delle università. Nel 400 il Concilio di Costanza stabilisce che i cardinali devono essere dottori. Lo sforzo medievale dei suoi ultimi anni di applicare la ragione al mondo delle conoscenze acquisite sarà superato nella modernità con la fuoriuscita di tutte le scienze dall’orbita della teologia e della filosofia. La scolastica e il cammino compiuto dalla sua evoluzione sono stati fondamentali, perché, contrariamente a ciò che si pensa, non erano problemi ristretti a un èlite intellettuale: la storia delle università non è separata da quella della società. È nella città, crocevia di pellegrinaggi e dei grandi commerci, che si sviluppa questa rete di conoscenze, che la stampa contribuisce a diffondere ed ampliare. La stampa a caratteri mobili, anzi, si può dire, cambia realmente il volto dell’Europa. Tale invenzione è una rivoluzione ed è al contempo il frutto di una trasformazione secolare. Nel 500\600 il processo di alfabetizzazione cresce e diviene già palpabile nell’Europa occidentale. L’istruzione diviene uno strumento di mobilità e ascesa sociale, con l’introduzione di una divisione in classi di età e di apprendimento, che inculca fin dalla giovane età il criterio della coerenza e della competizione come elemento fondamentale per la formazione dell’individuo. Bisogna però aspettare la fine dell’800 perché sia introdotta in tutti i paesi l’istruzione elementare obbligatoria. In epoca moderna, però, si alfabetizzano masse sempre più vaste, alfabetizzazione non ancora gestita direttamente dallo Stato, ma da comunità locali o dalla Chiesa. San Gimignano nel 1338 assunse un maestro perché “non può sopravvivere una città, senza un maestro che istruisca i fanciulli. La vita economica, politica e amministrativa è sempre più fatta di scrittura, di registrazioni. All’interno della cultura scritta assume forte rilievo il linguaggio matematico e le funzioni di rappresentazione simbolica del mondo: per la prima volta si crede che conoscere il mondo fornisca gli strumenti per cambiarlo. Il concetto fondamentale è quello di RAPPRESENTAZIONE e MISURA. La possibilità di raffigurare e misurare la realtà in modo quantitativo costituisce il legame fra scienza e tecnologia. Koyrè:”è con lo strumento di misura che l’esattezza prende possesso di questo mondo”. Nella modernità si incomincia a vivere in un mondo sempre più impregnato di matematica. Dal XIII secolo si diffonde l’orologio, la misura del tempo diviene calendario, agenda, cioè programmazione dell’attività dell’uomo nei quali le fasi delle stagioni viene inglobato all’interno di un tempo artificiale. L’uomo diviene il centro di un universo che si dilata sempre di più e che appare regolato da leggi che coincidono con quelle della ragione. Permangono tuttavia zone umane un’esistenza definita se non separata. Se nel Medioevo l’Europa appare una regione povera rispetto alla ricchezza dell’Oriente, nella prima metà del ‘700 (alla vigilia della Riv. Ind.) essa è già incommensurabilmente più ricca e al centro di una rete mondiale di traffici. In poco tempo, dunque, sono cambiati i “fondamentali” dell’economia, i pilastri costitutivi della popolazione, dell’organizzazione dell’impresa, dell’evoluzione tecnologica ecc. ecc. Importante è valutare 1) la crescita demografica: con lo sviluppo delle città, dal XII al XIV secolo si apre una nuova fase di espansione demografica, frenata dalla peste e dalle carestie: nel 300 la peste decimò un terzo della popolazione europea (sui 74 mln). Nel 1750 sono 111 mln, inizia l’impennata che ci porterà agli attuali 500 mln, circa. 2) le corporazioni di mestiere in seno alle quali si sviluppano le nuove forme di società di capitali e nuove forme di organizzazione del lavoro con la nascita del primo proletariato moderno, nascono le grandi banche d’affari, lo Stato moderno garantisce la presenza di infrastrutture (ponti, strade) relativamente sicure. Dalla fine del XVII secolo questi parametri sembrano subire un’impennata che poi renderà possibile la rivoluzione. L’Italia visse in quegli anni di sviluppo un momento di decadenza (alcuni parlarono di “rifeudalizzazione”) e sono molti i fattori di decadenza: I) la perdita dell’importanza del Mediterraneo \ II) il maggior costo dei prodotti italiano \ III) l’inflazione \ IV) i fattori spirituali, la Controriforma come freno allo sviluppo e all’innovazione della società. Nel Cinquecento\Seicento, comunque, si costruisce ciò che si chiama “l’economia-mondo europea”. Alla fine del Medioevo la maggior parte dell’Europa vive di un’economia di sussistenza, ma sono già sorte delle realtà più sviluppate: le città e le istituzioni chiave che permettono lo sviluppo dell’economia mondiale, la nascita delle grandi banche, del capitale anonimo, delle Borse, il mercantilismo ecc. Braudel: fra il XV e il XVIII secolo la vita degli uomini ha conosciuto un progresso lento, e a lungo termine, interrotto dagli improvvisi passi indietro. Così prima del 1750 la marcia del progresso è rimasta alla mercè di sorprese e di catastrofi. 1.7. Il versante spaziale: l’espansione del modello europeo Anche quello spaziale è un approccio fondamentale per capire l’età moderna, perché investe ogni aspetto della vita sociale, politica e economica. Si parlerà di Italia, Europa, mondo. 1) Italia: la differenza è già evidente del Medioevo fra un Centro-nord nel quale sulla base delle tradizioni civiche di autogoverno dei comuni si è già verificato uno sviluppo della produzione e un Sud ancora dominato da una struttura amministrativa accentrata da una diffusa struttura di potere feudale. All’inizio della modernità l’Italia diventa mira delle nuove monarchie europee (in particolare Carlo VIII) perché con la sua organizzazione produttiva, con le sue banche, con i suoi Stati regionali, rappresenta un prototipo di quello che sarà nei secoli successivi lo sviluppo dell’Europa. L’Italia continuerà a partecipare alla storia d’Europa come ispiratrice degli sviluppi economici, culturali, artistici e scientifici che avvengono altrove. Non solo gli Stati d’Oltralpe hanno una popolazione e ricchezza dieci volte superiore a quella italiana, è proprio questo precoce sviluppo della statualità in Italia a fornire l’organizzazione e la cultura che ne costituiscono l’egemonia. 2) L’espansione dell’Europa nel mondo è una caratteristica fondamentale della modernità. Nasce il primo grande confronto fra civiltà diverse che determina lo slittamento dall’Umanesimo e dal suo discorso sull’antico, alla legittimazione della conquista e della superiorità europea. Si ha, in ambito scientifico, la rivoluzione copernicana e la rappresentazione cartografica del mondo sempre più precisa, oltre che grandi progressi in campo nautico (timone di poppa e la bussola giroscopica). La storia moderna è sostanzialmente una storia d’Europa e della conquista del mondo da parte dell’Europa. La storia moderna è per sua natura eurocentrica. Alla fine del 400 l’Europa è ancora una piccola appendice del continente asiatico in lotta continua per la sua sopravvivenza di fronte all’impero turco, bisogna chiedersi quali siano le ragioni di questo successo europeo. È l’uomo europeo che possiede una sua capacità superiore di iniziativa e di organizzazione, capacità che fa sì che le civiltà preesistenti si sbriciolino di fronte alla sua vitalità. All’inizio dell’età moderna, nel XV secolo, la situazione è già ribaltata: data l’evoluzione a cui abbiamo accennato, l’Europa possiede già un potenziale economico, scientifico e tecnologico enormemente superiore a quello di ogni altra società, era l’area più sviluppata al mondo. Occorre distinguere tra diverse forme di colonizzazione: 1) la più antica forma, legata alla monarchia portoghese, è quella finalizzata alla conquista militare da parte degli Stati di punti di appoggio e di difesa a tutela del commercio delle spezie e materie prime locali \ 2) conquista di veri e propri imperi, come la Spagna che concepisce la conquista del Nuovo Mondo come organizzazione politica ed economica dei territori acquisiti, con lo sfruttamento della manodopera indigena nelle piantagioni. È lo schema attuato soprattutto nell’America Latina, che entra presto in crisi per le sue radici feudali e che trascinerà con sé la Spagna \ 3) la conquista direttamente diretta dalle grandi compagnie commerciali, come nel caso olandese. Un modello che cederà, fra ‘700 e ‘800 di fronte alle esigenze e alla lotta di potere fra gli Stati e lascerà il passo all’imperialismo in senso proprio \ 4) le colonie di insediamento o di popolamento: l’emigrazione verso le nuove terre di minoranze politiche o religiose oppresse o emarginate, come le colonie inglesi nell’America del Nord nel XVII secolo. Sarebbe antistorico voler assegnare a quest’ultimo modello una patente positiva rispetto agli altri, basti pensare al massacro dei nativi per capire che forse è proprio questo modello a determinare più di tutti la distruzione della cultura preesistente. Nodo importante: il problema dell’acculturazione, del fenomeno che avviene quando due culture si incontrano: dialogo, confronto, prova di forza, nascita di una nuova cultura derivante dalla fusione di quelle precedenti. Ricordiamoci che ogni cultura, come insegna Levis-Strauss è un corpo vivente con le sue istituzioni, le sue strutture, la sua visione del mondo, quanto tutto questo è messo in discussione quella cultura viene a poco a poco sbriciolata anche quando viene costretta a sopravvivere nelle riserve indiane. La distruzione delle società indigene, sostiene Prodi, sia avvenuta più per l’imposizione di un modello antropologico di tipo europeo che per lo sfruttamento economico bestiale a cui gli individui sono stati sottomessi. Ciò è importante anche per capire le opere di evangelizzazione e cristianizzazione e la differenza che intercorre fra America Latina (“conquista spirituale”: gli indios sono selvaggi inferiori, perpetui minorenni da civilizzare e convertire al cristianesimo. In effetti però si creò una Chiesa del tutto nuova, che ebbe un impatto comunque disastroso sulla popolazione locale, basti pensare all’abolizione della poligamia, sulla quale si fondava tutta la società precolombiana) e in Asia, in particolar modo in Cina e in Giappone (come il caso di Matteo Ricci, che diventa mandarino e tenta di ridurre il cristianesimo al confucianesimo, vedi soppressione della compagnia di Gesù). Molte missioni oltreoceano furono intraprese per civilizzare, per convertire i pagani alla vera religione, molte delle quali in rapporto alla Riforma cattolica. Famosa è la frase di un gesuita che parla della necessità dell’evangelizzazione anche le plebi siciliane:” gli abitanti di queste nostre indie”. Queste motivazioni si scontrarono però ben presto con le esigenze degli Stati confessionali, che necessitavano della Chiesa per mantenere il proprio dominio. Che non sia ipocrisia (da parte dei missionari) lo dimostrano gli scontri, avvenuti fin da subito fra i conquistatori e i missionari stessi, la soppressione della compagnia di Gesù dovuta all’azione dei gesuiti che fondarono le “riduzioni” o comunità degli indios, ritenute contrarie agli interessi della Chiesa, per via del loro sincretismo che deviava dalla tradizione, che si concretizza in Ricci o nella nascita di comunità cristiane autoctone e di un clero indigeno. Il papato però non assistette passivo e istituì il “De propaganda fide”, una Congregazione con lo scopo di controllare le missioni in concordanza con i poteri statali. Anche il suo tentativo fallisce nel giro di pochi decenni. Può essere vista come un grande elemento di ingenuità, oppure come una possibile alternativa rispetto al successivo sviluppo imperialistico degli ultimi secoli, in cui l’opera missionaria viene controllata quasi completamente dalle grandi potenze coloniali.
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