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La Onere della Prova e la Sequenza Probatoria nel Diritto Penale - Prof. Ferrua, Schemi e mappe concettuali di Diritto Delle Prove Penali

Sul concetto di onere della prova nel processo penale e la distinzione tra prove dirette e indirette, o prove complesse. Il concetto di verità e come il giudice debba raggiungere la giustificazione razionale per le decisioni. Il documento anche tratta del tema dell'incompletezza del quadro probatorio.

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2022/2023

Caricato il 05/02/2024

Virtulerlo
Virtulerlo 🇮🇹

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Scarica La Onere della Prova e la Sequenza Probatoria nel Diritto Penale - Prof. Ferrua e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Diritto Delle Prove Penali solo su Docsity! Diritto delle prove penali lezione 2 – 03.03.2023 Facciamo un'ora e un quarto di lezione poi una pausa di 10 /15 minuti poi un'altra ora di lezione. Ieri abbiamo parlato della distinzione tra la evidence e la proof, tra i dati probatori e il risultato di prova. In queste lezioni introduttive parleremo prevalentemente della proof, del risultato di prova disinteressandoci quasi interamente degli strumenti probatori di cui invece ci occuperemo più avanti. La gran parte delle nostre riflessioni saranno dedicate alla struttura del ragionamento probatorio cioè come perviene il giudice dalla conoscenza del fatto del presente alla conoscenza del fatto del passato sempre tramite la mediazione semantica degli enunciati che descrivono l'evento del presente e l'evento del passato. La domanda che ci dobbiamo porre è quand'è che il giudice può ritenersi razionalmente e legalmente dimostrata la colpevolezza dell'imputato ? Quali regole legali e quali regole razionali/logiche governano l'itinerario mentale che il giudice compie nel pervenire dalla conoscenza del fatto del presente a quella del fatto del passato. Vi è una domanda preliminare persino più impegnativa di questa ed è quella chiama in causa il problema della verità. Noi possiamo dire che il giudice penale accerta la verità ? Che lo scopo del processo penale è accertare la verità? C'è stata una famosa sentenza della Corte Costituzionale, del 1992, in cui la Corte Costituzionale pur pervenendo a conclusioni molto discutibili, affermava che scopo primario è ineludibile del processo penale è l'accertamento della verità o meglio la ricerca della verità. L'opinione di molti è che il processo penale consegni una verità che ha qualcosa di relativo, si parla di una verità che non è la verità vera, si dice una verità formale, processuale, relativa. Si ha questa sorta di diffidenza in ordine alla possibilità per il giudice penale di accedere alla verità quella vera reale per due ragioni/ limiti : 1. i limiti di natura cognitiva che sono posti dalle stesse regole del processo. Il giudice accerta i fatti dovendo rispettare determinate regole che in alcuni casi sono regole probatorie, regole che attengono all'ammissibilità e alle forme di acquisizione della prova, che giovano all'accertamento della verità e allora le chiamiamo regole probatorie intrinseche ma in altri casi sono regole che invece nuociono all'accertamento della verità, impediscono un pieno accertamento della verità in nome di altre esigenze che pure sono meritevoli di tutela nell'ambito del nostro processo, es. tutela dei diritti fondamentali delle persone, la segretezza delle comunicazioni, l'inviolabilità del domicilio, la dignità personale, la libertà morale della persona. Abbiamo una serie di regole probatorie che in realtà sbarrano la strada in alcuni casi all'accertamento della verità. Ragioniamo sulla differenza tra regole intrinseche e regole estrinseche. Noi diremo che il processo penale oggi è regolato dal principio del contradditorio nel momento di formazione della prova. Grande principio che forma l'acquisizione della prova nel nostro processo è il contradditorio nel momento di formazione della prova. Tutte le regole probatorie che escludono le prove acquisite al di fuori del contradditorio sono regole intrinseche, sono regole che giovano l'accertamento della verità perchè la logica è che attraverso il contradditorio si possano accertare meglio i fatti quindi si estromettono dal processo le prove non acquisite nel contradditorio delle parti perchè si ritiene che siano prove non attendibili quindi qui abbiamo regole probatorie funzionali all'accertamento del vero. Pensate invece alla regola che dichiara inutilizzabile un'intercettazione che sia stata fatta oltre il termine di 15 gg entro il quale era stata autorizzata. Viene autorizzata un'intercettazione telefonica per 15 gg, viene compiuta poi un'intercettazione anche il sedicesimo giorno e nel sedicesimo giorno viene intercettata la telefonata da cui risulta pacificamente la colpevolezza dell'imputato magari per un reato gravissimo. Qui abbiamo una regola di esclusione probatoria e non si può tenere conto di quella telefonata perchè è una prova non legittimamente acquisita ed ecco quindi una regola estrinseca, una regola che in nome della tutela di altri valori, in questo caso la segretezza delle comunicazioni che può essere limitata soltanto entro certi ambiti e in nome di questo valore si rinuncia all'accertamento del vero. Per questo motivo si dice che è una verità relativa perchè sì il giudice accerta la verità ma incontra dei limiti in quanto deve rispettare le regole del processo. Non è come lo storico o il giornalista, la verità dello storico e la verità del giornalista non incontrano questo tipo di ostacolo. Lo storico che dovesse ricostruire quei fatti potrebbe in teoria tenere benissimo conto di quella telefonata e concludere nel senso che quell'imputato aveva tenuto quel certo comportamento anche se non ne fa un giudizio penale ne fa un giudizio storico, la stessa cosa il giuornalista. Questa è la prima ragione per cui si dice che la verità è relativa ossia verità processuale. 2. La seconda ragione è quella legata alla stessa logica del ragionamento probatorio che è un ragionamento di tipo induttivo che proprio per sua stessa natura conduce a conclusioni che sono sempre e soltanto probabili. La stessa regola della colpevolezza oltre ogni altro ragionevole dubbio essendo impermeato su quell'aggettivo (ragionevole) sta proprio a dire che il giudice pronuncia la sentenza di condanna quando è estremamente probabile che l'imputato sia colpevole sembra scandaloso dire questo ma anche la condanna più severa è sempre una condanna che si basa sull'assenza di dubbi ragionevoli non sull'assenza di dubbi. Questa è proprio la logica del ragionamento induttivo che per una serie di ragioni ci fa dire che le conclusioni a cui perviene il giudice sono soltanto conclusioni predicabili in termini di probabilità. Questo vuol dire che la verità non la raggiunge mai, si potrebbe dire che questo è poco male perchè la ricerca persino ossessiva della c.d. verità materiale è quella che nel corso dei secoli ha scatenato la ferocia della giustizia dell'inquisizione. Il concetto di verità evoca questa stagione buia della storia del processo penale, le torture inflitte agli imputati, estirpare la verità dall'animo del colpevole. L'idea era che l'unico depositario della verità era l'imputato e allora bisognava tirare fuori la verità dall'imputato come se fosse una specie di spirito maligno che la possedeva. Dal secolo dei Lumi si è rovesciata tutta la logica del processo inquisitorio e si è rinunciato a questa idea della ricerca ossessiva della verità , ha incominciato a essere considerato più importante il rispetto delle regole, non è colpevole, non c'è alternativa, ma sul piano epistemologico cioè di quello che conosciamo, il discorso cambia perchè ci può essere una terza situazione cioè noi possiamo sapere che è colpevole, sapere che non è colpevole ma possiamo anche trovarci in una situazione di incertezza. Non confondiamo il piano logico in cui l'alternativa è secca, colpevole o non colpevole, da quello epistemico in cui l'alternativa è io so che è colpevole, so che non è colpevole, oppure non so se è colpevole o innocente. Allora il legislatore stabilisce che questi casi di incertezza bisogna proscioglierli. La proposizione da provare è la colpevolezza, se è provata la colpevolezza si condanna, se non è provata la colpevolezza si proscioglie. Può anche darsi che in certi processi, ma del tutto occasionalmente e non necessariamente, sia addirittura provata l'innocenza cioè magari la difesa tira fuori una proba clamorosa, invincibile e quel punto non è semplicemente non provata la colpevolezza ma è provata la non colpevolezza, abbiamo una negazione attiva dell'asserto contenuto nell'imputazione, questo alle volte capita quando si parla del rapporto tra sentenza di condanna e poi con il processo civile nel quale vengano azionate le pretese risarcitorie da parte della vittima, vi è una norma nel codice che afferma che la sentenza penale ha efficacia nel giudizio civile sull'accertamento della responsabilità civile quanto all'accertamento che il fatto non sussiste, ed ecco lì che in quel caso richiede proprio quell'accertamento positivo dell'insussistenza del fatto, della non commissione da parte dell'imputato ma soltanto a quei limitati fini del rapporto tra processo penale e giudizio civile. La regola invece è che non serva l'accertamento positivo dell'innocenza, basta semplicemente il mancato accertamento della colpevolezza. Il tutto è un po' complicato perchè l'art. 530 c.p.p. elenca le formule di proscioglimento : il fatto non sussiste, l'imputato non ha commesso il fatto, il fatto non costituisce reato. Nel secondo comma dell'art. 530 c.p.p si stabilisce che il giudice deve assolvere con queste formule non solo quando è provata l'innocenza cioè è provato che il fatto non sussiste, l'imputato non lo ha commesso etc ma anche quando manca o è insufficiente la prova di tutte queste circostanze. La formula di proscioglimento è contenuta nel dispositivo della sentenza in quanto la sentenza è formata dal dispositivo e dalla motivazione. Il dispositivo è quella parte che legge il giudice in udienza. E' il giudice afferma es. : “ In nome del popolo italiano … tizio viene assolto in quanto il fatto non sussiste, oppure non ha commesso il reato, il fatto non costituisce reato... è quasi una mini motivazione dell'assoluzione che va data sin da subito quando si legge il dispositivo della sentenza. La motivazione arriverà a distanza anche di mesi ma nel frattempo abbiamo già quasi un anticipo di motivazione e il giudice è tenuto a farlo. In quel contesto non è che il giudice deve dire assolvo tizio perchè è stato provato che il fatto non sussiste oppure assolvo tizio perchè non è stato provato che il fatto sussiste cioè la distinzione qui tra negazione attiva e negazione passiva salta. Il giudice deve sempre comunque pronunciare l'assoluzione con la formula : il fatto non sussiste, l'imputato non lo ha commesso... Questo genera equivoci enormi anche dal punto di vista poi dell'informazione giornalista sulla giustizia penale perchè i processi a personaggi celebri che si concludo con il giudice che afferma assolvo tizio per non aver commesso il fatto e il giorno dopo su tutti i giornali viene riportato è stato provato che il fatto non è stato commesso ma non è così perchè il nostro legislatore consente al giudice di incorrere in questa fallacia argomentativa cioè gli fa dire il fatto non sussiste quando potrebbe dire al massimo “io non lo so se sussiste oppure no”. Vai a spiegare questa cosa ai giornalisti, ai politici che è vero che il giudice ha detto “ per non aver commesso il fatto” ma non è stato provato che l'imputato non ha commesso il fatto semplicemente non è stato provato che lo ha commesso purtroppo il legislatore prevede questa cosa strana, si chiama argumentum ad ignorantiam, quello per cui affermi l'esistenza di una cosa semplicemente perchè non hai argomenti per sostenere il contrario e quindi è una fallacia argomentativa. E' la stessa cosa per cui io sono in questa stanza senza finestra e semplicemente perchè non ho nessuna ragione di pensare che ci sia il vento dicessi non c'è vento ma non lo posso affermare. E' una fallacia normativa che in qualche modo è stata normativizzata nell'art.530. L'art. 530 cpp dice non soltanto quando manca la prova. E' del tutto inutile questo art. 530 da questo punto di vista perchè è proprio la logica della decisione che ci impone di dire che nel caso in cui manchi la prova della colpevolezza bisogna prosciogliere, non c'era bisogno di dirlo perchè se io devo provare quella certa proposizione per condannare e non l'ho provata non posso fare altro che prosciogliere. E' inutile che tu me lo dica e inoltre me lo dici costringendomi ad utilizzare la stessa formula che si utilizza quando eccezionalmente io ho ottenuto persino la prova dell'innocenza. Questo art. 530, comma 2, cpp dice che si pronuncia la formula : perchè il fatto non sussiste, l'imputato non ha commesso il fatto anche quando è insufficiente la prova, non solo quando manca la prova ma anche quando la prova c'è ma è insufficiente e non siamo riusciti a raggiungere la soglia del ragionevole dubbio. L'altra cosa inutile e fuorviante è che l'insufficienza è una forma di mancanza cioè non siamo arrivati alla soglia necessaria per condannare, però questo ha fatto sì che si è invalsa un po' una prassi perchè nel vecchio codice c'era proprio l'assoluzione per insufficienza di prove ma con il codice vigente si è detto facciamo sparire questa formula un po' ambigua che comunque lascia una brutta ombra sull'imputato, però con l'art.530 comma 2, nella parte in cui si afferma che anche quando manco o è insufficiente la prova è come se fosse stata reintrodotta surrettiziamente la formula di proscioglimento perchè i giudici la utilizzano nel dispositivo cioè il giudice sia che sia stata accertata l'innocenza, sia che la prova manchi, sia che la prova ci sia ma non tale da raggiungere il ragionevole dubbio dovrebbe soltanto dire “ assolvo perchè il fatto non sussiste, perchè l'imputato non lo ha commesso ecc.., poi in motivazione spiegherà se manca la prova, se vi è la prova dell'innocenza. Pare che sia una prassi generalizzata perchè i giudici già nel dispositivo dicono “visto l'art.530, comma 2, cpp assolvo perchè il fatto non sussiste”, allora attenzione perchè è un comma 2 e quindi è una insufficienza di prova. Normalmente quando si sente che il fatto non sussiste, tutti pensano che sia stata accertata l'innocenza però per contro utilizzando questo escamotage di citare nel dispositivo anche il comma 2 è stata reintrodotta surrettiziamente l'assoluzione per insufficienza di prova. Nell'art. 530 cpp il legislatore ha fatto un po' di pasticci. L'importante è che comprendiate bene la dinamica della decisione sulla responsabilità. Questa dinamica rientra in un modello teorico che Ferrua elabora in maniera magistrale, su questo ha dato un altro dei tanti contributi fondamentali sulla ricostruzione delle dinamiche della decisione del giudice, individuando in tutte le alternative decisorie, che si pongono al giudice non solo quella fondamentale ossia colpevolezza o non colpevolezza, il seguente modello ( questo argomento il prof all'esame lo chiede) cioè la distinzione tra il cosiddetto termine marcato e il termine consequenziale. La proposizione principale è quella sulla colpevolezza, non colpevolezza o innocenza perchè l'alternativa è colpevolezza o non colpevolezza. Se è provata la colpevolezza si condanna, se non è provata la colpevolezza si proscioglie. Questo richiama un po' il tema dell'onere della prova, alle volte si dice che nel processo penale il pubblico ministero ha l'onere della prova perchè se l'accusa non prova la colpevolezza perde. Ferrua riprendendo una giusta ricostruzione di Franco Cordero, dice attenzione perchè non bisogna parlare di onere della prova perchè la prova, anche la prova d'accusa, non è che sia necessariamente introdotta nel processo dal pubblico ministero. Anche il giudice, seppur eccezionalmente, può introdurre la prova nel processo, ha dei poteri ufficiosi di ammissione della prova quindi magari il pubblico ministero non ha assolto all'onere di provare ma lo ha fatto qualcun altro e lui comunque risulta vincente nel processo e allora più che di onere della prova gravante sul pubblico ministero è meglio parlare di un rischio della mancata prova. La proposizione da provare è la colpevolezza, il rischio per la mancata prova grava sull'accusa ma non parliamo di onere perchè la prova potrebbe arrivare anche da altre parti non solo dal pubblico ministero ma chi si assume il rischio del fatto che la proposizione da provare non risulti alla fine provata è il pubblico ministero. Questo schema teorico viene descritto da Ferrua come : “in ogni alternativa decisoria, che il giudice si trovi a dover sciogliere, es. accoglimento o rigetto della richiesta di archiviazione; accoglimento o rigetto della richiesta di rinvio a giudizio quindi provvedimento di archiviazione oppure sentenza di non luogo a procedere. Sapete che ci sono le indagini preliminari e al termine delle indagini preliminari il pubblico ministero può decidere di non esercitare l'azione penale e allora chiede al giudice dell'archiviazione di archiviare la notizia di reato ma il giudice dell'archiviazione può dir di no e quindi il pubblico ministero deve esercitare l'azione penale. Oppure il pm chiede il rinvio a giudizio si celebra l'udienza preliminare e al termine dell'udienza preliminare il giudice dell'udienza preliminare può accogliere la richiesta e quindi disporre il rinvio a giudizio dell'imputato oppure non accoglie la richiesta di rinvio a giudizio e pronuncia la sentenza di non luogo a procedere. Le alternative decisorie sono archiviazione oppure ordine di formulare l'imputazione ; decreto che dispone il giudizio oppure sentenza di non luogo a procedere e poi l'ultima alternativa fondamentale che è proscioglimento o condanna. In tutte queste alternative decisorie c'è una proposizione da provare che è il termine marcato, così viene chiamato da Ferrua. Il termine marcato è quello che veicola la proposizione da provare e poi vi è un termine opposto a quello marcato che è il termine consequenziale che consegue alla mancata prova del termine marcato. Il termine consequenziale non dispone di una sua autonoma proposizione da provare perchè i presupposti perchè venga adottata quella decisione si riassumano nel fallimento della prova relativa al termine marcato. Quella che proprio Ferrua chiama la marca è la proposizione da provare. Nell'alternativa condanna o proscioglimento la marca è la colpevolezza. Se è provata la colpevolezza si condanna e si afferma il termine marcato e tutti i proscioglimenti conseguono al fallimento della prova relativa al termine marcato. Questo vale in presenza di questa proposizione probatoria nell'imputazione che descrive il fatto di reato, il che significato che quel fatto di reato è esistito. Nessuna altra verità è chiamato a dire il giudice, non è mai chiamato a dire è vero che l'imputato è innocente cioè il tema di prova è solo la colpevolezza nella proposizione principale. Se l'imputazione è tizio ha ucciso caio, quella di cui il giudice deve accertare la verità, se l'affermazione è provata Tizio con la sentenza di condanna dichiara vera quell'affermazione ma se non è provata non dichiara falso quel enunciato, ossia non dichiara vera la negazione di quell'enunciato. Nell'alternativa condanna o assoluzione il solo verdetto che richiede l'accertamento dell'esistenza di un fatto quindi l'accertamento della verità dell'enunciato che descrive quel fatto è soltanto il verdetto di colpevolezza. Torniamo a quelle due obiezioni iniziali in cui dicevamo che il giudice ha meno potere di uno storico, di un giornalista in quanto si dice che la sua verità sta alla pari di quella degli storici o dei giornalisti. Quei limiti, quelle regole es. l'intercettazione che non vale se fatta il sedicesimo giorno, la tecnica che incide sulla libertà morale della persona, … possono certamentente impedirgli di dichiarare vero l'enunciato accusatorio in condizioni nelle quali uno storico o un giornalista non vincolati da quelle regole lo potrebbero certamente fare. Su questo siamo d'accordo in quanto per il giudice rispetto allo storico o allo scienziato è più difficile attingere alla verità perchè deve rispettare tutte queste regole, questi altri interessi che si innestano in quella grande macchina cognitiva che è il processo penale e quindi è più difficile per lui attingere all'unica verità che gli interessa, che è la verità della colpevolezza, che è quella che deve dichiarare ma questo non significa che il giudice quando riesce ad arrivarci e pronuncia una sentenza di condanna, nonostante e nel rispetto questi limiti, sarebbe folle pensare che il giudice penale si accontenta di una verità minore, convenzionale, formale, processuale, ma quando riesce ad arrivare a quella verità con la V maiuscola è la stessa verità in quanto è una verità che distrugge la vita delle persone. Qua si potrebbero fare due obiezioni : 1)Se in quel sedicesimo giorno di intercettazioni c'è l'intercettazione che contiene invece la prova dell'innocenza, il giudice ne può tenere conto ? Se diciamo che il giudice non ne può tenere conto e quindi sulla base delle prove disponibili condanna perchè si c'è quella prova dell'innocenza ma non ne posso tenere conto allora sì che potremmo dire che la verità del giudice è una verità processuale, formale e minore rispetto a quella di chi può tenere conto di tutti gli elementi a disposizione. Il tema dell'illegittima acquisizione della prova renda quella prova intulizzabile anche quando è a favore dell'imputato evidentemente a questo quesito bisogna rispondere in senso negativo ossia la prova pur illegittimamente acquisita se impedisce la condanna dell'imputato va considerata utilizzabile. Questo è un tema sul quale non c'è mai stato un vero approfondimento dottrinale, in questi casi ci appelliamo all'argomento, come diceva Franco Cordero, che la libertà personale dell'imputato è una posta troppo importante perchè la si possa sacrificare per gli idoli della procedura. Penso che alla fine non si possa non concludere in questo senso se no davvero la verità del giudice penale scadrebbe una verità processuale, minore, formale e ciò non è tollerabile. Se ho una prova che fornisce la prova dell'innocenza, che in realtà non si potrebbe utilizzare, non posso condannarlo ovviamente questo discorso vale se è stata violata una regola estrinseca di acquisizione della prova non una regola intrinseca cioè una regola che non indica minimanente sull'attendibilità di quella prova. Es. violazione di regola estrinseca è l'ntercettazione fatta il sedicesimo giorno, qui nulla incide sull'attendibilità della prova il fatto che sia stata effettuata il sedicesimo giorno, quella prova è perfettamente attendibile. Un altro grande tema studiato dagli studiosi americani di diritto delle prove penali è quella dell'incompletezza del quadro probatorio cioè il giudice decide sulla base delle prove che gli sono portate o deve in qualche modo anche tenere conto della possibile incompletezza del dato probatorio ? Nuovamente si va verso la verità processuale, la verità formale se si ammette che il giudice decide sulla base delle prove che gli sono state fornite che potrebbero non essere complete, qualcosa potrebbe essere sfuggito e allora ovvio che questo sbilancia un po' il discorso perchè nel processo ci sono problemi di tempi da rispettare che in un'inchiesta di un giornalista o di uno storico magari non ci sono. Essendo che ci sono dei tempi da rispettare magari non si è riusciti a completare del tutto il quadro probatorio però per rimanere fedeli alla nostra idea che la verità anche nel processo penale sia quella con la V maiuscola dobbiamo richiedere al giudice un forte impegno anche a considerare la possibile completezza del quadro probatorio cioè a farsi insinuare dubbi ragionevoli anche dalla consapevolezza che c'erano degli approfondimenti che si sarebbero potuti fare ma non si sono fatti. Importa poco che il giudici incontri limiti e faccia pi difficoltà rispetto ad uno storico a raggiungere la verità ma quando la raggiunge e quella verità è quella contenuta nel verdetto di colpevolezza è una verità che non ha nulla da invidiare rispetto a quella dello storico. L'altra grande obiezione è che il giudice ragiona sul fatto del passato, usa il ragionamento induttivo, formula delle ipotesi ricostruttive di una cosa che è successa, non ha un'evidenza sperimentale e quindi come si fa a dire che dice la verità ? Per dare conto brevemente di questa seconda obiezione che viene fatta quando si dice che il processo penale tende all'accertamento della verità, sì però è una verità in realtà ipotetica, irraggiungibile perchè il giudice ragiona utilizzando inferenze di natura probabilistica che quindi non possono consegnare mai esiti di verità che non sia appunto una verità formale, una verità convenzionale. Quando noi utilizziamo il concetto di verità stiamo istituendo non un rapporto tra il linguaggio e il mondo ma stiamo istituendo un rapporto tra due linguaggi cioè ciò che può essere definto vero o falso, non sono mai i fatti ma solo gli enunciati o le proposizioni che costituiscono i contenuti degli enunciati perchè si dice che due enunciati diversi potrebbero avere lo stesso contenuto proposizionale, pensiamo alla stessa cosa detta in italiano pure in inglese, sono due enunciati diversi ma la proposizione è la stessa. Allora se ciò che noi definiamo come vero non è mai un fatto, i fatti non sono veri o falsi, i fatti esistono, non esistono, sono esistiti o non sono esistiti ma ciò che vero o falso è un enunciato. Nel processo penale è particolarmente utile per risolvere il problema della verità una famosa teoria filosofica dei c.d bicondizionali di Tarski secondo la quale in sostanza noi usando la parola vero stiamo mettendo in relazione due piani del linguaggio, un piano che contiene l'enunciato e un metalinguaggio che contiene l'enunciato e la sua predicazione in termini di verità cioè la parola vero non fa che mettere in relazione due linguaggi. Nel processo penale la famosa teoria dei c.d bicondizionali di Tarski : “ la neve è bianca”, è vero se e solo se la neve è bianca perchè quando usiamo la parola vero non stiamo istituendo una corrispondenza di qualche tipo tra il linguaggio e il mondo ma stiamo istituendo una corrispondenza tra due linguaggi, ossia quello che contiene l'enunciato tra virgolette ossia la neve è bianca e quello che contiene l'enunciato e la sua predicazione in termini di verità o di falisità. Questa teoria è utile nel processo penale perchè è plasticamente rappresentata nel rapporto tra l'imputazione e la sentenza cioè l'imputazione sta nel piano sotto del linguaggio in cui vi è l'enunciato accussatorio : Tizio ha ucciso Caio e la sentenza sta sul piano del linguaggio più elevato che contiene l'enunciato accusatorio e la sua predicazione in termini di verità o di falsità: l'enunciato Tizio ha ucciso Caio è vero quindi condanna. La prova è un processo di verificazione cioè un'operazione volta a verificare quindi accertare come vera o falsa una proposizione e qui appunto bisogna accertare se è vero o falso la proposizione contenuta nell'imputazione e lo facciamo con la sentenza, la quale si impegna sul tema della verità soltanto quando dice che quella affermazione è vera ossia è provata la colpevolezza quindi quell'affermazione è vera quindi condanno. Se sgonfiamo in questo modo il tema della verità, non uso questo termine a caso perchè vi sono delle teorie filosofiche che si propongono proprio di sgonfiare il tema della verità, teorie deflazionistiche. Se adottiamo questa impostazione effettivamente l'impressione è che ci si possa sbarazzare alquanto facilmente del tema della verità nel processo penale. Esiste una famosa teoria c.d teoria della ridondanza secondo la quale il temine vero è semplicemente un termine del quale possiamo tranquillamente a meno cioè che dire è vero che Giulio Cesare è stato assassinato oppure dire che Giulio Cesare è stato assassinato sarebbero due espressioni semanticamente equivalenti non si aggiunge nulla nel dire è vero che, si ricorerrebbe al termine vero solo per dare maggiore enfasi al discorso per ragioni stilistiche, al più si dice che non possiamo fare a meno del termine vero quando l'enunciato che viene definito vero non è espressamente richiamato, es. tutto quello che dice è vero, qui non possiamo togliere quel pezzo di frase in quanto se lasciassimo solo “ tutto quello che dice” non sta in piedi e quindi l'attribuzione di verità è cieca e allora è più difficile rinunciare al concetto di verità. Se noi diciamo Tizio ha ucciso Caio, aggiungere : è vero, secondo questa teoria della ridondanza sarebbero due espressioni semanticamente equivalenti. Uno potrebbe dire lasciamo da parte questo concetto di verità e chiediamoci un'altra cosa ossia quando è che il giudice può ritenere provata la colpevolezza ? Quando è che la sua pronuncia è giustificata razionalmente ? E' su questo terreno che si dovrebbe impegnare, che poi questo gli consenta di operare una correlazione tra l'enunciato imputativo e l'enunciato contenuto nella sentenza e quindi istituire un rapporto di verità, innescare quel “meccanismo di devirgolettatura” secondo il quale il concetto di verità servirebbe a togliere le virgolette così si esprime il rapporto tra quei due linguaggi. Tutto ciò ci interessa davvero a noi studiosi della procedura penale ? Chiediamoci quando è che può ritenersi razionalmente giustificata la decisione del giudice, in particolare il verdetto di colpevolezza. Molti suggeriscono questa strada, il problema è che sbarazzarsi del concetto di verità non è così semplice perchè, l'esito degli studi filosofici che ho effettuato, un'osservazione, che mi ha convinto, è che il concetto di giustificazione razionale, del quale ovviamente non ci possiamo liberare, dobbiamo chiederci quand'è che è razionalmente giustificata la decisione del giudice, quand'è che possiamo dire veramente provato il fatto, implica quello di verità cioè la giustificazione razionale di una decisione, di un enunciato poggia sulla sua verità intesa qui banalmente non più di corrispondenza tra due linguaggi ma di corrispondenza dell'enunciato al reale, a come sono andate o come stanno le cose nel mondo. Prendiamo un'affermazione qualunque sull'esistenza di un fatto es. il gatto è sulla sedia, la porta è aperta, quando diciamo che un'affermazione come queste è razionalmente giustificata, la vediamo tutti che la porta è aperta, sto facendo un'affermazione direttamente ad oggetto il fatto da provare ma ha ad oggetto un fatto il c.d fatto intermedio o secondario dalla cui ritenuta esistenza il giudice poi inferisce l'esistenza del fatto da provare cioè quando si parla di prove indirette si parla in realtà di una sequenza di prove. Noi abbiamo una prova es. una testimonianza che ci dimostra l'esistenza di un fatto e quel fatto a sua volta diventa prova di un altro fatto. Es. l'imputazione che Tizio ha sparato a Caio e abbiamo un testimone che dice ho visto tizio sparare a caio e questa è una prova diretta perchè è una prova che ha ad oggetto direttamente il fatto da provare. Supponiamo invece che questo testimone ci dica io non ho visto Tizio sparare a Caio ma ho visto tizio che usciva dalla stanza in cui è stato esploso un colpo di pistola trenta secondi dopo la detonazione con la pistola fumante in mano e questa è una prova indiretta rispetto al fatto da provare ossia tizio ha sparato a Caio perchè grazie alla testimonianza proviamo un fatto intermedio, se crediamo al testimone, però prossiamo provare un fatto intermedio cioè che davvero tizio uscisse da quella stanza con la pistola fumante trenta secondi dopo l'esplosione del colpo. Provato quel fatto, quel fatto c.d. intermedio diventa la prova del fatto da provare cioè noi facciamo un'ulteriore inferenza e diciamo se usciva 20 secondi dopo con la pistola fumante allora ha sparato a Caio e queste sono due inferenze, due passaggi logici e argomentativi. Il giudice scriverà in motivazione che il testimone ha dichiarato che tizio usciva con la pistola fumante, io credo a questo testimone è attendibile in quanto era nella condizione di vedere bene e quindi ritengo provato che tizio stesse uscendo dalla stanza del delitto con la pistola in mano, provato questo ulteriore passo inferenziale è ritengo provato che tizio abbia sparato a caio perchè non mi sembra verosimile che nel frattempo l'assassino gli abbia dato la pistola e lui sia uscito con la pistola, poi dipende sempre dalle circostanze del caso e quindi potrebbe anche essere così infatti ci fu un famoso caso di un imputato che fu condannato perchè usciva tutto sporco di sangue da una stanza in cui era stata accoltellata una ragazza venne condannato e poi si scoprì che lui andò lì per soccorrerla e si era macchiato di sangue, due passaggi inferenziali e una sequenza probatoria. C'è un altro modo per descrivere questo stesso fenomeno della sequenza probatoria e si parla di prova complessa ma è lo stesso discorso, ed è il pensiero di Carnelutti che per primo ha fatto bene questa distinzione ma non parlava di prove indirette ma di prove complesse ma il ragionamento è sempre lo stesso. La prova diretta ha ad oggetto direttamente il fatto da provare e che quel fatto diventa prova del fatto cioè la testimonianza in questo caso ha ad oggetto un fatto intermedio che a sua volta diventa prova del fatto da provare. Si deve sempre ricordare la precisazione che fa Ferrua ossia che non dobbiamo parlare di fatti ma degli enunciati che li descrivono perchè se parliamo di prove è sempre un po' un confronto tra enunciati quindi noi in realtà traiamo dal testimone un enunciato probatorio che ci consente di pervenire all'enunciato probatorio che descrive il fatto intermedio, che a sua volta ci consente di pervenire alla proposizione da provare che corrisponde alla descrizione del fatto da provare. La cosa interessante in queste sequenze probatorie, chiamiamole prove complesse o prove indirette, è proprio che questi fatti intermedi sono a un tempo oggetto di prova e fonte di prova, a un tempo proposizione da provare e premessa probatoria. Quel fatto intermedio deve essere provato e una volta provato prova a sua volta qualcos'altro. C'è una pietra miliare della teoria delle prove penali che un trattato celeberrimo di un giurista napoletano, Francesco Pagano,c.d. logica dei probabili. In questo trattato Pagano,1819, indicava tre tipiche prove di natura indiretta : 1. la minaccia 2. l'appostamento 3. la fuga Pagano dice che nessuno ha visto Tizio che uccideva Caio ma sappiamo di lui, perchè ce lo hanno riportato numerosi testimoni che aveva minacciato la vittima, sappiamo che si trovava sul luogo del fatto poco prima dell'aggressione e sappiamo che poco dopo scappava via di corsa. Qui i fatti probatori quelli che il giudice percepisce direttamente sono le testimonianze che dicono che l'imputato aveva minacciato, che si trovava sul luogo del fatto, che è stato visto scappare dopo il fatto. Il giudice ricava da queste testimonianze la prova dei fatti intermedi, vero che minacciava, vero che era sul posto, vero che fuggiva e dall'insieme di questi fatti intermedi ricava la prova della colpevolezza. Abbiamo visto il cammino del giudice dalla conoscenza del fatto del presente ( la testimonianza, il documento, il video, l'intercettazione) alla conoscenza del fatto del passato si può spezzettare, si può articolare in tanti fatti intermedi. In realtà questa parcellizzazione può avvenire anche per altre ragioni o comunque questo discorso può essere fatto anche sotto altri profili. Una prima domanda che ci possiamo fare è relativa al fatto che il giudice ha questo contatto diretto con un fatto del presente cioè la testimonianza, (c'è qualcuno che parla dinnanzi a lui e lui ascolta) oppure vede un video o legge un documento …, c'è questo primo contatto, evento del reale da cui poi lui fa tutti i passaggi. Il percorso mentale che conduce il giudice a conoscere il fatto soggetto alla sua percezione è esso stesso un primo stadio del percorso probatorio cioè possiamo dire che il giudice ha la prova della testimonianza perchè l'ha ascoltata ? Se è così i fatti intermedi si moltiplicano, il giudice ascolta ha la prova che tizio ha detto certe cose, fatto intermedio, dal fatto intermedio che ha detto quelle cose ricava la verità del fatto affermato se poi è fatto primario ci fermiamo qui se invece è un fatto secondario ricava a sua volta prove … La percezione che il giudice ha della prova che si forma al suo cospettoè già in un primo stadio del percorso probatorio? Siamo già nella dimensione della prova oppure la percezione sta al di fuori ? Se il giudice vede i lividi sul volto della persona offesa dal reato che denuncia chi l'ha aggredita, vede direttamente, quello è già un percorso probatorio ? Ha la prova del livido perchè la vede oppure la percezione sta a monte ? In fondo anche nel linguaggio comune diciamo provare una sensazione come se nel passaggio dalla sensazione alla sua decodificazione razionale stessimo già istituendo un percorso probatorio, un nesso probatorio. Ferrua si pone questa domanda, nel testo pag. 63, afferma di no, meglio escludere dalla nozione di prova il passaggio dalle percezioni all'oggetto percepito, non siamo ancora nella dimensione concettuale della prova per due ragioni : 1. perchè il rapporto tra le percezioni intese come stimolazioni sensoriali o irritazioni di superficie determinate per contatto con il mondo esterno e quindi il rapporto tra le sensazioni e le credenze che ne derivano non è di tipo epistemico o probatorio ma causale. Le sensazioni possono essere le cause ma non le ragioni delle proposizioni in cui si esprimono le nostre conoscenze. Ferrua in sostanza dice che non possiamo tradurre quella sensazione in una proposizione, ed è soltanto nel rapporto tra proposizioni che si può instaurare un nesso di tipo probatorio. Rapporto causale non epistemico/ probatorio tra la sensazione e la credenza che ne deriva, la conoscenza che ne deriva. Noi abbiamo una conoscenza basata su una sensazione che però non passa attraverso un percorso epistemico, probatorio ma attraverso un percorso causale. 2. Se diciamo che l'ispezione di un oggetto è prova dell'oggetto stesso o che l'ascolto orale di un teste nel dibattimento è prova della testimonianza creiamo delle inutili complicazioni terminologiche. Qui su questo punto ho qualche perplessità a me sembre intuitivamente che la conoscenza di un fatto del presente che io ricavo da una mia percezione diretta, da una mia sensazione non mi sembra estranea alla dimensione concettuale della prova cioè che prova ho del fatto che i miei occhiali sono sul tavolo, li vedo, oppure che prova ho del fatto che ho in tasca le chiavi della macchina perchè le tocco. Come mai dico che mi sembra di entrare già nella dimensione della prova ? È per una ragione semplice, potrei anche sbagliare, cioè io magari sento queste chiavi dico sono le chiavi della mia macchina e mi sbaglio perchè magari ho preso per sbaglio le chiavi della macchina di mia moglie e quindi è una percezione che mi dà una prova di un fatto che è sbagliata cioè non basta questo cioè la possibilità dell'errore a dare una dimensione epistemica anziché semplicemente causale al percorso di conoscenza del reale ? Questa era l'osservazione che mi era stata fatta da una studentessa di psicologia, la quale mi aveva detto che in psicologia non si confonde come invece nel discorso che fa Feurrua la sensazione con la percezione. Un conto è la sensazione e un conto è la percezione. La percezione contiene già un'attribuzione di significato alla sensazione, è un passaggio successivo e quindi siamo già in quella dimensione di attribuzione di significato in quella dimensione fattuale, semantica di cui parla Ferrua ma banalmente il fatto che la mia percezione possa essere sbagliata mi dimostra che siamo già in una dimensione epistemica magari quelli non sono i miei occhiali, qualcuno ha appoggiato i suoi lì e siccome sono simili ai miei penso che siano i miei ma allora anche l'idea che non si possano tradurre le sensazioni in proposizioni, che è l'obiezione che fa Ferrua, perchè la percezione non può essere tradotta nell'enunciato osservativo che la descrive, “ ho visto gli occhiali sul tavolo” e quindi proposizione “ gli occhiali sono sul tavolo”. Io non vedo la difficoltà di tradurre questa esperienza percettiva in un rapporto tra proposizioni, ho visto gli occhiali sul tavolo dunque gli occhiali sono sul tavolo. Ho sentito il testimone dire che tizio ha ucciso caio dunque il testimone ha detto tizio ha ucciso caio, è un primo passaggio dell'operazione probatoria. La seconda obiezione che fa Ferrua sono le confusioni terminologiche però secondo me invece potrebbe essere anche un elemento di chiarezza questo perchè in alcuni casi è pacifico che ciò che deve essere provato è il dato probatorio cioè la testimonianza deve essere provata. Es. una testimonianza resa in incidente probatorio, in cui il giudice nel dibattimento conosce grazie al verbale o conosce grazie alla ripresa video e qui abbiamo una prova del dato probatorio cioè il verbale prova che c'è stata quella testimonianza, il video prova che c'è stata quella testimonianza. Allora secondo me potrebbe esssere invece un elemento di chiarificazione dire che il giudice deve avere sempre la prova del dato probatorio, es. che la testimonianza c'è stata, alle volte la può avere per percezione diretta e e alle volte la può avere tramite la mediazione di un verbale di un video. Quando parleremo, nell'ultima lezione, dei vizi di motivazione della sentenza, c'è tutta la giurisprudenza della Cassazione che si occupa di un particolare tipo di vizio di motivazione e cioè di un travisamento radicale delle risultanze probatorie da parte del giudice che colpisce non il significato delle parole di un testimone cioè un giudice che non ha capito cosa ha detto un testimone ma addirittura colpisce il segno non il significato cioè non è che il giudice interpreta male quello che ha detto un testimone. Il giudice proprio ha capito una cosa per un'altra cioè es. nel verbale c'è scritto che il testimone dice ho visto la macchina verde e in sentenza c'è scritto siccome il testimone ha detto che la macchina era blu allora si conclude nel senso che... questo è un vizio di motivazione, è questo è un errore di percezione del giudice ma il vizio di motivazione appartiene a pieno titolo ai vizi del ragionamento probatorio allora anche questo secondo me dimostra che già stiamo parlando di prova quando parliamo della percezione che il giudice ha del fatto probatorio quindi a voler ulteriormente spezzettare il percorso conoscitivo del giudice potremmo dire che tutte le prove sono indirette perchè anche se tizio dice ho visto tizio sparare a caio, prova diretta, in realtà però c'è quel primo passaggio che il giudice intanto ottiene la prova
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