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Papini, La cornice: procedimenti esecutivi ed evoluzione tipologica, Sintesi del corso di Arte

Riassunto dettagliato del saggio contenuto nel volume "Preparazione e finitura delle opere pittoriche. Materiali e metodi. Preparazioni e imprimiture - Leganti - Vernici - Cornici", a cura di C. Maltese.

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

In vendita dal 11/04/2020

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Scarica Papini, La cornice: procedimenti esecutivi ed evoluzione tipologica e più Sintesi del corso in PDF di Arte solo su Docsity! M. L. Papini, LA CORNICE: PROCEDIMENTI ESECUTIVI ED EVOLUZIONE TIPOLOGICA Storia delle tecniche artistiche Letizia Villotta M. L. Papini, La cornice: procedimenti esecutivi ed evoluzione tipologica A.A. 2019/2020 Letizia Villotta 1 I. L’antichità. I.1 – Alle origini della cornice. Le origini della cornice sono da rintracciarsi nella necessità di delimitare un’immagine in rapporto a ciò che la circonda per evidenziarla. Fin dalle epoche molto antiche, si applica una bordura più o meno elaborata attorno alle immagini. Le prime incorniciature sono riconoscibili in semplici linee, incise o dipinte. La Stele di Kivik (Svezia), risalente all’inizio dell’età del bronzo (2'000 a.C. circa) è una delle più antiche testimonianza di questo uso; individua uno spazio quadrato grazie a due coppie di linee parallele. L’impiego di queste riquadrature è molto frequente nei rilievi su pietra e nelle stele funerarie; sia intorno a soggetti figurativi che a iscrizioni. Incorniciature analoghe, ma questa volta dipinte, si ritrovano nella pittura murale egizia e cretese o sulla ceramica dipinta, come suddivisioni tra una scena e l’altra o tra immagini e testo. a questa semplice composizione di linee si affianca anche la presenza di incorniciature che prendono a modello strutture architettoniche  la tipologia del tempio offre molteplici spunti: frontone, trabeazione, pilastri o colonne.  La delimitazione dell’immagine si configura più esplicitamente in una delimitazione di spazio: un’area edificata, distinta dall’ambiente circostante. Questo tipo di incorniciatura ebbe larga fortuna anche nella più tarda decorazione parietale di epoca romana: le forme architettoniche dividono tra loro le scene e danno anche l’impressione di diversi piani di profondità. Vi sono anche diversi esempi in cui gli elementi architettonici sono scolpiti a tutto tondo, come nel Dipinto di ragazza con offerte del Museo de Il Cairo. Forme geometriche semplici e strutture architettoniche essenziali sono quindi all’origine della cornice, che in questa remota fase della sua storia viene composta contestualmente alla raffigurazione, dalla quale non si distingue quanto ai materiali e alle tecniche utilizzate. I.2 – La cornice a otto punte. È il Grecia che abbiamo notizia, per la prima volta nel IV secolo a.C., dell’uso di vere e proprie cornici, intese come oggetti a sé stanti e autonomi. La nascita della cornice è molto probabilmente collegata con la fioritura della pittura su tavola, e in particolare con l’impiego del grande formato. Da ciò deriva infatti l’esigenza di racchiudere insieme le varie assi congiunte della tavola. Come oggetto, la cornice nasce quindi dalla necessità di un sostegno tecnico al supporto del dipinto. Purtroppo le tavole dipinte e i quadri dei grandi pittori dell’antichità sono andati perduti e con essi le rispettive incorniciature; l’unica possibilità che abbiamo di conoscerle è la mediazione di epoca romana  riproduzioni della pittura murale di Roma e Pompei. Il più antico e diffuso tipo di cornice usato nell’antichità greco-romana è quello conosciuto con il nome di cornice a otto punte. Questa orma è costituita da quattro assi di legno che sporgono oltre il punto di connessura. Esempi di questo tipo appaiono in alcuni affreschi della Villa della Farnesina a Roma; dagli affreschi della Casa delle Vestali a Pompei apprendiamo anche il sistema con cui questi quadri erano appesi alla parete  una piccola corda. Di frequente, la cornice era fornita lateralmente di due ante di legno che consentivano di coprire o scoprire il dipinto  affinità con le ante lignee impiegate nelle finestre come primo importante parallelo tra cornice e finestra. Una vera e propria cornice a otto punte è stata ritrovata nell’Egitto roano, nella regione del Fayum: si tratta di una cornice in legno d’acacia di un dipinto rappresentante divinità di fattezze greco-romane e risalente al II-III secolo d.C. Nelle forme più elaborare, questo tipo di cornice può presentare anche un’intelaiatura interna, sempre in legno, che ne ingrandisce lo spessore; in alcuni casi, in particolare se dipinta, si presenta come una specie di passe-partout. Gradualmente, accanto alla cornice a otto punte se ne sviluppa un tipo dalla forma semplicemente rettangolare o quadrata, senza estremità sporgenti e dalle assi maggiormente decorate  si delinea così anche un preciso ruolo decorativo. Oltre all’uso della cornice nei dipinti per ambienti provati, sembra probabile che anche i quadri trionfali della pittura romana fossero muniti di cornici per facilitarne il trasporto e l’esposizione in pubblico. I.3 – Le cornici dei ritratti del Fayum. La produzione di questi dipinti, iniziata forse attorno alla metà del I secolo d.C., ebbe la sua massima fioritura nel corso del II e nella prima metà del III secolo. I dipinti, di funzione M. L. Papini, La cornice: procedimenti esecutivi ed evoluzione tipologica A.A. 2019/2020 Letizia Villotta 4 dell’icona, aderisce perfettamente ai margini della tavola  fa da cornice e ha una funzione protettiva: a seconda delle situazioni, lo stesso oggetto poteva essere utilizzato per conservare l’immagine sacra o per esporla. L’immagine è circondata da una larga bordura dipinta di nero e rifinita da un sottile listello a rilievo e dorato; il bordo esterno della scatola è anch’esso dorato. II.3 – La cornice rettangolare. Nel XIII secolo, la cornice di formato rettangolare continua a essere il tipo più diffuso, diversamente, però, da quelle precedentemente analizzate, le cornici vengono ora in genere ricavate dalla stessa tavola del dipinto; essa veniva infatti piallata, in modo da lasciare un bordo rialzato su tutto il perimetro della superficie. Altre volte, la stessa incorniciatura poteva essere applicata sopra la tavola o sul suo fianco esterno: è il caso del Paliotto d’altare conservato nella Pinacoteca di Siena e datato al 1215. La sezione della cornice non è perfettamente rettangolare, ma leggermente obliqua verso l’interno; è fissata agli angoli mediante chiodi. La decorazione è a rilievo, con motivi geometrici e piccole borchie. Sul bordo superiore della cornice è incisa la data di realizzazione dell’opera. Dalla metà del XIII secolo in poi, le cornici si arricchiscono di profili diventando più articolate plasticamente; al tempo stesso aumenta anche la varietà dei colori e il numero di elementi decorativi impiegati. Uno degli esempi più antichi conosciuti è la cornice della Madonna in trono di Coppo di Marcovaldo (1260), realizzata per la chiesa di Santa Maria dei Servi a Orvieto. La cornice dispone tre fasce di decorazione, ognuna occupata da un disegno diverso; - Fascia più esterna  motivo a piccoli rombi e puntini su fondo dorato - Fascia centrale  motivo nastriforme composto di foglie e viticci sui toni del rosso e del blu, e interrotto da piccole borchie a piramide - Fascia più interna  piccoli rombi, questa volta di colore più scuro I motivi decorativi poggiano infine su una base dorata, che occupa non solo la cornice ma il fondo stesso del dipinto. L’innovazione del numero dei profili avrà largo seguito nella seconda metà del XIII secolo. II.4 – La cornice a cinque angoli. Nel XIII secolo, un altro tipo di cornice molto diffuso è quello detto a cinque angoli  dalla forma del dossale. Un primo esempio appartiene alla Tavola di Pescia (raffigurante San Francesco) di Bonaventura Berlinghieri (1235)  la cornice è in questo caso un semplice bordo tagliato obliquamente verso il dipinto e applicato sulla tavola stessa. All’interno, la figura di San Francesco è completata da sei storie della vita del santo. Anche questo tipo di cornice, come in quella rettangolare, diviene più complessa e articolata dalla seconda metà del XIII secolo (es. Guido da Siena e la sua scuola). Il più antico è datato al 1260 ed è la cornice della Madonna Galli-Dunn della Pinacoteca di Siena. La sua cornice è formata da una fascia centrale più larga, decorata con un motivo a treccia interrotto da rosette, ed è completata sul margine interno ed esterno da due sottili listelli lignei dorati. All’interno dei dipinto si può notare un arco trilobato, abbastanza evidenziato, che inquadra il capo della Vergine questo inserimento architettonico, come in altri analoghi esempi, diviene una forma sporgente e sagomata, come parte della cornice stesso. Il suo impiego diventa quasi una consuetudine per le opere di Guido e della sua cerchia. Da Firenze, negli stessi anni, provengono invece cornici di tipo pentagonale, che segano schemi decorativi diversi. La cornice della Madonna col Bambino attribuita al Maestro della Maddalena, a differenza delle opere di Guido da Siena, non si presenta suddivisa in tre fasce  è meno larga e articolata. La cornice pentagonale trova ampia applicazione per tutto il XIII secolo: la usa Cimabue bella Madonna del Louvre (precedentemente in San Francesco a Pisa), Duccio di Buoninsegna nella Madonna Rucellai e Giotto nella Madonna di Ognissanti. In questi esempi la cornice ha ormai raggiunto un alto livello di integrazione tra l’articolazione plastica dei profili e la varietà decorativa e cromatica. Anche queste cornici seguono la suddivisione a tre fasce; la fascia centrale, più ampia, è occupata dalla decorazione a puntini, rosette, medaglioni con ritratti di santi o di profeti, rombi ed elementi vegetali. I colori hanno largo sazio; la doratura resta la base più diffusa su cui applicare altre decorazioni. Le tavole venivano esposte nelle chiese mediante corde che, infilate in appositi anelli di metallo applicati sul retro, servivano per appendere il dipinto su una parete. M. L. Papini, La cornice: procedimenti esecutivi ed evoluzione tipologica A.A. 2019/2020 Letizia Villotta 5 II.3 – La cornice architettonica. L’idea di incorniciare un personaggio o una scena mediante una forma architettonica era già presente sin dall’epoca romana bei dittici, più tardi nella miniatura e nella stessa scultura. Dalla seconda metà del XIII secolo in poi, alcuni elementi specifici dell’architettura, come il timpano e l’arco, entrano a far parte delle cornici delle tavole. È solo nel XIV secolo che si afferma un tipo di cornice completamente strutturata su modelli architettonici. Dalla prima metà del Trecento iniziano a diffondersi cornici ad arco a tutto sesto o a ogiva. In alcuni casi l’arco è un semplice bordo liscio dorato senza altra decorazione; altre volte è invece profilato da archetti e sostenuto da colonnine a tortiglione affiancate da pilastri, che a loro volta poggiano su di una base detta predella. L’utilizzazione maggiore delle forme architettoniche si realizza però nelle grandi pale d’altare. Un imporrante precedente è il trittico di Duccio di Buoninsegna, la Vergine con il Bambino, datato tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo, oggi alla National Gallery di Londra. L’opera è costituita da una tavola centrale di forma ancora pentagonale, in cui è inserito un arco a tutto sesto; della stessa altezza dell’arco sono i due semi-archi che costituiscono i pannelli laterali. La composizione della pala assume forme più complesse nel contemporaneo polittico di Vigoroso da Siena: La Vergine, il Bambino e i Santi (Perugia). La pala presenta un primo piano scandito da cinque archi a tutto sesto, di cui quello centrale misura il doppio di quelli laterali, tutti sormontati da larghe cuspidi triangolari e da un’edicola. La particolarità è che questo bordo presenta un piccolo spiovente che sporge verso l’esterno per riparare il dipinto. In questa prima fase, gli interventi più significativi sulle incorniciature si scontrano dunque nell’ambito della produzione senese, e in particolare nelle opere di Duccio di Buoninsegna e dei suoi seguaci. Con la scuola di Duccio si introduce un ulteriore elemento architettonico  segmento di passaggio tra un piano e l’altro dell’ancona, una sorta di cuspide tronca su cui poggia un’altra cuspide o un’edicoletta. Nella prima metà del Trecento, alcuni elementi tipici dell’architettura gotica iniziano a essere usati nelle cornici di area senese e fiorentina; cuspidi decorate da fogliame accartocciato, pinnacoli e archi a ogiva. Il polittico di tipo gotico si diffonde ampiamente in questo periodo (es. Simone Martini, Taddeo Gaddi). Nello stesso periodo anche a Venezia si trovano esempi di grandi polittici, come quello di Santa Lucia del Vescovado di Veglia, datato al 1333 e opera di Paolo Veneziano. mentre qui domina ancora l’arco a tutto sesto, dalla metà del secolo si avrà il costante uso dell’arco gotico. Dalla seconda metà del Trecento, il polittico gotico diviene sempre più complesso: aumenta il numero dei pannelli e dei piani della pala, si introduce l’uso costante della predella e gli elementi architettonici e decorativi crescono in quantità e densità fino quasi a prevalere sulla parete dipinta. Ognuno di questi elementi era intagliato nel legno e veniva applicato sopra la tavola. In questo modo essi rendevano il supporto più resistente e aiutavano a proteggerlo da fratture e incurvature. L’impiego di elementi architettonici intagliati conferiva notevole plasticità alla cornice e alla maggiore sporgenza dal piano del dipinto; essa era inoltre dorata e, a volte, poteva essere rifinita con lievi pitture. Queste cornici sono dunque, invariabilmente, imitazioni dell’architettura gotica nelle loro forme, ma anche nella loro struttura, che rispecchia l’impalcatura di un vero e proprio edificio. La loro ossatura si presenta, infatti, come la sezione trasversale di una chiesa gotica. Il rapporto dimensionale tra la tavola centrale e quelle laterali rispecchia la stessa proporzionalità che normalmente si riscontra tra le navate. Ideate su questo modello architettonico, le tavole con la loro cornice erano poste sull’altare principale della chiesa o nelle navate laterali, staccate dalla parete retrostante. Erano infatti considerate come oggetti compiuti  si innalzavano sull’altare come un edificio dentro l’altro. La forma architettonica della cornice, oltre a instaurare un rapporto diretto tra lo spazio pittorico da essa delimitato e quello architettonico in cui è contenuta, si pone in accordo con il soggetto spirituale delle pitture  la cornice-chiesa crea lo spazio sacro ideale, evidenziando il forte valore simbolico che la tavola assume. La cornice architettonica gotica, infine, il cui principale referente è certamente l’architettura europea contemporanea, si affermò in Italia in misura diversa nelle varie regioni. Nell’area toscana, per esempio, si conserva comunque un certo equilibrio tra la superficie dipinta e incorniciatura. A Venezia e Bologna, invece, M. L. Papini, La cornice: procedimenti esecutivi ed evoluzione tipologica A.A. 2019/2020 Letizia Villotta 6 dove il modello europeo influì maggiormente, il lavoro d’intaglio predomina nettamente sulle parti dipinte  costituisce quasi delle piccole architetture scolpite a tuttotondo. II.6 – La cornice nel Libro dell’arte. La prima fonte di letteratura artistica in cui si possono rintracciare riferimenti alla tecnica di esecuzione di una cornice è il Libro dell’arte di Cennino Cennini (fine XIV secolo). Nel testo, la cornice non occupa una trattazione specifica, ma le notizie possono essere rinvenute nei capitoli dedicati alla pittura su tavola. La cornice si realizza prima di eseguire la pittura. In questo modo, tavola e cornice riceveranno la stessa imprimitura e alla preparazione del supporto si affianca quella dell’incorniciatura. Di conseguenza, è molto probabile che il pittore intervenisse sia sul dipinto sia sulla cornice; in questo caso, inoltre, l’artista poteva lavorarvi contemporaneamente all’esecuzione della pittura. Nelle diverse fasi di stesura dell’impasto di gesso e colla che l’artista stende, è importante fare attenzione alle cornici  devono essere ripulite dal gesso in avanzo per evitare che esso copra il fogliame e gli altri motivi decorativi; al tempo stesso, l’ingessatura della tavola può servire per riparare qualche lacuna che si può presentare nel lavoro di intaglio del legno della cornice. Sulle cornici non è necessario passare il gesso otto volte, come invece nel caso del piano della tavola. Una volta completato gli strati di gesso, la tavola e la cornice venivano ripassate con diversi strumenti: il raschietto e la mella (raschiatoio a forma di lamina) che servivano per togliere eventuali parti in eccesso, per lisciare tutta la superficie e per ritoccare le differenti modanature e decorazioni. Qualche volta le cornici potevano essere pulite sfregandole semplicemente con un panno di lino umido. Il procedimento di preparazione della tavola e della sua bordatura aveva anche lo scopo di predisporre le superfici ad accogliere la doratura, elemento dominante. La doratura di una superficie di legno avveniva mediante oro in foglie sottili preparate dai battilori e applicate sulla base mediante bolo o mordente. Le piccole foglie d’oro venivano applicate una accanto all’altra, con una leggera sovrapposizione dei bordi, sino alla completa copertura di tutta la superficie da dorate. A seconda del punto che andava dorato, la tavola o la cornice poteva variare lo spessore ella foglia; per le cornici, in particolare, si poteva usare uno spessore più sottile che per i fondi. Una volta applicata la foglia d’oro, il lavoro veniva perfezionato attraverso l’operazione della brunitura. Le tecniche del graffito e dell’incrostazione, in particolare, venivano impiegate poi per realizzare parti o elementi decorativi in cui il colore fosse fittamente intessuto con l’oro. altri motivi ornamentali potevano essere realizzati a rilievo mediante un particolare tipo di stucco, detto pastiglia. Oltre alla doratura a foglia d’oro, il Libro dell’arte riporta anche una ricetta per la preparazione dell’oro in polvere, l’oro in conchiglia. Una terza possibilità per l’uso di dorature su supporto ligneo era rappresentato dalla porporina, un surrogato dell’oro vero e proprio, noto anche come oro musivo. Quando si reputava troppo costosa la decorazione con oro autentico, si ricorreva all’uso di surrogati. Anche questo tipo di doratura si applicava come un pigmento. Queste tecniche di decorazione potevano essere eseguite tanto sulla tavola quanto sulla cornice per la realizzazione dei suoi elementi ornamentali.  Quando, con la pittura rinascimentale, la loro utilizzazione nel dipinto vero e proprio tenderà a venir meno, queste tecniche diventeranno caratteristiche della cornice: in particolare, esse troveranno una vasta applicazione nella varietà decorativa della cornice cinquecentesca, specie nel tipo a cassetta. III. Il Quattrocento. III.1 – La cornice a edicola e a tabernacolo. La cornice architettonica gotica sopravvive per quasi tutto il XV secolo nella pala d’altare, con elementi decorativi differenziati da regione a regione. A Firenze, all’inizio del XV secolo, troviamo ancora alcuni esempi appartenenti a questa tipologia. Nel 1423, Gentile da Fabriano realizza L’adorazione dei Magi con un’elaborata cornice architettonica eseguita appositamente per il dipinto. L’impianto è quello tradizionale con la suddivisione in armate sostenute da colonnine tortili, ma a un esame più attento si colgono elementi che preludono a un nuovo rapporto tra cornice e dipinto  il dipinto non segue la suddivisione spaziale suggerita dai tre archi della cornice; lo spazio interno dell’immagine pittorica consiste in una sola scena. si produce così una tensione tra cornice e dipinto, che non appaiono più come due elementi complementari ma distinti e animati da due forze diverse. Questa caratteristica è rappresentativa di un momento di passaggio; indica l’influenza che l’evoluzione della pittura, negli anni successivi, avrebbe chiaramente esercitato sulla trasformazione della cornice. M. L. Papini, La cornice: procedimenti esecutivi ed evoluzione tipologica A.A. 2019/2020 Letizia Villotta 9 Pesaro), Trittico della Vergine tra i Santi Niccolò, Pietro, Benedetto e Marco (1488, Venezia, Santa Maria Gloriosa dei Frari). In particolare, nel trittico dei Frari è evidente un riferimento diretto al Mantegna  l’architettura classica della cornice imposta in modo nuovo lo spazio interno del dipinto; la cornice assurge a primo piano di tutta l’immagine visiva oltre il quale si sviluppa la scena dipinta; ad elemento mediatore tra l’immagine pittorica e l’occhio dell’osservatore. III.3 – Il tondo. Una creazione originale dell’artigianato toscano rinascimentale è la cornice rotonda. Il tondo, già noto nella cultura antica, è presente nella tradizione medievale e nel primo rinascimento come desco da parto che veniva offerto in modo alla puerpera in occasione della nascita di un bambino. La cornice tonda rinascimentale è lavorata a intaglio e decorata con motivi vegetali e ovuli che gradualmente si vanno arricchendo di elementi naturalistici, come i gestoni di frutta o gli intrecci di fogliame derivati dalle arti plastiche contemporanee (cfr. Luca della Robbia). Quasi sempre, questo tipo di cornice è composto da vari profili. La fascia centrale può essere più o meno aggettante verso l’esterno, rispetto alle altre due. La cornice circolare, una volta scolpita, viene rifinita con parti policrome e dorata. Ne è esempio la Madonna della Melagrana di Botticelli (1478-1479, Uffizi) la cui cornice presenta un fitto lavoro di intaglio. Il tipo decorativo del giglio ricollega l’opera all’ambiente pubblico di Firenze. È di particolare interesse verificare, anche nel caso della cornice tonda, la relazione tra spazialità del dipinto, cornice e spazialità della parete. Il recupero del taglio rotondo si innesta, come quello quadrangolare, nella tematica della prospettiva  il tondo si apre nella parete come un oblò e impernia la figurazione nel punto centrico; il tondo conduce forzosamente l’attenzione al suo centro. La forma circolare mal si presta a una corretta rappresentazione di un paesaggio poiché è priva di angoli e spigoli, di piani orizzontali e verticali. Per gli stessi motivi, la cornice tonda si pone come un confine netto che isola e distacca radicalmente il dipinto rispetto al tempre al luogo in cui esso è collocato. Perfettamente simmetrico ed ermeticamente isolato, il tondo diventa la forma ideale per rappresentare al suo interno tutto ciò che rientra nella sfera del mondo religioso, del sovraumano. Nella Madonna con il Bambino di Botticelli (National Gallery) la composizione rimane ancora strutturata prevalentemente per piani verticali e orizzontali: un asse verticale è percettivamente rappresentato dalla Vergine, mentre uno orizzontale è determinato dalla figura del Bambino. La cornice contribuisce a questa scansione mediante quattro rosette poste perfettamente in corrispondenza agli assi della Vergine e del Bambino, e con il suo bordo continuo, blocca e unifica ogni espansione verso l’esterno. Ma se disporre nel centro di un tondo determinate figure equivale a farne per ciò stesso il tema dominante, discostandole dal centro si imprime un movimento alla composizione, come dimostra il Tondo Doni di Michelangelo. La base centrale è il ventre della madre, il grembo dal quale è scaturita la storia narrata. La dinamicità del dipinto è esaltata da quella della cornice originale, opera probabilmente di Baccio da Montelupo. Intagliata in legno di pero, essa è decorata con un motivo a racemi vegetali, interrotto da cinque piccole teste (Cristo con sibille e profeti). La posizione delle teste non corrisponde ai vertici degli assi verticale e orizzontale, ma, decentrata, accentua l’effetto di circolarità della cornice. La loro piccola dimensione, inoltre, sproporzionata rispetto alle figure del tondo, richiede una diversa e più ravvicinata distanza di osservazione, distinta da quella necessaria all’osservazione del Tondo  suscita nello spettatore un moto visivo, una sequenza cinetica. Oltre ai rapporti dimensionali, la stessa inclinazione delle teste contribuisce a determinare questo effetto. Esse sono infatti rivolte vero lo spazio prospiciente il dipinto  si rivela in tutta evidenza il cono ottico brunelleschiano o, se si preferisce, la pyramis albertiana. La stretta inerenza della cornice al dipinto fa supporre che lo stesso Michelangelo passa essere intervenuto nella sua progettazione. III.4 – Il retablo catalano in Sardegna. Un originale tipo di incorniciatura, legato al retablo catalano, si diffonde in Sardegna nel secolo XV. Mentre durante tutto il Trecento la pittura, in Sardegna, fu esclusivamente di importazione dal levante spagnolo, nel secolo successivo si sviluppò una linea autonoma del retablo sardo. Il retablo è una grande pala d’altare lignea, composta di vari pannelli, innalzata con una struttura architettonica adeguata fin dall’origine allo spazio-ambiente a cui era destinata. Le tavole dipinte che lo compongono sono M. L. Papini, La cornice: procedimenti esecutivi ed evoluzione tipologica A.A. 2019/2020 Letizia Villotta 10 incastonate entro incorniciature intagliate e dorate. La distribuzione delle raffigurazioni pittoriche sui pannelli rispetto sempre un ordine gerarchico: lo scomparto superiore è in genere riservato a rappresentazioni della Trinità o della Crocefissione, mentre quello più in basso, più grande, all’intitolazione stessa del retablo, sostituito da una nicchia quando il titolo è rappresentato da una statua. La pala così costituita è quasi sempre riquadrata per tre lati da una larga cornice obliqua, che in alto forma una tettoia a spioventi: sono i “polvaroli” che riparano il dipinto. Pur avendo una precisa funzione pratica, queste cornici sono riccamente decorate. Infine, il retablo è accompagnato da una predella anch’essa spartita in più casas, occupate da dipinti. III.5 – Progetto ed esecuzione della cornice: artisti e artigiani. Nel periodo che va dal XIV al XV secolo si sviluppa la chiara coscienza di un forte legame tra quadro e sua cornice. Le relazioni di natura tecnica, percettiva e spaziale che si creano fanno sì che non si possa considerare il dipinto separatamente dall’incorniciatura e viceversa. Allo stesso tempo, proprio in base a questi stretti riferimenti, possiamo pensare che l’esecutore del dipinto entrasse in qualche misura anche nella realizzazione della cornice. Soprattutto in epoca medievale, è probabile che l’artista se ne occupasse sin dalla fine del lavoro di intaglio. Successivamente, l’incorniciatura inizia a essere costruita separatamente e poi inchiodata o incollata sul supporto del dipinto. In questa fase, essa veniva applicata sulla tavola prima che si procedesse alla pittura; l’artista e o la sua bottega potevano intervenire direttamente sia sul dipinto che sulla cornice. Sembra che questo sia stato il caso della cornice della Vergine delle Rocce di Leonardo, la quale, commissionata a Giacomo del Maino, fu dipinta e dorata in un secondo momento da Leonardo stesso. Anche di Giovanni Bellini sappiamo con certezza che curava personalmente l’esecuzione delle cornici dei suoi dipinti. Ma anche quando il pittore non interveniva materialmente sulla cornice, certamente suo doveva esserne il progetto. È chiaro, infatti, che sono l’artista poteva coordinare tutti quei diversi fattori che entravano in gioco nel rapporto tra pittura, cornice e ambiente. Questa realtà è particolarmente evidente con il tipo a edicola e con il tondo. In alcuni casi, il rapporto dell’artista con la cornice è documentato dai contratti di commissione delle opere. A Venezia, nel 1547, Lorenzo Lotto stipulava un contratto per una pala d’altare completamente a spese di Lotto, sia per la pittura che per i legnami e la doratura. Similmente, il pittore ferrarese Ercole de’ Roberti riceveva l’incarico per una pala d’altare destinata alla chiesa di S. Spirito a Ferrara: contemporaneamente, la realizzazione della cornice veniva affidata a un intagliatore che avrebbe però dovuto lavorare seguendo il disegno, i colori e gli ornamenti già preparati dal pittore. Gli artisti, quindi, si interessavano direttamente alla cornice, studiandola in relazione al dipinto, e si accordavano con l’artigiano, sovrintendendo talvolta al suo lavoro. Potevano, inoltre, intervenire nell’opera di doratura o nei ritocchi finali, dipingendovi quelle ornamentazioni che meglio si armonizzassero con la pittura. Tuttavia, nel vuoto operativo lasciato dal pittore emerge e si specifica sempre più la figura dell’intagliatore. È noto come già nel medioevo esistessero corporazioni di magistri lignaminis, la cui attività spaziava dalla costruzione di navi a quella di mobili, includendo la preparazione delle tavole dei pittori. Soltanto più tardi, in seno alla corporazione dei carpentieri e dei maestri di legname, incominciò a svilupparsi il ramo specifico dei corniciai. Sappiamo che, tra il XIV e il XV secolo, gli artigiani corniciai crescono notevolmente di numero, e una certa quantità di botteghe fu attiva soprattutto tra Siena, Firenze e Venezia. A Siena, fin dal Medioevo, sembra sia stata la terra degli intagliatori, anche se le notizie al riguardo sono assai scarse. Il primo maestro di tarsia e di intaglio rammentato della fonti antiche è Manuello di Ranieri; deve poi aggiungersi il nome di Jacopo della Quercia. A Firenze, già dal 1300, i legnaiolo erano associati in arte, nell’ambito delle arti minori. L’Arte dei Legnaioli era forse tra le più numerose, in quanto comprendeva anche gli artefici che esercitavano mestieri affini: venditori e lavoratori di legname, intagliatori. Solo dopo il 1450 incominciò a delinearsi una scuola di intaglio con caratteri stilistici propri, sotto la guida, secondo il Vasari, del Francione. Da una cronaca del 1474 sappiamo che a Firenze esistevano 84 botteghe di legnaioli e intarsiatori, e che dalle botteghe dei legnaioli prendevano il nome due strade. Il loro lavoro veniva eseguito nella bottega anche nel caso di commissioni venute da altre città; quando invece si trattava di opere monumentali ci si recava sul posto. M. L. Papini, La cornice: procedimenti esecutivi ed evoluzione tipologica A.A. 2019/2020 Letizia Villotta 11 Nell’assegnazione di un lavoro, che avveniva mediante contratto, l’acquisto e la scelta del tipo di legname spettava per lo più al maestro e veniva poi computato a parte oltre al prezzo del lavoro. Le cornici erano realizzate prevalentemente in legno di castagno, pioppo o noce; più tari, tra il XV e il XVI secolo, quando la cornice diviene più larga e lavorata, vengono impiegati legni più teneri, come quello di tiglio, che consentono una decorazione a intaglio più complessa. Oltre a Siena e Firenze, anche il nord Italia è interessato allo sviluppo di quest’arte. A Venezia, nel 1335, si costituisce una particolare corporazione di artigiani detti marangoni. A essi veniva riconosciuto il diritto esclusivo di produrre e vendere cornici. La cornice però raggiunge la compiuta fioritura per mano di quello che veniva chiamato intagiador. Anche gli intagliatori erano raggruppati in una corporazione. La pala d’altare e l’ancona divennero opera di dinastie di artigiani specializzati. Essi costituivano tra gli intagliatori una specie di aristocrazia, a capo della quale spiccava, per eccellenza e importanza, la bottega dei Moranzone. Tra gli intagliatori veneziani di questo periodo vanno menzionati Paolo Amadeo, Lorenzo e Cristoforo da Lendinara. IV. Il Cinquecento. IV.1 – La cornice architettonica e la pala d’altare: nuovi orientamenti e diffusione. La cornice architettonica a edicola del Quattrocento subisce, alla fine del secolo, un’evoluzione che ne modifica gradualmente le dimensioni e la tipologia. Nell’ambito della pala d’altare, nuovi elementi architettonici come volute, frontoni spezzati, mensole, iniziano ad apparire sotto l’influsso dell’architettura michelangiolesca; allo stesso tempo, la realizzazione di dipinti di grandi dimensioni per le chiese condiziona anche le incorniciature, che raggiungono misure sempre maggiori. A Venezia, nella chiesa dei Frari, troviamo l’Assunzione della Vergine (1518) di Tiziano, alla cui cornice sembra abbia lavorato l’architetto Sansovino. Esempi particolari sono presenti a Ferrara, come la pala della Madonna in trono dell’inizio del XVI secolo, opera di Dosso Dossi, che richiama la forma architettonica di un arco di trionfo romano. Le dimensioni della cornice diventano ancora più imponenti nell’architettura di due grandi pale d’altare provenienti da Parma, relative una a un dipinto di Girolamo Mazzola, e l’altra a un’opera di Correggio. Si presentano in forma di arco classicheggiante; la trabeazione è decorata con foglie d’acanto, virgulti, cherubini, palmette, vasi e pendoni. Ugualmente a Bologna, ma accanto a questa tipologia si trova, nella chiesa di San Giovanni in Monte, una cornice di tipologia differente. Si tratta di una cornice d’altare concepita dal Formigine per la Santa Cecilia di Raffaello (1517)  cornice d’altare priva di qualsiasi elemento architettonico. Costruita come una cornice a quattro liste uguali, essa è sormontata da una cuspide formata da girali e volute. Tutta la cornice, dal basamento alla cuspide, è decorata con lo stesso motivo: eleganti racemi vegetali, utilizzati in varie misure, assai ricorrenti nelle cornici di questo architetto e intagliatore, le quali vengono dette Formigine. In Lombardia si oscilla ancora tra stilemi quattrocenteschi e segni di attualità. A Cremona, nel periodo manierista, si concretizza un particolare tipo di cornice d’altare, certamente per merito dei quattro pittori Campi, che molto probabilmente idearono le belle cornici che racchiudono i loro dipinti cremonesi e milanesi, dove vengono fantasiosamente rielaborati elementi classici. In Piemonte, contemporaneamente, si sviluppa u tipo di cornice sormontata da movimentate cimase intagliate e colonne fantasiosamente scolpite, ispirate direttamente dagli originali motivi architettonici lombardi del Quattrocento (cfr. Bramante). A Roma, nel XVI secolo, si nota invece una certa ripresa di cornici dal disegno manierista, la cui architettonicità porta riferimenti evidenti all’architettura classica. IV.2 – La cornice architettonica e l’ambiente privato: dal tipo a edicola a quello a cassetta. Quanto più l’opera pittorica entra a far parte del patrimonio laico, tanto più prende piede una cornice adatta ad abitazioni o studioli. Al tempo stesso, però, mentre l’incorniciatura della pala d’altare assume forme architettoniche sempre più elaborate o grandiose rispetto al secolo precedente, la cornice per ambienti privati tende invece ad abbandonare tutti i riferimenti all’architettura. L’antica predella tende a scomparire e al suo posto troviamo una semplice base o mensola: l’architrave si alleggerisce. In questo modo si arriva a un tipo di cornice a edicola dove solo un semplice architrave e la base ricordano l’originaria matrice architettonica. Contemporaneamente, M. L. Papini, La cornice: procedimenti esecutivi ed evoluzione tipologica A.A. 2019/2020 Letizia Villotta 14 Tra gli elementi che ancora servono a proteggere il dipinto, il Mancini ricorda anche l’uso della tenda che viene da lui così codificato per la prima volta. Conferme nell’uso della tenda per i dipinti sono i ganci che ancora oggi si ritrovano talvolta sugli angoli in alto delle cornici e i numerosi esempi rappresentati nei dipinti che raffigurano interni o quadrerie. Delle tende non è da dubitare che, per conservarle, convengono e, se fosse possibile, più tosto si tirassero in suso o calassero a basso che dalle bande, per non impedire il lume e la veduta, ma quando che tirandole dalle bande havesser la lor veduta e lume, poco importa. Del color di queste mi parrebbe a proposito il verde e l’incarnato e, per reputatione della pittura, l’ermesino o taffetà o altra materia di seta che sia arrendevole e mobile. Ma l’aspetto più significativo della cornice a cassetta si coglie sul piano simbolico-percettivo. Essa abbandona tutti i diretti riferimenti all’architettura, rendendosi, sotto questo profilo, più autonoma rispetto all’immagine incorniciata; ma conserva la funzione e il significato di cornice-finestra, come afferma espressamente lo stesso Mancini. L’uniformità dei quattro assi di cui si compone e la raggiunta autonomia rispetto al dipinto segnano la tappa fondamentale del processo storico di astrazione che ha interessato l’oggetto cornice  mentre nella cornice a edicola gli elementi architettonici avevano la funzione di introdurre nella pittura, nella cornice a cassetta la funzione percettiva si svincola dall’imitazione simbolica di una vera finestra; il solo fatto di circoscrivere l’immagine è sufficiente a produrre l’effetto di primo piano rispetto alla scena dipinta, che continua a essere percepita come lo sfondo oltre un’apertura. La particolare ricchezza della lavorazione della cornice a cassetta contribuisce a rafforzare l’effetto visivo: quanto più è valorizzata la qualità dell’incorniciatura ed è alta la sua densità segnica, tanto più essa risalta come figura rispetto al dipinto e alla parete. La cornice, quindi, ormai indipendente dal dipinto, è divenuta un terzo elemento che si interpone tra questo e l’ambiente esterno; un elemento che tra le due parti a un tempo isola, media e raccorda. È nel secolo successivo che viene ad accentuarsi la relazione tra cornice e ambiente: la cornice si conformerà maggiormente all’ambiente e al suo mobilio. V. Il Seicento e il Settecento. V.I – Evoluzione della cornice a cassetta: la cornice barocca. Nel periodo di passaggio tra la fine del XVI e l’inizio del XVII secolo, la cornice a cassetta decorata con stucchi e il tipo Sansovino continuano a essere ancora i modelli più diffusi. Generalmente i motivi decorativi più frequenti riproducono fiori o frutti, elementi vegetali stilizzati o volute di tipo manierista. Contemporaneamente, si assiste a qualche trasformazione. L’innovazione più evidente è la perdita della regolare suddivisione a tre fasce che aveva caratterizzato la cornice cinquecentesca la fascia di riposo non è più sempre nettamente distinguibile; anche le parti laterali si caricano di un’ornamentazione alquanto elaborata, che porta a una fusione decorativa di tutta la cornice. La fascia centrale tende, inoltre, a perdere la sua maggior larghezza rispetto a quelle laterali  non esiste più una fascia predominante. Anche il tipo di intaglio della decorazione cambia: diviene di grandi dimensioni e di maggior spessore; di conseguenza è più aggettante dal piano del quadro. Il lavoro in legno viene spesso sostituito dall’uso dello stucco; molto frequentemente lo stucco che si utilizza è in stampi già preformati, che venivano poi assemblati. A Firenze troviamo un tipo di cornice con vistosi intagli a forma di cartigli; il motivo decorativo occupa quasi tutta la cornice, a parte una sottile lista che rimane nel margine interno. La decorazione si allarga verso l’esterno con un disegno che ricorda, nella parte più esterna delle zone traforate, una sorta di merletto. Da qui la definizione di cornice aperta. I modelli di base di queste cornici erano forniti dalle botteghe granducali. In questo secolo, inoltre, la cornice non solo si avvicina alle forme movimentate della scultura barocca, ma tende anche a stabilire una continuità tra quadro e parete. Il profilo esterno, infatti, che demarcava questo confine tende a scomparire. Anche il rapporto dimensionale, tra grandezza del quadro e larghezza della cornice, si modifica a vantaggio di quest’ultima. Le cornici sono spesso quasi più grandi del quadro stesso. Una M. L. Papini, La cornice: procedimenti esecutivi ed evoluzione tipologica A.A. 2019/2020 Letizia Villotta 15 particolare attenzione è poi riservata ai quattro punti di connessura delle liste, dove i quattro angoli sono mascherati dalla decorazione continua. Nella seconda metà del Seicento, la cornice barocca va assumendo forme sempre più grandiose, quasi delle vere e proprie opere scultoree, in cui risaltano angeli, cariatidi, sfingi e tritoni a tuttotondo. Spesso i soggetti scultorei sono scelti in relazione al tema del dipinto (es. Bacco di Guido Remi  cornice con una ricca sequenza di racemi e pampini). Tra gli ornamenti è molto frequente anche la presenza di stemmi, iniziali e trofei. Altre volte ricorrono invece motivi vegetali, in particolare grandi foglie intagliate e traforate, che si allargano tutt’intorno al quadro. A prima vista, la decorazione a intaglio disposta tutt’intorno al rettangolo centrale ha un carattere di apparente disordine suggerito dal moto delle parti, tipico della decorazione barocca. I motivi, invece, obbediscono a uno schema alquanto convenzionale. Così sfarzose, dorate o in legno naturale scuro, queste cornici si adattano anche al gusto delle tappezzerie con cui si ricerca un equilibrio cromatico e decorativo. Accanto alla cornice di tipo scultoreo, è caratteristica del XVII secolo anche la produzione di modelli più tradizionali in cui si vuole valorizzare l’oggetto mediante l’impiego di materiali preziosi: intarsi in avorio, pietre dure, guarnizioni in bronzo. a Roma la produzione si immobilizza in una sobrietà e perfezione accademiche. Negli esempi più lussuosi, sono anche innestate esotiche impiallacciature di tartaruga, mentre ai profili sono applicati inserti in bronzo, oro o marmo colorato. V. 2 – La cornice ovale. Ulteriore caratteristica del XVI I secolo fu l’introduzione della cornice di forma ovale  l’ellisse è la forma per eccellenza del Barocco. In rapporto al cerchio, la forma ellittica si differenzia in quanto costituita da due fuochi  perdita di simmetria e centralità e creazione di un effetto ottico di movimento. L’impiego, in pittura, della cornice ovale ebbe pertanto la funzione di sottolineare ed esaltare il movimento. L’ovale si adatta più del tondo a racchiudere una scena di gruppo o un paesaggio; può essere impiegato per incorniciare un ritratto se disposto in senso verticale. L’artigiano o l’artista potevano scegliere una forma particolare fra tutta una serie di ellissi  possibilità di variare la distanza tra i due fuochi. La decorazione di una cornice ovale corre, in genere, uniformemente su tutto il perimetro, senza suddivisioni o scansioni. La cornice non presenta zone privilegiate rispetto alle altre, come invece può avvenire nel tondo o nella cornice rettangolare. I motivi decorativi appartengono al repertorio comune delle cornici barocche: foglie d’acanto, elementi vegetali stilizzati, ma anche grandi intagli scultorei quasi a tuttotondo. L’ovale, infine, si coordinava perfettamente con le movimentate linee del mobilio degli interni barocchi. Un esempio di questa cornice è quella della Madonna con il Bambino e San Giovannino di Maratta (Roma, Galleria Borghese): si tratta di una cornice a profilo inverso con una decorazione a motivi classici; è suddivisa in tre fasce decorative. V.3 – La cornice Salvator Rosa. Tra la fine del XVII e l’inizio del XVIII secolo, divenne famosa la cornice Salvator Rosa, dal nome del celebre pittore che, come ci tramanda il Baldinucci, alle sue opere faceva anche la cornice. Completamente diversa dalle cornici barocche appena descritte, questa conserva una ripartizione a tre o più liste, piuttosto strette e fittamente decorata con motivi classici oppure lisce. Dal punto di vista cromatico, questa cornice può trovarsi interamene dorata o in nero e oro; le liste intagliate e dorate si alternano a quelle lisce e nere, creando un particolare effetto di luminosità, e un sottile gioco di gole e gusci nel profilo. È questo uno dei rari esempi in cui sia testimoniato, da parte del pittore, non solo un interesse diretto nei riguardi della cornice, ma soprattutto la volontà di ideare una cornice-tipo, adattabile a ognuno dei suoi dipinti. V.4 – L’influenza europea nella produzione di cornici. Un ultimo aspetto da considerare è l’influenza che l’artigianato europeo, in particolare quello francese, ebbe in questo settore. Fino al XVI secolo, le cornici italiane avevano rappresentato un modello per gli artisti d’oltralpe; la forma più diffusa era quella a liste nere con ornamenti dorati agli angoli al centro ma in generale si accolgono diversi stilemi italiani. La cornice completamente nera diviene una caratteristica fiamminga e olandese dall’inizio del XVII secolo. inizialmente, queste cornici erano dipinte in nero, mentre alla fine del XVII secolo diviene consuetudine ricoprire con legno M. L. Papini, La cornice: procedimenti esecutivi ed evoluzione tipologica A.A. 2019/2020 Letizia Villotta 16 d’ebano o anche di palissandro, proveniente dall’India. Il legno veniva poi lucidato, ottenendo una sfumatura di rosso, violetto o nero profondo, a seconda dei toni del quadro. Verso la metà del XVII secolo fu invece la Francia ad assumere un ruolo di primo piano per quanto riguarda l’innovazione delle arti decorative. Lo sviluppo della pittura francese e lo zelo dei collezionisti di quadri, non ultimo il sovrano stesso, favorirono il sorgere di un tipo originale di cornice: la Luigi XIV. Essa è un’elaborazione dei modelli dei precedenti periodi: la fascia decorativa, già nella Luigi XIII, si era spostata dal centro verso il margine più esterno; ora tende a occupare tutto lo spazio tranne una sottile lista interna. La decorazione a motivi classicheggianti o a elementi vegetali stilizzati, generalmente a piccolo rilievo, si dispone uniformemente lungo la fascia decorativa; inoltre essa era dorata o, più raramente, argentata. L’ideazione e la produzione di questo tipo di cornice non era frutto di semplici botteghe artigiane, ma rientrava in un sistema produttivo delle arti minori, fortemente controllato dalla Corona. Durante il regno di Luigi XIV la maggior parte della produzione artigianale era sottoposta al controllo dell’Accademia reale di pittura e scultura  nata nel 1648 come libera associazione, iniziò a trasformarsi, a partire dal 1655 e soprattutto quando Colbert era sovraintendente delle belle arti (dal 1664). L’influenza dell’autorità non fu però limitata a semplici fattori di gusto e mecenatismo, ma si determinò più incisivamente quando l’assoluto predominio dello stile di corte venne a essere garantito dallo stesso controllo statale della produzione. In questi anni, infatti, si consolidarono le manifatture reali. La manifattura della famiglia Gobelins concentrava tutta la produzione artistica nazionale in un’unica officina; la produzione era sia per l’estero che per lo stato. In questo modo, la produzione artistica e artigianale assunse un carattere quasi industriale. Non sorprende che le cornici Luigi XIV siano abbastanza uniformi, esse venivano ideate e realizzate non in funzione del dipinto che avrebbero dovuto ottenere, ma in relazione allo stile ufficiale e allo stile del mobilio a cui dovevano accompagnarsi. A questo proposito si diffusero numerose pubblicazioni e manuali con disegni di mobili e di arredi come modelli a cui ispirarsi. Anche attraverso questo canale di divulgazione, lo stile Luigi XIV si impose in tutta Europa, arrivando fino in Italia. Alla cornice barocca di produzione italiana veniva dunque ad affiancarsi il modello francese  proposta di uno stile scultoreo estremamente raffinato, elegante e più uniforme rispetto alla produzione italiana. Ciò contribuì a rafforzare la relazione della cornice con il mobilio. La penetrazione dello stile francese in Italia fu abbastanza lenta e soggetta a una rielaborazione locale. V.5 – Il rococò: la cornice e l’arredo. Il principale centro di diffusione ed elaborazione del rococò fu fin dai primi anni del XVIII secolo, durante il regno di Luigi XV, la Francia: lo stesso termine è di origine francese e deriva da rocaille, luogo sassoso. Rococò indica un particolare tipo di decorazione, tutta basata sull’uso di conchiglie e di materiali multicolori, frequente ornamento di grotte. Il rococò non fu l’arte della monarchia, come era stato il barocco, ma l’arte dell’aristocrazia e dell’alta borghesia. All’attività edilizia del re e dello stato subentrava ora quella dei privati. I colori solenni e severi, il bruno, il porpora, il turchino e l’oro vennero sostituiti da chiare tinte pastello. Dalla Francia, il fenomeno si diffuse rapidamente in tutta Europa, in Italia specialmente, dove ebbe una ramificata diffusione favorita dal particolare risalto qui assunto dalle cosiddette arti minori, cui principalmente si deve la diffusione del repertorio formale rococò. La cornice rococò in Italia è caratterizzata da liste sottili, con una decorazione più o meno ricca, ma sempre leggera e raffinata, con tralci, fiorellini e conchiglie. Nei quattro angoli, le liste si congiungono con nodi decorativi. Questo primo tipo presenta ancora la decorazione e la soluzione delle sagome in curve e controcurve. In una fase più avanzata del rococò, invece, inflessioni, trazioni, compressioni plastiche, avanzamento curvilineo non sono più frutto della decorazione applicata sopra le quattro assi, ma costituiscono le linee strutturali stesse della cornice. Sono le linee generatrice e conduttrici di un moto curvilineo. In questo tipo di decorazione ebbe largo spazio lo stucco, che per la sua malleabilità rendeva possibile la realizzazione di forme anche molto particolari. Una gamma più ampia di colori venne introdotta in questi elementi decorativi: giallo, verde chiaro, rosa, rosso, nero e il tradizionale oro. cornice e mobilio si accordavano M. L. Papini, La cornice: procedimenti esecutivi ed evoluzione tipologica A.A. 2019/2020 Letizia Villotta 19 Nell’Ottocento il recupero degli stili delle epoche precedenti incluse anche, diffusamente, i tipi Luigi XIII, XIV e XV. Le cornici riprodotte in stile, però, costituiscono spesso il risultato di una reinterpretazione. L’originario intaglio in legno viene sostituito da calchi in gesso, e la doratura, molto brillante, conferisce alle cornici un aspetto metallico. Il tipo Luigi XIV, in particolare, fu largamente impiegato in Francia per incorniciare i dipinti della Scuola di Barbizon  fu indicato come cadre Barbizon. Le cornici in stile e dorate, inoltre, furono prescritte fino al 1880 per le esposizioni nei salons francesi, divenendo anche per questa ragione quelle utilizzate in un primo momento dai pittori impressionisti. VI.2 – Dagli impressionisti ai divisionisti. Le prime cornici usare dagli impressionisti furono le tradizionali cornici dorate. Fin dall’inizio, però, ci si avvide che questo tipo mal si adattava ai dipinti: la doratura altera i toni cromatici del dipinto. Di fronte a questo problema, gli impressionisti sperimentarono due soluzioni: - Impiego di cornici semplici, prive di dorature e decorazioni, di un colore coordinato con i colori dominanti del dipinto. Vennero sperimentate in tutte le tinte e tonalità; già alla fine del 1870 gli artisti presero ad abbinarle ai loro dipinti, seguendo la teoria della complementarietà dei colori elaborata dal chimico Chevreul. - Cornice bianca  colpì enormemente la critica per la sua novità e divenne quasi il manifesto della nouvelle peinture. L’utilizzo del colore dalle cornici si estese successivamente anche alle pareti delle sale d’esposizione. Gli impressionisti, infatti, organizzarono queste manifestazioni in ambienti preparati per l’occasione; dal 1880 scelsero anche le tinte delle pareti più adatte a salvaguardare l’effetto delle loro opere. Le cornici utilizzate, profondamente innovative rispetto alle abitudini estetiche del tempo, sono andate quasi tutte perdute. Tra i rari esempi che ancora oggi si conservano, va menzionata la cornice verde del dipinto Richard Gallo et son chien di Caillebotte (1884). Oltre a porsi il problema della relazione cromo-luministica tra il dipinto e la sua cornice, gli impressionisti si chiesero anche quale tipo di modanatura potesse essere più adatto. Un prezioso carnet di appunti di Degas ci permette di ricostruire in quale direzione si svolgessero le loro ricerche. Sappiamo così di studi di nuove modanature, che si possono ricondurre a due tipologie: - Sagoma leggermente convessa  crete de coq - Sezione quadrata e mossa da fitte modanature scanalate  spesso preferita da Degas. Le cornici impressioniste furono utilizzate anche dai pittori divisionisti, in particolare da Seurat. L’artista sperimentò inizialmente l’uso del bordo bianco, per passare presto alla cornice colorata; il colore veniva steso sulla cornice con piccole pennellate, secondo la tecnica puntinista. Il momento di passaggio dall’incorniciatura bianca a quella colorata è documentata da un’opera del 1888, Le modelle, nella quale sono raffigurati alcuni piccoli quadri incorniciati con larghe cornici bianche; sulla sinistra è visibile, in parte, la Grande Jatte ancora con l’originale bordo neutro, che fu più tardi sostituita da una stretta fascia colorata. A partire dalla fine degli anni Ottanta, le opere di Seurat furono infatti sempre incorniciate da un bordo dipinto. La scelta cromatica, di norma, si basava sulla teoria dei contrasti cromatici. Dal 1889 Seurat scelse di adottare sistematicamente il criterio di eseguire il bordo-cornice contemporaneamente al dipinto per controllare al meglio l’effetto visivo complessivo e per sopperire alle eventuali ombre prodotte dal rilievo della cornice. Significativo sotto il profilo del rapporto cromatico tra cornice e dipinto è Il circo (1890). La gamma del dipinto è qui ricondotta all’essenziale: giallo, rosso e blu. Nella composizione pittorica le tinte dominanti sono il giallo e il rosso, mentre il blu è impiegato esclusivamente nei contorni delle figure e nelle ombre. La cornice invece, in accordo con la teoria dei contrasti cromatici, è interamente dipinta di blu. L’opera di Seurat, pertanto, segna l’abbandono della cornice tradizionale che viene ora ad essere assorbita all’interno dell’opera, con la doppia funzione di contraltare cromatico del dipinto e di isolante nei confronti dello spazio destinato ad accoglierla. Mentre al rapporto simbolico e decorativo tra quadro e cornice l’esperienza impressionista e divisionista M. L. Papini, La cornice: procedimenti esecutivi ed evoluzione tipologica A.A. 2019/2020 Letizia Villotta 20 affianca quello cromo-luministico, si riafferma anche l’intervento diretto dell’artista sulla cornice, che condivide con il dipinto il carattere di unicità. VI.3 – Il nuovo stile. Alla fine dell’Ottocento si determinò un’inversione di tendenza nell’ambito delle arti applicate: al saccheggiato repertorio degli stili storici si sostituirono modelli nuovi e originali proposti dagli artisti del movimento moderno (art nouveau), animato da una forte opposizione all’accademismo. Cornici moderne si registrano già dopo il 1860  movimento Arts and Crafts promosso da Morris. In quegli anni Rossetti in collaborazione con Brown (preraffaelliti) ideò un tipo di cornice che ebbe molta fortuna tra gli artisti di tale tendenza, composta da una stretta modanatura e decorata con sottilissimo motivi canneles scolpiti; la doratura che la riveste lascia visibili le venature del legno sottostante. Questo tipo di cornice fu adottato anche dal pittore Whistler. Alla doratura, egli aggiunse parti dipinte e decorazioni orientaleggianti le quali, ricorrendo anche nel quadro, costituiscono un tratto di unione tra dipinto e cornice. Whistler, infatti, considerava la cornice una propria creazione alla stregua del dipinto, giungendo perfino a rivendicare, nel 1873, la propria paternità sull’innovazione di dipingere anche le cornici. Negli stessi anni, in Francia, anche Guimard si dedicava alla realizzazione di cornici. Egli vi impiegò le linee e i motivi caratteristici della sua più nota produzione, rimodernata non semplicemente nei motivi decorativi ma anche nella sua conformazione, dominata da un tratto morbido, elegante e continuo. Nello stesso periodo, negli USA Arthur e Licia Mathews disegnarono cornici riccamente ornate, complementari a ogni loro dipinto, estendendo alla decorazione esterna un identico ritmo di linee e forze e parti tonalità cromatiche; la realizzazione perfetta delle cornici poggiava su un’organizzazione produttiva, nota come Forniture shop, che operò sotto la loro supervisione dal 1906 al 1920 (San Francisco) in ogni settore delle arti decorative. Nell’ambito del movimento moderno, la cornice venne così a rinnovarsi interamente nelle sue forme strutturali e decorative, e la sua vasta diffusione in Europa decretò la fine delle cornici in stile e dorate. Allo stesso tempo, la versatilità degli artisti appartenenti a questo movimento riportò la produzione della cornice nell’ambito dell’ideazione artistica. VI.4 – La cornice d’artista. Alla fine del XIX secolo, si riscontra un generale interesse per la cornice da parte degli artisti delle diverse tendenze  riappropriazione, operata dalla superficie pittorica, del proprio bordo- limite. La cornice torna a essere considerata come parte integrante del quadro. I pittori simbolisti preferirono le iscrizioni o i simboli dipinti direttamente sulla cornice, nel medesimo solco si posero i Nabi (Francia)  uso di motivi di carattere simbolico o floreale, in armonia con il dipinto incorniciato. Si fanno frequenti, anche sull’esempio di Whistler, gli interventi pittorici sulla cornice: in Austria, Klimt ricerca una indefinitezza del limite tra il soggetto dipinto e la cornice, come nel Bacio. Degne di nota sono poi le incorniciature realizzate da Munch, come nel ritratto dell’amico Strindberg (1896)  cornice decorata da fitte linee spezzate e recante la figuretta stilizzata di una donna nuda, i motivi simbolici si fanno carico di implicazioni psicologiche e per questo motivo non gradì la cornice. Munch la rimosse, sebbene così adatta. Lo stretto rapporto di univocità che viene a stabilirsi tra il dipinto e la sua esclusiva cornice non contente più di prospettare caratteristiche comuni e costanti  ognuno procede secondo un unicum. Una linea di tendenza generale, tuttavia, si può scorgere nelle nuove interpretazione della funzione della cornice: gli elementi simbolici complementari al soggetto dipinto, il proseguimento della pittura sulla cornice, i bordi piatti della cornice per accrescere le dimensioni del quadro denotano l’intento di recuperare la cornice all’interno del quadro, come se essa dovesse intendersi non più come finestra ma come espansione dello stesso dipinto. VI.5 – La negazione della cornice come finestra. Il significato della cornice come finestra si era sviluppato nel rinascimento in rapporto all’intuizione prospettica del quadro-finestra. Questo indirizzi ora rimasto immutato fino all’Ottocento, e anzi proprio in questo secolo si può dire che raggiunse il suo apice, allorché mediante la cornice, come risulta in particolare dalla pittura di Degas, si giunse a interrompere il contorno dell’oggetto raffigurato molto più ostentatamente che in passato, sottolineando in questo modo il carattere accidentale del confine, e appunto per questo la funzione di figura-finestra della cornice. Sul finire del secolo, i pittori iniziarono a ridurre la profondità dello spazio pittorico  il bordo dello spazio dipinto non poteva più M. L. Papini, La cornice: procedimenti esecutivi ed evoluzione tipologica A.A. 2019/2020 Letizia Villotta 21 essere coperto da una cornice estranea. Si arrivò a intervenire sulla cornice stessa, la quale, livellata ora al supporto, venne a configurarsi come proseguimento del dipinto stesso. Nel Novecento, poi, la concezione dello spazio interno al dipinto fu decisamente condizionata dalla pittura cubista: la moltiplicazione dei punti di vista prospettici, il tentativo di introdurre la dimensione temporale attraverso il movimento portarono alla fine della concezione spaziale di origine rinascimentale. Il fondo si rovescia sulla superficie, interno ed esterno si compenetrano mentre gli spazi si modificano per la presenza dell’oggetto insieme con esso. Gli esiti talvolta assolutamente astratti del cubismo orfico e il contemporaneo affermarsi della pittura non figurativa furono determinanti: il quadro venne inteso come superficie continua, come campo di forze. La pittura, pertanto, cominciò a liberare i contorni dalla cornice, ossia a fare di essi il confine esterno del dipinto. La cornice si adattò alla sua nuova funzione restringendosi a una sottile striscia, un semplice contorno, o addirittura spostandosi indietro e rendendo così il dipinto una superficie delimitata da un confine: una figura ben posta in evidenza al di sopra della parete. Balla in Velocità astratta + rumore (1913) fa sì che il movimento e il dinamismo dell’immagine prorompano oltre il proprio confine nello spazio circostante. Sottili bordi in legno naturale o dipinto, semplici contorni, si osservano invece nel Musicista di Braque (1917-1918) e in Compenetrazione iridescente di Balla (1912). Ulteriori esempi di analoghi impieghi della cornice, negli anni successivi, sono offerto dalle opere di Picasso, Klee, Mondrian, Picabia. Contemporaneamente, in particolare nell’ambito delle correnti surrealista e dadaista, la cornice viene assunta tra le tematiche della pittura, trasferendo la questione dal piano visivo a quello concettuale: da elemento d’uso, essa diviene strumento espressivo. Nella Coppia con la testa piena di nuvole di Dalì (1936) viene a simboleggiare una finestra sull’inconscio e si pone come limite tra lo spazio reale e l’immaginazione. Nella French window di Duchamp (1920-1964), l’artista capovolge il senso tradizionale dell’accostamento metaforico cornice-finestra, facendo oggetto della sua opera una finestra di cui sono oscurati i vetri con fogli di cuoio nero  la finestra, che ha perso la sua trasparenza e non si lascia pertanto attraversare dallo sguardo, deve limitarsi a incorniciare il proprio buio. In altri casi, infine, la cornice intesa come limite della pittura viene abolita del tutto. Con l’arte concettuale, l’arte povera, le installazioni, decade infatti la necessità di un ponte tra lo spazio rappresentato e lo spazio in cui l’opera è collocata. Esperimenti particolari come quelli che vanno dallo spazialismo di Fontana alla land art non consentono più l’uso della cornice, se on nel senso più ampio del termine, ossia come contesto: è la stessa superficie terrestre a divenire con Christo e De Maria un immenso spazio-limite, che incornicia gli interventi sul territorio operati dagli artisti. Appendice. La cornice: conservazione e restauro. La cornice, vedendosi attribuita una posizione marginale nel contesto delle opere d’arte, ha suscitato fino a oggi poco interesse anche sotto il profilo del restauro e della conservazione. In realtà rientra tra quei manufatti che rivestono significatamene interesse artistico, storico e culturale  è oggetto di interventi di conservazione, prevenzione, restauro e manutenzione. Nelle soluzioni di carattere tecnico, gli interventi richiesti dalle cornici non si differenziano in relazione all’oggetto poiché riproducono modalità ricorrenti nel restauro di altre opere, ma sono determinati essenzialmente dai suoi materiali costitutivi. La cornice poteva essere costruita con diversi materiali: - Legno - Pietra - Metallo - Avorio - Cartapesta Non era quasi mai composta da un solo materiale: si veda la sovrapposizione di gesso e colla, di lamine d’oro e d’argento, di pigmenti e vernici. Ogni singola cornice può inoltre presentare ulteriori varianti dettate dall’ingegno dell’artigiano, dalle esigenze dell’artista, dalla reperibilità dei materiali e dai costi. La scelta dei
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