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PARAFRASI: canto iv Inferno (Divina Commedia), Dispense di Italiano

Parafrasi del IV canto dell'Inferno di Dante Alighieri

Tipologia: Dispense

2018/2019
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Caricato il 02/07/2019

DanteAlighierii
DanteAlighierii 🇮🇹

4.1

(24)

27 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica PARAFRASI: canto iv Inferno (Divina Commedia) e più Dispense in PDF di Italiano solo su Docsity! Parafrasi Un forte tuono interruppe il sonno nella mia testa, così che io mi scossi come qualcuno che si sveglia di soprassalto; e mossi intorno lo sguardo riposato, fissandolo dritto, e osservai con attenzione per capire dove mi trovassi. In effetti mi ritrovai sull'orlo estremo della valle dolorosa dell'Inferno, che accoglie in sé un rimbombo di infiniti lamenti. Era a tal punto oscura, profonda e nebulosa che pur fingendo lo sguardo al fondo, non riuscivo a vedere nulla. «Ora iniziamo a scendere nel mondo cieco,» cominciò Virgilio pallido in volto. «Io andrò per primo, tu mi seguirai». E io, accortomi del suo pallore, dissi: «Come potrò venire, se tu, che solitamente conforti ogni mio dubbio, sei spaventato?» Lui mi rispose: «L'angoscia delle anime che sono relegate qui dipinge sul mio volto quel tormento che tu credi paura. Andiamo, poiché il viaggio è lungo e non abbiamo tempo da perdere.» Così procedette e mi introdusse nel primo cerchio che attornia la voragine infernale. Qui, stando ad ascoltare, si sentivano solo dei sospiri, che facevano tremare l'aria eterna; ciò era dovuto al dolore senza tormenti subìto dalle schiere di anime, che erano molto numerose, di bambini, donne e uomini. Il buon maestro mi disse: «Non mi chiedi chi sono questi spiriti che vedi? Prima di procedere oltre, voglio che tu sappia che essi non peccarono; e se essi hanno meriti ciò non è sufficiente, perché non hanno ricevuto il battesimo che ammette alla fede in cui tu credi; e se essi sono vissuti prima del Cristianesimo, non adorarono Dio nel modo dovuto: io stesso faccio parte di questa categoria. Siamo perduti per questa colpa e non per altri peccati, e la nostra unica pena è di vivere in un desiderio senza speranza». Quando sentii questo provai un grande dolore al cuore, poiché compresi che in quel Limbo erano sospese anime di personaggi molto eminenti. «Dimmi, o mio maestro e signore,» cominciai per accertarmi di quella fede che toglie ogni dubbio: «è mai successo che qualcuno uscisse da questo luogo, per merito proprio o di altri, che poi diventasse beato?» E Virgilio, che comprese le mie velate parole, rispose: «Io ero da poco in questa condizione, quando vidi entrare qui un possente (Cristo), che portava i segni della vittoria. Fece uscire da qui l'ombra del primo padre (Adamo), di suo figlio Abele e di Noè, di Mosè legislatore ubbidiente; quella del patriarca Abramo e del re David, Israele (Giacobbe) coi suoi figli e con la moglie Rachele, per la quale fece così tanto; e molti altri, e li rese tutti beati. E voglio che tu sappia che, prima di loro, nessuno spirito si era potuto salvare». Mentre Virgilio parlava non cessavamo di camminare, ma superavamo quella fitta folla di spiriti. Non avevamo percorso una lunga strada dal momento in cui mi ero risvegliato, quando io vidi una luce che superava un emisfero di tenebre. Eravamo ancora a una certa distanza da essa, ma non tanto che io non potessi capire che quel luogo era occupato da spiriti onorevoli. «O tu che fai onore alla scienza e all'arte, chi sono costoro che hanno tanta considerazione da avere una condizione diversa dalle altre anime?» E Virgilio mi rispose: «La fama eccellente che nel mondo terreno ancora sopravvive di loro, acquista loro una grazia in Cielo che li distingue dagli altri spiriti». Intanto io udii una voce: «Rendete onore all'altissimo poeta: la sua anima, che se n'era andata, ritorna». Dopo che la voce cessò e si acquietò, vidi quattro grandi anime venirci incontro: non avevano aspetto triste, né lieto. Il buon maestro cominciò a dire: «Osserva colui che ha quella spada in mano, che precede gli altri come il loro signore: quello è Omero, il più grande di tutti i poeti; l'altro che lo segue è Orazio, autore delle Satire; il terzo è Ovidio e l'ultimo è Lucano. Poiché ognuno di essi ha in comune con me il nome che pronunciò quella sola voce (il nome di poeta), mi rendono onore e in questo fanno bene». Così vidi radunarsi la bella scuola poetica di quel signore che scrisse altissimi versi, che vola sopra gli altri come un'aquila. Dopo che ebbero parlato un poco tra loro, si rivolsero a me facendomi cenni di saluto e il mio maestro sorrise di questo; e mi resero un onore ancora maggiore, poiché mi accolsero nella loro schiera, così che fui il sesto membro di quel gruppo così assennato. In questo modo procedemmo fino alla luce, dicendo cose che è bello tacere, proprio come era bello parlarne in quel luogo. Giungemmo ai piedi di un nobile castello, circondato da sette ordini di mura e protetto intorno da un bel fiumicello. Lo oltrepassammo come fosse di terra; entrai con questi saggi
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