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parafrasi divina commedia inferno canto 26, Appunti di Italiano

parafrasi divina commedia inferno canto 26

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 16/05/2020

giuly181818
giuly181818 🇮🇹

4.3

(21)

14 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica parafrasi divina commedia inferno canto 26 e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! Testo Inferno 26 Godi, Fiorenza, poi che se’ sì grande, che per mare e per terra batti l’ali, e per lo ’nferno tuo nome si spande! 3 Tra li ladron trovai cinque cotali tuoi cittadini onde mi ven vergogna, e tu in grande orranza non ne sali. 6 Ma se presso al mattin del ver si sogna, tu sentirai di qua da picciol tempo di quel che Prato, non ch’altri, t’agogna. 9 E se già fosse, non saria per tempo. Così foss’ei, da che pur esser dee! ché più mi graverà, com’più m’attempo. 12 Noi ci partimmo, e su per le scalee che n’avea fatto iborni a scender pria, rimontò ’l duca mio e trasse mee; 15 e proseguendo la solinga via, tra le schegge e tra ’ rocchi de lo scoglio lo piè sanza la man non si spedia. 18 Allor mi dolsi, e ora mi ridoglio quando drizzo la mente a ciò ch’io vidi, e più lo ’ngegno affreno ch’i’ non soglio, 21 perché non corra che virtù nol guidi; sì che, se stella bona o miglior cosa m’ha dato ’l ben, ch’io stessi nol m’invidi. 24 Quante ’l villan ch’al poggio si riposa, nel tempo che colui che ’l mondo schiara la faccia sua a noi tien meno ascosa, Parafrasi Rallegrati, Firenze, perché sei così famosa da percorrere il mare e la terra, e il tuo nome è conosciuto persino all'Inferno! Tra i ladri incontrai cinque tuoi cittadini, tali che a me viene vergogna e tu certo non acquisti onore. Ma se vicino al mattino si fanno sogni veritieri, di qui a poco tempo tu riceverai il castigo che tutte le città, anche quelle piccole come Prato, ti augurano. E se anche accadesse già, sarebbe comunque tardi. Potesse allora succedere, dal momento che è inevitabile! Quanto più invecchierò, tanto più questo castigo mi sarà insopportabile. Noi ci allontanammo e il maestro risalì su quelle rocce che, prima, ci avevano fatti impallidire a scendere, e mi portò con sé; e proseguendo lungo la via solitaria, il piede non poteva avanzare senza l'aiuto delle mani tra gli spuntoni e le schegge della roccia. Allora provai dolore, e lo provo anche adesso pensando a ciò che vidi, e tengo a freno il mio ingegno più del solito affinché non agisca senza la guida della virtù; così che, se un benigno influsso astrale o qualcosa di più importante (la grazia divina) mi hanno dato il bene, io stesso non me lo sottragga. Quante sono le lucciole che il contadino, quando si riposa sulla collina nella stagione (estate) in cui il sole tiene meno nascosta a noi la sua faccia, nell'ora (la sera) in cui la mosca lascia il posto alla zanzara, vede giù nella valle dove egli vendemmia e ara; 27 come la mosca cede alla zanzara, vede lucciole giù per la vallea, forse colà dov’e’ vendemmia e ara: 30 di tante fiamme tutta risplendea l’ottava bolgia, sì com’io m’accorsi tosto che fui là ’ve ’l fondo parea. 33 E qual colui che si vengiò con li orsi vide ’l carro d’Elia al dipartire, quando i cavalli al cielo erti levorsi, 36 che nol potea sì con li occhi seguire, ch’el vedesse altro che la fiamma sola, sì come nuvoletta, in sù salire: 39 tal si move ciascuna per la gola del fosso, ché nessuna mostra ’l furto, e ogne fiamma un peccatore invola. 42 Io stava sovra ’l ponte a veder surto, sì che s’io non avessi un ronchion preso, caduto sarei giù sanz’esser urto. 45 E ’l duca che mi vide tanto atteso, disse: «Dentro dai fuochi son li spirti; catun si fascia di quel ch’elli è inceso». 48 «Maestro mio», rispuos’io, «per udirti son io più certo; ma già m’era avviso che così fosse, e già voleva dirti: 51 chi è ’n quel foco che vien sì diviso di sopra, che par surger de la pira dov’Eteòcle col fratel fu altrettante fiamme risplendevano nella VIII Bolgia, come io vidi non appena fui là da dove il fondo era visibile. E come colui (Eliseo) che si vendicò con gli orsi vide il carro d'Elia che partiva, quando i cavalli si levarono alti nel cielo, e non lo poteva seguire con lo sguardo senza vedere altro che la fiamma, che saliva su come una nuvoletta: così sul fondo della Bolgia si muove ciascuna fiamma, in modo tale che nessuna mostra l'anima nascosta all'interno, e ogni fiamma cela un peccatore. Io stavo sopra il ponte, proteso per vedere al punto che, se non mi fossi aggrappato a una sporgenza rocciosa, sarei caduto in basso senza essere urtato. E il maestro, che mi vide così attento, disse: «Dentro quei fuochi ci sono delle anime; ognuna è fasciata dalla fiamma che la avvolge». Io risposi: «Maestro mio, ora che ti ascolto ne sono più certo; ma avevo già intuito che fosse così e volevo chiederti: chi c'è dentro quel fuoco la cui punta è biforcuta, tanto che sembra levarsi dal rogo funebre dove Eteocle fu messo col fratello (Polinice)?» Mi rispose: «Là dentro sono puniti Ulisse e Diomede, e sono dannati insieme come insieme commisero i loro peccati; e nella loro fiamma espiano l'inganno del cavallo di e l’altre che quel mare intorno bagna. 105 Io e ’ compagni eravam vecchi e tardi quando venimmo a quella foce stretta dov’Ercule segnò li suoi riguardi, 108 acciò che l’uom più oltre non si metta: da la man destra mi lasciai Sibilia, da l’altra già m’avea lasciata Setta. 111 "O frati", dissi "che per cento milia perigli siete giunti a l’occidente, a questa tanto picciola vigilia 114 d’i nostri sensi ch’è del rimanente, non vogliate negar l’esperienza, di retro al sol, del mondo sanza gente. 117 Considerate la vostra semenza: fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza". 120 Li miei compagni fec’io sì aguti, con questa orazion picciola, al cammino, che a pena poscia li avrei ritenuti; 123 e volta nostra poppa nel mattino, de’ remi facemmo ali al folle volo, sempre acquistando dal lato mancino. 126 Tutte le stelle già de l’altro polo vedea la notte e ’l nostro tanto basso, che non surgea fuor del marin suolo. 129 Cinque volte racceso e tante casso lo lume era di sotto da la luna, verso occidente. Pensate alla vostra origine: non siete stati creati per vivere come bestie, ma per seguire la virtù e la conoscenza". Con questo breve discorso resi i miei compagni così smaniosi di mettersi in viaggio, che in seguito avrei stentato a trattenerli; e volta la poppa a est, facemmo dei remi le ali al nostro folle volo, sempre proseguendo verso sud- ovest (a sinistra). La notte ormai mostrava tutte le costellazioni del polo australe, mentre quello boreale era tanto basso che non emergeva dalla linea dell'orizzonte. La luce dell'emisfero lunare a noi visibile si era già spenta e riaccesa cinque volte (erano passati circa cinque mesi), dopo che avevamo intrapreso il viaggio, quando ci apparve una montagna (il Purgatorio) scura per la lontananza, e mi sembrò più alta di qualunque altra io avessi mai vista. Noi ci rallegrammo, ma l'allegria si tramutò presto in pianto: infatti da quella nuova terra nacque una tempesta che colpì la nave a prua. La fece girare su se stessa tre volte, in un vortice; la quarta volta fece levare in alto la poppa e fece inabissare la prua, come piacque ad altri (Dio), finché il mare si fu richiuso sopra di noi». poi che ’ntrati eravam ne l’alto passo, 132 quando n’apparve una montagna, bruna per la distanza, e parvemi alta tanto quanto veduta non avea alcuna. 135 Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto, ché de la nova terra un turbo nacque, e percosse del legno il primo canto. 138 Tre volte il fé girar con tutte l’acque; a la quarta levar la poppa in suso e la prora ire in giù, com’altrui piacque, infin che ’l mar fu sovra noi richiuso». 142
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