Scarica Parodontologia e più Dispense in PDF di Odontoiatria solo su Docsity! PARODONTOLOGIA DEFINITIVO ANATOMIA DEI TESSUTI PARODONTALI Il parodonto (o periodonto, da peri=intorno, odontos= dente) comprende i seguenti tessuti: la gengiva, il legamento parodontale, il cemento radicolare, l’osso alveolare. Quest’ultimo è formato da due componenti: l’osso alveolare proprio e il processo alveolare. L’osso alveolare proprio, chiamato anche osso fascicolato, continua nel processo alveolare e forma la sottile lamina ossea che riveste l’alveolo del dente. La funzione principale del parodonto è di mantenere attaccato il dente al tessuto osseo dei mascellari e di conservare l’integrità della superficie della mucosa masticatoria della cavità orale. il parodonto, chiamato anche apparato di attacco o tessuti di supporto del dente, forma un’unità funzionale, biologia e di sviluppo che va incontro a determinati cambiamenti con l’età ed è soggetta ad alterazioni morfologiche che dipendono da alterazioni funzionali e dell’ambiente orale. Lo sviluppo dei tessuti parodontali avviene durante lo sviluppo e la formazione dei denti. L’ectomesenchima assume un ruolo dominante per il successivo sviluppo. Dopo la formazione della lamina dentale ha inizio una serie di processi (stadio della gemma, stadio del cappuccio, stadio della campana con sviluppo della radice) che portano ala formazione del dente e dei suoi tessuti parodontali, incluso l’osso alveolare proprio. Esperimenti hanno dimostrato che ogni informazione necessaria per lo sviluppo del dente e del suo apparato di attacco risiede nei tessuti dell’organo dentale e nell’ectomesenchima circostante. Dall’organo dentale si forma lo smalto, dalla papilla dentale il complesso dentina-‐polpa, dal follicolo dentale l’apparato di attacco (cemento, legamento parodontale e osso alveolare proprio). Lo sviluppo della radice e dei tessuti di supporto parodontali segue quello della corona. GENGIVA La mucosa orale non ha soluzioni di continuità con la cute delle labbra e con le mucose del palato molle e della faringe. È costituita da mucosa masticatoria, comprendente la gengiva e il rivestimento del palato duro, dalla mucosa specializzata, che copre il dorso della lingua, e dalla parte di mucosa restante, chiamata mucosa di rivestimento. La gengiva è quella parte di mucosa masticatoria che ricopre il processo alveolare e circonda il colletto dei denti. È costituita da uno strato epiteliale e da uno strato sottostante di tessuto connettivo, chiamato lamina propria. La gengiva raggiunge la sua forma e la sua organizzazione definitive in concomitanza con l’eruzione dei denti. In direzione della corona, la gengiva appare di colore rosa corallo e termina con il margine gengivale libero, che ha un contorno festonato. In direzione dell’apice, la gengiva continua con la mucosa alveolare (mucosa di rivestimento), che appare lassa e di colore rosso più scuro, da cui è separata per mezzo di una linea di confine generalmente ben riconoscibile, chiamata giunzione mucogengivale o linea mucogengivale. Nel palato non è presente una linea mucogengivale perché il palato duro e il processo alveolare mascellare sono ricoperti dallo stesso tipo di mucosa masticatoria. La gengiva si distingue in: -‐ gengiva libera -‐ gengiva aderente Quella libera è di colore rosa corallo, ha superficie opaca e consistenza compatta. Ne fanno parte il tessuto gengivale presente sulle superfici vestibolare e linguale o palatale dei denti e la gengiva interdentale che forma le papille. Sulle facce vestibolare e linguale, la gengiva libera si estende dal margine gengivale in direzione dell’apice fino al solco gengivale libero, che è situato allo stesso livello della giunzione smalto-‐cemento. La gengiva aderente è delimitata in direzione apicale dalla giunzione mucogengivale. Il margine gengivale libero è spesso arrotondato in modo da creare una piccola invaginazione o solco. Dopo la completa eruzione del dente, il margine gengivale libero è localizzato sulla superficie dello smalto in direzione coronale, a circa 1,5-‐2mm dalla giunzione smalto cemento. La forma della papilla interdentale è determinata dai rapporti di contatto fra i denti, dall’ampiezza delle loro superfici approssimali, e dal decorso della giunzione smalto-‐cemento. Nelle regioni anteriori hanno forma piramidale, mentre nelle posteriori (molari) sono più appiattite. Le gengiva aderente è delimitata in direzione coronale dal solco gengivale libero o (quando non presente) da un piano orizzontale posto a livello della giunzione smalto-‐cemento. Il solco gengivale clinico è presente solo nel 30-‐ 40% degli adulti. Le gengiva aderente si estende in direzione apicale fino alla giunzione mucogengivale, dove continua con la mucosa alveolare. Ha consistenza compatta e colore rosa corallo, mostrando spesso piccole depressioni superficiali che rendendo la superficie punteggiata le conferiscono un aspetto a “buccia d’arancia”. È saldamente fissata all’osso alveolare e al cemento sottostanti per mezzo di fibre connettivali che la rendono praticamente immobile rispetto al tessuto sottostante. La mucosa alveolare, di colore rosso più scuro, situata in sede apicale rispetto alla giunzione mucogengivale, è invece scarsamente aderente all’osso. Quindi risulta mobile nei confronti del tessuto sottostante. L’ampiezza verticale della gengiva varia nelle diverse zone della bocca. Nell’osso mascellare la gengiva vestibolare è generalmente più ampia nell’area incisiva e più stretta nella zona adiacente ai premolari. Nella mandibola la gengiva linguale è particolarmente stretta nell’area dei denti incisivi e ampia nella regione dei molari. L’intervallo di ampiezza è di 1-‐9mm. Si è riscontrato che all’età di 40-‐50 anni la gengiva aderente è significativamente più ampia di quella misurata all’età di 20-‐30anni. Poiché la giunzione mucogengivale, valutata in rapporto con il bordo inferiore della mandibola, rimane stabile nel corso degli anni, l’aumento di ampiezza della gengiva che si verifica con l’età può indicare che i denti, come risultato dell’abrasione occlusale, vadano incontro a una lenta eruzione nel corso di tutta la vita. Anatomia microscopica La gengiva libera comprende tutte le strutture tissutali epiteliali e connettivali situate coronalmente a una linea orizzontale che passa a livello della giunzione smalto-‐cemento. L’epitelio che riveste la gengiva libera può essere differenziato in: -‐ epitelio orale (prospicente la cavità orale) -‐ epitelio orale sulculare (rivolto verso il dente ma non in contatto con la sua superficie) -‐ epitelio giunzionale (attraverso cui si realizza il contatto fra gengiva e dente) una caratteristica morfologica dell’epitelio orale e di quello sulculare orale è la presenza di digitazioni epiteliali (che separano le creste epiteliali), che sono invece assenti nell’epitelio giunzionale. Porzione di epitelio orale che ricopre la gengiva libera: squamoso, stratificato, cheratinizzato. Può essere diviso sulla base del grado di differenziazione delle cellule che producono cheratina in: -‐ strato basale -‐ strato delle cellule spinose -‐ strato delle cellule granulari -‐ strato delle cellule cheratinizzate. I nuclei cellulari sono assenti negli strati più esternià epitelio ORTOCHERATINIZZATO. Spesso le cellule dello strato corneo però contengono residui di nucleià epitelio PARACHERATINIZZATO. Oltre alle cellule produttrici di cheratina (90% della popolazione cellulare dell’epitelio orale) si riscontrano: -‐ melanociti -‐ cellule di Langerhans -‐ cellule di Merkel -‐ cellule infiammatorie presentano spesso una morfologia stellata e hanno estensioni citoplasmatiche di forma e aspetto vari. Le cellule dello strato basale hanno forma cilindrica o cuboide e sono in contatto con la membrana basale che separa l’epitelio dal tessuto connettivo. È nello strato basale che l’epitelio si rinnova à chiamato quindi anche strato germinativo, può essere considerato il compartimento delle cellule progenitrici dell’epitelio. I cheratinociti sono sottoposti a un processo di continua differenziazione nel loro passaggio dallo strato basale alla superficie dell’epitelio. Quindi, una volta che il cheratinocito ha lasciato la membrana basale, non può più dividersi, ma mantiene la capacità di produrre proteine. Nello strato granulare il cheratinocito non presenta più l’apparato per la sintesi delle proteine e la produzione di energia e si trasforma improvvisamente in una cellula piena di cheratina che si desquama dallo strato corneo distaccandosi dalla superficie dell’epitelio. Al contrario dell’epitelio della gengiva, la mucosa alveolare è priva dello strato corneo. Le cellule nucleate sono presenti in tutti gli strati. L’elemento predominante della gengiva è il connettivo (lamina propria). Componenti principali del tessuto connettivo sono le fibre collagene (60% del volume del tessuto connettivo), i fibroblasti (5%), e i vasi e i nervi (35%), immersi in una sostanza fondamentale amorfa (matrice). I diversi tipi di cellule presenti nel tessuto connettivo sono rappresentati da: fibroblasti, mastociti, macrofagi e cellule infiammatorie. I fibroblasti sono la componente predominante. Sono responsabili della produzione dei vari tipi di fibre che si trovano nel connettivo, ma anche di valido supporto alla sintesi della matrice del connettivo. I mastociti sono responsabili della produzione di alcune componenti della matrice. Producono anche sostanze vasoattive che possono agire sulla funzione del sistema microvascolare e controllare il flusso di sangue. I macrofagi svolgono varie funzioni sia fagocitiche sia di sintesi. Il tessuto connettivo contiene anche cellule infiammatorie di vario tipo, come granulociti neutrofili, linfociti e plasmacellule. Le fibre del tessuto connettivo sono prodotte dai fibroblasti e si dividono in: fibre collagene, fibre reticolari, fibre ossitalaniche e fibre elastiche. Le collagene predominano e costituiscono le componenti essenziali del parodonto. L’unità più piccola è chiamata tropocollagene, sintetizzata dal fibroblasto e poi secreta nello spazio extracellulare. Si ha poi la polimerizzazione delle molecole di tropocollagene a formare le fibre di collagene. Nel tessuto le fibre sono generalmente organizzate in fasci. Anche i cementoblasti e gli osteoblasti sono cellule capaci di produrre collagene. casi normali, a 1.8mm nei casi di malattia avanzata, e la parte più variabile dell’attacco è rappresentata dalla lunghezza dell’attacco epiteliale. Le caratteristiche morfologiche della gengiva sono correlate alle dimensioni del processo alveolare, alla forma dei denti, a eventi verificatisi durante l’eruzione dei denti e a posizione e inclinazione finali dei denti completamente erotti. Esistono due biotipi principali di architettura gengivale: -‐ festonatura accentuata -‐ piatto quelli con festonatura accentuata presentano denti allungati e stretti con corona di forma affusolata, convessità delicata del colletto e minime aree di contatto interdentale localizzate vicino al margine incisale. Viceversa, quelli che presentano il biotipo gengivale piatto hanno incisivi con corona di forma squadrata e convessità accentuata del colletto. La gengiva di questi individui è più ampia e voluminosa, le aree di contatto tra i denti sono larghe e localizzate in sede più apicale, mentre le papille interdentali sono corte. La papilla interdentale in una dentizione normale e sana ha una componente buccale e una linguale/palatale che sono unite tra loro nella regione interprossimale. In sintesià • biotipo gengivale piatto: la gengiva marginale buccale è comparativamente spessa, le papille sono spesso corte, l’osso della parete corticale buccale è spesso e la distanza verticale tra la cresta ossea interdentale e l’osso buccale è breve (circa 2mm) • biotipo gengivale con festonatura accentuata: la gengiva marginale buccale è delicata e spesso può essere localizzata in sede apicale rispetto alla giunzione smalto-‐cemento (recessione), le papille sono alte e sottili, l’osso buccale è spesso sottile ed è lunga la distanza verticale tra cresta ossea interdentale e osso buccale (>4mm). EPIDEMIOLOGIA DELLE PATOLOGIE PARODONTALI Per epidemiologia si intende lo studio della distribuzione di una patologia o di una condizione fisiologica in popolazioni umane, nonché dei fattori che influenzano tale distribuzione. L’esame della condizione parodontale di un dato individuo comprende la rilevazione clinica dell’infiammazione dei tessuti parodontali, la registrazione delle profondità di sondaggio e del livello clinico d’attacco, nonché le rilevazioni radiografiche dell’osso alveolare di supporto. Valutazione dell’infiammazione dei tessuti parodontali La presenza di infiammazione nella porzione marginale della gengiva i rileva di norma tramite il sondaggio. In base a questo sistema, all’assenza totale di indicatori visivi di infiammazione nell’unità gengivale viene attribuito il valore 0, mentre a una lieve alterazione cromatica e strutturale viene attribuito il valore 1. A un’infiammazione rilevabile a occhio nudo, abbinata alla tendenza al sanguinamento del margine gengivale subito dopo avervi fatto scorrere brevemente una sonda, viene attribuito il valore 2, mentre a un’infiammazione evidente con tendenza spontanea al sanguinamento viene attribuito il valore 3. Per gli accumuli di placca è stato introdotto un indice parallelo (indice di placce), in scala da 0 a 3 (Silness e Loe), in base al quale all’assenza di accumuli di placca viene attribuito uno 0, alla placca rilevata dopo aver fatto scorrere la sonda lungo il margine gengivale il valore 1, alla placca visibile il valore 2 e alla placca abbondante il valore 3. Il sanguinamento al sondaggio della base della tasca parodontale ha costituito un metodo comune per valutare la presenza di un’infiammazione subgengivale. In questa rilevazione dicotomica, 1 è il valore attribuito ai casi in cui il sanguinamento si manifesti entro 15secondi dal sondaggio. Negli studi epidemiologici, la presenza/assenza di sanguinamento al sondaggio alla base della tasca tende sempre più a sostituire l’uso dell’indice gengivale. Valutazione di perdita del supporto del tessuto parodontale L’indice parodontale è stato uno dei primi a fornire informazioni indirette sulla perdita di supporto del tessuto parodontale. I suoi criteri si applicano a ogni elemento dentale e i valori che attribuisce sono i seguenti: un dente con parodonto sano equivale a 0, un dente con gengivite solamente su un tratto della circonferenza equivale a 1, un dente con gengivite su tutta la circonferenza equivale a 2, la formazione di tasche equivale a 6 e la perdita di funzionalità dovuta a un eccesso di mobilità dentale equivale a 8. Per la natura dei criteri di verifica adottati, è un sistema di rilevazione reversibile, vale a dire che dopo il trattamento un dente o un soggetto possono vedere l’indice diminuire, o ridursi a 0. Contrariamente, l’indice di malattia parodontale è un sistema destinato a valutare la patologia distruttiva; esso misura la perdita d’attacco anziché la profondità di tasca ed è, dunque, un indice irreversibile. I valori che oscillano fra 0 e 6 denotano salute parodontale o presenza di gengivite, nonché vari livelli di perdita d’attacco (tra 4 e 6). Negli attuali studi la perdita di supporto del tessuto parodontale si rileva misurando la profondità della tasca e del livello d’attacco. Si definisce profondità di sondaggio della tasca la distanza fra il margine gengivale e la posizione della punta di una sonda parodontale inserita nella tasca a intensità di pressione moderata. Analogamente, si definisce livello di sondaggio dell’attacco o livello clinico d’attacco, la distanza tra le giunzione smalto-‐cemento e il punto di inserimento della sonda. Le rilevazioni di sondaggio possono essere effettuate in diversi siti della circonferenza dentale. Negli studi epidemiologici il numero di rilevazioni per dente varia da due a sei, mentre l’esame può includere tutti i denti o un sottoinsieme di denti indice. Valutazione radiografica di perdita ossea alveolare Le radiografie sono state utilizzate più per valutare l’effetto della malattia parodontale sui tessuti di supporto che per individuare la presenza della patologia in sé, e si pensa possano fornire rilevazioni valide sull’estensione e la gravità della parodontite distruttiva. Le rilevazioni di perdita ossea dalle rx intraorali si effettuano solitamente valutando un gran numero di caratteristiche qualitative e quantitative dell’osso interprossimale visualizzato, quali per esempio la presenza di una lamina dura intatta, la larghezza dello spazio parodontale del legamento, la morfologia della cresta ossea e la distanza fra la CJE e il livello più coronale sul quale lo spazio del legamento parodontale sia considerato di larghezza normale. La soglia di perdita ossea, cioè la distanza CJE-‐ cresta ossea si ritiene indichi l’avvenuta perdita ossea, varia fra 1 e 3 mm in studi diversi. Valutazione della necessità di trattamento parodontale Criteri dell’indice di necessità di trattamento parodontale: • la dentatura è divisa in sei sestanti (una regione anteriore e due posteriori per ogni arcata). La necessità di trattamento in un sestante si verifica in presenza di 2 o più denti destinati all’estrazione. Se nel sestante vi è un solo dente residuo esso viene incluso nel sestante attiguo • i sondaggi di rilevazione si effettuano intorno a tutti i denti di un sestante, oppure intorno ad alcuni denti indice. Per rappresentare il sestante viene scelta solo la misurazione più grave. • Alle condizioni parodontali sono attribuiti i seguenti valori: codice 1: assegnato a un sestante senza tasche, tartaro o sporgenze di materiali da otturazione nel quale si verifichi però sanguinamento dopo un sondaggio delicato in una o più porzioni codice 2: assegnato a un sestante con tasche inferiori a 3mm nel quale però si vedano o riconoscano a livello subgengivale tartaro e fattori di accumulo della placca codice 3: assegnato a un sestante con tasche profonde tra 4 e 5mm codice 4: assegnato a un sestante con tasche di 6 o più mm • L’indicatore della necessità di trattamento è un valore basato sulla gravità laddove TN 0 corrisponde a salute, TN 1 alla necessità di una migliore igiene orale nel caso di rilevazione del codice 1, TN 2 alla necessità di levigatura rimozione delle sporgenze e migliore igiene orale, e TN 3 alla necessità di un trattamento complesso (codice 4). Una successiva modifica dell’indice pone l’accento sulla rilevazione delle condizioni parodontali, invece che sulla rilevazione della necessità di trattamento. PREVALENZA DELLE PATOLOGIE PARODONTALI La classificazione attualmente adottata per le patologie parodontali comprende 8 categorie principali: I patologie gengivali II parodontite cronica III parodontite aggressiva IV parodontite come manifestazione di patologie sistemiche V patologie parodontali a evoluzione necrotica VI ascessi del parodonto VII parodontite associata a lesioni endodontiche VIII deformità e condizioni acquisite e dello sviluppo Anche se l’attuale classificazione non considera più l’età del singolo soggetto come un determinante primario della diagnosi, i risultati epidemiologici descrittivi sono stati ancora raggruppati per età, allo scopo di facilitare l’estrazione dei dati da studi che usano terminologie non coerenti. Parodontite nell’adulto Negli anni ’60 Scherp stilava il resoconto della letteratura disponibile sull’epidemiologia delal malattia parodontale concludendo che: -‐ la malattia parodontale sembra essere un importante e globale problema di sanità pubblica che interessa gran parte della popolazione adulta dopo i 35-‐40anni -‐ la patologia inizia in gioventù sotto forma di gengivite, la quale, se non opportunamente trattata, conduce all’insorgere della parodontite progressiva distruttiva -‐ oltre il 90% della varianza della gravità della malattia nella popolazione può essere ricondotto all’età e all’igiene orale. gli studi condotti negli anni ’80 fornivano una descrizione più completa delle caratteristiche sito-‐specifiche della malattia e delle forti variazioni nelle condizioni parodontali registrate fra e presso popolazioni diverse. La questione della prevalenza non veniva più considerata con la semplice assegnazione dei soggetti ai gruppi “affetto da parodontite” o “esente da stato patologico”, sulla base della presenza o dell’assenza di perdita ossea alveolare o d’attacco. Al contrario si iniziavano a dipanare i nodi riguardanti il limite entro il quale la dentatura fosse affetta da patologia distruttiva (cioè la % di siti dentali coinvolti) e la gravità dei difetti (espressa attraverso l’ampiezza della perdita di tessuto di supporto dovuta alla patologia). La tradizionale descrizione di profondità della tasca e degli indici di perdita d’attacco tramite valori medi per soggetto veniva ben presto completata dalle distribuzioni di frequenza, in grado di rilevare le % di siti dentali che mostrano profondità di sondaggio o livello d’attacco di varia gravità. Malattia parodontale nel bambino e nell’adolescente La forma di malattia parodontale che interessa la dentatura decidua, che un tempo veniva definita parodontite prepuberale, è stata segnalata in forma sia generalizzata che localizzata. Criteri relativamente uniformi sono stati adottati da studi epidemiologici sulla parodontite aggressiva nel soggetti giovani, che un tempo veniva definita parodontite giovanile e in particolare sulla sua forma localizzata, già definita parodontite giovanile localizzata. Tipicamente, in questi studi veniva adottato un metodo a due tappe: in primo luogo, venivano realizzate radiografie bite-‐wing per selezionale lesioni ossee adiacenti ai molari e agli incisivi, poi si procedeva a un esame clinico per la verifica della diagnosi. La prevalenza della parodontite aggressiva localizzata varia all’interno di popolazioni diverse dal punto di vista geografico e/o razziale. In varie popolazioni, l’associazione di parodontite aggressiva e abitudine al fumo e a una bassa condizione socioeconomica è stata confermata. La possibilità che la parodontite aggressiva localizzata e la parodontite prepuberale siano condizioni collegate, cioè che la prima sia evoluzione della seconda, ha pure destato interesse. Gli autori hanno concluso che, almeno in alcuni soggetti giovani affetti da parodontite aggressivo, l’inizio della patologia può manifestarsi già nella dentatura decidua. Un altro studio ha dimostrato che la superficie dentale della dentatura decidua più frequentemente colpita da perdita ossea era quella molto prossima alla localizzazione più frequente della parodontite aggressiva nelle fasce d’età giovanili, cioè la superficie mesiale del primo molare permanente. Parodontite e perdita di elementi dentali La perdita di elementi dentali può essere l’ultima conseguenza della malattia parodontale distruttiva. Gli elementi dentali perduti per le conseguenze della patologia non sono ovviamente soggetti a registrazione nelle indagini epidemiologiche e possono dunque indurre a una sottostima della prevalenza e della gravità della patologia. I risultati degli studi indicano che, fino ai 40-‐45 anni, la ragione di fondo di gran parte delle estrazioni è la carie. Tuttavia, nei gruppi di età più avanzata, la malattia parodontale diventa quasi altrettanto responsabile della perdita dentale. In generale, si ritiene che la parodontite rappresenti il 30-‐35% di tutte le estrazioni dentali, laddove la carie e le sue conseguenze arrivano fino al 50%. I fattori di rischio identificati per la perdita dentale includono quindi il fumo, la percezione di una scarsa salute dentale, le caratteristiche socio-‐comportamentali e una scarsa condizione parodontale. FATTORI DI RISCHIO PER LA PARODONTITE Esistono numerose evidenze empiriche e giustificazioni teoriche sostanziali che inducono ad accettare la credenza diffusa che molte patologie abbiano più di una causa, e quindi un’eziologia multifattoriale. Fattori fondamentali non modificabili Età: le evidenze iniziali dimostrano come sia la prevalenza sia la gravità della parodontite aumentino con l’avanzare degli anni, suggerendo così che l’età può rappresentare un indicatore per la perdita di supporto del tessuto parodontale. In particolare, l’associazione fra età e parodontite sembra variare per profondità delle tasche e perdita clinica d’attacco. Mentre con l’avanzare dell’età si manifesta un cospicuo aumento nella perdita d’attacco, l’effetto sulla profondità delle tasche sembra essere minimo. Sesso: non sono state appurate differenze innate fra uomini e donne nella predisposizione alla parodontite, anche se gli uomini sembrano mostrare un peggior livello di salute parodontale rispetto alle donne in studi multipli. Tradizionalmente questa differenza è stata considerata un riflesso dell’applicazione di migliori pratiche di igiene orale e/o dell’aumento di servizi di cura del cavo orale fra le donne. Razza/origine etnica: sono state dimostrate differenze nella prevalenza della parodontite fra vari paesi e attraverso i continenti, ma non è stato documentato alcun modello coerente tra gruppi razziali/ etnici considerando covariate quali l’età e l’igiene orale. razza/origine etnica e condizione socioeconomica sono fortemente interconnesse, a suggerire come l’effetto razziale/etnico osservato possa parzialmente essere attribuito a confondimento nei valori di condizione socioeconomica a causa del significato disuguale degli indicatori socioeconomici tra gruppi razziali/etnici. Polimorfismi del gene: evidenze ricavate da studi classici sui gemelli suggeriscono che i determinanti genetici siano modificatori significativi del fenotipo della parodontite ma il ruolo dei polimorfismi a singolo nucleotide continua ad essere oscuro. Fattori ambientali, acquisiti e comportamentali Microbiota specifico: l’eziologia microbica di gengivite e parodontite è confermata da decine di anni. Contrariamente alle conclusioni di studi precedenti basati sulle colture, dalle quali si evinceva che tali batteri esistessero raramente in cavità orali sane sul piano parodontale e che si comportassero come agenti patogeni esogeni, gli studi in oggetto, che adottavano tecniche molecolari per l’identificazione batterica, dimostrano il contrario. Veniva tuttavia segnalato come sia la prevalenza sia il livello di colonizzazione di questi agenti la coltura batterica. Le caratteristiche più importanti dello sviluppo iniziale della placca sono simili in tutti questi materiali. Le sostanze idrofobe e le macromolecole iniziano a essere adsorbite sulla superficie formando una pellicola condizionante chiamata pellicola acquisita. Questa è composta da una varietà di glicoproteine salivari e anticorpi. Altera la carica elettrica e l’energia libera della superficie che, a sua volta, aumenta l’efficienza dell’aderenza batterica. I batteri aderiscono a queste superfici rivestite in vario modo: strutture d’attacco specifiche, esposizione prolungata, ecc… Dopo che i batteri hanno aderito si ha una crescita cellulare attiva e la sintesi di nuovi componenti della membrana esterna. La massa batterica aumenta di volume in seguito alla continua crescita dei microrganismi già adesi alla superficie, all’adesione di nuovi batteri e alla sintesi di polimeri extracellulari. Con l’aumento di questo spessore la diffusione attraverso il biofilm diventa sempre più difficile. Alla fine si instaurano condizioni di completa anaerobiosi negli strati più profondi dei depositi. L’ossigeno è un fattore ambientale importante perché la capacità dei batteri di crescere e moltiplicarsi varia in base ai diversi livelli di questo elemento. I prodotti alimentare dissolti nella saliva sono un’importante fonte di fattori nutritivi per i batteri che si trovano nella placca sopragengivale. Tuttavia, una volta formatisi una tasca parodontale più profonda, cambiano le condizioni nutritive per i batteri, dato che la penetrazione nella tasca delle sostanze dissolte nella saliva è molto limitata. La colonizzazione primaria è dominata dai cocchi anaerobi facoltativi gram-‐positivi. Poco tempo dopo la pulizia meccanica essi aderiscono alle superfici ricoperte di pellicola. La placca formatisi dopo 24 ore è costituita prevalentemente da streptococchi; S.sanguis è il più importante. Nella fase seguente i bastoncelli gram-‐positivi, che inizialmente sono molto pochi, aumentano gradualmente e alla fine sono più numerosi degli streptococchi. I batteri filamentosi gram-‐positivi (actinomyces) rappresentano le specie dominanti in questo stadio di sviluppo della placca. I recettori di superficie consentono una successiva aderenza dei microrganismi gram-‐negativi, che difficilmente riescono ad attaccarsi direttamente alla pellicola. Quindi l’eterogeneità della placca aumenta gradualmente e con il tempo include numerosi microrganismi gram-‐negativi. Come risultato si ha una complessa gamma di specie in relazione fra loro. L’accumulo di placca lungo il margine gengivale porta a una reazione infiammatoria dei tessuti molli. La presenza di questa infiammazione ha una profonda influenza sull’ambiente locale. Riassumendo: immediatamente dopo che superfici dure e non esfoliabili vengono immerse nell’ambiente fluido della cavità orale, l’adsorbimento delle macromolecole porta alla formazione di una biopellicola più comunemente detta biofilm. L’aderenza batterica a questo strato glicoproteico coinvolgerà prima di tutto i costituenti primitivi della placca primaria, come i bastoncelli e i cocchi gram-‐positivi facoltativi. La successiva colonizzazione sui recettori di questi microrganismi avverrà a opera dei batteri gram-‐negativi strettamente anaerobi, mentre anche i costituenti primitivi della placca si moltiplicheranno formando colonie. L’eterogeneità di questo complesso biofilm aumenta con il tempo, parallelamente al mutamento graduale delle condizioni ambientali. TARTARO Di solito, rappresenta la mineralizzazione della placca batterica. Quello sopragengivale è una massa di moderata durezza il cui colore può variare dal biancastro al giallo scuro e perfino al marrone. Il grado di formazione del tartaro non dipende solo dalla quantità di placca batterica presente, ma anche dalla secrezione delle ghiandole salivari. Quindi il tartaro sopragengivale si trova soprattutto nelle adiacenza dei dotti secretori delle principali ghiandole salivari, per esempio sulla superficie linguale dei denti mandibolari anteriori e sulla superficie buccale dei primi denti molari superiori, dove i dotti della ghiandola parotide si aprono nel vestibolo orale. bisogna notare che il tartaro ospita continuamente una placca batterica vitale. La presenza di tartaro sottogengivale può essere rilevata solo con l’esplorazione tattile, dato che la sua formazione avviene apicalmente al margine gengivale, e quindi non è generalmente visibile a occhio nudo. Talvolta può essere visibile nelle rx, ammesso che i depositi presentino una massa adeguata. Il tartaro sottogengivale si trova nella maggior parte delle tasche parodontali e in gengere si estende dalla giunzione smalto-‐cemento fino a raggiungere quasi il fondo della tasca. La mineralizzazione della placca differisce notevolmente da individuo a individuo e varia anche in base alle diverse regioni della cavità orale. in alcuni soggetti il tempo richiesto per la formazione del tartaro sopragengivale è di 2 settimane, dopo di che il deposito può già contenere circa l’80% del materiale inorganico che si trova nel tartaro maturo. L’evidenza della mineralizzazione può essere presente già dopo qualche giorno. Ciononostante, la formazione del tartaro con la composizione cristallina matura del tartaro vecchio può richiedere mesi o perfino anni. Il tartaro rappresenta un prodotto secondario dell’infezione e non una causa primaria della parodontite, dato che in presenza di essudato infiammatorio nella tasca la placca sopragengivale si trasforma in saliva mineralizzata e placca sottogengivale. Generalmente aderisce saldamente alle superfici dei denti. La ragione risiede nel fatto che anche la pellicola posta sotto la placca batterica si calcifica. Inoltre anche le irregolarità di superficie del dente sono penetrate dai cristalli di tartaro, quindi esso tende a essere bloccato contro il dente. Associazione tartaro-‐parodontite: bisogna considerare che il tartaro è sempre coperto da uno strato non mineralizzato di placca batterica vitale. Il tartaro non può essere una causa primitiva di malattia parodontale. Il suo effetto sembra secondario, dato che fornisce una configurazione della superficie ideale per un ulteriore accumulo di placca e una successiva mineralizzazione. Tuttavia i depositi di tartaro possono svilupparsi in aree che sono difficili da raggiungere durante le pratiche di igiene orale oppure possono metterle addirittura a repentaglio (per la grandezza dei depositi). Il tartaro può anche amplificare gli effetti della placca batterica mantenendo i depositi in stretto contatto con la superficie dei tessuti, influenzando così sia l’ambiente per i batteri sia la risposta dei tessuti. Riassumendo, il tartaro è placca batterica mineralizzata. È sempre coperto da placca batterica vitale non mineralizzata e quindi non entra direttamente in contatto con i tessuti gengivali. Dunque è un fattore eziologico secondario di parodontite. La sua presenza in ogni caso impedisce un’adeguata rimozione della placca e impedisce ai pazienti di attuare un adeguato controllo della placca. È il fattore più importante nella ritenzione della placca e la sua rimozione rappresenta la base per una corretta terapia parodontale e un’adeguata profilassi. PATOGENESI DELLA PARODONTITE Le reazioni infiammatorie e quelle immunitarie nei confronti della placca microbica rappresentano le caratteristiche predominanti della gengivite e della parodontite. Nel parodonto colpito la reazione infiammatoria è osservabile sia a livello clinico sia a livello microscopico. I processi infiammatori agiscono sui tessuti gengivali proteggendoli dagli attacchi microbici a livello locale ed evitano ai microrganismi o ai loro prodotti nocivi di diffondersi nei tessuti o di invaderli. Anche le reazioni di difesa dell’ospite sono tuttavia considerate potenzialmente dannose per l’ospite stesso, perché l’infiammazione può danneggiare le cellule circostanti e le strutture del tessuto connettivo. Inoltre, le reazioni infiammatorie e quelle immunitarie che si estendono profondamente, oltre la giunzione smalto-‐cemento, possono implicare la perdita d’attacco di tessuto connettivo al dente coinvolto, nonché la perdita d’osso alveolare. Quindi tali processi difensivi possono paradossalmente contribuire alla maggior parte delle lesioni tissutali che si osservano nel corso della gengivite e della parodontite. Una caratteristica importante è che il processo difensivo nei tessuti parodontali si manifesta in risposta a grandi quantità e varietà di microbi residenti in forma di comunità all’interno di un biofilm sulla superficie dentale, quindi situati accanto invece che all’interno della gengiva. La patogenicità dei microrganismi è correlata tanto alla particolare capacità innata e/o infiammatoria e/o immunitaria del singolo ospite quanto alla virulenza dei batteri stessi. Gli studi epidemiologici hanno evidenziato che, persino in uno stesso individuo, la gravità di una lesione al tessuto parodontale varia sovente da dente a dente e da una superficie dentale a un’altra. Ciascun sito colpito della bocca rappresenta un microambiente individualizzato o specifico. In alcuni siti la lesione infiammatoria può essere limitata alla gengiva (gengivite) per periodi di tempo prolungati senza che si manifesti nessuna progressione della malattia all’interno dei tessuti più profondi. In altre zone può verificarsi un’attiva distruzione parodontale (parodontite) e ciò può essere la conseguenza di un’ampia gamma di fattori pertinenti all’ospite e al parassita. A tutt’oggi non è ancora chiaro perché in alcuni pazienti le lesioni infiammatorie restino confinate alla porzione dei tessuti gengivali, mentre in altri soggetti predisposti le stesse lesioni progrediscano fino a coinvolgere più porzioni apicali del parodonto e causare la perdita di attacco di tessuto connettivo e di osso alveolare. È chiaro che nelle lesioni distruttive si verifica un certo squilibrio della relazione ospite-‐parassita. Tale squilibrio può essere specifico di un sito e più genericamente dei soggetti predisposti alla gengivite e alla parodontite. GENGIVA CLINICAMENTE SANA È un termine usato per descrivere il livello di salute gengivale raggiungibile da pazienti che praticano meticolosamente la propria igiene orale. la gengiva clinicamente sana evidenzia costantemente un leggero infiltrato di cellule infiammatorie che interessa sia l’epitelio giunzionale sia il tessuto connettivo sottostante. Tale reazione infiammatoria si manifesta in risposta alla presenza continua di prodotti batterici nella regione del solco gengivale. La piccola lesione infiammatoria ospita anche linfociti e macrofagi. I siti con gengiva clinicamente sana sembrano affrontare stimolazioni microbiche continue senza progredire verso la gengivite clinica (arrossamento, tumefazione, sanguinamento al sondaggio) probabilmente a causa di numerosi fattori difensivi quali: la barriera intatta costituita dall’epitelio giunzionale; la regolare esfoliazione di cellule epiteliali; il flusso positivo di fluido verso il solco gengivale in grado di rimuovere i microrganismi non attaccati e i prodotti nocivi; la presenza GCF di anticorpi verso i prodotti microbici; funzione fagocitica dei neutrofili e dei macrofagi; effetto dannoso su microbi esercitato dal complemento. Si avrà una gengivite quando l’accumulo e la ritenzione di placca saranno tali da permettere ai prodotti microbici di dare inizio a una risposta infiammatoria sostanziale. Le lesioni caratteristiche della gengivite occupano un volume maggiore di quelle presenti nella gengiva clinicamente sana e sono accompagnate da una più pronunciata perdita di collagene. La risposta alla gengivite farà iniziare e continuare altre risposte immunitarie contro i microrganismi orali. In alcuni siti, la gengivite può persistere per molti anni senza causare perdita apprezzabile di attacco parodontale, distruzione del legamento parodontale o perdita ossea. Chiaramente in certi individui e siti, dalle lesioni gengivali finirà per svilupparsi una parodontite. INFIAMMAZIONE GENGIVALE Le fasi classiche di infiammazione acuta e cronica non sono facilmente applicabili alla malattia parodontale perché probabilmente nella gengiva clinicamente sana è già presente una piccola lesione simile a una reazione infiammatoria acuta. Negli stadi precoci della gengivite, nonostante i sintomi clinici possano apparire poco evidenti, a livello istopatologico si hanno alterazioni nella rete vascolare e molti letti capillari si aprono. DIVERSI TIPI DI LESIONE NELLA GENGIVITE E NELLA PARODONTITE Classificazione della lesione gengivale/parodontale in 4 fasi o lesioni: iniziale, precoce, stabilizzata e avanzata. Lesione iniziale Se si lascia depositare la placca sul terzo gengivale della superficie del dente, si sviluppa rapidamente un’infiammazione. Nell’arco di 24 ore avvengono notevoli cambiamenti nel plesso microvascolare sotto l’epitelio giunzionale, poiché nella zona affluisce una maggior quantità di sangue. Ne risulta un aumento della permeabilità così che le proteine e conseguentemente i fluidi possono riversarsi nei tessuti. Il flusso di GCF aumenta. Le sostanze nocive emesse dal biofilm vengono diluite sia nel tessuto sia nel solco gengivale. I batteri e i loro prodotti possono essere sciacquati via dal solco gengivale e finire nella saliva. Nei primi 2-‐4 giorni di accumulo della placca la risposta cellulare sarà probabilmente ben consolidata e mantenuta da sostanze chemiotattiche originate sia dai microbi della placca sia dalle cellule e dalle secrezioni dell’ospite. Lesione precoce una successiva e alquanto diversa lesione gengivale si manifesta dopo circa 7giorni di accumulo della placca. I vasi sotto l’epitelio giunzionale rimangono dilatati, ma aumentano di numero a causa dell’apertura dei letti capillari che prima erano inattivi. Le dimensioni aumentate e la maggior quantità delle unità microvascolari si riflettono in un maggior arrossamento della gengiva marginale, sintomo clinico caratteristico durante questa fase. Le cellule basali dell’epitelio giunzionale e sulculare sono ora in attiva proliferazione. Ciò rappresenta un tentativo dell’organismo di rinforzare la barriera meccanica opposta ai batteri della placca e i loro prodotti. La cosiddetta lesione precoce può perdurare a lungo e la variabilità nel tempo necessario a produrre una lesione stabilizzata può riflettere varianza nella predisposizione da soggetto a soggetto. Lesione stabilizzata Quando l’esposizione della placca persiste, aumenta notevolmente la risposta infiammatoria del tessuto gengivale. Il flusso del GCF aumenta. Il tessuto connettivo viene trasmigrato da una quantità maggiore di leucociti. la perdita di collagene continua man mano che l’infiltrato di cellule infiammatorie si espande, creando così spazi privi di collagene che si spingono sempre più in profondità nei tessuti i quali, a questo punto, sono disponibili all’infiltrazione e all’accumulo dei leucociti. L’epitelio dentogengivale continua a proliferare e si estende più in profondità nel tessuto connettivo con numerose digitazioni, nel tentativo di mantenere la propria integrità e formare una barriera che impedisca ai microbi di penetrare. L’epitelio giunzionale è sostituito da epitelio della tasca e non è più saldamente aderente alla superficie del dente. Ciò permette un’ulteriore migrazione apicale del biofilm. Sembrano esistere due tipi di lesione stabilizzata: un primo tipo che rimane stabile e non progredisce per mesi o anni, e un secondo tipo che diventa più attivo e si trasforma più rapidamente in una lesione avanzata progressiva e distruttiva. Lesione avanzata Quando la tasca diventa più profonda, la placca continua la sua crescita in direzione apicale e prospera in questa nicchia ecologica anaerobica. I tessuti gengivali oppongono una resistenza ridotta al sondaggio parodontale. L’infiltrato infiammatorio cellulare si estende ancor più apicalmente nei tessuti connettivi. La lesione avanzata ha molte caratteristiche della lesione stabilizzata, ma rispetto a questa differisce in maniera importante perché si manifestano la perdita di tessuto connettivo e di osso alveolare. Il danno arrecato alle fibre collagene è esteso. La lesione non è più localizzata ai tessuti gengivali ma le cellule infiltrate si estendono lateralmente e apicalmente nel tessuto connettivo del vero apparato di attacco. Nella progressione dallo stato di salute alla gengivite e poi alla parodontite vi sono numerosi fattori, non ancora noti, che influenzano i tempi di sviluppo. Si ha inoltre una grande variabilità tra i diversi individui e tra i diversi siti, sia per quanto riguarda i fattori aggravanti sia per la suscettibilità propria individuale. TRAUMA DA OCCLUSIONE Trauma da occlusione è un termine usato per descrivere alterazioni patologiche o modificazioni adattative che si sviluppano nel parodonto come risultato di una forza impropria prodotta dal muscoli masticatori. Oltre ad arrecare danni al tessuto parodontale, una forza occlusiva eccessiva può anche produrre effetti nocivi sull’articolazione temporomandibolare, sui muscoli masticatori e sul tessuto pulpare. dei forami apicali. Le lesioni di questa natura, dunque, rimangono sotto forma di processi cronici, a meno di essere sottoposte a trattamento. Poiché il più delle volte il processo infiammatorio è localizzato nei pressi degli apici radicolari, si usa il termine parodontite apicale. Poiché le lesioni possono svilupparsi anche sulle facce laterali delle radici, in questo testo “lesione endodontica” sarà usato per indicare una lesione parodontale ovunque essa sia collocata, che sia sostenuta da elementi nocivi di origine endodontica. La forma e il carattere della risposta del tessuto parodontale a un’infezione del canale radicolare possono variare. Le lesioni presuppongono spesso un’estensione stabile e limitata intorno agli apici della radice e/o agli orifizi dei canali accessori. Il processo infiammatorio può allora mantenere dimensioni invariate per anni, anche se una trasformazione cistica può provocare una notevole distruzione dell’osso alveolare. Tuttavia, l’espansione precoce di una lesione emergente, o l’esasperazione acuta di una lesione cronica, possono provocare un’ampia e veloce distruzione dell’apparato d’attacco. Il carattere del microbiota infettante, la sua attività metabolica e i fattori di virulenza che produce, uniti alla capacità della difesa ospite di limitare e neutralizzare gli elementi batterici, sono parametri importanti che decidono il corso del processo infiammatorio. Di norma, i singoli organismi non sono in grado di causare tali lesioni, che sono invece prodotte da gruppi di organismi. Il microbiota endodontico associato a lesioni asintomatiche sembra essere meno aggressivo. Tale circostanza è probabilmente da collegare al rigido contenuto nutrizionale di norma prevalente nei canali radicolari, che colloca gli organismi in un basso stato di attività metabolica. I processi infiammatori del parodonto associati alle polpe dentali necrotiche hanno un’eziologia infiammatoria simile a quella della malattia parodontale. Una differenza essenziale fra le due entità patologiche è la loro diversa fonte d’infezione. mentre la malattia parodontale è mantenuta da accumuli batterici nella regione dentogengivale, le lesioni endodontiche sono orientate verso gli elementi infiammatori rilasciati dallo spazio pulpare. Gli organismi batterici nelle infezioni endodontiche sono solitamente limitati allo spazio del canale radicolare. Si possono trovare anche nel tessuto molle della lesione per sé, sia come cluster sia come aggregazioni batteriche sulla radice esterna. Raramente le lesioni endodontiche coinvolgono il parodonto marginale, se non in presenza di un ascesso. Nella sua forma stabilizzata, la lesione endodontica è chiaramente localizzata e costituisce un’importante area di protezione immunologicamente attiva per impedire la diffusione di agenti patogeni endodontici ai tessuti circostanti. EFFETTI DELLA MALATTIA PARODONTALE E DELLA TERAPIA PARODONTALE SULLE CONDIZIONI PULPARI Influenze della malattia parodontale La formazione di placca batterica su superfici radicolari esposte, in seguito alla malattia parodontale, è potenzialmente in grado di indurre infiammazione nella polpa lungo le stesse vie usate in senso inverso dall’infezione endodontica per interessare il parodonto. In questo modo, i prodotti batterici e le sostanze rilasciate dal processo infiammatorio nel parodonto possono accedere alla polpa attraverso i canali accessori esposti e i forami apicali, così come i tubuli dentinali. Non esiste una chiara associazione tra malattia parodontale e coinvolgimento pulpare. La documentazione disponibile suggerisce che le funzioni vitali della polpa siano raramente minacciate da influssi da malattia parodontale. Nei denti con moderato cedimento dell’apparato d’attacco, di norma la polpa si mantiene sana. Il coinvolgimento pulpare presumibilmente non avviene fino a quando il processo della malattia parodontale non ha raggiunto una fase terminale, cioè quando la placca e il processo infiammatorio parodontale sono avanzati fino a raggiungere i forami apicali principali, ragione per la quale si è avviata una lesione pulpare infiammatoria distruttiva involutiva. Di conseguenza, finchè il rifornimento di sangue attraverso il forame apicale rimane intatto, di norma la polpa è in grado di resistere agli elementi nocivi rilasciati dalla lesione parodontale. Influenza delle misure di trattamento parodontale sulla polpa La pulizia sottogengivale di radici/tasche nella terapia parodontale, realizzata con strumentazione a mano o a ultrasuoni, è indispensabile per il trattamento della malattia parodontale. Tuttavia, questo trattamento è associato a un certo numero di effetti collaterali indesiderati. Oltre alla recessione dei tessuti gengivali, che produce esposizione delle superfici radicolari, anche la strumentazione per sé può involontariamente rimuovere il cemento radicolare e gli strati superficiali di dentina. Ne consegue che un gran numero di tubuli dentinali vengono esposti all’ambiente orale, poiché le superfici radicolari trattate di norma sono lasciate non protette. Il successivo contatto con gli elementi microbici della cavità orale è potenzialmente nocivo per la polpa, potendosi verificare un’invasione batterica dei tubuli dentinali esposti. Durante la fase di mantenimento della terapia parodontale, esistono ragioni per limitare la ripetizione delle strumentazioni, poiché una certa quota supplementare di dentina verrà sempre rimossa. La terapia può provocare l’indebolimento della struttura dentale, e anche una vasta formazione di dentina riparatrice nella polpa. I risultati ottenuti dalle osservazioni cliniche e dagli esperimenti sostengono l’ipotesi che, di norma, le procedure di pulizia sottogengivale di tasche/radici non minacciano la vitalità pulpare. Possono verificarsi alterazioni infiammatorie localizzate adiacenti alle superfici radicolari strumentate, seguite da riparazione tissutale sotto forma di depositi di tessuto duro sulle pareti del canale radicolare. Ipersensibilita’ della dentina radicolare I pz in terapia parodontale trattati con pulizia sottogengivale di radici/tasche possono avvertire frequentemente la sensibilità dei denti trattati sottoposti a stimoli evaporativi, tattili, termici e osmotici. Solitamente i sintomi si sviluppano e raggiungono l’apice durante la prima settimana, per poi calare o sparire nelle settimane successive; anche se sgradevoli, nella maggior parte dei casi sono un problema provvisorio. Occasionalmente, la circostanza può trasformarsi in un problema di dolore cronico che può persistere per mesi o anni. I pz sembrano essere particolarmente a rischio dopo un intervento di chirurgia parodontale. Il principale sintomo iniziale è il dolore acuto che si instaura rapidamente e che sparisce dopo la rimozione dello stimolo. Nei casi può gravi e di vecchia data, possono verificarsi periodi più o meno lunghi di dolore persistente, sordo o lancinante. Questi sintomi di carattere pulpitico possono essere localizzati non solo sul/i dente/i in questione, ma su entrambi i quadranti dei mascellari. Anche un contatto minimo con uno spazzolino da denti può provocare un dolore intenso, in circostanza non solo sgradevole, che rischia di ostacolare l’adozione di misure igieniche orali adeguate. Il fatto che le superfici radicolari si mostrino sensibili a una varietà di stimoli esterni dopo la strumentazione parodontale, non sorprende, poiché i tubuli dentinali vengono esposti all’ambiente orale e sono soggetti alle forze idrodinamiche. Una vasta gamma di stimoli dolorifici (evaporativi, tattili, termici, osmotici) può dunque causare improvvisi spostamenti dei fluidi nei tubuli esposti, inducendo così una sensazione dolorosa secondo la teoria idrodinamica della sensibilità della dentina. Tuttavia non si spiega perché i sintomi aumentino col tempo e perché il dolore possa prevalere in alcuni pazienti e determinati denti. L’aumento dell’intensità del dolore può avere una o entrambe le seguenti spiegazioni. In primo luogo, lo strato di detriti (smear layer) che si forma sulla superficie radicolare viene eliminato in pochi giorni. A sua volta, questo aumenta la conduttanza idraulica dei tubuli coinvolti, facendo così diminuire la resistenza periferica alla quantità di fluido che attraversa la dentina. Le sensazioni di dolore vengono dunque più facilmente evocate. Secondariamente, i tubuli dentinali aperti servono da vie di trasporto diffuso degli elementi batterici della cavità orale verso la polpa, causando una possibile risposta pulpare infiammatoria localizzata. L’ipersensibilità della dentina radicolare si manifesta frequentemente come disturbo sgradevole, e a volte difficile da trattare, in seguito alla levigatura e al planing radicolare della terapia parodontale. Anche se l’esatto meccanismo non è ben chiaro, la circostanza è evidentemente collegata all’apertura dei tubuli dentinali che permettono ai meccanismi idrodinamici di provocare sensazioni di dolore dietro stimolo esterno. Probabilmente sia le sensibilizzazioni periferiche sia quelle centrali possono contribuire ai sintomi più intensi e prolungati di dolore che alcuni pazienti sperimentano dopo l’esposizione della dentina radicolare. La diagnosi e la programmazione del trattamento dovrebbero tenere in considerazione i fattori eziologici contribuenti, incluso un eccessivo consumo di alimenti acidi. L’ipersensibilità della dentina radicolare dovrebbe essere controllata anche a fronte di altre condizioni che provocano analoghi sintomi, eliminando così denti incrinati, margini incapaci di contenere restauri, carie nel dente o nei denti vicini, nonché traumi da occlusione. Sono disponibili numerosi tipi di trattamento sia in ambulatorio sia da banco. Alcuni mirano a ostruire la pervietà tubulare della dentina radicolare esposta, altri tentano di diminuire l’eccitabilità dei nervi intradentali per ottenere una trasmissione ridotta del dolore. I risultati del trattamento non sono predicibili, ed è comunque possibile ottenere solo una condizione provvisoria di sollievo. PRINCIPI RIGENERATIVI DEL TESSUTO PARODONTALE GUARIGIONE DELLA FERITA PARODONTALE La rigenerazione del parodonto deve comprendere anche la formazione di nuovo cemento con fibre collagene inserite sulle superfici radicolari interessate precedentemente da parodontite e la ricrescita dell’osso alveolare. È ancora materia di discussione se la ricrescita dell’osso alveolare rappresenti un requisito fondamentale per la buona riuscita di un intervento chirurgico rigenerativo, perché anche una dentizione normale, non colpita da parodontite, può presentare, in presenza di deiscenze ossee e fenestrazioni, un attacco fibroso privo della parete ossea contrapposta. Dopo la chirurgia a lembo, la superficie radicolare curettata può essere ripopolata da 4 diversi tipi di cellule: -‐ epiteliali -‐ derivate dal tessuto connettivo gengivale -‐ derivate dal tessuto osseo -‐ derivate dal legamento parodontale nella maggior parte dei tentativi volti a risparmiare il sostegno dentale andato perduto, negli anni passati si è dedicata molta attenzione alla rigenerazione dell’osso alveolare. Da numerosi studi si evince che le cellule chiave della rigenerazione parodontale sono quelle del legamento parodontale e non quelle del tessuto osseo. Capacita’ rigenerativa delle cellule ossee Sulla base di alcuni risultati ottenuti da studi, si è concluso che il tessuto derivato dall’osso è sprovvisto di cellule in grado di produrre un nuovo attacco connettivale. Capacita’ rigenerativa delle cellule del tessuto connettivo gengivale Si è concluso che anche il tessuto connettivo gengivale è sprovvisto di cellule potenzialmente in grado di produrre un nuovo attacco di tessuto connettivo. Capacita’ rigenerativa delle cellule del legamento parodontale La prova definitiva che le cellule progenitrici del nuovo attacco risiedono nel legamento parodontale è stata fornita da studi nei quali si sono posizionati impianti dentali di titanio a contatto con gli apici di radici residue, il cui legamento parodontale rappresentava una fonte di cellule che avrebbero successivamente popolato la superficie dell’impianto durante il processo di guarigione. L’esame microscopico ha dimostrato che sulle superfici degli impianti si era formato uno strato ben distinguibile di cemento con fibre collagene inserite e che queste, spesso orientate perpendicolarmente alla superficie, erano inserite nell’osso adiacente. Dopo la guarigione, gli impianti di controllo posizionati senza contatto con le radici residue, presentavano le caratteristiche tipiche della osteointegrazione (contatto diretto tra osso e superficie dell’impianto). Ulteriori prove della capacità del legamento parodontale di produrre un nuovo attacco in tessuto connettivo sono state recentemente fornite da altri studi. Esiste pertanto una forte evidenza che le cellule progenitrici per la formazione di cemento risiedono nel legamento parodontale e non nell’osso alveolare, come si era ritenuto in precedenza. Ruolo dell’epitelio nella guarigione della ferita parodontale Alcuni risultati indicano che la migrazione apicale dell’epitelio riduce il guadagno coronale di attacco, impedendo evidentemente alle cellule del legamento di ripopolare la superficie radicolare. Durante il periodo di guarigione successivo alla maggior parte delle tecniche di chirurgia a lembo e di innesto applicate nella terapia rigenerativa parodontale, si verifica, anche se in misura diversa, lo sviluppo dell’epitelio all’interno della lesione parodontale, il che può giustificare la differenza tra i risultati ottenuti. Riassorbimento della radice Il motivo per cui il riassorbimento della radice si presenta raramente è che, durante il processo di guarigione, l’epitelio dento-‐gengivale migra apicalmente lungo la superficie radicolare andando a formare una barriera protettiva. ESAME DEL PAZIENTE AFFETTO DA PATOLOGIE PARODONTALI ANAMNESI L’anamnesi del paziente è uno strumento rilevatore, fondamentale per pianificare un trattamento completo e capire le necessità e la condizione sociale ed economica del paziente, così come le sue condizioni mediche generali. Prima dell’esame iniziale il pz può compilare un questionario sul proprio stato di salute. L’accertamento dell’anamnesi del paziente richiede la valutazione delle 6 aree seguenti: disturbi principali, anamnesi familiare e sociale, anamnesi dentale, abitudini di igiene orale, storia di abitudine al fumo e anamnesi clinica e cure mediche. Rendersi conto delle necessità del paziente e dei suoi desideri rispetto al trattamento riveste un’importanza fondamentale. Risultati ottimali di trattamento si possono realizzare solo se le richieste del pz sono in equilibrio con la valutazione obiettiva della patologia e gli esiti di trattamento previsti. Le aspettative del pz devono quindi essere prese seriamente in considerazione e inserite nella valutazione generale, conformemente alla sua situazione clinica. È opportuno chiarire quale sia il suo ambiente sociale e identificare la sua posizione rispetto alle priorità nella vita, incluso il suo atteggiamento rispetto alle cure dentali. Può essere poi importante accertare l’anamnesi familiare in particolar modo rispetto alle forme aggressive di parodontite. L’anamnesi deve includere l’accertamento delle cure dentali e delle visite di controllo pregresse, qualora esse non siano già state dichiarate dal dentista che ha inviato il pz in consultazione. È necessario reperire informazioni riguardo a segni e sintomi di parodontite notati dal paziente, quali la migrazione e l’aumento della mobilità dentale, il sanguinamento gengivale, la compressione del cibo tra i denti e le difficoltà masticatorie. Vengono anche determinati il livello di comfort della masticazione e l’eventuale necessità di sostituire elementi dentali. È opportuno determinare la conoscenza dei dispositivi di pulizia interdentale e degli agenti chimici di supporto, oltre all’indagine sui trattamenti dentali di routine a cura del paziente (inclusi frequenza e durata dei lavaggi quotidiani). Occorre raccogliere le informazioni riguardanti le abitudini al fumo, inclusi i dettagli sui tempi di esposizione e sulle quantità consumate, dato che è stato documentato che dopo il controllo inadeguato della placca, il fumo di sigaretta è il secondo fattore di rischio per l’eziologia e la patogenesi delle patologie parodontali. DIAGNOSI DI LESIONE PARODONTALE Sulla base delle info riguardanti lo stato delle varie strutture parodontali (gengiva, legamento, osso), è possibile stabilire una classificazione del paziente, così come una diagnosi delle condizioni parodontali riguardo a ciascun dente. Le diagnosi possibili sono: -‐ gengiviteà adatta per i denti che mostrano un sanguinamento al sondaggio. Di norma la profondità del solco si ferma a 1-‐3mm, indipendentemente dal livello clinico d’attacco. In caso di profondità leggermente superiori, possono esistere “pseudotasche” senza una perdita concomitante d’attacco e d’osso alveolare e presenza/assenza di BoP. La diagnosi di gengivite caratterizza lesioni normalmente limitate al margine gengivale -‐ parodontite superficialeà (lieve-‐moderata) la gengivite abbinata a perdita d’attacco è parodontite. In presenza di PPD non superiore a 6mm, viene emessa una diagnosi di parodontite lieve-‐moderata, indipendentemente dalla morfologia delle lesioni parodontali. Tale diagnosi può dunque essere formulata in presenza di denti con perdita “orizzontale” di tessuti di supporto (lesioni sovraossee) e/o di denti con perdita “angolare” o “verticale” di tessuti di supporto (lesioni infraossee). Le lesioni infraossee comprendono difetti infraossei a una, due e tre pareti nonché createri tra due denti adiacenti. -‐ Parodontite profondaà (avanzata) a fronte di un PPD maggiore di 6mm viene emessa una diagnosi di parodontite avanzata, indipendentemente dalla morfologia delle lesioni parodontali. Come per la parodontite lieve-‐moderata, questa diagnosi include la perdita d’osso, sia alveolare angolare sia orizzontale. La differenza tra parodontite lieve-‐moderata e avanzata si basa solo sull’aumento di PPD. -‐ Parodontite interradicolareà (nell’area della forcazione) ai denti a radice multipla con FI possono essere attribuite ulteriori diagnosi: FI superficiale se PPD orizzontale ≤3mm (parodontite superficiale interradicolare) e FI profondo se PPD orizzontale >3mm (parodontite interradicolare profonda). CONDIZIONI DI IGIENE ORALE È necessario anche valutare le pratiche di igiene orale messe in atto dal pz. L’assenza o la presenza di placca viene registrata in maniera dicotomica su ogni superficie dentale. I depositi batterici possono essere macchiati con una soluzione rivelatrice che ne facilita l’identificazione. La presenza di placca viene segnata negli appositi campi dello schema placca. L’indica di placca medio per la dentatura è espresso in %. ULTERIORI ESAMI DENTALI Oltre ad accertare l’esistenza della placca, occorrerebbe verificare anche quella dei relativi fattori di accumulo, quali la presenza di tartaro sopra e sotto-‐gengivale e di restauri dentali con margini difettosi. Per la pianificazione complessiva del trattamento è anche essenziale accertare la presenza di sensibilità dentale. La sensibilità alla percussione può segnalare la presenza di alterazioni acute nella vitalità pulpare e indicare la necessità di un trattamento di emergenza, prima di una terapia parodontale sistematica. È ovvio che un esame completo e l’accertamento delle condizioni del paziente devono includere la ricerca di lesioni cariose dal punto di vista sia clinico sia radiografico. CONTROLLO MECCANICO DELLA PLACCA SOPRAGENGIVALE IMPORTANZA DELLA RIMOZIONE DELLA PLACCA SOPRAGENGIVALE La placca dentale è un biofilm batterico non facilmente asportabile dalla superficie del dente. I prodotti dei batteri che compongono il biofilm sono noti per avviare reazioni a catera intese a proteggere l’ospite, ma anche a distruggere i tessuti. La placca può essere sopragengivale o subgengivale, aderire o non aderire al dente o al tessuto. inoltre la composizione microbica della placca varia da individuo a individuo e da sito a dito nella bocca dello stesso individuo. La placca sopragengivale è esposta alla saliva e ai naturali meccanismi autopulenti della cavità orale. l’attrito da masticazione può produrre un effetto limitante sull’estensione della placca in senso occlusale e incisale. Per conservare la salute orale comunque devono essere adottate regolarmente pratiche personali di rimozione della placca. Il metodo più diffuso a domicilio è l’uso dello spazzolino. Le misure igieniche di prevenzione orale sono tanto importanti quanto relativamente inefficaci, se applicate in via esclusiva per trattare forme moderate e gravi di parodontite. D’altra parte, in assenza di un livello sufficiente d’igiene orale negli individui soggetti alla parodontite, una volta che questa si è instaurata la salute parodontale tende a deteriorarsi, ed è possibile che si verifichi un’ulteriore perdita d’attacco. Attualmente, sia la prevenzione primaria della gengivite sia la prevenzione primaria e secondaria della parodontite si basano sul raggiungimento di un livello sufficiente di rimozione della placca. Il concetto di prevenzione primaria della gengivite presuppone che questa sia il precursore della parodontite, il cui insorgere viene impedito mantenendo le gengive sane. AUTOCONTROLLO DELLA PLACCA Il termine igiene orale personale definisce le pratiche eseguite dal pz per rimuovere la placca sopragengivale. Nell’opinione pubblica esiste una crescente consapevolezza del valore delle buone pratiche per la salute orale. Culture diverse hanno adottato diversi dispositivi di pulizia. L’uso dello spazzolino da denti oggi rappresenta la pratica più diffusa di igiene orale. lo spazzolamento da solo però non garantisce una pulizia interdentale sufficiente, perché riesce a raggiungere solo le superfici facciali, orali e occlusali del dente. L’educazione all’igiene orale è essenziale per la prevenzione primaria della gengivite. Senza compliance, intesa come grado di adesione al regime prescrittogli da un professionista dentale, il pz non otterrà buoni risultati dal trattamento. Non esiste una tecnica d’igiene orale adatta a tutti i pz. La morfologia della dentatura, il tipo e la gravità della distruzione dei tessuti parodontali, nonché la manualità del pz, determinano il tipo di sussidio igienico e la tecnica di pulizia da raccomandare. Non esiste un consenso unanime sulla frequenza ottimale nell’uso dello spazzolino da denti. Si ignora ogni quanto tempo e quanta placca debba essere rimossa per evitare l’insorgenza della patologia dentale. La maggioranza delle persone non è in genere in grado di rimuovere per intero la placca dentale attraverso lo spazzolamento quotidiano. La frequenza minima delle operazioni di pulizia dentale, per invertire il corso della gengivite sperimentalmente indotta, è una volta al giorno o ogni due giorni. In uno studio, nei gruppi di studenti che si pulivano correttamente i denti una volta al giorno o ogni due, le gengive guarivano in 7-‐10giorni. Da un punto di vista pratico, normalmente si consiglia di pulire i denti con lo spazzolino 2 volte al giorno, non solo per rimuovere la placca ma anche, con l’uso del dentifricio, per applicare il fluoruro necessario a prevenire la carie. Nonostante la maggioranza sostenga di lavarsi i denti almeno 2 volte al giorno, sia dagli studi epidemiologici sia da quelli clinici emerge chiaramente che le procedure meccaniche d’igiene orale applicate da gran parte dei soggetti non bastano a controllare la formazione della placca sopragengivale e a prevenire la gengivite e le forme più gravi della patologia parodontale. Gli autori osservavano che in 2 minuti veniva raggiunto l’optimum dell’efficacia di rimozione sia con gli spazzolini manuali che con quelli elettrici. Pulizia interdentale Vi è confusione in letteratura sulla definizione di siti approssimali, interprossimali, interdentali e prossimali. 1999à proposte le seguenti definizioni: aree approssimali rappresentano tutti gli spazi visibili tra i denti che non si trovano sotto il punto di contatto. In condizioni di salute queste aree sono piccole ma possono estendersi in seguito a perdita di attacco parodontale. I termini interprossimale e interdentale possono essere usati in modo equivalente e si riferiscono al punto di contatto tra i denti e l’area sottostante. È stato definito un certo numero di tecniche di pulizia interdentale, dall’uso del filo a quello dei dispositivi di pulizia ad alimentazione elettrica di più recente introduzione. L’uso del filo è il metodo più universalmente applicato, perché può essere usato con efficacia in quasi tutte le situazioni cliniche. Tuttavia per ogni singolo pz devono essere selezionati i sussidi più adatti all’igiene interdentale. Filo e nastro interdentali, stuzzicadenti specifici per l’igiene orale, spazzolini interprossimali (scovolino), spazzolini monociuffo. Presidi aggiuntivi: dispositivi d’irrigazione dentale, raschietti linguali, dentifrici, spazzolini in gommapiuma, tamponi o salviettine orali. Effetti collaterali Studi hanno dimostrato come la forza applicata agli spazzolini elettrici sia inferiore a quella usata con uno spazzolino manuale. All’aumento della forza corrisponde l’aumento della placca rimossa (fino a un certo limite massimo). L’abrasione cervicale dei denti ha un’eziologia multifattoriale ma, nella maggior parte dei casi, rappresenta la conseguenza di uno spazzolamento condotto con una pressione esagerata dello spazzolino e di un numero eccessivo di episodi di spazzolamento nel corso del tempo. Non è comunque chiaro in che misura le procedure d’igiene orale possano traumatizzare i tessuti gengivali. CONTROLLO CHIMICO DELLA PLACCA SOPRAGENGIVALE CLASSIFICAZIONE E TERMINOLOGIA DEGLI AGENTI Gli agenti in grado di inibire lo sviluppo o la maturazione della placca sopragengivale sono stati classificati in base ai possibili meccanismi d’azione: antiadesivo; antimicrobico; di asportazione della placca e antipatogeno. • Agenti antimicrobici: prodotti chimici a effetto batteriostatico o battericida in vitro la cui efficacia antiplacca specifica non è estrapolabile in vivo • Agenti riduttori/inibitori della placca: prodotti chimici che hanno dimostrato solo di ridurre la quantità e/o di influire sulla qualità della placca, la quale può non bastare a influire sulla gengivite e/o sulla carie • Agenti antiplacca: prodotti chimici che producono un effetto sulla placca sufficiente ad arrecare beneficio al trattamento della gengivite e/o della carie • Agenti antigengivite: prodotti chimici che riducono l’infiammazione gengivale senza per questo dover influire sulla placca batterica CONCETTO DI CONTROLLO CHIMICO È certo che molti individui rimuovono solo la metà circa della placca dentale anche quando lo spazzolamento dei denti ha una durata di 2 minuti ed è probabile che ciò si verifichi perché determinate superfici dentali sono oggetto di scarsa attenzione durante la fase di lavaggio dei denti o sono del tutto trascurate. L’impiego aggiuntivo di agenti chimici sembrerebbe quindi rappresentare un modo per superare i difetti presenti nelle abitudini di pulizia dentale meccanica proprie di molte persone. Controllo della placca sopragengivale Una pulizia dentale meccanica regolare mira a mantenere un livello di placca quantitativamente e qualitativamente compatibile con la salute gengivale e non a liverare la superficie dei denti dai batteri. In linea generale, dopo numerosi studi, si è concluso che i benefici derivanti dal normale spazzolamento dentale, effettuato da solo oppure quale veicolo per l’applicazione di dentifrici contenenti una vasta gamma di principi attivi, superassero abbondantemente il potenziale relativo al danno arrecato ai tessuti molli e duri. Controllo chimico della placca sopragengivale Probabilmente l’aggiunta di agenti antimicrobici e/o antisettici ai dentifrici e ai collutori è una pratica che i fabbricanti hanno adottato relativamente di recente. Tossicità e abrasività costituiscono capitoli importanti dello standard per il dentifricio, nonostante sia probabile che nel prossimo standard di riferimento verranno inserite valutazioni sulla disponibilità del fluoruro. Nonostante i miglioramenti incoraggianti che riguardano l’igiene orale, la gengivite e, in una certa misura, nei paesi sviluppati, la parodontite, l’infiammazione gengivale mostra ancora una prevalenza elevata. Data l’eziologia microbica sia della gengivite sia della parodontite, tale situazione è a favore dell’idea di utilizzare agenti per il controllo della placca che richiedano per il loro utilizzo impegno e abilità minimi. • La gengivite e la parodontite sono malattie altamente diffuse e la prevenzione delle loro manifestazioni o recidive dipende dal controllo della placca sopragengivale • La pulizia dentale è largamente influenzata dal grado di attuazione e dall’abilità del pz, mentre lo è poco dal tipo particolare di accessori e dispositivi usati per l’igiene orale • Il concetto di controllo chimico della placca può trovare giustificazione come mezzo per superare le inadeguatezze associate allo spazzolamento meccanico dei denti • La gengivite mostra una prevalenza elevata, fin dalla giovane età, in tutte le popolazioni, ma la % di individui che vanno incontro alla perdita dei denti a causa della malattia parodontale è bassa • Attualmente, è impossibile predire la suscettibilitù alla parodontite a partire dall’età infantile • È necessaria una prescrizione in eccesso delle misure di controllo meccanico e/o chimico della placca sopragengivale per poter prevenire la parodontite • Nei soggetti colpiti da malattia parodontale cronica, e per questo ritenuti predisposti, l’adozione di una forma quotidiana di pulizia interdentale deve essere considerata essenziale per la riuscita di un trattamento a lungo termine Agenti antiadesivi Agirebbero a livello della superficie della pellicola prevenendo l’attacco iniziale dei batteri che formano la placca primitiva. Tali composti dovrebbero presentare effetti totalmente profilattici, agendo con efficacia superiore su una superficie dentale inizialmente pulita. In realtà esistono e sono impiegati nell’industria e in ambito domestico e nell’ambiente. Impediscono l’attacco e lo sviluppo di un’ampia gamma di biofilm e sono di solito indicati come agenti antivegetativi. Sono o troppo tossici per un impiego a livello orale o inefficaci nei confronti della placca batterica dentale. Agenti antimicrobici Potrebbero inibire la formazione della placca per mezzo di uno o due meccanismi, da solo o in combinazione. Il primo sarebbe rappresentato dall’inibizione della proliferazione batterica e sarebbe diretto, come nel caso degli antiadesivi, contro batteri che formano la placca primitiva. Potrebbero esercitare perciò i loro effetti a livello della superficie dentale rivestita da pellicola, prima dell’adesione dei microrganismi responsabili della formazione della placca primitiva o in una fase successiva alla loro adesione, ma prima della loro divisione cellulare. Sarebbe un effetto inibitorio batteriostatico. La seconda azione potrebbe essere di natura battericida. Con essa l’agente antimicrobico distruggerebbe tutti i microrganismi sia in fase di adesione sia quando questi siano già aderenti alla superficie dei denti. Tuttavia, per poter inibire la placca, l’azione battericida dovrebbe essere assoluta o persistente, perché in caso contrario altri batteri presenti nell’ambiente orale colonizzerebbero la superficie dentale subito dopo la cessazione di tale effetto, conducendo al ripristino del biofilm. Agenti di rimozione della placca L’idea di usare un agente chimico con azione identica a quella di uno spazzolino da denti che rimuova i batteri dalla superficie dei denti rappresenta una prospettiva stimolante. Esistono sostanza alle quali è associata un’azione di rimozione dei depositi batterici e di cui è previsto un impiego ordinario in ambito domestico. Questi composti sarebbero però potenzialmente tossici se fossero usati nella cavità orale. Agenti antipatogeni È teoricamente possibile che una sostanza mostri un effetto sui microrganismi della placca in grado di inibire la loro patogenicità senza necessariamente distruggerli. Attualmente la comprensione della patogenesi della gengivite è così limitata che a tale approccio non è stata prestata attenzione. Vi sarebbe la possibilità, con il strumento. gli ablatori a ultrasuoni convertono la corrente elettrica in energia meccanica, sotto forma di vibrazioni ad alta frequenza trasmesse alla punta dello strumento (più Hertz dei sonici). Due tipi di ablatori a ultrasuoni: magnetostrittivi e piezoelettrici. In questi ultimi la corrente elettrica alternata produce una variazione dimensionale nel manipolo, la quale viene trasmessa alla punta sotto forma di vibrazioni. Il modello di vibrazione in punto è essenzialmente lineare. Nei magnetostrittivi la corrente elettrica generata produce nel manipolo un campo magnetico che induce l’espansione e la contrazione dell’inserto nel senso della lunghezza; a loro volta, espansione e contrazione inducono l’inserto a vibrare. Il modello di vibrazione di punta è ellittico. Strumenti reciprocanti I risultati dimostrano come producano un risultato clinico equivalente a quello degli ablatori manuali, sonici o a ultrasuoni. l’uso degli strumenti reciprocanti richiede tempi inferiori rispetto alla strumentazione manuale e induce una minor perdita di superficie radicolare. Laserterapia ablativa Applicata ai tessuti parodontali sia molli che duri. Ha effetti battericidi e decontaminanti e può rimuovere il rivestimento epiteliale e il tessuto di granulazione contenuti dalla tasca parodontale à potenzialmente in grado di migliorare il processo di guarigione. Alcuni studi hanno però dimostrato che il curettage dei tessuti di granulazione non comporta maggiori vantaggi rispetto alla detartrasi e alla levigatura radicolare. La laserterapia è in grado di rimuovere la placca e il tartaro con uno sforzo meccanico estremamente basso e senza formare sbavature sulle superfici radicolari. Inoltre, l’impiego del laser consente l’accesso a siti che gli strumenti meccanici convenzionali non riescono a raggiungere. Attualmente vengono impiegati vari tipi di laser. Scelta del metodo di rimozione dei detriti È stato dimostrato che gli ablatori manuali,sonici e a ultrasuoni producono risposte di guarigione parodontale simili rispetto a profondità di sondaggio della tasca, sanguinamento al sondaggio e livello clinico d’attacco. Numerosi studi hanno indicato come il tempo di rimozione dei detriti per dente può essere ridotto usando ablatori sonici o a ultrasuoni rispetto agli ablatori manuali. Per quanto riguarda la perdita di superficie radicolare, gli ablatori sonici e a ultrasuoni hanno dimostrato di causare minori perdite di superficie dentale rispetto agli ablatori manuali. Contrariamente alla strumentazione manuale, l’uso degli ablatori sonici e a ultrasuoni è meno dipendente dalla tecnica usata, richiede meno tempo e rimuove meno cemento dalla superficie radicolare. È stato dimostrato che permette un accesso migliore alle tasche profonde e alle aree di forcazione. Inoltre il getto d’acqua usato dagli ablatori sonici e a ultrasuoni rimuove, entro certi limiti, residui e batteri dall’area della tasca. La sensazione tattile però è ridotta e vi è produzione di aerosol contaminati. Alcuni pazienti possono trovare sgradevoli la vibrazione, il rumore e il getto d’acqua. È stato dimostrato che l’uso dei laser produce esiti paragonabili a quelli della detartrasi e della levigatura, senza però mostrare alcun vantaggio supplementare rispetto a quelle stesse tecniche. L’esposizione non intensionale alle radiazioni e l’eventuale riflesso su superfici lucide di metallo possono danneggiare gli occhi, la gola e i tessuti orali del pz, oltre alla zona interessata. Vi è inoltre il rischio di eccessiva distruzione tissutale da ablazione diretta e da effetti termici secondari. L’alto costo dell’apparecchiatura laser rappresenta uno svantaggio per molti clinici. EFFETTI SULLA RIMOZIONE MECCANICA DEI DETRITI SUI BIOFILM SUBGENGIVALI La rimozione dei detriti sopra e subgengivali provoca la rottura meccanica del biofilm della placca e continua a essere lo “standard aureo” del trattamento parodontale. La rimozione della placca subgengivale e dei depositi di tartaro attraverso la rimozione subgengivale dei detriti espone il cemento, la dentina radicolare e l’epitelio della tasca a nuove colonizzazioni. Le specie che riuscivano a proliferare nell’ambiente subgengivale della tasca malata possono trovare il nuovo habitat meno ospitale. Una minor concentrazione di prodotti microbici e della decomposizione tissutale, una diminuzione nel flusso di liquido crevicolare gengivale, insieme a un biofilm subgengivale di pH più neutro, possono indurre lo sviluppo di specie batteriche meno patogene. Una diminuzione nella profondità della tasca conseguente alla guarigione del processo infiammatorio, la diminuzione dell’edema e il riadattamento dell’epitelio giunzionale apicale favoriscono la ricolonizzazione di specie più aerobiche. È stato osservato come la rimozione subgengivale dei detriti provochi una diminuzione nella conta totale dei microrganismi presenti nei siti subgengivali e una variazione nelle proporzioni delle diverse specie microbiche all’interno del biofilm della placca subgengivale. In assenza di adeguate cure quotidiane, nell’arco di poche settimane si ristabilirà la microflora precedente al trattamento, con relativa ripercussione sui miglioramenti clinici del trattamento stesso. RUOLO DEL COINVOLGIMENTO DELLA FORCAZIONE Una volta che la perdita d’attacco raggiunge l’area di forcazione dei denti pluriradicolati, le cure quotidiane praticate dal paziente e la rimozione subgengivale dei detriti condotta da professionisti diventano più difficili. In questa sede anatomica protetta, le comunità microbiche possono svilupparsi in modo relativamente indisturbato, lasciando prosperare microbi sempre più anaerobici e virulenti. Osservazioni mostrano che mentre la rimozione subgengivale dei detriti induceva un miglioramento, i siti con coinvolgimento della forcazione mostravano sempre conteggi microbici più elevati e maggiori proporzioni di agenti patogeni parodontali ritenuti sospetti. Per una prognosi sul lungo periodo può essere necessario considerare con una certa attenzione i denti con coinvolgimento della forcazione. DOLORE E DISAGIO DOPO LA TERAPIA NON CHIRURGICA Durante la terapia parodontale non chirurgica si manifesta un trauma tissutale. Tale trauma può innescare i meccanocettori locali e i nocicettori, l’attivazione dei quali conduce al rilascio di sostanze chimiche quali le prostaglandine, la bradichinina e l’istamina, e infine alla percezione del dolore nel sistema nervoso centrale. Valutare il dolore è difficile perché la sua misurazione diretta è impossibile. Alcuni studiosi segnalavano che dopo la detartrasi e la levigatura radicolare, i pazienti avvertivano dolori di durata ed entità significative. Il picco di intensità era collocato tra le due e le otto ore successive alla terapia, con una durata media di sei ore. Oltre al dolore derivato dal trauma dei tessuti molli, dopo la terapia non chirurgica i pazienti possono accusare sensibilità radicolare. I pazienti con sensibilità dentinale prima del trattamento, dopo questo presentavano livelli più elevati di sensibilità. Anche se in quattro settimane di rilevava una riduzione nell’intensità della sensibilità dentinale radicolare, il numero dei denti sensibili rimaneva invariato. Studi clinici indicavano come anche l’ansia, la depressione e lo stress siano connessi alla percezione del dolore. Altri studi dimostrarono come l’esperienza del dolore durante la strumentazione diagnostica era significativamente correlata all’esperienza del dolore durante la strumentazione della radice. Dopo il trattamento non chirurgico 1/3 dei pazienti assumeva analgesici. Circa la metà del numero totale dei pazienti lamentava indolenzimento e dolore gengivale e 2/3 di essi sperimentavano addirittura problemi durante la masticazione. Il dolore durante e dopo la diagnosi parodontale e la terapia non chirurgica sembra essere mediamente da lieve a moderato e di natura transitoria. RIVALUTAZIONE Nell’arco di 3 mesi, la guarigione successiva alla terapia non chirurgica è quasi completa. Tuttavia, una guarigione continua ma più lenta e limitata può continuare nei 9 o più mesi che seguono il trattamento. Alla rivalutazione viene valutata l’efficacia del trattamento adottato in precedenza e, se necessario, stabilita la natura di un nuovo intervento terapeutico. Le misurazioni previste sono la rilevazione degli indici di placca, del sanguinamento al sondaggio, della suppurazione al sondaggio, la profondità di sondaggio della tasca, la recessione, il livello d’attacco al sondaggio e la valutazione della mobilità. È opinione comune che il miglioramento nel livello d’attacco al sondaggio non sia un esito del riattacco connettivale, ma piuttosto una riconversione dell’epitelio giunzionale alla base della tasca. La variazione della profondità di sondaggio è data da una combinazione tra recessione e variazione nel livello d’attacco al sondaggio dovuta agli eventi che si manifestano alla base della tasca parodontale. È stato dimostrato che esiste una perdita iniziale d’attacco al sondaggio, dovuta al trauma da strumentazione, a carico delle tasche con qualsiasi profondità di sondaggio iniziale. Le ragioni che determinano la difficoltà a individuare i singoli siti con distruzione in atto sono le seguenti: -‐ impossibilità di replicare le misurazioni di sondaggio (per forza applicata, diametro della punta della sonda, angolazione della sonda, posizione nella bocca,…) -‐ le variazioni nei livelli di attacco al sondaggio possono riflettere semplicemente le variazioni nello stato infiammatorio alla base della tasca, invece di una vera perdita o aumento del tessuto connettivo. Per identificare i siti con perdita di tessuto connettivo in atto occorre interpretare con attenzione le misurazioni riguardandi i sondaggi. PREVISIONE DELL’ESITO DEL TRATTAMENTO E RELATIVA VALUTAZIONE Riuscire a prevedere l’esito del trattamento prima della terapia sarebbe di grande aiuto per il clinico, così come il poter identificare, in fase di rivalutazione, i siti che probabilmente continueranno a deteriorarsi. A livello del pz si è constatato come nei soggetti non trattati, l’entità al tempo basale degli indici di sanguinamento, perdita d’attacco al sondaggio e delle profondità di sondaggio sia correlata alla futura perdita d’attacco al sondaggio. Nei soggetti sottoposti a terapia non chirurgica senza anestesia locale, anche i valori di perdita d’attacco al tempo basale sono stati interpretati come rischio di nuova perdita d’attacco. A livello del pz, il numero di siti con profondità di sondaggio maggiori di 6mm alla rivalutazione era in rapporto diretto con il futuro deterioramento parodontale. A livello del sito, il sanguinamento al sondaggio è, nel migliore dei casi, un moderato preannunciatore di futura perdita d’attacco. D’altra parte, è stato dimostrato che l’assenza di sanguinamento al sondaggio è un utile indicatore dello stato di salute. Fu riscontrato come la profondità di sondaggio residua avesse un limitato valore predittivo, se osservata per periodi brevi. A media o a lunga scadenza i siti residui profondi sembravano essere più indicativi di nuova perdita d’attacco, specialmente se abbinati alla presenza di sanguinamento al sondaggio. Esigenza quindi di esercitare un controllo continuo per identificare tali siti e sollecitare l’intervento adatto. DISINFEZIONE TOTALE DELLA BOCCA Il trattamento non chirurgico della parodontite prevede tradizionalmente una serie di visite a distanza di una settimana o più l’una dall’altra. Ogni appuntamento prevede in genere la rimozione dei detriti radicolari di un quadrante, in base alla gravità della malattia. Nel 1995 fu introdotto il concetto di disinfezione totale della bocca quale nuova strategia terapeutica, che prevedeva la detartrasi totale e la rimozione dei detriti radicolari in un periodo di trattamento di 24 ore, irrigazione subgengivale (3 volte in 10 min) con gel alla clorexidina 1%, spazzolamento della lingua con gel alla clorexidina 1%, e risciacqui con clorexidina allo 0.2%. mirava a ridurre la carica batterica nelle tasche e nelle nicchie intraorali, per minimizzare il rischio di reinfezione delle tasche trattate proveniente dalle aree ospitanti i batteri patogeni. Fu dimostrato come la disinfezione totale della bocca migliorasse gli esiti del trattamento parodontale sul breve periodo rispetto al trattamento convenzionale. Studi successivi stabilivano che nei pazienti affetti da parodontite cronica avanzata, il protocollo di disinfezione totale della bocca induceva miglioramenti clinici e microbiologici paragonabili a quelli ottenuti con la tecnica tradizionale. Molti studi recenti segnalano gradi diversi nell’efficacia del protocollo. Questo è stato quindi promosso come metodo più efficace per la cura dei pazienti affetti da parodontite cronica. IMPIEGO DI ANTIBIOTICI NELLA TERAPIA PARODONTALE Gli antibiotici sono farmaci in grado di sopprimere o bloccare la proliferazione di cellule batteriche a concentrazioni relativamente innocue per i tessuti ospite, e possono dunque essere usati per il trattamento di infezioni di origine batterica. Possono essere classificati come “battericidi” o “batteriostatici”, e in base alla gamma di batteri sensibili, “a spettro ristretto” o “ad ampio spettro”. La presenza prolungata di grandi quantità di batteri sulle superfici orali dure induce l’infiammazione nei tessuti molli adiacenti quali la gengiva e la mucosa; non vi sono dubbi sull’importanza di rimuovere la placca batterica per risolvere i casi di gengivite o di mucosite. Non tutti i siti affetti fa gengivite evolvono invariabilmente verso la parodontite. Anche una pulizia meccanica accurata delle superfici radicolari ha dimostrato di essere d’aiuto in caso di parodontite di qualsiasi tipo, e in qualsiasi condizione clinica. I batteri possono risultare inaccessibili agli strumenti meccanici qualora siano depositati in concavità, lacune e tubuli dentinali, per non parlare dei tessuti molli colonizzati. Inoltre i siti trattati con successo possono essere ricolonizzati da patogeni persistenti in aree non dentali. La persistenza o la riproliferazione di alcuni microrganismi nei siti trattati dovrebbe essere considerata una causa di esiti di trattamento insoddisfacenti. Il numero di specie e sottospecie diverse occasionalmente identificato in campioni di placca umana supera abbondantemente le 100 unità, ma solo una quantità relativamente bassa mostra un pattern caratteristico di associazione alla patologia. Nei soggetti predisposti alcune specie possono produrre un effetto negativo anche in quantità relativamente basse. In base alla loro patogenicità e all’identificazione di fattori di virulenza, alcuni organismi sono stati definiti patogeni parodontali specifici. Se la patologia parodontale è di fatto causata da un numero limitato di specie batteriche, allora la soppressione continua e non specifica di tutta la placca batterica non costituisce l’unica possibilità di prevenzione e di terapia. La soppressione specifica di batteri patogeni diventa una valida alternativa, e gli approcci antibiotici adottati per riguadagnare e mantenere lo stato di salute parodontale possono raggiungere un miglior rapporto di efficienza. L’uso degli antibiotici può disturbare il delicato equilibrio ecologico dell’organismo, permettendo la proliferazione di forme di vita non batteriche o di batteri resistenti. Talvolta, ciò può dare avvio a nuove infezioni, che sono peggiori di quelle trattate in origine. non esiste poi un farmaco antibatterico che risulti assolutamente privo di tossicità e l’utilizzo di qualsiasi agente antimicrobico comporta comunque dei rischi. Quindi prima di iniziare la somministrazione routinaria di antibiotici ai pz parodontali, è necessario accertarne i benefici specifici rispetto agli approcci tipici del trattamento standard. Per produrre un effetto, qualsiasi agente antimicrobico usato nella terapia parodontale deve essere disponibile in una concentrazione sufficientemente elevata non solo nei tessuti parodontali, ma anche nell’ambiente della tasca parodontale. Una tasca può contenere grandi quantità di batteri, e microrganismi non target possono inibire, disattivare o degradare l’agente antimicrobico. Esiste quindi per vari motivi un consenso generale sul fatto che la strumentazione meccanica debba sempre precedere la terapia antibiotica. In primo luogo, occorre ridurre quantitativamente la maggior parte dei batteri, che altrimenti possono inibire o degradare l’agente; in secondo luogo, si dovrebbero disgregare per via meccanica gli aggregati batterici strutturati, che sono in grado di proteggere i batteri dall’agente. Nella terapia delle patologie parodontali, gli antibiotici possono essere somministrati per via sistemica o per posizionamento diretto nella tasca parodontale. La terapia locale può permettere l’applicazione di agenti antimicrobici a livelli non raggiungibili per via sistemica e può essere adatta per quegli agenti, gli antisettici, troppo tossici per essere somministrati per via sistemica. La somministrazione per via sistemica degli antibiotici può dare risultati migliori se i batteri obiettivo sono distribuiti in una regione più ampia. Per la cura della malattia parodontale, il sistema locale di applicazione dei farmaci va dalla semplice irrigazione della tasca al deposito di gel o di pomate contenenti il principio attivo, fino a sofisticati sistemi che provvedono al rilascio prolungato degli agenti antibatterici. Per risultare efficace, il farmaco dovrebbe non soltanto raggiungere continuo, ma che possano occasionalmente verificarsi periodi di aggravamento. Un’ipotesi sicura è che le lesioni da parodontite non trattate cronica progrediranno e causeranno un’ulteriore perdita ossea e d’attacco. I fattori associati all’insorgenza della malattia, possono influire anche sulla sua progressione. L’estensione e la gravità della malattia nello stesso soggetto, vale a dire il numero di siti con perdita d’attacco, perdita d’osso e/o tasche profonde, sono validi predittori di un futuro manifestarsi della malattia. FATTORI DI RISCHIO I fattori di rischio possono far parte della catena di cause che scatenano un evento patologico e/o possono predisporre l’ospite al suo sviluppo. In un soggetto che presenta uno o più fattori di rischio si ha un aumento della probabilità di contrarre la malattia o della possibilità di andare incontro a un peggioramento. Placca batterica Dai dati risulta ovvio che sia possibile stimare il rischio cumulativo legato a una determinata popolazione microbica. Non è chiaro, tuttavia, se questa microflora specifica rappresenti il principale fattore responsabile della malattia o se essa rifletta il processo patologico. Microrganismi specifici sono stati considerati come potenziali patogeni parodontali, ma è chiaro che, sebbene essi siano necessari, la loro unica presenza può non essere sufficiente per il verificarsi della malattia progressiva. Età È improbabile che solo l’invecchiamento sia responsabile del consistente incremento di suscettibilità nei confronti della malattia. È più verosimile che siano gli effetti cumulativi della patologia nel corso della vita, vale a dire i depositi di placca e di tartaro, e l’aumento del numero dei siti in grado di contenere tali depositi, oltre all’aver subito una perdita di attacco e di osso, a spiegare l’incremento di prevalenza della malattia negli anziani. Fumo di tabacco Non solo il fumo aumenta il rischio che si sviluppi la malattia, ma anche la risposta alla terapia parodontale risulta alterata nei fumatori. Un’altra caratteristica di questi soggetti è che i segni e i sintomi sia della gengivite sia della parodontite cronica, principalmente l’arrossamento gengivale e il sanguinamento durante il sondaggio, sono mascherati dall’attenuazione dell’infiammazione indotta dal fumo, a differenza di quanto accade in chi non fa uso di sigarette. Malattie sistemiche Malgrado la scarsità di dati accurati sui soggetti affetti da malattie sistemiche e su quelli che non le presentano, è possibile formulare le seguenti conclusioni: • le cellule del sangue svolgono un ruolo vitale nell’apporto di ossigeno, nel mantenimento dell’omeostasi e nella protezione dei tessuti del parodonto. Le malattie ematologiche sistemiche possono perciò avere effetti profondi sul parodonto, impedendo lo svolgimento di una qualsiasi delle funzioni necessarie per la sua integrità • i leucociti polimorfonucleati sono senza dubbio fondamentali per la difesa del parodonto. Gli individui che ne presentano carenza quantitativa o qualitativa mostrano una distruzione grave dei tessuti, che costituisce una forte dimostrazione di come queste cellule rappresentino una componente rilevante della risposta protettiva. • Le leucemie provocano una consistente deplezione funzionale del midollo osseo. In senso lato, le patologie gengivali sono una conseguenza delle leucemie, mentre la perdita di osso parodontale rappresenta il risultato di difetti funzionali dei neutrofili o di un abbassamento del loro numero. • Diabete mellito: l’opinione attuale è che gli individui colpiti da questa malattia siano soggetti a un aumento del rischio di malattia parodontale e, mentre è possibile trattare con successo la parodontite, sia la suscettibilità alla malattia parodontale sia l’esito della terapia sono influenzati da uno scarso controllo del diabete. • farmaci possono predisporre a un eccessivo accrescimento del volume gengivale nei pz affetti da gengivite • caratteristiche geneticamente determinate: possono condurre a un’estesa distruzione parodontale nell’individuo affetto e, sebbene la distruzione osservata possa simulare una parodontite, non si tratta di una parodontite cronica stress nell’adulto, il contributo dei fattori psicosociali all’aumento dell’espressione della gengivite che è stato riferito può essere correlato all’aumento dell’accumulo di placca associato allo stress. Non vi sono ancora dati sufficienti a sostanziare l’assunto in base il quale i fattori psicosociali sarebbero realmente rilevanti dal punto di vista eziologico per la parodontite cronica. fattori genetici il rischio di parodontite cronica presenta una forte componente ereditaria, mentre la gengivite rappresenta una risposta generale comune che non è probabilmente legata a particolari geni. BASI SCIENTIFICHE PER IL TRATTAMENTO DELLA PARODONTITE CRONICA È scatenata e sostenuta da microrganismi che vivono in comunità presenti nella placca sopra e sottogengivale sotto forma di biofilm calcificato e non calcificato. La prevenzione dell’insorgenza, o prevenzione primaria, della parodontite è chiaramente correlata alla prevenzione della formazione e/o all’eradicazione del biofilm microbico e segue quella prevenzione della gengivite che costituisce una misura preventiva primaria per la parodontite cronica. la terapia parodontale o trattamento di base della parodontite implicano la rimozione della placca sia sopra che sottogengivale. L’esito clinico dipende in larga misura dalla capacità dell’operatore di rimuovere la placca sottogengivale e da motivazione e capacità del pz di praticare un’adeguata igiene domiciliare. Un’altra variabile è rappresentata dalla suscettibilità innata del pz, che è correlata alla modalità con cui i suoi sistemi congeniti infiammatorio e immunitario agiscono in risposta dell’ospite a tali patogeni. Il contributo relativo di questi fattori di rischio deve essere ancora determinato appieno, ma la loro influenza verrebbe limitata se il parodonto fosse mantenuto privo di placca microbica. Pertanto, la detartrasi sopra e sottogengivale e la qualità delle cure domiciliari eseguite dal pz sono di importanza vitale per prevenire l’infiammazione manifestata sia dalla gengivite sia dalla parodontite. PARODONTITE AGGRESSIVA La parodontite aggressiva è stata caratterizzata sulla base dei principali aspetti tipici: -‐ anamnesi medica del pz priva di rilevanza -‐ rapido sviluppo di perdita di attacco e distruzione ossea -‐ aggregazione familiare dei casi si presenta precocemente nel corso ella vita e ciò implica che gli agenti eziologici siano stati in gradi di provocare livelli di malattia rilevabili clinicamente in un periodo di tempo relativamente breve. Questo è molto importante perché presuppone l’infezione da parte di una microflora altamente virulenta e/o un alto livello di suscettibilità individuale alla malattia parodontale. Può verificarsi in qualunque età. La sua diagnosi esige che si escluda la presenza di patologie sistemiche in grado di danneggiare gravemente le difese dell’ospite e condurre a perdita prematura dei denti. Si distinguono: -‐ la parodontite aggressiva localizzata (nota in precedenza come parodontite giovanile localizzata) -‐ la parodontite aggressiva generalizzata (definita prima come parodontite giovanile generalizzata) CLASSIFICAZIONE E SINDROMI CLINICHE Le forme aggressive sono state raggruppate sulla base delle seguenti caratteristiche: -‐ anamnesi medica priva di rilevanza -‐ rapida perdita d’attacco e distruzione ossea -‐ aggregazione familiare dei casi. gli aspetti tipici secondari, ritenuti presenti in generale ma non in tutti i casi, sono rappresentati da: -‐ entità di depositi microbici non proporzionale alla gravità di distruzione del tessuto -‐ % elevate di Actinobacillus actinomycetemcomitans e in alcune popolazioni di Porphyromonas gingivalis -‐ anomalie dei fagociti -‐ fenotipo dei macrofagi iperreattivo -‐ possibilità di arresto spontaneo della perdita progressiva di attacco e di distruzione ossea. Parodontite aggressiva localizzata (LAP): . esordio in età puberale . presentazione localizzata a livello dei primi molarI/incisivi con perdita di attacco interprossimale in almeno 2 denti permanenti, uno dei quali rappresentato da un primo molare, e coinvolgimento di non più di due denti diversi dai primi molari e incisivi . alta risposta sierica anticorpale agli agenti infettivi parodontite aggressiva generalizzata (GAP): . di solito colpisce soggetti con meno di 30 anni, ma anche più anziani . perdita d’attacco interprossimale generalizzata che colpisce almeno 3 denti permanenti diversi dai primi molari e incisivi . natura episodica accentuata della distruzione di attacco e di osso alveolare . bassa risposta sierica anticorpale agli agenti antinfettivi per la diagnosi di queste forme è necessaria l’assenza di patologie sistemiche. La GAP costituisce il gruppo più eterogeneo e comprende le forme più gravi. Tra queste sono comprese forme prima descritte come parodontite giovanile generalizzata, la parodontite grave e la parodontite a progressione rapida. Ciascuno di questi rimane altamente eterogeneo in termini di manifestazioni e risposta alla terapia. EPIDEMIOLOGIA Tutti gli studi a disposizione indicano che le forme a esordio precoce (aggressive) della malattia parodontale sono riscontrabili a ogni età e in ogni gruppo etnico. Dentizione decidua La prevalenza nella dentizione decidua è scarsamente documentata. È stato riscontrato (nei pochi studi condotti) che la perdita di osso alveolare marginale a carico della dentizione decidua di soggetti di età compresa tra 5 e 11 anni ha una frequenza variabile dallo 0,9% al 4,5%. La parodontite che colpisce la dentizione decidua non riflette necessariamente la presenza di una forma aggressiva, ma può indicare una forma cronica della malattia con relativa abbondanza di fattori locali (placca e tartaro). Dentizione permanente La maggior parte degli studi ha registrato una prevalenza inferiore all’1% di parodontite a carico della dentizione permanente in soggetti tra i 13 e i 20 anni. Il rischio che si sviluppi una parodontite non sembra comunque essere equamente distribuito nella popolazione. Studi indicano che i pz che presentano segni di parodontite distruttiva in giovane età vanno incontro a un ulteriore deterioramento, che sembra essere più accentuato nei siti colpiti inizialmente e nei pazienti con diagnosi di LAP appartenenti a classi socioeconomiche meno abbienti. Il deterioramento dello stato parodontale implica sia un aumento di estensione sia un incremento della gravità delle lesioni. conclusioni Una % piccola ma significativa di bambini e giovani adulti è affetta da alcune forme di parodontite e si ritiene che una % significativa di tali soggetti sia affetta da AgP. Data la gravità di queste forme di malattia e considerata la loro tendenza alla progressione, la diagnosi precoce dovrebbe rappresentare una delle preoccupazioni principali. Screening Gli esami parodontali di screening dovrebbero far parte integrante di ogni visita dentale. La perdita ossea marginale evidenziata in una radiografia bite wing, anche se meno sensibile rispetto al sondaggio, può essere usata come mezzo di screening in soggetti con dentizione decidua e mista. L’identificazione della perdita d’attacco per mezzo del sondaggio parodontale rappresenta il metodo di valutazione più sensibile attualmente disponibile, il cui utilizzo dovrebbe avvenire nella tarda adolescenza e in età adulta. La diagnosi differenziale tra AgP e parodontite cronica si fonda sull’esclusione della AgP. EZIOLOGIA E PATOGENESI Le varie forme di AgP sono caratterizzate da una grave distruzione dell’apparato di attacco parodontale in uno stadio precoce della vita. La precoce manifestazione di lesioni rilevabili clinicamente è generalmente interpretata come espressione dell’aggressività dell’agente eziologico o dell’elevato livello di suscettibilità del pz, o di una combinazione di entrambi i fattori. Eziologia batterica La documentazione più consistente a sostegno di un’origine batterica della AgP deriva dagli studi effettuati sulla LAP. Accettare l’eziologia batterica delle parodontiti a esordio precoce è stato particolarmente difficile dal momento che queste forme si presentano con manifestazioni cliniche caratterizzate da scarso accumulo di placca batterica visibile e le carie approssimali, altra patologia dentale di origine batteriche che colpisce soggetti di giovane età, sembrano essere molto meno prevalenti nei pz affetti da LAP che nei controlli confrontabili per età, genere e razza. Actinobacillus actinomycetemcomitans è uno dei pochi microrganismi del cavo orale a essere riconosciuto da molti come il vero agente infettivo, e la LAP come un’infezione causata essenzialmente da esso. L’accettazione di questo concetto ha conseguenze importanti sulle strategie di prevenzione e terapia. Tale interpretazione della LAP risultava tuttavia controversa. Studi successivi a tali affermazioni conclusero quindi che la presenza o l’assenza di tale batterio non fosse in grado di discriminare tra soggetti con parodontite aggressiva e affetti da parodontite cronica. La parodontite aggressiva generalizzata (GAP), precedentemente nota come parodontite generalizzata a esordio precoce, e la parodontite rapidamente progressiva sono state spesso associate al riscontro di porphyromonas gingivalis, bacteroides forsythus e A.a. A differenza di quest’ultimo, che è un anaerobio facoltativo, gli altri due sono anaerobi obbligati. Il primo produce diversi enzimi potenti, in particolare collagenasi e proteasi, un endotossina, acidi grassi e altri agenti tossici. Nei pz affetti da GAP sono state dimostrate elevate risposte immuni, sistemiche e locali, dirette contro questo batterio. Lesioni parodontali provocate da batteri Si ritiene che i batteri causino distruzione del parodonto marginale attraverso due meccanismi tra loro correlati: per azione diretta dei microrganismi o dei loro prodotti sui tessuti dell’ospite e/o come risultato del danno tissutale determinato dalla risposta infiammatoria provocata dai batteri. Un’ipotesi dice che un’invasione batterica diretta potrebbe essere responsabile di alcune distruzioni tissutali osservate. Dati provenienti da parodontiti croniche sembrano tuttavia indicare che in 2/3 dei casi la perdita di attacco e il riassorbimento osseo alveolare possono essere evitati attraverso l’azione di farmaci antinfiammatori non steroidei e che la distruzione tissutale può quindi essere guidata dal processo infiammatorio. Concetti attuali Le forme aggressive di parodontite sono attualmente considerate malattie multifattoriali che si sviluppano come conseguenza di complesse interazioni tra geni specifici dell’ospite e l’ambiente. Ereditare la suscettibilità alla AgP non rappresenta, probabilmente, un fattore sufficiente per lo sviluppo della malattia; un altro passo non sempre si mostrano edematose e l’aspetto a buccia d’arancia delle gengive può risultare ancora evidente. In genere comunque le papille si gonfiano rapidamente e si sviluppa un contorno arrotondato. L’area compresa tra la necrosi marginale e la gengiva ancora relativamente sana mostra, comunemente, una striscia eritematosa stretta e ben marcata, talora definita con il termine di eritema lineare. È espressione dell’iperemia dovuta alla dilatazione dei vasi del connettivo gengivale alla periferia delle lesioni necrotiche. Si associa un caratteristico e accentuato fetore proveniente dalla bocca, che può essere di intensità variabile o, in alcuni casi, avere scarsa rilevanza. Non deve essere inteso come segno patognomonico. Crateri interprossimali Solo raramente le lesioni sono associate alla formazione di tasche profonde, perché l’estesa necrosi gengivale coincide frequentemente con la perdita di osso della cresta alveolare. La necrosi gengivale si sviluppa rapidamente ed entro pochi giorni le papille coinvolte appaiono sovente separate in una porzione vestibolare e una linguale con l’interposizione di una depressione necrotica. La necrosi centrale produce una considerevole distruzione di tessuto e si forma un vero cratere. In questo stadio il processo patologico coinvolge in genere il legamento parodontale e l’osso alveolare, venendosi a stabilire la perdita d’attacco. Oltre a provocare la distruzione della papilla, la necrosi si estende in genere in direzione laterale, lungo il margine gengivale, alle superfici orale e/o vestibolare del dente. Le aree necrotiche che si sviluppano da spazi interprossimali adiacenti sovente si fondono a formare un’area di necrosi continua. La gengiva marginale palatale e linguale è coinvolta con minore frequenza rispetto alla vestibolare. Formazione di sequestri ossei La progressione della malattia può essere rapida e dare luogo a necrosi di porzioni più o meno estese di osso alveolare. Tale decorso è particolarmente evidente nei pz gravemente immunocompromessi. Inizialmente l’osso necrotico, trasformatosi in un sequestro, non è rimovibile, tuttavia dopo poco tempo va incontro a un rammollimento e diviene facilmente asportabile con l’impiego di pinze, senza che, in alcuni casi, si renda necessaria l’anestesia. Un sequestro può coinvolgere non solo l’osso interprossimale ma anche il corticale adiacente, vestibolare o orale. Coinvolgimento della mucosa alveolare Una volta che il processo si è esteso oltre la linea mucogengivale, la patologia assume caratteri della stomatite necrotizzante. La grave distruzione dei tessuti caratteristica di questa malattia è correlata a funzioni immunitarie compromesse in modo grave, associate tipicamente a infezione da HIV e malnutrizione. È importante segnalare che tale condizione può risultare letale. La NS può condurre a estese denudazioni dell’osso, che causano sequestri rilevanti con sviluppo di fistole oroantrali e di osteite. Tumefazione dei linfonodi Può verificarsi un rigonfiamento dei linfonodi regionali, che diventa particolarmente evidente nei casi avanzati. Tali sintomi sono confinati generalmente ai linfonodi sottomandibolari, sebbene sia possibile anche un interessamento di quelli cervicali. Febbre e malessere non sempre sono associati a NPD. Se un innalzamento di temperatura si manifesta in NG esso risulta generalmente moderato. Igiene orale Il livello di igiene orale dei pz affetti da NPD è generalmente basso. Inoltre, lo spazzolamento dei denti e il contatto con la gengiva infiammata in modo acuto provocano forte dolore. È quindi frequente il riscontro di grandi quantità di placca sui denti, in particolare lungo i margini gengivali. Una sottile pellicola biancastra ricopre talvolta alcune porzioni della gengiva aderente. Tale reperto è presente in modo caratteristico nei pz che non hanno mangiato né attuato misure di igiene orale per diversi giorni. Questa pellicola è composta da cellule epiteliali desquamate e batteri immersi in un reticolo di proteine salivari ed è facilmente rimovibile. Forme acute e ricorrenti/croniche di gengivite e parodontite necrotizzanti In molti casi il decoro della malattia è acuto e caratterizzato dalla rapida distruzione del tessuto parodontale. La fase acuta può però gradualmente attenuarsi, anche se il trattamento è inadeguato o assente. I sintomi diventano così meno spiacevoli e fastidiosi per il pz, mentre la distruzione dei tessuti continua, anche se a un ritmo più lento, e i tessuti necrotici non guariscono completamente. Tale condizione è stata denominata gengivite cronica necrotizzante o parodontite cronica necrotizzante, nel caso in cui vi sia perdita di attacco. Le lesioni necrotizzanti persistono e risultano caratterizzate da crateri aperti, frequentemente con un contenuto di tartaro sottogengivale e di placca batterica. Possono verificarsi nuove esacerbazioni della fase acuta, con interposti periodi di quiescenza. Nelle fasi acute ricorrenti i sintomi lamentati ritornano a essere predominanti e riappaiono le ulcere. Diversi crateri interdentali adiacenti possono unirsi portando a una separazione totale della gengiva vestibolare da quella orale, con formazione di due diversi lembi. DIAGNOSI La diagnosi si basa sul riscontro degli aspetti clinici menzionati. Il pz prova generalmente dolore e presenta sanguinamento gengivale, in particolare dopo stimolazione delle lesioni. L’istopatologia non è patognomonica e una biopsia non è indicata nella zona in cui l’infiammazione è più accentuata. Diagnosi differenziale Può essere confusa con altre patologie, ad esempio in presenza di gengivostomatite erpetica primitiva. NPD PHG Eziologia batterica Virus herpes simplex Età 15-‐30anni Frequente nei bambini Sede Papille interdentali. Raramente all’esterno della gengiva Gengiva e tutta la mucosa orale Sintomi Ulcerazioni, tessuto necrotico, placca bianco-‐giallastra Foetor ex ore Eventuale presenza di febbre modesta Molteplici vescicole che si rompono lasciando piccole ulcerazioni rotonde ricoperte di fibrina Foetor ex ore Febbre Durata 1-‐2giorni, se trattata 1-‐2settimane Contagio -‐ + Immunità -‐ Parziale Guarigione Distruzione permanente del tessuto parodontale Assenza di distruzione permanente ISTOPATOLOGIA Le lesioni della NG sono caratterizzate da ulcerazione e necrosi dell’epitelio e degli strati superficiali del tessuto connettivo, oltre che da una reazione infiammatoria acuta specifica. Il connettivo vitale localizzato nella parte profonda delle lesioni è ricoperto da tessuti necrotici caratterizzati da cellule disintegrate, da molte spirochete di medie e grandi dimensioni e da altre forme batteriche che potrebbero essere fusobatteri. MICROBIOLOGIA A partire da osservazioni e ipotesi fatti su alcuni studi, appare ovvio come la questione sia ancora irrisolta e quindi si può solo affermare che le malattie parodontali necrotizzanti appartengono a quel gruppo di patologie a cui Pasteur si riferiva asserendo “vi sono alcuni batteri che causano una malattia, ma vi sono anche malattie che portano a una condizione ideale per la crescita di determinati batteri”. RISPOSTA DELL’OSPITE E FATTORI PREDISPONENTI La conta totale dei leucociti risulta simile nei pz e nei controlli. I pz affetti da NG mostrano tuttavia, rispetto ai soggetti di controllo, una marcata depressione della chemiotassi e della fagocitosi dei leucociti polimorfonucleati. Nei pz affetti da NG è stata riscontrata anche una ridotta proliferazione dei linfociti del sangue periferico conseguente a stimolazione indotta dai mitogeni. Una serie di fattori predisponenti può interagire con i sistemi di difesa dell’ospite e rendere il pz suscettibile alla NPD. Di solito uno solo di questi fattori non è sufficiente a generare la malattia. Malattie sistemiche Malattie sistemiche che indeboliscono le difese del pz predispongono alla NPD. Malnutrizione È responsabile di un abbassamento della resistenza alle infezioni e la carenza proteica, in particolare, rappresenta il problema di salute pubblica più comune tra i bamini delle aree più povere, molto spesso affetti da NPD. La malnutrizione è caratterizzata da una marcata diminuzione tissutale dei principali nutrienti antiossidanti e da una ridotta risposta delle proteine di fase acuta alle infezioni. Scarsa igiene orale, gengivite preesistente e positività anamnestica per malattia parodontale necrotizzante Studi recenti hanno confermato come un basse standard di igiene orale potesse contribuire all’instaurarsi della malattia. La malattia necrotizzante si instaura di solito, su una preesistente gengivite cronica. va comunque sottolineato che l’accumulo di placca che si osserva nei pz affetti da NPD può essere aumentato anche dal dolore. Stress psicologico e sonno insufficiente Anche per la NPD lo stress psicologico è stato ritenuto spesso e per molti anni un fattore predisponente. I pz affetti presentavano in misura significativamente più alta carattere ansioso, depressione e disturbi emotivi rispetto agli individui di controllo. La resistenza tissutale dell’ospite può essere modificata da meccanismi che agiscono tramite il sistema nervoso autonomo e le ghiandole endocrine, portando a un innalzamento dei livelli di corticosteroidi e catecolamine. Può quindi causare una riduzione della microcircolazione gengivale e del flusso salivare, un aumento di fattori nutritivi per Prevotella intermedia e determinare un calo di funzione di neutrofili e linfociti, facilitando l’invasione e il danno batterico. Sonno insufficiente è stato riferito da molti pz affetti. Fumo di tabacco e alcolici Il fumo presumibilmente è anche in grado di favorire altri tipi di patologie parodontali. La relazione tra consumo di tabacco e NPD sembra essere complessa. Il fumo potrebbe condurre a un incremento di attività della malattia, influenzando le risposte dell’ospite e le reazioni tissutali. Tra gli altri effetti del tabacco, l’aumento della secrezione di adrenalina provocato dalla nicotina, porta a una vasocostrizione gengivale. Il consumo o l’abuso di alcol sono stati riferiti dai soggetti affetti e il ruolo di questa sostanza, come fattore predisponente, è sostenuto dai numerosi effetti fisiologici da essa esercitati. Giovane età Nei paesi industrializzati i soggetti maggiormente predisposti sembrano essere i giovani. Picco tra i 22 e i 24 anni. Tale intervallo può riflettere una serie di fattori, come per esempio l’età media dei soldati, lo stress in tempo di guerra e probabilmente è correlato all’intervento di altri fattori come il fumo. TRATTAMENTO Può essere suddiviso in 2 fasi: trattamento della fase acuta e terapia di mantenimento. Trattamento della fase acuta Lo scopo consiste nell’eliminazione dell’attività della malattia che si manifesta con lo sviluppo di necrosi tissutale in direzione laterale e apicale. Un’altra finalità è di evitare al pz il dolore e il malessere generale. Nel corso della prima visita si dovrebbe eseguire una rimozione del tartaro, che dovrebbe essere il più possibile profonda. La strumentazione ultrasonica è da preferire a quella manuale, perché consente la rimozione dei depositi soffici e mineralizzati esercitando una pressione minima sui tessuti molli. L’azione dello spazzolino da denti nelle aree con ferite aperte ostacola la guarigione, quindi i pz dovrebbero far ricorso a sistemi di controllo chimico della placca fino a completa guarigione. Gli effetti apparentemente favorevoli del perossido d’idrogeno sono stati attribuiti all’azione di pulizia meccanica e all’influenza dell’ossigeno sulla flora batterica anaerobica. Un’ulteriore terapia topica supplementare tramite ossigeno ha evidenziato un più rapido riscontro clinico con minor distruzione parodontale rispetto a un gruppo non trattato con questa terapia. Sciacqui 2 volte al giorno con clorexidina 0.2% rappresentano un mezzo molto efficace per ridurre la formazione di placca batterica. L’efficacia di questa sostanza dipende dalla simultanea e attenta eliminazione meccanica dei depositi. In taluni casi di NPD la risposta del pz alla rimozione dei depositi è minima oppure lo stato di salute generale del soggetto è compromesso a tal punto da richiedere l’impiego di antibiotici o chemioterapici per via sistemica. Vanno impiegati anche nel caso in cui il pz presenti febbre, malessere e spossatezza. I soggetti colpiti da NPD dovrebbero essere controllati quasi quotidianamente per tutta la durata della sintomatologia acuta. Un trattamento appropriato è in grado di alleviare i sintomi entro pochi giorni, dopo di che il pz dovrebbe essere rivisto a distanza di circa 5 giorni. Terapia di mantenimento Con il completamento del trattamento di fase acuta, nella NPD si osserva una scomparsa della necrosi e della sintomatologia acuta. Le aree necrotiche sono andate incontro a guarigione e i crateri gengivali presentano dimensioni ridotte, sebbene, generalmente persistano alcuni difetti. Queste zone sono facilmente colonizzate da placca e la presenza dei crateri predispone a recidive o a ulteriori distruzioni per la persistenza di un processo infiammatorio cronico, o a entrambi questi fenomeni. Tali siti possono perciò richiedere una correzione chirurgica. Il trattamento della NG non può ritenersi completo finchè non si siano eliminati tutti i difetti gengivali e si siano ricreate condizioni ottimali per il controllo futuro della placca. Anche l’eliminazione dei fattori predisponenti risulta molto importante per prevenire le recidive. La comparsa di recidive può essere invece evitata attuando un’intensa pulizia delle superfici approssimali dei denti.