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Parodontologia I prof Discepoli, Sintesi del corso di Parodontologia

Riassunto del corso di Parodontologia I prof Discepoli

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021
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Caricato il 06/01/2021

davide-andriani
davide-andriani 🇮🇹

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Scarica Parodontologia I prof Discepoli e più Sintesi del corso in PDF di Parodontologia solo su Docsity! PARODONTOLOGIA EVIDENCE BASED DENTISTRY L’odontoiatria basata sull’evidenza ci permette di offrire il miglior trattamento possibile ai nostri pazienti 1- Cercando di capire quali sono gli articoli originali pubblicati sull’argomento 2- Filtrando le info 3- Applicando quelle che sono le caratteristiche cliniche del mio paziente I punti tramite i quali possiamo descrivere in cosa consista EBD sono: • Conversione della necessità di informazioni in domande • Rintracciare la migliore evidenza scientifica • Valutare la loro validità e utilità clinica • Applicare direttamente alla clinica Migliore evidenza —> migliori dati che possiamo ricavare dalla letteratura scientifica Tutte le info che provengono dall’aspetto scientifico devono essere sovrapposte alla nostra esperienza clinica e a ciò che richiede il paziente, cioè il valore del paziente Metodi alternativi all’EBD: I. Processo decisionale per aneddoti (basati sull’esperienza comune, non verificati scientificamente) II. Processo decisionale basato sulla citazione di articoli III. Processo decisionale basato su G.O.B.S.A.T. (gold old boys seated around a table) ovvero eminenze di un determinato argomento che decidono di scrivere delle linee guida IV. Processo decisionale basato sulla riduzione dei costi Questi 4 sono approcci inferiori dal punto di vista qualitativo Il primo passo è formulare una domanda PICO - P: population - I: intervention - C: control/comparison - O: outcome Sostanzialmente devo chiedermi P: a quale paziente si riferisce la mia domanda clinica I: che tipo di trattamento C: con quale trattamento viene confrontata la mia ricerca scientifica O: come vengono valutati questi trattamenti La domanda PICO è anche il primo passo attraverso il quale si eseguono le cosiddette REVISIONI SISTEMATICHE Il secondo passo è applicarla ad un motore di ricerca e ricercare la letteratura Bisogna aver chiara la gerarchia dell’evidenza tramite la quale posso stabilire il peso dell’informazione che proviene da un articolo PIRAMIDE DELL’EVIDENZA: mi permette di stabilire quanto io posso credere alle informazioni che provengono da quell’articolo in base al disegno di studio - Il livello più basso è l’OPINIONE DELL’ESPERTO - Il livello successivo è occupato da SERIE DI CASI e STUDI CASO-CONTROLLO (studi retrospettivi in cui i casi e i controlli vengono analizzati per quanto riguarda una determinata esposizione - Poi si trovano gli STUDI DI COORTE, studi prospettivi che dal presente vengono seguiti nel futuro - Al di sopra troviamo i RANDOMIZED CLINICA TRIALS (RCT) studi prospettivi con 2 gruppi. In uno applico un tipo di tecnica/trattamento e nell’altro un altro tipo. La partecipazione di un paziente in uno di quei gruppi è randomizzata. Ci saranno quindi un gruppo test (gruppo con il trattamento da verificare) e un gruppo controllo (con la tecnica di controllo) Questi disegni finora fanno parte delle informazioni non filtrate Al di sopra troviamo le informazioni filtrate - Nel vertice della piramide si ha l’informazione più pesante, cioè quella proveniente dalle REVISIONI SISTEMATICHE. Possiamo approcciarci alle revisioni in 2 modi • Approccio narrativo/giornalistico: ha un valore scientifico più basso (non c’è metodo) • Approccio sistematico: altissimo valore scientifico perché prevede l’applicazione di un protocollo scientifico che va registrato su un sito internet di nome Prospero, e non può essere cambiato in corso d’opera La ricerca scientifica si ricerca principalmente su Pubmed in cui possiamo inserire le parole chiave che vogliamo ricercare. Esiste un vocabolario per Pubmed chiamato MeSH che suggerisce quali parole corrispondono a quelle che vogliamo cercare. Per cercare su Pubmed utilizziamo i cosiddetti operatori boleani. > And —> record che contengono sia A che B > Or —> record che contengono A, B e sia A che B > Not —> record che contengono A ma non B DOI: codice unico per ogni articolo, mi permette di ricercare l’articolo senza conoscerne titolo o autore Indice d’Impatto: serve per stabilire l’importanza di una rivista . Calcola quanti articoli di una rivista vengono poi citati in altri articoli Abstract di un articolo. Contiene - Titolo - Autori - 4 punti principali: obiettivi, materiali e metto, risultati, conclusioni Articolo scientifico è formato da: - Un’ introduzione - Materiali e metodi 1) PRIMA FASE: individuare il gruppo di pazienti (popolazione eleggibile) attraverso dei criteri di inclusione ed esclusione descritti dal protocollo che si è deciso di seguire 2) SECONDA FASE: applicare la randomizzazione. Essa avviene senza che il clinico sappia con antecedenza se un paziente cade nel gruppo test o nel gruppo controllo 3) TERZA FASE: applicazione del trattamento 4) QUARTA FASE: controllo nel tempo 5) QUINTA FASE: misura dei risultati in cui si vanno a verificare nei due gruppi quali siano i risultati in accordo alla variabile risposta principale e si verifica che i risultati siano diversi nei 2 gruppi La RCT ha come obiettivo quello di ridurre i BIAS cioè gli errori sistematici e non volontari dati dalla struttura dello studio Differenti tipi di BIAS: • Bias di selezione: la randomizzazione non è eseguita correttamente • Bias di prestazione • Bias di esclusione: se troppi pazienti vengono persi nel follow-up • Bias di identificazione: se non si prendono le misure con cui si misura il successo o meno La randomizzazione più usata è quella a blocchi, cioè se si inserisce nel programma del computer che il paziente del gruppo test e del gruppo controllo devono essere 1:1 Si parla di randomizzazione incompleta tutte le volte che l’operatore conosce in precedenza dove andranno i pazienti Vantaggi RCT: • Valutazione rigorosa di un’unica variabile in una popolazione ben definita • Disegno prospettivo seguito nel tempo (anche se molto costoso) • Uso del metodo ipotetico deduttivo • Con la randomizzazione si elimina il Bias di selezione • Permette l’esecuzione di una metanalisi RCT NON APPROPRIATO: - In studi prognostici - Nella validità di un test diagnostico - Negli studi in cui si valuta la qualità del trattamento - Negli studi costo-beneficio PILASTRI DELL’RCT: > Selezione del paziente e dimensione del campione — Per quanto riguarda le origini dei pazienti bisogna tener conto di Omogeneità: tutti i pazienti hanno più o meno le stesse caratteristiche Rappresentatività: il campione rappresenta tutta la popolazione Se il campione è estremamente omogeneo allora applicando il trattamento si potranno vedere realmente le migliorie rispetto ad un altro. Purtroppo un’eccessiva omogeneità però riduce quella che è la rappresentatività, cioè l’applicabilità a tutta la popolazione. Di fatto, Omogeneità e Rappresentatività sono inversamente proporzionali — Criteri di inclusione e Criteri di esclusione Applicando questi criteri si amplia o si restringe la popolazione campionaria. Oggigiorno si tende ad omologare i criteri di inclusione ed esclusione cercando di applicare gli stessi criteri già pubblicati su uno stesso argomento. — Dimensione del campione viene scelto con il Sample Size: calcolare quanti pazienti partecipano allo studio principalmente per una questione costo-beneficio e per una questione etica. Esistono delle indagini statistiche che permettono di identificare la deviazione standard della misurazione ed il test statistico da applicare per verificare le differenze. Per misurare la numerosità campionaria (sample size) bisogna conoscere la variabile risposta, come si misura, la deviazione standard della misurazione e il test statistico da applicare per verificare le differenze. Oltre alla dimensione va guardata anche l’omogeneità Perchè: - Se le due popolazioni sono estremamente omogenee vorrà dire che la distribuzione dei dati della variabile risposta sarà molto più concentrata attorno alla media dei numeri, cioè sarà una distribuzione molto densa nella probabilità di trovare trovare i risultati attorno alle medie dei 2 gruppi. Quindi sarà più facile nelle due popolazioni trovare delle differenze - Se invece la popolazione è molto meno omogenea per quanto riguarda la variabile principale di risposta, ci sarà un’ intersezione delle ombre della distribuzione dei numeri molto più ampia e quindi sarà molto più difficile trovare delle differenze statisticamente significative Se il nostro campione è poco omogeneo si avrà bisogno di maggior dimensione del campione e viceversa Attenzione: se il campione è troppo omogeneo allora è poco rappresentato > Assegnazione aleatoria: — Occultamento dell’allocazione l’operatore non deve sapere, fino al momento di conferire il trattamento, a che gruppo appartiene il paziente — Occultamento non corretto + Randomizzazione non corretta = aumento del successo del gruppo test anche del 10-30% > Masking: mascheramento — Il paziente non sa che tipo di trattamento sta ricevendo; questo per evitare l’effetto placebo e l’effetti hawthorne Quando solo il paziente subisce masking: RCT a singolo cieco Quando è in cieco anche chi fa l’esame della variabile risposta allora si parla di RCT a doppio cieco. > Follow up — Quando un paziente viene seguito all’interno di un protocollo di studio e il modo in cui viene seguito ( ovvero la qualità) Durante il follow-up non vengono accettati drop-out oltre il 15-20%. Ancora più grave è quando il drop-out è concentrato in uno solo dei 2 gruppi (disequilibrio) Esistono 2 posizioni che i revisori chiedono di assumere davanti al follow-up e davanti al drop-out dei pazienti: 1. Intention to treat: si decidere di includere tutti i pazienti nell’analisi finale 2. Per protocol: eseguire un’analisi per-protocol; considerare i drop-out come se non avessero mai partecipato allo studio Oggi si tende ad accettare come più plausibile l’intention to treat DIVERSI TIPI DI RCT: INCROCIATO o CROSS-OVER: i pazienti ricevono entrambi i trattamenti separati da un tempo determinato MULTICENTRICO: più centri sperimentali in cui viene eseguito lo stesso protocollo per aumentare il numero di partecipanti in minor tempo PARALLELO: ci sono 2 gruppi e indistintamente il soggetto può entrare all’interno del gruppi test o del gruppo controllo STUDI CASO-CONTROLLO e STUDI DI COORTE: in medicina e odontoiatria sono i più frequenti STUDI DI COORTE: l’esposizione ad una o a differenti fattori di rischio permette la distinzione dei pazienti che partecipano alla coorte. I pazienti vengono seguiti prospetticamente e si valuta quanti di loro sviluppano questa malattia. Il rischio si calcola con il rischio relativo cioè incidenza esposti/incidenza non esposti. Tanto più è maggiore, tanto più il fattore che stiamo documentando è strettamente correlato all’effetto. Rischio relativo può essere applicato solo in studi prospettivi BIAS DEGLI STUDI DI COORTE: - di selezione - di migrazione (da un gruppo all’altro) - di osservazione (lo studio non può essere cieco) STUDI CASO-CONTROLLO: posso eseguirlo seduto alla mia scrivania semplicemente con le cartelle cliniche, con meno persone e in meno tempo. Dei pazienti con una malattia si ricerca nella loro storia naturale l’esposizione ad un fattore causale. Questo studio è retrospettivo. Purtroppo non è possibile verificare che il decorso del tempo fisiologico metta in relazione causa ed effetto in quest’ordine STUDI CROSS-SECTIONAL o TRASVERSALI: utilizzato per finalità epidemiologiche, per identificare la prevalenza. Manca il nesso temporale La struttura che si organizza tra connettivo ed epitelio è la membrana basale, che presenta una lamina lucida e una lamina densa (LL e LD). Sono ampi 200-300 Armstrong. Qui troviamo gli emidesmosomi e le fibrille di ancoraggio. Epitelio Giunzionale: qui si trova il cosiddetto apparato d’attacco - Attacco epiteliale tramite epitelio giunzionale - Attacco connettivale che è rappresentato dalle fibre della lamina propria che si inseriscono sul cemento della radice L’epitelio giunzionale contatta con lo smalto con una struttura simile a quella che troviamo nella membrana basale (emidesmosomi) Caratteristiche Principali: minor numero di strati, lo spazio tra le cellule relativamente maggiore e le cellule hanno maggiore dimensione. Metabolismo elevato tramite il quale possono modificare la loro struttura, ispessendosi, ulcerandosi e aumentando anche la permeabilità tra il connettivo e il solco stesso, che si approfondì e che in condizioni patologiche chiamiamo tasca parodontale. Non presenta la rete Ridge o la rete Pedge —> la sua struttura non si modifica approfondendosi con strutture digitiformi. Le cellule dell’epitelio giunzionale esfoliano con una sequenza molto rapida (6-7 gg all’interno del solco) Epitelio Giunzionale in infiammazione: - Ispessimento: aumento numero strati - Ulcerazione: diretto contatto tra corion (lamina propria) e solco gengivale - Migrazione Apicale: dovuta alla perdita di tono del tessuto connettivo conseguente a un rimodellamento delle fibre connettivali dato dalle metalloproteasi Segno specifico di infiammazione: sanguinamento Eliminando il biofilm, l’epitelio giunzionale è capace in 24-48h di recuperare nuovamente l’adesione alla superficie del dente decontaminato da placca e tartaro. Questa chiusura della tasca porta alla formazione dell’epitelio giunzionale lungo (non ho guadagnato attacco parodontale ma ho semplicemente la chiusura della tasca) Non c’è nulla che ci faccia pensare che biologicamente un attacco epiteliale lungo sia meno efficiente di una condizione fisiologica. Il sistema si è semplicemente sposato in senso apicale. Tessuto Connettivo: nel tessuto connettivo della gengiva sono rappresentate principalmente le fibre di collagene 1 e 3. Nel connettivo della mucosa alveolare troviamo anche fibre elastiche. [Gengiva clinicamente sana: abbiamo un livello di infiammazione di sorveglianza] Nel connettivo aumenta la densità vascolare (durante l’infiammazione). Quindi c’è un’apertura dei circoli collaterali e questa grande cellularità infiammatoria si traduce in una riduzione di consistenza del connettivo e in un’ulcerazione e migrazione apicale dell’epitelio. Clinicamente l’infiammazione nel tessuto connettivo —> edema, perdita di tono (perchè le fibre vengono modellate dalle metalloproteinasi). L’aumento dell’infiltrato determina una distruzione delle fibre connettivali perché quest’ultimo deve farsi spazio. Il tessuto connettivo ha un’elevata variabilità dimensionale anche all’interno dello stesso paziente e la diversità di spessore determina una diversità di percezione clinica e di fenotipo dell’infiammazione. Se ha un connettivo più spesso tenderà a nascondere maggiormente l’infiltrato infiammatorio —> la percezione clinica della malattia sarà minore Se il fenotipo è fine, la percezione dell’infiammazione può essere molto più marcata con conseguente edema e eritema. Quindi la qualità e quantità del tessuto connettivo variano la percezione dell’infiammazione e abbiamo bisogno del sondaggio per identificare la reale infiammazione delle gengive. Attacco Connettivale: è la distanza tra il margine coronale della cresta e l’inizio dell’epitelio giunzionale. Questo attacco di 0,1-1 mm non si modifica mai e rimane sempre a protezione della cresta ossea. In caso di infiammazione l’attacco connettivale migrerà più apicalmente. Questo attacco è rappresentato dalle fibre che si inseriscono nel cemento e che dal cemento si dirigono nella lamina propria Fibre che troviamo nel connettivo 1. Fibre circolari: decorrono in maniera orizzontale all’interno della gengiva libera come un “polsino” 2. Fibre dentogengivali: rappresentano la maggior parte dell’attacco 3. Fibre dento-periostali: vanno dal cemento della radice al periostio della cresta ossea, quindi permettono un’ancoraggio meccanico tra la radice del dente e il periostio della cresta RELAZIONE EPITELIO-CONNETTIVO: 3 studi STUDIO KARRINGS-OSTERGAARD-LOE 1971 “Da dove provengono le info che permettono alla mucosa di differenziarsi in tessuto cheratinizzato? E da dove quelle per la gengiva per mantenere un epitelio cheratinizzato?” Provengono dal connettivo sottostante: la sitospecificità di un epitelio non è data dall’epitelio stesso ma dal connettivo a cui è associato. La cheratinizzazione non è conseguenza di un insulto meccanico ma è un raffinato processo di differenziazione che è alla base della comunicazione di origine mesenchima tra un connettivo, la lamina propria e il proprio epitelio. Questa comunicazione è promossa dal tessuto di granulazione proveniente dal legamento STUDIO KARRINGS-OSTERGAARD-LOE- LANG 1994 “Realmente il connettivo proveniente da una zona non cheratinizzata se trapiantato in una zona priva di fonti di formazione di epitelio cheratinizzato come il legamento può ugualmente differenziare l’epitelio sovrastante?” Se inseriamo del connettivo con la capacità di differenziare (proveniente da una zona cheratinizzata) in una non cheratinizzata, si forma comunque epitelio cheratinizzato STUDIO KARRINGS-OSTERGAARD-LOE 1975 “Il tessuto di granulazione, in assenza di tessuto connettivo, è in grado di differenziare l’epitelio in epitelio cheratinizzato? La sorgente del nuovo tessuto cheratinizzato dipende direttamente dalla quantità del tessuto di granulazione proveniente dal legamento?” La quantità di gengiva cheratinizzata in seguito ad escissione è direttamente dipendente dalla quantità di tessuto di granulazione proveniente dal legamento (a prezzo però di un maggior riassorbimento della cresta) LEGAMENTO PARODONTALE E’ un tessuto connettivo estremamente lasso caratterizzato da una grandissima quantità di fibre, elevato numero di cloni cellulari (fibroblasti, osteoblasti, osteoclasti, cellule nervose, cellule epiteliali e i resti di cellule del Malassez) Le fibre di collagene che prendono il nome di fibre di Sharpey, hanno un decorso obliquo. Ancorano da un lato il cemento e dall’altro l’osso alveolare proprio. Cemento, legamento e osso fascicolato sono un’unica unità funzionale, strettamente uniti dal punto di vista funzionale l’uno contro l’altro. Nel legamento vi è un’elevata densità di vasi. Il legamento parodontale rappresenta una vera e propria sorgente, non solo di cellularità, ma anche di tessuti che sono in grado di modulare i processi di guarigione di una grandissima quantità di azioni (terapeutiche, preventive) E’ il tessuto che ha la più grande capacità di fattori di crescita, ma anche di cellule totipotenti. Solo il legamento è in grado, in condizioni di stabilità e maturazione adeguati, di creare nuovamente quelli che sono i tessuti persi per la malattia parodontale. CEMENTO Il cemento radicolare fa parte dell’apparato di attacco nella sua porzione definita CAFE (cemento acellulare a fibre estrinseche), cioè sostanzialmente il cemento che mi interessa in termini di apparato d’attacco, che è penetrato dalle fibre di Sharpey del legamento. Esiste anche un cemento privo delle fibre di Sharpey ma che ha delle fibre Intrinseche e non ha pertanto funzioni di attacco ma solo di riparazione (presente soprattutto nelle forcazioni e a livello apicale della radice) Il cemento è un tessuto estremamente mineralizzato (60-70%) ed è un tessuto che embriologicamente ha molto a che fare con l’osso alveolare proprio e con il legamento parodontale, ed infatti sono da considerarsi come unica unità funzionale. Il cemento non è irrorato né da vasi sanguigni, né da sistema linfatico, né da sistema nervoso. TESSUTO OSSEO Osso basale e osso alveolare, che è quella porzione di tessuto osseo che riveste le radici. Il tessuto che si distribuisce attorno alle radici è tessuto che avvolge le radici degli elementi dentali tra due corticali. Tra queste due corticali sono contenuti i setti interdentali. Tra le corticali, le radici si posizionano in distribuzione simmetrica. L’osso midollare e l’osso corticale assumono una distribuzione eterogenea. Un’assenza di tessuto osseo sulla superficie radicolare si chiama fenestrazione. Se quest’assenza è in comunicazione con la porzione più coronale allora si parlerà di deiscenza. Sia la fenestrazione che la deiscenza possono essere presenti fisiologicamente attorno alle radici dei denti. Attorno al dente troveremo questa successione di tessuti: Osso (fascicolato-lamellare-midollare) Nelle prime 2 settimane gran parte dei tessuti molli che prendono contatto con l’impianto sono rappresentati dalla componente connettivale. L’epitelio rappresenta una piccolissima parte, circa 1/5 di tutta la lunghezza di questo attacco sovracrestale. Questo perché il connettivo rimane pressoché stabile, mentre l’epitelio dovrà fare un’istodifferenziazione attorno al corpo dell’impianto. Dopo 4 settimane è stabile nelle sue dimensioni. N.B.: l’attacco tissutale sovracrestale è sito-specifico (può variare cioè da dente a dente) ed è assolutamente modificabile. l’attacco tissutale sovracrestale non è un organo STABILITA’ PRIMARIA: Frizione meccanica STABILITA’ SECONDARIA: Osteointegrazione. L’osso che permetteva la stabilità primaria si rimodella, si riassorbe e si va formando nuovo osso creando così un legame biologico. EPIDEMIOLOGIA CLASSIFICAZIONE FATTORI DI RISCHIO La malattia parodontale è caratterizzato principalmente dalla presenza di infiammazione. L’infiammazione si estrinseca attraverso: - Eritema ed Edema - Migrazione del margine gengivale - Malposizione dei denti - Formazione di diastemi - Presenza di fattori causali (placca e tartaro) - Gengive color vinaccia Se parliamo di malattia parodontale dobbiamo tener presente 3 aspetti 1. E’ una condizione infiammatoria (non è proprio una malattia infettiva) “infectious disease”. 2. Fa parte del gruppo di “malattie non comunicabili” —> che non si può trasmettere. Sono malattie diverse con patogenesi differente ma condividono dei fattori di rischio comuni (es. artrite reumatoide, diabete, malattie cardiovascolari, obesità) 3. E’ prevenibile L’aspetto essenziale nella paradentite è la perdita d’attacco, che la distingue dalla gengivite Ci sono 2 modi per causare perdita d’attacco: 1) Formazione di tasche 2) Recessione (soprattutto vestibolari date da spazzolamento, ma anche a 360° date da biofilm) Un’altra caratteristica della malattia parodontale è che è sito-specifica (potremmo averla solo in alcuni punti e non in altri) La misura ultima principale per valutare la presenza di malattia parodontale è la perdita del dente, ma questa non è realizzabile dal punto di vista clinico (il paziente ha bisogno di risposte immediate e non posso certo aspettare finche non perde un dente). Si eseguono pertanto delle variabili surrogate Sono principalmente 3 I. Profondità di tasca al sondaggio (PPD) II. Livello di attacco clinico (CAL) III. Sanguinamento al sondaggio (BOP) misura dicotomica dell’infiltrato infiammatorio Il tutto di misura con la sonda parodontale UNC che ha 15 racchette ognuna della lunghezza di 1mm dall’altra (ogni 5mm ce n’è una colorata) Oltre ai segni ci sono dei sintomi particolari: - Sanguinamento - Alitosi - Migrazione del margine gengivale - Mobilità denti - Impattazione alimentaria Quindi la malattia parodontale è una malattia infiammatoria cronica che ha a che fare con un’infezione batterica. Si misura con PPD, CAL e BOP. Fa parte delle malattie non comunicabili e vi sono molti fattori di rischio che possono essere ampiamente gestibili, prevenibili e che hanno a che fare con le abitudini. Tipi di prevenzione: - Primaria: prima della malattia per eliminare i fattori di rischio - Secondaria: nel momento in cui la malattia è già presente per ridurne gli effetti - Terziaria: prevenzione della recidiva, cioè quando abbiamo trattato e controllato la malattia Il paziente di malattia parodontale non guarirà mai —> il controllo dovrà continuare sia da parte del terapeuta sia da parte del paziente La malattia parodontale è una malattia multifattoriale: comportamento + suscettibilità individuale VALUTAZIONE DELL’INFIAMMAZIONE DEI TESSUTI PARODONTALI Prima si valutava con il Gingival Index (GI) ed il Plaque Index (PI), il primo descritto ka prima volta da Loe nel 1967 ed il secondo da Sillness e Loe nel 1964 e comprendono 4 valori da 0 a 3 Erano toppo dipendenti dall’interpretazione del clinico e per questo sono stati sostituiti dal Bleeding On Probing, valore dicotomico descritto da Mulheman e Son 1971 e da Ainamo e Bay (1975). Se il sito sanguina dopo 15 secondi dal sondaggio allora c’è infiammazione VALUTAZIONE DI PERDITA DEL SUPPORTO DEL TESSUTO PARODONTALE Perdita d’attacco: Indici storici - Periodontal Index (8 livelli), Russel 1956, univa recessione, tasca e perdita d’attacco - Periodontal Disease (6 livelli), Ramfjord 1957, esclusivamente il livello di attacco Oggi utilizziamo PPD (profondità di tasca) e CAL (perdita di attacco clinico) Questi due si misurano attorno a 4 o 6 punti per ogni dente • 6 punti: 3 vestibolari e 3 linguali/palatali • 4 punti: 2 punti al di sotto del punto di contatto, 1 punto centro-vestibolare e 1 centro- linguale/palatale PPD: distanza tra margine gengivale al fondo di penetrazione della sonda (fino a quando la sonda incontra una resistenza fibroelastica) Se non c’è recessione del margine gengivale allora il livello di attacco clinico coincide con la profondità di tasca (PAL = PPD) Mentre la perdita di attacco clinico se non c’è recessione sarà quindi pari al livello di attacco clinico a cui però sottraiamo la profondità fisiologica del solco, cioè circa 3mm (CAL = PAL - 3) Recessione: migrazione apicale dovuta a patologia del margine gengivale. E’ data dalla distanza tra il margine della CEJ e il margine gengivale Perdita di attacco clinico quando invece c’è recessione: dovrò considerare non solo la PPD rivelata dalla sonda ma aggiungere R (ovvero la distanza tra CEJ e margine gengivale Indice ESI di Carlos (indice bivariato), 1986: definiva l’estensione, quantità di siti in cui si rilevava una determinata perdita d’attacco con un livello soglia di 1mm; il secondo indice era la quantità media di questa perdita d’attacco. n Non si usa più • L’igiene, la placca e il tartaro sono una parte, ma non spiegano da soli la malattia • Non è la malattia degli sporchi • Non tutte le gengiviti si sviluppano in parodontiti STUDIO DI KASSEBAUM 2015 La forma di malattia parodontale severa si attesta globalmente attorno al 10-11% e negli ultimi 30 anni questa percentuale è rimasta uguale STUDIO NAHNES 2013-14 : prevalenza parodontite e gengivite nel 2020 - Prevalenza Gengivite: 90% - Prevalenza Parodontite Severa: 7.8% - Prevalenza Parodontite Non severa: 34.4% Prevalenza in base all’età: Parodontite - 30-40 anni: 29.5 % - 45-64 anni: 46% - 65-73 anni: 59.4% Severa - 30-40 anni: 4 % - 45-64 anni: 10.4% - 65-73 anni: 9% Non Severa - 30-40 anni: 25 % - 45-64 anni: 35.6% - 65-73 anni: 50.7% Nella parodontite severa abbiamo questo andamento particolare perché un dente perso esce dalla conta del sito con malattia parodontale Prevalenza in base al fumo: Parodontite - Non fumatori: 34.4% - Ex fumatori: 45.8% - Fumatori: 62% Severa - Non fumatori: 4.9% - Ex fumatori: 8.9% - Fumatori: 16.8% Non severa - Non fumatori: 25.5% - Ex fumatori: 37.7% - Fumatori: 43.4% Dai 40 ai 50 anni si raggiunge il picco massimo di prevalenza Prevalenza e incidenza sono quindi le stesse, non cambiano negli ultimi 20 anni nelle forme severe. MUCOSITE E PERIMPLANTITE La mucosite è il corrispettivo della gengivite (infiammazione marginale senza perdita d’attacco), la perimplantite della parodontite (perdita osso) - Quasi il 42% dei pazienti che hanno almeno un impianto in bocca soffre di mucosite. - Perimplantite invece il 22% (1 su 5) Sono entrambe dovute ad accumulo di biofilm attorno agli impianti FATTORI DI RISCHIO Fattore di rischio: Aspetto comportamentale/ambientale/genetico che che si associa a probabilità di insorgenza della malattia Indicatore di rischio: fattore di rischio che ancora non è stato dimostrato da studi Fattore prognostico: esposizione che modifica il fenotipo della malattia. a differenza del fattore di rischio, la malattia in questo caso era già presente CRITERI DI BRADFORD-HILL (per valutare un fattore di rischio) - Forza di associazione - Effetto dose-risposta - Consistenza temporale - Plausibilità biologica - Specificità dell’associazione (oggi questo criterio si è perso) FATTORI DI RISCHIO DELLA MALATTIA PARODONTALE • BIOFILM • INFIAMMAZIONE Questi sono i 2 protagonisti su cui si basa la malattia parodontale FATTORI DI RISCHIO VERI E PROPRI • Suscettibilità individuale • Controllo della placca • Fumo di sigaretta • Nutrizione • Farmaci • Malattie sistemiche DEFINIZIONI IMPORTANTI Odds Ratio: rapporto soggetti esposti malati / soggetti non esposti malati fratto soggetti esposti sani / soggetti non esposti sani —> indica la probabilità che un soggetto esposto alla malattia sviluppi quella malattia in confronto a chi non è esposto Rischio Relativo: solo in studi prospettivi. E’ il rapporto tra gli esposti malati / tutti gli esposti fratto i non esposti malati / tutti i non esposti —> rischio di un esposto di sviluppare malattia CLASSIFICAZIONE MALATTIE PARODONTALI 1999 I. Malattie Gengivali II. Parodontiti Croniche III. Parodontiti Aggressive IV. Parodontiti associate a Malattie Sistemiche V. Parodontiti Necrotizzanti VI. Ascessi parodontali VII. Lesioni Endo-Perio VIII. Deformità e condizioni genetiche acquisite 2017: si basa su 5 pilastri fondamentali 1. Quanto è severa la malattia SEVERITÀ 2. Quanto è difficile trattarla COMPLEXITAS 3. Quanto questa si estende EXTENSIO 4. Quanto in fretta progredisce VELOCITAS 5. Che fattori di rischio ha il pz PERICULI FACTORES Secondo questa classificazione le malattie e condizioni patologiche parodontali vengono suddivise in 3 blocchi: Salute parodontale, malattie e patologie della gengiva: - Salute parodontale e gengivale - Gengivite indotta da placca batterica - Malattie gengivali non indotte da placca batterica Parodontiti - Malattie parodontali necrotizzanti - Parodontite - Parodontite come manifestazione di malattie sistemiche Altre condizioni patologiche che colpiscono il parodonto - Malattie sistemiche o condizioni patologiche che colpiscono i tessuti di supporto parodontali - Ascessi parodontali e lesioni endo-parodontali - Deformità e condizioni mucogengivali - Forze occlusali traumatiche - Fattori correlati al dente o alle protesi Mentre le malattie e le condizioni patologiche perimplantari sono suddivise in 9 mini blocchi - Salute perimplantare - Mucosite perimplantare - Mancanza di tessuti molli o duri perimplantari Andiamo adesso a definire meglio il blocco delle Parodontiti: - Malattie parodontali necrotizzanti: parodontite necrotizzante gengivite necrotizzante stomatite - Parodontite come manifestazione di malattie sistemiche Per le Parodontiti si dovrà parlare di STADIO (1,2,3,4) e di GRADO (A, B, C) Altre condizioni patologiche che colpiscono il parodonto: - Malattie sistemiche - Ascessi parodontali Si dice localizzata quando interessa meno del 30% dei siti e generalizzata quando interessa più del 30% dei siti N.B per ogni stadio posso avere sia estensione Localizzata, sia Generalizzata, sia Molare-Incisivo GRADO Il grado si basa invece sulla velocità di progressione e sui fattori di rischio Grado A: non ho perdita d’attacco negli ultimi 5 anni (rapporto tra perdita ossea/età minore di 0.25) non fumatore, normoglicemico Grado B: perdita d’attacco minore di 2mm (rapporto tra 0.26 e 1), fumatore (meno di 10 sigarette) diabetico controllato (emoglobina glicata <7%) Grado C: perdita d’attacco maggiore 2mm (rapporto maggiore di 1), fumatore (più di 10 sigarette) e diabetico non controllato (emoglobina glicata >7%) Quindi: la severità, complessità e l’estensione descrivono lo STADIO la velocità e i fattori di rischio descrivono il GRADO CLASSIFICAZIONE DELLE RECESSIONI GENGIVALI 3 tipi di classificazioni: Sullivan & Atkins: 4 categorie di recessioni descritte dal punto di vista dimensionale trasversale e longitudinale - Ampia e Lunga* - Stretta e Lunga *più difficile - Ampia e Corta - Stretta e Corta Miller: 4 classi di recessioni in base alla possibilità terapeutica Classe 1: recessione non supera linea muco-gengivale, no perdita attacco né ossea Classe 2: recessione oltrepassa linea muco-gengivale, quindi apicalmente avrò mucosa Classe 3: perdita di attacco interprossimale contestuale alla recessione Classe 4: la perdita d’attacco supera la recessione stessa Nelle classi 1 e 2 ho il 100% di probabilità di coprirle Cairo: La recessione è definita come uno shift del margine gengivale più o meno associata alla perdita d’attacco interprossimale, ma è una perdita di attacco essa stessa Le recessioni vestibolari prevedono il riconoscimento della CEJ. Quindi: - Assenza di recessione - RT1: recessione vestibolare senza perdita ossea interprossimale - RT2: piccola perdita di attacco a livello interprossimale laterale alla radice. E’ minore dell’estensione della recessione - RT3: l’estensione della perdita d’attacco interprossimale è superiore alla lunghezza della recessione boccale Bisogna anche segnalare quanta gengiva aderente abbiamo e la presenza o meno di una lesione cervicale non cariosa, quindi di uno scalino che si associ alla recessione MICROBIOLOGIA DELLA MALATTIA PARODONTALE Nosocimbioticy: capacità del biofilm di ledere, cioè di indurre danno Il biofilm scatena una reazione infiammatoria L’insieme del corredo genetico dei batteri presenti nel corpo umano è stato analizzato e si chiama microbioma. Nel cavo orale sono presenti circa 1100diverse specie batteriche (specie commensali); la maggior parte di loro sono in equilibrio con quello che è il nostro sistema immunitario e cioè non creano danno —> La rottura di questo equilibrio porta a formazione di una tasca parodontale. Definizione di di Biofilm, Costerton, anni 90: microcolonie batteriche imbevute e inserite all’interno di una matrice polisaccaridica, la quale è una struttura dinamica che permette scambi metabolici e di info tra i batteri. Le microcolonie devono avere la capacità di aderire a una superficie 3 pilastri concettuali: - capacità della matrice di aderire a una superficie - distribuzione organizzata e specifica all’interno della struttura in cui sono imbevuti (glicocalice) - elevata biodiversità Due tipi di batteri: - Planctonici: batteri che vengono studiati in laboratorio, deprivati completamente del proprio ambiente - Sessili: batterio che si cerca di studiare all’interno di un contesto di comunità I 2 batteri hanno caratteristiche completamente differenti All’interno dello stesso biofilm ci può essere una spiccata eterogeneità metabolica. —> Batteri aerobi —> Batteri anaerobi —> Batteri anaerobi facoltativi —> Batteri capnofilici (utilizzano CO2) E tutte queste specie possono essere presenti in maniera contigua Ciò permette di limitare la concorrenza, permettendo quindi la capacità di una colonia di crescere senza che la propria sia una crescita a discapito di una colonia vicino Come abbiamo già detto, la nososimbioticità rappresenta la capacità di un agglomerato di microcolonie di creare danno, di essere patologiche e virulente. Sequenza di formazione del Biofilm 1) Pellicola acquisita —> fosfoproteine e glioproteine 2) Adesione reversibile 3) Adesione irreversibile —> adesine 4) Co-adesione 5) Maturazione 6) Distacco cellulare I primi colonizzatori sono streptococchi gram+ I colonizzatori secondari hanno le adesine e mediano l’adesione con i colonizzatori terziari e quaternari. SUCCESSIONE MICROBICA —> Maturazione: aumenta la propria biomassa ma aumenta anche la propria complessità Forma Corncob: un bastoncillo si lega con più cocchi Forma Test Tube Brush: un altra forma di coadesione, mutualismo reciproco che i batteri utilizzano per aumentare la grandezza della colonia SUCCESSIONE DESCRITTA DA KOLENBRADER Le specie hanno una successione specifica Streptococchi —> Actinomyces —> Fusobacterium Nucleatum (specie chiave nel processo di Maturazione perché grazie ai recettori diversi posti sulla sua parete garantisce una grande eterogeneità) Una volta che il biofilm ha aumentato la sua massa, segue la fase di Bilanciamento tra quelle che sono le disponibilità metaboliche, tra la capacità di sintesi della matrice e tra la trasmissione di segnali cellula-cellula all’interno del biofilm Segue dunque la fase del Distacco cellulare in cui il biofilm si dissemina, si rompe, si frantuma —> Disseminazione e quindi nuovo processo di maturazione Oggi sappiamo che assenza di microbioma equivale ad assenza di vita. Dobbiamo convivere con il biofilm e il biofilm ci aiuta a vivere nel migliore dei modi. Complesso blu, verde e giallo: sono i colonizzatori primari —> streptococchi, eikinella, campylobacter, attinomiceti. Sono Patobionti Complesso arancione: colonizzatori secondari —> fusobatteri, peptostreptococchi, campylobacter. Preparano la strada per il complesso rosso. La quantità di batteri probabilmente è minore però la loro capacità di produrre danno è maggiore rispetto ai colonizzatori iniziali Complesso rosso: sono i batteri che più fortemente si associano a distruzione parodontale —> porfiromonas gengivalis, tannerella forsithia, treponema denticola Se non abbiamo il complesso arancione non compare il complesso rosso. Se non abbiamo una base con il complesso blu, verde e giall, con molta difficoltà il complesso arancione arriverà ad avere una quantità di batteri sufficienti per colonizzare l’area I complessi arancione e rosso, in caso di parodontite, raddoppiano la loro presenza nella flora subgengivale. Cambiando le condizioni ambientali cambiano anche le specie e la prevalenza della specie all’interno del solco. Le specie del complesso rosso hanno una prevalenza molto alta nel paziente malato prima del trattamento. Dopo il trattamento, la quantità di complesso rosso rimane invariata nei siti che hanno perso attacco dopo il trattamento. Nei siti che invece hanno guadagnato attacco la carica batterica del complesso rosso si riduce parecchio. Quindi: • I batteri clusterizzano • Ci sono dei complessi che aiutano aerei complessi • L’idea è quella di una piramide la cui base permette la sopraggiunta di batteri che bastano anche in poche quantità ma che hanno bisogno di predecessori Al vertice di questa piramide ci sono i batteri più aggressivi che si associano di più non solo alla malattia parodontale ma a perdita e guadagno d’attacco dopo trattamento I batteri si uniscono in Biofilm per: - Aiuto protettivo - Maggiori scambi genetici cellulari - Circolazione nutrienti facilitata - Creazione di un ambiente con proprietà fisico-chimiche più agevoli per i batteri per la distribuzione e la capacità di recupero dei fattori di crescita Le specie batteriche variano in base alla porzione del dente. I batteri presenti nelle fessure o nelle superfici occlusali hanno un metabolismo saccarolitico. Sotto il solco invece troviamo batteri anaerobi e capnofilici, a causa della bassa quantità di ossigeno e della grossa quantità di emina (uno dei principali nutrienti dei gram-) All’interno del solco circa il 40% delle specie sono sconosciute Il Biofilm Sottogengivale è composto da tre strati - Strato Basale - Strato Intermedio - Strato Superficiale o Esterno Tutto il biofilm è rivestito da cellule eucariote, principalmente polimorfonucleati. Nello strato intermedio troviamo specie come il Fusobacterium Nucleatum e anche specie aggressive come la Tannerella Forsythia Nello strato esterno troviamo il cosiddetto CFB Cluster che consiste in 3 phylum: • Citophaga • Flavobacterium • Bacteroides Lo stato di severità di malattia parodontale modifica la composizione del biofilm, creando un ambiente particolarmente favorevole allo sviluppo di batteri, grazie ai fattori nutrienti dati dal sanguinamento, che porta anche maggior presenza di emina. Il complesso arancione e quello rosso sono statisticamente più presenti in malattia che in condizioni di salute, ma sono comunque presenti. Il gruppo rosso si associa in maniera esponenziale a un solco maggiormente profondo. La condizione essenziale perché il gruppo rosso sia molto prevalente nella tasca parodontale profonda è che comunque la tasca sia colonizzata prima e abbia creato un ambiente caratterizzato anche da Streptococchi, Actinomyces e Fusobatteri. La presenza di infiammazione caratterizza e modifica la qualità del biofilm anche a livello di profondità di tasca. TIPI DI TRASMISSIONE Trasmissione Verticale: microbioma orale ereditato dalla madre Trasmissione Orizzontale: malattia multifattoriale che non richiede esclusivamente un biofilm per essere prodotta, però richiede una forte suscettibilità individuale. Quindi questo tipo di trasmissione non è supportata da evidenza. Per avere malattia parodontale ho bisogno di: - Ospite suscettibile - Batteri patogeni - Ambiente favorevole - Condizioni che alterino l’equilibrio —> batteri keystone Dobbiamo quindi avere un patogeno aggressivo che abbia ricevuto da altri cloni batterici le informazioni genetiche per poter sopravvivere in quel determinato sito. Inoltre il batterio deve essere in grado di raggiungere un commensalismo con l’ambiente dell’ospite ed evadere le difese, sia dell’ospite che del microbiota orale Quindi per produrre danno può: 1) Colonizzare l’area subgengivale, il solco 2) Produrre dei fattori che danneggiano l’ospite In realtà gran parte della distruzione del tessuto parodontale è dovuta a produzione di proteasi da parte del sistema immunitario. I fattori di virulenza dei batteri servono principalmente ad evitare le difese dell’ospite. L’adesione è essenziale, ma non solo l’adesione su una superficie ma anche l’adesione lectine-like tramite altre cellule batteriche. Per colonizzare l’area subgengivale non basta solo aderire ma bisogna anche moltiplicarsi, quindi bisogna superare la selettività dell’ambiente fisico, bisogna crearsi un ambiente ricco di nutrienti. L’ambiente ideale per fare ciò —> un ambiente infiammato Quindi le capacità che un batterio deve avere sono: 1- Adesione 2- Moltiplicazione 3- Evasione delle difese dell’ospite —> produzione di proteasi e leucotossine per i Toll-like receptors. I batteri causano danno in 2 modi: • Reazione a distanza: stimolano cioè una reazione infiammatoria; è il fenomeno più frequente • Invadendo i tessuti: lo fanno in generale le Spirochete nella gengivite ulcero-necrotica o nella parodontite necrotizzante. Poco usato perché il sistema immunitario è molto potente quando invadiamo un tessuto e questa forza si risolve spesso nell’eliminazione dell’infezione; controproducente per il batterio Con la reazione a distanza si producono metalloproteasi della matrice che distruggono il modello connettivo e attivazione della catena RANK-RANK oteoprotegerina Le sostanza che producono reazioni infiammatorie sono: lipopolisaccaride, capsula, leucotossina, fimbrie, alcune molecole come le gingipaine del P.Gingivalis. Queste provocano una reazione pro-infiammatoria che in alcuni soggetti provoca una iperreazione e una iperdistruzione. TARTARO Placca mineralizzata. Si accumula maggiormente a livello interprossimale, livello linguale del quinto sestante, primo molare mascellare. - Valutabile clinicamente - Valutabile radiograficamente Il processo di calcificazione avviene principalmente tramite alcune proteine coke l’osteopontina e la sialoproteina. Ci deve essere calcificazione della pellicola —> fenomeno di locking (aderenze estremamente tenaci sulla superficie in cui è depositata la pellicola). Il tartaro si fonde, attraverso questo fenomeno di locking o interlocking, al cemento ed è quindi difficile riuscire ad identificare quando sto rimuovendo tartaro e quando sto rimuovendo cemento. Il tartaro si può formare anche in presenza di impianti Il tartaro è formato da 4 cristalli: - Bruscite (B) - Fosfato di octacalcio (OCP) - Idrossiapatite (HA) - Whitelockite (W) Tartaro sottogengivale: OCP supera il 40% Tartaro subgengivale: W preponderante Il tartaro NON ha ruolo a livello patogenetico; è semplicemente un deposito minerale di biofilm, da rimuovere perché altrimenti manteniamo attiva la capacità di determinare lesione. Ascessi post-trattamento: spicole di tartaro che creano delle reazioni acute perché vengono mantenute all’interno di un condizione in cui si è chiuso l’interno della tasca. Questo è il primo tentativo della cosiddetta risposta morale di raggiungere i batteri presenti nel biofilm Lesione stabilizzata: distruzione dei tessuti, rimodellamento dell’attacco parodontale. Aumenta sostanzialmente la qualità dell’infiltrato. Si ha la produzione di cellule B che diventano plasmacellule, specifiche per quei batteri di cui sono stati presentati gli antigeni nel linfonodo e che migreranno dal linfonodo verso il solco. I linfociti T presenti hanno un rapporto CD4/CD8 di 2:1 L’edema è aumentato, l’epitelio del solco non è ancora epitelio della tasca ma è comunque un epitelio ulcerato ed ispessito, particolarmente permeabile. Si distacca l’epitelio giunzionale (epitelio di un solco approfondito) Non c’è ancora tecnicamente perdita d’attacco. Abbondante infiltrato immediatamente al di sotto dell’epitelio di unione e dell’epitelio sulculare. Vedremo una gengiva arrossata e rigonfia, aumentata di volume (gengivite cronica, al limite con una parodontite iniziale) Lesione avanzata: L’epitelio d’unione e l’infiltrato infiammatorio incominciano a degenerare. L’epitelio giunzionale si stacca per creare spazio e si ispessisce; assistiamo così alla formazione della tasca parodontale. La perdita ossea segue la perdita d’attacco connettivale. Bisogna sempre fare il sondaggio (più specifico e sensibile rispetto alla radiografia) Il fronte di avanzamento della placca non arriva mai a contatto con il tessuto osseo ma si interpone sempre una band di tessuto connettivo inserito sulla radice. Placca e osso non vengono mai in contatto! INTERAZIONE OSPITE-BIOFILM I batteri stimolano il sistema immunitario in maniera tale che esso produca i danni principali. I fattori di virulenza riescono a produrre un ampliamento dell’infiammazione che è la causa principale della lesione. L’invasione diretta dei tessuti è molto limitata, gli unici batteri con caratteristiche di invasione sono le Spirochete, Treponema Pallidum e Treponema Denticola. Questi sono presenti soprattuto in ascessi parodontali e in parodontiti necrotizzanti (quest’ultime son frequenti in pazienti immunodepressi, HIV positivi) Oltre all’invasione, i batteri producono sostanze che aiutano loro stessi ad acquisire proteine per il loro sostentamento, ma anche colonizzare attivamente la superficie e quindi aumentare e maturare l processo di successione microbiologica. Le principali armi batteriche sono le Proteasi, come l’Arg-1 che stimola una fortissima risposta morale e serve ad evadere le difese. Un’altra è la Leucotossina, che crea dei fori nella membrana plasmatica dei PMN, portando infine a lisi (questa leucotosina è tipica dell’A. Actinomicetescomitans) Il lipopolisaccaride invece è prodotto dal P.Gingivalis ed è una componente della capsula del batterio. Viene riconosciuto dal Toll-like receptor 4 e stimola enormemente la prima linea difensiva e il complemento. MECCANISMI DI DIFESA DELL’OSPITE INFIAMMAZIONE e DIFESE INNATE: rappresentano la prima fase di risposta (fase acuta); le difese innate comprendono l’attivazione del complemento e dei polimorfonucleati PRESENZAZIONE DELL’ANTIGENE: con produzione di plasmacellule e anticorpi. Gli anticorpi possono essere prodotti a livello dei linfonodi oppure direttamente dalle plasmacellule. Produrre tanti anticorpi però può essere controproducente, data la complessità del biofilm. L’immunità innata e l’infiammazione vengono orchestrate da 5 componenti I. Asse monocito-macrofagico II. Complemento III. Neuropeptidi IV. Toll like receptors V. Mediatori lipidici In base poi a questa risposta possiamo avere o meno l’intervento delle cellule presentanti l’antigene che vanno poi a modificare le qualità dell’infiltrato infiammatorio: attivazione metalloproteinasi della matrice e asse RANK-RANKL-OPG (osteoprotegerina) per il rimodellamento dei tessuti minerali Il Complemento è un insieme di proteine solubili che ruotano attorno a 3 componenti: C3, C4 e C5 che vengono attivate in 3 modi differenti: - Via Classica - Via della Lectina (poco presente nei tessuti parodontali) - Via Alternativa (molto presente nei tessuti parodontali) i componenti del biofilm che attivano il complemento sono: Proteasi, Lipopolisaccaridi e Leucotossina Il complemento termina con la produzione di C5 e con la suddivisione di questa nelle sue due subunità. Il complemento ha azione litica —> le sue componenti riescono a penetrare all’interno delle cellule batteriche distruggendole Ha anche la funzione di amplificare la richiesta d’aiuto, avendo funzioni proinfiammatorie e di chemochine Un altra componente della prima fase di risposta è il sistema nervoso che contribuisce a modulare l’infiammazione; Infatti molte cellule pro-infiammatorie producono Neuropeptidi. Questi neuropeptidi vengono prodotti dalle cellule pro-infiammatorie perché le cellule del sistema immunitario sono dotati di recettori per i neuropeptidi (vanilloid receptor 1) I neuropeptidi amplificano la risposta infiammatoria - Reclutando cellule immuni dotate di recettori - Vasodilatando: cioè aumentando la permeabilità dei tessuti I neuropeptidi sono presenti soprattutto nel FGC e stimolano altri cloni cellulari a produrre interleuchine (citochine infiammatorie): IL1, IL6, IL8 e TNF. I principali neuropeptidi sono • Sostanza P • CGRP • VIP Altra componente della prima fase della risposta sono i Toll-like receptros, componente estremamente conservata nell’evoluzione. Sono una famiglia di 11 recettori specifici (maggiormente quindi affine ciascuno ad un determinato antigene), presenti su quasi tutte le cellule del sistema immunitario: cellule presentanti antigene, neutrofili, linfociti… Alcuni esempi della specificità dei Toll-like: • Tipo 2: ha domini specifici per P.Gingivalis, T.Forsythia e Treponema • Tipo 9: ha domini specifici per P.Gingivalis, A.Actinomycetescomitans I toll-like receptors quindi riconoscono uno specifico antigene (fimbrie, flagelline, lipopolisaccaride, leucotossina) e amplificano la risposta tramite citochine e chemochine in maniera altrettanto specifica: ad esempio tipo 4 produce IL2 e il tipo 3 INF e così via I due Toll-like receptors che predominano all’interno dei tessuti parodontali sono il Tipo 2 e il Tipo 4 Altra componente sono i Mediatori Lipidici. Sono importanti perché l’azione farmacologica di solito è diretta nei confronti dei loro sottoprodotti. I mediatori lipidici sono prodotti dal metabolismo dell’acido arachidonico (prodotto dai fosfolipidi di membrana) grazie a 2 enzimi: lipossigenasi e ciclossigenasi 1-2 Essi partecipano all’amplificazione dell’infiammazione: - Vasodilatando - Attivando Proteasi (metalloproteasi) e Prostaglandine - Rimodellamento tessuto osseo attivando asse RANK-RANKL-OPG Dopo quindi il sistema immunitario innato, orchestrato da queste 5 componenti, si passa alla risposta umorale acquisita che rappresenta la parte essenziale della lesione parodontale. N.B. Quando parliamo di una lesione parodontale, parliamo di una lesione cronica che si mantiene in uno stato di equilibrio (simbiosi) per moltissimo tempo. Quindi nelle malattie parodontali c’è poco di acuto. Una fase acuta, spesso è caratterizzata dal dolore, si ha solo in situazioni particolari. - Parodontite necrotizzante - Ascesso parodontale POLIMORFONUCLEATI (neutrofili sostanzialmente) La parodontite può insorgere in individui suscettibili attraverso il potenziale patogenico collettivo delle interazioni fra le comunità polimicrobiche fisicamente e metaforicamente integrate e una risposta infiammatoria sregolata dell’ospite. I polimorofonucleati sono capaci di modulare sia la risposta innata ma anche quella acquisita. Questa prima linea difensiva di norma fa fronte a un microbiota simbiotico; quando però l’equilibrio si altera (la biomassa cambia sia qualitativamente che quantitativamente) diventano amplificatori iniziali dell’infiammazione e devono far fronte per primi ai batteri che da commensali sono diventati patobionti inflammofilici. Il P.Gingivalis però, avendo attivato il fattore 5, riesce a bloccare la produzione di questi prodotti antimicrobici e a ridurre la fagocitosi del pmn grazie a un processo detto ubiquitinizzazione e tramite la proteina Smurf1; questo però non impedisce al polimorfonucleato la sintesi di citochine —> la risposta infiammatoria sarà quindi usata dal batterio sia per favorire la distruzione tissutale, sia per nutrimento. INFLAMMOSOMI Sono delle componenti intracellulari delle cellule delle prime linee difensive ma anche delle cellule epiteliali e vengono attivati quando i recettori PRR (pattern recogition receptor) riconoscono i DAMP e PAMP batterici. Sono stati riscontrati in malattie croniche come le malattie cardiovascolari, il diabete e l’artrite reumatoide Principalmente portano all’attivazione di un enzima, la caspasi 1, che porta a sua volta alla produzione da parte dei polimorfonucleati di - IL 1beta - IL 18 Le interleuchine 1 beta e 18 attivano i Linfociti B e T e richiamano i Neutrofili (gli inflammosomi hanno quindi ruolo non solo sull’immunità innata ma anche acquisita) Sono divisi in 3 famiglie: 1) Pirina 2) ALR: AIM2 3) NLR: NLRP1, NLRP3, NOD1, NOD2 Ma che impatto hanno questi inflammosomi nella malattia parodontale? Studio 1: c’è franca associazione tra siti che avevano perdita ossea e concentrazione di inflammosomi (superiori) Studio 2: trend tra la presenza di inflammosomi e la presenza dell’effetto della produzione che l’attivazione degli inflammosomi determina all’interno dello spazio cellulare con la severità della malattia parodontale IMMUNITA’ ADATTATIVA Le caratteristiche principali: 1. Capacità di espansione clonale 2. Memoria immunologica I Linfociti sono il braccio armato dell’immunità adattativa Abbiamo: • Linfociti B attivati, quindi Plasmacellule (60%) • Linfociti T-helper e T citotossici (1:3) • Polimorfonucleati e Macrofagi (<20%) La cellula presentante l’antigene (cellula di Langerhans, cellule dendritiche ecc..) presenta l’antigene processato con il sistema maggiore di istocompatibilità di tipo 2 nei linfonodi, sia ai T- helper 1 che 2 i quali attivano tramite citochine i Linfociti B e i Linfociti T che acquistano memoria e si espandono. Successivamente i Linfociti B riescono a produrre specifici anticorpi dopo aver riconosciuto l’antigene presentato sul sistema maggiore di istocompatibilità (risposta umorale) Gli anticorpi permettono che i batteri vengano riconosciuti per la fagocitosi, quindi attraverso un processo di opsonizzazione agevolano l’attività degli spazzini nel solco. Gli anticorpi raggiungono con difficoltà gli strati più profondi del biofilm, quindi l’attività anticorpaòe specifica all’interno della malattia parodontale è poco efficiente —> nella parodontite c’è poca specificità da parte della risposta anticorpale Questo a causa della struttura del biofilm Gli anticorpi che vengono prodotti sono: • IgG (per la maggior parte 1 e 2) • IgA DISTRUZIONE DEI TESSUTI DELL’OSPITE Inizialmente si ha riassorbimento e rimodellamento di tessuto connettivo e successivamente del tessuto osseo. Il rimodellamento del connettivo è dovuto principalmente alle metalloproteinasi della matrice (20ina di enzimi) che si suddividono in: • Stromolisine • Collagenasi • Gelatinasi • Altre Tanti cloni cellulari le secernono (fra cui cellule epiteliali, fibroblasti, polimorfonucleati, macrofagi) Le citochine pro-infiammatorie provocano un aumento di sintesi di metalloproteasi. La funzione è quella di creare spazio. Le interleuchine 1-beta e IL-6 portano a una maggiore sintesi di metalloproteasi. Le metalloproteasi più presenti nella lesione parodontale sono la tipo 8,1 e la tipo 3. La metalloproteasi di tipo 13 ha come substrato un’ampia fascia di collagene o di fibronectina e ha un ruolo importante per l’invasione dei ponti epiteliali che aumentano la superficie di contatto tra l’epitelio stesso e il tessuto connettivo. L’altra componente che viene rimodellata è il tessuto osseo L’osteoclastogenesi è mediata dalle prostaglandine, specialmente di tipo E2. 3 attori principali 1- Ligando del Rank 2- Il Rank 3- L’osteoprotegerina Due componenti principali: • Il fattore di stimolazione delle colonie macrofagiche (m-csf) • Presenza dell’accoppiamento Rank e Rank-L (ligando del Rank) Il modulatore che blocca questo processo è l’osteoprotegerina che toglie la possibilità di accoppiamento tra Rank e Rank-L eliminando la cascata di differenziazione che porta alla sovrapproduzione di osteoclasti SUSCETTIBILITA’ INDIVIDUALE Si basa su due corpi d’evidenza • Studi caso-controllo: fattori di rischio genetici • Studi dell’epigenetica: variando la disposizione tridimensionale della tripla elica all’interno degli istoni si può indurre maggior propensione alla malattia parodontale Dall’eubiosi passiamo alla disbiosi attraverso l’intervento sovente di patogeni chiave ( key-stone). Questo rompe l’equilibrio e fa diventare l’ambiente inflammofilico che crea un ambiente ancor più favorevole alla disbiosi e si crea un circolo vizioso L’infiammazione è determinata e modulata dalla sintesi, quindi da tutto ciò che avviene all’interno del nucleo. Il microbioma, il sistema immunitario e il modo di vivere rappresentano una piattaforma comune per moltissime malattie o patologie cronico-infiammatorie La regolazione genica ha molto a che fare con questi tre blocchi, influenza come noi reagiamo e trascriviamo il nostro processo infiammatorio nei confronti del biofilm. E’ una malattia genetica complessa Sappiamo infatti che la malattia parodontale con una piattaforma di base polifonica: sono moltissimi gli alleni interessati nel polimorfismo, cioè nelle mutazioni che hanno una certa penetranza all’interno della popolazione se presenti oltre un certo livello DUE PILASTRI ESSENZIALI: - SISTEMA IMMUNITARIO - CORREDO GENETICO Studio di Burt 1990 Studio prospettivo longitudinale. Le persone, seguite per molto tempo venivano valutate tramite questionario e tramite indagine clinica per vedere la distribuzione, all’interno della popolazione americana, di perdita di denti. Dopo 30 anni, circa il 14% dei pazienti risultavano totalmente edentuli. Questo 14% proporzionava quasi il 70% dei denti persi complessivi. Gli edentuli parziali erano il 13-14% e proporzionavano circa il 60% di quel gruppo Questo dimostra quanto la forma severa di malattia parodontale sia clusterizzata (11% delle persone di tutto il mondo) Alcune persone sono più predisposte, a parità di fattori ambientali e stile di vita, a sviluppare edentulia. Studio di Baelum 1986 Condotto in Tanzania; 1/3 dei soggetti proporzionava il 70% delle superfici con perdita d’attacco sopra un determinato livello soglia (CAL > 7mm) Studio di Loe & Anerud Condotto in Sri Lanka, divisero 3 grossi cluster: • Rapidamente Progressivi (RP) • Moderatamente Progressivi (MP) • Non Progressivi (NP) Di questi individui, che condividevano le stesse abitudini di igiene orale, alimentari, lavorative, ambientali, climatiche ed in parte genetiche, l’8%-10% non aveva malattia e invece un altro 8% arrivava a 45 anni con pochissimi denti in bocca Sono ad esempio NPY (responsabile equilibrio Th1-Th2), ciclossigenasi (metabolizzazione acido arachidonico in prostaglandine) Epigenetica: Qualsiasi modificazione che non comporti un cambio di sequenze del DNA 3 componenti - Metilazione DNA - Raggomitolamento DNA attorno agli istoni - RNA non codificante Queste modificazioni avvengono attraverso fattori ambientali e possono anche tramandarsi. La metilazione del DNA avviene attraverso la DNA metiltransferasi. L’acetilazione degli istoni è una modificazione trascrizione che viene definita permissiva perché è molto labile rispetto alla metilazione. E’ mediata dall’enzima acetiltransferasi e da uno chiamato istonedeacetasi Queste 2 condizioni possono determinare il blocco della trascrizione di una proteina o far subire alla proteina una modifica post-trascrizionale facendola diventare una proteina modificata. IL FUMO DI SIGARETTA Il fumo di sigaretta è un fattore ambientale che sbilancia l’equilibrio verso la disbiosi su cui il terapeuta può intervenire. E’ un fattore modificabile come il controllo della placca sovragengivale. Il fumo di sigaretta è una malattia psicologica. Incide in maniera preponderante sulla clinica, cioè sul fenotipo che questa malattia sviluppa. Il tabacco ha effetto sul processo di emostasi, nell’apparato respiratorio, sulla modulazione della risposta immune, e anche sulla flora microbica quindi sul biofilm. La penetrazione del fumo di sigaretta all’interno della popolazione ha raggiunto un picco negli anni ’70. Il plateau si raggiunge intorno agli anni ’80, dopo vi è una decrescita (Usa e Europa) Negli anni ’60 fumava circa il 52% della popolazione e le donne erano il 45% (adesso i dati si sono invertiti e le donne fumano più degli uomini) Il fumo è strettamente connesso all’ambiente socio-economico L’associazione fra fumo di sigaretta e cancro ai polmoni fu dimostrata dopo gli anni ’50 dalle pubblicazioni di Winder e di Doll e Hill Il contenuto delle sigarette varia da paese a paese ed è mutato dagli anni ’70 ad oggi Dipendenza dalla nicotina: metabolica particolato presente nel fumo che conferisce la dipendenza. Una volta bruciata questa produce altri metaboliti come la cotinina che amplifica questa dipendenza. La media è di 5 tiri di sigaretta al minuto, con l’inalazione di 55ml di fumo. Può oscillare anche fino a 3 volte di più (15 tiri al minuto con assunzione di 200 ml) Il fumo è composto da una fase aerosol e da una fase particolata Sono presenti circa 10 alla 9 particelle di 0.1-1 micron di diametro per millimetro in 500 mg di fumo Il 95% del peso del fumo è dato dalla componente gassosa, ci sono circa 400-500 tipi diversi di gas almeno. Il 5% è composto dalla componente articolata Le sostanze con capacità cancerogena all’interno del fumo di sigaretta sono le amine aromatiche, gli idrocarburi e le N-nitrosamina Agli inizi degli anni ’50 avevamo un 2,7 mg di nicotina e circa 36-38 mg di catrame per sigaretta. A cavallo tra gli anni 60 e 70 c’è stata l’introduzione del filtro che ha permesso di ridurre la quantità di catrame e di nicotina inalate. E’ per questo che siamo passati dai 2,7 mg di nicotina degli anni '60 agli 0.8-0.9 degli anni ’90 Il tabacco ha effetti: - Sulla salute sistemica (malattie apparato respiratorio, cardiovascolare..) - A livello molecolare (modulazione pmn, aumento stress ossidativo, modulazione crescita di alcuni cloni cellulari - Sulla reologia - Sulla salute parodontale La gengiva dell’accanito fumatore può presentare pigmentazioni, essere più fibrotica e meno elastica a causa dell’alterazione del turnover I principali effetti del fumo sul parodonto sono: • Perdita d’attacco • Maggior profondità di tasca • Assenza di sanguinamento al sondaggio Ciò porta a mascherare i pochi sintomi della malattia parodontale e a sottostimarne la severità STUDIO DI PINDBORG ANNI ’50 Studio fatto con un elevato numero di persone, volto a valutare un’associazione e a dare forza a questa associazione. Lo studio voleva mettere in relazione la parodontite ulcero-necrotica e il fumo di sigaretta STUDIO DI BERGSTROM E PREBER 1985-1986 Associazione tra fumo di sigaretta e malattia parodontale STUDIO DI TOMAR E ASMA Si vuole andare a vedere qual è il rischio attribuibile all’esposizione del fumo di sigaretta; in più in questo studio si definiscono le classi di: fumatore, ex-fumatore, non fumatore Un paziente che ha fumato più di 100 sigarette e fuma tuttora è considerato fumatore Un paziente che ha fumato più di 100 sigarette e non fuma più è un ex-fumatore Un paziente che ha fumato meno di 100 sigarette è un non fumatore Risultati: il fumatore tipo è fra i 18-35 anni, di condizione socio economica bassa e basso livello di istruzione. L’etnia non è rilevante Sempre in questo studio si dividono i fumatori attuali in base alle sigarette fumate (intensità) - Chi fuma meno di 9 sigarette - Chi fra le 10-19 - Chi fra le 21-30 - Chi più di 31 al giorno Invece gli ex fumatori vengono suddivisi in base agli anni trascorsi dall’ultima sigaretta - 0-2 anni - 3-5 anni - 6-10 anni - più di 11 anni L’OR aggiustata per tutti i fattori di rischio è assolutamente evidente: il rischio per un soggetto attualmente fumatore di 20 sigarette al giorno di avere malattia parodontale può essere di 3 volte superiore rispetto a un non fumatore; chi invece ne fuma più di 20 ha un rischio anche fino a 6 volte maggiore. Gli ex fumatori hanno la stessa probabilità di contrarre malattia parodontale dei fumatori se hanno smesso da meno di 10 anni. Dopo i 10 anni il rischio di un ex-fumatore diventa identico a quello di un non fumatore Quindi maggiore è la quantità di sigarette che fumo, maggiore sarà il rischio di malattia; Da più tempo invece ho assenza di fumo, minore sarà il rischio di malattia. Frazione attribuibile: percentuale dei casi di parodontite che può essere attribuita esclusivamente a questa esposizione. La frazione attribuibile fra i fumatori è del 42%, fra i fumatori passivi invece del 10%. In totale quindi del 52%. REVISIONE DI IAN BERGSTROM 2006 Tutti gli studi pubblicati che mettono in correlazione il tabacco e la malattia parodontale. Il 100% degli studi pubblicati fra il ’96 e il ’98 indica che i soggetti fumatori hanno più tasca e più perdita d’attacco rispetto ai non fumatori e uno stato radiografico peggiore Più del 90% degli studi indica che i soggetti fumatori hanno maggior possibilità di perdere i denti Efficacia della terapia: la maggioranza degli studi indicano che la terapia parodontale ha un outcome inferiore, quindi una prognosi inferiore, nei fumatori rispetto ai non fumatori. Il fumatore ha una risposta differente al trattamento rispetto al non fumatore. Ha maggiore difficoltà a raggiungere gli endpoint che ci siamo proposti STUDIO DI WARNAKULASURIYA Revisione che integra i risultati della revisione di Bergstrom. I pazienti vengono divisi in : former smokers, smokers, light smokers e never smokers. Il rischio è leggermente inferiore rispetto a quanto visto nella pubblicazione di Asman perché varia in maniera evidente la definizione di malattia parodontale (in alcuni casi viene misurata con CPITN, in altri esclusivamente con la presenza di un sito con perdita d’attacco superiore a 4mm) La probabilità di avere malattia parodontale nei soggetti fumatori è aumentata da 2 a 5 volte. C’è un rischio aumentato per il paziente fumatore e questo rischio è distribuito in maniera equilibrata in tutto il mondo, che vada al di la della categoria che di età che analizziamo, ma che soprattutto ci sia un effetto dose-risposta: maggiore è il fumo, maggiore è la severità della malattia. STUDIO DIBERGSTROM 2014 Analisi della percentuale di fumatori presenti in Svezia dagli anni ’70 ai nostri giorni (2010) L’obiettivo è valutare la severità di malattia parodontale dovuta al fumo di sigaretta. Negli anni ’70 fumava 1 svedese su due, mentre dal 2010 al 2020 fuma solo 1/7 e nel 2020 si è arrivati al 10% che si prevede si dimezzerà al 5% nel 2030. La prevalenza della malattia parodontale dovuta al fumo passa dal 20% al 13% Negli anni ’70, il 26% delle paradontiti erano dovute a fumo di sigaretta. Oggi questo dato si è abbassato a 7% Questo studio, come quello di Asman ci dimostra come la quantità di malattia parodontale che trattiamo dovuta al fumo varia da un 30 a un 50%. L’intervento terapeutico più importante dopo l’acquisizione delle corrette abitudini di igiene, condite nel far smettere di fumare però è probabilmente dovuto a effetto hawthorne, i pazienti cioè, consapevoli di far parte di uno studio, erano più motivati a seguire le norme di igiene). [N.B. più che aumento di sanguinamento al sondaggio in realtà sarebbe più corretto dire che dopo 6 mesi si torni alla normale funzionalità del microcircolo che riacquista la sua omeostasi] Qual è invece l’impatto del fumo passivo? Dallo STUDIO DI ADERONKE è risultato che il fumo passivo aumenta il rischio di avere segni di malattia parodontale del 30% STUDIO DI NAJI, Marzo 2020, modello di regressione Sono stati suddivisi i pazienti in 2 gruppi: i fumatori e non fumatori. Si è visto che la severità della malattia parodontale è superiore nei soggetti fumatori. Per questo studio le variabili prese in considerazione sono il livello di placca, il livello di sanguinamento, il numero di denti e la percentuale di tasche parodontali sopra i 5-6 mm Dopo 2 anni di trattamento parodontale: riduzione placca in entrambi i gruppi, riduzione sanguinamento (più nei fumatori), riduzione delle tasche superiori a 6mm (severe) da 5% a 1% nei non fumatori e da 7% a 1.5% nei fumatori Questo studio dimostra quindi che la terapia non chirurgica dopo 2 anni da’ un risultato comparabile, cioè del tutto simile, sia nei soggetti non fumatori sia nei soggetti fumatori E’ stato visto poi che la terapia chirurgica sia più efficace dopo 2 anni nei fumatori rispetto ai non fumatori, poiché il tessuto dei fumatori è più plastico e ha una stabilità maggiore nell’ottenimento delle riduzioni di tasca STUDIO DI ROSA 2014, modello di regressione Ci fa notare che: 1. E’ importante smettere di fumare perché oscillare tra fumare e non fumare non produce nessun risultato 2. La gran parte dei risultati del trattamento non chirurgico anche nei soggetti fumatori si ottengono nei primi 3 mesi di attività E’ stato visto che la capacità del trattamento non chirurgico di ridurre la profondità di tasca nei soggetti che hanno smesso di fumare è circa mezzo millimetro superiore rispetto ai fumatori o ai soggetti che oscillano. Quindi, anche se di poco, il trattamento chirurgico sembra essere più efficace nei non fumatori. DIABETE Quando valutiamo il fattore di rischio “diabete” intendiamo il diabete come esposizione e la malattia parodontale come risposta. Non è sufficiente però chiedersi se il diabete come esposizione ha effetto sulla malattia parodontale, ma dobbiamo chiederci anche il contrario, cioè se la malattia parodontale come esposizione ha effetto sul diabete come risposta. La risposta è si Quando parliamo di malattia parodontale e diabete parliamo di due malattie simili, che condividono molti fattori di rischio e si influenzano a vicenda. Tutto parte dall’alterazione dell’equilibrio (disbiosi) tra infiammazione e biofilm Dobbiamo comprendere la malattia parodontale come infiammazione, quindi, come tutte le flogosi dell’organismo, è un tentativo di riparazione da parte del nostro sistema immunitario che ad un certo punto va incontro ad un circolo vizioso e la flogosi non è più controllata. Questo avviene in tantissime malattie: artrite reumatoide, malattie infiammatorie intestinali, malattie cardiovascolari, diabete, alcune malattie respiratorie. Quindi la flogosi locale cronica della gengiva marginale può avere effetti su quello che è il livello infiammatorio sistemico. I pazienti con malattia parodontale infatti hanno livello di infiammazione sistemica leggermente più elevato e questo può portare loro a sviluppare molte commorbità: alterazioni pancreatiche e metaboliche, aumento di peso viscerale, cancro, alterazioni respiratorie, alterazioni cardiovascolari. STUDIO DI SHAEHAM 2000 Parla di una capacità di approcciare a tutte le malattie infiammatorie intervenendo su fattori di rischio comuni. La malattia parodontale, integrata in questo approccio, condivide molti fattori di rischio comuni con altre malattie sistemiche, quindi non può essere sbloccata da quello che è il contesto del corpo umano. Non si può trattare la bocca in maniera settaria da tutto il resto del corpo. Quindi malattia parodontale e diabete si influenzano a vicenda. • Parodontite come fattore di rischio e diabete come outcome: nei soggetti diabetici valuto l’effetto della parodontite in termini di variabili del diabete, principalmente valutazione del controllo glicemico • Diabete come fattore di rischio e malattia parodontale come outcome: si valuterà l’effetto del diabete nelle variabili parodontali, come PPD, CAL, recessione ecc… Il diabete è un gruppo di disordini che colpiscono il metabolismo dei carboidrati ma anche dei lipidi e delle proteine, e questa alterazione si concentra in un effetto principale che è l’iperglicemia (concentrazione elevata di zuccheri nel sangue) DIABETE DI TIPO 1 Malattia autoimmunitaria che colpisce i soggetti più giovani. C’è una disfunzione delle cellule beta del pancreas e vanno incontro ad autodistruzione mediata da meccanismi autoimmunitari —> deficit produzione insulina Una delle complicanze più frequenti è la chetoacidosi DIABETE DI TIPO 2 E’ più comune del tipo 1. L’assunzione di zuccheri dovuti alla dieta, vita sedentaria e obesità sono talmente alti da rendere la produzione di insulina dell’organismo non sufficiente per accontentare le richieste metaboliche. Si crea quindi alterazione metabolica con effetti che sono delle lesioni (micro o macro angiopatia diabetica) Il primo diabete è insulino-dipendente il secondo è non-insulino-dipendente DIABETE GESTAZIONALE Si sviluppa soprattutto nel secondo-terzo trimestre di gravidanza, nel quale le partorienti hanno difficoltà di ricaptazione del processo insulinico, Normalmente le primipare e i figli che hanno subito questa condizione hanno maggior probabilità di sviluppare Diabete di tipo 2 PRE-DIABETE E’ lo stadio intermedio tra salute metabolica e diabete. Spesso il paziente non sa nemmeno di avere questa alterazione iper-glicemica. Si possono avere alterazioni di livello glicemico a digiuno o la riduzione del picco glicemico dopo il carico. EPIDEMIOLOGIA Il diabete, in generale, colpisce 1 individuo su 10 In realtà la percentuale di incidenza del diabete di tipo 2 è in rapida ascesa (si prevede 1 su 5 nel 2030) Le percentuali sono ben marcate in favore del Tipo 2, che è la forma più prevalente (90%) Quindi la disproporzione tra tipo 1 e tipo 2 è assolutamente marcata: nei soggetti giovani il Tipo1 è quasi totalizzante, mentre negli adulti il diabete di tipo 2 (soprattutto nei neri non ispanici) è preponderante. DIAGNOSI Fondamentali sono i sintomi: poliuria, polidipsia, polifagia, calo ponderale (nel tipo 1) Questi sintomi devono essere associati a un livello di carico glicemico casuale sopra 200 mg/dl Bisogna cercare anche l’emoglobina glicata (per far diagnosi deve essere superiore al 6.5%) Glicemia a digiuno deve essere almeno 126 mg/dl o 7 micromoli per fare diagnosi Glicemia dopo carico di 2 ore deve essere superiore a 200 mg Bisogna tenere conto che un soggetto pre-diabetico svilupperà il diabete di tipo 2 nella quasi totalità dei casi. Nel soggetto pre-diabetico inoltre si possono determinare danni per esempio al sistema cardio-circolatorio. Sulla poltrona del dentista il prediabetico si può individuare attraverso parametri parodontali come la profondità di tasca, sanguinamento e perdita denti che sommati all’età possono suggerire di fare delle valutazioni del livello di emoglobina glicata. Nei soggetti sopra i 45 anni con sintomi di diabete e parodontite diventa tassativo farlo almeno una volta ogni 3 anni Sindrome Metabolica: insieme di alterazioni che definiscono un profilo molto chiaro che comprende obesità, dislipidemia, insilino-resistenza (pre-diabete e diabete tipo 2), ipertensione arteriosa e disfunzione endoteliale C’è una correlazione stretta tra sindrome metabolica e salute orale (in senso di carie e malattia parodontale) La sindrome metabolica è tipica delle società in via di sviluppo: negli USA nel 2030 si stima 1/5 della popolazione con sindrome metabolica Un altro marcatore importante è la proteina C reattiva, prodotta dal fegato in seguito a insulto, infettivo o traumatico, che richiede uno stato infiammatorio La proteina C reattiva è importante perché è un link tra una malattia che può essere considerata locale (malattia parodontale) e una malattia sistemica (diabete, malattie cardiovascolari, malattie infiammatorie croniche, malattie tumorali) C’è evidenza scientifica che la malattia parodontale, seppur sviluppata a livello locale si in grado di aumentare i livelli sistemici di proteina C reattiva. Una revisione pubblicata qualche anno fa da BORGANKKE dimostra che una frequenza di profondità di tasca maggiore di 6mm aumentava la possibilità di avere nel soggetto una difficoltà nel controllo glicemico. Non solo la malattia parodontale ha la possibilità di avere un impatto riguardo l’insorgenza del diabete mellito, ma anche con diagnosi conclamata di diabete la malattia parodontale ha la capacità di peggiorare la qualità del controllo glicemico del paziente diabetico. La presenza di un parodonto sano o un parodonto in assenza di parodontite attiva (tasche >5mm, sanguinanti) porta ad un impatto qualitativo migliore riguardo al controllo glicemico. Contrariamente, la presenza di parodontite porta a: - Possibilità di maggior insorgenza di diabete - Maggior difficoltà del controllo glicemico - Presenza di complicanze (micro-macro angiopatia diabetica) Possiamo sire che non solo il diabete è fattore di rischio per la malattia parodontale, ma che anche la malattia parodontale è fattore di rischio per il diabete, specialmente di tipo 2 (rapporto bidirezionale) REVISIONE DI BORGNAKKE MODIFICATA E RESA PIU’ ATTUALE DA GRAZIANI NEL 2018 Sono stati attualizzati e confermati tutti questi concetti di bidirezionalità Per sancire la relazione tra diabete e malattia parodontale è fondamentale anche l’aspetto del trattamento Come infatti nei criteri di Socranski, anche nei criteri di Bradford Hill, per stabilire l’associazione, è fondamentale l’aspetto del trattamento. Non basta infatti avere un razionale biologico che giustifichi questa relazione, ma è molto importante vedere qual è l’impatto del trattamento parodontale declinato in tutte le sue varie forme e l’evoluzione del diabete —> Se tratto correttamente il paziente parodontale, gli effetti si vedranno non solo sulle variabili parodontali, ma se c’è associazione anche sulle variabili del controllo glicemico, quindi dell’emoglobina glicata e del carico di glucosio a digiuno. Didatticamente dividiamo 3 blocchi, 3 aspetti per cercare di mettere in relazione il trattamento parodontale e il diabete 1. Il trattamento parodontale non chirurgico nel paziente diabetico Può cioè il diabete ridurre l’efficacia del mio trattamento? Ci sono stati molti studi a riguardo negli ultimi 10 anni. REVISIONE SISTEMATICA DI FRANCESCO D’AIUTO in base alla presenza di diabete 2 ho dei cambiamenti in termini di profondità di tasca e guadagno d’attacco clinico dopo trattamento parodontale? Cioè la performance del mio trattamento cambia se il paziente ha il diabete? Viene descritta una metanalisi dalla quale si evince che: La riduzione di tasca non è statisticamente significativa, quindi il mio trattamento parodontale, sia eseguito nel paziente con solo parodontite, sia nel paziente con parodontite + diabete, ha la stessa efficacia. C‘è da dire che comunque erano tutti pazienti controllati dal punto di vista glicemico e non è stato preso in considerazione il fumo 2. Influenza del trattamento parodontale sul controllo glicemico del paziente diabetico Io con le mie curettes, con il mio ultrasuono, facendo una diagnosi accurata, rivalutando il paziente facendo anche un open flan (chirurgia parodontale di accesso) ho la capacità di migliorare il controllo glicemico del paziente parodontale? In questo blocco si valutano due variabili surrogate di quanto sta andando bene o male la vita e il controllo glicemico del paziente • Emoglobina glicata —> si misura con una percentuale ed è la quantità di emoglobina che viene glicosilata ed è dipendente dall’emivita dei globuli rossi • Livelli di fasting glucose —> livello fisiologico a digiuno di un paziente appena sveglio al mattino e deve essere meno di 100mg/dl, se è superiore a 126mg/dl dobbiamo aggiungere questo parametro a quei parametri clinici che ci fanno fare insieme ai sintomi la diagnosi di diabete Noi vogliamo vedere se questi due parametri vengono influenzati dal mio trattamento parodontale. I trattamenti presi in considerazione sono: - Scaling e root planing (trattamento parodontale non chirurgico) - Trattamento parodontale non chirurgico assieme ad antibiotici - Chirurgia parodontale Sulla chirurgia non abbiamo molti dati dal punto di vista della letteratura, il grosso dei dati riguarda il trattamento non chirurgico + antibiotici REVISIONE DI ALTRE REVISIONI MADIANOS 2018 Ci dice che fino all’1% di emoglobina glicata può essere ridotta in un paziente diabetico dopo 4 mesi dalla terapia NON chirurgica L’associazione tra trattamento parodontale e l’influenza sulle variabili associate al diabete aggiungendo anche i livelli di glucosio a digiuno ha comunque lo stesso impatto sulla glicemia Sempre nella revisione di Madianos si vede il range a favore dello scaling e root planing, rispetto a non eseguire nessun tipo di trattamento, sul livello di glucosio a digiuno. A 3/4 mesi dopo il trattamento parodontale non chirurgico, il livello di glucosio a digiuno di un paziente diabetico con parodontite si riduce di -8, -9 rispetto a un paziente che non riceve trattamento. Quindi abbiamo 1% di riduzione di emoglobina glicata e fino a -9 di livello di glucosio a digiuno con soli scaling e root planing. E se viene trattato con anche aggiunta di antibiotici? I farmaci usati sono: - Amoxicillina + Metronidazolo - Doxicillina - Tinidazolo + Ampicillina - Azitromicina A livello topico: fibre di tetraciclina, sfere di minociclina Ne è risultato che non c’è differenza significativa. Quindi trattare un paziente con scaling e root planing + antibiotico piuttosto che trattarlo solo con caling e root planing non porta a nessun vantaggio Perché è importante tenere a mente l’effetto del trattamento parodontale su paziente diabetico? Bisogna ricordare i benefici che l’intervento porta ai due parametri principali: - Emoglobina glicata si riduce dell’1% con trattamento non chirurgico - Livelli di glucosio a digiuno si abbassano di circa 8/9 mg/dl STUDIO DELL’ENGLAND MEDICAL JOURNAL 2000 Perché è importante l’abbassamento dell’1% di emoglobina glicata nel pz diabetico trattato? Perché porta a: • Riduzione del 20% di morti relazionati alla malattia diabetica • Riduzione del 14% dell’infarto del miocardio • Riduzione del 37% di microangiopatia Quindi è fondamentale il nostro intervento come parodontologi nella salute del paziente diabetico poiché il nostro intervento, a livello di costo-beneficio ha un’elevata potenzialità: - E’ relativamente economico - Biologicamente molto sostenibile da parte del paziente - Economicamente sostenibile dalla comunità (il sistema sanitario nazionale non interviene) - Trattamento che in poco tempo ha un impatto tremendo sulla qualità della vita e sugli effetti del diabete 3. Influenza del trattamento parodontale sull’infiammazione sistemica nel pz diabetico Che impatto può avere l’intervento non chirurgico nel paziente diabetico in termini di mediatori sistemici? Prendiamo in considerazione: TNF-alfa e Proteina C Reattiva. Sono i 2 metaboliti più studiati, tra i più presenti in letteratura e tra i più facili da analizzare REVISIONE SISTEMATICA DI ARTESE 2016 Ne è risultato che a 6 mesi dal trattamento non chirurgico le variabili infiammatorie del paziente diabetico (Proteina C Reattiva) si riducono in maniera significativa La stessa cosa si può dire anche per studi che prendono in considerazione TNF-alfa Quindi in conclusione possiamo dire che il trattamento non chirurgico è efficace sia nel paziente diabetico che non diabetico, che sembra ci sia un impatto nei marcatori infiammatori, ma l’impatto più dirompente è riguardo il controllo glicemico nel paziente diabetico (riduzione dell’emoglobina glicata e riduzione del livello di glucosio a digiuno) RIASUMENDO: sappiamo che il diabete può essere inteso come fattore di rischio della malattia parodontale perché ho evidente sia del diabete 1 che 2 che indicano una stretta associazione con lo sviluppo e il fenotipo più grave di malattia parodontale. C’è inoltre un sostentamento biologico a quest’idea (AGE-RAGE); ci può essere un’influenza bidirezionale: non solo malattia parodontale come outcome e diabete come esposizione ma anche il contrario. La malattia parodontale inoltre è capace di aumentare il rischio diabete di circa 3 volte, oltre che aumentare il rischio di morte, peggiorare la qualità della vita e aumentare le complicanze nel paziente diabetico. La malattia parodontale inoltre, come fattore di rischio, è capace di peggiorare il controllo glicemico del paziente diabetico. Alla luce di questo abbiamo visto che il trattamento non chirurgico è efficace nel paziente diabetico e non, in grado di ridurre e migliorare il controllo glicemico, in grado di migliorare le variabili sistemiche. IMPATTO SOCIO SANITARIO DEL DIABETE
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