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Giovanni Pascoli: Vita e Opere - Myricae e la Poesia Decadente, Appunti di Italiano

Poesia italiana moderna e contemporaneaDecadentismo e SimbolismoStoria della letteratura italiana

Biografia di Giovanni Pascoli, poeta italiano del Decadentismo e del Simbolismo. Esploriamo la sua vita e le sue opere, con particolare attenzione alla prima raccolta di poesie, Myricae. Scopriamo i temi principali della poesia pascoliana, come la natura, la sofferenza e la morte, e analiziamo alcuni esempi di poesie come 'Agosto' e 'Il lampo'.

Cosa imparerai

  • Che temi tratta la poesia di Giovanni Pascoli?
  • Che movimento letterario appartiene Giovanni Pascoli?
  • Che significato ha la poesia 'Agosto' di Giovanni Pascoli?
  • Che elementi linguistici utilizza Giovanni Pascoli nella sua poesia?
  • Che sono le prime opere di Giovanni Pascoli?

Tipologia: Appunti

2019/2020

Caricato il 05/11/2021

ciaomichiamon
ciaomichiamon 🇮🇹

4.3

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Scarica Giovanni Pascoli: Vita e Opere - Myricae e la Poesia Decadente e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! GIOVANNI PASCOLI Infobox Chi Giovanni Pascoli Quando 31 dicembre 1855 - 6 aprile 1912 Movimento letterario Decadentismo, in parte anche Simbolismo Opere Myricae, Poemetti, Canti di Castelvecchio, Poemi conviviali, Il fanciullino Ha ispirato Umberto Saba 1Vita 2.Le raccolte di poesie 2.1 Myricae È la prima raccolta di poesie Pascoli, ma molti dei testi che la compongono erano già usciti in rivista. La poesia delle cose umili Il titolo, in latino, è una citazione dalla quarta bucolica di Virgilio, in cui le piccole tamerici (myricae in latino) indicano la poesia umile. Nella scelta di questo titolo Pascoli mostra la volontà di mettere al centro delle sue poesie le piccole cose. Myricae raccoglie in prevalenza componimenti brevi, che ritraggono la vita campestre e la natura attraverso immagini, suoni, colori e impressioni. Gli oggetti intorno ai quali il poeta si concentra si caricano di valenze simboliche. A questo si aggiunge l'immagine ricorrente dei familiari morti del poeta. Le caratteristiche del linguaggio di Pascoli sono già presenti le caratteristiche principali del linguaggio poetico pascoliano: -Onomatopee, come il “bubboliìo"” del primo verso della poesia Temporale. -Valore simbolico dei suoni, o fonosimbolismo, come la ripetizione di suoni cupi come la “o” o la “u" al fine di creare un'atmosfera di tristezza e mistero. -Linguaggio analogico, che crea una fitta rete di collegamenti tra le cose, ad esempio nella poesia X Agosto le immagini della rondine e dell'uomo sono legate per analogia. -Sintassi frantumata, fatta di frasi brevi e prive di elementi di connessione. -Combinazioni metriche inedite, che Pascoli chiamerà “metrica neoclassica" e che si concretizza in un ritorno alla metrica greca adattata alle esigenze della lingue italiane e alla volontà del poeta. 2.2 | pometti I Poemetti di Giovanni Pascoli sono componimenti più ampi di quelli di Myricae e di tono meno lirico e più narrativo. Sono racconti in versi in cui il poeta, attraverso le vicende di una famiglia contadina, celebra la piccola borghesia campestre, in cui risiedono valori come la solidarietà, la laboriosità, la saggezza, la bontà e la purezza morale. La vita contadina, con i suoi ritmi ripetitivi e il suo piccolo mondo protetto, appare a Pascoli un rifugio contro i mali del mondo e della storia. Le poesie si dividono in cicli, ognuno dei quali intitolato a una delle operazioni dei campi. Nei Poemetti sono presenti anche temi più inquietanti, carichi di significati simbolici, che evocano atmosfere notturne e rimandano al tema della morte. Dal punto di vista metrico si nota, a differenza di Myricae, l'uso della terzina dantesca. Il linguaggio rimanda alla poesia epica e conferisce eroicità ai personaggi della campagna. 2.3 Canti di Catselvecchio Giovanni Pascoli definisce queste poesie come delle myricae, collegandole dunque alla sua prima raccolta. Ritornano le immagini naturali e la vita di campagna e si torna al verso breve e alla dimensione lirica, che Pascoli aveva abbandonato nei Poemetti. Nella natura il poeta cerca una consolazione al dolore; lo capiamo dalla riproposizione dei temi del lutto familiare e della morte. Dal punto di vista dei paesaggi viene presentato sia Castelvecchio, il paese nel quale il poeta si rifugia nei momenti di riposo e al quale rimanda il titolo, sia il paese natale, luogo del nido perduto. Non mancano anche qui i temi più morbosi, che rimandano alle segrete ossessioni del poeta: il sesso, vissuto col turbamento di un fanciullo, e la morte, come rifugio ultimo. 2.4 Poemi conviviali Il titolo deriva dal fatto che la maggior parte di queste poesie furono pubblicate sulla rivista «Il Convito». Si tratta di poemetti dedicati a personaggi e fatti del mito e della storia antica, dalla Grecia fino al Cristianesimo delle origini: vi compaiono personaggi come Achille, Ulisse, Elena, Solone, Socrate, Alessandro Magno. Il linguaggio di Pascoli mira qui a riprodurre in italiano la poesia classica, ma sotto le vesti classiche appaiono i temi consueti della poesia pascoliana. Il mondo antico non si presenta immobile e perfetto, ma carico delle angosce della modemità. 3.La poetica del fanciullino Un discorso a parte merita il saggio Il fanciullino (1897), in cui Giovanni Pascoli espone la sua poetica. Vediamone i punti principali: -Il poeta deve porsi nell'ottica del fanciullino e comportarsi come se vedesse le cose per la prima volta, con stupore. -Per descrivere questo nuovo mondo egli deve usare un nuovo linguaggio, svincolato dai meccanismi della comunicazione abituale e che vada all'intimo delle cose, riscoprendole. La poesia diventa una conoscenza prerazionale, immaginifica, intuitiva e non logica. -L'atteggiamento irrazionale in Pascoli non determina un abbandono al sogno, ma anzi porta a uno scavo profondo nella realtà e permette di conoscere le cose direttamente, senza la mediazione della ragione. -Il poeta-fanciullino è in grado di cogliere le somiglianze e le relazioni tra le cose, le corrispondenze che vengono a creare una rete di simboli. -Il poeta è un veggente, dotato di una vista più acuta degli altri uomini e può spingere lo sguardo oltre le apparenze ed esplorare il mistero. 4.Il Decadentismo La poesia di Giovanni Pascoli si inserisce all'interno del Decadentismo, movimento letterario che si diffonde alla fine dell'800 e che si basa sulla percezione del presente come epoca di decadenza e su un ritomo all’irrazionale dopo le certezze del Positivismo. Vediamo nel dettaglio quali sono gli elementi che fanno di Pascoli un poeta decadente. 4.1Crisi del Positivismo Della sua formazione positivista rimane nella poesia di Giovanni Pascoli la precisione nell'uso dei nomi di animali e piante e l'attenzione alla correttezza scientifica. Famoso il passo in cui Pascoli rimprovera Leopardi per aver messo in mano alla donzelletta di Il sabato del villaggio un mazzo di rose e viole, cosa impossibile dal momento che rose e viole non fioriscono nello stesso periodo. Ma in lui si riflette anche la crisi della scienza tipica della 20. le bambole al cielo lontano. 21. E tu, Cielo, dall'alto dei mondi 22. sereni, infinito, immortale, 23. oh! d'un pianto di stelle lo inondi 24. quest'atomo opaco del Male! Parafrasi Giorno di San Lorenzo, io conosco la ragione per cui una così grande quantità di stelle cadenti attraverso l'aria tranquilla della notte d'estate brucia precipitando verso la terra, il perché di un pianto che così grande risplende nel rotondo e profondo orizzonte del cielo (“concavo cielo"). Una rondine stava ritornando al suo nido: fu uccisa: cadde tra i rovi: racchiuso nel becco della sua carcassa stava un insetto: la cena che stava portando ai suoi piccoli. Ora è ancora là, come se fosse crocifissa, che tende quel verme verso quel cielo lontano; e i suoi piccoli nascosti nel nido sono soli nell'oscurità ad aspettarla, pigolando sempre più piano. Anche un uomo stava tornando a casa: fu ucciso: disse: “Vi perdono"; e nei suoi occhi sbarrati si poteva leggere un grido soffocato: portava in regalo due bambole. Ora là, nella casa solitaria e isolata, continuano ad aspettarlo, ad aspettarlo inutilmente: lui immobile, con il viso stravolto mostra le bambole al cielo in alto lontano. E tu, Cielo, infinito, eterno (“infinito" ed “eterno” corrispondono a “infinito” e “immortale” del v. 22), dalla profondità immensa dei pianeti lontani e felici (“dall'alto dei mondi sereni”, v.21), inondi di un pianto di stelle la terra, questo corpuscolo buio composto solamente di male! Ei ; Allitterazioni “Lorenzo, stelle, tranquilla"; “Ritornava una rondine" (v. 5); “pigola sempre più piano” (v. 12); “attonito addita” (v. 19); “atomo opaco” (v. 24); Anacoluti “i spini" (v.6). l'aggettivo determinativo scorretto (forma esatta “gli") crea un effetto di discrepanza che descrive sonoramente l'aspetto dei rovi. Analogie “Ritomava una rondine al tetto" (v. 5) / [...] le bambole al cielo lontano”" (v.20): posto un parallelismo tra l'azione della rondine e dell'uomo e inoltre, a strofe alternate, tra l'immagine della carcassa dell'uccello e del cadavere. Anafore “ora è là, come in croce.../ ora là, nella casa...” (vv. 9 e 17); “che tende.../ che attende... /che pigola"(vv. 9-12); “l'uccisero: cadde tra spini... l'uccisero: disse: Perdono” (vw. 6 e 14) Figure di ripetizione che sottolineano la somiglianza della sorte della rondine e dell'uomo così come quelle del nido e della casa dove i pulcini e i bambini attendono invano. Asindeti “immobile, attonito" (v.19); “infinito, immortale” (v.22) Si tratta di ripetizioni di attributi elencati riferiti al volto del cadavere e al cielo che rimangono fissi ed immobili, come se il ricordo del poeta e del cielo fossero rimasti fissi a quella notte. Epizeusi “aspettano, aspettano invano" (v. 18): la ripetizione affiancata della parola sottolinea la lunga durata e la trepidazione dell'attesa. Apostrofi “San Lorenzo" (v. 1): il poeta apre il componimento rivolgendosi propriamente e figuratamente a un giorno (il 10 Agosto, dedicato appunto a San Lorenzo); “E tu, Cielo" (v. 21): la risposta alla reticenza dei vv.1-4 è indirizzata al cielo, che con il poeta ricorda la notte dell'omicidio. Metonimia “nido... / che pigola” (vv. 13-14); indicato con il termine “nido” il pigolio che è invece prodotto propriamente dai “rondinini” che si trovano al suo interno; “al tetto” (v. 5); riferito al nido, sovrappone le immagini speculari di “nido” e “casa”. Sinestesia “restò negli aperti occhi un grido" (v. 15) Il dolore finale dell'uomo è descritto dall'espressione degli occhi sbarrati, che danno la sensazione di produrre la sensazione, propriamente uditiva, prodotta da un grido. Similitudini “come in croce" (v. 9) La carcassa della rondine resta appesa tra le spine come fosse crocifissa; la stessa corona di Cristo in croce era appunto una corona di spine secondo la tradizione evangelica. Metafore “sì gran pianto / nel concavo cielo sfavilla” (vv. 3-4); “nido” (v.13); “di un pianto di stelle" (v. 23): il gran numero di stelle cadenti è associato dal poeta alle lacrime; “atomo opaco del Male” (v. 24): in riferimento al pianeta Terra. Il poeta ne sottolinea, oltre alla malvagità, anche la dimensione minuscola e oscura rispetto all'infinità grandezza dell'universo. Perifrasi “quest'atomo opaco del Male” (v.24): figura con la quale Pascoli designa la terra esprimendo il suo giudizio morale sul mondo in chiusura del componimento. Personificazione “San Lorenzo" (v.1); “E tu, Cielo" (v. 21); “Male” (v. 24) Il poeta si rivolge ad oggetti astratti o materiali (un giorno dell'anno, l'atmosfera terrestre e un concetto metafisico) conversando con loro come fossero personaggi in carne e ossa. Reticenza “io lo so perché tanto / di stelle per l'aria tranquilla / arde e cade, perché si gran pianto / nel concavo cielo sfavilla.” (vv.1-4) Figura che introduce il componimento e il cui contenuto annunciato è rinviato dal poeta agli ultimi versi della poesia; in precedenza Pascoli pone appunto l'analogia tra la rondine e l'uomo (suo padre). Iperbole “di un pianto di stelle lo inondi...” (v. 23): con “inondi” il poeta amplifica a dismisura la quantità di stelle (associato alle lacrime) che cadono nella notte di San Lorenzo; “atomo” (v. 24); riferito al pianeta Terra, questo viene designato con il nome della sua particella elementare per sottolinearne la minuscola dimensione rispetto all'universo. isi&C Storico-letterario X Agosto fu composta da Giovanni Pascoli nel 1891, ma venne pubblicata per la prima volta il 9 agosto 1896, alla vigilia del 29esimo anniversario della morte del padre del poeta, su Il marzocco. Un anno più tardi il componimento comparve nella quarta edizione della maggiore raccolta poetica dell'autore, Myricae, all'interno della sezione Elegie. Il titolo latino del libro, di ascendenza virgiliana, significa “piccoli arbusti" rimanda ai motivi del mondo della natura che vengono interpretati dal poeta in forma simbolica. La poetica di Pascoli, che egli descrive minuziosamente nel saggio Il fanciullino (1897), si concentra nel trovare la poesia negli oggetti di tutti i giorni, nei semplici paesaggi naturali e rurali che lo circondano. Gli strumenti per ricavarne poeticità osservandoli sono la capacità di stupirsi e meravigliarsi di un bambino: questo atteggiamento permette al poeta di scoprirne le sfumature nascoste e descriverli nella loro intatta purezza. In Myricae si trovano perciò componimenti brevi e caratterizzati da una linearità semplice, che contengono piccoli quadri di vita campestre, associati spesso al mistero e all'idea della morte. Lo stesso “nido” in X Agosto è una di quelle “piccole cose” che il poeta erige a baluardo e pone in difesa di se stesso e dell'uomo contro l'oscurità minacciosa che lo avvolge. Quello di X Agosto è tuttavia un nido violato e abbandonato. Attraverso una proliferazione di simboli, come spesso accade nel Pascoli di Myricae, viene rievocata la notte dell'assassinio del padre del poeta, Ruggero Pascoli, per mano di due sicari spinti da ragioni ignote (l'omicidio è stato spesso ricondotto a un'azione di brigantaggio), avvenuto il 10 agosto 1867. La notte di San Lorenzo, la cui data dà il titolo alla poesia, è tradizionalmente associata al picco del fenomeno astronomico delle stelle cadenti visibili ad occhio nudo, a causa del transito della terra nello sciame meteorico delle Perseidi, nel periodo dell'anno tra fine Luglio e metà Agosto. Il poeta paragona dunque la gran quantità di stelle cadenti al pianto del cielo che ricorda la notte dell'omicidio del padre e, per estensione, la malvagità degli esseri umani. Tematico Pascoli trae spunto dalla propria tragica vicenda personale e la pone in relazione con l'ordine naturale e cosmico così da ricavarne in forma simbolica un impietoso giudizio sulla vita umana e la malvagità degli uomini. Il componimento si apre attraverso una reticenza: il poeta, rivolgendosi con un'apostrofe alla notte di “San Lorenzo" (v.1) afferma, prendendo su di sé un ruolo di vate, di conoscere la ragione per cui il cielo (inteso come universo) sembra piangere in quella particolare notte. La risposta viene però rimandata e a partire dal v.5 Pascoli istituisce un'analogia simbolica che lo porterà a concludere il suo discorso solo nell'ultima strofa. Viene perciò evocata l'immagine di una rondine che torna al nido portando un verme peri suoi piccoli. Essa viene uccisa durante il tragitto e lascia i pulcini pigolare nel nido soli ed affamati (vv.5-9); allo stesso modo, il padre del poeta (“l'uomo” del v.13) viene ucciso mentre rincasa in quello che il poeta, fondendo le figure del padre e della rondine, chiama “nido” chiuso e protetto. Anche lui stava portando in dono delle bambole alle figlie. Ora anch'esse aspettano inutilmente, proprio come i piccoli della rondine aspettano la madre, ormai affamati e morenti. È significativo sottolineare il passaggio di tempi verbali dal passato remoto al presente in “Ora è là" (v.9) e “Ora là" (v.17) riferiti alla carcassa dell'uccellino e alle figlie dell'uomo. Ciò sottolinea che l'attesa delle piccole — e del loro fratello Giovanni Pascoli — non è ancora terminata a trent'anni dalla notte dell'omicidio. Il poeta vuole appunto evidenziare il forte trauma subito con la tragica perdita del padre. La rondine e il padre uccisi sono perciò posti in evidente analogia attraverso una voluta confusione lessicale tra termini umani e termini aviari o figure di ripetizione (“ritornava una rondine al tetto, v. 5 — anche un uomo tornava al suo nido, v. 13; “l'uccisero: cadde tra spini”, v. 6 -“l'uccisero: disse: Perdono", v. 14; “ella aveva nel becco un insetto”, v. 7 — “portava due bambole in dono", v. 16; “tende / quel verme a quel cielo lontano", vv. 9-10 — “addita / le bambole al cielo lontano”, v. 20). Essi sono presi a simbolo di tutti gli innocenti perseguitati ed alludono esplicitamente alla figura di Cristo, la vittima ed il capro espiatorio per tipicamente decadente, che lo vuole come culla di malvagità e oscurità insensata nei confronti della serenità e l'immobilità delle sfere cosmiche. IL GELSOMINO NOTTURNO Testo della poesia 1. E s'aprono i fiori notturni, 2. nell'ora che penso a' miei cari. 3. Sono apparse in mezzo ai vibumi 4. le farfalle crepuscolari. 5. Da un pezzo si tacquero i gridi: 6. là sola una casa bisbiglia. 7. Sotto l'ali dormono i nidi, 8. come gli occhi sotto le ciglia. 9. Dai calici aperti si esala 10. l'odore di fragole rosse. 11. Splende un lume là nella sala. 12. Nasce l'erba sopra le fosse. 13. Un'ape tardiva sussurra 14. trovando già prese le celle. 15. La Chioccetta per l'aia azzurra 16. va col suo pigolìo di stelle. 17. Per tutta la notte s'esala 18. l'odore che passa col vento. 19. Passa il lume su per la scala; 20. brilla al primo piano: s'è spento... 21. È l'alba: si chiudono i petali 22. un poco gualciti; si cova, 23. dentro l'urna molle e segreta, 24. non so che felicità nuova. Parafrasi E così si aprono i fiori notturni [i gelsomini indicati dal titolo], durante quelle ore in cui io sono solito pensare ai miei cari (durante la notte, quando rivolge il pensiero ai suoi cari morti). Sono comparse tra quei fiori bianchi (i vibumi) le farfalle notturne. Da un bel po' di tempo ormai i versi degli uccelli sono cessati: solo in una casa in lontananza si sente ancora bisbigliare. | piccoli uccelli (i nidi) dormono sotto le ali della madre come gli occhi dormono sotto le ciglia. Dai calici aperti dei fiori si spande nell'aria circostante un odore simile a quello delle fragole rosse [mature]. Lontano, nella sala è acceso un lume. L'erba cresce sulle fosse dei morti. Un'ape ritardataria continua a ronzare tornando all'alveare, perché tutte le celle sono occupate dalle altre api. La costellazione delle Pleiadi (la “Chioccetta") splende nel cielo azzurro e, come una chioccia nell'aia con i suoi pulcini, si trascina dietro le sue stelle. Per tutta la notte si spande il profumo dei fiori trasportato dal vento. Si vede la luce ch'era accesa nel salotto salire su per la scala, risplende al primo piano della casa, si è spenta... Giunge l'alba, si chiudono infine i petali [del gelsomino] un po' sgualciti [dal vento notturno]; germoglia, dentro la parte interiore del fiore, molle e nascosta, dove stanno i semi, una nuova felicità, perché è stata concepita una nuova vita. Figure retoriche Allitterazioni “s"v.6. “là sola una casa bisbiglia"; “r° v.10 “l'odore di fragole rosse”: vengono riprodotti fonicamente i rumori provenienti dalla casa e la fragranza dei gelsomini Anafore vv.10-18: “l'odore di fragole rosse. [...] l'odore che passa col vento.": ripresa dello stesso termine a distanza di una strofa a indicare lo scorrere della notte insieme a quello dell'odore dei fiori. Antonomasia v.15 “la Chioccetta": la costellazione delle Pleiadi viene chiamata con il suo nome popolare accostato alla forma (di una chioccia appunto) che essa ricorda. Asindeti vv. 19-20 “Passa il lume su per la scala; / brilla al primo piano: s'è spento...": elenco dei luoghi domestici percorsi dal lume al presente, come se il poeta stesse assistendo dall'esterno della casa al movimento. Ossimori v. 5 “si tacquero i gridi”: accostati i due termini opposti per indicare il silenzio profondo. Enjambements “viburni / le farfalle" (vv. 3-4); “si esala /l'odore” (vv. 9-10); “azzurra / va” (vw. 15-16); “s'esala / l'odore” (vv. 17-18); “i petali / un poco gualciti" (vv. 21-22): interruzioni ritmiche che si accoppiano al ritmo semplice della paratassi per indicare lo scorrimento dolce della notte accompagnato dal profumo dei fiori. Metonimia “casa” (v. 6); “nidi” (v. 7): si utilizzano i due termini (il cui accostamento è una costante pascoliana) per indicare le persone e gli uccellini all'intemo. Sineddoche “ciglia” (per “palpebre”) (v. 8): gli occhi dormono propriamente sotto le palpebre, che li coprono e li proteggono; “fosse” (v.12): richiamo alle tombe e alla problematica funebre, sottotema del componimento. Sinestesia “l'odore di fragole rosse” (v. 10): associazione della sensazione olfattiva a quella cromatica, e quindi visiva, e gustativa delle fragole; “pigolio di stelle" (v. 16) figura che sorregge l'analogia dei due versi 15-16, le piccole stelle accompagnano la costellazione come se emettessero il verso dei pulcini. Metafore “un'ape tardiva sussurra” (v. 13): l'ape che svolazza viene immaginata sola e in ritardo; “aia azzurra" (v. 15): il cielo descritto come un'aia su cui si stagliano le Pleiadi “urna” (v. 23): accostamento simbolico tra il centro del fiore, l'utero femminile e l'uma cineraria, che riunifica i temi del componimento. Similitudini “come gli occhi sotto le ciglia” (v. 8): il nido copre e ripara i piccoli uccellini come le palpebre fanno con l'occhio umano Onomatopea “bisbiglia" (v. 6); “sussurra” (v. 13); “pigolio" (v. 16): termini che riproducono i lievi rumori notturni, come il ronzio, il bisbigliare soffocato e così via. Antitesi “Da un pezzo si tacquero i gridi / là sola una casa bisbiglia” (vv. 5-6); opposizione tra il silenzio assoluto del paesaggio naturale e il rumore tenue delle voci umane. Personificazione “una casa bisbiglia" (v. 6): vengono messe in bocca alla casa quelle che sono propriamente le azioni delle persone all'interno; “un'ape tardiva sussurra" (v. 13): l'ape non produce il ronzio che le sarebbe proprio ma un suono umano. Reticenza “s'è spento..." (v. 20): il poeta tace ciò che accade nel buio della camera da letto. Analogie “ia Chioccetta per l'aia azzurra / va col suo pigolio di stelle” (vv. 15-16): simbologia costruita sul nome popolare della costellazione che richiama quella della chioccia; “si cova, / dentro l'urna molle e segreta / non so che felicità nuova” (vv. 22-24); “petali /un poco gualciti” (vv. 21-22): analogia in tre termini che richiama contemporaneamente la fecondazione primaverile del fiore e l'unione dei due sposi, allo stesso tempo vi viene associato il tema funebre, con l'uma che contiene la vita a venire (il feto) e quella andata via (le ceneri dei defunti) Analisi & Commento Storico-letterario Il gelsomino notturno è una lirica composta da Giovanni Pascoli e pubblicata per la prima volta nel 1903 nei Canti di Castelvecchio. Si tratta di un canto celebrativo per le nozze dell'amico del poeta Gabriele Briganti ed essa evoca, come Pascoli stesso ammette in una nota, il concepimento di un figlio durante la prima notte di matrimonio. I canti di Castelvecchio sono la seconda maggiore raccolta poetica dell'autore, nella quale egli si propone di continuare il programma avviato nella prima, Myricae (1891); ai paesaggi quotidiani e rurali si accompagnano i temi ossessivi della tragedia familiare e personale del poeta e problematiche costanti della poesia pascoliana quali l'eros e la morte. La raccolta è studiata secondo un susseguirsi di componimenti il cui ordine evoca quello delle stagioni e di conseguenza del tempo naturale della vita e della morte. Il titolo della raccolta richiama quello dei Canti leopardiani, che furono insieme fonte d'ispirazione e bersaglio della critica pascoliana, e si riferisce al comune di Castelvecchio Pascoli (comune toscano che oggi prende il nome dal poeta), nel quale egli aveva acquistato la villa Cardosi-Carrara, nella quale egli risiedeva quando compose la raccolta. In Il gelsomino notturno troviamo una descrizione impressionistica di un paesaggio nottumo nel quale si stagliano immagini naturali e umane, colte attraverso i loro aspetti multisensoriali (cromatici, olfattivi, sonori). L'immagine dei «fiori nottumi», i gelsomini, che apre e chiude la lirica, denota una circolarità tematica unitaria che a livello esclusivamente letterale consiste nella narrazione di ciò che avviene durante una notte. L'allusività pascoliana è tuttavia da leggere attraverso una simbologia erotica legata al concepimento e una contemporanea invocazione del tema della morte. Tematico Il componimento si apre con una “E" iniziale che sembra alludere a qualcosa di non esplicitato, nascosto. L'inno di Pascoli, pur essendo concepito in celebrazione di una unione matrimoniale, non contiene esclusivamente elementi gioiosi. | “fiori nottumi” che si aprono rappresentano un'allusione erotica a ciò che sta avvenendo nella casa che “bisbiglia”, ossia la fecondazione. Tutto lo scorrimento delle strofe è inoltre accompagnato dal riferimento all'odore dei gelsomini che si esala per tutta la notte portato dal vento sino all'alba, quando i “petali un poco gualciti” del fiore si riferiscono implicitamente alla perdita della verginità. Il carme foscoliano si apre con una serie di interrogative retoriche che introducono un legame tra le urne e le tombe, le piante che vi sorgono intorno e la fecondazione (simbolo della vita rinnovata). Il tema della lirica è quello dell'importanza della venerazione dei defunti — soprattutto degli eroi patriottici — nella costruzione di un'identità nazionale e di un futuro, associato all'armonia del mondo naturale. A distanza di un secolo, vediamo che Pascoli rielabora la tematica della venerazione dei cari estinti in una chiave che ha totalmente perso i connotati idealistici civili e nazionali che erano propri di Foscolo. Il legame con le “ume” dei propri cari è per Pascoli sì qualcosa di dolce, ma anche qualcosa che gli impedisce di stringere nuove relazioni e rinnovare se stesso e la propria condizione. L'armonia del mondo naturale, la felicità dei “gelsomini nottumi” appartiene solo agli altri, è un qualcosa che egli può osservare e descrivere da vicino, di cui può emozionarsi empatizzando ma mai provare in prima persona. IL LAMPO Testo della poesia . E cielo e terra si mostrò qual era: . la terra ansante, livida, in sussulto; . Il cielo ingombro, tragico, disfatto: . bianca bianca nel tacito tumulto . una casa apparì sparì d'un tratto; . come un occhio, che, largo, esterrefatto, . s'aprì si chiuse, nella notte nera. NDOUBLWN Parafrasi Il cielo e la terra insieme si mostrarono quali erano nel loro vero aspetto: la terra era ansimante, di un colore oscuro e scossa; il cielo ingolfato dalle nuvole, cupo, disfatto: bianchissima nello sconvolgimento silenzioso una casa apparve all'improvviso e subito scomparve come un grande occhio che, atterrito, si aprì e si chiuse immediatamente, nel buio della notte. Ei ; Allitterazioni v. 4: “tacito tumulto; v. 7: nella notte nera"; Anastrofi vv. 4-5: “bianca bianca nel tacito tumulto/ una casa apparì sparì d'un tratto"; Anacoluti v.1 “E cielo e terra si mostrò”: il verbo al singolare per i soggetti al plurale sta ad indicare la complementarità dei due elementi. Antitesi v. 5: “appari spari"; v.7 “s'aprì si chiuse"; accostamento di termini dal significato opposto che indicano la velocità con la quale il paesaggio viene illuminato e poi toma nel buio. Climax v. 2: “ansante, livida, in sussulto; v. 3: “ingombro, tragico, disfatto": elencazione delle sensazioni di sconvolgimento sempre maggiore mostrate dal paesaggio. Enjambements vv. 4-5; vv. 6-7; Metafore v. 2: “la terra ansante, livida, in sussulto; v. 3: “il cielo ingombro, tragico, disfatto": l'aspetto di cielo e terra viene descritto con una terminologia che rimanda al volto umano. Ossimori v. 4: “tacito tumulto”: riferito appunto al lampo che crea sconvolgimento visivo ma è silenzioso finché non viene accompagnato dalla sua controparte sonora, il tuono. Similitudini v. 6: “come un occhio”: il rapissimo passaggio luminoso che illumina la casa è paragonato a un battito di palpebre. Analisi & Commento Storico-letterario Il lampo fu composta da Pascoli nei primi anni '90 e compare per la prima volta nella terza edizione di Myricae del 1893 all'intemo della sezione “Tristezze”. La raccolta deve il suo titolo al verso virgiliano contenuto nelle Bucoliche “Arbusta iuvant humilesque mirycae”" (“sono piacenti gli alberi e le umili tamerici"). Attraverso la scelta di tale titolo Pascoli allude al tono semplice delle sue composizioni e ai temi della quotidianità che esse interpretano. Paesaggio di Myricae è quindi la vita rurale in ogni sua sfaccettatura; tuttavia dietro questa chiave è possibile ritrovare esplicitamente l'inquietudine che animava il poeta, un'interpretazione dell'esistenza malinconica ed effimera e una forte attrazione verso il dramma della morte. La poetica adottata da Pascoli è infatti quella da egli stesso descritta nel saggio Il fanciullino (1897): ogni essere umano ha in sé un lato nascosto capace di stupirsi e meravigliarsi. È tipico dei poeti il saper risvegliare quest'animo di fanciullo e descrivere gli oggetti, anche i più semplici, nella loro genuinità rivelatrice. Il lampo è un tipico esempio d'applicazione di questo concetto. Un fenomeno atmosferico naturale è colto nel suo valore simbolico e diventa quindi rimando a temi metafisici come quelli della vita e della morte. Il contenuto è fortemente connesso con quello de Il tuono, lirica che la segue direttamente nella raccolta proprio come avviene per i fenomeni atmosferici in questione, e di Temporale, inserita diverse pagine prima nella sezione “In campagna”. Tematico La lirica si apre con un verso isolato dal tono biblico che annuncia lo squassante fenomeno atmosferico suggerito dal titolo e ne evidenzia subito il carattere rivelatore: La realtà svelata dalla luce fulminea del lampo è fatta di dolore e tormento: la terra e il cielo sono descritti attraverso due climax (rispettivamente: v. 2: “ansante, livida, in sussulto; v. 3: “ingombro, tragico, disfatto") e non come elementi naturali inanimati, ma come volti umani deformati dallo spavento. Il lampo non è però ciò che li spaventa, ma ciò che li illumina appunto nel loro vero aspetto: esso è perciò una metafora della fugacità della vita e rivelatore della violenza e della crudeltà del mondo. La sola figura luminosa (“bianca bianca") nel desolato paesaggio descritto è la casa isolata, simbolo che ritorna costantemente in Pascoli come rimando al nido degli affetti familiari, unico luogo che protegge l'essere umano dalle minacce esterno. Viene quindi posto da Pascoli un contrasto cromatico tra il nero del cielo nottumo e della terra e il bianco del lampo e della casa, con questi ultimi due elementi che sono gli unici e brevissimi elementi di luce nell'oscurità che tutto avvolge. Proprio la velocità è il tema dominante del componimento: il tempo della luce che illumina è brevissimo, come un battito di palpebre (da qui la similitudine che rimanda all'occhio al v.6) che apre alla vista sul mondo e poi la impedisce subito dopo. Stilistico Il lampo è una ballata piccola costituita da una strofa singola di un verso e da una sestina di versi endecasillabi rimati secondo lo schema A BCBCCA. L'origine di questa forma metrica, legata alla musica, al canto e alla danza come suggerisce d'altronde il nome, risale alla poesia toscana medievale. La lunghezza della strofa isolata (il ritornello) ne determina la misura (grande, mezzana, minore, piccola, minima, extravagante): si ha ballata piccola quando il ritornello è costituito, come nel nostro componimento, da un unico endecasillabo. Non a caso il componimento è molto breve: Pascoli enfatizza la velocità attraverso la quale si verifica il fenomeno atmosferico del lampo, il quale diventa appunto simbolo della fugacità della vita e della precarietà del nido (la casa), elementi avvolti dall'enorme buio della morte e della crudeltà umana. Il ritmo poetico è quindi estremamente sostenuto e sorretto da figure retoriche quali il climax, l’asindeto e l'antitesi (“apparì sparì, v.5; “s'aprì si chiuse”, v. 6). Un rallentamento è posto dal poeta nel finale attraverso due enjambements e un utilizzo serrato della punteggiatura per sciogliere il significato del simbolo attraverso l'esplicitazione della similitudine dell'occhio e il ritorno della lunga oscurità notturna. Da un punto di vista semantico, Pascoli, nonostante curi con estrema precisione gli effetti fonici attraverso l'utilizzo della rima e delle figure di accelerazione di cui si parla sopra, è più concentrato sulle sensazioni visive generate dal lampo. L'intera lirica si gioca quindi sulle opposizioni luce-buio/bianco-nero e ciò che è rivelato dal lampo è appunto un rapidissimo fotogramma del paesaggio rurale nel quale si staglia isolata la casa durante la desolazione notturna. Il lampo che permette di cogliere visivamente il quadro è infatti paragonato ad un occhio. Tale scelta deriva probabilmente dall'accostamento complementare che il poeta sceglie tra questa lirica e quella che la segue in Myricae, Il tuono, nel quale prevarranno le descrizioni uditive dello stesso fenomeno atmosferico. Confronti Il lampo è una lirica ricca di riferimenti che Pascoli fa alla propria produzione e presenta una serie di immagini che sono costanti nell'autore, per non dire quasi ossessive. L'occhio sbarrato, “esterrefatto”, al quale il poeta paragona la luce del lampo e della casa trova diretta corrispondenza con un passaggio di X agosto, il celeberrimo componimento pascoliano dov'è evocata la notte di San Lorenzo nel 10 agosto 1867, durante la quale il padre del poeta fu assassinato: 13. Anche un uomo tornava al suo nido: 14. l'uccisero: disse: Perdono; 15. e restò negli aperti occhi un grido: 16. portava due bambole in dono. 17. Ora là, nella casa romita, 18. lo aspettano, aspettano in vano: 19. egli immobile, attonito, addita 20. le bambole al cielo lontano. Il cadavere dell'’uomo” (Ruggero Pascoli, padre del poeta) di X agosto resta con gli occhi sbarrati e il volto disfatto proprio come l'occhio che Pascoli descrive in Il lampo. Un'ulteriore corrispondenza è poi confermata da un carteggio nel quale il poeta afferma: «I pensieri che tu, o padre mio benedetto, facesti in quel momento, in quel batter d'ala [...]. Quale intensità di passione! Come un lampo in una notte buia buia: dura un attimo e ti rivela tutto un cielo pezzato, lastricato, squarciato, affannato, tragico; una terra irta piena d'alberi neri che si
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