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Passione da Museo di Emanuela Rossi riassunto, Sintesi del corso di Antropologia Culturale

Ho riassunto i 4 capitoli del testo per preparare un esame universitario di Antropologia Culturale

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

Caricato il 08/09/2023

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marco-lombardi-27 🇮🇹

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Scarica Passione da Museo di Emanuela Rossi riassunto e più Sintesi del corso in PDF di Antropologia Culturale solo su Docsity! Passione da museo Per una storia di collezionismo etnografico: il museo di antropologia di Vancouver Capitolo primo: L’anatomia delle collezioni 1.La formazione della collezione del Museo di Antropologia (MoA) Nel 1947 il Dr.Cowan, curatore al dipartimento di zoologia all’università della Columbia Britannica, riceve da Harvey Reginald MacMillan, un ricco industriale di Vancouver, appassionato di culture native della Columbia Britannica, dei resti indiani. Questi resti segnano l’inizio della costruzione della collezione di oggetti dei Nativi della costa Nordoccidentale del Canada, la collezione è il motivo per la quale il MoA è rinomato il tutto il mondo. 2.Anatomie di collezioni e documenti d’archivio L’autore si chiede quali siano state le regole che hanno guidato la raccolta di certi oggetti e non di altri. Si possono individuare dei “pregiudizi” che hanno guidato la raccolta degli oggetti: preferenze estetiche, il punto di vista dei raccoglitori sulle popolazioni studiate. È l’atto di collezionare che attribuisce caratteristiche e qualità associate in un certo periodo storico, bisognerebbe quindi cercare il loro significato interno. Douglas Cole, uno storico, afferma come questi musei influirono nel costruire pregiudizi sui nativi. “Costruire l’altro significò costruire sé”. Ogni mostra fa riferimento solo ed esclusivamente agli allestitori, i quali decidono quali oggetti sottolineare e quali no. La vera natura di mostrare viene messa in discussione e cambia a seconda del periodo storico e della cultura. Capitolo secondo: Curiosità, manufatti, specimina, opere d’arte 1.Collezionare, classificare, denominare In alcuni documenti si mette in evidenza la mancanza di univocità nel denominare gli oggetti: pezzi, resti, materiali, articoli/oggetti, manufatti. Alla fine del Settecento erano “curiosità artificiali”, poi “curiosità” o “reliquie” e dopo “artefatti” o “esemplari”: prove tangibili da utilizzare per ricostruire la storia dell’uomo. Infine diventarono “opere d’arte”. Michael M. Ames, un antropologo canadese, considera come l’antropologia dà o ha dato corpo al modo cui pensiamo le altre culture con quattro modalità espositive: la stanza delle meraviglie, l’approccio storico naturalistico, l’approccio contestualista di ispirazione boasiana, l’approccio estetico- formalista. Il primo spiega come secoli fa, oggetti appartenenti a “popolazioni tribali”, erano associati a strani esemplari della flora e della fauna. Si trattava di oggetti che davano meraviglia, era una prova delle terre scoperte. Il secondo approccio è la fase dei primi musei di antropologia. Questi musei presentavano gli oggetti come fossero simili a quella di storia naturale. La terza modalità è legata a Franz Boas che rese popolare una forma di allestimento mettendo i manufatti in un contesto che ricordasse l’originario, tutto ciò avrebbe dato loro senso. La quarta vede gli oggetti come opere d’arte e la forma è più importante del contenuto. L’importanza di questi approcci è che hanno in comune il modo in cui osserviamo le altre culture. Ma c’è anche un quinto approccio possibile, che è quello del “punto di vista interno” che ci permette appunto di guardare le culture dal loro punto di vista, con la loro visione. 3.La raccolta di specimina e l’epoca classica Sul finire dell’Ottocento molti studiosi realizzano collezioni. Douglas Cole, insieme a James Swan, ne fa cominciare il “periodo d’oro”. Secondo Cole, Swan è l’iniziatore di quest’epoca perché la sua è la prima raccolta ben documentata. Questo periodo terminerà poi con la crisi economica degli anni ’30 negli Stati Uniti, che comportò la fine dell’erogazione di fondi a sostengo delle attività di raccolta e molti oggetti finirono negli Stati Uniti e in Europa. Per tutti gli anni ’80 dell’Ottocento ci fu una gara per accaparrarsi manufatti molto intensa che però venne scemando col tempo. Da una parte l’antropologia iniziò a disinteressarsi alla cultura materiale. Prima della Grande guerra si riteneva che il sapere stesso fosse incorporato negli oggetti. Dopo la guerra, gli antropologi sociale e culturali divennero meno interessati alla cultura materiale, guardando più alla ricerca sul campo. Negli anni ’20 del Novecento stava quindi scemando il fascino del collezionismo, ma si continuò a realizzare collezioni acquisendo vecchi pezzi da altri collezionisti, con l’idea che era ormai giunta la fine dell’autenticità delle culture tradizionali, e che ormai tutto era stato prelevato dal terreno. 4.Collezionare arte Nella seconda metà del Novecento gli oggetti nativi erano visti come opere d’arte, fenomeno però già avviato nel XIX sec. Oggetti nativi erano appesi accanto a opere, di tema nativo, di artisti bianchi. 5.Verso un paradigma collaborativo Ad essere profondamente trasformata è anche la natura della relazione tra i bianchi e le popolazioni native. Durante l’epoca classica, che abbiamo visto cominciare a metà del XIX sec., il rapporto tra comunità native e musei era sostanzialmente a senso unico: gli oggetti e le informazioni viaggiavano dalle comunità native ai grandi musei. La relazione così impostata andava a rafforzare il concetto che la conoscenza fosse prerogativa delle istituzioni (bianche) e delle persone che vi lavoravano . In sempre fatta a richiesta degli esemplari più antichi a disposizione. Il desiderio per oggetti antichi si traduceva in una maggiore importanza data ad oggetti in pietra e osso, partendo dal presupposto che il tipo di materia implicasse una maggiore antichità rispetto ad oggetti in tessuto o legno. L'età di un pezzo era anche prova di “genuinità”, del suo essere un pezzo prodotto da una cultura nativa tradizionale. Molti dichiaravano di volere solo “buon materiale antico” e non esemplari “commerciali”, frutto del processo di acculturazione, che gli indiani andavano producendo al momento in cui si facevano le raccolte. La sparizione di gruppi nativi nel mondo come risultato del contatto con le culture europee fu un problema fondamentale nell'antropologia del tardo XIX secolo e della prima parte del XX. Gli antropologi erano convinti che le popolazioni native sarebbero inevitabilmente sparite come naturale conseguenza del contatto con una cultura più evoluta, e così consideravano un loro dovere morale salvare per le generazioni future quanto più possibile dello stile di vita aborigeno. In alcuni documenti H.R descrive la Columbia britannica con paesaggi e villaggi desolati, ormai abbandonati, nei quali si va per salvare ciò che di nativo è rimasto. Regole di patrimonializzazione. Una lettera di Audrey Hawthorn Ehi stabilisce chiaramente i criteri di acquisizione del museo negli anni Cinquanta: Il MoA è interessato a collezionare pezzi antichi realizzati dagli indiani che ancora vivevano secondo le loro antiche tradizioni, prima del contatto con l'uomo bianco. I pezzi moderni non hanno alcun interesse per l'antropologo che colloca la tradizionalità delle culture native in un tempo altro e lontano dal proprio. 3.La fine del Potlatch e la modernità Più volte Hawthorn scrive a MacMillan che non si trovano più oggetti da collezionare e quando compaiono è perché i nativi hanno smesso di celebrare cerimonie tradizionali, come il potlatch, con la conseguenza che sul mercato sono stati immessi tutti quegli “apparati cerimoniali” dai quali in altri tempi non si sarebbero separati con facilità. in vari documenti si può leggere di nativi che, avendo deciso di rinunciare a fare potlatch, vendono le maschere, e altri oggetti, che erano utilizzati durante la cerimonia. I nativi più anziani pensavano che i più giovani non avessero alcun interesse nell'acquisizione di posizioni sociali tradizionali e così fosse scomparsa la ragione per costosi potlatch. Ed emerge che le famiglie native accettavano più volentieri di vendere le loro cose al museo. Il disinteresse delle generazioni più giovani per cerimonie tradizionali viene attribuita alla modernità che si concretizza nel desiderio di istruzione, di beni di consumo, di un'abitazione. Dunque organizzare un potlatch entra in competizione con questi nuovi e altrettanto costosi desideri. 4.Pratiche del collezionare Modalità del collezionismo praticato dai coniugi Hawthorn: il valore scientifico degli oggetti in un museo varia in relazione ai metodi usati per collezionarli e alla quantità e al tipo di documentazione che li accompagna. Oggetti privi di documentazione di base hanno, da un punto di vista scientifico, poco, se non nullo, valore: sono solo “curiosità”. Secondo Nancy Parezo, le collezioni possono essere di due tipi, attive o passive. Una collezione passiva è una collezione acquisita da un museo per donazione, dunque non raccolta da operatori museali, con il risultato che i donatori non hanno alcuna idea della loro provenienza, hanno un valore scientifico modesto. La Parezo Scrive che in genere un museo accetta oggetti privi di documentazione adeguata per utilizzarli con finalità istruttive. Una collezione è attiva se ottenuta dal personale del museo attraverso acquisti o attività collezionistica diretta. Una collezione che è stata messa insieme in modo logico, comprensivo è organizzato così da incrementare la conoscenza antropologica è chiamata, scrive la Parezo, “collezione sistematica”, unificata da un tema centrale che le conferisce coesione interna. Le collezioni sistematiche sono più utili perché possiedono standard di documentazione più alti e sono nate per risolvere una qualche questione di carattere antropologico. I coniugi Hawthorn sono stati contemporaneamente collezionisti attivi e passivi. Passivi quando hanno acquisito collezioni realizzate da altri. Attivi sono stati quando hanno acquisito oggetti personalmente o più spesso attraverso una rete di collaboratori, studenti, amici. Gli Hawthorn prediligono oggetti ben documentati: nelle lettere viene sempre richiesta la documentazione relativa ad un oggetto. Si nota una spiccata preferenza per le collezioni di famiglia. Tra i vari modi per acquisire oggetti troviamo anche la richiesta diretta. In una lettera di Audrey Hawthorn al proprietario di una sala da tè ha notato una piccola ciotola antropomorfa di pietra, facendo un'offerta 20 dollari ma non fu mai acquistata. Ci sono diverse lettere dove certi oggetti vengono offerti direttamente dai proprietari. Un tale Elijah Jones Scrive di voler vendere una pipa, Hawthorn è interessato ma è difficile stabilirne il valore. Quarto capitolo: Verso una conclusione 1.L’antropologo e i musei La storia dell'antropologia è fortemente legata ai suoi inizi a quella dei musei che ne costituivano le principali basi istituzionali e le risorse da cui scaturivano le attività di ricerca. Intorno agli anni Ottanta dell'Ottocento le università americane quelle inglesi cominciarono ad offrire percorsi formativi di carattere antropologico tenuti principalmente da antropologi che occupavano contemporaneamente incarichi in musei. Questa fase definita “fase museal-universitaria” durò fino agli anni Venti del Novecento, mentre in paesi come la Francia e la Germania e l'Italia cominciò venti o trent'anni più tardi e durò trenta o quarant'anni più a lungo. La “fase universitaria” dell'antropologia cominciò invece in Nord America negli anni Venti del Novecento e prese il nome dallo spostamento della maggior parte degli antropologi nelle istituzioni didattiche. L'antropologia in questa fase divenne metodologicamente più orientata verso le scienze sociali e vennero meno gli interessi per lo studio della cultura materiale e i musei. Fu così che gli antropologi lasciarono i musei. Da allora i musei etnografici hanno avuto scarsissima considerazione da parte degli antropologi. Analizzando il processo Nancy Parezo afferma che il 90% degli esemplari etnografici raccolti nei musei non è stato mai studiato, e i musei sono diventati istituzioni marginali per la ricerca antropologica. La “Storia sociale dell'oggetto” è uno dei temi sui quali un antropologo può lavorare; lo studio cioè di cosa accade agli oggetti, e alla gente che attraggono, una volta che abbandonano le mani dei fruitori originari, e una volta che di essi se ne appropriano gli studiosi. Gli oggetti hanno loro biografie: vivono oltre le loro provenienze, acquisiscono nuovi significati, nuovi usi e nuovi proprietari. La storia della collezione svela una serie di artifici retorici attraverso i quali si tracciano i confini di un discorso sull'Altro che contemporaneamente è un discorso sul Noi. Tra gli artifici retorici più potenti vi sono quelli di un “discorso temporalizzante” attraverso il quale l’Altro è costruito in termini di distanza soprattutto temporale. L’Altro è collocato in un tempo che non è coevo al tempo in cui si muove l'antropologo. Si parte dal presupposto che l'antropologo e l'altro non condividano lo stesso tempo. Il tempo dell'altro è finito. All'antropologo, che invece si muove nel presente, non rimane che prendere atto dell’ineluttabilità dall'esaurirsi della “tradizionalità”, dell’”autenticità” e di salvare ciò che rimane di più tradizionale e autentico di un tempo che fu. 3.Retoriche della temporalizzazione La nozione di autenticità, come quella di tradizionalità, è legata ad un discorso sul tempo. L'autenticità si colloca in un tempo preciso che quello del pre-contatto. Il contatto tra bianchi e nativi rappresenta un demarcatore del tempo, tanto che a partire da esso si parla di un prima e di un dopo. Si lasciano sul terreno tutti gli oggetti che mostrano i segni tangibili del contatto avvenuto. Anche le elargizioni di denaro da parte di mecenati vanno interpretate alla luce di un discorso sulla temporalizzazione. MacMillan Esplicitamente dice di voler salvare con il suo denaro esclusivamente le testimonianze lasciate da culture che stanno sparendo. Il tempo cioè viene evocato in modo esplicito e il lavoro di traduzione dei documenti ancora una volta ne ha mostrato l'ambiguità e la non univocità. L'antichità e la conseguente genuinità sono le caratteristiche che rendono un oggetto degno di essere in un museo. Anche i diversi nomi attribuiti alla tipologia di oggetti si scrive in un discorso
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