Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Patologia Sistematica 4 (PS4) (Medicina e Chirurgia UNICH), Schemi e mappe concettuali di Patologia

Riassunti di Patologia Sistematica 4 (V anno) che comprendono: -Diabetologia -Endocrinologia -Chirurgia Plastica -Dermatologia -Allergologia -Reumatologia

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2020/2021

In vendita dal 12/04/2023

marco_schiavo1
marco_schiavo1 🇮🇹

4

(2)

9 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Patologia Sistematica 4 (PS4) (Medicina e Chirurgia UNICH) e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Patologia solo su Docsity! COS'E' LA VITA? -> È una condizione che permette il mantenimento di uno stato stazionario attivo, cioè uno stato di continuo cambiamento in cui però viene mantenuta l’omeostasi. La cellula nasce, cresce e muore, perché questo processo di cambiamento non è perfetto, se così fosse la cellula sarebbe immortale; invece, ad ogni mutazione c’è comunque qualcosa che si deteriora. Affinché tutto ciò avvenga è necessario che ci sia energia. Gli animali si servono di energia chimica e i processi che portano alla formazione di energia chimica da parte della cellula e al suo consumo costituiscono il METABOLISMO. Si divide in: CATABOLISMO: la serie di reazioni che porta alla scomposizione dei prodotti chimici che vengono ricavati dagli alimenti; ► ANABOLISMO: una volta che è stata ricavata energia, questa può essere usata dalla cellula per svolgere le varie funzioni (replicazione, produzione di proteine, etc.…) ► CARBOIDRATI LIPIDI PROTEINE Sono dispensatori di energia• 1g genera 4,5 calorie• Servono per il deposito di energia• 1g genera 9 calorie• Hanno funzione strutturale • 1g genera 4,4 calorie• I lipidi sono, tra tutti i substrati, quelli più adatti a depositare energia perché a parità di volume ne accumulano di più e dunque occuperanno meno spazio. Un altro motivo per cui i lipidi sono più vantaggiosi è che sono idrofobici e quindi non solubili in acqua: non andranno in soluzione all’interno del citosol e quindi non genereranno gradiente osmotico. PRESSIONE OSMOTICA = è la forza che devo applicare dal lato più concentrato di un sistema di due soluzioni, separate da una membrana semipermeabile (che lascia passare solo il solvente e non il soluto), per impedire che il solvente passi dalla zona meno concentrata a quella più concentrata. Questa pressione è proporzionale al numero di molecole. Il glucosio viene assorbito nell’intestino, ma la parete intestinale può assorbire solo monosaccaridi: quindi, dai polisaccaridi che compongono l’amido contenuto nei farinacei, bisogna arrivare al glucosio. La digestione inizia nella bocca grazie alla ptialina che comincia a degradare polisaccaridi; Nel duodeno i succhi pancreatici digeriscono ulteriormente i polisaccaridi grazie alle amilasi pancreatiche. I disaccaridi vengono poi convertiti in monosaccaridi dalle disaccaridasi che si trovano sull’orletto a spazzola dell’epitelio intestinale. Una volta che il glucosio è stato assorbito dalla parete intestinale entrerà nel circolo ematico, tramite il circolo portale. Il glucosio quindi raggiunge il fegato, che ne estrae una buona porzione. Il glucosio che entra nella cellula viene fosforilato da una esochinasi (una specifica per ogni tessuto) a glucosio 6 fosfato, perché il glucosio non può sostare libero nella cellula; il glucosio 6 fosfato però non può attraversare la membrana. Il GLUCOSIO 6-FOSFATO segue DUE VIE: Consumando energia può essere aggiunto ad una molecola di glicogeno; quindi, verrà depositato come riserva; 1. Può essere utilizzato per produrre energia tramite la glicolisi. La glicolisi prevede una prima fase a bassa resa energetica che si può svolgere anche in assenza di O2 (glicolisi anaerobia) con produzione di piruvato e acido lattico, e una seconda fase (glicolisi aerobia) con formazione del citrato e avviamento del ciclo di Krebs. I cofattori che ne deriveranno andranno nel mitocondrio per generare ATP. 2. METABOLISMO lunedì 25 ottobre 2021 14:09 MALATTIE METABOLICHE Pagina 1 A partire dal lattato poi si può formare piruvato da cui verrà prodotto glucosio tramite la gluconeogenesi. Quando è passato del tempo dal pasto una quota importante del glucosio in circolo viene prodotta tramite gluconeogenesi. Si può usare anche il glicerolo per produrre glucosio. Ovviamente non si possono utilizzare acidi grassi per ricavare energia perché il cervello necessita di una quantità minima di glucosio, al di sotto della quale si parlerà di neuroglicopenia. Il CICLO DI KREBS per funzionare ha bisogno che al piruvato si aggiunga acetil-coA, che deriva dall’ossidazione degli acidi grassi; tuttavia, se il catabolismo dei carboidrati non funziona bene non ci sarà abbastanza substrato per l’acetil-coA e quello in eccesso andrà a formare i corpi chetonici→questo conduce al metabolismo dei lipidi. Quali sono i grassi che attraversano la parete intestinale? I trigliceridi (come la margarina per esempio) sono idrofobici; quindi, difficilmente verranno digeriti in un ambiente acquoso come quello dei succhi gastrici o intestinali. La miscela che io utilizzo per produrre energia, composta di lipidi, carboidrati e in parte proteine, prende il nome di MISCELA METABOLICA. Un modo indiretto per misurare quante calorie sto consumando è misurare l’O2 che consumo; oppure si può calcolare l’emissione di calore tramite la CALORIMETRIA DIRETTA. Un parametro per conoscere quale substrato mi sta fornendo energia è il rapporto tra quantità di CO2 prodotta e O2 consumato (QUOZIENTE RESPIRATORIO). Se questo rapporto è alto significa che vengono bruciati i carboidrati, se è basso i lipidi. MALATTIE METABOLICHE Pagina 2 A digiuno ci sia una glicemia costante □ A seguito di un pasto l’escursione glicemica sia contenuta entro limiti accettabili □ La glicemia, infatti, non deve scendere al di sotto di un determinato limite, perché il cervello si nutre principalmente di glucosio, dunque, in sua assenza, va in sofferenza tanto che le cellule cerebrali potrebbero anche morire. Il glucosio è in grado di passare la BBE in condizioni di normoglicemia, se invece la glicemia comincia a scendere attorno a valori di 60-70mg/dl il passaggio diventa difficoltoso, fino a che con una glicemia di 30mg/dl il soggetto va in coma ipoglicemico. Allo stesso tempo una condizione di iperglicemia, per spike o costantemente elevata, risulta essere tossica per alcune strutture, in primis endotelio e vasi sanguigni. Nella GEOGRAFIA ANATOMICA dell’isola di Langerhans, la cellula ß è posta subito prima della cellula alfa, quindi il sangue raggiunge prima la cellula ß, dove si carica di insulina. Quest’ultima ha poi un effetto paracrino sulle cellule alfa, in particolare ha un’azione soppressoria sulla secrezione di glucagone. L’insulina viene aiutata a svolgere questa funzione dall’aumento dei livelli di GLP-1, secreto in presenza di iperglicemia. □ La soppressione del glucagone avviene solo quando la presenza dell’ormone non è necessaria, quindi in caso di iperglicemia. Invece in condizioni di ipoglicemia, quindi di digiuno prolungato, è fondamentale la sua secrezione. Si ricordi che il glucosio in circolo viene riversato: Dagli alimenti —> digestione dei carboidrati da parte dell’intestino □ Dal fegato —> svolge la funzione maggiore di secrezione□ Dal rene —> in condizioni fisiologiche il suo rilascio è davvero minimo □ Il composto finale della glicogenolisi e della gluconeogenesi è il glucosio-6-fosfato il quale non è in grado di passare la membrana cellulare, quindi, per essere rilasciato in circolo deve essere defosforilato dall’enzima glucosio 6-fosfatasi. Gli unici tessuti che esprimono questo enzima sono appunto fegato e rene. □ Il muscolo scheletrico, pur avendo un’importanza rilevante, non possiede questo enzima, quindi, non può contribuire al rilascio di glucosio in circolo. Però contiene glicogeno di riserva che può essere utilizzato come riserva endogena di substrati energetici; infatti, una volta scisso in glucosio 6-fosfato è permesso il suo ingresso nella glicolisi anaerobia e poi nella fosforilazione ossidativa. Controllo integrato della secrezione di insulina L’ATTIVAZIONE DEL PARASIMPATICO, conseguente all’ingestione di cibo, aumenta la secrezione di insulina. Quindi esistono anche delle afferenze nervose, nonché una secrezione cefalica dell’insulina, che prepara l’organismo all’arrivo di un pasto ► Stimolano il rilascio di insulina diverse sostanze liberate durante la digestione come GLP-1, ma anche GIP, gastrina, secretina e CCK ► Diversi prodotti della digestione aumentano la secrezione insulinica (come amminoacidi e acidi grassi in acuto; mentre un costante eccesso di acidi grassi in circolo è tossico per la ß cellula e inibisce la sua capacità di rispondere al glucosio) ► Le catecolamine, quindi la stimolazione alfa-2 adrenergica, invece, inibisce la secrezione di insulina. Probabilmente, ciò serve a proteggere dall’ipoglicemia, soprattutto durante l’attività fisica. Infatti, nel momento in cui c’è ipoglicemia, si scatena una tempesta ormonale per ripristinare un livello fisiologico di glicemia, in quanto il glucosio è necessario alla sopravvivenza. ► AZIONI DELL’INSULINA MALATTIE METABOLICHE Pagina 5 AZIONI DELL’INSULINA L’insulina, come tutti gli ormoni, per poter svolgere la sua funzione deve legarsi ad un RECETTORE il quale, trattandosi di un ormone proteico, è localizzato sulla superficie cellulare. Si tratta, infatti, di un recettore appartenente alla classe dei recettori tirosin-chinasici, in grado di autofosforilarsi e di fosforilare altri substrati a valle. Quasi tutte le cellule presentano il recettore dell’insulina, sulle quali svolge alcuni effetti: Trasporto del glucosio□ Effetti metabolici□ Azione vasoregolatoria □ SIGNALING DELL'INSULINA Il recettore dell’insulina ha la forma di una forchetta rovesciata; è un dimero ed ogni monomero è formato da due subunità, una subunità alfa (extramembrana) e una subunità ß (transmembrana). L’insulina si lega alla subunità alfa del recettore determinando la fosforilazione della tirosina della porzione intracellulare della subunità ß. A questo punto il recettore fosforilato è in grado di fosforilare (attivare) altri substrati a valle. Si possono attivare DUE VIE DEL SEGNALE: IRS-1 (Insuline receptor Substrate 1) il quale porta, a sua volta, fosforilazione di PI3-K/AKT. Questa via controlla le vie metaboliche controllate dall’insulina. A valle di PI3K/AKT ci sono funzioni metaboliche positive quali Aumento della sintesi di glicogeno - Up-take del glucosio - Stimolo alla sintesi e alla traslocazione sulla membrana dei trasportatori del glucosio- Soppressione della lipolisi- Stimolo alla sintesi proteica- □ Ma anche funzioni vascolari positive (anti-aterogene) in particolare di protezione endoteliale, a seguito della stimolazione della sintesi dell’NO, un potente vasodilatatore, oltre ad essere un gas che controlla l’omeostasi della cellula endoteliale. Infatti, alterazioni nella produzione di NO, oppure inattivazione della sua azione, sono tossiche per l’endotelio. - □ Questa via di attivazione viene quindi considerata una via “buona”. □ ► Le MAP-chinasi, hanno effetti potenzialmente aterogeni perché viene promossa la trascrizione e traduzione di molecole che hanno azioni pro-aterogene: PAI-1 (inibitore dell’attivatore del plasminogeno)□ Rilascio di ET-1 (endotelina 1) che è un potente vasocostrittore□ Proliferazione di cellule muscolari lisce con contribuzione alla creazione della placca aterosclerotica □ Espressione di molecole di adesione (ICAM-1 e VCAM-1) -> permettono l’adesione di monociti/macrofagi che contribuiscono alla formazione della placca. Queste vie di attivazione vengono quindi considerate vie “cattive”. □ □ ► L’insulina quindi si trova ad un crocevia tra effetti pro-aterogeni e effetti anti-aterogeni. In condizioni di insulino-resistenza, invece, l’equilibrio tra questi 2 pathway si altera, in particolare si pensa che prenda il sopravvento la via delle MAP-chinasi con funzione pro-aterogena. □ Quindi in condizioni di insulino-resistenza, non solo si riduce l’efficacia dell’insulina nello stimolo alle azioni metaboliche positive, ma viene anche potenziata l’azione delle vie “cattive” (pro-aterogene). □ MALATTIE METABOLICHE Pagina 6 AZIONE DELL'INSULINA Il trasportatore del glucosio presente in tutti questi tessuti è il GLUT-1, per questo definito ubiquitario e la cui espressione NON dipende dalla presenza di insulina. Dunque anche in assenza di insulina, i tessuti sono in grado di captare glucosio in proporzione alla glicemia presente: maggiore è la quantità di glucosio, maggiore sarà quello captato a livello tissutale. Il tessuto adiposo e il muscolo scheletrico presentano anche un altro trasportatore che è il GLUT-4. La trascrizione di questo trasportatore, la sua traslocazione a livello della membrana e la sua funzione dipendono dall’insulina, o meglio, vengono potenziate dall’azione dell’insulina. Quindi l’insulina è in grado di incentivare e stimolare l’ingresso di glucosio nelle cellule adipose e nelle cellule muscolari scheletriche. Questo effetto è particolarmente importante nella fase post-prandiale. Il fegato è INSENSIBILE ALL’AZIONE DELL’INSULINA per l’ingresso di glucosio. Il fegato presenta, infatti, come trasportatori il GLUT-1 e il GLUT-2 che funzionano anche in assenza di insulina. Questo ormone sul fegato ha un’altra funzione, ossia quella di controllare la produzione di glucosio. Un’altra azione svolta dall’insulina è quella di controllo della lipolisi. L’insulina agisce su tutti i tessuti, in particolare sul tessuto adiposo, per bloccare l’enzima lipasi e diminuire la scissione dei trigliceridi evitando la comparsa in circolo degli acidi grassi liberi. □ Ovviamente tutte queste azioni svolte dall’insulina hanno una potenza differente. Se si volesse misurare la potenza di una molecola/farmaco/composto su un effetto, si dovrebbe costruire una curva dose-risposta e calcolare l’EC50, ossia la dose di ormone/farmaco necessaria per raggiungere il 50% dell’effetto massimo. Più è bassa la dose che serve per raggiungere il 50% dell’effetto, maggiore sarà la potenza dell’ormone su quell’effetto. Prendendo in considerazione le 3 funzioni dell’insulina, queste possono essere ordinate in base all’EC50 in senso crescente: Inibizione della lipolisi —> è la prima azione che si verifica, infatti non ci sono più acidi grassi liberi dopo il rilascio di insulina ► Soppressione della produzione epatica di glucosio —> è la seconda funzione svolta► Stimolazione della captazione di glucosio da parte di t. adiposo e muscolo scheletrico —> è l’ultima azione che si verifica. ► Dunque, se si ha una carenza di insulina, in soggetti con diabete, la prima cosa che si verifica è un aumento del rilascio in circolo di acidi grassi e loro successiva ossidazione. Subito dopo aumenta la produzione epatica di glucosio provocando iperglicemia (fino a 300mg/dl). Ciò che interessa meno, invece, è la quantità di glucosio che viene captata dal muscolo e dal t. adiposo: si è visto che la captazione di glucosio da parte di questi tessuti in un pz diabetico con glicemia pari a 300mg/dl è uguale a quella di un soggetto sano con glicemia pari a 100mg/dl. Ciò che cambia è l’estrazione frazionale che in un soggetto sano sarà maggiore rispetto ad un soggetto diabetico. Uno dei PROBLEMI PRINCIPALI, in caso di carenza insulinica, è l’eccesso di acidi grassi in circolo, i quali competono con l’ossidazione del glucosio nei tessuti quali fegato, muscolo e t. adiposo. Ciò comporta la produzione di corpi chetonici determinando CHETOSI. Il secondo problema importante è la perdita del controllo sulla produzione epatica di glucosio. ORGANI BERSAGLIO I principali organi bersaglio dell’insulina sono: Tessuto adiposo□ Fegato□ MALATTIE METABOLICHE Pagina 7 L’insulina a livello del tessuto adiposo svolge numerose funzioni: Attiva la lipasi proteica nei capillari del tessuto adiposo, la quale consente di liberare dai trigliceridi gli acidi grassi che possono poi entrare negli adipociti □ Inibisce la lipasi ormono-sensibile responsabile della trasformazione dei trigliceridi in acidi grassi liberi (FFA-Free Fatty Acids) □ Aumenta il trasporto di glucosio nell’adipocita attraverso la stimolazione dell’espressione, della traslocazione e dell’attivazione del trasportatore GLUT4. □ Il glucosio, all’interno della cellula adiposa, viene in piccola parte utilizzato per la sintesi di acidi grassi, mentre una quota più importante serve a produrre glicerolo che, assieme agli acidi grassi prodotti localmente e a quelli prodotti dal fegato, consente la sintesi di trigliceridi. Effetto “SWITCHING” (“scambio”) dell’insulina L’insulina ha un effetto di switching ossia i livelli ematici di glucosio influenzano quelli di insulina, che a loro volta deviano il metabolismo energetico verso i carboidrati o i lipidi. L’aumento dell’insulinemia porta il metabolismo energetico verso un aumentato consumo di carboidrati (aumenta il Quoziente Respiratorio), mentre la riduzione dell’insulina porterà al rilascio di acidi grassi liberi perché si utilizza di più la riserva lipidica. Questo sistema di switch è utile per facilitare l’adattamento dell’organismo a una serie di situazioni che si possono verificare nell’ambito della giornata, nell’ambito di un periodo oppure nell’alternanza alimentazione-digiuno. Azioni ANTI-ATEROGENE dell’insulina Riduzione della glicemia (l’iperglicemia è dannosa per i vasi sanguigni) e dei trigliceridi□ Azione anti-infiammatoria□ Stimolazione della produzione di NO□ Inibizione dell’aggregazione piastrinica □ Esempio 1: in un pz con 1500-2000 mg/dl di trigliceridi nel sangue, la prima cosa da evitare è la pancratite acuta poiché si tratta di un’emergenza grave che potrebbe portare anche a morte il soggetto (in assenza di un bravo chirurgo). Per abbassare la [trigliceridi] il paziente deve stare a digiuno, si dice Nil Per Os (NPO) ossia nulla per bocca; infatti, viene alimentato con una soluzione glucosata che contiene al suo interno glucosio. Si effettua un’infusione di insulina continua fino a che la [trigliceridi] nel sangue non si abbassa. Questo perché l’insulina è il principale ormone in grado di abbassare la [trigliceridi]. Esempio 2: Pz molto magro con aumento del senso di sete, aumento della frequenza urinaria e con [trigliceridi]=700 mg/dl; potrebbe trattarsi di un alcolista oppure di un paziente con diabete mellito di tipo 1 con acuta carenza di insulina. Azioni ATEROGENE dell’insulina È un mitogeno e stimola la replicazione delle VSMC (Vascular Smooth Muscle Cell)□ Stimolazione della produzione di PAI-1 nelle cellule endoteliali, VSMC, epatociti e adipociti□ Stimolazione della sintesi di molecole di adesione leucocitaria□ Stimolazione della sintesi di endotelina □ In genere le azioni pro-aterogene e le azioni anti-aterogene sono bilanciate; quindi, l’insulina, se presente in concentrazioni fisiologiche e non eccessive, ha un ruolo positivo. Insulina e METABOLISMO PROTEICO L’insulina promuove anche l’utilizzo di aminoacidi provenienti dalla digestione proteica, favorisce la proteosintesi e previene la degradazione proteica. Tra le sue funzioni infatti interviene nel: Trasporto attivo di aminoacidi nelle cellule□ Attivazione della proteosintesi (sinergismo con GH)□ Inibizione della gluconeogenesi □ Inibizione del catabolismo proteico□ MALATTIE METABOLICHE Pagina 10 Somministrando 15 unità di insulina (retard?) al giorno in un soggetto sano, il soggetto compensa l’iperglicemia assumendo cibo. Se nel cibo assunto sono presenti aminoacidi modificati o eccessiva quantità di carne, il soggetto potrebbe anche “gonfiarsi” per l’aumentata sintesi di proteine determinando un aumento della massa muscolare. L’insulina è, infatti, usata anche come ormone anabolizzante da qualche atleta, in sostituzione o in associazione con altre sostanze anabolizzanti proprio per aumentare la massa muscolare. CARENZA DI INSULINA La carenza dell’azione dell’insulina può essere dovuta a condizioni fisiologiche (come digiuno) o patologiche (come diabete o insulino-resistenza) e ha come conseguenza: Aumento della glicemia□ Aumento dei livelli plasmatici di FFA (FFA-Free Fatty Acids)□ Possibilità di cheto-acidosi□ Infatti, in caso di diabete di tipo 2, o diabete di tipo 1 scompensato, c’è un problema nella secrezione di insulina, in quanto nel tipo 1 è completamente assente mentre nel tipo 2 è presente in scarse quantità. In entrambi i casi la glicemia è alta e l’insulina funziona di meno quindi non c’è un effetto dell’ormone proporzionale alla sua concentrazione in circolo. C’è una ridotta azione biologica dell’ormone, ossia c’è insulino-resistenza. Come si fa a capire se un soggetto è più sensibile all’insulina rispetto ad un altro? Se si volesse confrontare la sensibilità all’insulina o la resistenza insulinica in due soggetti per vedere se l’ormone funziona allo stesso modo in entrambi o se in uno dei due funziona in modo diverso bisogna infondere una quantità standard di insulina, esempio 2ml/m2 di superficie per minuto, o comunque una quantità che sia sufficiente a spegnere la produzione endogena di insulina. Dunque, in entrambi i soggetti si aumenta, con un bolo di infusione continua, la concentrazione di insulina plasmatica in modo da bloccare la secrezione di insulina endogena. Ciò provocherebbe un abbassamento della glicemia, per questo motivo nell’altro braccio del soggetto si inserisce un catetere con una boccia di soluzione glucosata controllata da una pompa. Tramite questa si infonde glucosio in modo tale da non far scendere la glicemia ma permettere che rimanga ad un livello basale (esempio 70-90mg/dl). □ Dopo 2h, una volta che si è raggiunto lo steady-state, a seconda della quantità di glucosio che serve per mantenere la glicemia costante, a parità di insulinemia, è possibile valutare la sensibilità all’insulina: Se il soggetto è molto sensibile all’insulina, si avrà bisogno di molto glucosio□ Se il soggetto è resistente all’insulina, si avrà bisogno di poco glucosio □ NON è UN TEST CLINICO perché molto dispendioso, però può essere eseguito su popolazioni oppure su due gruppi di soggetti nell’ambito della ricerca per capire come funziona il PAI-1 oppure come cambia l’ossidazione del glucosio ecc. SINERGISMO TRA ORMONI IPERGLICEMIZZANTI Oltre al glucagone, ci sono altri ormoni che contrastano l’azione dell’insulina e che controllano la glicemia a digiuno. Sono detti controregolatori e sono catecolamine, cortisolo e GH. Vengono secreti in maniera impulsiva quando la glicemia si abbassa troppo, dunque sono ormoni iperglicemizzanti. Hanno un effetto modesto sulla glicemia se analizzati singolarmente, se invece funzionano in sinergia la glicemia raggiunge un picco in quanto hanno effetti combinati. Le catecolamine oltre a determinare un aumento della lipolisi e ad essere glicogenolitici, sono anche ormoni che bloccano o comunque tendono a sopprimere la secrezione di insulina delle cellule ß del pancreas (effetto anti-insulare diretto). Invece il cortisolo e il GH hanno un’azione ritardata. Il cortisolo ha un’azione ritardata poiché contrasta l’azione insulinica, determinando una condizione di insulino-resistenza, mentre il GH permette, nel tempo, un aumento della secrezione epatica di glucosio. MALATTIE METABOLICHE Pagina 11 Quindi l’insulina risulta essere l’unico ormone ipoglicemizzante, mentre glucagone, catecolamine, cortisolo e GH sono ormoni iperglicemizzanti. È importante che questi ormoni svolgano questa funzione soprattutto in condizioni di stress, quando vengono rilasciate catecolamine e cortisolo. Gli animali, come il gatto ad esempio, a seguito di stress (come può essere uno spavento) rizzano il pelo per il rilascio di catecolamine, le quali sono in grado di determinare orripilazione. Anche nell’uomo una scarica catecolaminergica (a seguito, ad esempio, dell’esposizione al freddo) provoca la cosiddetta pelle d’oca che non è altro che un residuo dell’orripilazione. Gli ormoni iperglicemizzanti mettono in circolo non solo glucosio, ma anche acidi grassi, quindi tutte quelle sostanze che servono in condizioni di stress. Cos’è lo stress? La miglior definizione è stata data da un collega di Gela, il quale durante un convegno in Grecia, la definì come condizione di solitudine o lutti. MALATTIE METABOLICHE Pagina 12 *LADA (Latent Autoimmune Diabetes in Adult) Somiglia alla forma di tipo 2 ma con eziologia molto più simile al tipo 1 perché c’è un chiaro difetto beta-cellulare dovuto a una aggressione autoimmune delle βcellule caratterizzato dalla presenza di Ig anti-GAD (decarbossilasi dell’acido glutammico) - Ha frequenza di 5- 15% tra i soggetti classificati come T2DM se non viene svolto l’esame della ricerca degli Ig anti-GAD. - Precocemente si assiste a distruzione della funzione β-cellulare -> richiesta precoce terapia insulinica- Elementi clinici che possono suggerire sospetto: età< 50 anni, BMI <25 kg/m2, familiarità DM1 - SECONDARIO Conseguenza di patologie che alterano la secrezione insulinica/l’azione insulinica - Il diabete infatti può essere secondario a endocrinopatia per aumento della resistenza, in quanto aumentano gli ormoni contro-insulari come: Glucagonoma○ Sindrome di Cushing○ Acromegalia per eccesso di GH (=ormone della crescita), ○ Tumori che secernono catecolamine (feocromocitoma) ○ - oppure diabete secondario iatrogeno come quando si è costretti a somministrare dosi massicce di cortisonici, come nell’artrite reumatoide, nell’asma, nelle malattie autoimmuni o dopo asportazione pancreas o dall’esposizione a sostanze chimiche - MALATTIE METABOLICHE Pagina 15 Il Diabete Mellito di tipo 1 insorge a causa di un processo autoimmune che distrugge le cellule beta del pancreas, ossia le cellule che secernono insulina, il soggetto che ne è affetto è quindi insulino privo. Per avere la certezza che il soggetto sia insulino privo si somministra glucagone in endovena, poi si va a dosare il peptide c, se il peptide c non viene rilevato significa che il soggetto esaminato non produce insulina. Questo test non è utile in clinica, non viene eseguito di routine poiché è un esame complesso e costoso, però va eseguito se si deve caratterizzare la popolazione e pubblicare un lavoro sui diabetici di tipo 1, attestando all’editor che i soggetti siano c peptide negativi dopo stimolazione con glucagone. ISIOPATO ENESI Il diabete di tipo 1A è dovuto alla distruzione autoimmune delle cellule B delle isole di Langherans del pancreas. Questo processo è innescato probabilmente da fattori ambientali in soggetti il cui sistema immunitario è geneticamente predisposto a sviluppare una reazione autoimmune contro un antigene danneggiato della cellula B. □ La distruzione autoimmune è mediata prevalentemente da linfociti T (NO ANTICORPI)attraverso il rilascio di citochine o citotossicità diretta, che si realizza nell'arco di mesi e anni in cui il soggetto è asintomatico ed euglicemico. È necessaria la distruzione di più dell'80% (90% per il professore) di cellule B affinchè si instauri un deficit funzionale nella produzione di insulina tale da determinare la comparsa di iperglicemia. → COMPONENTE GENETICA Esiste una componente genetica che favorisce lo sviluppo di diabete mellito di tipo 1, ma questa componente genetica è abbastanza debole, ossia non è determinante nello sviluppo della malattia. Se una patologia è solo geneticamente determinata studiando dei gemelli omozigoti si avrà la stessa prevalenza in entrambi i gemelli con una concordanza del 100%, quindi tutti e due saranno affetti, invece negli studi condotti per il diabete di tipo 1 la concordanza non supera il 25%. Esistono alcuni aplotipi protettivi dall’insorgenza del diabete mellito di tipo 1, si tratta degli aplotipi QR4 e QR5, ma esistono anche degli aplotipi predisponenti (HLA-DQa, HLA-DQb, HLA-DR, che codificano per il MHC che presenta l'antigene ai linfociti T), tuttavia ancora non si sa quali siano quelli suscettibili e che fattore ambientale debbano incontrare per sviluppare la malattia. Non si conoscono neppure i meccanismi attraverso i quali si sviluppa l’aggressione autoimmune, poiché da un lato potrebbe essere che le beta cellule esprimano antigeni di membrana simili a quelli dell’eventuale virus o di qualsiasi altro agente che fa da trigger alla malattia, ma dall’altro potrebbe essere anche che l’agente coinvolto vada a modificare gli antigeni espressi sulle cellule beta, rendendole antigeniche verso il sistema immunitario cellulo-mediato. FATTORI AMBIENTALI Nel diabete di tipo 1 quindi la componente genetica esiste, ma ha bisogno di venire in contatto con un fattore ambientale per far sì che si sviluppi la malattia. Il fattore ambientale determinante non è stato ancora individuato, potrebbero essere coinvolti diversi tipi di virus oppure le proteine del latte vaccino (sembrerebbe che persone geneticamente predisposte esposte al latte vaccino prima della maturazione del sistema immunitario possano sviluppare diabete mellito di tipo 1). □ Qualunque sia il meccanismo eziopatogenetico alla fine si instaura un’autoimmunità cellulo- mediata che distrugge le cellule beta del pancreas, ovviamente questa distruzione richiede molto tempo per verificarsi, probabilmente la malattia è progressiva, inoltre esiste una riserva funzionale di beta cellule per cui finché non viene distrutto almeno il 90% della componente beta cellulare non si hanno segni clinici di malattia. DIABETE TIPO 1 giovedì 18 novembre 2021 18:43 MALATTIE METABOLICHE Pagina 16 hanno segni clinici di malattia. CLINICA Il paziente affetto da diabete mellito di tipo 1 tipicamente: è una persona giovane (50% dei casi <20 anni), □ di sesso maschile o femminile, □ che riferisce di bere molto (polidipsia), □ urinare tanto (poliuria)□ perdere peso nonostante mangi molto (polifagia), questi sintomi il paziente li rileva da qualche settimana o qualche mese. □ Riferisce di non vedere bene, questa alterazione visiva non è causata dall’insorgenza di retinopatia diabetica (complicanza tardiva della malattia, in genere insorge dopo 5 anni dall’esordio della patologia), ma da alterazioni della refrazione del cristallino che possono insorgere quando i livelli di glicemia sono molto elevati, causando un annebbiamento della vista. □ SINTOMI CARDINE DIMAGRIMENTO nonostante una polifagia (dovuta alla perdita di acqua e al deturpamento delle riserve energetiche); Successivamente il dimagrimento è determinato dalla perdita della massa muscolare, in quanto l'insulina stimola la sintesi proteica e la sua assenza provoca proteolisi. → ► POLIURIA► Sete intensa (POLIDIPSIA);► SECCHEZZA DELLA BOCCA con sensazione di necessità di procurarsi acqua ► Astenia e affaticabilità, dovute alla perdita di potassio e alla riduzione della massa muscolare ► Se il paziente ha glicemia maggiore di 300 mg/dl e urina di continuo urine dolci, quindi ha secrezioni corporee piene di zucchero, si potrebbero avere anche infezioni batteriche o funginee, come una candidosi vaginale, una balanopostite, una cistite, una gengivite o riferire che le ferite si rimarginano con più difficoltà, come per esempio un paper-cut ( taglio che ti fai con la carta) che si infetta, perché un valore di glicemia così alta ha anche un impatto negativo sulle difese immunitarie. TERAPIA L’unica terapia per il diabete di tipo 1 è la somministrazione di INSULINA, che si è evoluta in maniera drastica in questi 20 anni. In terapia quotidiana si somministra sottocute, non per bocca, perché l’insulina è una proteina che nell’ambiente acido dello stomaco verrebbe attaccata dalla pepsina, che rompe i legami amminoacidici e la inattiva. Attualmente in Italia è presente anche la terapia con GLP1 antagonista assorbibile per via orale, perché coniugato con dei composti che riescono a limitare l’acidità gastrica e favorire la permeabilità nello stomaco, □ La terapia insulinica non si somministra a livello intramuscolare, per una questione di dolore e fastidio, e non si somministra in endovena, sia per l’emivita, sia per il fatto che la somministrazione risulta ancora più complicata dell’intramuscolo e pericolosa per infezioni anche sistemiche. Esistono rarissimi casi in cui il sottocute inattiva l’insulina in maniera massiccia, pertanto questa non risulta funzionale, quindi si effettua terapia endovena con una pompa port – a- cath attraverso la succlavia con terapia costante ed infezioni sistemiche frequenti. Si può anche somministrare insulina per via polmonare, in quanto l’epitelio polmonare è la più grossa superficie di scambio corporea (quanto un campo da tennis), superiore addirittura a quella intestinale. MALATTIE METABOLICHE Pagina 17 sono a maggior rischio di sviluppare diabete in età giovanile. Gli asiatici hanno una struttura fisica tale per cui anche modesti aumenti della circonferenza della vita sono legati al disturbo del metabolismo del tessuto adiposo. IMPORTANTE: la diagnosi di diabete di tipo 2 è casuale. Il paziente riferisce di aver scoperto una glicemia alterata ad esami di routine o indicati per altre motivazioni (operazioni chirurgiche, ortodontica etc). Il DM2 è tipicamente ASINTOMATICO in quanto la poliuria insorge a glicemie superiori a 180-200 mg/dl; se il paziente mostra tale situazione può essere affetto da un diabete di lunga data non ancora diagnosticato. □ Comunemente sono i nefrologi o i cardiologi a diagnosticare il DM2 perché vedono per primi le complicanze: Per esempio un paziente con glicemia alta ricoverato per sindrome coronarica acuta: bisogna fare diagnosi differenziale tra una vera iperglicemia diabetica e un aumento di glicemia dovuto allo stress della SCA. □ DIAGNOSI La misurazione della glicemia a fini diagnostici e di screening va effettuata su plasma venoso. Sono sconsigliate le misurazioni su sangue venoso intero o capillare a causa della scarsa possibilità di standardizzazione. L’esecuzione dell’OGTT o curva da carico orale di glucosio prevede la misurazione della glicemia dopo due ore dall’assunzione per via orale di 75 g di glucosio dissolti in 300 mL di acqua. Il test non va eseguito in presenza di patologie acute intercorrenti e l’assunzione di carboidrati nei tre giorni precedenti l’esame deve essere normale (almeno 200 g/die). Si ricorre all’utilizzo dell’OGTT sempre meno frequentemente, preferendo la più semplice e standardizzabile misurazione della glicemia a digiuno e della HbA1c. Tuttavia, nei soggetti con IFG e obesità addominale o sindrome metabolica può essere utile l’esecuzione di un OGTT per una migliore definizione diagnostica e prognostica. CONTROLLO METABOLICO HbA1c E FRUTTOSAMINA L’emoglobina glicata è il prodotto della condensazione non enzimatica delle molecole di glucosio con gli amino gruppi liberi della globina dell’emoglobina. Maggiori sono i livelli medi di glicemia e più elevato sarà il livello di emoglobina glicata. La forma predominante di glicoemoglobina è l’HbA1c (4-6% dell’emoglobina totale). Poiché l’HbA1c circola con i globuli rossi, che hanno un’emivita di 120 giorni, i suoi livelli riflettono la media della glicemia nei 2-3 mesi precedenti. MALATTIE METABOLICHE Pagina 20 La frequenza del dosaggio dell’HbA1c dipende dalla situazione clinica; in genere si raccomanda un dosaggio due volte all’anno se il controllo glicemico è ottimale e stabile, e ogni 3 mesi negli altri casi (DM1 o DM2 non ottimale). → Il dosaggio dell’HbA1c rappresenta il principale strumento per valutare l’efficacia della terapia in atto e, insieme con i dati dell’autocontrollo glicemico domiciliare, fornisce informazioni utili all’apporto di modifiche terapeutiche. La fruttosamina è il prodotto della glicosilazione non enzimatica delle proteine plasmatiche e in particolare dell’albumina. Condizioni cliniche che riducono i livelli di albumina (sindrome nefrosica, epatopatia) riducono falsamente i livelli di fruttosamina. Poiché l’emivita dell’albumina è breve, la fruttosamina riflette la media dei livelli glicemici nelle 2 settimane precedenti il dosaggio. È consigliato il dosaggio della fruttosamina, in sostituzione a quello dell’HbA1c in pazienti con stati emolitici o varianti dell’emoglobina o quando è necessario valutare il compenso glicemico a intervalli più ravvicinati, per esempio nella donna in gravidanza. AUTOMONITORAGGIO DOMICILIARE DELLA GLICEMIA Consiste nella misurazione della glicemia su sangue intero capillare da parte del paziente a domicilio. Una goccia di sangue, ottenuta pungendo il dito, viene posta su una striscia reattiva che viene letta da un reflettometro. Le misurazioni possono essere eseguite al mattino a digiuno; prima e 2 ore dopo i pasti; prima, durante e dopo l’esercizio fisico e, occasionalmente, durante la notte. La frequenza del monitoraggio va individualizzata. Nel diabete di tipo 1 la misurazione della glicemia consente al paziente di effettuare pronti aggiustamenti della terapia insulinica e della dieta e di intervenire tempestivamente in caso di ipoglicemia. □ È, pertanto, utile monitorare la glicemia sempre prima del pasto, periodicamente 1-2 ore dopo il pasto, occasionalmente durante la notte. Nel diabete di tipo 2 l’automonitoraggio quotidiano è consigliato solo in caso di terapia insulinica o con farmaci che possono causare ipoglicemia. In tutti i soggetti diabetici l’automonitoraggio va intensificato in presenza di situazioni cliniche quali patologie intercorrenti, ipoglicemie inavvertite, ipoglicemie notturne, variazione della terapia ipoglicemizzante. È necessario istruire il paziente all’autocontrollo glicemico, valutare periodicamente la correttezza dell’utilizzo del reflettometro e la capacità di modificare la terapia sulla base dei valori misurati. □ ASSETTO LIPIDICO Nei soggetti diabetici il controllo del quadro lipidico (colesterolo totale, colesterolo HDL e trigliceridi) deve essere effettuato almeno annualmente e, a intervalli di tempo più ravvicinati, qualora si riscontrino valori alterati. Infatti, nel soggetto diabetico si riscontrano spesso alterazioni del profilo lipidico, in quanto il metabolismo lipidico è sensibilmente influenzato dall’insulina. Nel diabetico di tipo 1 scompensato si osserva un modesto aumento del colesterolo LDL e dei trigliceridi, che risulta perlopiù corretto dal controllo della glicemia. □ Nel paziente con diabete di tipo 2 e obeso si osservano alterazioni del profilo lipidico (dislipidemia diabetica) secondarie □ MALATTIE METABOLICHE Pagina 21 alterazioni del profilo lipidico (dislipidemia diabetica) secondarie alla presenza di uno stato di insulino-resistenza: aumento dei trigliceridi, riduzione del colesterolo HDL e prevalenza di particelle LDL piccole e dense, più suscettibili all’ossidazione e quindi maggiormente aterogene. □ MALATTIE METABOLICHE Pagina 22 bicarbonati ≥ 15 mEq/L□ pH venoso > 7.43□ anion gap ≤ 12 mEq/L (ad indicare che la quantità di acidi organici si è ridotta)□ Eq. idroelettrolitico Dosaggio: aggiungiere 20-40 mEq (1 fiala = 20 mL, dunque 1-2 fiale) di potassio cloruro per ogni litro di salina infusa, se il potassio plasmatico è < 5.3 mEq/L • Controindicazioni: iperkalemia da insufficienza renale o da uso di farmaci potassio risparmiatori.• Precauzioni: se il potassio è inizialmente molto elevato, si può procedere all’infusione di insulina contemporaneamente all’idratazione. Per valori di potassio ematici > 5.3 nmol/L limitare l’infusione di potassio a 10 mEq/h (½ fiala per ogni litro di soluzione infusa). • NB: per valori di kalemia < 3.3 mol/L non intraprendere terapia insulinica fino alla reintegrazione del potassio (con questi valori se non correggessimo prima la kalemia e somministrassimo subito insulina, si abbasserebbero ulteriormente i valori di potassio e il soggetto va in arresto cardiaco). La glicemia può rimanere anche a 600 mg/dl per un certo tempo e questo ci dà il tempo di correggere prioritariamente gli altri scompensi, tra cui il potassio. N.B. uno degli strumenti classici di idratazione di un paziente a cui si vuole fornire contemporaneamente anche un po' di calorie, per riattivare il metabolismo glucidico ed abbassare i corpi chetonici, è la soluzione glucosata tamponata insulinica (GIK – glucosio insulina potassio), che avendo aggiunte delle unità di insulina rapida, neutralizzano ed evitano il picco iperglicemico di rebound, mantenendo però il beneficio della somministrazione di glucosio in termini sia di energia che di riattivazione del metabolismo ossidativo (Krebs). Siccome però l’insulina tende ad abbassare il potassio in questi pazienti (che già sono ipokalemici) si aggiunge nella soluzione 20-30 mEq di potassio. In questo modo la soluzione rimane “neutra”, sia come picco glicemico che come effetto sul potassio e possiamo somministrare glucosio. *i bicarbonati vengono utilizzati sono i condizioni selettive (pH<7) COMPLICANZE CRONICHE Il glucosio per esercitare i suoi effetti deleteri, deve essere internalizzato dalle cellule dei tessuti bersaglio. Danni microvascolari Danni macrovascolari OCCHIO Retinopatia- Cataratta- Glaucoma- CERVELLO (-> malattie cerebrovascolari) TIA- Stroke- Problemi cognitivi- RENE (-> nefropatia diabetica) Micro e macroalbuminuria- Insufficienza renale- CUORE (patologie coronariche) Coronaropatia - Angina, Infarto- Scompenso scardiaco- NERVI (-> neuropatia) Periferica - Autonomica- ESTREMITÀ (vasi periferici) Ulcere- Gangrena- Amputazioni- È interessante notare come le complicanze croniche non colpiscano i tessuti in cui la captazione è regolata dal trasportatore GLUT-4. Sono invece colpiti i tessuti dove l'internalizzazione è mediata da GLUT-1, che è indipendente dall'insulina e la cui espressione è aumentata in presenza di elevati livelli glicemici. Sono stati proposti 3 MECCANISMI: Formazione di prodotti avanzati di glicosilazione (AGE)□ Attivazione delle vie metaboliche dei polioli e delle esosamine□ Attivazione della via di segnale della proteina chinasi C (PKC)□ MACROANGIOPATI A DIABETICA Si definisce come una tendenza a sviluppare aterosclerosi più precocemente e in misura più significativa rispetto a quanto osservato nella media della popolazione. Il diabete è un fattore di rischio cardiovascolare maggiore, al pari dell'ipertensione arteriosa e delle dislipidemie; e nella valutazione globale la sua presenza è considerata al pari di un rischio MALATTIE METABOLICHE Pagina 25 delle dislipidemie; e nella valutazione globale la sua presenza è considerata al pari di un rischio coronarico. Un soggetto diabetico ha un rischio di eventi coronarici pari a quello di un soggetto post- infartuato. Fattori di rischio specifici: scarso compenso glicemico, preferenza di nefropatia diabetica e insulino-resistenza RETINOPATIA DIABETICA I soggetti diabetici hanno un rischio di sviluppare cecità 25 volte maggiore rispetto ai soggetti non diabetici. Sono stati identificati DUE STADI: Retinopatia semplice Si avrà: perdita dei periciti, delle cellule endoteliali e ispessimento della membrana basale. Presenza di microaneurismi che possono rompersi e determinare emorragie retiniche→ L'obliterazione dei vasi con conseguente ischemia, oltre a causare la formazione di aree di microinfarti denominati "essudati cotonosi", è responsabile del rilascio di fattori vasoproliferativi (VEGF) → Retinopatia proliferativa È caratterizzata dalla neoformazione di vasi indotta dall'ischemia retinica. Questi nuovi vasi si rompono facilmente causando emoraggie, fibrosi e distacco di retina, con conseguente cecità. NEFROPATIA DIABETICA Si caratterizza per perdita di podociti e accumulo di matrice extracellulare nel mesangio, che diventa sclerotico, e nella membrana basale, che si ispessisce. Ciò determina: Aumento della permeabilità glomerulare alle proteine□ Aumento della concentrazione delle proteine nelle urine□ Perdita della funzionalità renale con caduto del filtrato glomerulare□ NEUROPATIA DIABETICA La neuropatia diabetica, che comprende la neuropatia periferica e la neuropatia autonomica, colpisce circa il 50% dei soggetti con diabete di lunga durata. La forma più comune di neuropatia periferica è la polineuropatia simmetrica distale dovuta a un’assonopatia su base metabolica e ischemica (danno dei vasa vasorum delle fibre nervose). Vengono colpite le fibre sensitive sia piccole (sensibilità dolorifica, tattile, termica) sia grandi (sensibilità vibratoria e propriocettiva), mentre il coinvolgimento dei motoneuroni si verifica tardivamente e solo nelle forme più gravi. → Poiché il danno è proporzionale alla lunghezza dell’assone, la patologia dapprima interessa piedi e mani (distribuzione calza/guanto) e poi progredisce in senso prossimale. → Iniziali disturbi irritativi delle piccole fibre (iperestesie, parestesie, dolore urente a riposo prevalentemente notturno) sono seguiti, al progredire del danno neuronale, da anestesia tattile, dolorifica, termica. → L’interessamento delle grandi fibre causa perdita della sensibilità vibratoria e propriocettiva con riduzione dei riflessi osteoarticolari e disordini della postura/andatura per anormale senso di posizione. → La neuropatia autonomica colpisce il sistema nervoso vegetativo con manifestazioni a carico dei sistemi cardiovascolare (tachicardia a riposo, ipotensione ortostatica, morte improvvisa), gastrointestinale (atonia gastrica, alternanza di stipsi e diarrea per difetti della motilità intestinale che favoriscono la colonizzazione batterica e il malassorbimento), genito-urinario (eiaculazione retrograda, disfunzione erettile, vescica neurologica), sudoriparo (iperidrosi delle estremità superiori e anidrosi di quelle inferiori). La perdita dei sintomi adrenergici aumenta il rischio di crisi ipoglicemiche gravi. PIEDE DIABETICO Il diabete è la principale causa di amputazione non traumatica degli arti inferiori. Le ulcere e le infezioni del piede rappresentano, inoltre, un’importante causa di morbilità tra i diabetici. → La neuropatia e la macroangiopatia diabetica concorrono entrambe allo sviluppo dell’ulcera diabetica. La neuropatia periferica interferisce con i normali meccanismi di protezione ed → MALATTIE METABOLICHE Pagina 26 La neuropatia periferica interferisce con i normali meccanismi di protezione ed espone il piede diabetico a danno continuo; essa, inoltre, altera la biomeccanica del piede favorendo lo sviluppo di alterazioni strutturali. → La perdita della sensibilità propriocettiva altera la postura e la deambulazione favorendo lo sviluppo di calli e ulcerazioni. → La neuropatia autonomica, nel causare anidrosi, aumenta la secchezza della cute e favorisce il crearsi di fissurazioni e ulcerazioni. → La vasculopatia periferica causa danno ischemico e ostacola i processi di guarigione favorendo le sovrainfezioni. → Fondamentale nella prevenzione delle ulcere diabetiche è l’educazione del paziente. Si raccomanda attenzione nella scelta delle calzature, ispezione quotidiana del piede, igiene scrupolosa e di evitare comportamenti a rischio, come camminare a piedi nudi o calzare scarpe strette. MALATTIE METABOLICHE Pagina 27 comorbidità => nei diabetici anziani bisogna semplificare la terapia il più possibile, per esempio, la monosomministrazione è preferibile alle somministrazioni multiple. • Analoghi rapidi Insulina Lispro- Insulina Aspart- Insulina Glulisina- Rapida insorgenza d’azione (10 minuti)- Durata breve (max 6h)- Analoghi lenti Insulina Glargine- Insulina Detemir- Insorgenza d’azione 2-4h- Durata d’azione 18-24h- Analoghi ultra-lenti Insulina Degludec- Insulina Degludec/aspart- Durata d’azione >24/48h- BOLI• => insulina ad azione breve che controlla il glucosio nel sangue dopo aver mangiato; soprattutto previene l'aumento della glicemia. Analoghi rapidi - (Lispro, Aspart, Glulisine) Fiasp -> ultrarapida - Ha una cinetica molto simile a quella fisiologica- Somministrazione che può avvenire anche solo 15 minuti prima del pasto e un picco che viene raggiunto molto rapidamente. - BASALI• => insulina a lunga durata che mantiene il glucosio nel sangue nel range normale durante i periodi di non assunzione di cibo, specialmente di notte. Regola la glicemia durante il giorno e la notte. Insulina intermedia NPH (insulina umana protaminata) - Viene utilizzata in associazione all’insulina regolare, - con una somministrazione prima di andare a dormire per coprire la notte. - Tuttavia anche questa ha una cinetica non fisiologica, caratterizzata da un’emivita di circa 12 ore, un picco elevato dopo qualche ora (che poteva causare ipoglicemia) e una possibile finestra di mancata copertura al termine delle 12 ore. - Per evitare l’ipoglicemia (oppure l’iperglicemia il mattino seguente in caso di mancata somministrazione prima di andare a dormire), la titolazione della NPH va tarata in base alla glicemia del mattino precedente. - LINEE GUIDA MARZO 2022: Questo è l'algoritmo delle linee guida inglesi pubblicato di recente, a marzo 2022, che mostra l’approccio terapeutico nel paziente diabetico di tipo due in generale e di conseguenza anche nel paziente anziano. Oggi la scelta terapia si basa sulla presenza o meno del rischio cardiovascolareche nell’anziano è quasi sempre riscontrabile. Per unanime riconoscimento, la maggior parte degli studiosi ritiene che la metformina è la prima linea di trattamento. Tuttavia, nel momento in cui il paziente che abbiamo di fronte ha già una malattia cardiovascolare conclamata o altissimo rischio cardiovascolare o segni di insufficienza cardiaca o disfunzionalità renale, accanto alla metformina (oppure qualora la metformina causasse problemi) , a prescindere dal target dell’HbA1c, è consigliabile utilizzare SGLT2 inibitori(o i GLP1 agonisti) che hanno dimostrato un’azione protettiva nei confronti o degli eventi cardiovascolari o dello scompenso cardiaco o del declino della funzionalità renale. QUINDI Le SGLT2 (gliflozine) vengono inserite subito dopo, quindi oggi essenzialmente si utilizzano la metformina e le SGLT2 [sono protettive sia sugli effetti cardiovascolare che su quelli renali] se poi non c’è risposta adeguata si può ricorrere ad altre possibilità. • MALATTIE METABOLICHE Pagina 30 quelli renali] se poi non c’è risposta adeguata si può ricorrere ad altre possibilità. GLP1 che invece sono protettive solo sugli effetti cardiovascolari.• Si può ricorrere allo switch con il trattamento insulinico quando non è più sufficiente quello con gli ipoglicemizzanti. • MENTRE negli anziani le sulfaniluree sono da evitare insieme al pioglitazone. • MALATTIE METABOLICHE Pagina 31 Viene per definizione considerata “GESTAZIONALE” qualsiasi forma diabetica diagnosticata per la prima volta in gravidanza. Nella maggior parte dei casi è un effettivo diabete gestazionale, cioè che si sviluppa dal secondo trimestre di gravidanza in poi, ma in questa categoria si racchiude anche una piccola percentuale di donne con diabete di tipo 2 misconosciuto, cioè già presente prima della gravidanza ma non ancora diagnosticato, e che viene individuato durante i vari controlli che effettua per la gravidanza stessa. □ Fisiopatologia Ricalca molto quella del diabete di tipo 2. Inizialmente si pensava ci fossero solo 3 attori, ossia fegato, pancreas e muscolo; negli ultimi anni però c’è stato un aumento delle evidenze che ha portato a capire che ci sono anche altri tessuti coinvolti quali: Il tessuto adiposo;▪ Il rene, che controlla la glicemia attraverso la soglia renale (paradossalmente il diabetico ritiene più glucosio); ▪ L’intestino, che attraverso il sistema incretinico (un gruppo di ormoni rilasciati in seguito al pasto) è in grado di controllare in maniera sensibile la glicemia e il rilascio di insulina (sia per il meccanismo renale che intestinale sono stati sviluppati farmaci specifici); ▪ Interviene anche una modulazione da parte dell’SNC.▪ L'ipoglicemia neonatale si verifica perché un feto, abituato ad alti livelli di glicemia che arrivano dalla madre, alla nascita presenta già una iperplasia delle beta cellule, perché stimolato dagli alti livelli di glucosio a produrre più insulina durante la vita intrauterina; quando con il parto si svincola dalla glicemia materna, la iperinsulinemia già esistente conduce a ipoglicemia, altro evento drammatico che richiede il supporto della terapia. La REGOLAZIONE DEL GLUCOSIO è la seguente: in iperglicemia si ha stimolazione della beta cellula con conseguente aumento della produzione di insulina, che a livello epatico blocca la gluconeogensi, agisce come anabolizzante a livello del tessuto adiposo dando lipogenesi aumentando l’uptake di glucosio da parte dell’adipe, causa anche aumento dell’uptake di glucosio da parte del muscolo, che ne è il principale utilizzatore dopo il cervello (ma quest’ultimo ricordiamo essere insulinoindipendente). → In ipoglicemia c’è inibizione delle beta cellule e attivazione delle alfa cellule, che invece fanno esattamente l’opposto producendo glucagone, che stimola la produzione epatica di glucosio e la liberazione di acidi grassi dal tessuto adiposo, che attraverso la beta ossidazione ci posso dare energia. → Ha un ruolo importante anche l’SNC attraverso il rilascio di neurotrasmettitori, stimoli e ormoni (es sensazione di fame/sazietà) per controllare, comunque anche se in maniera più generale, quello che è il rilascio di ormoni specifici per il controllo della glicemia. Sotto STIMOLO INSULINICO: Il tessuto adiposo capta glucosio e si ha lipogenesi con accumulo di acidi grassi e trigliceridi► Il tessuto muscolare capta glucosio e lo utilizza per produrre energia► Il fegato capta glucosio e lo accumula sotto forma di glicogeno che verrà rilasciato all’occorrenza. ► Nel momento in cui si presenta una condizione di INSULINO-RESISTENZA tutto questo sistema viene sovvertito, quindi: il tessuto adiposo fa lipolisi, → il tessuto muscolare libera e utilizza le scorte di glicogeno che erano state precedentemente accumulate, → DIABETE GESTAZIONALE mercoledì 3 novembre 2021 11:22 MALATTIE METABOLICHE Pagina 32 Questo succede soprattutto in donne obese perché l'obesità, attraverso il rilascio di acidi grassi liberi, va ad agire sui tessuti bersaglio dell’insulina e crea forte insulinoresistenza; la donna obesa parte infatti svantaggiata perché presenta già una quota di insulinoresistenza importante nel momento in cui inizia la gravidanza; quindi, l'obesità dovrebbe essere controllata prima del desiderio di gravidanza nella donna. Che cosa succede nel momento in cui si crea questa condizione di iperglicemia e aumento degli acidi grassi circolanti? C’è una IPERNUTRIZIONE, un eccesso di nutrienti al feto; questi passano a livello placentare, stimolano la produzione di insulina da parte del feto e questo determina iperinsulinemia fetale, aumento dei fattori di crescita fetali quindi un aumento dello sviluppo fetale; questo non è un bene, perché l'aumento dei processi anabolici a livello fetale si associa a importanti complicanze che possono portare ad out come neonatali sfavorevoli. Diagnosi [Può essere domanda d’esame] I cut-off per la diagnosi di diabete e di diabete gestazionale sono completamente diversi fra loro; infatti, i livelli glicemici di una donna in gravidanza sono più bassi rispetto a quelli di una donna non in corso di gravidanza, e questo spiega anche la diversità dei cut-off glicemici per la diagnosi, che sono, appunto, più bassi nel caso di diabete gestazionale. Nella donna in gravidanza vanno valutati i LIVELLI DI GLICEMIA A DIGIUNO, perché dobbiamo cercare di individuare i casi di diabete pre-gestazionale. Per esempio, se troviamo in una donna nel primo trimestre di gravidanza una glicemia a digiuno superiore a 126 mg/dl, ché è il cut-off generale per la diagnosi di diabete, o una glicemia postprandiale random (cioè misurata casualmente in qualsiasi momento della giornata, per esempio dopo una visita al PS) maggiore di 200 mg/dl, oppure un valore di emoglobina glicata (serve per valutare la glicemia media) superiore a 6,5 allora siamo di fronte ad un caso di diabete pre-gestazionale. Vanno valutati una serie di altri parametri tra MALATTIE METABOLICHE Pagina 35 Vanno valutati una serie di altri parametri tra i quali: se la donna ha avuto diabete in gravidanze precedenti, quindi un diabete gestazionale, □ se è obesa (BMI>30)□ se all’inizio della gravidanza presenta un valore glicemico tra 100 e 125 mg/dl, valori che definiscono quella zona grigia che sicuramente indica una alterata glicemia a digiuno, però non fa fare ancora diagnosi di diabete. □ Se sussiste una di queste condizioni, la donna deve fare il test da carico orale di glucosio (OGTT) a 16/18 settimane perché considerata ad ALTO RISCHIO. Come si fa la curva da carico? Prima di tutto deve essere fatta a digiuno (nelle ultime otto ore non sia stato assunto nessun tipo di cibo, solo acqua, perché altrimenti i cut-off del test non sono più validi, cioè la curva non è considerabile come diagnostica) Viene preparata una soluzione di 75 grammi di glucosio sciolti in circa 400 ml di acqua, che deve essere assunta nel più breve tempo possibile, dopodiché la donna deve stare a riposo assoluto in astinenza dal fumo, se fumatrice, e non può nemmeno allattare. (in alcuni casi si fa la curva da carico orale dopo la gravidanza e se si allatta il metabolismo è alterato) Si fa il prelievo prima del carico orale, a un'ora esatta dal carico e poi a due ore, quindi si hanno TRE MISURAZIONI. Per diagnosticare diabete in gravidanza è sufficiente che venga rispettato solo uno dei seguenti punti: Glicemia a digiuno superiore uguale a 92 mg/dl□ Glicemia dopo un'ora superiore o uguale a 180 mg/dl□ Glicemia dopo due ore superiore o uguale a 153 mg/dl□ Questa riportata nella slide è la flow chart della società italiana di diabetologia, ed in Italia questo documento fa fede, questa è la linea diagnostica che va seguita per il diabete in gravidanza. MALATTIE METABOLICHE Pagina 36 Complicanze Le complicanze materne si sviluppano più frequentemente nel diabete pre gestazionale, perché sono legate anche dal tempo in cui la donna è stata esposta ad iperglicemia ed esse sono: l'ipertensione, • la preeclampsia, che alla fine è una alterazione vascolare e quindi una inefficienza placentare da alterazione vascolare che si osserva frequentemente nelle donne con diabete pre gestazionale, • la retinopatia, che è una complicanza microvascolare del diabete può peggiorare della durante la gravidanza, quindi è una situazione da tenere sotto controllo nelle donne con diabete che intraprendono la gravidanza. • Le complicanze fetali più frequenti sono la morte, fetale o neonatale, che solitamente si verifica dalla 38esima settimana in poi. Il parto pretermine, la macrosomia, la restrizione della crescita, sono delle complicanze legate prevalentemente al diabete pre gestazionale. □ Per quanto riguarda il ritardo di crescita intrauterina, che viene definito come peso totale inferiore al decimo percentile, è legato ad inefficienza placentare, quindi al deficit vascolare della placenta, che spesso può essere ricondotto al diabete, però ovviamente di lunga data, oppure ad una donna che non ha gestito correttamente il suo compenso glicemico durante la gravidanza; paradossalmente, quindi, si può avere un ritardo di crescita che può essere ricondotto al diabete. □ MALATTIE METABOLICHE Pagina 37 gestazionale ha poco senso.) Per quanto riguarda i farmaci anti diabetici infatti questi non hanno ancora ottenuto del vero consenso. L’FDA e l’Ema non ne autorizzano l’uso, in America ed Europa la metformina va data esclusivamente sotto consenso informato della donna poiché gli studi non sono univoci. Alcuni studi evidenziano un miglioramento dell’insulino-resistenza e della qualità ovoocitaria, ma seppur siano stati esclusi rischi malformativi neonatali, pochi sono i dati a lungo termine e, quelli presenti indicano un basso peso alla nascita e tra i 2, 7 e 9 anni l’acquisizione di una maggior adiposità viscerale. Questo vale per i bambini di donne che ne hanno fatto uso per trattare la sindrome dell’ovaio policistico, in centri di procreazione medicalmente assistita, obese con diabete di tipo 2 o sindrome metabolica. Il MONITORAGGIO DELLA GLICEMIA è fondamentale e l’autocontrollo può essere svolto utilizzando dei sistemi a scacchiera, così come il controllo della chetonuria al risveglio in presenza di iperglicemia persistente (per diabete scompensato), ci sono inoltre dei chetostick che permettono di valutare la chetonemia capillare, ma di base nelle donne di buon compenso o con diabete gestazionale utilizziamo ancora la misurazione della chetonuria. Ci sono evidenze convincenti di come l’INOSITOLO, prodotto minimamente dal nostro organismo, migliori il metabolismo. Esso deriva dal glucosio 6 fosfato e ne conosciamo vari isomeri, come myo e chiroinositolo, quest’ultimo in particolare risulta essere ipoespresso nel diabetico. □ Esso partecipa al controllo del metabolismo cellulare, rientra tra le molecole che fungono da secondi messaggeri dell’insulina. □ È infatti coinvolto nella cascata del tipico segnale insulinico, agevolando l’attività insulinica, migliorando la glicogeno sintesi e favorendo la traslocazione di glut4 e quindi l’uptake di glucosio. □ L’assunzione risulta essere utile in patologie croniche associate al metabolismo come ovaio policistico, sindrome metabolica e diabete gestazionale: c’è un miglioramento dell’insulino sensibilità con riduzione minima delle glicemie. □ Inoltre può essere somministrato l’ACIDO ALPHA-LIPOICO, un antiossidante che agisce sullo stress ossidativo, dettato dall’iperglicemia con danno vascolare. Migliora quindi il metabolismo glucidico e la sensibilità all’insulina ed interviene sui meccanismi del controllo metabolico di base della cellula. □ Le INSULINE A LENTO ASSORBIMENTO o a lenta durata d’azione ricalcano quella basale, tra queste oggi ne abbiamo 3, Glargyne U100 ed U300 ultra concentrata, che assicura un profilo glicemico più omogeneo, Detemir con durata sotto le 24 h e Degludec di durata di 36 h ed un profilo stabile, omogeneo come desiderato. Per Degludec però mancano grossi dati in gravidanza, ritroviamo solo alcuni case report di donne che hanno portato avanti gravidanze non programmate, mantenendo il trattamento con Degludec che non hanno riscontrato particolari problemi. C’è uno studio multicentrico nazionale che ne sta valutando la sicurezza, cui dati sono abbastanza incoraggianti per il prossimo futuro. □ È importante istruire bene il paziente per avere MALATTIE METABOLICHE Pagina 40 È importante istruire bene il paziente per avere una terapia che funzioni bene. Purtroppo modalità scorrette di somministrazione dell’insulina sono tutt’ora visibili in alcuni pazienti, ma ci sono dei punti precisi dove fare l’iniezione: zona dell’addome lontano dall’ombelico e zona delle cosce in corrispondenza del quadricipite femorale. Bisogna evitare le zone dove abbiamo al di sotto del tessuto fibroso, prediligendo quelle con un maggior tessuto sottocutaneo attraverso cui l’assorbimento è migliore. Le braccia non sono un sito preferito, essendo soggette a movimenti che ne aumentano la vascolarizzazione questa ne accelera l’assorbimento, perciò diverso a seconda delle attività svolte dal soggetto. Si consiglia perciò la somministrazione durante il giorno sull’addome e la sera sulla coscia. Le nuove tecnologie applicate al diabete La tecnologia ha rivoluzionato la terapia e non solo dei pazienti con diabete gestazionale ma soprattutto di tipo 1, individui che necessitano di terapia insulinica. Ad oggi le terapie classiche di cui abbiamo appena parlato ci permettono di avere un controllo ottimale del diabete, ma la pompa di infusione continua sottocutanea (microinfusore) è uno strumento che permette di modulare in ogni instante nell’arco della giornata e dei diversi giorni l’infusione dell’insulina. Una somministrazione multi iniettiva non può essere più modificata una volta impostata, ad esempio somministro un bolo della durata di 24h, se decido di voler andare a correre non potrò reimpostare ciò che ho già iniettato, mentre in quella continua posso modularlo perfettamente. Questo vantaggio viene sfruttato nei pazienti più giovani con una vita più attiva (es. aperitivi). Si sta perfino cercando di riprodurre un pancreas artificiale, con sistemi che comunicano con un sensore (holter glicemico, glucose continuous monitoring) che prelevando liquidi interstiziali tramite algoritmi rileva la glicemia plasmatica e rilascia insulina in base a questo. Quello che deve fare il pz è semplicemente inserire la quota di carboidrati assunti nel pasto (g contenuti in ogni singolo alimento), dopodiché il microinfusore eroga il bolo, ciò rende sicuramente la gestione del diabete molto più snella, una volta che il pz prende confidenza con la valutazione degli alimenti assunti. MALATTIE METABOLICHE Pagina 41 Altro vantaggio è avere i dati del pz a portata di mano che, se necessario, può anche inviare ad ambulatori virtuali potendoli così osservare a distanza, migliorando la gestione di un pz che non dovrà più recarsi in ospedale ma potrà essere gestito anche a distanza. (Queste info più specifiche sulle nuove tecnologie possono non essere oggetto di esame ma sono solo condivise dalla professoressa per completezza.) Questo è l’andamento glicemico misurato dal sensore, ciò ci permette di valutare come il paziente abbia gestito le ipo e le iperglicemie, il microinfusore ha infatti erogato nel tempo dei boli di insulina. Nei grafici più avanzati possiamo avere anche le sospensioni, se necessario, prevenendo il rischio legato ad un eccesso di insulina e di ipoglicemie. Anni fa c’erano pazienti che finivano in terapia intensiva per coma da ipoglicemia dovuta al rilascio continuo del micro senza possibilità di interromperlo. Avere un sistema di controllo autonomo, basato sui dati del sensore è decisamente un passo avanti, una forma di tutela dal rischio ipoglicemico enorme. La gestione del diabete durante il travaglio, parto e post parto. Durante il travaglio è fondamentale che il controllo glicemico sia ottimale, con un monitoraggio stretto dei valori glicemici, laddove sia in grado di gestire la glicemia autonomamente, questa deve essere valutata comunque insieme agli ostetrici durante il travaglio. Nel post parto, a prescindere dal tipo di diabete, si deve sospendere la terapia insulinica per il crollo dell’insulino-resistenza, rischiando ipoglicemie importanti nel caso in cui continuassimo. Quindi le indicazioni sono di monitorare la glicemia e ripristinare la terapia quando la glicemia torna ad essere superiore a 140 per poi gestirla al di fuori della gravidanza. La scelta del tipo e del momento del parto è sempre dell’ostetrica che eventualmente consulta il diabetologo. Non c’è un consenso generale sul momento esatto, è ovvio che sia maggiore il rischio di morte intrauterina soprattutto se il diabete è scompensato, oltre che in prossimità della gravidanza. Si arriva fino alla quarantesima settimana nelle donne con diabete compensato, si anticipa alla 38esima in quello non ben compensato, il rischio aumenta tra la 38 in poi. È un discorso quindi che si fa in maniera molto puntuale sul singolo caso: durata del diabete, gestione in gravidanza e condizioni ostetriche. I bambini nati da donne in gravidanza sono inoltre caratterizzati da un ritardo nella maturità polmonare e perciò associati ad un maggior rischio di distress respiratorio alla nascita, ragione per cui questo non può essere anticipato. Quindi, le scelte per una gravidanza di una donna con diabete si poggiano su un equilibrio abbastanza precario, da un lato rischiamo la morte intrauterina, dall’altro il distress respiratorio, gestita in terapia intensiva neonatale. Il peso limite è considerato 4kg per la definizione di macrosomia, superiore al 90esimo percentile per diabete gestazionale, questo detta la distinzione tra parto cesareo e naturale. Ma ricordiamo che le valutazioni restano in mano dell’ostetrica. Durante la gravidanza: MALATTIE METABOLICHE Pagina 42 Un aumento degli acidi grassi intracellulari, o meglio di alcuni loro metaboliti, contribuisce all'insorgenza della resistenza all'insulina, ostacolando le vie di trasmissione intracellulari del segnale insulinico. I metaboliti si accumulano sotto forma di trigliceridi e il loro aumento favorisce la produzione di citochine proinfiammatorie. Per di più nei soggetti in eccesso di peso il tessuto adiposo è invaso dai macrofagi; alcuni studiosi ipotizzano che i macrofagi attivati possano aumentare la produzione di citochine, che a loro volta sarebbero coinvolte nell'insulinoresistenza. L'adiposità viscerale diviene così sede di una reazione infiammatoria cronica a bassa intensità, per cui alcune sostanze vengono rilasciate dal tessuto adiposo: fattore di necrosi tumorale, diverse citochine infiammatorie, proteina C-reattiva, PAI-1 inibitore della fibrinolisi. Gli adipociti producono anche alcuni ormoni: leptina e l'adiponectina, ma solo quest'ultima sembra avere un ruolo protettivo nello sviluppo dell'insulinoresistenza. I meccanismi attraverso i quali l'adiponectina svolgerebbe il suo ruolo protettivo sono tuttora oggetto di studio e approfondimento. L’ADIPONECTINA (una adipochina) ha effetto antiaterogenico e antidiabetico. È ridotta nell’obesità viscerale. Questa riduzione di adiponectina permette di: Richiamare monocito macrofagi, trasformarli in cellule schiumose▪ Indurre il rimodellamento vascolare▪ L'IL-6 è aumentato, ha un effetto proaterogenico e prodiabetico. Determina: Aumento dell'infiammazione vascolare▪ Diminuzione della sensibilità insulinica▪ Il TNFα è aumentato, e determina un peggioramento dell’insulino-resistenza. Il PAI -1 è aumentato, e aumenta il rischio aterotrombotico La LEPTINA è aumentata, è l’ormone che controlla il bilancio energetico, quindi l’appetito, la spesa energetica, l’ossidazione degli acidi grassi. FATTORI ENDOGENI I fattori endogeni includono, oltre all'insulinoresistenza, alterazioni endocrine e alterazioni genetiche: generalmente vengono raggruppati sotto il termine di "suscettibilità metabolica". Infatti, affinché si possa manifestare la sindrome, deve essere presente una certa suscettibilità individuale, anche se il passaggio alla sindrome metabolica conclamata in genere non si presenta in assenza di obesità. Non tutti i pazienti con obesità sviluppano la sindrome metabolica, ciò accadrebbe perché non tutti i soggetti presentano la medesima suscettibilità endogena. Sono coinvolti diversi fattori: in primis la disfunzione del tessuto adiposo, quindi forme genetiche di insulinoresistenza e varie alterazioni di tipo endocrino. La disfunzione del tessuto adiposo viscerale è, tra le concause, la più importante e in particolare il deficit di tessuto adiposo sottocutaneo, che nella sua forma più grave viene denominato lipodistrofia. In questo caso il deposito dei grassi avviene in zone ectopiche, come il fegato e il muscolo: tale situazione conduce a una sindrome metabolica severa. Possibili disfunzioni all'interno degli adipociti possono contribuire alle alterazioni nella distribuzione del grasso. In ultimo, le differenze metaboliche fra i due sessi possono costituire fattori predisponenti: le donne con ovaio policistico e i soggetti colpiti da alterazioni del cortisolo, sono predisposti alla sindrome. PARTE PRESA DA PS4 RUOLO DEL TESSUTO ADI OSO E DELL’INSULINO-RESISTENZA La patogenesi non è completamente chiarita. Le alterazioni spesso coesistono (questo è un dato osservazionale), e si è cercato di capire perché e quali sono i legami tra le condizioni. Di base è il ruolo del tessuto adiposo, perché rilascia MALATTIE METABOLICHE Pagina 45 Di base è il ruolo del tessuto adiposo, perché rilascia una serie di mediatori responsabili delle alterazioni che fanno parte di questa sindrome, incidendo a livello: VASCOLARE, e quindi sulla pressione► PANCREATICO E MUSCOLARE, con ruolo centrale dell’insulino resistenza ► EPATICO, dove c’è aumentato rilascio di VLDL (e di conseguenza di trigliceridi). ► Sicuramente c’è il ruolo dell’obesità e dell’insulino-resistenza, che vanno a determinare alterazioni a carico di vari organi. Su questa base insistono i fattori rischio. Fattori di rischio non classici/aggiuntivi: Infiammazione cronica di basso grado▪ Rilascio di mediatori (adipochine) dal tessuto adiposo ▪ Alterazione dell’assetto coagulativo e fibrinolitico. È assodato che ci sia una condizione protrombotica, con aumento per esempio dei livelli di PAI (inibitore dell’attivatore del plasminogeno). ▪ Nel tempo è cambiata la visione del tessuto adiposo: In passato si pensava che fosse un tessuto unicamente di stoccaggio/accumulo di energia (acidi grassi), da utilizzare quando non ci fosse disponibilità di substrati energetici ▪ Ora è considerato un tessuto endocrino a tutti gli effetti, perché oltre a fungere da tessuto di riserva energetica, rilascia sostanze che interferiscono con l’azione di organi e apparati deputati al controllo dell’omeostasi metabolica: fegato, pancreas, muscolo, endotelio, SNC. ▪ Insieme all’obesità, c’è sempre il ruolo dell’insulino- resistenza. Con le adipochine, le citochine (veri e propri mediatori dell’infiammazione), con l’aumento dei livelli di stress ossidativo si attivano una serie di vie che si traducono nella fenotipizzazione della sindrome. Inoltre, determina un aumento della glicemia e un aumento degli acidi grassi circolanti. I tessuti rispondono meno all’insulina, quindi: MALATTIE METABOLICHE Pagina 46 I tessuti rispondono meno all’insulina, quindi: Viene prodotto e quindi rilasciato più glucosio e ne viene utilizzato di meno. C’è quindi più glucosio circolante ► Contemporaneamente c’è aumentato rilascio acidi grassi liberi e trigliceridi da parte del fegato. ► Si crea una DISREGOLAZIONE METABOLICA vera e propria. A partire dal tessuto adiposo si scatenano vie che danneggiano i vari organi: cuore, vasi, fegato… Gli organi a lungo termine diventano disfunzionali e tutto si traduce nel danno cardiovascolare. La prova del fatto che il tessuto adiposo è centrale nel controllo omeostatico è data dal fatto che: Se si aumenta di peso, si determinano prima iperplasia e poi ipertrofia del tessuto adiposo. Quando l’ipertrofia prevale sull’iperplasia, la cellula viene resa metabolicamente svantaggiosa. Il tessuto adiposo viscerale è quindi un tessuto disfunzionale che promuove uno stato proinfiammatorio. ○ È l’ipertrofia della cellula adiposa che richiama cellule dell’infiammazione con infiltrazione macrofagica. ○ • Se si perde peso si può revertire il richiamo di monociti-macrofagi e quindi si può diminuire l’infiammazione del tessuto adiposo. • Alcune teorie affermano che l’ipertrofia può anche portare ad una trasformazione delle cellule adipose in monociti-macrofagi. Dunque, sicuramente c’è richiamo di monociti-macrofagi circolanti, ma probabilmente sono le cellule adipocitarie stesse che si trasformano e creano infiammazione e disfunzione metabolica. → In figura 9 si osservano le citochine infiammatorie coinvolte nell’infiammazione legata all’ipertrofia delle cellule adipose. Sono rappresentate anche le adipochine: mediatori rilasciati in modo specifico dal tessuto adiposo, sono leptina e adiponectina. [Dalla sbobina dell’anno precedente: La condizione di base non è l’obesità in generale, caratterizzata dall’aumento di grasso in toto, ma l’aumento dell’obesità viscerale, perché il grasso viscerale ha una morfologia diversa rispetto al tessuto presente in altri distretti. La diminuzione del grasso viscerale riduce la progressione dello stato infiammatorio cronico alla base della disfunzione metabolica.] Tutto l’insieme di adipochine, citochine MALATTIE METABOLICHE Pagina 47 Il fatto che ci sia meno NO (che viene prodotto dalla via PI3K AKT) porta disregolazione delle cellule vascolari, che aumentano l’esposizione di molecole di adesione richiamando monociti e macrofagi. L’NO è anche un inibitore dell’aggregazione piastrinica, quindi una sua mancanza spinge l’equilibrio verso la formazione della placca e la progressione verso l’ipertensione arteriosa. RUOLO NELLO SVILUPPO DI DIABETE L’insulino-resistenza si è detto che va a determinare anche un AUMENTATO RILASCIO DI ACIDI GRASSI LIBERI (si veda figura 7), che con il tempo va a creare: Un effetto tossico a livello β-cellulare: l’iperattività viene meno, cala la secrezione insulinica.► A livello muscolare un ridotto uptake di glucosio► A livello epatico un’aumentata produzione di glucosio e aumentato rilascio di trigliceridi sottoforma di VLDL► Si sviluppa il DIABETE CONCLAMATO. Si ricordi che si può rimanere insulino-resistenti a vita senza mai diventare diabetici, ma nel momento in cui si perdono β - cellule il rischio di sviluppare diabete di tipo II è aumentato. È necessario perdere β-cellule (per effetto tossico degli acidi grassi liberi) affinché si sviluppi diabete. RUOLO NELLO SVILUPPO DELLA DISLIPIDEMIA (Questo aspetto verrà meglio compreso quando sarà trattato il metabolismo delle lipoproteine con il professor Consoli). L’aumentato rilascio di trigliceridi va a disregolare il metabolismo endogeno delle lipoproteine. L’aumento delle VLDL incide sull’aumento dei valori di LDL (perché le LDL derivano dal metabolismo delle VLDL). Attraverso meccanismi di scambio mediati da enzimi, anche le HDL risentono di un aumento di LDL, infatti scambiando trigliceridi con le LDL, le HDL vengono catabolizzate prima. Si ha dunque il quadro tipico della dislipidemia MALATTIE METABOLICHE Pagina 50 Si ha dunque il quadro tipico della dislipidemia secondaria a diabete di tipo II (o comunque ad un’insulino-resistenza): Aumento dei trigliceridi circolanti▪ Aumento delle LDL▪ Diminuzione delle HDL▪ Non solo i livelli delle lipoproteine sono modificati, ma anche la loro qualità: Le lipoproteine che si trovano in un ambiente pro- infiammatorio e pro-ossidante subiscono modifiche importanti della loro struttura. □ Le HDL diventano più vulnerabili al catabolismo, sono facilmente rimosse dal circolo, ed ecco perché si hanno bassi livelli di HDL. Le LDL diventano ancora più aterogene e dannose per il vaso, perché vengono glicosilate (dagli elevati livelli di glicemia) e ossidate (dallo stress ossidativo). Hanno un assetto aggressivo nei confronti del vaso: • Inattivano l’NO in maniera più incisiva • Interagiscono con i recettori scavenger dei macrofagi attivando la formazione di cellule schiumose • Aumentano la sintesi e il rilascio di fattori di crescita e di chemioattractants (che richiamano monociti- macrofagi) • Sono più immunogene • Attivano l’assetto coagulativo, insieme all’ elevato livello proinfiammatorio e dagli aumentati livelli di PAI si crea uno stato di ipercoagulazione e iperaggregazione. Il rischio aterotrombotico è dunque maggiore. • Sono citotossiche e portano ad apoptosi le cellule Ricapitolando: Substrato genetico, fattori ambientali, adiposità addominale creano insulino- resistenza, la quali incide sul vaso. Attraverso trombosi e rottura di placca si arriva all’evento cardiovascolare. Il problema è che TUTTA LA PARTE DI INIZIO DEL DANNO E' MISCONOSCIUTA. Abbiamo alterazioni così sfumate che spesso non ci poniamo nemmeno il problema. Il soggetto sovrappeso, con dislipidemia borderline, valori di pressione borderline spesso non richiama la nostra attenzione. □ La lieve ipertensione, l’aumento di peso, la lieve dislipidemia stanno già lavorando per determinare il danno conclamato che porta all’evento cardiovascolare. □ Ecco perché si parla di prevenzione primaria (nei pazienti che non hanno ancora avuto un evento cardiovascolare) e prevenzione secondaria (nei pazienti che hanno già avuto un evento cardiovascolare). Il confine tra prevenzione primaria e secondaria, soprattutto nel paziente diabetico, che è un pz che spesso ha molti fattori di rischio tutti insieme, è molto sottile. □ L’atteggiamento terapeutico è tanto più aggressivo tanto maggiore è il rischio del paziente. MALATTIE METABOLICHE Pagina 51 L’atteggiamento terapeutico è tanto più aggressivo tanto maggiore è il rischio del paziente. Si è quindi più incisivi nel pz che ha già avuto un evento cardiovascolare, in cui bisogna mettere a posto tutti i fattori di rischio modificabili al fine di evitare un secondo evento. □ Nel paziente diabetico, che possiamo considerare ad alto rischio cardiovascolare, la nostra aggressività nel trattamento deve essere importante tanto quanto quella del pz non diabetico ma che ha avuto un evento cardiovascolare. □ Se c’è una di queste alterazioni, è molto probabile che ci siano anche le altre. Quindi se un paziente viene con una disglicemia, che magari è modesta e non è ancora diagnostica di diabete, bisogna sempre pensare che possa avere altri dismetabolismi (dislipidemia, ipertensione, alti livelli di acido urico che correla con il danno vascolare), così come indicatori di infiammazione cronica di basso grado. Nell’insieme questi sono tutti fattori che determinano il grado di rischio del paziente di sviluppare malattia coronarica. Tecniche indirette (piu semplici ma meno precise): BMI□ Plicometria (tricipite, fianco e coscia)□ Rapporto vita fianchi (0,92 nell’uomo; 0,82 nella donna)□ □ Tecniche dirette (più complesse ma più precise): Impendenziometria□ Densiometria in acqua□ TC, RMN□ □ RELAZIONE TRA I SINGOLI FATTORI CHE COMPONGONO LA SINDROME METABOLICA E LA MORTALITÀ La relazione tra peso e mortalità è una relazione a J o ad U, la mortalità aumenta sia per classi di peso molto basse (anoressia), sia per classi molto alte. L’aumentare del BMI aumenta il rischio di mortalità del paziente, quindi già il solo fattore obesità incide sul rischio di mortalità del soggetto. Relazione tra obesità e diabete mellito di tipo II: soggetti con BMI MALATTIE METABOLICHE Pagina 52 Tutti i fattori di rischio incidono sul circolo vizioso, e ogni singolo meccanismo si lega alla disfunzione fenotipica. Bisogna considerare che, anche se si parte dai singoli fattori di rischio (intolleranza ai carboidrati, ipertensione…), nel momento in cui si innesca il danno, questo è progressivo. Aterosclerosi → rimodellamento → infarto → scompenso → morte Ecco perché bisogna controllare ogni fattore in maniera tempestiva ed efficace, per interrompere la cascata il cui esito è l’aumento della mortalità. Fattori di rischio (domanda d’esame frequentissima: quali sono i fattori di rischio cardiovascolare modificabili e non?) I fattori di rischio cardiovascolari possono essere divisi in modificabili e non, devo sapere dove posso agire e dove non posso fare nulla. NON MODIFICABILI (quelli su cui il medico non può fare nulla) Età: è fisiologico che all’aumentare dell’età aumenti il rischio. È più probabile che un infarto avvenga in un settantenne piuttosto che in un ventenne. • Sesso: i livelli di estrogeni nel periodo fertile proteggono la donna, che di base ha un rischio CV in età fertile minore di quello dell’uomo. Dopo la menopausa viene meno la protezione estrogenica e i rischi tra uomo e donna si equivalgono. • Familiarità/Predisposizione genetica: se si ha un parente (padre, madre, nonna, fratello...) che ha avuto un infarto, il rischio è maggiore. • Aver già avuto un evento in passato aumenta il rischio di avere un secondo evento successivo. • Sono fattori che fanno parte della valutazione del rischio globale, quindi bisogna conoscerli anche se non si può intervenire su di essi. MODIFICABILI (dove si devono utilizzare tutti gli strumenti possibili per controllarli, siamo tenuti ad intervenire) Dislipidemia▪ Ipertensione▪ Diabete o iperglicemia in generale▪ Obesità ▪ Fumo ▪ Dobbiamo individuarli e poi attuare delle strategie per contenerli. LINEE GUIDA ESC/EAS RIVALUTATE NEL 2020 PER LA VALUTAZIONE DEL RISCHIO CARDIOMETABOLICO GLOBALE Focalizzano l’importanza della prevenzione cardiovascolare, perché gli eventi cardiovascolari sono la prima causa di morte nei paesi occidentali. L’impegno deve essere massimo per cercare di controllare i fattori di rischio, sia cercando di incentivare gli stili di vita corretti, sia con le strategie terapeutiche. È necessario conoscere il rischio CV perché si deve calibrare l’intervento terapeutico sulla base del grado di rischio: maggiore è il rischio, più intenso deve essere l’intervento terapeutico. Le linee guida ESC utilizzano il sistema SCORE (Systematic Coronary Risk Estimation), che in maniera sensibile e specifica fornisce il rischio cumulativo a 10 anni di sviluppare un primo evento cardiovascolare. Sulla base delle variabili (età, sesso, fumo, pressione sistolica, colesterolo totale) viene sviluppato il grado di rischio d el singolo paziente. Il sistema SCORE calcola il rischio automaticamente sulla base di una formula matematica. Quando si parla di RISCHIO MODERATO, oltre ai parametri già citati (età, sesso…) bisognerebbe considerare parametri MALATTIE METABOLICHE Pagina 55 Quando si parla di RISCHIO MODERATO, oltre ai parametri già citati (età, sesso…) bisognerebbe considerare parametri più specifici che non vengono fatti di routine: Apoproteine (come ApoB) che hanno mostrato di essere correlate al danno vascolare▪ Trigliceridi▪ Proteina C reattiva per il grado di infiammazione▪ Albuminuria, espressione di danno renale▪ Calcium score delle arterie coronarie: è un indicatore di rischio nuovo ed emergente, non è di facile attuazione perché serve una tecnica di imaging coronarico che non si può usare nella pratica clinica. Nei soggetti che necessitano di valutazione più attenta, il calcium score ha una buona correlazione con il grado di rischio. □ È un fattore emergente che probabilmente verrà utilizzato di più in futuro.□ ▪ È necessario valutare se è presente danno vascolare con doppler delle carotidi e degli arti inferiori, perché le placche periferiche aumentare la classe di rischio. Il diabete senza danno d’organo, il diabete presente da 10 anni e con un altro fattore di rischio CV pongono il pz nella categoria di RISCHIO ALTO. Il diabete con danno d’organo (microalbuminuria, retinopatia, neuropatia), oppure un diabete con almeno altri 3 fattori di rischio CV, oppure il diabete presente da più di 20 anni pongono già il paziente nella categoria di RISCHIO MOLTO ALTO. Secondo le linee guida ESC, soggetti affetti da diabete o da malattia renale cronica (CKD) vengono inseriti di diritto nelle fasce con RISCHIO ELEVATO (fare riferimento alla figura 31). Entrambe le condizioni correlano infatti in maniera diretta con il rischio CV.□ Sono soggetti che non devono essere sottoposti ai calcolatori di rischio, rientrano già nelle classi di rischio più elevate. □ In queste due classi (rischio alto e rischio molto alto) cade circa il 95% dei pazienti diabetici. Nelle classi di rischio moderato e basso è invece necessario determinare il calcolo del rischio per una maggiore stratificazione. I pazienti sopracitati, che invece hanno già malattie conclamate, sono collocati già sulla base delle patolo gie di fondo che hanno (è la patologia che li pone nelle classi di rischio più alte). Figura 30 Figura 31 MALATTIE METABOLICHE Pagina 56 Figura 31 Maggiore è il rischio, più bisogna essere incisivi. Si osservi la figura 32 dove sono riportati i target di colesterolo LDL: maggiore è il rischio e più basso è il target a cui si deve ambire per essere sicuri di avere un effetto protettivo. Nella classe di rischio molto alta (pz con malattia CV, diabete di lunga data con danno d’organo…) il target di colesterolo LDL (che nel soggetto sano è 120-130 mg/dl) scende a 50 mg/dl (nella slide è scritto 70, ma la professoressa afferma che ormai il consensus impone il valore di 50 mg/dl). ▪ Il concetto si applica soprattutto al colesterolo LDL, perché ad esempio la glicemia più bassa di un tot non si può ottenere (altrimenti ho problemi di ipoglicemia), stessa cosa per il peso e la pressione. L’unico parametro in cui più bassi sono i livelli e più si è protetti è il colesterolo LDL. Nel pz a rischio molto alto o in prevenzione secondaria è opportuno avere una riduzione del colesterolo LDL pari al 50% del basale, una riduzione al di sotto dei 55 mg/dl. Tutti gli altri fattori di rischio devono essere contenuti entro dei range di normalità. Figura 32 Figura 33 MALATTIE METABOLICHE Pagina 57 È stato visto che i pazienti ai quali vengono somministrati questi farmaci hanno una riduzione dell’adiposità viscerale e hanno anche effetti sulla fibrosi epatica. Alcuni trials volevano dimostrare come il controllo intensivo della glicemia determinasse una riduzione del rischio cardiovascolare, ma qualcuno di essi è stato sospeso per aumento della mortalità. Si è dunque capito che la riduzione del rischio cardiovascolare associata al controllo della glicemia dipende dai farmaci utilizzati. Se, per esempio, si usano le sulfoniluree, che hanno anche recettori a livello cardiaco e possono determinare danno cardiaco, il rischio cardiovascolare può aumentare sia direttamente, sia indirettamente (l’ipoglicemia può causare aritmie, ischemia). Per questo le linee guida hanno stabilito che i diversi farmaci potessero essere commercializzati solo se esistono dei trials che ne dimostrino la sicurezza cardiovascolare. È stato osservato l’assunzione di GLP-1 RA riduce il rischio di aterosclerosi. Nell’immagine sono riportati studi di efficacia su diverse molecole. L’Albiglutide non è mai stata messa in commercio. Exenatide bid non si usa più perché oggi è disponibile Exenatide QW a somministrazione settimanale. Anche Dulaglutide è settimanale, mentre Liraglutide è giornaliera. Semaglutide può essere somministrata sottocute una volta a settimana, ma da qualche mese c’è una formulazione giornaliera per os; questa molecola ha effetto significativo sul peso anche a dosaggio ipoglicemizzante. Liraglutide nella terapia del diabete (il nome commerciale è Victoza) è usata a un dosaggio massimo di 1.2 mg/die, mentre per l’obesità (il nome commerciale è Saxenda) si possono usare fino a 3 mg/die; questo è l’unico farmaco sicuro in commercio contro l’obesità. Sono in corso studi in cui Liraglutide è stata utilizzata con un dosaggio fino a 4 -5 mg/die e ha dato notevole calo ponderale (fino a 10 kg). Altra opzione terapeutica è la chirurgia bariatrica, indicata nei pazienti con BMI>40 o in pazienti con BMI<40 in presenza di comorbilità. Pazienti obesi e diabetici sottoposti a questa chirurgia hanno perso peso e hanno avuto remissione del DMT2. □ Esistono diversi approcci chirurgici, tra cui il bendaggio gastrico è il meno efficace. MALATTIE METABOLICHE Pagina 60 Il diabete insipido è una malattia caratterizzata da intensa POLIURIA, con urine a basso peso specifico, causata da un ridotto assorbimento di acqua a livello dei dotti collettori del rene con aumento della sete (polidipsia). EPIDEMIOLOGIA Colpisce soggetti di tutte le età e di entrambi i sessi, con variazioni di prevalenza legate all’eziologia. In circa un quarto dei soggetti non è possibile risalire alle cause della malattia. Altre cause frequenti sono gli esiti postchirurgici di adenomi ipofisari (25%) e traumi cranici (20%). ISIOPATO ENESI l diabete insipido può essere causato da un’insufficiente secrezione di ADH per alterazioni ipotalamiche o del peduncolo ipofisario (diabete insipido centrale) o da un’anomalia primitiva dei tubuli renali, che sono insensibili all’azione dell’ADH (diabete insipido nefrogenico o vasopressina-resistente). DIABETE INSIPIDO CENTRALE Il diabete insipido centrale può essere idiopatico (da riduzione dei nuclei ipotalamici) o acquisito. In questa seconda eventualità la carenza di ADH può essere provocata da lesioni di varia natura che colpiscano il nucleo sovraottico e/o il tratto sovraottico ipofisario solitamente secondarie a danni a carico dell’ipofisi e dell’ipotalamo, più frequentemente in seguito a interventi chirurgici, neoplasie, patologie infiammatorie o traumi cerebrali. Tumori quali il craniofaringioma e gli adenomi ipofisari a estensione extrasellare possono provocare diabete insipido solo quando comprimono il peduncolo e le fibre del tratto sovraottico ipofisario in maniera abbastanza estesa da provocare lesioni degenerative ascendenti dei neuroni del nucleo sovraottico. Anche metastasi ipotalamiche e processi granulomatosi e infiltrativi dell’ipotalamo, come la sarcoidosi o l’istiocitosi, possono provocare diabete insipido centrale. Il diabete insipido centrale può essere secondario a interventi di asportazione di macroadenomi ipofisari (postchirurgico). Tuttavia, attualmente la forma più comune di diabete insipido centrale è quella idiopatica, che può comparire in forma sporadica o familiare (trasmessa con modalità autosomica dominante e si manifesta già nel bambino). La sindrome di Wolfram (WFS), nota anche con l’acronimo di DIDMOAD DIABETE INSIPIDO lunedì 2 gennaio 2023 12:37 MALATTIE METABOLICHE Pagina 61 La sindrome di Wolfram (WFS), nota anche con l’acronimo di DIDMOAD (diabete insipido, diabete mellito di tipo 1, atrofia ottica e sordità), è una rara malattia neurodegenerativa con ereditarietà autosomica recessiva con penetranza incompleta e con una prevalenza stimata di 1 su 770.000; si verifica in 1 su 150 pazienti con diabete mellito insulino-dipendente a esordio giovanile (solitamente nella prima decade di vita e profilo anticorpale negativo). Due sono i principali geni coinvolti nello sviluppo della patologia: WFS1 (4p16.1), che codifica per la proteina wolframina, sita nel reticolo endoplasmico, che svolge un ruolo nell’omeostasi del calcio, e ZCD2 (WFS2) (4q22-q24), che codifica per l’ERIS (una piccola proteina intermembrana del reticolo endoplasmico). Le mutazioni di WFS1 sono responsabili della maggior parte dei fenotipi della WFS. Di solito, l’evoluzione della malattia porta a morte prematura, spesso a causa di insufficienza respiratoria. DIABETE INSIPIDO NEFROGENICO Anche il diabete nefrogenico da resistenza delle cellule renali all’ADH può essere congenito oppure acquisito, causato da una numerosa serie di affezioni renali croniche; si può avere diabete insipido in corso di varie terapie (carbonato di litio, demeclociclina, colchicina, metossifluorano e altri) che agiscono prevalentemente riducendo la sensibilità delle cellule renali all’azione dell’ADH (evento di solito relativamente non grave e che regredisce alla sospensione del trattamento). Due forme distinte di diabete insipido sono il diabete insipido gestazionale e la polidipsia primaria. Entrambe sono causate dal deficit di vasopressina non secondario a patologie renali o neuroipofisarie. Il diabete insipido gestazionale è un raro disordine che compare prevalentemente nel terzo trimestre di gravidanza. Il deficit di ADH che si sviluppa è causa di un’eccessiva attività vasopressinasica a livello placentare che degrada rapidamente la vasopressina materna, comportando lo sviluppo di sintomi molto simili al ben più comune diabete mellito gestazionale, sebbene le due patologie non siano tra di loro correlate. ► La polidipsia primaria (potomania) è una patologia a carattere psichiatrico che si manifesta con sete intensa e prepotente bisogno di assumere liquidi, in particolare acqua, sproporzionato rispetto al reale fabbisogno dell’organismo. La polidipsia porta all’aumento dell’assunzione di acqua e alla soppressione dell’ADH endogeno, con conseguente poliuria. La diagnosi differenziale rispetto alle forme primitive, spesso complessa, può essere posta sulla base dell’assenza della necessità di dissetarsi durante la notte e la mancanza di nicturia. ► CLINICA L’assente o non adeguata secrezione di ADH provoca una riduzione del riassorbimento idrico delle cellule dei dotti collettori e dei tubuli distali. Quindi si osserva una perdita di acqua libera con riduzione notevole dell’osmolarità urinaria, lieve disidratazione, aumento dell’osmolarità plasmatica e stimolo della sete. La maggiore introduzione di acqua ne bilancia la perdita urinaria stabilendo così un nuovo equilibrio in cui la pressione osmotica dei liquidi corporei raggiunge un nuovo set point notevolmente al di sopra di quello normale. Fisiologicamente esiste un SET POINT attorno al quale l'osmolarità viene mantenuta. Il set point è circa 300 mOsm/kg e rispetto a questo set point esiste una iposmolarità e una iperosmolarità che quando si determinano mettono in moto una serie di meccanismi che controllano il bilancio dell'acqua e il bilancio del sodio. I MECCANISMI che intervengono sono due: Il SISTEMA ORMONALE OSMORECETTORIALE (sistema arginina -vasopressina AVP* + meccanismo della sete) che si modifica in base all’OSMOLARITA’. Se esiste un aumento della osmolarità in qualche modo esiste una ipertonicità, esiste una aumentata produzione di vasopressina e esiste uno stimolo della sete (questo è un meccanismo fondamentalmente → Il SISTEMA BARORECETTORIALE (sistema renina-angiotensina-aldosterone) che si modifica in funzione della variazione della VOLEMIA. Per cui: • MALATTIE METABOLICHE Pagina 62 È una sindrome complessa, ancora oggetto di studio, in quanto non sono stati ancora ben definiti i meccanismi fisiopatologici che ne sono alla base e c’è ancora discussione e confronto su quelli che sono i criteri diagnostici. È una delle patologie più frequenti che interessano in vari modi e in varie fasi la vita della donna. È una malattia endocrino-metabolica che ha delle manifestazioni caratteristiche: Aumento dei livelli circolanti di androgeni, o comunque da segni di iperandrogenismo; ▪ Disordini del ciclo mestruale con infertilità (è una delle principali cause di infertilità); ▪ Obesità;▪ Alterazioni metaboliche▪ È una patologia che entra prepotentemente nella vita della donna sia dal punto di vista estetico sia funzionale, perché l’infertilità è spesso uno dei problemi da affrontare nella donna affetta da PCOS. Le alterazioni non sono obbligatoriamente tutte presenti e anche la loro gravità può essere variabile. Di solito, se colpisce in età giovane, impatta sull’estetica e sulla fertilità; quando invece si presenta nell’età adulta, va a incidere sul rischio cardio-vascolare e cardio-metabolico. Questa patologia si associa spesso alla sindrome metabolica (SM) caratterizzata da una serie di alterazioni metaboliche. EZIOPATOGENESI Gli aspetti patogenetici fondamentali caratteristici della PCOS sono: Iperandrogenismo che può essere biochimico (livelli di androgeni aumentati) o clinico (manifestazioni cliniche dell’iperandrogenismo). ▪ Ipersecrezione di LH dovuta alla perdita di ciclicità nella sua secrezione▪ Iperinsulinemia▪ Con la figura 1 si può apprezzare meglio il fatto che la PCOS abbia delle manifestazioni che spaziano dall’ambito ginecologico a quello metabolico; vediamo manifestazioni di interesse ginecologico, come l’irregolarità mestruale, ma dall’altra partevi sono una serie di disordini metabolici importanti. Inoltre le manifestazioni correlano con l’età di insorgenza della malattia: Nell’età fertile prevalgono l’iperandrogenismo, l’oligo- amenorrea, l’infertilità e le problematiche legate alla gravidanza; □ Con l’aumentare dell’età invece si passa a manifestazioni più strettamente metaboliche come la ridotta tolleranza al glucosio, il diabete di tipo II, le malattie cardiovascolari e il cancro dell’endometrio. □ SINDROME DELL'OVAIO POLICISTICO martedì 21 dicembre 2021 10:30 MALATTIE METABOLICHE Pagina 65 Alla base di tutto, sembrerebbe giocare un ruolo fondamentale l’insulino-resistenza che, stavolta, non nasce dall’obesità in generale ma, in maniera più specifica, dall’accumulo di tessuto adiposo a livello viscerale. Questo tipo di distribuzione del grasso viene anche definito obesità androgena; il grasso accumulato è però disfunzionale. Essendo infiammato, infatti, ha un’alterazione nell’attività secretiva: aumenta la secrezione di citochine e adipochine proinfiammatorie mentre si riduce la secrezione di adiponectina (sostanza protettiva dal punto di vista metabolico e cardiovascolare). Questa disfunzione converge insieme alle alterazioni metaboliche -quali diabete, ipertensione, disordini della coagulazione e infiammazione cronica di basso grado- nel determinismo della malattia cardiovascolare. In figura 3, nel riquadro in alto a sinistra, possiamo apprezzare come il tessuto adiposo disfunzionale - soprattutto nelle donne affette da PCOS - sia ricco di monocito-macrofagi, responsabili dell’ipersecrezione delle citochine proinfiammatorie; questo fenomeno partecipa poi all’etiopatogenesi della malattia. Nel grafico a destra si può osservare come la quantità di tessuto adiposo correli con il grado di insulino- resistenza (valore HOMA sull’asse y). Come spiegato nelle lezioni precedenti, l’insulino-resistenza crea un aumento dei livelli di insulina secreta. L’iperinsulinemia sembra avere un effetto di stimolazione tonica a livello della teca follicolare ovarica, la quale è responsabile della produzione di androgeni. → Per questo motivo si ha iperandrogenismo, caratterizzato soprattutto dall’aumento dei livelli di testosterone libero, in quanto si riducono le proteine leganti gli ormoni sessuali. L’iperattività della teca blocca i follicoli in fase antrale e quindi non permette la loro normale maturazione e il passaggio alla fase luteinica. □ Ne consegue una perdita del normale rilascio degli ormoni coinvolti nella regolazione del ciclo cellulare, come il progesterone che viene tipicamente secreto durante la fase luteinica. □ La mancanza di progesterone svincola il rilascio delle gonadotropine, per cui la perdita della ciclicità nella secrezione dell’LH, provoca un’alterazione del rapporto LH/FSH. □ MALATTIE METABOLICHE Pagina 66 Da qui, insieme all’iperattività delle cellule tecali, deriva l’aspetto micropolicistico dell’ovaio nella PCOS (visibile in fig.7). □ Inoltre, anche l’LH insiste a livello tecale sulla produzione di androgeni, i quali - tra l’altro - a livello periferico vengono convertiti in estrogeni e quindi influenzano ulteriormente il rilascio centrale delle gonadotropine. Questo complesso meccanismo è un circolo vizioso che, una volta instaurato, si automantiene e determina le alterazioni biochimiche, funzionali e anatomiche che possiamo ritrovare a livello ovarico. FENOTIPI CLINICI Il fenotipo può essere molto vario, in quanto in alcuni casi può prevalere la disfunzione ovulatoria – cioè l’ipo/anovularietà – mentre in altri casi può prevalere l’iperandrogenismo. Il modo in cui queste manifestazioni si “sovrappongono” tra loro nelle pazienti, fa sì che si creino i diversi fenotipi della PCOS: FENOTIPO CLASSICO -> iperandrogenismo e oligo/anovulazione ► FENOTIPO COMPLETO -> iperandrogenismo, oligo/anovulazione e morfologia ovarica policistica (PCOm) ► FENOTIPO NORMOANDROGENICO -> oligo/anovulazione e PCOm ► FENOTIPO OVULATORIO -> iperandrogenismo e PCOm ► MANIFESTAZIONI CLINICHE PRINCIPALI Manifestazioni cutanee principali: IRSUTISMO, ovvero la presenza di una peluria di aspetto e distribuzione simile a quella maschile laddove normalmente nella donna non è presente. Se invece dovessimo notare un aumento della peluria nelle zone in cui essa è già presente nella donna, si parla di ipertricosi. ▪ ACNE▪ SEBORREA▪ ALOPECIA ANDROGENICA▪ Altre manifestazioni cliniche: Irregolarità mestruali▪ Infertilità (come già detto in precedenza, la PCOS è la prima causa di anovularietà e infertilità nella donna) ▪ MALATTIE METABOLICHE Pagina 67 OLIGO/AMENORREA In figura 15 vengono riportate le definizioni di “ciclo irregolare” in base alla fase in cui si manifesta, quindi se si presenta più o meno lontana dal menarca. [La professoressa specifica che sono dati che ha messo per conoscenza personale e che non è necessario memorizzarli]. IPERANDROGENISMO L’iperandrogenismo come già detto può essere: BIOCHIMICO -> per diagnosticarlo è necessario dosare gli androgeni, tra cui i principali sono: testosterone libero, androstenedione e diidroepiandrosterone solfato (DHEAS). ▪ CLINICO → per diagnosticarlo bisogna effettuare la valutazione dello schema di Ferriman- Gallwey (già riportato in precedenza ma visibile anche nell’immagine sottostante) in base al quale viene assegnato uno score che definisce il grado dell’iperandrogenismo ▪ CISTI OVARICHE Attraverso l’utilizzo dell’ecografia bisogna andare ad individuare la presenza dei follicoli, che devono avere certe dimensioni ed una certa numerosità. È necessario che ci sia il riscontro di follicoli all’ecografia pelvica. È fondamentale che la diagnosi di PCOS, sia nella giovane, sia nella donna più adulta, preveda anche la valutazione dello stato metabolico, che spesso è alterato, in modo tale da avere una visione completa del quadro. Questo è importante soprattutto nella donna in età fertile perchè il rischio di sviluppare diabete gravidico è aumentato. → Per fare ciò si eseguono dei test specifici, come: Misurazione della glicemia a digiuno► Test da carico orale del glucosio► TERAPIA Gli obiettivi della terapia sono: Correzione dell’iperandrogenismo► Correzione dell’iperinsulinemia► Ripristino della regolarità mestruale► Ripristino della fertilità► MALATTIE METABOLICHE Pagina 70 DIETA E STILE DI VITA È fondamentale lavorare sulla dieta e sullo stile di vita: Qualora la donna sia in sovrappeso bisogna cercare di ridurre il suo peso corporeo per migliorare lo stato di insulino-resistenza. Infatti ciò che più ha effetto sull’insulino- resistenza è proprio il calo ponderale. □ Oltretutto questo agevola la risposta alle terapie utilizzate nel ripristino della fertilità. In caso di desiderio di gravidanza è fondamentale attuare uno schema alimentare ipocalorico associato all’aumento dell’attività fisica, perché avere un peso più basso al concepimento incide positivamente sul successo della gestazione. □ Ne deriva che la perdita di peso nelle pazienti affette è fondamentale in qualsiasi fase. Spesso la perdita di peso è sufficiente a ripristinare la regolarità mestruale e la fertilità, a migliorare l’irsutismo e l’assetto lipidico, perché si va a ridurre l’insulino-resistenza che è il meccanismo di fondo della patologia stessa. Infatti, migliorando l’insulino-resistenza si riducono i livelli di insulinemia e questo permette di spezzare il circolo vizioso visto precedentemente. □ TERAPIA ESTRO-PROGESTINICA Nel caso in cui la donna non abbia il desiderio di una gravidanza, si potrebbe iniziare già con una terapia farmacologica a base di estro- progestinici, abbinata al cambiamento di stile di vita. Questa terapia non è curativa, ma ha un effetto palliativo che permette di interrompere il circolo vizioso della patologia. Si ripristinano quindi la regolarità ormonale e i livelli di testosterone risolvendo le problematiche annesse. È possibile utilizzare o estrogeni puri o estro-progestinici. METFORMINA Laddove invece si voglia andare ad agire proprio sui meccanismi alla base della malattia, si può provare ad utilizzare dei farmaci insulino- sensibilizzanti, come la metformina [a detta della professoressa questo sarebbe il procedimento più corretto]. La metformina non ha indicazione specifica per la PCOS ma viene utilizzata off-label; gli effetti sono però molto confortanti. Se le modifiche dello stile di vita non sono sufficienti o non riescono ad essere seguite dalla donna, si può ricorrere a questo farmaco. L’utilizzo della metformina ha come effetto principale la correzione delle alterazioni metaboliche (dato che questo farmaco agisce nella modulazione metabolica) ma porta anche alla riduzione del testosterone e al ripristino di normali cicli mestruali regolari. Qualora persistano i problemi legati all’irsutismo o all’acne si poterebbero poi utilizzare dei metodi alternativi più prettamente estetici. Se non si riuscisse ad ottenere la risoluzione dell’infertilità a quel punto la terapia deve essere potenziata con altri farmaci. Myo-inositolo, acido folico e acido α-lipoico Come visto per il diabete gestazionale, di recente si è aggiunta la possibilità di utilizzare dei supplementi naturali – myo-inositolo, acido folico e acido α-lipoico – con azione insulino- sensibilizzante e antiossidante. MALATTIE METABOLICHE Pagina 71 antiossidante. L’uso di queste sostanze ha portato a degli effetti positivi, che sono stati talvolta risolutivi. Utilizzare il myo-inositolo in associazione con acido folico o acido α- lipoico ha un effetto favorevole a livello metabolico e di conseguenza anche ormonale. Questo fa sì che si possa ottenere anche la regolarizzazione del ciclo mestruale. Spesso quindi, se la paziente aderisce allo stile di vita consigliato e alla supplementazione con inositolo 4gr/die, può ottenere il ripristino della regolarità mestruale. Myo-inositolo e acido α-lipoico sono anche utilizzati nelle donne con PCOS che non riescono ad avere un concepimento spontaneo e ricorrono alla fecondazione assistita. In questi casi si utilizza myo-inositolo per mantenere un’adeguata efficienza ovocitaria; infatti la qualità dell’ovocita sembra essere nettamente migliore nelle donne che assumono inositolo. Riassumendo: Se la paziente non cerca una gravidanza e vogliamo agire sui meccanismi alla base della malattia, possiamo intervenire sullo stile di vita abbinando inositolo o metformina. ▪ La metformina si può utilizzare laddove l’inositolo non abbia dato risultati incoraggianti. Se l’approccio precedente non ha sortito gli effetti sperati, si può utilizzare la terapia con estro- progestinici e antiandrogeni. Se la paziente manifesta il desiderio di gravidanza, allora il problema principale da affrontare è l’infertilità, per cui si possono utilizzare: Un inibitore dell’aromatasi che ripristina la regolare secrezione di gonadotropine a livello centrale ○ Clomifene (che è un modulatore selettivo del recettore degli estrogeni) associato o meno a metformina ○ ▪ Qualora questo approccio farmacologico non sortisca effetti, la donna deve fare ricorso ad altre procedure di induzione dell’ovulazione oppure alla fecondazione assistita. Se non c’è il desiderio di gravidanza ma comunque non c’è necessità di contraccezione si usa allora la terapia estro- progestinica. Tutto questo è valido nella donna in età giovane; invece, nella donna in età più avanzata è fondamentale intervenire dal punto di vista della prevenzione cardiovascolare e cardio-metabolica. In post-menopausa quindi lo scopo principale della terapia deve essere quello di correggere il rischio cardio-metabolico. MALATTIE METABOLICHE Pagina 72 Nel caso di episodi ipoglicemici a digiuno in soggetti non diabetici è opportuno indagare altre possibili cause di ipoglicemia riconducibili a due sottoinsiemi: (1) ipoglicemie non associate ad aumentati livelli insulinemici, riscontrabili, per esempio, in caso di etilismo, cirrosi epatica, uremia, grave malnutrizione, endocrinopatie diverse dal diabete (per esempio, insufficienza surrenale); □ (2) ipoglicemie associate ad aumentati livelli insulinemici, riscontrabili, per esempio, in caso di insulinoma, assunzione di insulina esogena o sulfoniluree a scopo anticonservativo o simulatorio nei neurolabili (ipoglicemia fittizia), presenza di anticorpi anti-insulina o antirecettore dell’insulina. □ ► Qualora il soggetto giunga all’osservazione medica in corso di un episodio ipoglicemico a digiuno, è necessario effettuare un prelievo ematico per il dosaggio di glucosio, C-peptide e insulina. Se il soggetto giunge, invece, all’osservazione medica con normali valori glicemici è opportuno effettuare il test del digiuno, che, nel caso in cui non si verifichino nel frattempo episodi ipoglicemici, deve durare almeno 72 ore e prevedere prelievi ematici per il dosaggio di glicemia, insulina e C-peptide ogni 6 ore o in caso di ipoglicemia. Il rilievo di ipoglicemia, se contestuale a quello di elevati livelli di insulina e C-peptide, deve fare considerare l’ipotesi dell’insulinoma e dell’assunzione a scopo non terapeutico di sulfoniluree, i cui livelli plasmatici devono essere a tal fine verificati. Il rilievo di ipoglicemia, se contestuale a quello di elevati livelli di insulina e di ridotti valori di C-peptide, deve indurre a considerare l’ipotesi dell’ipoglicemia da autosomministrazione di insulina esogena, che non possiede il C-peptide e inibisce il rilascio dell’insulina endogena. Nel caso di ipoglicemia postprandiale, è necessario considerare la possibilità che si tratti di ipoglicemia reattiva, riscontrabile nella popolazione non diabetica e in alcuni casi di diabete di tipo 2 all’esordio. Il sospetto può essere confermato mediante test del pasto misto o con curva da carico di glucosio orale con 75 g con dosaggio di glicemia, insulinemia e C-peptide ogni ora fino alla quinta. → TERAPIA Se il soggetto con ipoglicemia è cosciente è opportuno somministrare 10-20 g di saccarosio per via orale, eventualmente seguiti da carboidrati complessi a lento assorbimento in base ai successivi valori glicemici e alla terapia ipoglicemizzante in atto in caso di diabete. Se il soggetto non è cosciente ed è disponibile un accesso venoso si somministrano 10-20 g di glucosio per via endovenosa in bolo. La dose è ripetibile, dopo alcuni minuti, fino alla ripresa della coscienza. → Successivamente, è opportuno proseguire con infusione di glucosio fino a quando il paziente è in grado di alimentarsi. → Qualora il soggetto non sia cosciente e l’accesso venoso non disponibile, è opportuno somministrare glucagone 1 mg s.c. o i.m. Al risveglio, qualora l’accesso venoso non sia disponibile, è opportuno somministrare saccarosio e carboidrati complessi per via orale, poiché l’effetto del glucagone, che agisce inducendo la rapida metabolizzazione del glicogeno a glucosio, è temporaneo. L’efficacia del glucagone è scarsa nelle ipoglicemie alcoliche e/o in presenza di epatopatie, poiché essa dipende dalla disponibilità di glicogeno epatico. → MALATTIE METABOLICHE Pagina 75 I lipidi sono composti apolari, non solubili in acqua e il plasma è costituito per la grande maggioranza da acqua. Questi hanno bisogno come tutti gli altri metaboliti di essere trasportati nel torrente circolatorio dal plasma e di conseguenza è necessario trasportare strutture apolari in un composto polare come l’acqua. □ I principali lipidi che fanno parte del nostro organismo sono una parte di acidi grassi liberi, spesso organizzati in esteri e glicerolo (mono-di- trigliceridi) e il colesterolo, a sua volta libero o esterificato. Perché queste strutture possano essere trasportate in circolo e spostate da cellula a cellula è necessario che siano veicolate in quest’ambiente polare che è l’acqua e a questa funzione presiedono particolari strutture dedicate che sono le lipoproteine. → Come vediamo nell’immagine, le lipoproteine possono essere descritte come delle “palline” che contengono un COAT, un mantello nonché un rivestimento fatto sostanzialmente da uno strato di fosfolipidi, tipicamente composti anfoteri che a loro volta costituiscono per esempio le membrane cellulari; quindi fosfolipidi intervallati da strutture proteiche che sono le apoliproteine. Il coat contiene un CORE APOLARE che interagisce con la faccia interna apolare dell'involucro fosfolipidico. Quest’ultimo contiene invece i lipidi: glicerolo generalmente esterificato e i trigliceridi. → Funzioni delle APOPROTEINE Rendono stabile il coat di superficie▪ Fungono da cofattori per enzimi deputati al metabolismo di queste particelle; infatti vi sono alcune transferasi del colesterolo per esempio che per funzionare devono essere coadiuvate da alcune delle proteine presenti ▪ Sono siti di riconoscimento per i recettori specifici, come nel caso di Apo B-100: quando ho il recettore delle LDL questo riconosce Apo B-100 ma se ho Apo B-100 o la stessa geneticamente malfunzionante o con delle alterazioni, questa potrebbe non esser riconosciuta dal recettore specifico. ▪ CLASSIFICAZIONE DELLE LIPOPROTEINE Le lipoproteine vengono classificate in base alla: GRANDEZZA► DENSITA'► Ovviamente meno è densa una lipoproteina più è METABOLISMO LIPIDICO venerdì 31 dicembre 2021 09:47 MALATTIE METABOLICHE Pagina 76 Ovviamente meno è densa una lipoproteina più è grande e più è leggera. In genere vengono classificate come quelle a densità più bassa e quelle a densità più alta. □ Le riconosciamo per esempio se facessimo un’elettroforesi proteica (tecnica che permette di separare particelle di diverse densità, secondo cui in un campo elettrico, le più grosse e meno dense cammineranno di meno e le più piccole e dense cammineranno di più, separandosi in un gel elettroforetico). Oppure posso sottoporle ad una centrifugazione su gradiente, secondo cui le più pesanti e piccole andranno giù mentre le più leggere e meno dense rimarranno in superficie. Sorvoliamo sulle caratteristiche delle apoproteine, andando a sottolineare la Apo B-48, quella che sostanzialmente caratterizza i chilomicroni e la Apo B-100 che caratterizza tutte le altre lipoproteine ad accezione delle HDL, ed è l’unica apoproteina che viene riconosciuta dal recettore per le LDL. Cosa succede quando ingeriamo i grassi? Una volta arrivati all'intestino, devono essere emulsionati attraverso i Sali biliari. L’emulsione dei grassi permette la costruzione nell’intestino di alcune micelle lipidiche che sono a loro volta aggredibili dalle lipasi pancreatiche; in questo modo potrò avere acidi grassi liberi, colesterolo libero, monogliceridi a loro volta assorbibili e lisolecitine. □ Gli acidi biliari che servono ad emulsionare i grassi e attraverso i quali io posso avere un’esposizione delle micelle lipidiche all’azione delle lipasi pancreatiche, sono composti per la grande parte da colesterolo. Il colesterolo quindi viene dal 50% da ciò che abbiamo mangiato, l’altro 50% viene dal fegato, attraverso la bile. Quindi sostanzialmente nel momento in cui assorbiamo il colesterolo, questo è ciò che abbiamo messo in partenza, secernendo la bile all’interno del tratto intestinale → Questi grassi all’interno della cellula intestinale vengono assemblati da lipoproteine molto leggere e relativamente grandi e poco dense che sono i CHILOMICRONI. Sono strutture leggere e poco dense; se infatti prendessimo una MALATTIE METABOLICHE Pagina 77 Attraverso questo meccanismo l’HDL cattura progressivamente il colesterolo dei tessuti periferici che non sono capaci di liberarsene. Mediante questa maturazione progressiva, si caricano di colesterolo per poi, come abbiamo visto prima, cederlo alle LDL e mettendo in azione il reverse colesterol transport; si ha un passaggio dai tessuti periferici, attraverso il caricamento delle HDL che in piccola parte vengono direttamente captate dal fegato, in parte maggiore invece cedono il colesterolo alle LDL che riportano il colesterolo al fegato. Si realizza quello che viene identificato come il CIRCOLO DEL COLESTEROLO o reverse colesterol transport. Riassumendo: Secondo il ragionamento fatto in precedenza che risulta essere più chiaro in questa immagine, l’enzima liprotein lipasi è in grado di idrolizzare i trigliceridi contenuti nelle LDL e nei granuli, e di liberare gli acidi grassi liberi che possono essere: Catturati dai tessuti periferici▪ Depositati nel tessuto adiposo e a loro volta trasformati in trigliceridi ▪ Assorbiti nel fegato per la sintesi dei trigliceridi▪ È interessante capire il funzionamento del metabolismo del colesterolo in quanto ci permette di capire come funzionano le terapie ipocolesterolizzanti poichè la ipercolesterolemia è uno dei fattori di rischio cardine per aterosclerosi e malattia cardiovascolare. FATTORI DI RISCHIO PER L'ATEROSCLEROSI Esiste una serie di fattori rischio che possiamo dividere in: FATTORI IMMODIFICABILI Età□ Familiarità□ Sesso maschile□ Storia di malattia cardiovascolare□ ► FATTORI MODIFICABILI Ipercolesterolemia□ Bassi livelli di HDL□ Ipertensione□ Fumo di sigaretta□ Diabete mellito□ Obesità centrale□ ► Al diabete mellito e all'obesità centrale si associa un’iperattività della (cholesterol ester transfer protein), per HDL vengono caricate maggiormente di colesterolo, aumentando la trasformazione di LDL che contengono dei trigliceridi che vengono puliti dalle che formano delle LDL più piccole e più rispetto ai non diabetici e ai non obesi, i hanno una maggiore capacità di infiltrare l’endotelio. Diventano inoltre più aterogene le LDL che subiscono delle modificazioni che le rendono più “cattive”. Le più importanti sono la glicazione e l’ossidazione. Queste modificazioni rendono le LDL ancora più pericolose per una serie di motivi tra cui quello per cui vengono riconosciute dai macrofagi scavenger receptor (SR). Il recettore scavenger non si ferma e continua ad accumulare anche in presenza di concentrazioni eccessive di LDL nel macrofago. Questo comporta una degenerazione del macrofago stesso che dà origine alle strie lipidiche e alla formazione della placca. → TRATTAMENTO DELL'IPERCOLESTEROLEMIA DIETA► RESINE: non più utilizzate, danno costipazione mal tollerate dai pazienti, ma importanti da ricordare per il meccanismo di azione che è il sequestro degli acidi biliari presenti nell’intestino, quindi impediscono l’assorbimento di una quota di colesterolo intestinale che viene eliminato nelle feci . ► Questo dà comunque come effetto la diminuzione della colesterolemia dando però costipazione, disturbi intestinali che portano alla non assunzione da parte del paziente. STATINE: LIMITANO LA PRODUZIONE DI COLESTEROLO ENDOGENO (inibizione della HMG-CoA reduttasi) e ► MALATTIE METABOLICHE Pagina 80 STATINE: LIMITANO LA PRODUZIONE DI COLESTEROLO ENDOGENO (inibizione della HMG-CoA reduttasi) e sono in grado di ridurre il pool, favorendo sia l’espressione ed il trasporto in superficie del recettore per le LDL sia la clearance del colesterolo dal circolo. ► EZETIMIBE: RIDUCE L'ASSORBIMENTO DI COLESTEROLO. Molto meno potenti come ipocolesterolizzanti ma possono lavorare in coppia con le statine perché riescono a ridurre l’assorbimento del colesterolo direttamente nell’intestino. ► Questo è un sistema simile a quello delle resine, che però non va a distinguere tra acidi biliari e colesterolo esogeno introdotto con la dieta, RIDUCE L'ASSORBIMENTO DI COLESTEROLO. È un farmaco che viene utilizzato da solo esclusivamente quando la statina non è tollerata, altrimenti si accoppia sempre alle statine permettendo il raggiungimento del target clinico con minor uso di statine stesse e quindi meno rischio dei potenziali effetti collaterali a livello di rabdiomiolisi legati alle statine. INIBITORI PCSK9: Farmaco monoclonale contro la PCSK9. ► La PCSK9 è una proteina che il recettore per le LDL in grado di favorirne la degradazione . Un anticorpo diretto contro questa proteina la blocca, rendendo il recettore le LDL meno soggetto all’aggancio con la proteina e quindi alla degradazione; mentre un maggior numero di receptor che può essere riciclato va ad aumentare la densità di LDL receptor sulla superficie dell’epatocita, quindi va a migliorare la clearance del colesterolo e ad abbassare la colesterolemia. Sono dei farmaci rivelatosi estremamente potenti nell’abbattere la colesterolemia tanto che con l’uso combinato di statine di ultima generazione e questi farmaci (quando economicamente sostenibile) si possono raggiungere livelli di colesterolo LDL molto bassi. TRATTAMENTO DELLA IPERTRIGLICERIDEMIA Nel trattamento della ipertrigliceridemia che ha meno impatto sull’apparato cardiovascolare, ma che in alcuni casi bisogna trattare quando i trigliceridi raggiungono valori molto alti (valori molto alti 500/600 ml sono legati a fenomeni potenzialmente pericolosi come la pancreatite acuta) i farmaci d’elezione sono: FIBRATI: Agiscono per stimolazione del recettore PPAR-γ e questo modifica l’assetto cellulare favorendo la riduzione dei trigliceridi ► ACIDI OMEGA-3 INSATURI► ACIDO NICOTINICO► MALATTIE METABOLICHE Pagina 81 I lipidi importanti nel nostro organismo sono: COLESTEROLO: oltre ad essere dannoso, compone le membrane cellulari, è essenziale nella sintesi degli ormoni steroidei surrenalici e gonadici e degli acidi biliari ▪ TRIGLICERIDI: formati da tre molecole di acidi grassi e una di glicerolo, si trovano soprattutto nel tessuto adiposo e svolgono la funzione di deposito di energia ▪ FOSFOLIPIDI: compongono le membrane cellulari▪ I grassi non si sciolgono in ambiente acquoso, per questo non potrebbero circolare liberamente nell’organismo, e per farlo sono necessarie le APOLIPOPROTEINE, complessi in cui i lipidi sono assemblati con una parte proteica orientata all’esterno che permette quindi di essere presenti in ambiente acquoso. Nel nostro organismo sono presenti i chilomicroni, le VLDL (very low density lipoproteins), le IDL (intermedial density lipoproteins), le LDL (low density lipoproteins) e le HDL (higth density lipoproteins). I grassi liberi nel torrente circolatorio che provengono dall’alimentazione e dalla sintesi epatica, successivamente si assemblano in lipoproteine. I grassi esogeni si assemblano nei chilomicroni, quelli endogeni nelle VLDL. Le lipoproteine contengono variabili quantitative e qualitative di lipidi e durante il viaggio nel circolo ematico cambiano la propria costituzione. Chilomicroni e VLDL contengono principalmente trigliceridi, appena assunti con la dieta nei chilomicroni oppure sintetizzati nel fegato nel caso delle VLDL. Durante il percorso, le VLDL vanno incontro a modificazioni, si impoveriscono di trigliceridi e diventano prima IDL e poi LDL (note come colesterolo cattivo), le quali si legano a uno specifico recettore cellulare e vengono captate dalla cellula per ottenere colesterolo. Le LDL ricoprono un ruolo deleterio per la salute dei vasi, essendo alla base della patogenesi dell’aterosclerosi. Le HDL, note come “colesterolo buono”, svolgono un ruolo protettivo nei confronti del sistema circolatorio, recuperando il colesterolo dalla periferia per poi trasportarlo al fegato per l’escrezione. In contesti di patologia e comorbidità, come nel caso dell’assenza di recettore per l’LDL o una sua modifica per motivi genetici, la particella non può legarsi, non può essere internalizzata e di conseguenza RIMANE IN CIRCOLO. La particella che rimane a lungo in circolo può andare incontro a modifiche, come l’ossidazione e, in contesti di comorbidità come fumo, diabete o ipertensione, ovvero patologie che danneggiano la parete vasale, può entrare sotto l’intima, accumularsi e dare inizio al processo di aterosclerosi. → Questo processo, che nelle persone predisposte inizia in giovane età può portare alla formazione di placche ateromasiche, che da un’arteria normale portano alla formazione della stria lipidico-grassa. La placca può essere occlusiva o complicata, quindi destinata a rottura o a trombosi, comportando progressivamente negli anni infarto o ictus. ATEROSCLEROSI venerdì 7 gennaio 2022 13:17 MALATTIE METABOLICHE Pagina 82 Le funzioni dell'ipofisi vengono regolate tramite l'ASSE IPOTALAMO-IPOFISARIO: I NUCLEI IPOTALAMICI rilasciano fattori stimolanti (RELEASING FACTOR) e fattori inibitori a livello del CIRCOLO PORTALE IPOFISARIO □ Il circolo portale ipofisario è una rete capillare localizzata a livello dell’eminenza mediana, regione dove l’ipotalamo si estroflette verso il basso per continuarsi nel peduncolo ipofisario, e quindi nella neuroipofisi. Questo circolo a sua volta è drenato da vene che vanno a formare un altro circolo capillare nella adenoipofisi, per consentire un rapido arrivo degli ormoni ipotalamici che hanno un‘emivita molto breve. A livello dell’adenoipofisi vengono prodotti poi tutti gli ormoni (in figura) che agiscono sulle ghiandole bersaglio. Come per tutte le ghiandole endocrine, è necessario trattare le condizioni di IPER- e IPO- FUNZIONALITA'. IPERPITUITARISMO IPERSECREZIONE DI UNO O PIU' OROMONI IPOFISARI, generalmente conseguente ad ADENOMA IPOFISARIO. ALTRE CAUSE, più rare, sono: l’iperplasia ipofisaria, il carcinoma ipofisario, l’alterata secrezione di ormoni ipotalamici (ad es. secrezioni di GHRH o CRH da parte di gangliocitomi ipotalamici). ADENOMA IPOFISARIO 10/15% dei tumori endocranici□ Prevalenza: 50/100.000 ab□ Frequenti nell'età adulta□ Più colpito è il sesso femminile□ Sono stati descritti anche carcinomi ipofisari, ma sono molto rari (0,2%) e generalmente vengono definiti tali quando metastatizzano. MALATTIE DELLA ADENOIPOFISI mercoledì 8 febbraio 2023 11:58 ENDOCRINOLOGIA Pagina 85 Nel 75% dei casi sono IPERSECERNENTI (o FUNZIONANTI), mentre nel restante 25% sono NON FUNZIONANTI. I NON FUNZIONANTI vengono definiti anche SILENTI, poiché vanno comunque a produrre ormoni ma ALTERATI, che non hanno capacità di legare il recettore e quindi di svolgere la loro funzione biologica. → Tra quelli ipersecernenti, quasi la metà dei casi sono dovuti a ipersecrezione di prolattina, i restanti a ipersecrezione di GH, ACTH, FSH/LH, TSH. MORFOLOGICAMENTE si distinguono in: MACROADENOMI (> 1cm) -> si possono avere anche i segni e i sintomi di EFFETTO MASSA Alterazioni della sella turcica all'esame radiologico○ Panipopituitarismo possibile○ Difficoltà di trattamento: necessari diversi approcci (chirurgico, radiante e medico) ○ ► MICROADENOMI (< 1cm) Non ingrandimento sellare all'esame radiologico○ Manifestazioni cliniche da eccesso ormonale frequenti ○ Panipopituitarismo eccezionale○ Non segni di espansione extrasellare○ ► Patogenesi Si suddividono in forme sporadiche (95%) e forme familiari (5%). ADENOMA PRL-SECERNENTE Si definisce per convenzione, IPERPROLATTINEMIA ogni valore di PRL plasmatica superiore al limite elevato del range di normalità di dosaggio (25 ng/ml per la donna e 20 ng/ml per l'uomo) ENDOCRINOLOGIA Pagina 86 ng/ml per l'uomo) EPIDEMIOLOGIA È il PIU' FREQUENTE adenoma ipofisario. Nel 70% dei casi microadenomi (<1cm), nel 30% (>1cm). • Nel 25% dei casi ci può essere cosecrezione di un altro ormone (soprattutto GH). • Il rapporto M:F è di 20:1 per i microprolattinomi (1:1 per i macroprolattinomi).• CAUSE Cause FISIOLOGICHE Cause FARMACOLOGICHE Cause PATOLOGICHE Gravidanza• Allattamento• Stress fisico e psichico• Sonno• Età neonatale• Esercizio fisico• Antagonisti dopaminergici• Antidepressivi• Inibitori selettivi del re-uptake 5-HT• Oppioidi• Estrogeni• Antiandrogeni• Anticonvulsionanti • Malattie ipotalamo- ipofisarie: Prolattin oma • Adenomi ipofisari • Tumori ipotalami ci • Sindrome della sella vuota • • Malattie sistemiche: Insufficie nza renale cronica • Cirrosi epatica • Ipotiroidis mo primario • Policistosi ovarica • Lesioni della parete toracica • • FISIOPATOLOGIA STIMOLAZIONE DELLA GHIANDOLA MAMMARIA: galattorea (donna) e ginecomastia (uomo) ▪ INIBIZIONE DELLA SECREZIONE DI GnRH con conseguente inibizione della sintesi di FSH e LH ▪ INIBIZIONE GONADICA DIRETTA: blocco della secrezione di Pg e 17beta-E 2(donna); ridotta conversione del testosterone in DHT (uomo) ▪ STIMOLAZIONE SECREZIONE ANDROGENI SURRENALI (nella donna si ha irsutismo)▪ CLINICA Nella donna: galattorrea, amenorrea, oligomenorrea, infertilità, riduzione della libido.□ Nell’uomo: disfunzione erettile, riduzione della libido, ginecomastia, oligospermia, infertilità, galattorrea. □ DIAGNOSI Sospetto clinico• Dosaggio della prolattinemia• C’è una CORRELAZIONE TRA INNALZAMENTO DEI VALORI E LA CAUSA, che deve però essere guardata in maniera relativa: Se infatti i valori sono molto più alti (di 10 volte) rispetto al valore soglia, circa 20 μg/L, allora con buona probabilità ci si trova di fronte ad un adenoma secernente. → Se invece i valori rientrano in un range più basso allora le ipotesi da considerare sono numerose: stress, prolattinoma, disconnessione ipotalamo-ipofisaria, farmaci, malattie sistemiche. → RM ipofisi• TERAPIA MEDICA: prima scelta di tutte le forme di prolattinoma. □ Si utilizzano AGONISTI DOPAMINERGICI (Bromocriptina, Cabergolina), che si sono rivelati molto efficaci. La Cabergolina in particolare viene preferita perché ha un’emivita più lunga, consentendo solo due somministrazioni settimanali, e meno effetti collaterali. La terapia medica permette la normalizzazione della prolattina nel 70% dei casi e lo shrinkage dell’adenoma nel 65% dei casi. CHIRURGICA, si ricorre nel momento in cui siano presenti: Controindicazioni alla terapia medica1. Gravi disturbi visivi o neurologici2. Resistenza alla terapia medica3. □ ENDOCRINOLOGIA Pagina 87 Disturbi respiratori: sindrome dell’appena notturna, narcolessia, insufficienza respiratoria. Tutte le alterazioni osteocartilaginee e muscolari, infatti, contribuiscono a rendere la gabbia toracica meno elastica. L’eziopatogenesi delle apnee notturne è legata all’ipertrofia dei tessuti molli, macroglossia, ipertrofia del palato molle e della faringe. • L’ARTROPATIA si manifesta con tumefazioni articolari, ridotta mobilità, ispessimento cartilagineo, deformità, osteofiti e calcificazione dei legamenti. Evolve in un’artrosi debilitante e in neuropatie da intrappolamento. Una conseguenza a livello vertebrale è la cifosi dorsale. La MIOPATIA PROSSIMALE invece si manifesta con astenia, adinamia, mialgie e crampi. In generale, tutte le endocrinopatie quando sono caratterizzate da eccesso ormonale importante, causano alterazioni a livello muscolare. Oltre agli effetti descritti precedentemente dell’ormone GH sugli organi, al giorno d’oggi è aperto un dibattito sulla CORRELAZIONE FRA ORMONE E CANCRO INTESTINALE. La relazione fra acromegalia e patologia neoplastica è ancora in discussione ma alcuni dati sono certi: Aumentata incidenza di polipi al colon▪ Aumentata incidenza di carcinomi del colon▪ Aumentata incidenza di cancro alla tiroide▪ Diagnosi Bisogna effettuare una diagnosi precoce di acromegalia, possiamo avere una reversibilità nel caso anche per quel che riguarda i problemi cardiaci. Il professore riporta come esempio la cardiomiopatia che interessa questi pazienti, causa principale di morte negli stessi: col passare del tempo il danno può essere più eclatante con ipertrofia, fibrosi, valvulopatie e patologia coronarica; via via che passano gli anni il danno diviene sempre meno reversibile. Un trattamento efficace determina un miglioramento dell’ipertrofia ventricolare, della funzione diastolica (alterazione più precoce) e anche dei parametri vascolari come l’assottigliamento dell’intima-media. ENDOCRINOLOGIA Pagina 90 l’assottigliamento dell’intima-media. Oggi il RITARDO DIAGNOSTICO MEDIO è di 7 anni e cominciano ad entra in uno stadio middle (vedi tabella precedente). Indagini di laboratorio GH -> utile ma non dirimente poiché soggetto a molte oscillazioni ed è alto anche in altre malattie come il diabete mellito. ▪ IGF-1 -> molto più accurato, andando a stratificare i valori soglia per età e sesso: se i valori sono elevati il dato assume notevole importanza. ▪ OGTT (test da carico orale di glucosio) -> Gold standard, permette di fare diagnosi certa; si somministrano 75g di glucosio e si effettuano prelievi dal tempo 0 ogni mezz’ora per 120 minuti. ▪ Nel soggetto normale il carico di glucosio riduce il GH (<1ng/mL è il valore soglia, non è utile ricordarlo a detta del prof. viste le numerose oscillazioni che questo può avere). Nel soggetto acromegalico questa riduzione non si palesa. Questo test viene usato anche nel follow-up della malattia. In quella di sinistra viene descritta la curva glicemica: come spiegato nella lezione precedente, il soggetto acromegalico (in rosso) può presentare una ridotta tolleranza al glucosio o un diabete mellito franco che spiegano il valore più alto della curva rispetto al controllo normale; □ Questo dato è comunque meno interessante di ciò che si verifica nell’immagine di destra: in questo caso viene misurata la concentrazione sierica di GH (sempre contestualmente ad un OGTT) e si può facilmente vedere come nel soggetto normale (in blu) il GH subisca un forte depressione al contrario dell’acromegalico in cui la curva rimane sostanzialmente stabile. □ Trattandosi spesso di un macroadenoma, in questi pazienti posso avere l’EFFETTO MASSA che può scaturire in un ipopituitarismo; è utile, quindi, andare a valutare anche la funzione ipofisaria per quel che riguarda gli altri ormoni secreti: FSH, LH, PRL, THS ed ACTH. Indagini strumentali La RISONANZA MAGNETICA (RM) è l’indagine principe: ci consente di valutare la differenza tra adeno e neuroipofisi, che presentano un contrasto naturale. In caso di macroadenoma si utilizza un mdc poiché il tessuto adenomatoso ha un wash-out diverso ed appare più scuro rispetto al restante parenchima. In questo caso c’è un adenoma veramente molto grande, con rischio di idrocefalo e invasione del seno cavernoso sulla parte destra della seconda immagine. L’ANALISI DEL CAMPO VISIVO (importante in caso di adenoma per l’effetto massa che può interessare il chiasma ottico): in celeste è raffigurato il campo visivo normale mentre in rosso il campo visivo che può interessare un soggetto acromegalico; questo fenomeno è noto come emianopsia bitemporale (profonda riduzione di metà campo visivo con perdita di parte laterale/temporale da entrambi i lati). ENDOCRINOLOGIA Pagina 91 laterale/temporale da entrambi i lati). Terapia Molto simile a quella vista per il prolattinoma, ci sono TRE POSSIBILITA': CHIRURGIA► TERAPIA MEDICA► RADIOTERAPIA► La CHIRURGIA è la terapia di PRIMA SCELTA: sempre effettuata per via trans- sfenoidale. In caso di microadenoma ho una possibilità di remissione di circa il 90%. ▪ Nei macroadenomi, invece, si riduce verso un 50%.▪ È sicuramente presente un miglioramento di quello che è l’effetto massa ma la remissione viene valutata in termini puramente ormonali: l’obiettivo è ridurre i valori di GH. C’è ovviamente un rischio di complicanze, anche se non così elevato, come l’ipopituitarismo e varie lesioni focali (nel 10-20% dei casi; La TERAPIA MEDICA è di SECONDA SCELTA. Può essere utilizzata per controllare la malattia dopo una chirurgia non risolutiva, come trattamento adiuvante pre-chirurgia o, in caso di controindicazioni alla chirurgia, come trattamento di prima scelta. Ha un’efficacia del 55-65%. I farmaci utilizzati sono: gli analoghi della somatostatina (come per il PRLoma), a più lunga emività della molecola base, come Ocreotide, Lanreotide e il Pasireotide (introdotto più recentemente, efficacia maggiore ma tende ad essere iperglicemizzante, quindi può rappresentare un problema). Sono somministrati ogni 28 giorni per via sottocutanea a lento rilascio.▪ Altri farmaci utilizzati sono gli antagonisti del recettore del GH: mentre i precedenti agiscono sull’adenoma riducendone crescita e produzione, questi agiscono sui recettori periferici bloccando la produzione di IGF-1. In questa classe spicca il Pegvisomant; l’unica pecca è che non agisce sulla crescita tumorale però, soprattutto dopo l’intervento chirurgico, è molto efficace sul controllo metabolico (efficacia tra il 63-97%). È un farmaco di seconda scelta; tra gli effetti collaterali più gravi abbiamo l’epatotossicità; ▪ La RADIOTERAPIA è di TERZA SCELTA, va preferita quella stereotassica (gamma-knife o fascio protonico) diretta sulla lesione con meno effetti collaterali di quella classica. Ha però un problema: dà risultati molto lenti, anche fino a 10 anni (anche se accorciati con la gamma-knife), anche se presenta un’efficacia del 90% sulla riduzione volumetrica del tumore e fino al 60% sul controllo ormonale. ▪ ENDOCRINOLOGIA Pagina 92 Clinica POLIURIA (>2.5L/die fino ai 20L/die a seconda della gravità); a meno che non siano gravi il pz compensa bevendo; ▪ POLIDPSIA▪ Disidratazione▪ Ipernatriemia (concentrazione sierica di sodio > 145 mEq/L)▪ In generale, comunque, le forme più severe sono quelle a derivazione centrale. Diagnosi Poliuria (>2.5L/die);• Osmolarità urinaria <300mOsm/kg di acqua;• Peso specifico ridotto: <1.005;• Osmolalità plasmatica aumentata;• Sodiemia normale-alta se c’è abbondante perdita idrica;• Dosaggio della copeptina (se si trova il laboratorio che la dosa, in Abruzzo ad oggi non ce ne sono): è una proteina che fa parte della molecola precursore dell’ADH; viene quindi secreta in concentrazione equimolare e quindi è un fedele valore della quantità di ormone antidiuretico prodotto. • Viene utilizzato il test di deprivazione idrica: se il pz ha la patologia continua ad urinare perdendo molti liquidi andando incontro a disidratazione; se perde più del 3% del suo peso lo si considera già positivo. Se tolgo acqua vedo una contrazione della diuresi il test sarà negativo; • Test della desmopressina, analogo dell’ADH: distingue la forma centrale dalla periferica;• Il parametro valutato è l’osmolalità delle urine. (L'osmolalità è una misura della concentrazione di una soluzione; rappresenta il numero di osmoli di soluto per chilogrammo di solvente. Si distingue dall'osmolarità che è definita invece come il numero di osmoli di soluto per litro di soluzione.) Sulle ascisse abbiamo le ore di deprivazione idrica, sulle ordinate l’osmolalità, appunto. Nei pz normali (blu), col passare delle ore aumenta l’osmolalità; Nei pz psichiatrici (verde) la curva è meno accentuata però è considerata normale e dà un aumento dell’osmolalità; Il pz con diabete insipido ha una curva piatta: se do la desmopressina e la causa è centrale questa mi fa riassorbire acqua aumentando l’osmolalità (azzurro); se è renale non cambia nulla (rosso). Terapia La terapia della forma centrale è con l’analogo dell’ADH, la desmopressina; rispetto all’ADH ha emivita maggiore, maggiore potenza antidiuretica, possibilità di somministrazione oltre che per via parenterale anche per os o nasale, e soprattutto, NON ha effetti sulla pressione arteriosa. ► Per la forma renale si corregge l’apporto idrico e si interviene sulla causa oltre all’assunzione di una dieta iposodica. Si utilizzano diuretici tiazidici, amiloride, altro diuretico nelle forme indotte da litio, e FANS come l’indometacina. ► ENDOCRINOLOGIA Pagina 95 Aumentata produzione e secrezione di PTH da parte delle paratiroidi. Si distinguono TRE FORME (attenzione perché non riguarda l’asse ipotalamo-ipofisi): Primario: interessamento della ghiandola che produce l’ormone, delle paratiroidi (adenoma, iperplasia, carcinoma)► Secondario: Risposta appropriata delle paratiroidi, che sono normali, a fattori di stimolo anomali quali ipocalcemia, ipovitaminosi D, iperfosfatemia. ► Condizioni che fisiologicamente stimolano la secrezione del PTH e che spesso possono coesistere, come nell’insufficienza renale cronica; possono portare a ipertrofia e iperfunzione delle paratiroidi Terziario: definito come un secondario che diventa primario; quando una forma secondaria persiste per lungo tempo, questo stimolo cronico sulle paratiroidi può portare alla selezione di cloni che diventano autonomi. ► IPERPARATIROIDISMO PRIMARIO È una sindrome ipercalcemica causata da una secrezione incontrollata di PTH da parte di una o più paratiroidi iperfunzionanti. È la patologia endocrina più frequente dopo il diabete e le malattie tiroidee; È prevalente nel sesso femminile, soprattutto nelle donne ultrasessantenni, con un rapporto F/M di 3-2:1. Nella maggioranza dei casi è sporadico (98%), in una minoranza di casi è familiare (2-3%). FORME EREDITARIE MEN I e II□ Nella MEN I abbiamo la mutazione del gene oncosoppressore MEN I che codifica per la menina. ○ Troviamo adenomi ipofisari, iperplasia o adenomi delle paratiroidi e tumori del pancreas endocrino. L’iperparatiroidismo è la patologia più frequente e anche più precoce. Nella MEN IIA abbiamo la mutazione del gene RET. Troviamo carcinoma midollare della tiroide, iperparatiroidismo e feocromocitoma. ○ Qui l’iperparatiroidismo si riscontra in un minor numero di pazienti, nel 30% dei pazienti. In entrambe le forme l’iperparatiroidismo è dovuto a I ER LASIA multipla delle paratiroidi. I tumori paratiroidei sono multipli e in più del 99% dei casi benigni in entrambe le sindromi. Sindrome iperparatiroidismo – tumori maxillofacciali: • Trasmissione autosomica dominante; nel 15-20% è causato da carcinoma paratiroideo. Si associano a fibromi ossificanti mascellari o mandibolari, tumori renali. La mutazione germinale responsabile di questa sindrome è responsabile dell’inattivazione del gene CDC73. Iperparatiroidismo familiare isolato• FORME SPORADICHE Sono dovute ad ADENOMI. Responsabile fino all’85% dei casi di iperparatiroidismo primario, gli adenomi paratiroidei sono forme monoclonali. Nel 20-40% dei casi, alla base dell’adenoma, è stata osservata un’aumentata espressione del gene ciclina D1 (PRAD1). Determina un riarrangiamento cromosomico nelle cellule che porta questo gene sotto la regolazione del promotore del PTH, per cui gli stimoli che portano alla sintesi del PTH stimolano in maniera inappropriata questo gene. → Ciò porterà ad un aumento dell’attività di questa ciclina. IPERPARATIROIDISMO lunedì 27 giugno 2022 19:11 ENDOCRINOLOGIA Pagina 96 In misura minore possono essere implicati gli stessi geni osservati nelle forme familiari (in questo caso mutazioni somatiche di MEN1 o di CDC7 ) Non sappiamo molto sui fattori di rischio per l’adenoma sporadico. Tuttavia tra i fattori ambientali implicati nella patogenesi, una significativa associazione è stata osservata per radiazioni ionizzanti, soprattutto un’esposizione in età evolutiva (può essere un fattore di rischio anche per il ca.tiroide) e terapia con litio. La sede più frequente, indipendentemente dalla ghiandola, è quella inferiore, la ghiandola ingrossata, più pesante, infatti, più facilmente può scivolare verso il basso. Mentre le paratiroidi superiori, che si trovano nell'angolo diedro tra trachea ed esofago, in caso di aumento di dimensioni possono scivolare nel mediastino posteriore, quelle inferiori che sono legate al complesso timo-paratiroide migrano lungo il legamento tireo-timico e possono quindi raggiungere il mediastino antero-superiore. Il quadro clinico dipende dall’IPERCALCEMIA e dagli ELEVATI LIVELLI DI PTH. Generalmente i valori che superano 10 mg/dL rispetto il limite massimo sono sintomatici. □ Valori che superano 13 mg/dL danno calcificazioni per aumento del prodotto Ca x P (in questo caso dovuto alla calcemia) □ Valori che superano 14-15 mg/dL possono dare una crisi ipercalcemica, emergenza medica. □ Ad oggi, l'80% delle forme è asintomatica, mentre il restante presenta: Osteite fibrocistica▪ Litiasi renale▪ Osteoporosi▪ Ulcere gastriche▪ APPARATO URINARIO Poliuria (e polidipsia di compenso): conseguenza dell’ipercalciuria che può comportare una compromissione della funzione renale, con ridotta capacità di concentrare le urine. Può anche comportare un deficit delle acquaporine, canali che riassorbono acqua a livello dei dotti collettori, determinando un diabete insipido nefrogenico. □ Nefrolitiasi (precipitazioni nelle cavità, bacinetto, pelvi renale, ureteri): calcoli di ossalato o di fosfato di calcio ( 7% delle nefrolitiasi diagnosticate) ; di fronte un pz con nefrolitiasi non pensiamo subito ad un iperparatiroidismo primario □ Nefrocalcinosi (precipitazione di calcio nel parenchima): è rara ma importante perché causa insufficienza renale cronica □ Insufficienza renale acuta: ipercalcemia acuta grave causa necrosi tubulare acuta □ APPARATO GASTROINTESTINALE Dispepsia□ Stipsi□ Complicanze rare: pancreatite acuta, ulcera peptica (quest’ultima non condivisa da tutti gli autori) □ SISTEMA NERVOSO Sonnolenza□ Confusione□ Demenza□ Letargia, coma□ Iporeflessia□ APPARATO CARDIOVASCOLARE Ipertensione arteriosa□ Blocchi AV, QT ridotto (patologia ipocinetica vs ipocalcemia) □ Ipertrofia ventricolare, anche favorita dall’ipertensione arteriosa □ Trombofilia□ APPARATO MUSCOLO SCHELETRICO Miopatia□ Osteopenia/osteoporosi (osso corticale): classicamente l’osteoporosi colpisce soprattutto l’osso trabecolare , che ha maggior attività metabolica, ma poiché il PTH agisce prevalentemente in sede subperiostale, nella parte corticale, questa sarà maggiormente colpita □ Osteite fibroso-cistica, oggi molto rara□ Condrocalcinosi: deposito di calcio nelle articolazioni□ Osteite fibroso cistica Era frequente nel passato perché la diagnosi era tardiva, quando il pz era ormai sintomatico, oggi rara. È l’effetto dell’eccessivo e prolungato riassorbimento osseo da parte del PTH, cui consegue una demineralizzazione dell’osso e sostituzione con tessuto fibroso. Può comportare deformazioni scheletriche, fratture, cisti ossee formate da tessuto fibroso e necrotico, e la comparsa di tumori bruni i quali non sono neoplasie ma accumuli di osteoclasti e osteoblasti (i tumori bruni sono dei siti di fragilità perché qui viene meno la mineralizzazione). Crisi ipercalcemica La crisi ipercalcemica si verifica quando la calcemia è maggiore o uguale a 15 mg/dl, spesso in presenza di fattori favorenti, come aumentata temperatura ambientale, immobilità, febbre, disidratazione. Si presenta con dolori addominali intensi e diffusi (crampi), prurito, nausea, vomito, poliuria, agitazione psicomotoria, obnubilamento del sensorio, coma, alterazione della conduzione atrioventricolare, accorciamento del QT. ENDOCRINOLOGIA Pagina 97
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved