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Pedagogia del conflitto coniugale, Appunti di Pedagogia

Sunto Libro Moscato per pedagogia

Tipologia: Appunti

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Scarica Pedagogia del conflitto coniugale e più Appunti in PDF di Pedagogia solo su Docsity! PEDAGOGIA DEL CONFLITTO CONIUGALE PREMESSA: La scrittura del libro nasce dall’esortazione apostolica Amoris Laetitia, di Papa Francesco, dedicata alla famiglia e alla sua attuale condizione. Questa esortazione prende in analisi la realtà della famiglia di oggi, i dinamismi dell’amore, il conflitto coniugale, l’educazione dei figli, con una visione della famiglia molto concreta e realistica. AL si rivolge a tutti, religiosi e non, perché tutti sono genitori o sono figli. Il conflitto coniugale è oggi un fenomeno sociale dilagante che determina conseguenze per la crescita e l’educazione dei figli: ma è questo lacerante in primis per i coniugi coinvolti. Compito della società è prevenirlo, accompagnarlo, ridurne i gravi esiti educativi, sociali ed economici. Il fenomeno del conflitto ad oggi manca di uno studio sufficiente e completo, manca una ‘cultura della separazione e del divorzio ‘. L’atteggiamento più comune verso questo fenomeno è l’ostilità, l’imbarazzo o l’indifferenza . La pedagogia della famiglia deve guardare a questo fenomeno in termini concreti e non astratti. Va in primis compreso che l’orizzonte culturale influenza le rappresentazioni dell’amore, del matrimonio, della famiglia con letture spesso ‘ideologiche’. La cultura che è sul fondo è ancora fortemente sessuofobica e androcentrica. Dunque il testo analizza e commenta il testo di Amoris Laetitia e lo integra, guardando in una prospettiva psicopedagogica alcuni temi specifici. IL TESTO DI AMORIS LAETITIA: Al contiene una riflessione sulla famiglia contemporanea articolata in 9 capitoli e che intreccia almeno due temi importanti. In primis, la teoria dell’amore umano nella sua complessità e nei suoi limiti e poi il significato dell’educazione. Da queste riflessioni emerge anche una rinnovata concezione della famiglia, una nuova prospettiva culturale. L’elemento di novità è la sensibilità con cui il tema viene affrontato dal Papa, il quale riprende le conclusioni di due Sinodi precedenti sulla famiglia e li integra con un’originale riflessione. Qui si intrecciano la dimensione pastorale e quella pedagogica. Uno dei primi principi di estrema importanza è il modo in cui il Papa rilegge la parabola del grano: ‘’Un’altra tentazione è voler separare anzitempo il grano dalla zizzania. Le opere di questo mondo non sono unicamente peccatrici. Il grano e la zizzania cresceranno insieme e la nostra missione è piuttosto quella di proteggere come padri il grano lasciando agli angeli la mietitura della zizzania’’. Questa metafora non è frutto di un ‘buonismo’ superficiale, si tratta dell’apertura alla realtà che compie il papa, del riconoscimento realistico della positività di ogni ‘coltura del grano’; della convinzione che ci sia del bene ovunque. Nostro compito non è sradicare il male, ma proteggere il bene, ‘proteggere il grano ’, come priorità. Altra importante narrazione, che testimonia la ‘preoccupazione per il grano ’ è l’episodio biblico di Giona, mandato a predicare la distruzione di Ninive, la quale città inizia pubbliche cerimonie di pentimento e penitenza e viene risparmiata da Dio. Giona si lamenta con Dio per ‘aver perso la faccia’ e sostiene che preferirebbe morire piuttosto che vivere e si allontana dalla città rifugiandosi in un luogo deserto. Dio allora fa crescere una pianta alla cui ombra Giona si riposa ma poi questa pianta presto di dissecca e muore. Giona si lamenta e sostiene di nuovo di voler morire. Il Dio gli dice ‘perché ti inquieti per una pianta che non hai curato né fatto crescere? Ed io non dovrei curarmi della città di Ninive dentro cui le mura vivono tante persone e animali?. ‘ Il messaggio di Dio, il rimprovero che questo fa a Giona è quello di non aver curato una pianta di vita brevissima, mentre Dio cura e fa crescere creature. Questa è una metafora del ‘proteggere il grano ’: per Dio anche i peccatori sono preziosi e non devono essere identificati solo con le loro colpe. Giona invece è indifferente al valore della vita, deluso della misericordia. La narrazione testimonia inoltre come si possa avere fede in Dio ma non abbastanza speranza e carità. Altro elemento di novità è quando il Papa scrive, inoltre, come davanti a situazioni difficili e famiglie ferite bisogna sempre ricordare di discernere bene le situazioni, per amore della verità. Bisogna evitare giudizi che non tengano conto della complessità di ogni situazione. Questo è il progetto pastorale, che presenta una prospettiva radicale e rivoluzionaria. Una prospettiva anche molto pratica, nella quale il Papa mostra come ‘’il matrimonio è unione di due persone limitate’’ ed è importante essere attenti a come le persone vivono e soffrono la loro condizione. LA SCOPERTA DELL’AMORE GIOIOSO E LE FERITE DEL BISOGNO D’AMORE: altro importante principio che emerge dall’AL, oltre a quello della ‘protezione del grano’, è quello dell’unità interna data dell’evocazione di un amore gioioso, unica categoria di lettura della realtà. In questo senso, il papa riprende un testo di S. Paolo, nel capitolo IV di AL, con una rilettura originale della carità paolina, che è anche un atteggiamento psicologico, ‘la forza orientata dell’Io’. L’amore/carità può curare ferite dell’amore come bisogno e cicatrizzarlo. La nozione di amore/bisogno è l’altro elemento di novità del Papa. Nella nostra esperienza familiare possono originarsi bisogni d’amore inappagati e ferite aperte. Le ferite devono essere medicate e questa medicazione è la condizione perché la maturità dell’amore, l’amore gioioso, diventi possibile. Non sempre riconosciamo le nostre ferite, e non sempre le curiamo. La cura delle ferite passa sempre per una rielaborazione dei vissuti , che passa spesso per l’esprimere i propri sentimenti ed essere ascoltati. Il messaggio del Papa, rivolto in primis alla comunità ecclesiale, è quella di accogliere, accompagnare, di ascoltare. Per ogni lettore di Al dunque si presenta la necessità di lasciarsi guidare ad una nuova comprensione del fenomeno educazione: è importante capire come in AL venga ridefinita la famiglia a partire dalle sue funzioni naturali, quali l’educazione dei figli, ma anche l’educarsi all’amore reciprocamente. Questa è una formazione continua per tutti gli adulti, non solo religiosi. 1. BISOGNI E ILLUSIONI D’AMORE PAZIENZA E PRETESA NELL’ESPERIENZA AMOROSA: nel IV capitolo di AL l’amore è affrontato non tanto in termini teologici o spirituali (astratti), quanto in termini concreti, attraverso una riflessione atta a definire i comportamenti e gli elementi che costituiscono un amore sano e gioioso. La categoria di lettura è offerta dall’inno paolino alla carità, dove la carità viene letta come virtù teologale, cioè forza dello spirito/anima che appare ideale ed eroica, invece il Papa la fa emergere come concretezza dell’apparato psichico dell’Io. La riflessione sul nostro ‘amore quotidiano’ procede in termini di realismo psichico. La carità di S. Paolo di configura come amore/carità, ovvero come orientamento di fondo nei confronti della realtà, un’apertura alla vita. Questo orientamento si materializza nell’amore coniugale, nella cura dei figli, nell’amicizia. E’ proprio il riemergere di questa forza amorosa che consente di cicatrizzare le ferite reciproche nel processo di conflitto. Papa Francesco suggerisce una strada formativa che ci consente di intuire l’infinita ricchezza di questo amore gioioso. salverò’, in cui uno dei due assume il controllo dell’altro con la scusa di farlo per il suo bene: questo è sintomo di troppo amore che sfocia nel voler cambiare l’altro o nel lasciarsi possedere . Non dovremmo amare troppo chi amiamo. Tuttavia, non è escluso che anche in queste difficili relazioni è possibile osservare trasformazioni positive: i coniugi diventano più saggi, più maturi, ridimensionano le loro pretese. Tutti sperimentiamo, sin dall’infanzia, l’amore come ‘bisogno’, come desiderio di essere accolti ed amati. La direzione che prende il nostro cammino dipende da due elementi essenziali: la risposta che riceviamo, anche e soprattutto in età infantile, al nostro bisogno strutturale di essere amati dal contesto familiare e sociale in cui cresciamo. Un secondo elemento è una componente soggettiva, un insieme di risorse psichiche che ci sono ignote ma che emergono rispetto a come affrontiamo delle situazioni. Nel primo caso, si può dire che sono i genitori la prima fonte d’amore: esistono genitori freddi e anaffettivi, genitori che vivono passioni intellettuali, professionali, che vivono un rapporto fusionale con il partner (amore fusionale: identificazione di sé nell’altro, perdita di individualità, negazione di sé, possessività reciproca. È un tipo di relazione favorito dalla precocità della relazione e dalla precocità delle prime esperienze sessuali che generano una forte connessione psichica, pericolosa in età adolescenziale o nella prima giovinezza), dei genitori deboli che si pongono al servizio dei figli, che amano troppo, dei genitori austeri che pretendono emulazione dai figli. Nella maggior parte di questi casi si tratta di infelici tentativi di trovare compensazione ad una negazione paterna o materna: cerchiamo qualcuno che ci ami come i nostri genitori non ci hanno amati, seguiamo illusioni d’amore. Ma spesso in queste scelte cerchiamo anche qualcuno da amare, che abbia bisogno del nostro amore, qualcuno da idolatrare, la cui ‘causa’ diventa nostra ragione di vita. Pur non riducendo la realtà alla visione meccanicistica di stampo freudiano secondo cui tutta la nostra esistenza è definita dal rapporto con i genitori, molte complicazioni e problematiche negli amori adolescenziali e giovanili derivano da qui. Tuttavia, la risposta genitoriale non è tutto, perché ad influenzare è anche il secondo elemento, soggettivo: tutte quelle risorse psichiche e spirituali di cui inizialmente non siamo coscienti che ci orientano nella realtà, che ci indirizzano nello svolgimento dei compiti che essa ci pone. Sono risorse soggettive ed individuali che non possono mai essere totalmente inibite e che spesso diventano chiare solo nel lungo periodo. E’ una componente soggettiva, solo nostra dove circostanze positive della vita possono stimolarne l’espressione o inibirla. Nei conflitti coniugali si riconoscono spesso delle positive capacità di resilenza, che è soprattutto un’energia spirituale più che psichica. Dato il dinamismo dell’amore umano, esso può trasformarci evolvendosi ma anche regredendo e involvendosi, ristagnando in sé stesso. Quando l’amore cessa la sua ‘sana inquietudine’, la qualità della nostra vita si insterilisce. COMPETIZIONE/RIVALITA NELLA RELAZIONE AMOROSA: Il papa definisce l’amore come qualcosa che apprezza i successi degli altri e non li sente come una minaccia. Dunque anche la competizione (invidia nell’Amoris Leatitia ) è uno sfogo poco sano di questo amore, qui uno dei due (o entrambi), invece di desiderare in maniera disinteressata il bene dell’altro è invidioso dei suoi successi o scredita i suoi successi, tende a svilire la sua condizione. Spesso si presenta in coppia apparentemente molto legate e può riguardare diversi aspetti (legami sociali, reddito, questioni di genere, status...). Anche in questo caso è la poca sicurezza dell’Io a causare questi atteggiamenti, un Io che si chiude in se e si sente minacciato dai successi degli altri, probabilmente ferito e che tenta di appagare il proprio bisogno d’amore con forme di controllo e di possesso dell’altro. C’è un ansia di mostrarsi superiori per impressionare con un atteggiamento pedante ed aggressivo, un’arroganza da parte di chi si crede superiore: sono forme di aggressività borioso spesso legittimate dalla presunzione di ‘voler bene all’altro’ o di volerlo proteggere. Ma su quest’invidia anche se possono influire aspetti socio-culturali di provenienza. Al contrario, dunque, l’amore come capacità di una persona è una forza vitale, in cui c’è in primis pazienza e dove l’amore maturo opera il bene dell’altro. AMABILITA SENZA VIOLENZA INTERIORE: IL RISPETTO: un altro aspetto dell’amore è quello di ‘rendersi amabili’ agli occhi dell’altro, cioè mostrarsi gentili, delicati, rispettosi, avere fiducia nell’altro, comprendere la contingenza del difetto e dell’errore e non fargliene una colpa. Questo atteggiamento caratterizza l’amore non più come bisogno, ma come capacità. Il bisogno d’amore, di fatti, data la sua immaturità, non permette il rispetto e accentua la possessività, favorendo relazioni fusionali che solo in pochi casi si evolvono in forme equilibrate, più sane d’amore. Un altro termine chiave, infatti, è il rispetto: le relazioni fusionali non permettono il rispetto reciproco dei partner e non ne lasciano percepire neppure il bisogno. A dar spinta a relazioni di tipo fusionali è soprattutto l’età sempre più precoce delle prime relazioni amorose e sessuali che spingono ad una spinta fusionale quando l’identità dell’Io non è ancora consolidata e favorisce identificazioni reciproche. Si tratta di Io adolescenti che si appoggiano reciprocamente, spesso anche rifugiandosi l’uno nell’altro e rinunciando alla conquista della propria autonomia. Invece, entrare nella vita dell’altro, anche quando questo fa parte della nostra vita, richiede un atteggiamento non invasivo e delicato, il rispetto delle libertà. Molti conflitti coniugali nascono proprio dalla esasperazione di relazioni fusionali che prima o poi giungono a un punto di rottura, che consistono nel danneggiare l’immagine dell’altro: nel conflitto coniugale si incontra sempre l’assolutizzazione del difetto del coniuge e la riduzione di lui/lei all’interno dei suoi errri e delle sue colpe. Papa Francesco parla di una violenza interna, di un’aggressività intima, disfunzionale nella relazione con gli altri. Questa nasce dalle aspettative deluse del nostro io: ma quando l’ira sorge dentro di noi, occorre non alimentarla, ma scioglierla in una prospettiva di comprensione e di perdono. La colpa oggettiva non è quindi essere aditati, ma conservare l’ira, lasciarla sedimentare dentro di noi e permetterle di trasformarsi in risentimento. Solo il perdono reciproco effettivo permette di dimenticare qualsiasi torto subito e di rinnovare l’atteggiamento amorevole nei confronti del coniuge e dei figli. Ciò vale anche per i figli nei confronti dei genitori: il risentimento prolungato danneggia in primo luogo la psiche di chi lo coltiva. Come sottolinea il Papa, se permettiamo ad un sentimento negativo come l’ita di penetrare nelle nostre viscere, diamo spazio a quel rancore che si annida nel cuore. Francesco dunque riprende il senso paolino del ‘la carità non tiene conto del male ricevuto’: non si tratta di ignorare o dimenticare il male ricevuto ma di non portarselo annotato, di non essere rancorosi. Oggi sappiamo che per poter perdonare abbiamo bisogno in primis di comprendere e perdonare noi stessi. Ad oggi, le generazioni sono lacerate più da un senso di colpa che da un senso di peccato: il senso di peccato indurrebbe ad un dolore e poi alla confessione della nostra responsabilità e quindi a darsi pace. Il senso di colpa invece lacera senza mai placarsi, senza mai permettere rielaborazioni. Il tema della riconciliazione con se stessi come condizione di accettazione e riconciliazione con gli altri è un tema essenziale nella formazione dell’adulto, è la condizione di un buon funzionamento psichico, dell’amore gioioso. L’essere umano dovrebbe essere educato all’amore a partire da un sano amore per se stessi che consenta il perdono. Bisogna accettare, come mette in risalto il Papa, che siamo tutti una combinazione di luci e ombre: l’altro non è solo quello che a me dà fastidio di lui, è molto di più. Mi ama come è e come può, con i suoi limiti, ma il fatto che il suo amore sia imperfetto non significa che sia falso o non reale. E’ terreno e dunque limitato. Quest’ultima riflessione del papa evidenzia la differenza tra amore immaturo, con le sue illusioni e le sue pretese e amore maturo, che sa accettare e scusare l’imperfezione. Ciò non esclude che dalle nostre imperfezioni l’amore gioioso possa emergere e rinnovarsi, in tutta la sua forza concreta. Si tratta di accettare i limiti dell’altro e permettergli di migliorare la propria condotta; di tratta di avere fiducia e speranza: questo è il senso dello ‘scusare tutto’ paolino. LA FIDUCIA E LA SPERANZA COME COMPONENTI DELL’AMORE: Il Papa riprende il concetto forse a volte visto come radicale, di Paolo, dell’amore che ‘tutto crede, tutto spera e tutto sopporta’. Quando si parla di un amore che ‘tutto crede’ si intende un amore che ha fiducia. La fiducia rende possibile una relazione di libertà: non c’è bisogno di controllare l’altro per evitare che sfugga dalle nostre braccia. L’amore ha fiducia, lascia la libertà. Lascia spazi di apertura verso il mondo esterno così che i coniugi, ritrovandosi, possono condividere quello che hanno assorbito dall’esterno. Rende possibile sincerità e trasparenza: se so che qualcuno dubita di me, non mi ama in maniera incondizionata, manterrò i miei segreti, mentre se mi sento accolto, apprezzato, mi mostro come sono, senza occultamenti. La fiducia ricevuta accresce la fiducia personale, l’autostima, permette di mostrarsi con maggiore sincerità e permette di mostrare anche tutti quegli aspetti di cui non si va così fieri. Ciò vale per i figli ma specie per i coniugi, che devono avere fiducia l’uno nell’altro. Nella relazione con i figli si parla di una relazione asimmetrica, dove la fiducia del genitore promuove la fiducia in se stesso del figlio; nella relazione coniugale, si parla di relazione simmetrica e la fiducia deve essere reciproca. In alcuni conflitti coniugali si può osservare come i coniugi siano legati profondamente ma non riescono a darsi fiducia perché non si sono mai stimati come era necessario. Non riescono a perdonarsi, a darsi fiducia: ciò rende difficile la convivenza ma anche la separazione. Spesso si parla di personalità fragili, con poca autostima e fiducia in se stessi che si legano ad altrettante personalità fragili. Questa immaturità di fondo costituisce la causa di un conflitto irreversibile, cui incomprensioni e tradimenti sono solo una causa apparente di esso, ma possono costituirne un elemento scatenante. Inoltre l’amore ‘tutto spera’: si prende il concetto di speranza come virtù teologale (fede, speranza, carità). La speranza è la sorella piccina che però muove le altre. Su un piano psicologico, come già detto prima, la speranza è una forza orientata dell’Io, virtù di sintesi che ci accompagna in tutte le altri fasi della vita. Si tratta dunque di una forza psichica primaria, senza cui non possiamo affrontare la vita. Senza la speranza, non possiamo maturare la capacità di amare. Il dono primario dell’amore genitoriale è proprio la speranza. Bisogna dunque guadagnare questa percezione della speranza come virtù dell’io. Infine, l’amore ‘tutto sopporta’: papa Francesco riprende questo termine di sopportazione nell’accezione di sopportare con spirito positivo tutte le contrarietà. Mantenersi saldi nel mezzo di un ambiente ostile, è una resistenza dinamica e costante con cui si cerca di superare ogni sfida. Si parla di un eroismo tenace che altro non è che una forza psichica, di cui esistono molti e diversi gradi. Forse questa forza complessa si origina nel corso del processo educativo, ma presuppone che l’Io abbia già guadagnato un senso della vita che lo spinga ad orientarsi nella realtà con un progetto di bene. Dunque, potremmo sintetizzare sostenendo che l’amore è l’espressione più compiuta della persona, è un’energia di sintesi che include diverse forze orientate dell’Io, a partire dalla speranza, che si stratificano nell’arco della vita. L’amore adulto implica sempre un’opzione per il significato della vita, un’opzione per il bene. Senza la consapevolezza di questo dinamismo, rischiamo di chiamare amore un groviglio di emozioni, spinte pulsionali, bisogni inappagati, umori mutevoli, illusioni. 2. PROCESSO EDUCATIVO Sull’educazione esistono idee molteplici e contrastanti: l’educazione non è tanto contenuto, insieme di regole, ma è soprattutto avvenimento di lunga durata, o meglio processo, per indicare la sua natura dinamica, complessa e interattiva. È un progetto attraverso il quale un soggetto assume la forma adulta desiderata dalla società in cui questo individuo nasce. La pedagogia è una riflessione rispetto al processo educativo che ovviamente ha riguardato ciascuno di noi e che magari ora ci vede come educatori. Noi nasciamo già esseri sociali per natura, ma la qualità della nostra concreta capacità sociale dipende dal processo educativo perché noi impariamo a stare in relazione e a costruire relazioni umani a partire dalle relazioni che ci vengono offerte e dagli incontri significativi che facciamo nella nostra vita. Alto elemento decisivo è la presenza di un orizzonte socio-culturale complesso che fornisce strumenti di ogni genere: in questo senso l’educazione è soprattutto processo di umanizzazione che coincide con l’acquisizione progressiva di capacità umane. Le capacità umane sono quelle morali, politiche e religiose e attraverso esse l’uomo si chiede il significato della propria esistenza e ricerca il compimento di ciò che è percepito come il bene e il giusto. I primi vent’anni della vita, corrispondono al periodo di immaturità della specie umana, una ‘lunghissima infanzia’: ma non basterebbe la semplice crescita. L’umano esige una forma di assistenza e di cura specifica da parte degli adulti, tale che questi alla nascita deve anche essere attaccato al seno della madre. Il piccolo dell’uomo cresce in funzione delle cure che riceve. La crescita riguarda dunque, sia la sfera corporea sia i processi cognitivi, la socialità, la dimensione etica della persona. I processi educativi sono caratterizzati dunque da complessità e dinamismo e allo stesso tempo sono interattivi e intersoggettivi: l’educazione è un processo di interazione che si sviluppa per tutto arco età evolutiva tra soggetto giovane e certo numero adulto significativi per lui, dunque comporta sempre due soggetti in relazione tra di loro in termini dinamici. Mentre l’immaturo è una persona singola, l’educatore è sempre un soggetto collettivo, gli educatori sono sempre molteplici: l’unità del processo è garantita dall’individuo educato e non dall’uniformità degli adulti che possono avere opinioni diverse e spesso contraddirsi. Il processo educativo quindi è anche conflittuale ma questo conflitto contribuisce a rendere il soggetto consapevole di sé e delle sue scelte. Possiamo parlare di ambiente educativo quando ci sono degli adulti si rendono conto di dover insegnare a utilizzare ad un nuovo nato il meglio della cultura di appartenenza gli può offrire. È dunque presente un immaturo e uno o più adulti che si muovono all’interno di un orizzonte educativo, cioè la realtà viene presentata al primo attraverso una mediazione di cui poi il bambino un giorno non avrà più bisogno. La nascita è un evento luminoso ma il mondo adulto ha sentimenti ambivalenti nei confronti del fenomeno della nascita: quest’ultima costituisce possibilità per continuare ad esistere ma al tempo stesso può essere una minaccia. Cioè significa che la vita si riproduce, continua- da un lato, ma dall’altra parte è possibile che neonato tradisca, neghi la forma della vita che lo ha cominciato ad accogliere: dunque è un rischio. Ambivalenza nascita: ambivalenza adulti. Questi ultimi possono accogliere o negare il nuovo nato. Non è scontato che si accetti il figlio. L’autorità/responsabilità dell’adulto, in questo caso, è massima nel momento iniziale e dunque inizialmente l’infante è totalmente dipendente dagli educatori, dunque il baricentro del pro-cesso è tutto dalla loro parte, pian piano, però, questo acquisisce autonomia e parte della responsabilità della sua educazione sta tanto all’educato pretendere autonomia quanto agli educatori lasciargliela (di qui la metafora di una fune la cui presa da parte degli adulti deve essere man mano allentata via via che dal lato opposto la sente impugnata sempre più saldamente), tuttavia bisogna assicurarsi che questo non avvenga troppo presto né troppo tardi. Dunque, così concepita, l’educazione è inevitabile, nel bene e nel male: nessuno si sottrae ad essa. Il fine ultimo del processo educativo è l’autonomia, la capacità del soggetto di orientarsi nella realtà, di svolgere compiti interiori e sociali, di inserirsi all’interno di gruppi e relazioni. Se l’educazione, una volta raggiunto il suo scopo, termina, la formazione dura tutta la vita, e le varie esperienze formative si modellano a partire dal processo educativo. Dunque, come sostiene il Corallo, il fine del processo educativo è la promozione dell’autonomia e bisogna accompagnare il soggetto alla capacità di agire con libertà, che è condizione della condotta morale, al contrario non può esistere una vera moralità priva di libertà. Inoltre, il processo educativo comprende anche l’inserimento all’interno di una specifica realtà culturale, la quale possiede i suoi attrezzi (l’orizzonte culturale come cassetta degli attrezzi, metafora di Bruner), le sue dinamiche, le sue forme relazionali, che attraverso l’educazione si colgono e rielaborano. Ogni generazione umana riconsegna la cultura ricevuta rielaborata ed arricchita, alla generazione successiva. Il processo educativo riunisce generazioni differenti all’interno del medesimo orizzonte socio-culturale, dunque gli interventi educativi vengono sempre rimodellati grazie alla cultura di riferimento ed è così che le culture si rinnovano mediante ‘rivoluzioni culturali’. Questa visione è in controtendenza perché la cultura contemporanea tende a considerare già libero ogni soggetto che nasce e giudica negativamente qualsiasi intervento che introduca il nuovo nato alla realtà, come se fosse possibile crescere umanamente senza darsi significati o regole, come se la futura libertà personale potesse svilupparsi senza mai essere stata messa alla prova. Le concezioni pedagogiche contemporanee spesse sottovalutano la dimensione etico/normativa del fenomeno educazione: queste posizioni appaiono invitanti specie per gli adolescenti che tendono a sottrarsi a tutte le forme di controllo e vorrebbero esercitare la libertà che percepiscono di avere o che rivendicano. Vorrebbero non essere soggetti a norme sociali o morali. Ma non comprendono che ciò non è possibile perché l’autonomia dipende proprio dal processo educativo. Gli adolescenti tendono a rifiutare qualsiasi forma di educazione in nome di una presunta libertà, tendono a considerarla come una forma di condizionamento all’interno del quale non giocano nessun ruolo, ma subiscono solo: in realtà non viene in alcun modo negata l’esperienza personale, ma promossa la progressiva responsabilità dell’educato. Ogni adolescente ha il compito di accogliere o respingere le proposte che riceve, di chiedere e indagare le ragioni di queste proposte. L’educazione non nega l’esperienza personale del nuovo nato ma la orienta e l’accompagna. L’esperienza personale diretta è insostituibile ma gli esseri umani possono aver accesso anche ad esperienze indirette, con la mediazione di prodotti culturali disponibili in ogni momento storico, come la letteratura. Le ultime generazioni sono inoltre affascinate dalla categoria dell’erranza, si privilegia l’errare, come se si trattasse di ‘accumulare’ esperienze in quanto tali per il solo fatto di esserci imbattuti in esse. Si è persa la figura mitica del ‘viaggio di iniziazione’, in cui gli eroi/eroine sono chiamati a dirigersi verso mete lontane attraversando labirinti e sostenendo prove impossibili: più importante della meta è il viaggio: l’obiettivo è percorrere un viaggio iniziatico, dove si esce dall’infanzia. BISOGNI E FUNZIONI NELLA RELAZIONE EDUCATIVA. In tutti i processi educativi è possibile riconoscere almeno quattro elementi strutturali costanti, indipendentemente dalle specifiche condizioni spazio-temporali dell’ambiente concreto. -Malleabilità: la lunga immaturità. L’essere umano non nasce già strutturato, ma necessita fin da subito di una formazione. -socio-cultura: si nasce sempre all’interno di uno specifico orizzonte socio-culturale e dentro di essa di più ambienti umani. L’ambiente umano non è mai solo materiale, ma anche culturale e simbolico, capace di accogliere la vita e conferirle senso. Inoltre, un ambiente umano è sempre un ambiente relazionale e le relazioni umani comportano comunicazione. L’importanza educativa della famiglia è proprio il suo essere un ambiente relazionare primario, primo luogo di mediazione con la socio-cultura. -Relazione educativa: è il cuore del processo educativo. Si tratta di una relazione asimmetrica ed interattiva che lega il nuovo nato ad un certo numero di persone. Ma ;non tutte le relazioni adulto- infante sono educative, solo quelle in cui l’adulto assolve compiti specifici per la crescita dell’infante mediante funzioni che rispondono a bisogno specifici del soggetto. Non tutti gli educa. Non tutti gli educatori hanno lo stesso peso dal momento in cui non tutti svolgono le stesse funzioni. -Funzione educativa: sono le risposte che l’adulto da ai bisogni concreti dei bambini, materiali e immateriali (quelle genitoriali costituiscono il modello di tutte le altre, oltre che le prime) e spesso vengono assolte spontaneamente o addirittura inconsciamente. Il soggetto immaturo ha bisogno di sicurezza materiale, qualcuno che lo accudisca in termini materiali, anche molto intimi della corporeità (mangiare, cambiare pannolino ecc). Questo è un bisogno anche di un adolescente (trovare chi gli da cibo). Bisogno di essere istruito, trovare le norme della società in cui si vivo. Anche per l’adolescenza. Bisogno dell’identità sociale, di essere collocato nella società come appartenente ad un determinato gruppo. Conoscere significati etici di una società. Bisogno di stima sociale e autostima. In base a come vi si risponde, le funzioni possono essere divise in funzioni materne o soggettive, cioè quelle che riguardano la fiducia, che rassicurano, che inducono speranza, comprensione, che garantisce la propria accettazione incondizionata e funzioni paterne o oggettive, cioè quelle che riguardano il riconoscimento, l’appartenenza sociale, le norme e le regole. Questa distinzione non è da intendere come una distinzione di genere: entrambi i genitori assolvono entrambe le funzioni in base alla propria attitudine, alla propria cultura di appartenenza e al bisogno specifico che si presenta nel momento concreto. Un genitore può essere più materno o più paterno, al di là della propria identità di genere: ciò che conta è che l’adulto risponda a questi bisogni. Tuttavia, è vero che anche la cultura di appartenenza influenza l’esercizio concreto delle funzioni educative: ad esempio, nelle culture mediterranee, con un tessuto fortemente androcentrico e maschilista, si osserva che le madre sono più spesso decisamente paterne. E’, in ogni caso, la compresenza di queste funzioni che assicura il processo educativo. Ma, come già detto, non solo la madre e il padre sono educatori, ma si parla di soggetti collettivi, quindi nonni, zii, educatori, insegnanti: adulti significativi che si affiancano e si alternano e interagiscono nella relazione. Tuttavia, non si può prevedere a priori una funzione educativa perché questa si origina e si assolve in presenza di un bambino e quindi può variare continuamente . Inevitabilmente, il conflitto tra genitori indebolisce l’assolvimento di entrambe le funzioni. -autonomia personale dell’ex immaturo: condizione della progressiva libertà e responsabilità della persona. L’autonomia personale progressivamente conquistata prende sempre le forme e i contenuti fissati dalla socio-cultura di riferimento, sebbene poi ogni persona le reinterpreti queste forme. Questo processo si conclude intorno ai 20 anni di età e possiamo parlare di un consolidamento dell’identità dell’IO (Erikson) o definire l’autonomia come una capacità di scegliere e di decidere: in quest’ultimo senso, non si può parlare di autonomia se non si hanno acquistato alcune capacità in atto, a partire dalla gestione del quotidiano. Già nell’adolescenza la fiducia in se stessi è alimentata da continue prove: il successo/insuccesso nell’ambito scolastico (in L’identificazione costituisce l’anima della relazione educativa: va a costituire un Io vicario nell’infante, una sorta di stampella psichica interiorizzata essenziale per superare compiti di sviluppo dei primi stadi della vita. L’identificazione con i propri genitori permane poi anche quando ci saranno nuove identificazioni, transitorie, che la ridimensionano. Di fatti, la maggior parte delle identificazioni vissute nel corso dell’età evolutiva sono transitorie, eccetto quella co i genitori e perdono importanza dopo i primi vent’anni di vita davanti al consolidamento dell’identità dell’Io personale. Anche l’adulto può identificarsi, ma si tratta di identificazioni transitorie, di mettersi nei panni di un altro: una sorta di comprensione, empatia, governata più dall’emozione che dall’intelligenza. La capacità di intuizione empatica che molti hanno è un processo inconsapevole d identificazione transitoria, dove però l’adulto ha una capacità di decentrarsi, cognitivamente ed emotivamente e conserva distinta la percezione di sé come diverso dall’altro. Nel caso dei genitori però, l’identificazione è stabile, reciproca. Tuttavia, l’identificazione può costituire anche un rischio e una minaccia per la forza dell’Io: si pensi alle relazioni di tipo fusionale, in cui i partner stabilizzano l’identificazione reciproca, senza riconoscere i confini dell’Io personale e rispettarli. L’amore maturo quindi esige una buona capacità di identificarsi ma a condizione che questa sia sempre transitoria: occorre confronto e realismo e non solo comprensione empatica. Ciascun partener deve essere capace di decentrarsi mettendosi nei panni di lui /lei ma poi rientrare in se stesso, tornare ad essere altro. Nella relazione con il figlio anche è presente il rischio di un eccesso di identificazione stabile: nei primi dieci anni, l’identificazione proiettiva del genitore favorisce processi educativi e corrisponde a identificazione introiettiva del bambino, creando legami profondi. Ma più il figlio cresce, più l’identificazione diventa pericolosa, in quanto si può manifestare anche come un’incapacità del genitore di mollare la fune e di imporre un eccessivo controllo sulle scelte di vita del figlio (amorosa, scolastico, professionale ecc..). Questa forma di identificazione si realizza soprattutto nelle figure adulte fragili, a loro volta ferite. Questo rischio è da tener in conto ogni volta che cerchiamo di curare le ferite di un Io fragile: è importante che l’Io impari a prendersi cura di sé, diventi ‘madre e padre di se stessi’, per citare Fromm, ed evitare di offrirci noi come genitori sostitutivi dell’Io ferito, perché ciò col tempo porta a dinamiche psicologiche devastanti per chi si è offerto di prestare aiuto. In sintesi, nel rapporto genitori/figli l’identificazione reciproca caratterizza le relazioni educative in maniera inseparabile dall’interazione bisogno/funzione che struttura la relazione stessa. Nel caso in cui dovesse esplodere un conflitto tra i due genitori il bambino lo sentirà in prima persona con dei conflitti intrapsichici. Il figlio si vive come ‘lacerato’ affettivamente dalle pressione di entrambi, abbandonato anche se essi lo giudicano ‘la cosa più importante’. Perdendo fiducia in loro perde anche fiducia in se stesso. EDUCAZIONE DEI FIGLI NELL’AMORIS LAETITIA: Nelle pagine del Papa, emerge chiaro come la responsabilità educativa dei giovani è inevitabile, nel bene e nel male e i genitori dovrebbero accettarla e realizzarla, senza delegarla. L’educazione si riferisce in primis all’educazione morale. Ma la famiglia non può gestire l’intero processo educativo e deve condividere le sue responsabilità anche con altre istituzioni, come la scuola. La sfera morale non si riduce solo alle norme etiche, ma il senso della vita, l’orientamento dell’Io del figlio nei confronti della realtà, il senso alla vita, che le fornisce una direzione e che fa da sfondo alle condotte, che viene tramandato spontaneamente. Un simile atteggiamento globale verso la realtà costituisce la vera dimensione della testimonianza dell’adulto, la pratica spesso inconsapevole attraverso cui il genitore è testimone della vita per il figlio, attraverso cui i suoi gesti (fin dal primo sorriso) si fanno veicolo dell’esistenza e della realtà. Termine centrale nella relazione genitore-figlio è ‘rispetto’: attraverso di esso entrambi comprendono l’altro come una figura individuale, che non è totalmente identica o dipendente. Il rispetto evoca il confine inviolabile della persona, che non può essere posseduta e usata: chi rispetta percepisce il figlio come vita altra e persona altra da se. La distinzione fra il sé e il proprio genitore è una conquista progressiva ed essenziale: anche il figlio è chiamato ad essere per se stesso, indipendentemente dal compiacimento del desiderio genitoriale. E’ chiaro che l’affetto fra genitori e figli è spontaneo e naturale, ma il rispetto suggerisce una canalizzazione anche dell’affetto. L’amore del figlio è sempre immaturo, smisurato, carenziale e questo deve essere indirizzato affinché possa farsi capacità di amore gioioso: dare amore rispettoso per suscitare amore rispettoso. Solo i genitori rispettati permettono identificazioni che rafforzano l’Io del figlio, al contrario quelli manipolabili o manipolanti determinano una fragilità. In questo senso è importante la domanda che pone il papa ‘Dove sono i figli?’: dove sono davvero nel loro cammino? Cosa ci sta a cuore sapere di lui? Il successo scolastico, la felicità affettiva?. Il papa invita gli educatori e in primis i genitori a domandarsi cosa veramente vogliamo sapere. Spesso il non voler sapere di alcuni genitori non è tanto una superficialità, ma al contrario un eccesso di accanimento che si traduce in condotte errate, non promozionale dell’autonomia dei figli e che può essere autolesionistico anche per i genitori stessi. PEDAGOGIA DELLA AMORIS LAETITIA: la preziosità del figlio e la fiducia. In Al troviamo elementi anche pedagogici: secondo il Papa, l’educazione deve mirare a promuovere autonomia e libertà del giglio, è in primis educazione alla volontà, siccome la volontà è luogo di libertà. E’ sviluppo di abitudini, inteso come orientamento positivo verso il bene. E’ dunque necessario, per il Papa, una formazione morale che scaturisca dal dialogo, che coinvolga linguaggio e sensibilità dei figli. Elemento altrettanto importante è la fiducia: il figlio acquisisce sicurezza, si fida di sé stesso, si valorizza, a partire dalla fiducia che i genitori ripongono in lui, la quale piano piano crescerà e progressivamente si farà autonomia. Non soltanto la fiducia in sé stessi ma anche la speranza nei confronti della vita è figlia di questa relazione. Il figlio si percepisce prezioso per se stesso i primis attraverso lo sguardo di cura dei suoi genitori; impara a fidarsi di se stessa a partire dalla fiducia che gli viene data dai genitori. Anche davanti alle condotte errate dovute all’età non bisogna lasciarsi trascinare dall’ira ma correggerle, senza però mai riprenderle scadendo in un’eccessiva indulgenza. Sono i genitori, in primis, dunque, che suscitano fiducia e speranza nel giglio, che lo accolgono, ma anche che contengono l’Io infantile in un sistema di norme. Non sorprende dunque che nei conflitti coniugali i figli subiscono una perdita di fiducia nei genitori e di conseguenza una perdita della speranza nella vita. I genitori non sono perfetti, i figli possono essere delusi nel loro bisogno d’amore, subire l’abbandono: così sono imperfetti anche tutti gli altri educatori adulti. E non sarebbe neppure un bene se i genitori venissero concepiti come perfetti e onnipotenti perché genererebbero senso di inferiorità nei figli. E’ necessario in questo caso capacità di ascolto, intelligenza paziente, disponibilità affettiva, permettere ai giovani feriti di guarire il loro mondo interiore ferito per riconciliarsi con le persone e la società: è questo, ancora una volta, il principio del proteggere il grano. LA SINDROME DI GEPPETTO E IL VIAGGIO DI PINOCCHIO La storia di Geppetto e Pinocchio, di Collodi, è una buona metafora per parlare della relazione genitore/figlio e di come si diventi genitori o figli. La prima trasformazione che avviene è quella di Geppetto che, fabbricatosi un burattino che gli facesse compagnia, si è trovato a diventare genitori davanti ai bisogni concreti di Pinocchio che ha fame, freddo ecc. Dunque Geppetto diventa genitore non tanto quando fabbrica il burattino ma quando riconosce in questo una soggettività altra da sé e degna di cura. Geppetto mette in scena una funzione materna e persino un eccesso d’amore. La figura della Fata è la funzione paterna, che lo castiga, lo mette alla prova ma è anche piuttosto espressione di una divinità che non lo abbandona . Pinocchio, invece, dopo aver messo in scena tutti i limiti dell’infanzia e dell’adolescenza si trasforma in un bambino vero attraverso difficili prove. Si fa figlio anch’egli e quando aiuta Geppetto ad uscire dal ventre della balena mostra di aver raggiunto l’autonomia che gli permette di scegliere. Nel rapporto Pinocchio/Geppetto avviene il passaggio dall’amore bisogno all’amore capacità. Il Pinocchio può anche essere letto come metafora dell’intera condizione umana e il suo viaggio come pellegrinaggio esistenziale. Molte storie amorose giovanili possono essere lette come metaforiche ‘avventure di Pinocchio’, instaurate come conseguenza di bisogni affettivi inappagati, solitudini esistenziali, sui cui dinamismi di ‘non scelta’ giocano anche rappresentazioni spontaneistico-naturalistiche della sessualità. Perciò oggi si dovrebbe parlare molto di più di psicologia della scelta amorosa per aiutare i giovani a comprendere se stessi. EDUCAZIONE SESSUALE E DIFFERENZA DI GENERE IN AL Un punto cui è dedicata ampia attenzione in Al è l’educazione sessuale e la differenza di genere, temi che si intrecciano tra di loro e che si intrecciano anche con problemi derivati dai conflitti coniugali. Per quanto riguarda l’educazione sessuale il Papa richiama alla Dichiarazione Conciliare: il messaggio importante è che il papa rifiuta un’educazione sessuale che non passi per un’educazione all’amore . Il Papa denuncia un atteggiamento sociale e culturale odierno che non persegue una forma di educazione all’amore ma stimola una sessualità attiva scissa dall’amore. Ciò che oggi si esprime, secondo il papa è un narcisismo aggressivo, si incoraggiano gli adolescenti a usare le altre persone come oggetto di esperienze. Non c’è dubbio che la precocità delle relazioni sentimentali e sessuali sia rivelatrice di insicurezza dell’Io e di bisogni d’amore non appagati: queste relazioni si basano sul bisogno reciproco ma non sulla stima, la fiducia e una scelta amorosa. Il Papa riprende anche la questione di genere sostenendo come nel proprio modo di essere, maschile o femminile, non confluiscono solo fattori biologici ma molteplici elementi: il Papa apre un varco, legittima la tematica agli occhi dei cristiani. EDUCAZIONE RELIGIOSA L’educazione religiosa fa parte della testimonianza complessiva sul senso del vivere che i genitori, volontariamente o meno, trasmettono ai figli. Ma nonostante il genitore possa trasmettere al figlio simboli, preghiere ecc.. la fede religiosa può essere solo promossa e sollecitata nell’orizzonte di autonomia del figlio: la fede religiosa del figlio non va considerata come effetto delle nostre volontà, come nostro successo/insuccesso, ma come esito della sua libertà. PRIMA CONCLUSIONE La famiglia si configura come strutturata e finalizzata al processo educativo. E’ un’entità superindividuale, caratterizzata dalla convivenza materiale fra i suoi membri e dalle relazioni che si valori, categorie concettuali e linguaggi, Tutti questi elementi passano attraverso una materialità quotidiana fatta di costumi e pratiche sociali. La socio-cultura che respiriamo è tutto ciò che è consueto in noi, che ci appare naturale e ovvia. E in tutte le identità personali sono presenti queste componenti socioculturali, incluse le concezioni di Dio, della famiglia, del matrimonio, dell’identità di genere ecc.. Questi elementi entrano, nel corso dell’età evolutiva, nei processi di conferimento di senso alla realtà e solo successivamente si sviluppano altre forme di accesso culturale che sono sempre mediazioni. Il luogo di sintesi concreta delle dinamiche culturali è sempre la persona che opera nell’identità del suo Io, una serie di riorganizzazioni, di integrazioni, senza quindi subire passivamente la cultura circostante: questo processo di sintesi coincide con il processo di auto- formazione dell’adulto. Un principio di metodo educativo importante è proprio quello di favorire la sintesi, cioè di favorire processi di rielaborazione personale e di presa di coscienza delle proprie convinzioni, evitando che i grovigli culturali vengano respirati inconsciamente e permettere che dunque la persona agisca consapevolmente . Le comunità devono offrire continuamente ai propri componenti momenti di proposta culturale che favoriscono nuove sintesi personali. L’orizzonte culturale è mediato in primis dai ‘gruppi primari’, dalla famiglia. Per ogni immaturo, le influenze culturali passano attraverso le relazioni con gli adulti significativi, attraverso quel processo di identificazioni. Esistono poi influenze globali, d’ambiente. Oggi, specialmente, esiste una parte rilevante dell’orizzonte culturale che penetra attraverso la diffusione dei mass- media in maniera indipendente dagli ambienti primari e causano lo svilupparsi di idee, pregiudizi difformi da quelli mediati dai gruppi di riferimento e non necessariamente in modo consapevole. Ma questi elementi della cultura dei mass-media si propongono anche agli adulti e penetrano tutti gli ambienti sociali, anche le famiglia. Oggi la società è segnata da una comunicazione di massa molto pervasiva che esprime spesso ideologie in conflitto ed è comprensibile che i giovani impieghino tempi più lunghi e trovino maggiori difficoltà nel realizzare le loro sintesi culturali personali. Nel ruolo educativo e formativo bisognerebbe riconoscere un principio di metodo che sia volto a promuovere consapevolezza personale, nell’esplicitare l’implicito, attraverso il confronto che non significa fare sermoni ma neppure ignorare tesi che ci appaiono errate: si tratta di parlare serenamente di qualsiasi prospettiva e ascoltare le opinioni dei giovani senza aver fretta di stigmatizzare. Altro principio di metodo è quello della partecipazione diretta e attiva dei destinatari: bisogna chiedersi cosa ne pensano, lasciarli parlare senza giudicarli, dialoghi che aiutano le persone a sviluppare principi interiori (Papa). Esprimersi è importante perché se non lo si fa, i contenuti restano astratti e non confluiscono nella costruzione di identità personale. Perciò è importante l’ascolto attivo. Coltivare la libertà significa promuovere l’autonomia, ma questo esige un lungo tempo, un dialogo franco, sereno e continuo anche tra gli stessi formatori. I giovani innamorati spesso sottovalutano l’importanza di quest’orizzonte culturali, convinti dell’onnipotenza dell’amore o al contrario si generano conflitti dovuti proprio a differenze socio culturali: in quest’ultimo caso, il conflitto si manifesta soprattutto dopo la nascita dei figli, quando i genitori assumono prospettive di educazione dei figli differenti e aspirazioni per il loro futuro diverse. Un’altra considerazione riguarda la materialità del lavoro richiesto alla vita famigliare: le ultime generazioni godono di un’adolescenza lunga e agiata, che non consente loro di addestrarsi al lavoro domestico. Così, scoprirsi inadeguati può essere traumatizzante e frustrante e creare risentimenti che aprono a conflitti. Ciò è dato anche dalla cultura contemporanea che squalifica il lavoro domestico e si lega ad un pregiudizio arcaico per cui la gestione del quotidiano è affidata solo alle donne. L’INDIVIDUALISMO E LE RAPPRESENTAZIONI DELLA FAMIGLIA Come sostiene anche il Papa, ad oggi c’è una diffusa concezione individualistica della vita che condiziona fortemente le rappresentazioni della famiglia e questo individualismo influenza anche relazione genitori/figli. L’individualismo è la principale marca ideologica (lettura della realtà statica e imposta che si distacca dalla realtà intesa come esperienza vissuta) dell’età contemporanea: la società è un aggregato di individui, i quali nascono liberi e autonomi e in diritto di aspirare alla felicità. In questo modo si attribuisce una sorta di primato ideale all’individuo, una centralità di questo considerato portatore di diritti inalienabili e in primis la libertà e la vita. Spesso però, felicità e autorealizzazione si riducono in un ‘diritto alla realizzazione del desiderio’, dove il desiderio è tendenzialmente capriccioso, l’Io non ha più limiti: scienza e tecnica favoriscono, rendendolo possibile, questo paradigma (polemica della Moscato contro ciò che sembra acquistabili col denaro e invece non lo è). Se il primato dell’individuo si traduce in primato del suo desiderio, allora l’individualismo è una minaccia. In molti conflitti coniugali esplosi, infatti, la decisione di separarsi è motivata proprio da un desiderio di avere un’altra chance amorosa, come rivendicazione del proprio diritto di felicità. In realtà, l’individualismo, offre un’interpretazione molto superficiale dei legami sociali: tutte le relazioni sociali sono ridotte alla forma del patto, che è contingente e può sempre essere sciolto (regole del mercato). Questa è una visione astratta lontanissima dalla realtà che non tiene conto della necessità (irreversibilità) di alcune condizioni o di alcune relazioni (genitori-figli: i figli non possono divorziare, rompere il patto, con i propri genitori, né viceversa, tutt’al più può esserci un reciproco abbandono). ) né del senso di appartenenza come elemento fondamentale e costitutivo dello sviluppo e della maturazione dell’individuo, il quale non può vivere se non all’interno di un gruppo, primo tra i quali la famiglia. Le società umane, infatti, non sono aggregazioni di individui ma sono da sempre organizzate in reti di famiglie, in cui la famiglia è il nucleo fondamentale che accompagna e accoglie la vita dell’individuo e dove le famiglie si imparentano specie attraverso il matrimonio che rappresenta il legame con maggior forza e stabilità rispetto a qualsiasi altra alleanza sociale. La persona struttura la sua identità su un substrato psichico di appartenenze e non potrebbe costituirsi fuori dalla socialità solidale. Le società umane sono, quindi, solidali, che lo si voglia o meno: ogni uomo è una parte di un tutto. La dimensione individualistica si è affermata negli ultimi secoli e ha avuto un’ulteriore evoluzione dopo gli anni ’70 del ‘900, nella cui visione confluivano gli esiti ideologici del marxismo. Di fatto, la matrice culturale marxiana è da sempre ostile alla famiglia perché vede in esso il mezzo della riproduzione delle differenze di classe: l’individuo deve invece essere liberato da legami e da regole sociali per essere autenticamente se stesso. Successivamente, si affermerà anche un principio naturalistico, per cui l’uomo è buono di natura. Ancora, nelle rivoluzioni culturali del ’68 si fa spazio l’idea di una ‘società dell’amore’ che si fonda sull’assenza di qualsiasi regola sociale, etica, morale e su una libertà anche sessuale. Ci fu una nuova lettura pedagogica dell’infanzia e una lettura pseudo scientifica che associava l’educazione al condizionamento, attribuendo invece agli immaturi la libertà già data e presente e quindi da rispettare. MITOLOGIA DELL’AMORE Un esito della cultura del ’68 è l’enfasi e la sopravvalutazione dell’amore, che però appare identificato con l’innamoramento. La diffusione del temine ‘amore romantico’ comporta un’assimilazione fra rappresentazioni della tradizione letteraria ed artistica. Il termine romantico rimanda al concetto di amore eterno, fedele e capace di sopravvivere a qualsiasi difficoltà. Probabilmente, le generazioni post-sessantotto una volta cancellate le certezze religiose, politiche, etiche si siano progressivamente rinchiuse nell’unico elemento che presenta caratteri di spontaneità, positività. In questo modo, la dimensione della giovane coppia innamorata è diventata luogo di certezze e il fenomeno è influenzato anche da precocità crescente di primi rapporti sessuali. Ma può essere vero anche il contrario: la presenza della concezione di amore romantico nell’attuale orizzonte culturale favorisce l’inizio di relazioni sentimentali precoci. In realtà, la precocità di relazioni amorose e sessuali, interrompe la ricerca di senso tipica dell’adolescenza e prima giovinezza. E l’amore come capacità non può coincidere con un esaurirsi della spinta esistenziale verso il significato : se la ricerca di senso si interrompe, il significato della vita, la vocazione personale, si riducono nei confini stessi della relazione che diventa il senso della propria vita e appagare provvisoriamente la ricerca di significato esistenziale. Per questo spesso ci sono relazioni giovani lunghissime ma statiche, in cui nessuno dei due cresce e sviluppa la capacità di costruire famiglia e che spesso approdano a crisi insanabili proprio con la convivenza, quando viene messo alla prova il legame amoroso. In molti vissuti di coniugi in conflitto emerge un confuso senso di perdita, di aver rinunciato a troppe cose, che in realtà è una perdita di sé. Inoltre, bisogna ricordare che l’innamoramento è solo il momento iniziale di una storia d’amore e il suo esito in termini di passione è più legata al bisogno d’amore più che alla capacità d’amore. Perché ciò diventi amore maturo è necessaria la maturità dei partner, che richiede altre qualità come fiducia, rispetto, complicità ma anche orizzonti valoriali e progetti di vita comuni. Le coppie che subiscono l’inganno, l’illusione idealistica dell’innamoramento, tendono ad idealizzare l’inizio del rapporto che non si trasforma in amore ma piuttosto in una forma di attaccamento, non solo al partner ma anche al proprio sé immaginario idealizzato e al ricordo della fase iniziale del rapporto di cui non si riconoscono le illusioni, si negano i limiti oggettivi della relazione e non si riconoscono le proprie inadeguatezze. Si sopravvalutano i momenti iniziali, i momenti felici e ci si accusa di essere cambiati, di non essere più quelli di un tempo. Ciò va a scapito di un progetto futuro e tendono a non vedere, o fingere di non vedere, i segnali negativi, spesso per paura di cambiare, dell’ignoto o per amore dell’abitudine (sintomo di immaturità). Spesso, accade che dietro a questo tipo di conflitto coniugale ci sia un ulteriore conflitto all’interno della famiglia di uno dei due. Al contrario, invece, l’enfasi sulla coppia può favorire l’instaurarsi di una relazione di tipo fusionale e su una pretesa di controllo totale dell’altro. La coppia così fusa diventa un ergastolo. MARGINALIZZAZIONE DEL FIGLIO NELLA CRISI CONIUGALE Nei casi di conflitto coniugale spesso i genitori si concentrano sulle dinamiche di coppia perdendo di vista la funzione sopraindividuale della famiglia in quanto concentrati solo sulla dinamica della loro coppia. A subirlo sono in particolare i figli: questi hanno la percezione che il legame fra i suoi genitori sia irreversibili e struttura l’identità del proprio io a partire da un’appartenenza familiare iniziale. La famiglia rappresenta così un orizzonte simbolico che lo procede. Non importa quanto questo mondo di relazioni sia già contrassegnato da conflitti, è un micro-universo simbolico all’interno del quale il bambino impara a crescere e dove anche i conflitti assumono un senso. ancora compassione né perdono, ma la precondizione. Con questa intelligenza si prendono le distanze dai risentimenti e dalle vicende attraversate. Il mezzo di questa riconciliazione è il dialogo, come intervento esterno che deve sollecitare, direzionare, accelerare il dinamismo della riconciliazione. Spesso questo percorso di riconciliazione, che dura molto tempo, si avvia in parallelo ad una riprogettazione ideale della propria vita, di ‘riprendere in mano il volante’. Il dinamismo della riconciliazione genera poi una compassione di sé e dell’altro. Come suggerito anche nell’AL, dunque, si tratta di trasformare il conflitto coniugale e i suoi esisti in un’occasione di rinnovamento della vita di coloro che lo hanno attraversato. Non è solo ‘medicare le ferite’, che è comunque un momento iniziale, ma un progetto di una nuova vita, una nuova consapevolezza, una nuova autonomia per far sì che il conflitto dia i suoi frutti, superando la logica della perdita, della sconfitta, il bisogno di compensazioni e guadagnando una distanza interna rispetto a quanto vissuto. Ma nessuno può essere convinto o forzato in questa direzione e le azioni di aiuto non sono semplici. Di fatto, nell’esperienza comune, si assiste ad un’espansione progressiva del conflitto: i coniugi iniziano a farsi torti a vicenda anche dopo il conflitto, dando il peggio di se che viene osservato dai figli. Anche gli operatori professionali spesso leggono la rottura come ‘momento ultimo ’ e cercano di ‘limitare i danni’ . In realtà anche dopo il conflitto, c’è un grande rancore, con posizioni del tipo ‘non voglio vederlo mai più’ ed è questo un rancore che verosimilmente tenderà sempre a crescere, anche dopo la rottura. In realtà questo desiderio di ‘eliminazione definitiva’ è solo illusorio: per certi versi i legami sono irreversibili, lasceranno sempre tracce a livello emotivo e psicologico (affinità sessuale, affettiva, intimità relazionale, condivisione genitorialità), ed inoltre, se ci sono dei figli, i genitori saranno sempre costretti ad avere rapporti e contatti. I partner avranno sempre un legame. E’ per questo che la consulenza dovrebbe da subito evidenziare la necessità di mantenere futuri rapporti, proponendo ai coniugi di non inasprire il contenzioso, proprio per l’irreversibilità del proprio rapporto. Il rancore è proprio quell’elemento che dilata il conflitto e lo rende infinito e mantiene il legame tra i coniugi: si crea una vera e propria mitologia del torto subito, che porta a ingigantire i difetti dell’altro anche dopo il matrimonio, con un’incapacità di perdono radicale e così i partner, nell’assolutizzare il torto subito, riducono l’altro dentro il confine della sua colpa e della sua imperfezione. Il rancore genera ulteriori motivi di contrasto: i coniugi entrano in lite per qualsiasi bene materiale di famiglia e se ci sono i figli di mezzo anche questi riguardano le liti, talvolta si sviluppa una sorte di ‘sindrome di Medea’, una gara a chi ferisce più l’altro e questi torti reciproci producono ferite ai figli che i genitori ritengono comunque di amare. Il rancore ha poco a che vedere con sentimenti amorosi ma anzi evidenziano la povertà e i limiti dell’iniziale amore coniugale. Non è una ‘ferita d’amore’, ma una ‘ferita narcisistica’: sul piano della realtà, non è possibile che esista una sola colpa o una sola ragione che porta al conflitto, non è detto che chi subisce il divorzio non abbia commesso errori, ma è chiaro che esiste una parte più debole che pagherà il prezzo più alto in termini di qualità di vita e sviluppo personale. Tuttavia, la compensazione psicologica più facile e comune è proprio l’accumulo del rancore, che rende impossibile il perdono e la compensazione: il rancore diventa il legame irreversibile che sostituisce i due coniugi e non consente alla sola separazione legale di porre davvero fine al matrimonio. Ma il rancore indebolisce i processi di crescita del figlio e crea in lui anche una delusione, in quanto non può rinunciare a nessuno dei due. Quando parliamo di perdono, non intendiamo una ripresa della vita coniugale, né solo un elemento morale e religioso. La capacità di perdono è un salto qualitativo sul piano esistenziale e manifesta la maturità d’amore della persona. Il perdono reciproco, sia tra i coniugi, ma anche tra figli e genitori, è la condizione necessaria per una serenità affettiva di tutti. Di fatti, anche il figlio deve ‘farsi figlio ’ perdonando le debolezze dei propri genitori, che è comunque un qualcosa che avviene dopo. Per i primi anni le condotte dei genitori segnano il sentiero esistenziale di ciascun figlio e se quindi i genitori in primis si riconciliano tra di loro e si perdonano, questo potrà influenzare anche sulla visione del figlio, come ‘testimonianza’ di umanità. Ma, anche in questo caso, è sempre necessario perdonare prima se stessi per dare un nuovo respiro alla propria vita. Il rancore prolungato, al contrario, genera stasi e si allunga come un’ombra minacciante sulla vita dei figli e spesso i genitori non proteggono i figli da questo, anzi spesso li obbligano a scegliere tra uno dei due senza rendersi conto che ciò lo indebolisce nei suoi processi di crescita: dunque acuiscono il suo conflitto intrapsichico senza mai dargli la tregua necessaria. VINCERE IL SENSO DI COLPA La conseguenza a ciò è che il figlio elabora dei personali sensi di colpa verso uno o altro genitore. Si tratta di sensi di colpa del tipo: ‘si sono separati per colpa mia’; ‘sono sbagliato perché sono come loro’ (identificazione negativa con i genitori) ecc.. E questo senso di colpa spesso si manifesta anche dopo, con la messa alla prova di adulti significativi prima di concedergli fiducia, così come mettere alla prova qualsiasi potenziale relazione della giovinezza (‘vediamo se sei meglio di mio padre e non mi abbandonerai). Così come si possono generare dei bisogni insoddisfatti di natura educativa, di sicurezza, di appartenenza che portano a sentimenti di attaccamento ostinato, sessualità e relazioni precoci e confluiscono poi, in età adulta, in conflitti e rotture. Al contrario, invece, alcuni rifiutano la relazione amorosa, per paura di abbandono, sofferenze e delusione, dunque una tendenza al ‘ritiro ‘. Anche per vincere questo senso di colpa è importante che i figli si riconciliano con la propria storia. RISORSE EXTRA-FAMILIARI Durante il conflitto il figlio dovrebbe sempre avere un luogo sereno in cui rifugiarsi alternativo a quello familiare, quali parenti a patto che non siano schierati o troppo coinvolti. Di fatto, anche i giudizi espressi da nonni o zii nei confronti di uno dei genitori risultano molto pericoloso perché acuiscono il conflitto intrapsichico del bambino, aumentano il suo senso di inadeguatezza e solitudine e favorire la stasi dello sviluppo. Spesso si assiste, in seguito alla separazione, alla regressione del genitore a figlio, con il ritorno nella famiglia di provenienza, per necessità materiali e affettive: tuttavia, questo inibisce le capacità genitoriali e l’autorità dell’adulto e spesso crea conflitti anche tra genitori-figli per il controllo del figlio/nipote. Anche insegnanti ed educatori, come allenatori o maestri, possono giocare un ruolo fondamentale di distrazione del bambino dalla realtà familiare offrendo nuove esperienze, nuovi spazi e nuovi incontri. Il caso di Alessia, bambina che viveva con la madre a casa della nonna e che viene bocciata a scuola. Alessia vive un conflitto intrapsichico che manifesta agli insegnanti anche in verbalizzazioni in cui denigra il padre ma al contempo esprime nostalgia per lui. Ma il suo caso mostra anche l’incapacità di insegnanti di intervenire su questo conflitto e anzi, spesso si riconoscono in loro anche pregiudizi: al contrario, un aiuto psicologico scolastico avrebbe potuto stimolare e incoraggiare la giovane madre e la figlia, sarebbe stato utile per lei parlare con un ascoltatore positivo e riconciliarsi con la sua storia. L’impegno scolastico sarebbe stata anche un’utile distrazione se la scuola le avesse dato abbastanza fiducia per provarci. L’impegno scolastico infatti può rappresentare una tregua, in quanto offre delle ‘messe alla prova’ che se superate positivamente rafforzano l’Io infantile. Questo è testimone di come manchi una cultura scolastica del conflitto: educatori e insegnanti non percepiscono il loro ruolo e la loro possibilità di intervento positivo. Così anche gli avvocati matrimonialisti dovrebbero mostrare una maggiore attenzione per i figli e non aver cura solo dell’aspetto materiale. Un genitore dovrebbe sempre dimostrare che il benessere del figlio è molto più importante anche delle ‘buone ragione’ che ha per imputare il suo ex coniuge e la materializzazione del conflitto in forme legali, in cui rientra anche la gestione del figlio, spesso peggiora la condizione affettiva del figlio. Così anche la realtà parrocchiale è un luogo di ‘tregua’ AFFIDO CONDIVISO, GENITORI TERZI E FAMIGLIE RICOMPOSTE Spesso, la pratica dell’affido condiviso può rivelarsi negativa nel momento in cui non permette al ragazzo di stabilirsi in luogo che può chiamare casa, dove può riconoscere le sue abitudini, un luogo proprio e sicuro dovendo fare sempre da una parte all’altra, (fondamentale per lo sviluppo identitario in quanto luogo di conforto e sicurezza, in quanto legame insostituibile) o lo si costringe ad abbandonare il luogo in cui è cresciuto. Inoltre, spesso i genitori tendono ad interferire fra loro e a sovrapporsi e contraddirsi nell’educazione del figlio, diminuendo di fatto la propria responsabilità nei suoi confronti e favorendo di fatto una non responsabilità di entrambi nei confronti dell’educazione. Le famiglie ricomposte presentano tantissime varianti che è difficile schematizzare: ci sono i nuovi partner (terzi genitori), i figli di questi, nuovi fratelli nati da nuovo matrimonio. I figli della nuova coppia (fratellastri) possono essere vissuti sia come elemento negativo, di disturbo e quindi essere fonte di risentimento, vendetta e poi senso di colpa; oppure essere il luogo della cura del fratello maggiore, essere elementi positivi dal punto di vista emozionale e affettivo, e quindi fungere da collante per la famiglia e avvicinare al terzo genitore. Le relazioni tra fratelli acquisiti sono invece molto complesse, poiché ognuno si porta con sé ferite con cui non ha imparato a convivere che spesso sfociano in situazioni problematiche (specie per adolescenti o preadolescenti). La famiglia così ricomposta deve superare in partenza un carico di negatività distribuite tra i suoi componenti che diventa difficile da medicare. In molti casi, i genitori di questo tipo di famiglia avviano strategie di comunicazione affettiva volte a ricomporre il nucleo della nuova unità. Il rapporto con il terzo genitore può essere ancora più complicato: più semplice se ci sono altri bambini. Su questo influisce anche il rapporto con il genitore lontano. In alcuni casi, il rapporto può essere positivo a patto che il nuovo genitore non si ponga come genitore sostitutivo e rimpiazzare quello assente ma può comunque assolvere funzioni genitoriali, ma non il RUOLO. Per fare un esempio davanti al rifiuto di un figlio verso il terzo genitore del tipo ‘non sei mio padre’, questo dovrebbe rispondere ‘no non lo sono ma ci tengo a te ecc..’. Per rifare famiglia, dunque, è necessario ripresentarla come entità superindividuale, costruita Su un patto concordato e sostenuto da tutti i membri, in particolar modo tutti i figli devono vivere quella nuova come una vera famiglia cui appartengono pienamente (il rischio è che l’aggregato si formi in funzione della nuova coppia e i figli si sentano dei bagagli, dei pesi che i genitori si devono accollare). Più i figli sono grandi più il patto è fondamentale, in modo che questi scelgano attivamente tutti i nuovi parenti, compresi i fratelli unilaterali che devono essere positivamente riconosciuti come ‘fratelli per scelta’. L’ altro genitore (che non appartiene alla nuova famiglia) COLLOQUIO COMR LUOGO DI ACCOGLIENZA Quando parliamo di formatori parliamo di figure che non sono necessariamente professionali. Di fatto, non tutte le scuole sono adeguate ad affrontare utilmente i problemi generati dal conflitto, così come neppure le realtà ecclesiali. In primis va detto che i coniugi non hanno bisogno di essere patologizzati o psichiatrizzati: sono soggetti che hanno bisogno di essere aiutati per comprendere la propria situazione coniugale e la propria storia e poi essere aiutati a riorientarsi, a riconoscere errori, a prendere decisioni. Anche le decisioni per evitare una separazione sono difficili e occorrono essere accompagnate, sia pastorale che professionale. Ma la consulenza non deve durare oltre un certo tot di mesi, perché creerebbe nuove dipendenze. Questi devono riuscire a diventare consulenti di se stessi e a riprendere in mano il volante della loro vita. Non bisogna spingerli a prendere decisioni che non hanno maturato loro stessi. La metodologia deve essere sempre non direttiva, in qualche modo implicita: l’educatore non deve fissarsi su concezioni o convinzioni da imporre ma lasciare che l’educato rimanga padrone delle sue scelte. ASCOLTO ATTIVO Ogni educatore, di qualsiasi tipo, dovrebbe essere formato al dialogo attivo e partecipativo con coloro che tenta di aiutare. L’ascolto viene definito attivo: anche se si tratta di riflessioni psicoterapeutiche, il tema riguarda qualsiasi ambito della comunicazione umana ed è un principio strategico universale e generale. Si impara l’ascolto attivo, che ad oggi è una strategia comunicativa molto sottovalutata. E’ questa una forma di intelligenza della comunicazione, perché suppone la concentrazione di un’attenzione intelligente verso la verbalizzazione e l’espressione dell’altro. Chi ascolta dedica tutta la sua energia positiva all’altro, sospendendo qualsiasi pregiudizio, qualsiasi convinzione personale e creando uno spazio interiore interamente dedicato all’altro. Così è necessario mettere da parte l’attenzione verso di sé e la propria considerazione sociale, sul cosa l’altro può pensare. Ciò non significa accettare tutto ciò che l’altro dice, ma conservare per un altro momento comunicativo ciò che si vuole esprimere. Questo è infatti il momento di accoglienza iniziale. L’americano Carlo Rogers, individua una teoria della comunicazione umana identificando alcune caratteristiche: -dimensione dell’accettazione incondizionata; -necessità di autenticità emozionale nella persona che ascolta; -importanza di un ascolto intelligente che non si limiti a considerare gli esplicita, le parole, ma anche la globalità dell’espressione e quindi il gesto, l’espressione ecc.. un secondo momento (sempre Roger) è la ri verbalizzazione, attraverso cui si restituisce il contenuto accolto con parole proprie, sempre chiedendo conferma della correttezza delle affermazioni. In questo modo si instaura una connessione con l’altro che si sente preso in considerazione, capito e, inoltre, questo processo funziona da principio di realtà, attraverso cui l’altro non si sente solo, isolato nella propria testa, ma acquisisce contatto con il mondo e riesce a decentrarsi e guardare le cose da un altro punto di vista. Per questo Roger definisce ‘relazione d’aiuto’ quella di un qualsiasi consulente: bisogna superare l’orgoglio e la presunzione della propria diagnosi e l’arroganza della propria soluzione del problema. COMUNITA ECCLESIALI Nei colloqui con i giovani spesso si presenta come elemento costante una sorta di ‘ricerca del colpevole’ che non esclude comprensione e compassione verso i genitori ma è un importante elemento di ricostruzione della propria storia. Bisognerebbe dunque, come altro momento importante per la cicatrizzazione di una ferita di questo tipo, ricordare sempre al bambino che l’unità spirituale della famiglia non si dissolve, ma resta punto di riferimento per il suo senso di appartenenza . In quest’ottica anche l’esperienza religiosa può essere un momento fondamentale. Non bisogna sminuire il senso di appartenenza familiare nel cuore ferito di un figlio ma delicatamente suggerire una forma diversa di vicinanza con i propri genitori che gli impedisca di essere assorbito nel conflitto, psicologicamente parlando. Anche in questo caso, ritorna utile ‘proteggere il grano’: i figli hanno bisogno di serenità, di certezze, di direzioni di crescita ma in primis di significato. Bisogna sempre annunciare il bene. Il conflitto esaspera il bisogno d’amore da parte del bambino che lo vivono e per questo bisogna sempre ribadire che i genitori gli vogliono bene e sempre gliene vorranno e che il suo compito da figlio è quello di conservare e dare affetto ai genitori e non giudizi per evitare che senso di paura e di abbandono si trasformino in rancore. Questo, però, un figlio può capirlo in molti anni e molti non raggiungono questa maturità affettiva restando radicati in un groviglio di sentimenti negativi, prigionieri nella vita adulta di quel conflitto che ha segnato la loro infanzia. Nell’ambito religioso, non bisogna dimenticare che il volto di Dio, per un bambino, è sempre mediato dal volto degli adulti significativi per lui: la delusione che prova verso questi adulti si riversa immediatamente anche sull’immagine di Dio. Ma tanto quanto le comunità ecclesiali quanto ogni comunità di educatori dovrebbe riservarsi cinque minuti di riflessione con se stessi prima di incontrare un cliente, per decentrare le proprie emozioni e concentrarsi sull’ascolto. Come scrisse S. Agostino ogni individuo quando parla in pubblico deve pregare per se stesso per evitare peccati di orgoglio e presunzione e per quelli verso cui la parola è rivolta tale che questa agisca utilmente. Ogni educatore dovrebbe tentare di reintegrare e rendere partecipe chiunque lo desideri, indipendentemente della sua storia personale, e farlo sentire amato e stimato. L’unità è l’elemento centrale di ogni comunità, unità intesa come comunione di intenti tesa all’accoglienza di ognuno.
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