Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Pedagogia del conflitto coniugale. Percorsi di genitori e figli tra crisi e risorse, Maria Teresa Moscato, Sintesi del corso di Pedagogia

Teoria del conflitto coniugale e di pedagogia del conflitto coniugale, con sezioni analizzate dalla prospettiva della religione cristiana.

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021
In offerta
30 Punti
Discount

Offerta a tempo limitato


Caricato il 20/02/2021

gaia-cerqui-1
gaia-cerqui-1 🇮🇹

4.5

(30)

6 documenti

1 / 17

Toggle sidebar
Discount

In offerta

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Pedagogia del conflitto coniugale. Percorsi di genitori e figli tra crisi e risorse, Maria Teresa Moscato e più Sintesi del corso in PDF di Pedagogia solo su Docsity! PEDAGOGIA DEL CONFLITTO CONIUGALE Il testo di Amoris Laetitia. Struttura, contenuti e stile di scrittura AL contiene un’ampia riflessione sulla famiglia nella società contemporanea, articolata in nove capitoli, e tocca due temi fondamentali, affrontabili sia dalla prospettiva psico-pedagogica sia da quella teologica e filosofica: 1. La teoria dell’amore umano 2. Il significato dell’educazione La riflessione su questi temi porta a considerare anche il tema della famiglia, analizzandola nella sua strutta e nelle sue finalità. Il libro presenta un punto di vista prettamente pastorale e si pone come proposta educativa globale rivolta a tutti. Negli scritti di Bergoglio è evidente come, in lui, la dimensione pastorale e quella pedagogica si intreccino, mostrando una particolare attenzione ai temi educativi. Un esempio di questa evidenza è rappresentato dall’uso molteplice della parabola del grano, in cui il Papa ribadisce quanto possa essere dannoso mettere mano sulla zizzania, poiché c’è il rischio, così facendo, di estirpare anche il grano buono. Nell’episodio biblico, infatti, Dio mostra preoccupazione e premura anche per gli abitanti della città di Ninive, che pur non facendo parte del popolo eletto, sono pur sempre sue creature. Anche i peccatori sono preziosi e non devono mai essere identificati riduttivamente con le loro colpe. Questa narrazione mostra che si può avere fede in Dio, e tuttavia non possedere sufficiente speranza e carità. In merito a temi più propriamente riguardanti la famiglia e il matrimonio, il Papa esprime perfettamente, in AL, l’importanza del trattare con sensibilità e delicatezza coloro che vivono situazioni famigliari difficili e che, per questo, vengono meno ai sacramenti, divorziando o separandosi. È importante tenere a mente che la Chiesa accoglie coloro che vivono nelle fede con imperfezione. Per Bergoglio, il matrimonio è un processo dinamico: esso raggiuge la propria pienezza nel tempo, e con gradualità, integrando al proprio interno i doni di Dio, ma anche la maturazione dei coniugi e la loro esperienza di vita e di amore. La scoperta dell’amore gioioso e le ferite del bisogno d’amore La profonda unità interna, nell’intera riflessione del Papa, è data dall’evocazione dell’amore gioioso come vera categoria di lettura della realtà. Amore gioioso si rivela quello del divino Creatore, un amore che cura e fa crescere. L’amore gioioso è la vocazione di ogni creatura, e la chiama alla fratellanza, alla coniugalità e all’amicizia. Nella storia familiare di ciascuno di noi possono originarsi bisogni d’amore inappagati e ferite aperte. Le ferite esigono di essere guarite, e la medicazione è la condizione perché la maturità dell’amore, cioè l’amore gioioso, diventi possibile per ciascuno di noi. L’accoglienza dentro la comunità cristiana comporta una possibilità di medicare queste ferite. Bisogni e illusioni d’amore Pazienza e pretesa nell’esperienza amorosa Nel quarto capitolo di AL, in cui l’inno paolino* viene usato come categoria di lettura, troviamo un’esplorazione della fenomenologia dell’amore, cioè un’indagine sull’amore umano nella sua realtà esistenziale. *il passo viene applicato alla carità come virtù teologale, cioè una forza dell’anima che appariva eroica senza far riferimento alla concretezza dell’apparato psichico dell’Io e allo spessore del vissuto di ciascuno di noi. La carità di S. Paolo si rivela identica all’amore gioioso, e quindi l’amore/carità si configura come un orientamento di fondo verso tutta la realtà, un’apertura alla vita. Questo orientamento si materializza nell’amore coniugale, nella cura dei figli e nell’amicizia. Ciò che cicatrizza le ferite reciproche, nelle dinamiche di coniugi in conflitto, è il riemergere di questa forza amorosa, nella misura della sua resilienza. Il Papa introduce l’idea che la parola amore debba essere intesa in almeno due accezioni: 1. Amore/amicizia o amore/carità, che è l’amore maturo 2. Bisogno e carenza La pazienza è la prima caratteristica dell’amore/carità, ma il Papa specifica che essere pazienti non significa lasciarci maltrattare, ma semplicemente non avere la pretesa che le relazioni siano idilliache. Quando si commette l’errore di pensare così, tutto ci spazientisce e ci porta a reagire con aggressività. Questa pazienza si rafforza quando si riconosce che anche l’altro possiede il diritto di vivere su questa terra, così com’è. L’amore comporta sempre un profondo senso di compassione, che porta ad accettare l’altro come parte di questo mondo. La pazienza è contrapposta alla pretesa, che è propria di un Io debole completamente autocentrato, che non si sposta da un suo punto di vista considerato come verità oggettiva e come un bene in sé. Ovviamente ci sono diversi gradi di questa caratteristica, e capita spesso che, durante il processo di maturazione, questo atteggiamento cambi. Esistono almeno due atteggiamenti psicologici fondamentali, a partire dai quali si può vivere ed esprimere l’amore: 1. Bisogno d’amore: si trasforma facilmente in pretesa 2. Capacità d’amore Alcune interpretazioni dell’amore nella psicoanalisi neofreudiana La distinzione fra questi due tipi di amore non è nuova, poiché alcuni studiosi neofreudiani hanno elaborato categorie di lettura in questa direzione. Ad esempio, negli anni Sessanta Maslow distingue un amore carenziale di tipo D (Deprivation love) da un amore maturo di tipo B (Being love). Il passaggio da uno all’altro è fisiologico, in base alla maturazione della persona, e in rapporto a trasformazioni adulte che egli chiama auto-realizzative. A Erich Fromm, invece, si deve un’analisi dell’amore umano e de suo dinamismo. Fromm sostiene che la qualità dell’amore dipende dalla capacità del soggetto che ama. Questa è una teorizzazione dell’amore come forza dell’Io e come capacità dinamica della persona umana. Dunque, ci si può educare all’amore. giovanile, favorendo lo sviluppo di legami fusionali, diventa uno degli elementi che non permettono ai partner di sperimentare e imparare il rispetto. In questo contesto, è fondamentale il perdono. Altra osservazione è che ogni il senso di colpa è molto più diffuso del senso del peccato, che induce al dolore e alla successiva confessione, mentre invece il senso di colpa lacera nel profondo senza dare più pace. La fiducia e la speranza come componenti dell’amore In AL, il Papa scrive: l’amore ha fiducia, lascia la libertà, rinuncia a controllare tutto, a possedere, a dominare. La fiducia ricevuta accresce la fiducia in sé stessi e l’autostima, e quindi promuove la crescita della persona. Inoltre il Papa scrive: l’amore spera sempre che sia possibile una maturazione, un sorprendente sbocciare di bellezza. La speranza implica accettare che certe cose non accadono come uno le desidera, ma che forse Dio scriva dritto sulle righe storte di quella persona e tragga qualche bene dai mali che essa non riesce a superare in questa terra. La speranza è una virtù teologale, generata da un senso religioso che crede comunque all’eternità della vita, e ad una dimensione trascendente. Sul piano psicologico, la speranza è una forza orientata dall’Io. secondo Erikson, la speranza si origina in noi sin dal primo anno di vita, vincendo spinte emozionali opposte: per un verso una fiducia incondizionata e generalizzata, e per il verso opposto la sfiducia radicale, che spinge l’Io infantile al ritiro in sé stesso. È una forza psichica primaria, senza la quale non possiamo affrontare la vita. *virtù teologali: fede, speranza, carità. Importante è anche, secondo il papa, la sopportazione, cioè sopportare con spirito positivo tutte le contrarietà. In conclusione, l’amore è un’energia di sintesi, che include diverse forze orientate dall’Io, che si stratificano dinamicamente nell’arco della vita. Il processo educativo L’educazione come avvenimento e il gioco del “tiro alla fune” La maturazione dell’amore come capacità in ogni persona dipende in primo luogo dal suo processo educativo, così come la capacità genitoriale dipende anche dalle rappresentazioni e convinzioni relative all’educazione. L’educazione è un processo di lunga durata e di natura dinamica, complessa e interattiva. Questo processo corrisponde al nostro crescere e diventare noi stessi, e al progressivo orientarsi del nostro Io nel mondo reale. Il nostro crescere umanamente avviene collocandoci in una rete di relazioni umane. Noi impariamo a stare in relazione e a costruire relazioni umane a partire dalle relazioni che ci vengono offerte e dagli incontri significativi che facciamo nell’arco della vita. L’atro elemento di fondamentale importanza nell’umanizzazione della persona è la presenza di un orizzonte socio-culturale complesso, che fornisce strumenti di ogni genere e canalizza le potenzialità intellettive ed affettive di ciascuno di noi. Così intesa, l’educazione è soprattutto un processo di umanizzazione, che coincide con l’acquisizione progressiva di personali capacità umane. Le capacità umane per eccellenza sono quelle morali, politiche e religiose: attraverso di esse l’uomo si chiede il significato della propria esistenza e ricerca liberamente il compimento di ciò che è percepito come il bene e il giusto. I primi vent’anni della vita sono quelli che costituiscono il periodo di immaturità della specie umana, un lungo processo di crescita e di sviluppo psico-fisico. Il processo educativo si avvia già a partire dalle più elementari forme di allevamento, stimolando e canalizzando la malleabilità e le possibilità di sviluppo del lattante. La crescita riguarda, quindi, la sfera corporea, i processi cognitivi, la socialità, l’affettività e la dimensione etica della persona. L’educazione comporta anche uno sviluppo spirituale. Nel processo educativo sono sempre coinvolti due soggetti: uno singolo, che è l’immaturo, e uno collettivo, che è l’educatore. La metafora più adatta per descrivere la relazione educativa è quella del tiro alla fune: l’adulto deve progressivamente lasciar andare la metaforica fune, via via che dal lato opposto la sente impugnata sempre più saldamente da una piccola mano infantile, che si trasforma lentamente in una mano adulta. Non bisognerebbe lasciare la presa, da entrambi i lati, né troppo presto né troppo tardi. L’elemento essenziale, che rivela e qualifica la forza di un processo educativo, è il suo esito di autonomia, intesa come autonomia dell’immaturo di costruire relazioni sociali, distinguere il bene dal male e di attribuire senso alla realtà della vita. L’educazione efficace rende possibili a ciascun adulto ulteriori esperienze formative, che accrescono le sue conoscenze e le sue qualità sociali e morali. Le concezioni pedagogiche intellettualistiche e istruttivistiche sottovalutano la dimensione etico/normativa e anche la globalità complessiva del fenomeno educazione. Tali visioni tendono ad assolutizzare la centralità dell’esperienza soggettiva, e spesso indeboliscono la capacità educativa dei genitori. Nell’adolescenza, infatti, i ragazzi tendono a sottrarsi a tutte le forme di controllo agite nei loro confronti dagli adulti significativi, senza rendersi conto che l’autonomia che hanno dipende proprio dal processo educativo in cui sono stati inseriti. Negli ultimi decenni, tuttavia, si sono aggiunti elementi aggravanti alla crisi educativa: le ultime giovani generazioni sentono sempre di più l’educazione come un condizionamento, e se la rappresentano in termini negativi. Queste generazioni sembrano non percepire più la loro progressiva responsabilità personale all’interno del processo. Ogni adolescente, infatti, ha la responsabilità di accogliere/respingere le proposte che riceve, di chiedere le ragioni di tali proposte e di verificare le testimonianze che potrebbero dare senso alla sua vita, per poi riconoscere di necessitare di un sostegno adulto. Nel rifiuto delle mediazioni e delle tradizioni culturali, le ultime generazioni sono spesso affascinate dalla categoria dell’erranza, l’errare da una esperienza all’altra. Bisogni e funzioni nella relazione educativa Tutti i processi educativi presentano almeno quattro elementi strutturali costanti, che ci permettono di riconoscere e confrontare i processi educativi osservabili anche in tempi storici diversi e culture diverse. Gli elementi costanti sono: 1. La lunga immaturità, e quindi la malleabilità del piccolo dell’uomo 2. La presenza di una socio-cultura e, dentro di essa, di più ambienti umani 3. La relazione educativa è il nucleo centrale del processo. È una relazione sempre asimmetrica e sempre interattiva 4. La crescente autonomia dell’immaturo è la finalità del processo educativo Si possono chiamare paterne le funzioni, genitoriali e educative, orientate all’oggettività: danno i significati della realtà e le norme dell’agire, garantiscono appartenenza e riconoscimento sociale, forniscono stima. Materne sono le funzioni soggettive: rassicurano, generano fiducia/speranza, accompagnano l’esperienza diretta, garantiscono comprensione e perdono. Importante è ricordare che nel momento in cui le due figure genitoriali si scontrano, questo indebolisce l’assolvimento di entrambe le funzioni. Dopo vent’anni il processo educativo può dichiararsi concluso, attraverso il processo di consolidamento dell’identità dell’Io o l’acquisizione della capacità di scegliere e di decidere. Succede sempre più spesso, nelle ultime generazioni, che i figli presentino un’autonomia apparente rispetto ai genitori, i quali non intervengono più sulle loro condotte, ma forniscono ogni forma di aiuto materiale e assistenza possibile. In realtà, questi figli rimangono fortemente dipendenti dai genitori, da cui si fanno “servire” di tutto. Simili dinamiche inibiscono nel figlio l’assunzione di responsabilità in ogni campo, poiché questi non accetta rimproveri o consigli, e tendono a scaricare sui genitori la colpa dei propri insuccessi. In genere questi figli non hanno sufficiente autostima per allontanarsi dal nido protettivo dei genitori, comportamento che a lungo andare diventa distruttivo. Identità e appartenenza nel processo educativo e l’identificazione come risorsa e come rischio Ci sono due significati dell’uso corrente del termine “identificazione”: 1. Il processo di costruzione progressiva dell’identità dell’Io, chiamato a volte processo identitario. Deve essere solido ma anche flessibile per consentire le trasformazioni dell’età adulta. È a condizione per la fine dell’adolescenza e l’ingresso nell’età adulta. L’apparato psichico dell’Io presenta una spinta interna all’integrazione organica di tutte le sue parti, ma questa spinta si configura in parallelo allo sviluppo del senso di appartenenza ad un gruppo primario, che con la crescita diventa sempre più ampio. Questo senso di appartenenza primario è la materia su cui si viene poi a costruire l’identità. 2. Una dinamica inconscia di tipo simbolico. Si tratta di assumere simbolicamente una sorta di identità vicaria (identificazione introiettiva): il bambino che si comporta come se fosse il padre o la madre , o meglio, si comporta come crede che essi si comporterebbero. L’identificazione nell’infanzia si configura come un potente dinamismo di protezione e rassicurazione dell’Io, finalizzato a supportare la crescita, perché permette ai bambini di affrontare esperienze per cui non sono ancora pronti, dentro la protezione simbolica dell’Io vicario interiorizzato. Questa dinamica prende forma anche nei giochi di finzione, in cui i bambini “interpretano” dei ruoli, protetti dalla drammatizzazione, che gli permettono di esprimersi e di percepire sé stessi (es. giocare all’indiano e al cow boy). A parte l’identificazione con i genitori, la maggior parte delle identificazioni vissute sono per lo più transitorie. Negli adulti, l’identificazione è prevalentemente transitoria, e sembra collegata soprattutto alla maturità dell’Io e alla sua capacità sociale. Nell’adulto, infatti, l’identificazione si presenta come una capacità di mettersi nei panni degli altri, cosa che permette al soggetto una comprensione per intuizione. Questa capacità implica anche l’abilità di decentrarsi cognitivamente ed distanza ottimale dalle famiglie d’origine, nella logica dei famosi porcospini di Schopenhauer: se si avvicinano troppo si feriscono con i loro aculei, se si allontanano troppo non riescono più a scaldarsi fra loro. Questa logica non vale per il rapporto fra coniugi, che dovrebbero sempre costruire dinamiche intime, anche se spesso accade che ognuno conduca la propria vita autonomamente e che quindi i coniugi si allontanino. I figli tendono a soffrire per anni della freddezza e dell’ostilità di questo tipo di rapporto. L’importanza dell’orizzonte culturale nella vita della famiglia L’orizzonte culturale è un complesso sistema che include tutti i livelli della cultura, ed è composto da una molteplicità di elementi eterogenei, includendo anche ideali e valori. Nelle identità personali di tutti noi sono dunque presenti ampie componenti socioculturali di diverso livello, inclusa l’immagine di Dio, le concezioni di matrimonio e famiglia, di sessualità e di identità di genere. Il luogo di sintesi culturali rimane sempre la persona, che opera progressivamente, nell’identità del suo Io, una serie di riorganizzazioni, di selezioni e integrazioni, dei contenuti culturali con cui è entrata in rapporto. Questo processo di sintesi non è mai, quindi, un assorbimento della cultura circostante. Per ogni immaturo, le influenze culturali più rilevanti passano attraverso le relazioni dirette con gli adulti significativi. Esistono poi influenze culturali globali che si possono definire d’ambiente, che sono molto importanti all’interno dei processi educativi. Spesso però c’è una parte relativa dell’orizzonte culturale che, nelle forme della rappresentazione mediatica, penetra nelle rappresentazioni e nei vissuti dei soggetti giovani in maniera indipendente dagli ambienti primari. Oggi queste forme mediatiche hanno influenza anche sugli adulti, penetrando così in tutti gli ambienti sociali. Oggi questi ritmi di trasformazione si stanno facendo sempre più veloci, rendendo la società fortemente segnata da una comunicazione di massa pervasiva, che non solo veicola conoscenze, idee e modelli, ma che soprattutto esprime ideologie in conflitto e riflette enormi interessi economici. Questo è il motivo principale per cui i giovani di oggi impieghino tempi più lunghi nel realizzare le loro sintesi culturali personali, e questo è perché l’educazione dovrebbe basarsi anche sul confrontarsi riguardo queste rappresentazioni. Attraverso questa esplicitazione degli impliciti si possono determinare nei giovani delle diverse comprensioni, favorendo la consapevolezza delle proprie immagini e idee, e si può così agire sugli orientamenti personali e sulle decisioni di vita di genitori e figli. L’individualismo e le rappresentazioni della famiglia L’individualismo influenza fortemente la relazione genitore/figlio, le loro aspettative reciproche e i loro progetti di vita. L’individualismo costituisce una chiave di lettura della realtà, fondata su una interpretazione delle società umane considerate delle aggregazioni di individui, attribuendo così all’individuo un primato ideale, rispetto alla società e a tutte le sue istituzioni. L’affermazione di questa concezione individualistica si deve alla sua forte propositività, in termini etici e politici, e alla sua compatibilità con l’affermazione del valore e della persona singola. In questa visione della vita si riconosce la centralità del singolo, considerato portatore di diritti soggettivi inalienabili, come la libertà e la vita, ma anche l’aspirazione e la ricerca della felicità e dell’autorealizzazione personale. Nelle sue varianti più recenti, tuttavia, e nelle contaminazioni e banalizzazioni culturali divenute comuni, felicità e autorealizzazione si riducono spesso a un diritto alla realizzazione del desiderio. Il desiderio, soprattutto se convive con il narcisismo, è tendenzialmente capriccioso, laddove l’Io non si pone più limiti. Scienza e tecnologia sembrano assecondare questa concezione, perché rendono apparentemente possibile la realizzazione di qualsiasi desiderio. In questo modo l’individualismo narcisista esprime immaturità e la radicalizza, perché impedisce la maturazione dell’Io in senso realistico. Se il primato del soggetto si traduce coke primato del suo desiderio, allora l’individualismo è una minaccia per tutte le forme di socialità umana, non solo per il matrimonio. L’individualismo offre un’interpretazione molto superficiale dei legami sociali: affermato il primato dell’individuo, tutte le aggregazioni sociali sono rifotte in termini di patto, dalla cittadinanza al matrimonio. E tutti i patti sono sempre risolvibili e reversibili, perché ad essi bisogna consentire in maniera libera e continuativa. L’individualismo sembra non vedere le dimensioni effettive della società umana: non vede l’essenzialità del senso di appartenenza, non vede la famiglia come unità super- individuale che va oltre la coppia coniugale, non legge la dimensione di solidarietà che qualifica i legami sociali, e dunque non vede la possibilità di patti irreversibili, mentre l’irreversibilità è una delle dimensioni dell’esistenza umana. Abbiamo già visto come l’immaturo raggiunga la propria autonomia accompagnato da delle figure di riferimento. La persona non potrebbe mai costituirsi al di fuori di una società solidale che permette la vita nel senso umano del termine. Anzi, dato che il cucciolo dell’uomo nasce completamente inerme e incapace, la sua sopravvivenza è sempre garantita da un gruppo, che lo accoglie riconoscendolo come uno dei “propri”. Le società umane sono sempre solidali, che lo desiderino o meno. Il vissuto psichico interno della solidarietà è il senso di appartenenza. La moderna mitologia dell’amore Un esito della cultura del Sessantotto è l’enfasi e la sopravvalutazione dell’amore, che viene identificato senza residuo con l’innamoramento. Il termine “romantico” rimanda all’amore eterno, fedele, capace di sopravvivere a qualsiasi difficoltà, un amore intriso di valenze etiche, politiche, spesso religiose, e sublimato anche nei suoi esiti tragici. In forza di una tradizione estetico letteraria ancora perdurante, tendiamo a giustificare e a rispettare l’amore come espressione di libertà personale e gli conferiamo una sacralità che impone rispetto. In realtà, l’attuale concezione implicita dell’amore romantico è molto diversa, ed è diversa anche l’esperienza d’amore delle ultime generazioni, proprio in virtù dei presupposti ideologici tipicamente sessantottini. Nella “filosofia” sessantottina, infatti, l’unica certezza non abolita era quella dell’amore. Caratteristici di questo periodo erano gli amori giovani, che tendono a fermare la ricerca di senso dell’Io, che di solito caratterizza l’adolescenza e la giovinezza. Accanto alle sempre più numerose esperienze di relazioni sentimentali e sessuali tra i giovani delle ultime generazioni, sono numerose anche le esperienze di giovani coppie che mantengono la relazione per molti anni, spesso senza l’intenzione o l’esito di approdare ad un progetto di matrimonio e/o famiglia. In queste relazioni la crisi giunge spesso con la convivenza e/o con la nascita del primo figlio. Spesso capita che questi individui, essendosi “chiusi” troppo presto con una sola persona, dopo del tempo provino del risentimento, poiché sentono di aver perso gli anni migliori. Questa sensazione è, in realtà, la sensazione della perdita di sé e della ricerca dei significati universali. Di solito l’innamoramento, esaurita la sua spinta iniziale senza trasformarsi in amore, genera una forma di attaccamento, più o meno fusionale, definibile come ostinato, che per le sue connotazioni affettive può essere confuso con un sentimento amoroso. L’attaccamento non riguarda solo la persona del partner: nella consulenza si evidenzia un eguale attaccamento al proprio sé immaginario idealizzato, e soprattutto al progetto iniziale scaturito dall’innamoramento, di cui non si percepiscono le dimensioni illusorie. La marginalizzazione del figlio nel conflitto coniugale La figura della famiglia come entità super individuale manca del tutto, o viene rimossa, nell’immaginario dei coniugi in conflitto, che appaiono concentrati esclusivamente sulla dinamica della loro coppia. Per il figlio il legame tra i suoi genitori è irreversibile, in quanto posto all’origine della sua vita e della sua identità personale. La casa dell’infanzia sembrerebbe configurarsi come la materializzazione di un universo simbolico, capace di mediare universi più ampi e di fornire un guscio affettivo rassicurante e protettivo. Per questo è traumatico quando, in seguito alla separazione dei genitori, i figli vanno a vivere in un ambiente diverso da quello in cui sono cresciuti. I figli si considerano così irrilevanti e poco amati dai genitori. Molti figli di coppie separate o in conflitto rivelano, dopo i vent’anni, sensi di colpa profondamente interiorizzati e irrazionali. Nell’adolescenza questo stato d’animo si traduce in comportamenti atti ad attirare l’attenzione o a condotte autodistruttive e ribelli. I figli vengono anche strumentalizzati, poiché oggetto di contesa fra coniugi o arma di aggressione e vendetta. Le conseguenze sono che il figlio non si sente amato veramente, ma si sente solo uno strumento che un genitore usa per ferire l’altro, e non si sente considerato come una persona dotata di vita propria. Spesso i genitori trovano dei nuovi partner, che hanno un ruolo molto importante nel processo educativo dei figli. Spesso i figli, se sono già adolescenti al momento della separazione, attuano delle sottili dinamiche di danneggiamento nei confronti delle loro nuove relazioni sentimentali. In altri casi i figli accolgono il nuovo partner, e se ce ne sono, anche i suoi figli. E così il partecipare alla rifondazione di una famiglia porta il figlio a superare il vissuto di marginalizzazione e di irrilevanza di cui ha sofferto durante il conflitto fra i suoi genitori. Il giudizio di Salomone e il figlio diviso in due Questa narrazione è espressione della saggezza del re Salomone, cui si presentarono due donne che rivendicavano ciascuna la maternità di un neonato superstite, con argomentazioni e litigi. Il re, dopo averle ascoltate entrambe, avrebbe comandato di dividere in due con un colpo di spada il bambino da loro conteso. La saggezza di Salomone consiste nell’aver individuato correttamente una madre biologica in un momento in cui non esistevano altri strumenti di certezza giuridica, poiché infatti una delle due donne grida: dà pure il bambino a lei, ma lascialo vivere! Non è certo che la donna che ha gridato fosse la madre biologica del bambino, ma è di sicuro la donna più dotata di capacità materna e autenticità religiosa, scegliendo la vita del bambino a qualunque prezzo. Questa narrazione può essere metafora di due genitori che si separano, e che ricevono una sentenza da un giudice. Chi dei due sarà più disposto a rinunciare alle proprie ragioni per dare la priorità alla vita del figlio? evolutiva, ogni ribellione e ogni abbandono si attuano sempre contro qualcosa o qualcuno a cui è stato assegnato un significato rilevante. Si osservano anche condotte di segno opposto, come la ricerca esasperata del successo scolastico e/o dell’approvazione degli insegnanti, condotte che però potrebbero avere la stessa matrice nella crisi familiare. Il problema, in questi casi, non è il vissuto di sofferenza di qualsiasi figlio, ma piuttosto l’opzione per la stasi, il blocco dello sviluppo, che si configura sicuramente in termini socioaffettivi, ma talvolta anche nelle sue dimensioni cognitive. Il blocco è generato dalla ferita psichica, da un dolore talvolta represso, talvolta parzialmente inconsapevole, perché subito razionalizzato senza una sufficiente elaborazione. Talvolta il figlio tace la sua sofferenza per proteggere i genitori, con una conseguente chiusura affettiva che accresce la spinta verso la stasi, che a sua volta diventa un vero e proprio ritiro delle forze dell’Io. Altri adulti affettuosi, come nonni e zii, talvolta favoriscono questa regressione, per compensare una mancanza affettiva. Ma le regressioni sono particolarmente pericolose in età evolutiva, se ritardano troppo l’affronto dei compiti maturativi propri dello stadio. Possibili principi di metodo La maggiore accettazione sociale che oggi si osserva rispetto alle situazioni coniugali irregolari attenua solo in parte il retaggio di sofferenza che di norma il conflitto coniugale porta con sé. A questo retaggio si può aggiungere la percezione di una sorta di stigma sociale che colpisca tutti i componenti di una famiglia irregolare. Negli ambienti cattolici, si presentano aspetti specifici di particolare delicatezza educativa, in relazione al giudizio di tipo etico-religioso che il figlio avverte come espresso nei confronti dei propri genitori, e che dei coniugi separati avvertono nella forma di uno stigma da cui essi si difendono. Negli ambienti parrocchiali, catechisti e animatori hanno spesso la consapevolezza della dottrina cattolica rispetto al matrimonio, e ciò può imbarazzarli ed esporli ad errori comunicativi nei confronti dei bambini e dei loro genitori. È essenziale non esprimere alcun giudizio etico o religioso sulla singola vicenda coniugale, anche perché spesso, se il figlio in questione è un preadolescente o un adolescente, questi atteggiamenti possono determinare l’allontanamento dei ragazzi dalla loro stessa religiosità. L’ascolto autentico, attivo ed empatico è un principio metodologico e una strategia, sia nei confronti dei figli, sia nei confronti dei genitori. Tuttavia, è fondamentale non confermare mai i giudizi negativi dei figli sui genitori, proprio per evitare di acuire il conflitto intrapsichico che essi stanno vivendo. Occorre anche non minimizzare una vicenda del conflitto. Le parole dell’adulto devono evocare un progetto di crescita autonoma del figlio, sollecitando in lui la fiducia nei propri mezzi e l’autostima. L’idea chiave è che il figlio deve essere spinto a diventare padre e madre di sé stesso, cioè deve continuare il suo percorso di crescita orientata, fissando a sé stesso dei compiti di sviluppo adulto. Viceversa, forme di compassione o di compensazione affettiva rischiano di spingere questo figlio ad irrigidire un’immagine di sé come bambino impotente e bisognoso di aiuto. Occorre lavorare per spingere il bambino/ragazzo a modificare la propria autorappresentazione. Il tema dell’autorappresentazione, riconosciuta come una determinante inibitoria, fu un’intuizione di Piero Bertolini. Egli ha teorizzato che l’azione educativa deve sollecitare in primo luogo un mutamento della rappresentazione interna del soggetto giovane, come condizione perché questi divenga il protagonista della propria trasformazione. Per uscire dalla trappola di un’autorappresentazione svalutante, un ragazzo deve percepire altre possibilità di essere come realizzabili per sé. Nei contesti educativi esistono modalità indirette per sollecitare tale trasformazione, accompagnando impegni di tipo scolastico, sportivo, artistico, in cui il ragazzo possa mettersi alla prova e sviluppare sicurezza e autostima. Per un certo verso, occorre dunque che il figlio venga sollecitato ad aiutare e sostenere i suoi genitori in conflitto, anche per modificare la sua rappresentazione di ostaggio passivo fra di loro. Il fattore più forte di resilienza, e la risorsa educativa più potente, per ogni soggetto in età evolutiva, è l’educazione religiosa. Essa, stimolando il senso di trascendenza, modificando la socialità in termini solidali, ridimensionando le pretese narcisistiche dell’Io, costituisce la risorsa personale più efficace che spinge il soggetto giovane a guardare in alto e lontano. Accogliere e accompagnare: la comunicazione nelle comunità ecclesiali In AL il Papa scrive che la Chiesa dovrebbe accompagnare con attenzione e premura i suoi figli più fragili, segnati dall’amore ferito e smarrito, ridonando fiducia e speranza, come la luce del faro di un porto, per coloro che hanno perso la rotta. Occorre dunque reintegrare, anche nella comunione imperfetta, tutti coloro che lo desiderano sinceramente. Separati e divorziati non cessano di essere figli di Dio e fratelli nella comunione ecclesiale, quindi partecipano alla vita della Chiesa. Il colloquio come luogo di accoglienza e la consulenza pedagogica Esistono degli spazi comunicativi privilegiati, delle forme di aggregazione anche transitorie in cui una comunità ecclesiale può farsi presente. Un primo spazio comunicativo riguarda i sacerdoti, sia nel sacramento sia nella confessione, sia in tutte le forme di colloquio personale. In una recente indagine si nota come le persone si rivolgano, in occasioni di difficoltà personali, nel 70% dei casi a un sacerdote, nel 10% ad un laico/a e nell’8% ad una suora. Accanto ai sacerdoti dobbiamo pensare ai laici, come insegnanti di religione, catechisti o educatori parrocchiali. Fuori dall’ambito ecclesiale sono gli insegnanti le figure più spesso coinvolte. Ne possiamo concludere che la capacità di condurre un colloquio utilizzando forme di ascolto attivo dovrebbe sempre far parte dei percorsi formativi di sacerdoti, educatori e insegnanti. Sempre nell’ambito ecclesiale, altre occasioni di confronto in cui praticare l’ascolto attivo sono gli incontri di tipo culturale e formativo. Il problema di questi gruppi è che spesso le parrocchie tendono ad evidenziare maggiormente il tipo di pubblico a cui è dedicato l’incontro, e non tanto i contenuti significativi affrontati. Con ciò si tende ad escludere certi target che potrebbero beneficiare dell’incontro. Ad esempio, se si propone un incontro sull’educazione dei figli indicando come pubblico prescelto le “coppie adulte”, si esclude già una grossa fetta di popolazione, come genitori single, o coppie divorziate o separate, che sono già sensibili ad una loro presunta e intenzionale esclusione dall’iniziativa. In molti casi da questi incontri nasce il desiderio di avere un incontro personale, ed è bene che la parrocchia disponga di un responsabile laico, o che possa indirizzare la persona ad un consultorio o a singoli consulenti. Una questione importante è l’identità professionale di questi consulenti e la loro metodologia, poiché non tutte le “scuole” sono adatte a rispondere ai bisogni degli interessati. Spesso i coniugi non necessitano di essere patologizzati o psichiatrizzati, ma hanno bisogno di prendere coscienza della propria situazione e di essere re indirizzati verso atteggiamenti più efficaci. Le consulenze non dovrebbero mai protrarsi oltre la soglia di qualche mese, poiché quando il percorso si fa troppo lungo c’è la tendenza del singolo a sviluppare una dipendenza. L’ascolto attivo come strategia e come principio generale Oggi l’ascolto attivo è una strategia comunicativa ampiamente sottovalutata, almeno negli ambienti di formazione, perché associata o identificata con una pura dimensione emozionale/affettiva, o tutt’al più etica. Questa strategia ha in realtà anche una forte componente intellettiva: costituisce una forma di intelligenza della comunicazione, perché suppone la concentrazione di un’attenzione intelligente verso la verbalizzazione e l’espressione dell’altro. Occorre la creazione di uno spazio di silenzio interno in cui collocare ciò che viene ascoltato. Chi ascolta rivolge così tutta la propria attenzione positiva all’altro, accantonando il proprio pensiero e il proprio giudizio. Carl Rogers, un neofreudiano, fu il primo a sottolineare l’importanza dell’ascolto attivo, da lui definito empatico. È stato classificato anche come appartenente ad un approccio psicoanalitico umanistico esistenziale, per le sue teorie ampiamente compatibili con le filosofie religiose. Rogers e la sua scuola sottolinearono: - La dimensione dell’accettazione incondizionata propria dell’ascolto empatico - La necessità di un’autenticità/congruenza emozionale nella persona che ascolta (in genere un consulente/formatore) - L’importanza di un ascolto intelligente, che non si imiti a considerare le parole, ma che sia capace di tener conto della globalità dell’espressione dell’altro In tal modo l’ascolto attivo di impronta rogersiana accoglie e riconosce le emozioni e i sentimenti e non solo i contenuti espressi nelle comunicazioni umane. Il secondo momento dell’ascolto attivo è la riverbalizzazione, che consiste nel ri-esprimere/riformulare con altre parole il contenuto della comunicazione verbale, chiedendo la conferma del partner comunicativo rispetto alla corretta interpretazione della sua verbalizzazione. Il consulente ascoltatore deve anche impedire che l’Io del cliente si chiuda nelle proprie rappresentazioni interne, nei limiti del proprio vissuto: esistono sempre diversi aspetti di una questione e diverse possibilità di scelta/decisione. L’io del parlante deve anche potersi decentrare e guardare le cose da un altro punto di vista. Riproporre il volto di Dio nel conflitto coniugale Il senso di appartenenza iniziale alla propria famiglia come unità super individuale costituisce un elemento importante nella costruzione dell’identità personale. Occorre ricordare ai membri di famiglie in conflitto che esiste una più profonda unità, al di là di ciò che li ha contrapposti e separati. Esiste un vincolo spirituale che viene restaurato perennemente dalla capacità di perdono reciproco, dalla esperienza del pregare gli uni per gli altri. È solo nel cuore di Dio che il vincolo familiare risplenderà di nuovo nella sua pienezza, ma occorre che continuiamo a rigenerarlo attraverso la preghiera, che costituisce la più alta espressione di solidarietà personale.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved