Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

pedagogia dell'infanzia e della famiglia, Dispense di Pedagogia

L’affermazione dei diritti dell’infanzia ha una lunga storia che non fu lineare e né ancora oggi appare giunta a pieno compimento. È nei secoli dei lumi che si afferma e si diffonde, nei ceti alti, una nuova concezione dell’infanzia a partire dalla provocatoria affermazione di Rousseau nell’Emilio, secondo la quale l’infanzia non è conosciuta, ha modi di vedere, pensare, sentire che sono suoi propri. Il ‘700 è stato definito il secolo della pedagogia per l’attenzione riservata al bambino da pedagogisti, medici, filantropi; mentre l’800 è stato chiamato il secolo della scuola, perché in questo ultimo secolo è stato introdotto l’obbligo scolastico e la formazione dei maestri e si sono fatti carico dell’istruzione secondaria, secondo un processo che, con tempi e modalità diverse, ha comunque inciso in modo notevole sulla vita di un crescente numero di bambini e bambine.

Tipologia: Dispense

2021/2022

Caricato il 22/03/2024

_eleg00_
_eleg00_ 🇮🇹

8 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica pedagogia dell'infanzia e della famiglia e più Dispense in PDF di Pedagogia solo su Docsity! INTRODUZIONE E CULTURA DELL’INFANZIA Storia dell’infanzia e diritti dei bambini: L’affermazione dei diritti dell’infanzia ha una lunga storia che non fu lineare e né ancora oggi appare giunta a pieno compimento. È nei secoli dei lumi che si afferma e si diffonde, nei ceti alti, una nuova concezione dell’infanzia a partire dalla provocatoria affermazione di Rousseau nell’Emilio, secondo la quale l’infanzia non è conosciuta, ha modi di vedere, pensare, sentire che sono suoi propri. Il ‘700 è stato definito il secolo della pedagogia per l’attenzione riservata al bambino da pedagogisti, medici, filantropi; mentre l’800 è stato chiamato il secolo della scuola, perché in questo ultimo secolo è stato introdotto l’obbligo scolastico e la formazione dei maestri e si sono fatti carico dell’istruzione secondaria, secondo un processo che, con tempi e modalità diverse, ha comunque inciso in modo notevole sulla vita di un crescente numero di bambini e bambine. - La visione romantica del bambino come essere puro e innocente - La lenta affermazione accademica della pedagogia, via via presente negli atenei europei - La volontà dei governi di togliere alle chiese il controllo dell’educazione dei piccoli per educarli già a scuola ad essere cittadini onesti, laboriosi e patrioti Tutto ciò favorì nel XIX secolo lo sviluppo non solo quantitativo delle scuole popolari, ma anche il graduale miglioramento della preparazione dei maestri, pur permanendo forti differenze tra città e campagna e tra diverse aree europee. Al contempo, si registrarono i progressi della medicina e dell’igiene pubblica e il forte impegno per la tutela della salute dei bambini da parte della medicina sociale, spesso di connotazione positivistica o massonica, che condusse campagne di divulgazione scientifica e che vide suoi esponenti impegnati anche nelle amministrazioni pubbliche. Nonostante gli indubbi progressi, alle soglie del Novecento ancora un quarto dei nati moriva prima di raggiungere i 12 mesi di età. Le politiche di tutela della salute dell’infanzia e di prevenzione furono portate avanti con successo nel ‘900, sino ad abbattere in Europa la mortalità e la morbilità infantile. La creazione di strutture pediatriche, si diffuse via via nell’800 attestando l’avvenuto riconoscimento anche in medicina della diversità del bambino, che soffre di patologie specifiche. Pedagogia e medicina osservarono i bambini, scoprendone le caratteristiche peculiari e proponendo strategie per migliorarne la crescita e l’apprendimento; ma nell’Ottocento l’investimento politico era ancora scarso, anche per ragioni economiche, e orientato a una assistenza limitata: le chiese, protestanti e cattolica, sopperivano ai campi lasciati troppo spesso ancora vuoti dallo Stato, quali l’assistenza ai bambini disabili, alle fanciulle pericolanti, alle famiglie in povertà. I fanciulli devianti o delinquenti erano rinchiusi in istituti che poco avevano di educativo e molto di carcerario. Anche la chiusura delle ruote, ove si depositavano i lattanti abbandonati, avvenne non tanto per la tutela dei bambini, quanto il decoro della famiglia: nati per salvare i piccoli concepiti fuori dal matrimonio e per proteggere l’onore delle madri nubili, i brefotrofi europei nel corso dell’800 accolsero in numero crescente figli legittimi, che le famiglie, mononucleari in città, non riuscivano a crescere. Agli occhi della famiglia borghese l’abbandono di un figlio legittimo appariva immorale e intollerabile, ma la chiusura delle ruote non si accompagnò ad una legge che tutelasse la maternità né che sostenesse le famiglie povere numerose. I nidi per i bimbi piccoli erano una realtà a fine secolo diffusa in Europa, ma in modo insufficiente rispetto al bisogno e a carico totale della filantropia privata. Per le madri nubili restò la possibilità di abbandonare il figlio: il legislatore si curava più del loro onore, che del legame parentale da preservare. Ancora ignorate erano le parole di Pestalozzi su come aiutare le madri di figli illegittimi. Alle soglie del nuovo secolo ma soprattutto nel corso del ‘900, sulla spinta proveniente dalla medicina sociale si registrarono in Europa campagne per la tutela della salute dei bambini e delle madri: prime forme di protezione della maternità, riduzione delle ore di lavoro, scuole all’aperto, campagne contro il rachitismo, mense scolastiche ecc. Il welfare per l’infanzia si sviluppò lentamente nel ‘900, quando gli stati dedicarono ai bambini maggiori attenzioni, non solo mediche e scolastiche. La protezione dell’infanzia si inseriva nella cultura pedagogica dell’attivismo e delle scuole nuove, ma ebbe a scontrarsi con le guerre mondiali e le politiche totalitarie. Il massiccio investimento sui giovani effettuato dai regimi totalitari rispondeva a interessi dello Stato-partito, che potevano coincidere con un maggior benessere dei ragazzi, ma che irreggimentavano l’infanzia e la gioventù in strutture, dall’ONB alla Hitler- Jugend, con una fortissima struttura ideologica. I bambini erano oggetto e non soggetto delle politiche statali. Anche quando tali politiche si mossero avendo per obiettivo lo sviluppo dell’autonomia dei bambini, come nelle Svezia degli anni ’70 e’80 , ove si promosse un simile programma di educazione della prima e seconda infanzia, non furono i bambini o le famiglie a esprimere i loro bisogni, ma fu lo stato che ne fece interprete. E’ stato sottolineato come il crescente interesse degli stati verso l’infanzia, nel corso del XX secolo, nascesse da un lato dalla consapevolezza del bisogno di protezione di cui necessitano i bambini, dall’altra però mascherasse spesso una volontà di controllo, presente anche nei regimi democratici, cui si contrapposero negli anni ’60 e ’80 soprattutto quanti invece riconoscevano al bambino il diritto all’autodeterminazione. Il secolo dei bambini presenta luci ed ombre che ancora si proiettano sul XXI secolo. Cultura dell’infanzia e servizi Si afferma nel ‘900 il concetto di cultura dell’infanzia, che consente anche di sviluppare forme artistiche più aderenti alla mentalità infantile e adolescenziale. In sociologia e psicologia il bambino viene studiato con un approccio etnografico, come soggetto libero, capace di interpretare il mondo e di sviluppare suoi codici simbolici, di gruppo e di genere. Anche in Italia si sviluppa una riflessione pedagogica e storica sulla KinderKultur o children’s culture, concetto che in realtà si sdoppia in cultura per i bambini e cultura dei bambini. Tale tema va poi ad intrecciarsi con una riflessione sui diritti dell’infanzia che, a partire dalla Convention on the Right of the Child, ha portato i paesi sottoscriventi a concentrare l’attenzione sul bambino come soggetto di diritti propri, da tutelare. Al tempo stessi il rischio è quello di idealizzare l’infanzia, ripercorrendo il modello romantico e finendo ancora per dimenticarsi i bambini, intesi come soggetti reali, portatori di una propria storia. In questi termini, è necessaria una riflessione critica sui diritti dell’infanzia quali storicamente e culturalmente situati per comprendere cosa concretamente significa garantire ai bambini e alle bambine i propri diritti. Una linea di attenzione costante è quella connessa al ruolo pedagogico, sociale e culturale dei servizi per l’infanzia. In diversi contributi gli studiosi italiani hanno sottolineato la necessità di un investimento politico e culturale sui servizi per l’infanzia, spazio pubblico di transizione tra il famigliare e la comunità. L’attenzione pedagogica è sui modelli educativi nei servizi alla prima infanzia, così come alla formazione necessaria per gli operatori, e si inserisce in una ampia riflessione europea. Coerentemente altri studi dimostrano che gli esseri umani devono essere parte di sistemi aperti, funzionalmente legati ad altri sistemi in relazione con un contesto di riferimento e soggetti a cambiamenti in funzione del variare delle condizioni ambientali e delle loro stesse attività. La ricerca evidenzia che la plasticità neuronale e la modificabilità cognitiva caratterizzano il cervello in ogni età e in particolare nelle prime età della vita, in quanto esiste un rapporto significativo tra esperienza precoce e funzione cerebrale. L’io e la coscienza di sé sono il prodotto di un Io come corpo in azione nel contesto concreto di appartenenza. L’io e la coscienza di sé sono anche un “Io come racconto”, ossia il prodotto di una storia che raccontiamo a noi stessi per mettere ordine e attribuire significati e coerenza al succedersi dei fatti della nostra vita. L’immagine e la coscienza di sé si co-costruisce attraverso stratificazioni progressive di rappresentazioni e narrazioni. Le radici cognitivo/emotive tracciano curiosità, ambiti materiali, frames attitudinali, saperi impliciti preziosi. Permettono di scoprire/conoscere la similarità, sperimentare la coesione per poter progressivamente acquisire consapevolezza dell’alterità La costruzione dell’identità inizia molto presto nell’ambiente in cui il bambino si muove e agisce, dove costruisce e riconosce appartenenze linguistiche, religiose e morali. Nella costruzione dell’identità la dimensione motoria è stata finora sottovalutata a scapito di una dimensione cognitiva disincarnata. Prima ancora della nascita delle neuroscienze e della psicologia cognitiva Maria Montessori descrisse queste caratteristiche della mente infantile nel suo volume, dove evidenziò che il bambino crea il proprio pensiero e una propria visione del mondo attraverso l’esperienza con l’ambiente. L’autoconsapevolezza emozionale e cognitiva La plasticità e modificabilità cognitiva del cervello e l’evidente importanza delle esperienze precoci chiede di promuovere fin dall’età più tenera qualità umane evolute come pro-socialità, comprensione, ascolto, comunicazione intenzionale e cooperazione. L’autoconsapevolezza cognitivo-emotiva può essere gravemente compromessa in mancanza di queste qualità, che dovrebbero essere sperimentate, esercitate, padroneggiate nei contesti formali e non formali. L’autoconsapevolezza emozionale richiede lo sviluppo della capacità di riconoscere le sensazioni provate in relazione a una particolare emozione, di sapere esplicitare verbalmente che cosa si è provato e descrivere l’evento che ha scatenato l’emozione, saper riconoscere ed elaborare pensieri, emozioni e sentimenti imparando a gestirli. Contesti e attività per bambini Come si è detto, tutte le età della vita sono importanti per lo sviluppo delle dimensioni dell’esistenza e per la realizzazione delle persone, nella loro umanità e ricchezza culturale e spirituale sia come produttori sia come cittadini. Vi sono età particolari in cui si creano matrici in cui verranno incisi veri e propri “copioni” che orienteranno e condizioneranno l’azione e l’apprendimento. Le prime scuole rappresentano una grande esperienza di continuità nella discontinuità. La responsabilità educativa comporta l’impegno ad accompagnare e sostenere lo sviluppo dell’identità attraverso un succedersi incessante di differenziazioni e integrazioni, e consiste nell’assumere i singoli bambini, i sottogruppi, la classe come misura delle scelte e dell’azione didattica. In accordo con Dewey l’esperienza è dotata di valore educativo se riesce a creare relazioni intersoggettive in grado di andare oltre all’apparenza: - Sa avvalersi delle esperienze fatte e delle piccole storie per dilatare la possibilità di esperienze successive. Sa riconoscere/rispettare la maturità relative, le appartenenze linguistiche e culturali, tempi, ritmi, siti cognitivi personali, perché ogni età ha particolari caratteristiche biologiche e ogni bambino ha una propria individualità - Costruire nuove esperienze e progetti in cui i bambini possano agire in prima persona. Dewey enfatizza le componenti essenziali dell’apprendimento in senso profondo distinguendo informazione e conoscenza; attenzione sulla comprensione; considera la riflessione come il processo-chiave dell’apprendimento. West-Burnham elenca cinque forme di apprendimento: - Incremento quantitativo di informazione - Memorizzazione - Sviluppo di abilità e tecniche - Comprensione, nel senso di capacità di cogliere le relazioni e di avere consapevolezza dei processi coinvolti - Capacità di creare nuove realtà, di valutazione critica e ristrutturazione della conoscenza Nello shallow learning io mi avvalgo delle mie abituali tattiche. Se non riesco nel mio intento adottando le tattiche abituali rifletto e cerco di comprendere per cambiare i miei obiettivi e strategie. Se ancora la situazione mi sfida cerco di comprendere ancora più a fondo la situazione e provo a cambiare il mio stesso modo di vedere e di affrontarli. I principali indicatori del deep e del profound learning sono: - l’abilità di creare e scambiare significati - analizzare e codificare - descrivere, modellare e illustrare - riconoscere e creare connessione - problematizzare - comparare - contestualizzare - formulare ipotesi e generalizzare - trasporre la teoria nella pratica - avere auto-consapevolezza e orientamento Vi sono alcune strategie che possono supportare lo sviluppo di un apprendimento in senso profondo: comprensione dei propri stili di apprendimento, attitudini, disposizioni e motivazioni; utilizzo di un portfolio di strategie cognitive; problem solving; approccio costruttivista e ampio uso di coaching di piccolo gruppo riguardo l’uso di strategie mentoring; autoconsapevolezza emotiva; percorsi personalizzati; considerazione dell’allievo nella sua interezza riconoscendo il ruolo della famiglia e della comunità; revisione sistematica e riflessione. Si tratta di strategie proprie di approcci come l’experiential learning e il cooperative learning; approcci purtroppo troppo frequentemente considerati come un insieme di tecniche piuttosto che metodologie supportate da riferimenti teorici costruttivisti e contestualisti e orientate a sviluppare approfondimento significativo e profondo. Le reti di per sé possono espandersi o implodere, essere centrifughe e portare alla dispersione. PEDAGOGIA E DIRITTI DEI BAMBINI ECEC, educazione permanente, diritti dell’infanzia A livello europeo, il ruolo dell’ECEC, nel quadro delle politiche formative ispirata alla prospettiva di lifelong, lifewide learning, centrale per la costituzione di Smart Education in risalto da molteplici punti di vista. Nel rapporto ECEC del 2014 si sottolinea non solo l’importanza dell’educazione durante la prima infanzia per lo sviluppo e la crescita del bambino, ma anche i benefici che gli investimenti sulla qualità dei servizi educativi per la fascia 0-6 apportano sul piano sociale, per il contrasto ai processi di marginalizzazione cui sono esposte le famiglie e le comunità svantaggiate, all’interno delle società complesse. La prima infanzia è la fase in cui l’istruzione può influenzare in modo più efficace lo sviluppo del bambino. È sempre più riconosciuto che l’investimento in ECEC di alta qualità riduce il compito per la società in termini di talenti perduti e aiuta a ridurre le spese pubbliche a lungo termine per il benessere, la salute e persiste la giustizia, inoltre, prevede una solida base per l’apprendimento permanente di successo., un’ECEC di alta qualità porta particolari benefici ai bambini svantaggiati. Serve quindi come chiave di volta per condurre sistemi educativi più equi. L’implementazione di sistemi formativi più equi, nell’ottica della realizzazione di società inclusive, passa quindi anche dagli investimenti in servizi educativi di alta qualità per la prima infanzia. Il richiamo ulteriore che potremmo fare al riguardo chiama in causa le Conclusioni adottate dal Consiglio dell’Unione Europea nel maggio del 2011 Council conclusions on early childhood education and care: providing all our child with the best start for the world of tomorrow, in cui si riconosce che: se vengono poste solide basi durante gli anni formativi di un bambino, l’apprendimento successivo diventa più efficace ed è più probabile che continui per tutta la vita, aumentando l’equità dei risultati educativi e abbassando i costi per la società in termini di talenti perduti e pesa pubblica per il welfare, la salute e anche la giustizia. La dichiarazione di Ginevra sui diritti del fanciullo (1922-1924) Sul piano giuridico, il processo internazionale di definizione dei diritti dell’infanzia prende avvio nel 1922 con il progetto di dichiarazione ideato dalla Save the Children International Union, che due anni dopo la sua pubblicazione si concretizza nella dichiarazione di Ginevra dei diritti del fanciullo, ratificata dalla Società delle nazioni nel 1924. Siamo in una fase ancora caratterizzata da una visione per cui dire ottocentesca dell’infanzia, incentrato nell’ottica del soccorso e della salvezza delle sofferenze, che governi e istituzioni pubbliche, contemporaneamente recepiscono dalla filantropia, come hanno mostrato in particolare gli studi di Hugh Cunningham sulla storia dell’infanzia durante l’et contemporanea. In tale ottica, il bambino riesce ad emergere solo come oggetto di attenzione, bisognoso di tutela e protezione in quanto costitutivamente incompleto, mentre le emergenze legate alle condizioni di vita dell’infanzia sono interpretate come vere e proprie piaghe sociali e l’articolazione dei diritti in questa fase risulta totalmente assorbita da quella che oggi indicheremmo come la dimensione della protezione. I diritti dell’infanzia in quella fase storica riescono a intercettare solo la dimensione basilare del diritto alla vita e di ciò che serve al suo mantenimento. - nelle sperimentazioni educative e didattiche proposte nel modello della scuola attiva possiamo trovare in nice il riconoscimento delle libertà fondamentali e dell’agentività del bambino. Inspire – seven strategies for ending violence - violenza fisica - maltrattamento - violenza sessuale - violenza psicologica e violenza assistito - bullismo e cyberbullismo - violenza giovanile - mutilazioni genitali femminili cornice pedagogica della CRC - principio di non-discriminazione: l’età come sintomo - criterio del migliore interesse del bambino: sul concetto di migliore in rapporto ad altre categorie pedagogiche (come puerocentrismo) - paradigma relazionale: sulla concretezza dei diritti e il rapporto tra paritarietà e asimmetria - diritto ad essere ascoltato: su partecipazione, ascolto e dialogo tonico Nidi e infanzia – ricerca pedagogica, educabilità e qualità L’attenzione verso i bisogni della crescita, apprendimento e benessere dei bambini si esprime oggi, significativamente e in modo integrato, nelle strutture identificate come ECEC, rivolte alla fascia 0-6. Per esempio, l’atto intitolato “Efficacia ed Equità nei sistemi europei di istruzione e formazione” definisce espressamente l’educazione preprimaria come mezzo efficace per creare le basi di ulteriori apprendimenti, prevenendo l’abbandono scolastico, rendendo più equi i risultati ed elaborando i livelli complessivi di capacità. La prima infanzia viene nominato come periodo critico in quanto passivo, di grandi opportunità e al tempo stesso di forte vulnerabilità, andrebbe dedicata una speciale attenzione per garantire il diritto di tutti i bambini ad un pieno sviluppo del proprio potenziale. In Europa questi servizi per l’infanzia risultano ancora fortemente differenziati tra gli stati membri e lo riconduce a due modelli di offerta: - sistema integrato 0-6 anni: prevalente nei paesi nordici, ad accesso garantito per tutti i bambini e le bambine, affidati a personale educativo dalla qualifica omogenea e affiancato da altre figure professionali - sistema differenziato per fasce, di norma 0-3 e 3-6 anni: solitamente governati da ministeri diversi, con una formazione del personale distinta in base all’età dei destinatari e una condizione di accesso variabile, maggiormente coperta nel segmento 3-6 anni e tuttora generalmente insufficiente per la fascia 0-3. In alcuni paesi questi modelli coesistono. In Italia l’obiettivo comunitario era quello del 33% di copertura fissato dal Consiglio europeo di Lisbona del 2000, che non è stato ancora raggiunto nel 2016 e si registra una marcata eterogeneità territoriale. La disponibilità di servizi per la prima infanzia mostra una seria criticità riguardo alle pari opportunità educative dei bambini e delle bambine in relazione all’area geografica di residenza. La disparità è evidente tra le regioni del centro-nord e quelle del Mezzogiorno. Le risorse statali straordinarie stanziate per il PAC a disposizione dei territori per raggiungere l’obiettivo di incrementare i posti presso i servizi socioeducativi per la prima infanzia sostenerne i costi e garantirne la qualità risultano utilizzate in modo differente da regione a regione. Ad oggi permangono numerose difficoltà strutturali e progettuali, oltre che economiche. Lo scambio di esperienze, riflessioni, modelli, provvedimenti normativi ha comunque promosso, a livello nazionale, una vivace circolazione di idee non soltanto riguardo al problema della copertura, ma anche in relazione all’identità educativa dell’offerta, nella direzione, inizialmente sostenuta e condivisa solo a macchi di leopardo, di quella ridefinizione globale della finalità dei servizi che risale formalmente alla riforma del Titolo V della Costituzione e alle varie sentenze della Corte Costituzionale che l’hanno accompagnata. Lo sviluppo dei servizi per la prima infanzia pare così apertamente e stabilmente orientato alla preminenza della specificità educativa sulla curvatura assistenziale che ne aveva durevolmente caratterizzato il valore percepito e l’interesse sociale. Questo cambiamento culturale estende la prospettiva dai bisogni degli adulti di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, con particolare riferimento alla sfera famigliare e alla cura dei figli. Rispetto al modello italiano ECEC, attualmente differenziato per fasce di età, si delinea un’innovazione verso il sistema integrato, con la riforma del sistema nazionale di istruzione e formazione prevista dalla legge 107 del 13 luglio 2015, che sancisce: “ l’istituzione del sistema integrato di educazione e di istruzione dalla nascita fino ai sei anni, al fine di garantire ai bambini pari opportunità di educazione, istruzione, cura, relazione e gioco, superando disuguaglianze e barriere territoriali, economiche, etniche e culturali”. Tale disegno nazionale riafferma il valore educativo dell’ECEC e impone ulteriori approfondimenti rispetto alle sfide pedagogiche, sociali e, più diffusamente, culturali che la legittima aspirazione all’equità pone all’insieme del sistema formativo. I servizi per la prima infanzia costituiscono una realtà in movimento, in accordo con i rapidi, plurali e spesso dissonanti mutamenti del contesto sociale, e non soltanto con riferimento al necessario incremento delle opportunità di accesso: qualità e quantità non sono proprietà antagoniste in un’ottica educativa e non solo assistenziale. Ciò che emerge da questa riflessione è che l’esperienza dei paesi OCSE indica che non ci sono alternative a basso prezzo che non compromettono il futuro del bambino. Peraltro, il documento OCSE del 2012 mostra che i numerosi benefici dell’ECEC sono strettamente vincolati alla qualità dei servizi, oltre che alla loro disponibilità, pertanto ogni discorso sull’equità è ugualmente un ragionamento sulla qualità. Questo tema è presente nel dibattito sulle politiche socioeducative con un’accezione prevalentemente normativa della qualità, declinata in termini di efficacia ed efficienza, riferita a standard. Negli anni 90 iniziano ad affermarsi approcci partecipativi con criteri inscritti nei paradigmi della contestualità e della complessità che valorizzano il partenariato con le famiglie e l’ancoraggio nel territorio. Il fiore dell’educabilità -> il fiore come una metafora legata alla cura, alla diversità. Il fiore che riporta a un’esperienza che rappresenta un’alternativa all’esperienza educativa tradizionale. Così un nido nel bosco non coincide con un’azienda agricola o un sito in cui compiere esperienze di natura, uno spazio-famiglia non è un parco giochi coperto, un nido sonoro non è una struttura pre-accademica per coltivare competenze musicali precoci, una garderia bilingue non è un luogo di pratiche di immersione linguistica. La valorizzazione delle specificità passa attraverso la loro integrazione armoniosa e coerente nel progetto pedagogico del servizio che diviene così l’unità basilare di riferimento perla costruzione di identità e la valutazione della qualità. Il tratto identitario per eccellenza che fonda e legittima ogni scelta pedagogica è il principio di educabilità, fulcro primario della mediazione tra la teoria e la prassi. Il principio di educabilità-> rappresenta in quanto principio, la sfida etica più alta alla responsabilità adulta verso l’infanzia. Al tempo stesso, sul piano della sua concreta traduzione pedagogica didattica, costituisce un precipitato della trama storico culturale di valori, idee di bambino e del suo sviluppo, sistemi di credenze che compone e configura, spesso in modo implicito e contradditorio, le decisioni educative che ne orienta la progettualità. Il principio di educabilità non può essere applicato, ma esige di essere interpretato. La dimensione critico-ermeneutica risulta il baricentro della triangolazione teoria-prassi-teoria e incorpora quell’intreccio di incertezza, provvisorietà, creatività, dinamismo evolutivo che rende unici i fatti e i fenomeni educativi, ma rischia di disorientare gli attori impegnati in processi di implementazione della qualità. La ricerca pedagogica svolge un ruolo cruciale nel sostenere la costruzione di significati tra coloro che a vario titolo operano per assicurare qualità, mettendo a disposizione parametri di congruenza epistemologica, pertinenza concettuale, compatibilità metodologico-procedurale, accogliendo percorsi non predefiniti e partecipati che conducono a interpretazioni. Le insidie di una declinazione riduttiva o parziale del principio di educabilità si manifestano sotto forma di deroghe, limitazioni, sospensioni, eccezioni connesse a caratteristiche, strutturali o contingenti, di destinatari, dei responsabili, dei mediatori, delle sedi, dell’organizzatore, dell’azione educativa. La facilità risiede nella subordinazione della progettualità a modelli deterministici, nel primato della razionalità tecnica sulla razionalità riflessiva o nel dominio di una logica di adattamento a scapito di una logica di compatibilità. Nel quadro delle attuali trasformazioni dei servizi per la prima infanzia, rendere intelligibile la realtà educativa alla luce del principio di educabilità può sostenere il perseguimento della qualità in un’ottica identitaria che accoglie, valorizza e mette a confronto in una prospettiva evolutiva la storia, le aspirazioni, le teorie implicite, i modelli espliciti, le pratiche, le risorse e i vincoli di situazione di una particolare struttura. Fra le operazioni metodiche indirizzate all’accrescimento dell’intelligibilità, il ricorso a modelli è una prassi che consente una molteplicità di livelli di analisi e offre la possibilità di avviare processi mirati di contestualizzazione-decontestualizzazione-ricontestualizzazione del dato educativo. L’immagine del fiore, “la parte più bella e appariscente della pianta, che contiene gli apparati della riproduzione” sembra adatta a restituire la generatività e la preziosa dignità del principio di educabilità, come pure la sua impalpabile delicatezza, che invoca cura pedagogica attraverso un impegno costante e vigile dedicato a preservarne l’universalità, espressione della direzione utopica e della logica del possibile che presiedono a ogni gesto schiettamente educativo. Il fiore è stato elaborato idealmente attraverso sei concetti chiave, scelti per la loro significativa complementarietà nel concorrere a produrre educabilità: - partecipazione - accoglienza - innovazione - qualità - equità - intenzionalità Il personale educativo cura la documentazione e diffusione dei progetti e delle esperienze di ciascun servizio attraverso appositi strumenti: foto, diari, pubblicazioni. Il coordinatore pedagogico predispone adeguati strumenti per la rilevazione della qualità percepita, dando alle famiglie l’opportunità di esprimersi coinvolgendole nella fase di restituzione dei risultati e al personale educativo la possibilità di conoscere i risultati così da migliorare il proprio agire educativo e approfondire la conoscenza dei bisogni espressi. Il coordinamento pedagogico predispone di formazione professionale degli operatori che lavorano all’interno dei servizi per aggiornare continuamente le loro competenze in merito al sostegno di genitorialità. Quando il progetto è stato realizzato nell’ambito del programma regionale di educazione famigliare e nasce dalle riflessioni, maturate in questi anni all’interno del servizio asilo nido del comune di Firenze, sul ruolo genitoriale. Genitori insieme è un progetto complesso di sostegno alla genitorialità che nasce dalla necessità di ribaltare il modello tradizionale di conferenze a tema, condotte da esperti del settore a favore di incontri rivolti a gruppi non troppo numerosi di genitori nei quali un educatore o un coordinatore pedagogico riveste il ruolo di facilitatore della comunicazione e delle relazioni. Il conduttore ha il compito di: - Non imporre le proprie certezze e i propri modelli educativi - Assumere una posizione di accoglienza, accettazione e ascolto - Incentivare il confronto e la libera circolazione di idee tra i partecipanti - Favorire la condivisione e l’integrazione dei diversi contributi. Il progetto intende attivare un processo di autoeducazione dei genitori coinvolti per: - Far scoprire a ciascun genitore le proprie qualità, risorse, competenze rafforzando la fiducia in se stessi - Favorire il confronto e la condivisione di esperienze per affrontare in gruppo le difficoltà insite nel ruolo genitoriale. - Diffondere nuove pratiche educative attraverso lo scambio di esperienze e i suggerimenti fra i membri del gruppo - Individuare strategie per sdrammatizzare le situazioni e facilitare la comunicazione all’interno della famiglia - Aiutare le famiglie a sviluppare una propria creatività educativa - Permettere la creazione di nuove relazioni sociali tra famiglie del territorio cittadino - Rafforzare nei genitori la consapevolezza che ognuno ha il potere di operare su se stesso un cambiamento costruttivo - Favorire il cambiamento in un contesto ampio Progetto genitori insieme: fase I: un primo percorso di sostegno alla genitorialità, a carattere sperimentale, ha preso avvio a Firenze nell’aprile 2000 con la sua realizzazione di sei incontri, di due ore ciascuno, a cadenza settimanale, rivolti a genitori di bambini frequentanti quattro servizi educativi alla prima infanzia gestiti dal comune. Si tratta di un’esperienza di educazione famigliare e sostegno alla funzione genitoriale, promossa dall’istituto degli innocenti, che ha coinvolto comuni, ASL e scuole della regione Toscana nell’attivazione di gruppi di genitori utenti dei servizi. Due educatrici dei servizi alla prima infanzia e una coordinatrice pedagogica che avevano già esperienza di conduzione di gruppi, dopo aver partecipato a un seminario di formazione organizzato dall’istituto degli innocenti, hanno attivato due gruppi in diverse zone delle città. … ESSERE GENITORI AL TEMPO DEL COVID Per i nuclei famigliari contemporanei mantenere un equilibrio relazionale, conciliare le esigenze della vita lavorativa con quelle del lavoro di cura famigliare, condividere equamente il carico di responsabilità tra partner e funzionare bene dal punto di vista educativo, è una vera e propria scommessa. Il potere educativo delle famiglie, oggi si può esplicitare attraverso la loro capacità di accompagnare i giovani, sin dalla prima infanzia, in percorsi di crescita umana che insegnino, a comunicare adeguatamente, ascoltare, riconoscere e tollerare le differenze esprimersi in modo efficace, assumersi l’impegno del confronto e tollerare le frustrazioni del compromesso e del conflitto, agire in base a un sistema valoriale di riferimento che abbia un alto significato etico. Tra le condizioni che caratterizzano una famiglia funzionale, un elemento fondamentale è la capacità di garantire solidarietà e continuità delle relazioni interpersonali, facendo effettivamente fronte ai cambiamenti e alle crisi: di fronte a un evento destabilizzante le famiglie dovrebbero poter reagire con la ricerca di soluzioni per poi raggiungere un nuovo equilibrio organizzativo. Far fronte agli eventi critici-> i fattori che rendono le famiglie maggiormente capaci di far fronte agli eventi critici in modo adeguato e resiliente, vedono in primo piano la capacità di utilizzare al meglio le risorse disponibili nel loro sistema e che sono riconducibili agli stili di funzionamento, al modo in cui sono gestiti e integrati i bisogni di unità e stabilità con quelli di crescita, trasformazione e autonomia. L’esito più o meno positivo dei meccanismi di adattamento dipende anche da una serie di fattori che entrano in gioco costantemente come ad esempio: - Intensità e gravità delle difficoltà generate da ogni evento critico - I modelli di costruzione del significato - Aspettative - Regole implicite ed esplicite che vigono per i membri della famiglia e nel contesto sociale in cui essi sono inseriti Per fare fronte ad n evento critico, ogni famiglia, deve poter attingere alle risorse personali dei singoli membri, ma anche a risorse di gruppi come la coesione, l’adattabilità, le capacità di comunicare efficacemente, gestire i conflitti, sostenersi emotivamente e la consapevolezza delle dinamiche relazionali in atto. Una visione di sistema degli eventi critici: ulteriori elementi sono le risorse sociali, ossia le risorse di cui le famiglie possono usufruire nell’ambito della loro comunità di appartenenza, delle reti sociali informali e formali, tra cui i servizi sociali, sanitari, culturali, nonché misure di sostegno più concrete. È nell’interazione di questi elementi che si genera, l’esito della crisi. Le analisi, finalizzate a comprendere la portata dell’evento epocale in atto non possono prescindere dalla considerazione di questi fattori. L’epidemia di Covid-19 è uno degli eventi più impattanti che segna i percorsi esistenziali delle ultime generazioni, quelle cresciute nel boom economico, non tocca prima direttamente da fenomeni bellici, carestie o eventi distruttivi di carattere globale. L’interruzione forzata delle abitudini sociali, la privazione della libertà di movimento, l’interruzione dei servizi educativi e scolastici, il blocco del sistema produttivo, il pericolo oggettivo di contagio e il continuo susseguirsi mediatico di informazioni contenenti messaggi ansiogeni e immagini luttuose, l’incertezza delle informazioni e il proliferare delle fake news, sono solo alcuni aspetti più evidenti che stravolgono la vita quotidiana. L’impatto dell’emergenza Covid-19 sui nuclei famigliari italiani-> lo studio è stato svolto dal centro di ricerche educative su infanzia e famiglie (CREIF) del Dipartimento di Scienze dell’educazione dell’Università di Bologna, l’interesse per gli avvenimenti recenti ha suscitato un dibattito e la necessità di attivarsi per cercare di comprendere più da vicino l’impatto dell’emergenza Covid sui nuclei famigliari italiani. Nato nell’emergenza, è stato realizzato un questionario. Che poi stato diffuso attraverso la rete web. La rilevazione, si è svolta dal 31 marzo 2020 fino alla di aprile. Il questionario, riservato solo a genitori, contiene 27 domande a risposta chiusa e 2 a domande a risposta aperta, suddivisa in tre sessioni: - La prima: dedicata ai dati anagrafici, condizioni abitative e lavorative, alla composizione del nucleo famigliare e alle caratteristiche del gruppo di soggetti conviventi nel periodo di lockdown - La seconda dedicata ad indagare la relazione di coppia - La terza: intitolata “tra le misure domestiche: come l’emergenza sanitaria ha cambiato la quotidianità in famiglia” è focalizzata sulla descrizione da parte dei genitori delle nuove abitudini, dei vissuti, dei bisogni, delle risorse e del clima emotivo. Il campione di convenienza è composto da circa 800 genitori. I ben noti limiti metodologici delle rilevazioni con campione di convivenza (con metodo non probabilistico, o campione accidentale) emergono con evidenza analizzando alcune caratteristiche dei partecipanti, soprattutto per ciò che emerge nelle categorie anagrafiche di genere, titolo di studio, stato lavorativo e regione di residenza. Il campione: - Risulta formato da persone tra i 30 e i 40 anni di età per il 41%, tra i 41 e 50 per 40% - C’è una scontata dominanza femminile (90% sono madri) e vi è un alto livello di istruzione - Lo stato lavorativo nell’emergenza Covid: 58% lavora da casa; 7% si reca al lavoro come prima; 6% lavora fuori casa a orario ridotto, 3% ha perso il lavoro - I partecipanti alla rilevazione risiedono prevalentemente al nord - Il 76% è congiunto o ufficialmente convivente e di questi il 68% risiede in casa con il partner - La situazione abitativa ci offre il seguente quadro: la maggior parte ha abitazioni confortevoli. - L’età media dei figli: il 25% ha figli di età compresa tra i 3 e i 6 anni; 25% tra i 7 e gli 11 anni; il 19% ha figli minori di tre anni e i figli maggiori di 18 sono l’11% Nella sezione del questionario dedicata alla relazione con il partner osserviamo che il 79% conferma che c’è una totale presenza quotidiana; il 14% afferma che il partner sta a casa lo stesso tempo di prima dell’emergenza e solo il 7% che è più assente di prima. In merito alla relazione con il partner si rilevano le seguenti risposte che delineano una situazione piuttosto positiva. Le opzioni che hanno ottenuto più risposte sono: rassicurante; condividiamo di più i compiti famigliari; siamo più coesi. Per ciò che concerne i desideri dei partecipanti relativi ai comportamenti del partner che potrebbero facilitare il superamento della situazione di emergenza, si nota che la maggiore richiesta riguarda un maggiore predisposizione alla comunicazione. Tra le misure domestiche: come l’emergenza ha cambiato la quotidianità in famiglia-> riguardo alle opinioni sugli stati d’animo e i vissuti che i partecipanti osservano nelle proprie famiglie nel periodo di emergenza, le risposte alla domanda “nella tua famiglia, in questa situazione, osservi prevalentemente” offrono un quadro di generale positività. Alla richiesta di esprimere in merito alle difficoltà vissute dal nucleo famigliare, i rispondenti hanno indicato
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved