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Pedagogia Forense , Valutazione Responsabilità Genitoriale nella Separazione Giudiziale, Tesi di laurea di Psicopedagogia

Il seguente elaborato offre strumenti , metodologie e modelli sui generis nella valutazione delle competenze genitoriale in ambito giudiziale sul piano professionale pedagogico . A partire dall’ excursus normativo nazionale e internazionale in tema di tutela del diritto del minore all’ ascolto e alla bigenitorialità , viene sondato sul piano psicosocioeducativo il campo di indagine che attiene ai quesiti del Giudice in materia di affidi e separazioni.

Tipologia: Tesi di laurea

2018/2019

In vendita dal 19/12/2022

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Scarica Pedagogia Forense , Valutazione Responsabilità Genitoriale nella Separazione Giudiziale e più Tesi di laurea in PDF di Psicopedagogia solo su Docsity! TESI MASTER in Pedagogia Giuridica, Forense e Penitenziaria La Consulenza Tecnica del Pedagogista in ambito forense: la valutazione delle competenze genitoriali nella separazione giudiziale Candidata: Rossella Alteri Relatore: Prof.ssa Stefania Petrera Anno 2018/2019 2 Introduzione Frequentare il Master in Pedagogia giuridica, forense e penitenziaria presso l‟INPEF (Istituto Nazionale di Pedagogia Familiare) è stata un‟esperienza esclusiva e molto formativa. Esclusiva poiché la questione dell‟educazione applicata alla giustizia minorile, ai processi educativi in seno alla famiglia e alla ri-educazione del reo in fase trattamentale è poco presente, se non addirittura assente nei piani di studio dei corsi di laurea afferenti all‟area pedagogica. Indubbiamente formativa poiché ha fornito conoscenze utili fino a quel momento inesplorate e momenti fatti di esperienza, nonché osservazione e riflessione sulle istituzioni che si impegnano a garantire i diritti dei minori, ma anche i dilemmi che possono talvolta scaturire dalla gestione di realtà così complesse. È questa la consapevolezza che ci è stata trasmessa dagli insegnanti del Master, ovvero tenere sempre a mente lo spirito critico e scientifico che dovrebbe caratterizzare qualsiasi professionista dell‟ambito socio – psico – pedagogico, nonché la volontà di essere sempre aperti alla ricerca e alle sfide che ci impone la nostra società in continuo cambiamento. La tematica delle adozioni e degli affidi ha destato in me un interesse tale da indurmi, nel testo da me elaborato, all‟approfondimento sia sul piano giuridico che metodologico di un ambito ancora poco “battuto” dalla figura del Pedagogista; la valutazione della capacità genitoriale in generale, con particolare riferimento alle separazioni giudiziali, nonché il recupero della stessa partendo dai criteri prossimi all‟interesse del minore e dalle potenzialità educative dei genitori stessi. Pertanto il presente lavoro è stato compilato a seguito di una documentazione sui temi risultati utili e ai fini di una maggiore comprensione sono state predisposte delle schede di approfondimento in Appendice. La scelta di questa tematica da trattare nel presente elaborato è stata dettata dalla necessità di delineare l‟ambito di competenza professionale del pedagogista come consulente tecnico in ambito forense. Delineare l‟ambito di competenza implica, in primo luogo, stabilire cosa valutare e in secondo luogo come valutare; da qui l‟importanza di delineare un modello che permetta di “leggere” e ri-elaborare le informazioni e i dati osservabili, nonché le metodologie e gli strumenti per valutare i processi educativi con rigore scientifico e deontologico. Il modello che verrà trattato nel presente elaborato viene applicato in ambito familiare per risoluzione dei conflitti a livello di rappresentazioni educative e individuazione di buone prassi pedagogiche, ma soprattutto, può essere applicato in ambito giuridico e configurarsi quale “lente” attraverso cui leggere il materiale prodotto attraverso l‟osservazione e il colloquio nella consulenza tecnica di ufficio o di parte, nonché il modello attraverso cui implementare un progetto di recupero della responsabilità genitoriale in conformità con il mandato prescrittivo fornito dall‟autorità giudiziaria. La valutazione della capacità genitoriale così come il recupero della stessa persegue il principio della bigenitorialità (cfr. Legge n.54/2006) con lo scopo di preservare al 5 Indice CAPITOLO PRIMO - LA CRISI FAMILIARE E L’INTERVENTO IN GIUDIZIO DEL CTU 1.1 La crisi della famiglia: separazione consensuale, giudiziale e i presupposti della separazione……………………………………………………………………………....8 1.2 Bigenitorialità o affido esclusivo dei minori?……………………………………..10 1.3 Il procedimento giudiziale di separazione: la fase davanti al Presidente del Tribunale……………………………………………………………………………….13 1.4 La fase davanti al Giudice Istruttore………………………………………………15 1.5 L’ascolto del minore e il CTU……………………………………………………...16 1.6 L’intervento in giudizio del CTU…………………………………………………..19 1.7 Il consulente tecnico nei procedimenti di separazione. Il protocollo di Milano del 17 Marzo 2012………………………………………………………………………….21 1.8 Diagnosi psicologica e idoneità genitoriale………………………………………..23 CAPITOLO SECONDO – DAL QUESITO DEL GIUDICE ALL’AMBITO DI COMPETENZA DEL PEDAGOGISTA 2.1 La valutazione della capacità genitoriale………………………………………….27 2.2 Epistemologia della consulenza pedagogica in ambito forense: quale modello?..28 2.3 Asimmetria…………………………………………………………………………31 2.4 Compresenza di codice materno e codice paterno………………………………..33 2.5 Intezionalità……………………………………………………………………….36 2.6 Responsabilità direzionale………………………………………………………..39 2.7 Congedo…………………………………….......................................................42 6 CAPITOLO TERZO – METODOLOGIE E STRUMENTI DI VALUTAZIONE: L’ OSSERVAZIONE E IL COLLOQUIO 3.1 L’Osservazione in ambito educativo………………………………………………45 3.2 Esempi di disfunzionalità nella relazione educativa rilevabili dall’Osservazione……………………………………………………………………...48 3.3 Il colloquio nella consulenza pedagogica……………........................................49 3.4 Il colloquio con il minore e il disegno come strumento di valutazione………….51 CAPITOLO QUARTO – CTU E CTP 4.1 Il Pedagogista nel ruolo di Consulente Tecnico d’Ufficio del Tribunale………56 4.2 La consulenza tecnica di parte……………………………………………….... 60 4.3 Il conflitto d’interessi tra istanze di parte e tutela dei minori…………………..62 4.4 Recuperabilità genitoriale………………………………………………….…....64 Appendice…………….......................................................................69 Sitografia……………........................................................................90 Bibliografia………………….............................................................91 7 CAPITOLO PRIMO LA CRISI FAMILIARE E L’INTERVENTO IN GIUDIZIO DEL CTU 1.1 La crisi della famiglia: separazione consensuale, giudiziale e i presupposti della separazione La famiglia, intesa quale formazione sociale, naturale, fondata sul matrimonio, così come definita dall'art. 29 della Costituzione, pur essendo nata per durare a lungo nel tempo, può esaurire la sua funzione e non essere pertanto più idonea al perseguimento di quella comunione spirituale e materiale su cui si basava 1 . Al fine di risolvere le problematiche relative alla crisi della famiglia, l'ordinamento giuridico italiano, agli artt. 150 e segg. del Codice Civile, ha approntato il rimedio della separazione personale dei coniugi. Con la pronuncia di separazione vengono meno una serie di obblighi derivanti dal matrimonio, tra cui l'obbligo di coabitazione e tutta una serie di doveri che derivano dalla celebrazione del matrimonio. Tuttavia, alcuni obblighi sopravvivono alla separazione, in quanto attinenti a funzioni (come quella genitoriale di istruire, educare e mantenere la prole) di importanza superiore che non possono venir meno con la fine dell'unione coniugale, vista la necessità di proteggere i più deboli, in tal caso i figli, che risentono gravemente della crisi familiare. La separazione dei coniugi può assumere due caratteri differenti:  giudiziale, qualora venga pronunciata con sentenza dal Tribunale a seguito di un procedimento contenzioso vero e proprio, ex art. 151 c.c.;  consensuale, quando per contro i coniugi trovano un accordo in merito alle condizioni della separazione stessa, la quale si fonderà su tali accordi che, dopo un controllo di legittimità effettuato dal Tribunale, verranno omologati, ai sensi dell'art. 158, comma I, c.c. L'art 150, comma III, c.c. identifica quali soggetti legittimati a chiedere la separazione i soli coniugi, essendo questo un diritto personalissimo e pertanto indisponibile, imprescrittibile e intrasmissibile. Ma affinché la separazione possa essere pronunciata, è necessario che si verifichino, anche disgiuntamente tra loro, due presupposti, a norma di quanto disposto dall'art. 151 c.c., ossia: 1 Ruscello F., Istituzioni di diritto privato”, volume IV, II, Ed. Giuffré Editore, pag. 127. 10 e materiale della prole inteso quale “valorizzazione diretta e non già riflessa della personalità del minore, con applicazione del metodo casistico volto ad individuare il minore non come oggetto della potestà dei genitori ma come soggetto il cui grado di autodeterminazione e di discernimento determina un limite oggettivo all'esercizio della funzione educativa dei genitori, nell'ambito del diritto – dovere di questi di esercitare la loro potestà 4 . Il Giudice non solo dovrà considerare il minore quale persona dotata di proprie capacità e inclinazioni, ma dovrà altresì debitamente tenere distinti il giudizio sull'addebito 5 e quello sull'affidamento, affinché i provvedimenti in tema di affido dei figli non divengano meri strumenti di punizione o ritorsione tra i coniugi. Tuttavia occorre precisare che, anche in tema di affido esclusivo, sarà doveroso rispettare e garantire al minore il diritto alla bigenitorialità, consentendo pertanto al medesimo di intrattenere rapporti significativi con il genitore non affidatario, ove la situazione risponda agli interessi del minore stesso. Ciò avverrà attraverso la previsione di tempi ampi e significativi di visita, salvo che ciò comporti pregiudizio per il minore: in tal caso andrà esclusa qualsivoglia modalità di visita. Posto che il Giudice deve tenere in considerazione l'interesse del minore, è altresì necessaria, ai fini della pronuncia dell'affido esclusivo, la presenza di un presupposto costituito dalla inidoneità ad assumere i compiti genitoriali di cura e di educazione. Al fine di comprendere meglio quali sono i comportamenti rilevanti in tal senso, la giurisprudenza ha qualificato alcuni casi che rappresentano chiari indici di inidoneità, ovvero:  atteggiamenti di totale disinteresse nei confronti del figlio, i quali potranno ben concretizzarsi anche nell'inadempimento dei propri obblighi di mantenimento verso i medesimi;  l'inettitudine a prendersi cura della prole;  comportamenti del genitore che rappresentano chiare espressioni di disvalore sociale;  comportamenti pericolosi per un corretto sviluppo psicofisico dei minori;  condizioni di vita anomale o irregolari (alcol dipendenza o tossicodipendenza)  personalità violenta;  comportamenti volti a imporre in modo pregiudizievole un credo religioso al minore, 4 Appunti AIAF, sezione di Bergamo, incontro del 18 Novembre 2010 5 Art. 151 comma II, c.c. : “Il Giudice, pronunziando la separazione, dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri del matrimonio”. 11  comportamenti tesi a ostacolare il rapporto del figlio con l'altro genitore;  la preferenza espressa dal figlio adolescente per l'affidamento ad uno dei genitori;  elevata conflittualità esistente tra i coniugi, seppure in merito non è univoca la giurisprudenza; Come già anticipato sopra, il genitore non affidatario sarà comunque titolare del diritto di visita, ossia del diritto di frequentare il figlio secondo le modalità stabilite dal Giudice con il provvedimento di affido. Tuttavia, vi sono casi particolari in cui il diritto di visita viene escluso per un periodo di tempo più o meno lungo a causa di gravi e comprovati motivi perlopiù collegati alla condizione pregressa del genitore, dai quali si desume che la frequentazione con il minore aggraverebbe il trauma subìto da quest'ultimo per la separazione, recandogli grave pregiudizio. I motivi che rendono idonea la decisione del Giudice di escludere la frequentazione tra genitore e figlio sono:  il rifiuto del figlio adolescente: infatti, richiamando il contenuto della convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989, l'adolescente è ritenuto, salvo ipotesi eccezionali, perfettamente consapevole dei propri sentimenti e delle proprie motivazioni a non incontrare il genitore;  la condizione di tossicodipendenza o alcol dipendenza del genitore escluso dall'affidamento;  la condotta violenta del genitore nei confronti dell'altro coniuge e dei figli;  pregressi comportamenti criminali del genitore;  il persistente disinteresse nei confronti del figlio. Appare evidente come le situazioni nelle quali viene escluso il diritto di visita del genitore affidatario siano ipotesi limite, le quali hanno già portato di per sé al provvedimento di affido esclusivo del minore. Proprio in tali situazioni viene spesso richiesto l'intervento di un consulente che sia in grado di coadiuvare il Giudice, al fine di trovare la soluzione più confacente all'interesse del minore, affinché costui possa risentire il meno possibile dei traumi della crisi della propria famiglia. 12 1.3 Il procedimento giudiziale di separazione: la fase davanti al Presidente del Tribunale Analizzati gli aspetti più salienti della crisi familiare, è ora necessario addentrarsi nelle nell'analisi del procedimento giurisdizionale che porta alla dichiarazione di separazione personale dei coniugi. Infatti è proprio nel corso del procedimento di separazione che la figura del CTU può entrare in gioco affinché il Giudice possa assumere i provvedimenti relativi ai coniugi, e soprattutto alla prole, con piena contezza di tutte le implicazioni psicologiche, educative e relazionali del caso. Tuttavia prima di analizzare la figura sopracitata è bene esaminare come si sviluppa e si articola il procedimento di separazione. I giudizi di separazione sono procedimenti di cognizione piena, la cui disciplina è dettata in parte dalle norme ordinarie sul giudizio di cognizione e in parte dalla speciale disciplina di cui agli artt.706 e segg. del c.p.c. Tali procedimenti si suddividono in due fasi:  una fase presidenziale che si svolge davanti al Presidente del Tribunale, finalizzata all'espletamento del tentativo di conciliazione e all'adozione dei provvedimenti temporanei e urgenti;  una fase avanti al Giudice Istruttore, in cui verrà esperita eventualmente la fase istruttoria, dopodiché la causa passerà al collegio per la decisione finale. Competente a pronunciarsi in materia di separazione, trattandosi di procedimenti relativi allo stato delle persone, è il Tribunale ordinario a mente di quanto disposto dall'art. 9 c.p.c. A norma dell'art. 706 del c.p.c. la domanda di separazione si propone con ricorso che deve contenere tutti i requisiti richiesti dall'art. 125 c.p.c., tra cui l'esposizione dei fatti e dei motivi di diritto sui quali si fonda la domanda. Una volta depositato il ricorso presso la cancelleria del Tribunale competente per territorio, entro cinque giorni, il Presidente fissa con decreto la data dell'udienza avanti sé, ovvero avanti ad un altro Presidente di sezione o Giudice appositamente delegato 6 , udienza che si terrà non oltre novanta giorni dal deposito del ricorso stesso. Nel decreto del Presidente sarà altresì indicato il termine entro il quale il convenuto dovrà depositare memoria difensiva e i documenti che intende proporre in giudizio, unitamente alle dichiarazioni dei redditi degli ultimi tre anni. Il ricorso verrà quindi notificato, unitamente al decreto presidenziale, al coniuge 6 Carlo Rimini, op. cit., pag. 395. 15 della stessa che contengono una condanna, ai sensi e per gli effetti degli artt. 282 e 283 del c.p.c. La sentenza di separazione può essere oggetto d'appello ai sensi degli artt. 323 e segg. del c.p.c; la legittimazione spetta ai coniugi oppure al P.M limitatamente alla tutela dei diritti patrimoniali dei figli minori o legalmente incapaci. L'impugnazione deve essere proposta con ricorso e il procedimento si svolge con rito camerale ai sensi dell'art. 737 e segg. c.p.c., rito caratterizzato da celerità e semplicità. La Legge prevede altresì, nei casi in cui il processo debba continuare per le altre domande, quali addebito, affidamento della prole e questioni economiche la possibilità che il Tribunale emetta sentenza non definitiva con la quale dichiara la separazione personale dei coniugi. Avverso detta sentenza è ammesso appello immediato deciso in camera di consiglio. 1.5 L'ascolto del minore e il CTU Nel corso del procedimento di separazione e divorzio, il Giudice può, ove lo ritenga necessario, procedere all'audizione del minore che abbia compiuto gli anni dodici, o anche al di sotto di questa età, purché abbia capacità di discernimento. Con la legge n. 219/2012 è stato introdotto nell'impianto codicistico l'art. 336 bis c.c., con il quale è riconosciuta la possibilità per il minore di essere “ascoltato” in tutti i procedimenti che lo riguardano, quindi non solo nei procedimenti di separazione/divorzio (poi sviluppato nell'art. 336 bis introdotto dal D. Lgs. 154/2014). Il diritto all'ascolto, pur essendo una figura relativamente nuova nel panorama giuridico italiano, già dagli anni 80 era promosso a livello internazionale, infatti la Convenzione di New York sui diritti del fanciullo del 1989 riconosceva espressamente tale diritto in capo al minore nell'art. 12: “Gli Stati parti devono assicurare al fanciullo capace di formarsi una propria opinione il diritto di esprimerla liberamente ed in qualsiasi materia, dando alle opinioni del fanciullo il giusto peso in relazione alla sua età ed al suo grado di maturità. A tal fine gli verrà offerta la possibilità di essere ascoltato in qualunque procedimento giudiziario o amministrativo che lo riguardi, sia direttamente, sia tramite un rappresentante o un'apposita istituzione, in conformità con le regole di procedura della legislazione nazionale.” Prima di analizzare le modalità con le quali può essere realizzato il diritto all'ascolto, è necessario analizzare il presupposto principale dello stesso, ovvero la capacità di discernimento del minore. La prevede una presunzione della capacità di discernimento del minore che abbia compiuto i dodici anni e prevede la possibilità di procedere 16 all'audizione anche di minori più piccoli purché, come già accennato, siano in grado di rappresentare adeguatamente le proprie idee. Una valutazione di tale genere su soggetti così piccoli risulta molto difficile, tanto che spesso non si è in grado di affermare con certezza che il minore sia in grado di valutare cosa gli accade: risulta allora necessario determinare caso per caso la capacità del bambino di comprendere i propri vissuti e bisogni affettivi ed emotivi. così da potersi rapportare con l'esterno. Eseguita tale analisi preliminare sulle capacità del minore, si può procedere all'ascolto che può avvenire secondo due modalità differenti:  indirettamente: è l'ascolto delegato ad un soggetto che non è il Giudice ma un suo ausiliario, anche nell'ambito di una CTU;  direttamente: è il Giudice stesso che nell'ambito del processo procede in udienza ad ascoltare il minore, anche con l'assistenza di un esperto. Qualunque sia la modalità con la quale avviene l'ascolto, è bene che i soggetti che si rapportano con il minore creino un contesto adeguato all'ascolto e, soprattutto, mantengano il clima corretto durante il colloquio, nel rispetto del diritto del bambino a non essere sottoposto a traumi maggiori a quelli che, presumibilmente, sta già affrontando. Piercarlo Pazé, Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Torino ha individuato un “alfabeto della relazione” costituito da una serie di regole elementari della comunicazione con il minore 8 . Il Magistrato ha individuato una serie di parametri che è opportuno rispettare correttamente per procedere all'ascolto del minore:  il minore deve essere innanzitutto informato dell'incontro e delle condizioni del suo svolgimento; è necessario infatti che venga a conoscenza del fatto che verrà ascoltato da un Giudice e che questo Giudice ha una funzione importante, in quanto potrà prendere decisioni che andranno ad influire sulla sua vita;  è opportuno che venga creato un luogo adatto all'ascolto; ciò implica che il bambino non deve essere accolto in luoghi spersonalizzati o a lui non adatti (troppo affollati o desolati) ma in stanze colorate e accoglienti, con giochi adatti ad ogni età, in modo tale che il bambino possa sentirsi a suo agio; 8 Piercarlo Pazé, “L'ascolto del minore” relazione tenuta all'incontro del CSM “I provvedimenti giurisdizionali per il minore nella crisi della famiglia e nella crisi del rapporto genitore/prole”- Roma, 17 – 19 Novembre 2003. 17  sarebbe opportuno che il Giudice che proceda all'ascolto, parli da solo con il bambino (eventualmente con l'aiuto di un ausiliario) in modo tale che il minore possa esprimersi senza riserve;  quando viene convocato, non deve subire lunghe attese, ma deve essere subito ricevuto dal Giudice il quale deve accoglierlo amichevolmente in modo tale da metterlo a suo agio;  nel rapportarsi al minore, il Giudice deve mostrare una buona attitudine all'ascolto, posto che il minore è più stimolato a parlare laddove sa che c'è un ascoltatore: il minore deve sentirsi libero di parlare, esprimendo tutto quello che vuole senza alcuna limitazione;  l'ascoltatore deve essere sincero con il minore: non bisogna rassicurare il minore con promesse che si sa di non poter mantenere:  il linguaggio utilizzato deve essere semplice e il più possibile adeguato all'età dello stesso, evitando termini tecnici che a nulla servono ai fini dell'ascolto;  prima di interloquire e porre domande, è necessario che l'ascoltatore abbia instaurato un rapporto di fiducia con il minore affinché costui possa confidarsi;  il minore non deve essere in alcun modo manipolato: deve essere libero di dire ciò che pensa e non deve dire ciò che crede che il Giudice voglia sentirsi dire;  al termine del colloquio è opportuno che il Giudice spieghi al minore cosa potrebbe accadere nel futuro e lo assicuri che ciò che ha detto verrà da lui tenuto in considerazione; Tali parametri, se rispettati, potrebbero portare ad una maggiore autoconsapevolezza da parte del minore del ruolo che egli ricopre nel procedimento civile in cui è coinvolto, non facendolo sentire il minore come l'ago della bilancia su chi ha ragione tra mamma e papà, ma conferendogli un ruolo di rilevanza e rispetto della sua persona, unitariamente intesa. I parametri elencati non sono sufficienti da soli a consentire alle istituzioni di affrontare adeguatamente e senza ricadute negative sul minore (per quanto possibile) l'ascolto dello stesso. Risulta infatti necessario che i Giudici tengano conto anche dell'aspetto prettamente emotivo dell'ascolto: essi debbono tener distinta la propria emotività che comunque deve essere presente sotto forma di empatia, da quella del minore stesso, il quale manifesta le proprie difficoltà e trasmette spesso la sua sofferenza. 20 3) quale sia la qualità della relazione dei minori con ciascuno dei genitori; 4) tenuto conto del principio generale della bigenitorialità che può essere derogato solo in caso di effettivo pregiudizio per l’interesse dei figli minori, quali siano le migliori condizioni di affido e frequentazione col genitore non convivente tenuto anche conto delle richieste delle parti al riguardo e delle risorse presenti nella famiglia allargata ovvero derivanti da stabili relazioni stabilite dai genitori 10 ” Le indagini del consulente possono essere compiute avanti il Giudice istruttore, con redazione di processo verbale, oppure possono svolgersi autonomamente e, in tale ipotesi, si concretano in una relazione scritta che il consulente deposita in cancelleria nel termine disposto dal Giudice e nel quale verranno indicate le osservazioni e le conclusioni del CTU. Durante il corso delle attività svolte dal consulente d'ufficio, le parti possono assistere, sia personalmente, sia a mezzo di un consulente tecnico di parte, il quale svolge funzioni ausiliarie all'avvocato ma limitatamente alla dimensione prettamente tecnica. La nomina dei CTP deve essere fatta o direttamente all'udienza di giuramento del CTU oppure in data successiva, solitamente prima dell'inizio delle operazioni peritali, con deposito di atto di nomina in cancelleria. 1.7 Il consulente tecnico nei procedimenti di separazione. Il protocollo di Milano del 17 Marzo 2012 In data 17 Marzo 2012, a conclusione del convegno “Verso un protocollo per l'affidamento dei figli. Contributi psico-forensi”, svoltosi a Milano, sono state tracciate linee guida per la consulenza tecnica in materia di affido dei figli a seguito delle separazioni dei genitori. Il protocollo realizzato ha lo scopo di recepire tutte le indicazioni in materia di tutela della prole, in particolare dalla convenzione Onu sui diritti del fanciullo del 1989, della CEDU del 1996 e del regolamento n. 2201/2003 UU bis, al fine di fornire ai consulenti chiamati a valutare, quale soluzione in ordine all'affido risponda più all'interesse dei minori coinvolti nella frattura dell'unione coniugale, una valida risorsa su cui basarsi nello svolgimento del proprio incarico. Nella premessa al protocollo vengono ben espressi i principi ai quali deve attenersi il consulente tecnico nel momento in cui accetta, giurando, l'incarico di CTU; infatti si legge: “...il pregiudizio e l'inidoneità genitoriale dovranno essere rigorosamente comprovati. Ogni considerazione concernente il migliore affidamento e luogo di abitazione del minore deve essere fondata e sostenuta sulla base delle ricerche 10 Tribunale di Roma, in Persone e Danno a cura di Paolo Cendon, www.personeedanno.it, 30/01/2013. 21 scientifiche più aggiornate che indicano che il minore sviluppa un legame di attaccamento verso entrambe le figure genitoriali e trae vantaggio, in termini evolutivi, dal mantenimento di una relazione continuativa ed equilibrata in termini di tempo e suddivisione degli impegni educativi con entrambi i genitori”. Detto protocollo individua alcune indicazioni fondamentali che il CTU deve necessariamente seguire nello svolgimento del proprio compito, in particolare, in particolare: 1) il ruolo del consulente può essere accettato solo se il soggetto sia specificamente competente nella materia oggetto di causa; 2) il consulente deve sempre mantenere la propria indipendenza scientifica e professionale soprattutto per quanto riguarda i metodi di conduzione dei colloqui e delle indagini; 3) il consulente di parte deve aiutare il proprio assistito a comprendere al meglio il percorso che sta affrontando, esponendo i risultati dei test sul medesimo eventualmente effettuati; 4) il ruolo del consulente non è compatibile con quello del terapeuta del minore o di una delle parti; 5) il consulente ha il precipuo dovere di salvaguardare il benessere psicofisico del minore; 6) il consulente ha un obbligo di informazione nei confronti delle parti, deve cioè indicare la finalità degli incontri e la metodologia che intende utilizzare, nonché dovrà rendere completa informativa in ordine al segreto professionale; 7) il consulente, dopo aver fatto ricorso ad una modalità confacente al caso sottoposto al suo esame dovrà e aver valutato adeguatamente la situazione, potrà fornire un parere; 8) l'esperto ha l'obiettivo di riportare al Giudice la condizione psicologica e relazionale degli individui che compongono la famiglia; 9) nella valutazione della capacità genitoriale dovrà tenere in considerazione le funzioni di cura e protezione, riflessiva, empatica e affettiva, organizzativa e il criterio di accesso all'altro genitore; 10) nella valutazione del minore guarderà ai bisogni del medesimo sia dal punto di vista affettivo che dal punto di vista cognitivo/educativo, valutandolo attraverso il disegno, il gioco e l'osservazione, l'utilizzo di test e protocolli valutativi specifici in relazione all'età del minore; 22 11) il consulente valuterà altresì le dinamiche relazionali, le modalità comportamentali, il posizionamento affettivo del minore in presenza del/dei genitori e come questi ultimi si pongono nella relazione con il figlio; 12) l'esperto valuterà la relazione tra il minore ed entrambi i genitori e le principali cause del conflitto parentale e i possibili riflessi che questo potrà avere sulla crescita del minore. Al termine della valutazione, il CTU dovrà relazionare, come sopra già ricordato, in modo molto accurato sintetizzando quanto emerso nel corso delle operazioni peritali e formulando le proprie conclusioni sulla scorta del quesito formulato dal Giudice in corso di causa. In definitiva, lo scopo del protocollo non è solo quello di fornire linee guida aggiornate per i CTU ma anche di “...vagliare la correttezza metodologica utilizzata ed il conseguente fondamento delle risultanze 11 ”. 1.8 Diagnosi psicologica e idoneità genitoriale. Troppo spesso si fa confusione tra il concetto di “idoneità genitoriale” e personalità dei genitori. In tantissime Consulenze d‟Ufficio si verificano indagini di personalità dei genitori molto approfondite, alla ricerca di quegli elementi che rilevino la capacità/incapacità di padre e madre di svolgere adeguatamente la funzione genitoriale 12 . Tuttavia occorre precisare che la diagnosi psicologica e la responsabilità genitoriale sono costrutti complessi e distinti che non possono e non devono essere ridotti l'uno all'altro. Cerchiamo allora di fare chiarezza sui concetti di diagnosi psicologica partendo dalla valutazione della personalità quale processo diagnostico. La personalità è il modo particolare e soggettivo attraverso cui una persona pensa, sente, decide ed agisce. Molti anni di esperienza, osservazione e studi sul comportamento umano hanno fornito un'importante quantità di dati riguardanti le varie tipologie di personalità. Per migliorare la definizione di questi elementi e facilitare la comunicazione, gli psicologi hanno coniato diversi termini che descrivono i differenti modelli di comportamento. Contemporaneamente sono state create procedure e metodi standardizzati al fine di individuare, descrivere e misurare la personalità. Tali sistemi o strumenti sono identificabili con l'osservazione dei comportamenti, il colloquio clinico, l'analisi della storia personale del soggetto ed i test psicologici. I test psicologici sono 11 Affidamento dei figli, il Protocollo di Milano 2012, www.psicolog.it. 12 https://www.psicologiagiuridica.eu/lidoneita-genitoriale-non-diagnosi/2018/02/23/ . 25 istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale. 14 ” E‟ esattamente questa l‟idoneità genitoriale che il CTU dovrebbe indagare e valutare all‟interno delle Consulenze d‟Ufficio in quanto Il Tribunale necessita di risposte concrete, ovvero: “ i genitori come si comportano nei confronti del figlio, in riferimento ai suoi diritti contenuti nel comma 1 dell’art. 337-ter c.c.?”. Il rischio di insistere sulla personalità dei genitori è il medesimo per cui la perizia psicologica è vietata (ex art. 220 c.p.p.): la ricerca delle cause potrebbe giustificare il comportamento dei periziandi, quindi la tendenza potrebbe essere quella dell‟intervento psicoterapeutico con i genitori. Gulotta (p.167) spiega bene il rischio della perizia psicologica nei processi penali per stabilire la capacità di intendere e volere del presunto reo. “La ratio del divieto sta nel fatto che da un lato si teme che si determini la responsabilità dell’imputato non tanto sulla base della prova dei fatti, ma quanto attraverso le caratteristiche dell’imputato stesso; dall’altro che lo psicologo, motivando qualsiasi comportamento, arrivi a creare una “via di fuga” della punibilità.” Lo stesso vale per l‟idoneità genitoriale: “Il rischio concreto di valutare la personalità dei genitori per rispondere al quesito sull’idoneità genitoriale sta nel fatto che da un lato si teme che si determini la responsabilità del genitore non tanto sulla base delle risultanze peritali (criterio accesso, cura, educazione…), ma quanto attraverso le caratteristiche del genitore stesso; dall’altro che lo psicologo, motivando qualsiasi comportamento, arrivi a creare una “via di fuga” della responsabilità genitoriale.” Il primo criterio da valutare è il c.d. “criterio dell‟accesso”, cioè se e in che modo il figlio riesce a mantenere un rapporto equilibrato con entrambi i genitori. Se uno dei due genitori impedisce questo diritto, è possibile prevedere un affidamento esclusivo all‟altro. Misure estreme sono previste anche nel caso in cui il figlio, a causa di un genitore, non riuscisse a mantenere un legame affettivo con i nonni dell‟altro genitore. In conclusione, il comma 1 dell‟art. 337-ter c.c. dovrebbe rappresentare l‟obiettivo principale. 14 https://www.psicologiagiuridica.eu/lidoneita-genitoriale-non-diagnosi/2018/02/23/ 26 CAPITOLO SECONDO DAL QUESITO DEL GIUDICE ALL’AMBITO DI COMPETENZA DEL PEDAGOGISTA 2.1 La valutazione della capacità genitoriale Nel capitolo precedente abbiamo esaminato il quesito del Giudice Istruttore e l‟importanza della consulenza tecnica che deve essere condotta con rigore scientifico, ossia attraverso strumenti e metodologie validi e affidabili con lo scopo di offrire elementi per valutare le risultanze di determinate prove oppure elementi diretti di giudizio. Nel quesito del giudice, possiamo rinvenire degli ambiti di indagine in cui può muoversi il Pedagogista che definiscono il suo ambito di competenza, ovvero: 1) “quale sia la capacità genitoriale delle parti anche con riferimento al reciproco riconoscimento del valore genitoriale ed alla sussistenza tra loro di conflittualità pregiudizievoli per l’interesse dei minori ovvero di tendenze nell’uno a sminuire ovvero escludere la figura dell’altro genitore nei confronti dei figli; 2) quale sia la qualità della relazione dei minori con ciascuno dei genitori; 3) tenuto conto del principio generale della bigenitorialità che può essere derogato solo in caso di effettivo pregiudizio per l’interesse dei figli minori, quali siano le migliori condizioni di affido e frequentazione col genitore non convivente tenuto anche conto delle richieste delle parti al riguardo e delle risorse presenti nella famiglia allargata ovvero derivanti da stabili relazioni stabilite dai genitori; 4) quale sia il profilo di personalità delle parti e dei minori nonché le condizioni psicologiche dei medesimi”. Dall‟ambito di competenza rimane esclusa la diagnosi psicologica, di dominio psichiatrico e clinico, come già evidenziato nel capitolo precedente. Fatto salvo quanto disposto dall‟art. 220 del c.p.p. (divieto di sottoporre ad indagine psicodiagnostica l‟indagato se non in accordo con l‟autorità giudiziaria) l‟indagine psicologica ha come obiettivo specifico soprattutto quello di valutare il profilo della personalità dei soggetti 27 da esaminare, l‟organizzazione strutturale delle varie “aree” (cognitiva, affettiva, volitiva), il grado di adattamento alla realtà, l‟integrazione socio-culturale, gli atteggiamenti e la presenza di tratti nevrotici o psicotici. Tale indagine non ha lo scopo di stabilire una condizione di normalità o anormalità, né tantomeno costituisce il presupposto da cui dedurre la capacità bensì quello di capire come i suddetti tratti condizionino le relazioni e i comportamenti del soggetto. L‟indagine pedagogogica si pone come obiettivo specifico invece la valutazione della relazione che si è instaurata fra coniugi, figli e altre persone (familiari, conviventi, ecc.) coinvolte nella situazione in esame (si pensi, ad esempio, ad un minore che trascorre gran parte della giornata con un nonno o con un altro parente a causa degli impegni lavorativi del genitore o di entrambi i genitori). Va tenuto presente che sia in caso di affido condiviso che in caso di affido esclusivo il giudice della separazione o del divorzio affida il minore ai genitori, salvo fattispecie del tutto particolari. Quando il quesito del Giudice chiede al CTU, ad esempio, di valutare l‟idoneità educativa dell‟uno o dell‟altro coniuge, la maturità affettiva del minore, i rapporti di questo con i genitori, le “più idonee condizioni di affidamento”, ovvero le più adeguate modalità di “visita” del figlio al genitore non affidatario, non fa che sottolineare, in realtà, l‟aspetto relazionale del problema. La consulenza tecnica pedagogica ha, quindi, per oggetto, tutti gli individui che partecipano al problema. Pertanto il focus dell‟indagine sarà l‟interazione familiare, intesa come l‟insieme della relazioni interpersonali che si svolgono tra i membri del nucleo familiare. I rapporti andranno indagati sia sotto il profilo strutturale che sotto il profilo evolutivo: ovvero si tratterà di comprendere la struttura iniziale delle relazioni familiari, la loro evoluzione, la dinamica della crisi e del disfacimento del nucleo familiare, nonché di prevedere come le relazioni interpersonali potrebbero modificarsi a seguito della separazione coniugale e dell‟affidamento dei figli. 2.2 Epistemologia della consulenza tecnica in ambito forense: quale modello? Chiedersi chi meglio di un esperto di educazione possa portare elementi tecnici a sostegno di una decisione inerente le competenze genitoriali è una questione che sorge spontanea; tuttavia nella comunità scientifica non è presente un modello pedagogico di riferimento attraverso cui operare. La scelta di un paradigma e di una teoria “forte” dell‟educare è di primaria importanza in quanto: 30 2.3 Asimmetria La dimensione asimmetrica è l'elemento fondativo della relazione educativa, ossia l'elemento che definisce i ruoli all'interno della relazione stessa. Per porre in essere una relazione educativa è necessario che il genitore agisca il suo ruolo nel contesto familiare e che il figlio riconosca il ruolo rivestito dal genitore. Indossare un ruolo è un processo di natura cognitiva, emotiva e comportamentale. Si può quindi affermare che il figlio ha in sé delle delle aspettative di ruolo rispetto al genitore e che, se quest‟ultimo dovesse eluderle, la relazione educativa potrebbe risultarne compromessa. Se in ambito familiare il bambino cresce in un certo senso “subendo” le figure genitoriali, le quali vengono vissute e date per scontate nella loro funzione educativa, in ambito scolastico il bambino viene caricato di un‟aspettativa educativa attraverso il linguaggio (il genitore che raccomanda di “ascoltare la maestra”), gli spazi (un adulto seduto dietro la cattedra), i tempi (l‟insegnante che richiama la classe dopo un intervallo), rituali e tecniche specifiche (le interrogazioni, la correzione dei compiti, ecc.). All‟interno di questa aspettativa, se il bambino dovesse percepire che l‟insegnante non è in grado di assumere un ruolo asimmetrico, il meccanismo pedagogico, nonché la continuità educativa scuola – casa si incepperebbe pregiudicando alla base il senso stesso dell‟Istituzione scolastica. Ma come può accadere che dei bambini possano percepire un adulto incapace di stare nel suo ruolo educativo, tra l‟altro atteso? Ogni genitore opera in funzione dei suoi “valori” che alzano e abbassano l‟asticella della gravità di un‟azione posta sotto la sua lente di ingrandimento. Così, ci sarà qualcuno che considererà l‟uso di uno strumento correttivo (ad esempio lo “scappellotto sul sedere”nei confronti di un bambino capriccioso) un abuso di asimmetria e ci sarà chi ne analizzerà la quantità ritenendolo inadeguato nel momento in cui diviene l‟unico stile di intervento messo in atto. Lavorare sul malfunzionamento del meccanismo dell‟asimmetria significa quindi, da un lato ricollocarsi come genitore a livello della rappresentazione di sé, e dall‟altro ragionare sulle modalità specifiche attraverso cui il proprio ruolo si esplica (linguaggio, modalità relazionali, approcci etc., adottati nei confronti del proprio figlio). La rappresentazione di sé e le relative modalità di esercizio del Sé sono infatti strettamente connesse: la rappresentazione di genitore ideale come genitore “buono” oppure il concetto autoritario dell‟educazione costituiscono la base di partenza per mettere in atto, rispetto alla dimensione dell‟asimmetria ma anche agli altri elementi costitutivi della relazione educativa, pratiche specifiche. 31 Le disfunzionalità asimmetriche possono presentarsi in difetto o in eccesso. Avremo quindi da un lato genitori collusivi con il proprio figlio e incapaci di porre dei limiti, così come genitori eccessivamente rigidi, incapaci di ascoltare i bisogni dei figli e affettivamente assenti. Tra le situazioni sopra descritte intercorrono comportamenti e atteggiamenti ben più complessi, difficilmente ascrivibili ai due poli estremi e talvolta ambigui e contraddittori. Il tema dell‟asimmetria incontra delle complessità, un lato, anche quando ne sembra connaturata la sua presenza come nell‟età evolutiva dell‟infanzia, e dall‟altro, in situazioni dove essa è messa in discussione dal figlio adolescente con azioni ribelli o provocatorie. Un genitore può infatti mostrare un atteggiamento simmetrico con un bambino molto piccolo confondendo ad esempio i suoi bisogni di adulto con i bisogni del bambino e dimenticare che invece quest‟ultimo è un qualcosa di Altro-da-Sé (per utilizzare una famosa espressione di Winnicot). Se il bambino infatti viene rappresentato come una specie di “psiche espansa” attraverso cui l‟adulto realizza il proprio sé, allora il ruolo genitoriale viene soppresso da situazioni in cui a non essere più chiari sono proprio i confini della soggettività. In questo senso, anche situazioni banali possono essere percepite dal figlio come sfide o questioni che vengono percepite e vissute in termini assolutistici (di vita o di morte). In un contesto come quello familiare che è caratterizzato una coppia di genitori e dalla presenza di altre figure di attaccamento possono verificarsi modalità differenti di mettere in atto l‟asimmetria. Quando si parla di relazione educativa si intende infatti la specifica relazione che coinvolge quel genitore e quel figlio ma anche la relazione sistemica che coinvolge più soggetti. In famiglia abbiamo la relazione educativa che coinvolge padre e figlio, quella che riguarda la madre e il medesimo figlio ma anche la relazione sistemica che caratterizza i genitori e il figlio (o i figli). Attraverso una serie di rimandi e giochi a specchio, il sistema educativo globale risente dei contenuti caratterizzanti la specifica relazione. Talvolta un genitore può adottare in modo strumentale un atteggiamento simmetrico e “da amicone” verso il figlio screditando l‟altro genitore e innescare così istanze conflittuali appartenenti alla coppia sia durante il matrimonio che in corso di separazione. L‟asimmetria subisce dilatazioni o restrizioni a seconda delle circostanze ed è l‟intenzionalità che consente di operare questi aggiustamenti. Se un genitore decide di vivere un momento più “disteso” con il proprio figlio, arrivando magari a concedere un po' di flessibilità alle regole ormai assodate, se non addirittura a trasgredirle egli stesso, deve saper presidiare tale eccezione. L‟incapacità genitoriale di presidiare l‟eccezione 32 mostra la sua debolezza dal punto di vista dell‟asimmetria, in quanto rivela come il ruolo non sia sostenuto da elementi strutturali che lo rendono credibile in qualità di soggetto avente funzione educativa. Anche l‟alleanza educativa con la scuola è un altro importante indicatore attraverso cui interpretare le possibili declinazioni dell‟asimmetria, infatti un genitore che si fida dell‟insegnante e si affida al suo ruolo educativo pone le basi per l‟affermarsi di una comunità educante. In conclusione, il minore ha bisogno di una guida sicura e non soffocante; ciò implica che il genitore non deve confondersi con il figlio proiettando emozioni che possono compromettere la funzione asimmetrica, né tantomeno deve essere sopraffatto da rappresentazioni rigide del ruolo educativo che lo rendono emotivamente distante dal figlio. L‟asimmetria deve essere presente attraverso l‟imposizione delle regole e attraverso la scelta consapevole di precise finalità educative. L‟asimmetria rende possibile l‟intenzionalità la quale connota la relazione educativa fino alla sua dissoluzione. E quando la relazione educativa finisce, la relazione tra i due soggetti può legittimamente trasformarsi in relazione simmetrica. 2.4 Compresenza di codice materno e codice paterno La relazione educativa è una relazione di continuo “scambio” reciproco tra chi educa e chi viene educato. Da un lato il genitore dona cure, attenzione, ascolto e dall‟altra il figlio restituisce il rispetto delle regole e delle performances richieste. Il codice materno è quindi in primis la presa in carico del bambino al fine generare le condizioni ottimali per il raggiungimento degli obiettivi prefissati all‟interno della relazione educativa. L‟espressione codice materno indica tutte le dimensioni di cura, presa in carico fisica e mentale dell‟educando da parte dell‟educatore; tuttavia risolvere l‟educare nella cura è ancora una volta espressione di un‟impostazione culturale che produce distorsioni rappresentative della figura educativa. È il codice paterno, ovvero l‟elemento normativo, che caratterizza invece la dimensione del “ritorno” in cui il figlio restituisce ciò che gli viene esplicitamente o implicitamente richiesto dal genitore. Il codice materno che contrassegna la relazione educativa ha origine dall‟asimmetria (non è una generica relazione umana ed è l‟elemento direttivo a conferire al genitore un ruolo specifico) ed è al tempo stesso correlato all‟intenzionalità. “Il momento del dare” è 35 rigidità potrebbe essere strumentalizzata arrivando ad apparire “per differenza” più adeguata. Si pensi a come, in un regime di separazione, un genitore possa agire contro l‟altro soddisfacendo in modo incondizionato le richieste del bambino. A tal proposito, si ricorda come all‟interno di una consulenza tecnica in ambito forense sia necessario far comprendere ai genitori che l‟esito della stessa non dipenderà dal bambino (il quale magari non esiterebbe a elogiare il genitore più “amicone” e a preferirlo) bensì dall‟intera valutazione del sistema familiare effettuata dal CTU il quale, nel caso fosse un Pedagogista effettuerà un‟analisi su come i genitori fanno funzionare il “meccanismo” della compresenza di codice materno e paterno; l‟analisi concerne le risorse e le buone prassi ma anche disfunzionalità insite nell‟esercizio dei due codici (così come quelle presenti negli altri elementi costitutivi) senza scandagliare dimensione diagnostiche, personologiche e psico-attitudinali. Il Pedagogista in veste di consulente tecnico esprimerà una propria “valutazione” sul funzionamento della relazione educativa rispondendo al quesito del Giudice (ad esempio: “dica il consulente se sussistono cause ostative all’affidamento congiunto e condiviso illustrando le competenze genitoriali presenti”). Ad un livello più generale, è necessario considerare che una “squadra” indebolita da palesi diversità di “gioco” viene sconfitta più facilmente e il minore, grazie ad un connaturato spirito di adattamento, sa a chi rivolgersi per ottenere la soddisfazione dei suoi bisogni, anche quelli futili. In tal caso, è opportuno lavorare con la coppia per individuare uno stile educativo comune, al fine di formulare gli stessi messaggi. Così se una madre decide che non si può usare il cellulare durante l‟ora dei pasti per favorire l‟ascolto e la comunicazione, lo stesso dovrà accadere con il padre. Basta questo esempio banale per comprendere come un bambino o un adolescente possano trarre vantaggio da queste diversità di stile tra i genitori, pregiudicando al tempo stesso la relazione educativa sistemica. 2.5 Intenzionalità Il livello di formalità presente nella relazione educativa è pressoché assente in quanto il genitore non sta svolgendo un lavoro; ciò non significa che non debba essere consapevole di assumere un ruolo per far sì che la relazione possa funzionare adeguatamente. 36 Si può quindi definire intenzionalità quell‟elemento di consapevolezza, da parte del genitore, di trovarsi all‟interno di una specifica relazione educativa. Attraverso questa istanza che si po' definire metacognitiva, il genitore fa da filtro in maniera tale che i contenuti della relazione (pratiche, linguaggi, atteggiamenti, comportamenti, ecc.) svolgano una funzione educativa per il figlio. L‟intenzionalità si dirige quindi verso di lui. Se è vero che il genitore cresce con e grazie al proprio figlio, tuttavia il sistema gli attribuisce un ruolo di “potere” per il quale deve essere e sentirsi pronto. Rendere intenzionale l‟agire all‟interno della relazione educativa vuol dire svolgere un‟attività implicitamente riflessiva che bonifica i contenuti che attraversano la relazione educativa. La potenza dell‟educare consiste proprio nella capacità di produrre significati a partire da esperienze intenzionalmente predisposte. La madre che racconta una fiaba ad un bambino dovrebbe utilizzare tonalità avvincenti, recitando la storia attraverso un entusiasmante racconto per coinvolgere emotivamente il bambino, attirare la sua attenzione, favorire l‟ascolto e la comunicazione. L‟intenzionalità è anche la capacità di modulare e indirizzare i contenuti della relazione educativa riconoscendo e valorizzando le specificità. È importante infatti che un genitore sappia cosa potrà aiutare meglio un figlio rispetto ad un altro, predisponendo spazi e tempi che sappiano soddisfare i bisogni individuati del bambino. La funzione del consulente pedagogico è quella di individuare le disfunzionalità di tale meccanismo ponendo una lente di ingrandimento sulle capacità del genitore di manipolare il setting per la realizzazione delle finalità educative generiche o specifiche. Infine anche il tema dell‟intenzionalità si presta ad essere esaminato sotto il profilo di coppia quando ad esempio le scelte di un genitore o di un insegnante, consapevoli o meno non siano comprensibili all‟altro genitore oppure creino delle disfunzionalità all‟interno della relazione educativa sistemica. Un‟azione poco intenzionale o intenzionalmente diseducativa (conflitti di coppia caratterizzati da rappresaglie e strumentalizzazioni) può infatti indebolire la qualità della relazione educativa. L‟intenzionalità consolida la dimensione asimmetrica (e da questa viene legittimata) esistente tra il genitore e il figlio in quanto è il primo a “manipolare” il setting con lo scopo di produrre un cambiamento nel secondo. Cambiamento che rappresenta la finalità ultima di ogni dimensione educativa. Asimmetria e intenzionalità sono speculari in quanto è proprio la posizione direttiva di colui che educa attraverso una determinata strategia operativa a dare un significato specifico alla differenza di ruolo. Colui che educa “dirige” l‟altra parte, non per 37 l‟esercizio di un potere fine a se stesso ma perché viene disposto un sistema operativo con determinati obiettivi (responsabilità direzionale) che vengono presidiati in modo intenzionale e consapevole. Tuttavia è difficile immaginare un genitore che si pone obiettivi pedagogici scritti per suo figlio, in quanto gli ambienti casalinghi sono di norma predisposti per una certa abitabilità e non nell‟ottica di un laboratorio formativo come quello degli spazi scolastici. Tuttavia, anche il genitore si pone degli obiettivi da raggiungere per i propri figli, sia esistenziali (aumentare l‟autostima oppure diminuire le insicurezze) che legati all‟acquisizione di competenze pratiche (imparare a leggere e a scrivere oppure a vestirsi da sé ed essere autonomo). L’intenzionalità è una caratteristica che risponde genericamente alle norme sociali di una comunità di appartenenza. Esiste un “galateo” sociale verso cui il genitore si pone consapevolmente in quanto egli deve, per il mandato comune che gli compete, introdurre suo figlio nella società. Condividiamo il luogo comune che il genitore debba essere da “esempio” per i propri figli ma siamo consapevoli che questa mitologia dell’esempio rischia di ricadere nel calderone dei buonismi pedagogici dietro ai quali si cela l’immagine di colui che educa come essere perfetto ed onnipotente. Da questo punto di vista, un genitore è intenzionale se implicitamente si chiede quali saranno le conseguenze di un‟azione (diretta o indiretta) che coinvolge i propri figli: non è intenzionale un genitore che non si pone il problema di come “apparire” dinanzi al proprio figlio, e ciò non implica finzione bensì modificarsi spontaneamente in funzione di ciò che si pensa possa essere il “bene” per i propri figli. L‟osservazione di sé e del bambino all‟interno della relazione educativa costituisce per il genitore un elemento costante nelle varie “fasi” dell‟intenzionalità, in quanto permette di calibrare sia le finalità che le azioni corrispondenti. Ecco un esempio che permette di focalizzare l‟attenzione su tale schema:  osservazione del bambino al parco giochi;  individuazione della scarsa capacità di interagire con altri bambini;  elaborazione di una strategia che possa far socializzare il bambino;  proposta rivolta ad un gruppo di bambini, in cui è stato coinvolto il proprio bambino, consistente nella richiesta di una costruzione comune di un castello di sabbia. Durante l‟osservazione del bambino nel contesto “parco giochi”, il genitore potrebbe quindi effettuare delle ricalibrazioni: 40 di questa disfunzionalità affinché egli possa tirare fuori risorse individuali che gli permettano di attivare una relazione educativa più funzionale. Talvolta i genitori non possiedono la capacità di leggere le problematiche che interessano la vita del bambino e quindi non si pongono delle finalità oppure leggono in modo distorto le problematiche proponendosi finalità non adeguate. È quindi di fondamentale importanza. La responsabilità direzionale è un progetto educativo che si basa sull‟interrelazione tra: Obiettivi ↔ Indicatori di soddisfazione L‟indicatore di soddisfazione è il risultato che svela a colui che educa che l‟obiettivo posto è stato raggiunto, nonché il peso e il significato che viene assegnato agli obiettivi: un adolescente è autonomo se va a scuola oppure se esprime il suo pensiero senza farsi influenzare? Solo la specifica relazione educativa può rivelarci l‟intreccio determinato che si crea tra il peso e i significati dell‟azione educativa. All‟interno di una determinata relazione sarà importante per l‟adolescente andare a scuola da solo, mentre in un‟altra relazione egli manifesterà la propria autonomia se sarà in grado di elaborare un proprio pensiero senza farsi influenzare. Aprire una riflessione sul cosiddetto “indicatore di soddisfazione” può permettere al genitore di effettuare un‟analisi sulle proprie aspettative e sui significati stessi dell‟educare. La responsabilità direzionale in quanto orizzonte valoriale risponde quindi alla domanda: “che genere di uomo o donna sto contribuendo a formare attraverso la mia azione educativa? Quali sono i valori e le più importanti macrofinalità che il minore deve acquisire attraverso l’azione educativa?”. Tali istanze sono:  il rispetto di Sé: inteso come valorizzazione della propria persona e delle proprie idee, consapevolezza delle proprie competenze e dei propri limiti, autoconsapevolezza emotiva ed ascolto interiore. Colui che educa deve fornire all‟educando gli strumenti per affrontare le situazioni, facendo i conti con il freudiano principio di realtà attraverso la capacità di accettare frustrazioni e limiti soggettivi ma allo stesso tempo non dimenticandosi di Sé (gestione dell‟equilibrio tra desideri e doveri);  il rispetto dell’Altro da Sé: in un mondo orientato all‟antropocentrismo e all‟individualismo è fondamentale valorizzare la dialettica della differenza, quale consapevolezza dei vincoli sociali e ambientali, nonché attenzione ai bisogni (emotivi e sociali) altrui. 41 2.7 Congedo L‟apparente paradosso dell‟attività educativa sembra quello ch‟essa operi per la propria dissoluzione. L‟asimmetria costitutiva è funzionale alla formazione di nuove soggettività adulte autonome e indipendenti. Come per gli altri elementi già trattati, l‟elemento del congedo si interseca sicuramente con dimensioni psicologiche quali lo stile di attaccamento e la dipendenza affettiva che, se particolarmente problematiche, richiederanno l‟intervento di uno professionista psicologo. In ambito educativo, con la dimensione del congedo la relazione educativa realizza se stessa raggiungendo il suo fine implicito. Il congedo è un compito che deve in primis essere perseguito dal genitore, riuscendo egli stesso ad elaborare il distacco. La madre “sufficientemente buona” parte dalla consapevolezza che il bambino è “Altro-da-sé” ma realizza in toto tale condizione attraverso il congedo, dimensione che non ha una collocazione temporale precisa ma è l‟orizzonte ideale della relazione educativa. Il genitore deve produrre persone indipendenti pronte a collocarsi nella società come soggetti autonomi e portatori di istanze proprie: non deve attaccarsi al proprio ruolo nella paura che il figlio possa non cavarsela da sé oppure al più subdolo sentimento di “dipendenza al contrario” che configura un genitore incapace di immaginarsi al di fuori del proprio ruolo genitoriale. In ogni caso nella dimensione del congedo sono co- implicati entrambi i soggetti della relazione educativa e pertanto è difficile imputare al genitore o al figlio la piena responsabilità di un congedo disfunzionale. Se da un lato si collocano adolescenti con una personalità poco indipendente dall‟altro è presente uno stile genitoriale che contribuisce a renderli tali. In ogni caso è colui che educa che, in quanto soggetto che governa la relazione educativa, deve presidiare il congedo, modulandola verso le macro-finalità del rispetto di sé in quanto soggetto autonomo. Solo riconoscendosi come soggetto che si possono realizzare tutte le implicazioni educative del rispetto di Sé e si può instaurare un reale dialogo con le altre soggettività. Merita un‟attenzione specifica, sempre pensando a figure affettive quali quelle genitoriali, la possibilità di congedi problematici dovuti all‟incapacità e/o inadeguatezza genitoriale di “esserci”. In questo caso, il figlio è abbandonato a sé (incuria, disattenzione emotiva) o gli viene richiesta un‟autonomia che non può ancora possedere e che dovrebbe proprio costituire il risultato di un lavoro educativo (discuria, distorsione idealistica/idealizzante). 42 Passando ad una riflessione più generale sul congedo, esso rappresenta sia l‟istanza finale che dissolve la relazione educativa sia la dimensione che si manifesta in itinere. Il congedo in itinere è l‟autonomizzazione progressiva dell‟educando nonché la realizzazione degli obiettivi che il processo educativo si pone; dal punto di vista del genitore è invece la capacità di gestire i distacchi. Partendo quindi dall‟analisi degli aspetti più vicini alla quotidianità educativa del congedo, viene ripreso lo schema astratto contenente i seguenti “momenti”:  osservazione dell’educando;  individuazione di disfunzionalità;  formulazione di finalità per rispondere alla disfunzionalità;  presidio delle finalità, modificazioni nel ruolo (genitore in quanto “attore”) e nell’ambiente; Il congedo in itinere aggiunge nello schema il momento della:  -risoluzione delle disfunzionalità. Tuttavia non è così semplice “risolvere” una disfunzionalità perché le varie disfunzionalità si intrecciano nel bambino e sono solo astrattamente isolabili: ad esempio, un bambino non sa esprimere il proprio parere perché è timido ed è timido perché non sa esprimere il proprio parere; inoltre la sua timidezza ha delle conseguenze sull‟autostima che a sua volta genera problematiche nella sfera cognitiva e sociale (difficoltà ad integrarsi nel gruppo dei pari, scarso rendimento scolastico). È necessario quindi isolare concettualmente il congedo in itinere considerandolo come il momento astratto in cui il genitore crede di aver ottenuto una conquista da parte del figlio. Lavorare sul congedo significa quindi introdurre delle tappe di acquisizione di competenze all‟interno della relazione educativa. Tali stadi rappresentano delle conquiste spontanee che testimoniano del lavoro di costruzione di un soggetto sempre più autonomo e in linea con quanto richiesto dall‟età evolutiva che lo riguarda. È quindi chiaramente evidente come intenzionalità, responsabilità direzionale e congedo siano elementi strettamente interconnessi. L‟intenzionalità è il presidio delle finalità e il congedo è il raggiungimento di tali finalità. Se il congedo in itinere è il compimento della presa in carico delle varie disfunzionalità, il congedo finale coincide con il momento in cui termina il monitoraggio da parte del genitore sulle disfunzionalità dell‟educando: esso si realizza quando il genitore smette di avere pretese educative e i ruoli non hanno più ragione di esistere. La dimensione del congedo ha i suoi tempi intenzionalmente scanditi da colui che educa, il quale deve preparare l‟educando al congedo accompagnandolo progressivamente 45 elementi) che permettono attraverso una serie di indicatori di decodificare i dati e inserirli in una cornice teorica da cui partire;  naturalista: è necessario descrivere le caratteristiche di un evento, di un comportamento o di una situazione nei vari contesti di vita reale e non artificialmente manipolati; al tempo stesso l‟osservatore deve registrare tutto ciò che accade facendo in modo che il comportamento del soggetto non sia disturbato dal procedimento di osservazione;  diretta, ovvero centrata sui processi, in cui l‟osservatore assiste di persona all‟evento che gli interessa studiare e in cui osservazione e registrazione dei dati avvengono contemporaneamente. Gli svantaggi principali dell‟osservazione sono attribuibili al rischio di distorsioni nella fase di raccolta dei dati o in quella di analisi e interpretazione da parte dell‟osservatore. Le fonti di errore sono dovute principalmente:  alla reattività dei soggetti osservati, i quali possono modificare i loro comportamenti, più o meno consapevolmente, in considerazione della presenza dell‟osservatore. Oltre alla reattività del soggetto osservato va considerata anche la reattività dell‟osservatore il quale talvolta, mosso da pregiudizi, aspettative o da tecnicismi consolidati, potrebbe pervenire a giudizi distorti della realtà oppure semplicistici e riduttivi. La reattività dei soggetti varia in funzione delle differenze individuali (ad esempio l‟età: i bambini sono meno influenzabili degli adulti), delle motivazioni date sulla presenza dell‟osservatore e delle caratteristiche di chi osserva. Infine il rischio di reattività diminuisce in relazione alla familiarità che si ha con la persona che osserva; a tal proposito, sta alla professionalità del consulente creare un clima favorevole cercando di mediare tra l‟ascolto e l‟empatia da un lato e l‟asimmetria dall‟altro;  alla difficoltà nella decodifica dei dati: in particolar modo nell‟osservazione di tipo naturalista, il consulente, nel tentativo di trascrivere le pagine che descrivono e narrano ciò che è accaduto in modo minuzioso, potrebbe non essere in grado di sintetizzare i dati per raggiungere conclusioni pertinenti con le ipotesi. Rientrano in tale fonte d‟errore anche le difficoltà dovute all‟uso di un linguaggio ambiguo nelle osservazioni di tipo narrativo, in cui la scelta dei termini usati per descrivere un evento osservato influenza il contenuto che si vuole trasmettere 17 . Pertanto nella fase 17 In Braga e Tosi, a tal proposito, leggiamo: “Espressioni quali “Mario è triste” sono ambigue, suscettibili di interpretazioni diverse: si tratta infatti di una frase che contiene un commento valutativo, che restituisce un’impressione dell’osservatore ma non un dato di fatto. È meglio esprimersi in questi termini: “Mario non si impegna in modo continuativo in alcuna attività, non stabilisce contatti con altri bambini, non sorride..” se questi sono i comportamenti di 46 di registrazione, per avere dati sufficientemente obiettivi, è necessario evitare ogni genere di interpretazione e limitarsi solo a descrivere i diversi comportamenti osservati. Inoltre, nelle situazioni in cui la narrazione dell‟osservazione viene stesa a posteriori è possibile dimenticare di registrare alcuni dati o può capitare di riportarli in modo diverso a come si sono svolti realmente i fatti. In conclusione, il rischio di distorsioni legate alla soggettività è comunque difficilmente eliminabile, soprattutto quando si tratta di osservare una persona, i suoi atteggiamenti, le sue reazioni emotive, il tono delle sue relazioni con gli altri ecc.;  alla scarsa attenzione al contesto: i dati rischiano infatti di essere poco significativi se astratti dal contesto in cui sono stati raccolti. Infatti: “lo stesso comportamento può assumere significati diversi a seconda del contesto in cui si manifesta (posizioni nello spazio, arredi, materiali presenti, grado di conoscenza e frequentazione dei partner, loro ruoli, dimensioni del gruppo di gioco, prossimità/lontananza del soggetto dagli altri bambini o dall’adulto, ecc.). Un’analisi delle condizioni di contesto può aiutare a non confondere, ad esempio, un comportamento effettivamente aggressivo da un comportamento di motivata irritazione, un atto di attacco da un gesto di difesa 18 . Abbiamo visto come il modello dei cinque elementi della relazione educativa guida il Pedagogista nella valutazione della capacità genitoriale, con lo scopo di sganciare l‟osservazione dal senso comune, conferendo ad essa rigore scientifico. A tal proposito l‟osservazione diviene sistematica in quanto fornisce una serie di indicatori attraverso cui valutare e descrivere il processo educativo, nonché le relative potenzialità e disfunzionalità. Inoltre la relazione educativa è una relazione sistemica, ovvero si colloca all‟interno di un sistema più ampio che trascende la sola interazione nel qui e ora e acquisisce significato nel modo in cui si manifesta nei vari contesti e in relazione alle varie figure di riferimento. Per contesto intendiamo i vari ambienti più o meno strutturati, da quello domestico o ricreativo a quello scolastico, così come il rapporto con le altre figure educative che ruotano intorno al minore. Infatti è necessario osservare il processo educativo nei contesti più significativi, ovvero: 1) ambiente domestico 2) coppia genitoriale/figlio/i 3) attività ricreative libere (es. parco giochi) Mario che ci hanno suggerito un’idea di tristezza. Si tratta cioè di usare un linguaggio descrittivo e non valutativo” (Braga, Tosi, 1995, p.122). 18 Braga, Tosi, 1995, pp. 122-3. 47 4) scuola, relazione genitore/insegnante (esiste un‟alleanza educativa?). L‟analisi delle dinamiche relazionali tra gli ex coniugi, nonché la presenza di eventuali conflitti e di stili educativi divergenti, così come del grado di alleanza educativa che intercorre nella relazione genitore/insegnante, è funzionale alla rilevazione di ulteriori elementi che potrebbero pregiudicare l‟equilibrio della relazione educativa. 3.2 Esempi di disfunzionalità nella relazione educativa rilevabili dall’Osservazione A titolo esemplificativo viene proposto lo schema seguente che riassume, per ogni elemento costitutivo, alcune possibili disfunzionalità che si possono presentare all‟interno di una relazione educativa. Anche se una consulenza può prevedere l‟isolamento di un elemento a fini metodologici, gli elementi sono di fatto interconnessi e la disfunzionalità di un elemento rivela di per sé gli inceppamenti negli altri elementi. Esempio di disfunzionalità Interrelazione con gli altri elementi Eccesso di ruolo: il bambino è soffocato dal genitore Formalismo/Ipercuria Scarso codice materno (bassa affettività) o codice materno soffocante Eccesso di ruolo: l’adolescente si ribella al genitore troppo “presente” Formalismo/Autoritarismo Elevato codice paterno (introduzione di regole “calate dall’alto” senza negoziazione) Elevata intenzionalità e responsabilità direzionale (troppa presenza) Scarso congedo (il genitore è “dipendente” dalla relazione educativa e non si concepisce al di fuori di essa) Assenza di ruolo: Il genitore fa “l’amicone”colludendo con il figlio che riceve esempi diseducativi Incuria Assenza di intenzionalità (incapacità di “vedere” la relazione educativa) e di responsabilità direzionale (non vengono posti obiettivi) Ruolo ambivalente: il genitore fornisce feedback contraddittori sul suo ruolo passando da modalità autoritarie a modalità anarchiche Discuria Scarsa intenzionalità Ambivalenza nel codice materno e paterno Differenza elevata nell’esercizio del ruolo (da un lato un genitore molto centrato sul ruolo e dall’altro un genitore “amicone” ed eventuale strumentalizzazione di tali differenze in situazioni conflittuali Da un lato codice materno elevato e dall’altro assente Da un lato codice paterno elevato e dall’altro assente Scarsa intenzionalità o intenzionalità strumentale al conflitto 50  focalizzazione: focalizzarsi sugli aspetti essenziali della comunicazione, tralasciando dettagli poco significativi, può facilitare la comunicazione Evitare inoltre barriere comunicative e atteggiamenti giudicanti può essere considerato una base per l‟ascolto attivo, ovvero un ascolto empatico che esprime partecipazione e che si realizza attraverso cinque azioni principali, ossia:  mostrare interesse nei confronti della persona che espone il problema, annuendo o utilizzando parole neutre;  chiarire, vale a dire chiedere che venga spiegato quanto non si è compreso (chiedere esempi);  parafrasare: consiste nel ripetere idee e fatti principali al fine di mostrare che sta avvenendo comprensione;  riflettere: consiste nel mostrare che si capiscono i sentimenti di chi parla, ribadendoli in modo che l‟altra persona divenga più consapevole di quello che prova;  riassumere quanto ascoltato anche utilizzando le stesse parole del cliente. L‟ascolto attivo domina soprattutto i primi colloqui e consente di comprendere il tipo di intervento da porre in essere; creato il clima di fiducia necessario in tutte le relazioni di aiuto affinché vi sia apertura e dialogo, attraverso l‟ascolto vengono ricercate e individuate le disfunzionalità educative. È opportuno che queste vengano successivamente rielaborate con il consulente affinché la restituzione e la “prescrizione” che questi propone nascano dalla condivisione di premesse e obiettivi. Dal punto di vista epistemologico occorre precisare che il consulente durante il colloquio non mette in atto una sequenza di “azioni” (anche comunicative) rigide, predefinite una volta per tutte e sempre uguali ma possiede piuttosto una certa “flessibilità” che si traduce nella capacità di “riflettere nel corso dell‟azione” mantenendo un costante dialogo non solo con il cliente ma anche con l‟azione stessa. Il colloquio quale metodologia di valutazione delle capacità genitoriali, unitamente all‟osservazione porterà alla formulazione di un giudizio finale per rispondere al quesito del Giudice, attraverso uno specifico approccio che non travalicherà il campo professionale delle Professioni disciplinate da Ordine e Collegi. 3.4 Il colloquio con il minore e il disegno come strumento di valutazione Il colloquio di consulenza pedagogica in ambito minorile è un ambito applicativo particolarmente delicato, che investe il professionista di una responsabilità notevolmente 51 incrementata rispetto all‟esecuzione di tutte le altre tipologie di colloquio indirizzate ad adulti 19 . È ovvio che i bambini non chiedono mai personalmente un colloquio di consulenza pedagogico, ma sono sempre inviati da qualcuno e, nel caso della consulenza tecnica, il committente può essere un genitore oppure il Giudice. Quando un bambino ha meno di quattro anni non viene osservato e ascoltato da solo ma sempre nell‟ambito del sistema familiare. Il discorso è diverso per un bambino che ha già compiuto 4 anni che può essere accolto da solo; tuttavia è impensabile concepire una valutazione a prescindere dalla famiglia, in quanto il bambino vive nel presente e non è in grado di narrare in modo lineare il proprio passato proprio a causa della sua cognizione temporale limitata. In riferimento al linguaggio che deve essere semplice, con bambini così piccoli è preferibile utilizzare disegni e matite colorate. In particolare, i disegni non devono essere analizzati all‟interno di una prospettiva che mira a leggere simbologie e rappresentazioni presenti (ad esempio un albero imponente che indicherebbe un soggetto stabile, l‟immagine del sole una figura paterna stabile, ecc.). Il disegno assume infatti rilevanza pedagogica, allorché viene analizzato dal consulente attraverso il modello degli elementi costitutivi 20 della relazione educativa. In questo senso, i disegni che acquistano importanza sono quelli che raffigurano la condivisione di un momento con le figure genitoriali: per tale ragione, in sede di Collegio Peritale si può suggerire al CTU l‟adozione di tale metodologia. Un‟attività molto interessante che si può proporre è la realizzazione di un disegno congiunto genitore/bambino avente come oggetto una giornata significativa trascorsa insieme nell‟ultimo periodo. Tale attività permetterebbe di ottenere dei feedback sia sulle modalità relazionali messe in atto sia sui contenuti del disegno stesso, sempre attraverso una lettura effettuata con il filtro dei cinque elementi della relazione educativa. Per quanto concerne l‟ascolto del minore, come abbiamo già visto nel primo capitolo, è necessario fare riferimento da un punto di vista etico e deontologico a due documenti riconosciuti a livello nazionale e internazionale: la Convenzione sui diritti dell‟infanzia approvata dall‟assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 Novembre 1989, ratificata dall‟Italia con legge del 27 Maggio 1991, n. 176 la quale all‟art 12 afferma che: 19 P. P. Cavagna, “Manuale per il colloquio pedagogico di consulenza”, Collana I F.A.R.I, Streetlib, pag. 181 20 F. Fenzio, “Manuale di consulenza pedagogica in ambito Giuridico, Familiare e Scolastico”, Ed. YouCanPrint, Lecce, 2017, pag. 74. 52  Gli Stati parti garantiscono al fanciullo capace di discernimento il diritto di esprimere liberamente la sua opinione su ogni questione che lo interessa, le opinioni del fanciullo essendo debitamente prese in considerazione tenendo conto della sua età e del suo grado di maturità.  A tal fine, si darà in particolare al fanciullo la possibilità di essere ascoltato in ogni procedura giudiziaria o amministrativa che lo concerne, sia direttamente, sia tramite un rappresentante o un organo appropriato in maniera compatibile con le regole di procedura della legislazione nazionale. Il secondo documento è rappresentato dalla Ratifica ed esecuzione della Convenzione europea sull‟esercizio dei diritti dei fanciulli del 1996 e convertita nella legge 20 marzo 2003, n. 77, la quale ha per finalità la promozione dei diritti del bambino, di tutti i bambini, dunque il riconoscimento dei diritti processuali, (artt. 3 e 4) che consegue necessariamente alla titolarità dei diritti sostanziali della persona poiché tutti, quindi anche i bambini, possono tutelare i propri diritti in giudizio (art. 24 Cost.); infine, la convenzione prevede come rimedio alla condizione di debolezza del bambino la facilitazione dell‟esercizio di tali diritti processuali attraverso l‟azione del c.d. “rappresentante”. Premesso ciò, il consulente pedagogico, nella gestione del colloquio con il minore, dovrà soddisfare due prassi ineludibili:  in riferimento soprattutto alla prima e seconda infanzia, l‟osservazione diretta diventa prioritaria per comprendere e cogliere il senso delle emozioni, dei sentimenti e degli affetti;  - il consulente pedagogico deve esplorare le conoscenze del bambino in relazione alla situazione in cui si trova ed eventualmente spiegargli il proprio ruolo ed il significato dei colloqui;  nell‟incontro con il minore è necessario instaurare una relazione empatica che permetta di comprendere l‟espressività e il linguaggio del bambino, il suo modo di entrare in rapporto con le cose e le persone, nonché l‟integrazione tra realtà e fantasia;  il consulente pedagogico deve esprimersi attraverso un linguaggio semplice e chiaro, con parole e concetti comprensibili, che non vadano oltre l‟ampiezza del vocabolario e del livello cognitivo del minore. A tale scopo si potranno utilizzare domande brevi e aperte al fine di favorire risposte ampie e libere, domande sugli aspetti emotivi legati ai contenuti del colloquio, domande di chiarificazione, specificando ciò che si vuole capire bene onde evitare suggestioni negative e positive. 55 CAPITOLO QUARTO CTU E CTP 4.1 Il Pedagogista nel ruolo di consulente tecnico d’ufficio del Tribunale Una volta delineati l‟ambito di competenza del Pedagogista, nonché le relative metodologie di indagine e rilevazione, è altresì necessario passare in rassegna il suo ruolo nella funzione di consulente tecnico d‟ufficio del tribunale. Pertanto viene presentato l‟iter che conduce alla stesura di una relazione tecnica che possa essere di supporto all‟operato del giudice, evidenziando, per quanto riguarda il ruolo del consulente tecnico, alcuni articoli dei codici di procedura civile e penale. Si intende inoltre rilevare la differenza dei contenuti e dell‟intervento in relazione all‟indagine pedagogica e a quella psicologica, così come vengono presentati importanti criteri e strumenti per una valida conduzione della consulenza tecnica pedagogica. Qual è allora il ruolo che il pedagogista può assumere quando in un processo (civile o penale) il giudice necessita di un ausiliario, che lo assista in determinate situazioni tecniche alquanto complesse? L‟art 61 del codice di procedura civile dispone infatti: “Quando è necessario il giudice può farsi assistere, per il compimento di singoli atti o per tutto il processo, da uno o più consulenti di particolare competenza tecnica…”, mentre il codice di procedura penale riporta: “La perizia è ammessa quando occorre svolgere indagini o acquisire dati o valutazioni che richiedono specifiche competenze tecniche, scientifiche o artistiche (art.220 c.p.p.)” e ancora: “Il Giudice nomina il perito scegliendolo tra gli iscritti negli appositi albi o tra persone fornite di particolare competenza nella specifica disciplina (art.221 c.p.p.)”. Il Giudice (inteso non come “persona fisica” ma come “organo giudicante” e dunque può essere un organo collegiale composto da più persone fisiche) può quindi nominare un consulente tecnico d‟ufficio (o perito, in caso di procedimento penale) ogni qualvolta ritenga necessario ottenere risposte a quesiti e valutazioni che richiedano specifiche conoscenze e competenze. Il Pedagogista quindi, in quanto esperto dei processi educativi e formativi, se investito di tale ruolo, dovrà possedere un‟adeguata preparazione per rispondere responsabilmente ad un compito di così elevato prestigio. Il consulente tecnico deve essere scelto, di norma, dal Giudice (art. 6, comma 2, c.p.c.) tra le persone iscritte nell‟apposito Albo 56 istituito presso il Tribunale. La nomina sarà quindi comunicata (di regola dalla Cancelleria) al CTU, che verrà invitato a comparire ad un‟udienza (vedi per il processo ordinario di cognizione l‟art. 192 c.p.c) nella quale dovrà prestare l‟atto solenne del giuramento (ovvero impegno) di “bene e fedelmente adempiere le funzioni affidategli al solo scopo di far conoscere al Giudice la verità” (art. 193 c.p.c). Il consulente può non accettare l‟incarico ovvero astenersi (se ricorrono le condizioni) e, in tal caso, dovrà denunciare la situazione al giudice almeno tre giorni prima dell‟udienza di comparizione (art. 192 c.p.c., comma 2). Spetterà al Giudice, all‟udienza di comparizione, dopo che il CTU avrà prestato l‟impegno, formulare il quesito (ovvero i quesiti) al quale il consulente tecnico dovrà rispondere normalmente depositando, dopo lo svolgimento delle proprie attività, una relazione entro i termini stabiliti al momento del conferimento dell‟incarico. Il Giudice, nel momento in cui affida l‟incarico al CTU, assegna, ove richiesto, alle parti che non abbiano proceduto alla nomina di un consulente di parte, un termine entro il quale potranno nominare, con dichiarazione ricevuta dal cancelliere, un loro consulente tecnico (art. 201 c.p.c.); tale termine per la nomina dei CTP non è mai successivo alla data di inizio delle operazioni peritali. Pertanto nella prassi saranno almeno tre i consulenti che parteciperanno simultaneamente alle operazioni peritali. Infatti “anche quando il giudice dispone che il consulente compia indagini da solo, le parti possono intervenire alle operazioni in persona o a mezzo dei propri consulenti tecnici e dei difensori e possono presentare al consulente, per iscritto o a voce, osservazioni e istanze (art. 194 comma 2 c.p.c.)”. Tra l‟altro “il consulente della parte, oltre ad assistere a norma dell’art. 194 alle operazioni del consulente del giudice, partecipa all’udienza e alla camera di consiglio ogni volta che vi interviene il consulente del giudice, per chiarire e svolgere, con l’autorizzazione del presidente, le sue osservazioni sui risultati delle indagine tecniche (art. 201 comma 2 c.p.c)”. Dall‟inizio delle operazioni peritali, il consulente potrà, nel corso delle indagini, se autorizzato, sottoporre i periziandi agli accertamenti che riterrà più opportuni e potrà acquisire (sempre previa autorizzazione) gli elementi che valuterà indispensabili e utili. Egli dovrà procedere coscienziosamente ed esprimere le sue valutazioni con sincerità, serietà, competenza ed imparzialità. Pertanto onestà, cultura e intelligenza risultano essere i requisiti fondamentali del CTU, che dovrà essere in grado di confermare la fiducia del giudice, tenendo ben presente l‟importanza del compito che gli è stato affidato, al quale dovrà rispondere con la massima professionalità. L‟esempio significativo, in tal caso è rappresentato da un‟eventuale consulenza tecnica d‟ufficio in 57 caso di contenzioso relativo all‟affidamento dei figli minori in un procedimento di separazione, che come abbiamo già visto,è l‟ambito d‟intervento specifico per questa figura professionale, data la competenza che il pedagogista deve possedere relativamente alle problematiche educative/relazionali. La legge sull‟affido condiviso (54/2006) ha voluto regolamentare diversamente le problematiche derivanti dalla crisi familiare, nel tentativo di ridefinire i diritti e i doveri dei soggetti coinvolti nel processo di disintegrazione del nucleo familiare. Principio ispiratore della legge è il diritto alla bigenitorialità, secondo il quale “anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale”. Il giudice quindi, “per realizzare tale finalità...valuta prioritariamente la possibilità che i figli restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quali di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore…”. L‟articolo 155 bis (affidamento a un solo genitore e opposizione all’affidamento condiviso) afferma infatti che “il giudice può disporre l’affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga con provvedimento motivato che l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore”. Con l‟affido condiviso padri e madri devono concordare tutte le decisioni riguardanti il figlio, indipendentemente dal genitore con il quale egli vive. Anche in caso di affido esclusivo, l‟altro genitore mantiene la potestà genitoriale che è esercitata da entrambi i genitori, così che “le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione e alla salute sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice”. Quanto sopra salvo che un genitore non chieda e ottenga per sé, in via esclusiva, anche l‟esercizio della potestà sul figlio. Nella realtà bisogna sempre fare i conti con tutto ciò che accade durante o dopo una separazione e non sempre il rapporto equilibrato proposto dalla legge si instaura tra le parti, così che, se i genitori non sono d‟accordo sul regime di affidamento, sarà il Giudice a decidere e la CTU richiesta dal Tribunale per meglio valutare l‟affidamento dei figli minori all‟uno o all‟altro genitore risulta abbastanza frequente. In tal caso l‟incarico può essere affidato a psicologi, a pedagogisti, a psichiatri o ad altre figure professionali. 60 con esperienza nell‟ambito della pedagogia giuridica è quindi legittima 22 e può essere suggerita e promossa dagli avvocati in qualunque momento del processo, compresa la prima udienza di trattazione nella fase istruttoria. Quando il Giudice formula il quesito 23 viene fissata l‟udienza nella quale il CTU deve comparire. Nell‟art 201 del c.p.c. si indica inoltre che, con l‟ordinanza di nomina del CTU, il Giudice assegna alle parti un termine entro il quale possono nominare, attraverso i rispettivi avvocati, un CTP (Consulente Tecnico di Parte). È soprattutto in qualità di CTP che il consulente pedagogico opera legittimamente in quanto la prestazione d‟opera tecnico-scientifica ch‟egli offre alla parte, basata sulle sue competenze in ambito pedagogico, sebbene non afferisca ad un Albo professionale, è tuttavia compatibile con le indicazioni della Legge 4 del 2013 “Disposizioni in materia di professioni non organizzate” in Ordini e Collegi. La nomina dei CTP avviene quindi ad opera degli avvocati che spesso indicano il loro nominativo in sede di verbale dell‟udienza di assunzione dell‟incarico del CTU. A tal proposito è necessario sottolineare l‟importanza del contributo offerto da un esperto di educazione quale è il Pedagogista nel fornire elementi tecnici, nonché deduzioni e controdeduzioni a sostegno o a disconferma di una decisione inerente le competenze genitoriali. Il CTP assume oggi un ruolo sempre più indispensabile per la risoluzione di questioni giuridiche che, sempre più spesso, dipendono da valutazioni di carattere tecnico e scientifico molto precise e complesse. Senza un CTP le informazioni date dal CTU al Giudice possono non essere corrette o comunque formulate in modo da fuorviare il Giudice e non tutelare i diritti della parte. Il tecnico incaricato dalla parte non deve necessariamente essere iscritto ad un albo professionale poiché il rapporto tra la parte che lo nomina e il consulente è, più che altro, di natura fiduciaria. È tuttavia conveniente, nonché logico, che vengano nominati CTP i professionisti esperti del settore in cui si svolgeranno le operazioni peritali e poiché il CTP dovrà confrontarsi con il tecnico nominato dal Giudice che al contrario deve obbligatoriamente essere iscritto ad un albo professionale, è necessario un confronto tra pari per avere maggiore credibilità 24 . 22 L‟utilizzo del modello dei 5 elementi costitutivi della relazione educativa può essere legittimamente usato in sede di CTU dal Pedagogista. Attraverso il colloquio e l‟osservazione, il consulente risponderà al quesito del Giudice fornendo una descrizione e valutazione del funzionamento della relazione educativa attraverso i suoi elementi costitutivi (asimmetria, codice materno e paterno, responsabilità direzionale, intenzionalità e congedo). 23 Esempio di quesito: “proceda il consulente ad un aggiornamento sulla situazione dei minori e dei genitori onde acquisire utili suggerimenti sulle migliori condizioni di collocamento dei minori stessi”. 24 https://consulenzatecnicadiparte.it/consulente-tecnico-di-parte/. 61 4.3 Il conflitto di interessi tra istanze di parte e tutela dei minori Nel momento in cui viene nominato, il CTP inizia un lavoro di presa in carico della parte che si esplica sia nella consulenza pedagogica fornita al proprio cliente sia nell‟accompagnamento dello stesso dinanzi alle operazioni peritali svolte dal CTU. Si pone da subito un tema deontologico legato al fatto che il CTP è retribuito dalla parte, tuttavia egli deve operare in condizioni di imparzialità e tenendo sempre in considerazione il bene dei minori implicati. Pertanto il consulente non deve trasformarsi in una sorta di avvocato difensore di secondo livello 25 , identificandosi con la parte che assiste e “battendosi” per raggiungere ad ogni costo una “vittoria 26 ”. A volte, il conflitto presente nel processo di separazione sembra infatti diffondersi su tutti i livelli: oltre al conflitto tra le parti si verifica il conflitto tra avvocati, il conflitto tra consulenti tecnici di parte e infine il conflitto tra CTU e CTP. Ne consegue che il Pedagogista, nel proprio operato, deve mantenere costante la meta-intenzionalità propria della consulenza tecnica di parte, in quanto essa ha come oggetto il supporto al CTU per la risposta al quesito posto dal Giudice e non il mero raggiungimento delle esigenze personali della parte assistita. La consulenza che il CTP fornisce alla parte ha quindi l‟obiettivo di ragionare sulle sue istanze senza perdere di vista la soluzione migliore per il minore, valorizzandone le risorse ed elaborando la relazione educativa genitore/figlio con il modello dei cinque elementi costitutivi. L‟attività del CTP partecipa alla dimensione valutativa presa in carico dal CTU ed esclude ogni azione prescrittiva ad opera del consulente; pertanto l‟accompagnamento fornito al genitore non ha l‟obiettivo di renderlo un “genitore modello” dinanzi al CTU, il quale, da psicologo, utilizzerà molto probabilmente test psicodiagnostici oltre al colloquio clinico, rilevando quindi problematicità profonde di personalità, difficilmente superabili con un “indottrinamento” calato dall‟alto 27 . Al contrario, il sostegno pedagogico fornito deve portare all‟individuazione delle risorse ma anche alla presa di coscienza dei propri limiti. Anche in questo caso, come nella normale consulenza pedagogica, il CTP può rendersi conto che la parte assistita debba rielaborare alcuni elementi con un professionista psicologo poiché restare sul livello della relazione educativa non basta. Sarebbe infatti opportuno valutare prima dell‟accettazione di una CTP questa eventualità. In sua scienza e coscienza, in un‟ottica di senso e buonsenso, il CTP pedagogico accompagna il suo cliente dinanzi alla valutazione del CTU, senza “sposare una causa” se non quella dei minori coinvolti e cercando di distogliere dall‟idea che il CTU sia una 25 Al tempo stesso anche gli avvocati devono porsi questioni etiche e deontologiche e tali propositi devono costituire una raccomandazione proveniente dagli Ordini di appartenenza, il che implica l‟attenuazione del conflitto e non una speculazione su di esso. 26 F. Fenzio, “Manuale di consulenza pedagogica in ambito Giuridico, Familiare e Scolastico”, Ed. YouCanPrint, Lecce, 2017, pag. 62. 27 Op. cit. pag. 63. 62 sorta di “magistrato inquisitore”. Tuttavia, la sensazione dei propri clienti è spesso quella di subire “la beffa oltre al danno”: pensiamo ad esempio a madri che, dopo aver subito violenze familiari, devono affrontare un CTU che pongono domande super partes, dando l‟impressione di mettere in dubbio le loro vicende e i loro racconti 28 . La CTU ha inizio con un Collegio Peritale formato dal CTU e dai due CTP, all‟interno del quale vengono definiti metodologie, soggetti da ascoltare e relativi appuntamenti. Calendario alla mano, verranno fissati i primi colloqui con tutti i soggetti (oltre ai genitori e ai minori, anche i nonni se presenti e gli eventuali nuovi compagni dei genitori) tenendo in considerazione le scadenze richieste dal procedimento. Questa conoscenza iniziale è importante per comprendere quale percorso di valutazione sosterranno il proprio cliente e i minori, al fine di avanzare particolari esigenze derivanti dai colloqui con la parte assistita e dalla lettura del fascicolo, quali:  la disfunzionalità del colloquio congiunto in una situazione caratterizzata da elevato conflitto;  la possibilità di ascoltare i nuovi compagni dei coniugi se stabilmente presenti nella vita dei minori;  la possibilità di videoregistrare la somministrazione di test psicologici ai minori al fine di rilevare anche la comunicazione non verbale del bambino. Durante la CTU, anche se gli avvocati si sono “fatti da parte” per lasciare spazio ai tecnici, è importante che il consulente aggiorni puntualmente il proprio avvocato sull‟andamento della CTU per sposare il suo operato con eventuali esigenze derivanti dalla prospettiva giuridica. L‟esperienza dell‟avvocato è infatti fondamentale per capire quali sono gli orientamenti più frequenti in Tribunale oltre al fatto che vi possono essere dimensioni che sfuggono ad uno sguardo meramente pedagogico. Iniziata la perizia, il CTP si renderà ben presto conto che il suo ruolo all‟interno dei colloqui è marginale. Egli potrà intervenire nei tempi opportuni e concessi dal CTU per formulare domande ai soggetti presenti al colloquio. Le domande dovranno essere pertinenti con la seduta appena svolta, ovvero riguarderanno esigenze di approfondimento sui contenuti concretamente emersi. Esse dovranno essere poste con uno stile comunicativo (verbale e non verbale) non inquisitorio o provocatorio affinché possano emergere elementi da fornire al CTU sino a quel momento non presi in considerazione. Durante la consulenza tecnica, i consulenti possono convenire nella richiesta di una proroga ai tempi richiesti dalla Legge, facendo espressa richiesta al Giudice. Il CTP svolge la sua consulenza sull‟adulto e per evidenti ragioni metodologiche e deontologiche non incontra i minori per tutta la durata della CTU. A conclusione dei colloqui e dei test psicologici (durante la cui somministrazione il CTP non potrà essere presente), il CTP riceverà una sorta di “bozza di conclusioni” dalla 28 In effetti per un CTU è difficile ricostruire la veridicità dei fatti considerato che spesso raccoglie resoconti delle parti tra loro contraddittori. 65  congruenza/incongruenza nella ricostruzione della propria infanzia nel rapporto con i genitori  riconoscimento e consapevolezza delle carenze subite e della propria sofferenza Strumenti indicati  colloqui pedagogico – valutativi individuali e congiunti con i genitori e/o con i membri della famiglia di origine  mediazione familiare AREA TEMATICA 3 – PROFILO DI PERSONALITÀ Finalità Individuare il profilo cognitivo – comportamentale fatto salvo quanto disposto dall‟art. 220 c.p.p. (divieto di sottoporre ad indagine psicodiagnostica l‟indagato se non in accrordo con l‟autorità giudiziaria) Indicatori per la valutazione delle competenze genitoriali  capacità/incapacità di aderire alla realtà  capacità/incapacità di controllo degli impulsi  capacità/incapacità di tollerare le frustrazioni  capacità/incapacità di modulare la relazione affettiva Strumenti  test valutativi non diagnostici (protocollo professionale)  osservazione non partecipante del soggetto in contesti di vita reale  colloqui pedagogico – valutativi AREA TEMATICA 4 – RAPPORTO DEI GENITORI CON I FIGLI Finalità  valutazione biografica della genitorialità  valutazione del modo in cui l‟organizzazione familiare si è strutturata nel tempo  osservazione della qualità della relazione genitore/figlio  rilevazione modalità comunicativo - relazionali genitore/i/figlio/i  rilevazione contenuti della relazione educativa  rilevazione disfunzionalità del processo educativo in rapporto ai cinque elementi 66 Indicatori per il recupero delle competenze genitoriali  grado di soddisfazione del minore della funzione genitoriale  presenza di una linea educativa comune all‟interno della coppia  caratteristiche dell‟alleanza genitoriale stabilita dalla coppia;  presenza/assenza di riconoscimento dei bisogni affettivi e di accudimento del minore  presenza/assenza di asimmetria educativa  presenza di modelli di attaccamento (sicuri, ambivalenti, disorganizzati)  flessibilità/rigidità nel negoziare le regole  presenza/assenza di intenzionalità educativa (progetto comune con finalità educative più o meno esplicite)  concezione del minore come “Altro-da-sè”  presenza/assenza di uno stile educativo orientato all‟autonomia e alla responsabilizzazione  criterio dell‟accesso (favorire legami continuativi e significativi con l‟altro genitore e i parenti dello stesso)  capacità empatica, di cura e ascolto del minore; Strumenti  colloqui pedagogici individuali e di coppia  colloqui congiunti genitori e figli  modello dei cinque elementi della relazione educativa nel tempo (osservazione sistematica longitudinale e in contesti di vita reale)  disegni del minore rappresentanti la realtà genitoriale  raccolta integrata informazioni da fonti diverse (scuola, vicinato, conoscenze prossime)  colloquio con insegnanti/educatori  audizione del minore come disposto dal Protocollo sull‟ascolto (cfr. Appendice) AREA TEMATICA 5 – INDICATORI PROGNOSTICI DI RECUPERO DELLA FUNZIONE GENITORIALE Finalità Valutazione della presenza delle potenzialità genitoriali ed attivazione delle stesse Indicatori di recupero competenza genitoriale  consapevolezza e accettazione delle disfunzionalità nella funzione genitoriale  consapevolezza proprie potenzialità educativo - affettive 67  messa in atto di rielaborazioni cognitive sulle disfunzionalità della relazione educativa  ristrutturazione della rappresentazione di sé in quanto genitore  messa in atto di strategie pedagogiche tese al problem solving  partecipazione attiva al progetto  messa in atto di comportamenti proattivi e responsabili  comprensione dei bisogni educativi e affettivi del minore, nonché rielaborazione di condotte pregiudizievoli Strumenti  colloqui in itinere con le figure genitoriali  colloqui con il minore  colloquio di restituzione finale  osservazione sistematica e longitudinale del processo ri - abilitativo 70 Art. 8 L’ascolto del minore in CTU è auspicabile che qualora si proceda ad un ascolto del minore in sede di CTU, anche detto incombente avvenga, così come per l’ascolto avanti al Giudice, senza la presenza delle parti e dei difensori e potrà essere richiesto che l’incombente venga videoregistrato, ovvero, ove possibile, anche in considerazione della particolare complessità del caso venga realizzato con modalità di audizione in forma protetta. Prima dell’audizione i consulenti di parte potranno sottoporre al CTU i temi e gli argomenti sui quali ritengono opportuno ascoltare il minore. L’approccio umanistico nella consulenza pedagogica La psicologia umanistica, indirizzo psicologico fondato da Carl Rogers e Abraham Maslow nel corso del „900, ha riservato alla comunicazione una grande attenzione. Sebbene l‟ambito di studio privilegiato sia quello della comunicazione terapeutica e didattica, tuttavia alcuni aspetti dell‟approccio alla comunicazione possono essere considerati utili strumenti per tutte le relazioni di aiuto. In particolare, la valorizzazione dell‟empatia e della non direttività della comunicazione sono condivisibili e in parte utilizzabili anche nella consulenza pedagogica 31 . Nella versione rogersiana i presupposti fondamentali della relazione d‟aiuto sono costituiti dalla genuinità (autenticità e trasparenza) del soggetto che offre aiuto, dalla considerazione positiva incondizionata del cliente (che viene accettato, rispettato e supportato) e dall‟empatia (capacità di comprendere in modo profondo i sentimenti dell‟altro). L‟attitudine all‟ascolto e la gestione del silenzio sono inoltre importanti per realizzare una comunicazione centrata sul cliente nella quale chi offre aiuto sappia provvisoriamente sospendere il proprio punto di vista per lasciare spazio a quello dell‟interlocutore. Nell‟ambito della consulenza pedagogica e in particolare nella prima fase del colloquio (accoglienza del cliente, contrattualizzazione, definizione del bisogno) è importante favorire un clima di fiducia affinché il cliente possa sentirsi a suo agio; a tal proposito è necessario evitare modalità comunicative che possono ostacolare la comunicazione e inficiare l‟apertura e la fiducia del cliente. Le categorie non funzionali al sostegno richiesto sono: 1) Dare ordini, comandare. Espressioni come “Tu devi…” potrebbero generare timore, senso di controllo e determinare resistenza; 2) Minacciare, avvisare, mettere in guardia. Espressioni come “Se non farai così..” possono produrre paura, risentimento, rabbia; 3) Fare la predica, rimproverare. Espressioni come “Tu dovresti..” oltre ad esprimere una certa mancanza di fiducia nell‟interlocutore, potrebbero indurre il soggetto a difendere il proprio punto di vista con maggiore forza; 4) Offrire soluzioni, consigli: frasi come “quello che farei io al posto tuo è…”, possono impedire al soggetto di riflettere autonomamente sul suo problema, di considerare soluzioni nuove e di sperimentarle realmente, rischiando pertanto di generare dipendenza; 5) Argomentare, persuadere con la logica: argomentazioni espresse attraverso frasi come “Tu sbagli perché…” possono provocare senso di inferiorità e inadeguatezza e portare il soggetto a trincerarsi 31 F. Fenzio, “Manuale di consulenza pedagogica in ambito Giuridico, Familiare e Scolastico”, Ed. YouCanPrint, Lecce, 2017, pag. 85. 71 dietro controargomentazioni; 6) Giudicare, criticare, biasimare: frasi come “Non pensi come una persona matura…” possono provocare timore, rabbia o ostilità; 7) Ridicolizzare, etichettare con aggettivi quali “incapace” possono influire sull‟immagine di sé e far sentire il soggetto svalutato e non apprezzato; 8) Interpretare e proiettare con frasi come “Tu sei semplicemente stanco... “ oppure “Tu in realtà non vuoi dire questo…” possono risultare frustranti e generare senso di mancata comprensione; 9) Fare apprezzamenti, manifestare compiacimenti. Espressioni quali “Hai proprio ragione!” se non correttamente contestualizzate, possono apparire come tentativi manipolatori orientati a incoraggiare i comportamenti desiderati, nonché causare disappunto quando la percezione che il soggetto ha di se stesso non coincide con gli apprezzamenti che gli vengono rivolti; 10) Rassicurare o consolare con espressioni del tipo “Vedrai che andrà meglio..” se non utilizzate adeguatamente, possono portare il soggetto a sentirsi incompreso nei suoi bisogni più profondi; 11) Contestare, mettere in dubbio, adottare un atteggiamento inquisitorio: “Perché?” “Ma cosa hai fatto?”, “Come?” possono generare ansia e fastidio; 12) Cambiare argomento, ironizzare: frasi come “Adesso non è il momento…”, “Parliamo piuttosto di cose piacevoli” possono dare la sensazione che i problemi e i bisogni del soggetto siano di scarsa importanza, non facilitando certamente l‟apertura del soggetto che si trova in difficoltà. Evitare barriere comunicative e atteggiamenti giudicanti può essere considerato, infatti, una base per l‟ascolto attivo, ovvero un ascolto empatico che esprime partecipazione e che si realizza attraverso cinque azioni principali, ossia:  mostrare interesse nei confronti della persona che espone il problema, annuendo o utilizzando parole neutre;  chiarire, vale a dire chiedere che venga spiegato quanto non si è compreso (chiedere esempi);  parafrasare: consiste nel ripetere idee e fatti principali al fine di mostrare che sta avvenendo comprensione;  riflettere: consiste nel mostrare che si capiscono i sentimenti di chi parla, ribadendoli in modo che l‟altra persona divenga più consapevole di quello che prova;  riassumere quanto ascoltato anche utilizzando le stesse parole del cliente 32 . Nell‟ottica della comunicazione non giudicante, anche l‟uso del messaggio-io può essere funzionale a sostenere la relazione. Esso consente di parlare di questioni delicate e di prospettare visioni diverse di una stessa vicenda senza ferire né offendere l‟altro in quanto è una tecnica comunicativa basata sulla manifestazioni di pensieri attraverso la definizione di stati d‟animo provati ed espressi in prima persona 33 . Durante il colloquio il consulente farà ricorso all‟ascolto attivo e al messaggio-io quando ad esempio userà espressioni quali: “Capisco il suo stato d‟animo…” (riflettere/ascolto attivo), “quindi lei mi sta dicendo che…” (parafrasare/ascolto attivo), “sento l‟esigenza di sapere…” (messaggio-io). 32 G. Magro, “La comunicazione efficace”, Franco Angeli, Milano, 2007, pagg. 115 – 130. 33 J. C. Torrego Sejio, “Vinco vinci. Manuale per mediazione dei conflitti nei gruppi educativi”. Molfetta, La Meridiana, 2003, pag. 74. 72 L’approccio pragmatico nella consulenza pedagogica La scuola di Palo Alto è nota in particolare per gli studi di Watzlawic sulla circolarità dei processi comunicativi e sulla pragmatica della comunicazione umana, ovvero lo studio degli effetti della comunicazione sul comportamento. Nel corso del „900, con la crisi del modello positivista e con l‟affermazione del paradigma della complessità, affiora la consapevolezza che l‟individuo, essendo un soggetto unico e non totalmente prevedibile nei suoi comportamenti, si sottrae ad ogni logica lineare di tipo “causa-effetto”. Analogamente il processo non può essere considerato lineare e progressivo e tra soggetti che comunicano si generano infatti sistemi con circuiti di retroazione dinamici e complessi. La consapevolezza della complessità e retroattività del processo comunicativo ha una duplice ricaduta sulla gestione del colloquio pedagogico. Il concetto di sistema 34 applicato alla consulenza pedagogica implica il presupposto che l‟essere umano è calato in un contesto relazionale esteso: egli agisce, interagisce ed adatta i suoi comportamenti in rapporto ad un ampio numero di elementi che includono, ad esempio, l‟ambiente nel quale si svolge la relazione educativa, il ruolo e le aspettative degli attori coinvolti nella relazione stessa. Secondo gli studiosi di Palo Alto, alla base della comunicazione è possibile collocare cinque assiomi che verranno di seguito facendo dei riferimenti alla consulenza pedagogica. Il primo assioma afferma che non si può non comunicare in quanto non si può non avere un comportamento (in tal senso anche il silenzio comunica). Il secondo assioma afferma che nel processo comunicativo sono presenti due piani: quello del contenuto (cioè dell‟oggetto esplicito della comunicazione, dell‟informazione) e quello della relazione (ovvero del rapporto tra le parti e del “comando”, nonché il modo in cui si deve intendere la relazione). Il terzo assioma afferma l‟esistenza della punteggiatura e si traduce nella constatazione che la lettura che viene data e la “narrazione” che viene effettuata della sequenza degli eventi può variare da un individuo all‟altro. Ciò risulta particolarmente evidente nel caso dei conflitti in cui una delle parti considera il proprio comportamento come una “conseguenza” di quello altrui e viceversa. Il consulente tecnico potrebbe imbattersi nella gestione di disfunzioni educative importanti se, durante una separazione, i genitori intraprendessero una guerra personale caratterizzata da ripicche, ricatti e reciproche attribuzioni di colpe. Il quarto assioma afferma che la comunicazione può avvenire sia attraverso un codice digitale che un codice analogico: il primo può essere scritto o verbale e, poiché si struttura sulla base di regole linguistiche e grammaticali, consente un certo livello di astrazione, nonché di menzogna; il codice analogico, oltre al para-verbale, include la comunicazione non verbale, cioè quella che si esprime attraverso i gesti, le espressioni del visto, le espressioni del viso, l‟abbigliamento e la distanza spaziale (prossemica). Il linguaggio non verbale e quello para-verbale difficilmente consentono di mentire e pertanto possono essere considerati espressioni di maggiore autenticità. Ovviamente il consulente 34 Per sistema si intende “un insieme di parti” la cui relazione di interdipendenza reciproca fa sì che, al variare di una di esse, si verifichi il variare di tutte le altre determinando il cambiamento dell‟intero sistema. 75 L‟analisi degli scambi comunicativi, effettuata secondo le categorie della scuola di Palo Alto, consente di individuare elementi significativi per il consulente, ovvero che:  tra i soggetti esistono attriti espressi sia a livello verbale che non verbale;  sono presenti tentativi di evitamento e di rifiuto della comunicazione;  la madre e il padre leggono il disagio della figlia come necessaria conseguenza di colpe dell‟altro (effettuando quindi una diversa “punteggiatura” di uno stesso evento). Tutti questi elementi, associati a rilevazioni inerenti i contenuti esplicitati, possono indirizzare l‟attenzione del consulente verso il sospetto della carenza di intenzionalità e di responsabilità direzionale. La coppia infatti sembra mandare messaggi contraddittori alla bambina (padre eccessivamente complice e madre eccessivamente rigida) e necessita nel complesso di un supporto orientato nel senso della condivisione di scelte, attività e modalità educative. Elementi di analisi transazionale nella consulenza pedagogica Al fine dell‟analisi delle dinamiche comunicative durante il colloquio pedagogico, risulta utile menzionare gli studi e le teorie elaborate da Eric Berne nell‟ambito dell‟analisi transazionale; tali studi possono contribuire infatti ad una lettura ampia della situazione della situazione critica presentata e essere di supporto soprattutto nella terza fase del colloquio (anamnesi della relazione educativa, presa in carico delle disfunzionalità e introduzione di strategie risolutorie). Per analisi transazionale si intende lo studio delle transazioni, cioè delle unità del rapporto sociale 36 . Secondo Berne in ogni scambio relazionale è possibile attivare uno dei tre stati dell‟Io presenti in ciascun soggetto. Lo stato dell‟Io-genitore (G) attiva modalità comunicative che possono essere considerate espressioni di figure genitoriali interiorizzate e che si manifestano attraverso attenzione alle regole, senso del dovere, moralità. “Non è giusto comportarsi così!”, “Smettila di piagnucolare” sono esempi di espressioni inerenti lo stato dell‟Io genitore 37 . Lo stato dell‟Io-adulto consente di prendere decisioni con razionalità, consapevolezza e di elaborare scelte convenienti in base alle circostanze. 36 E. Berne, “A che gioco giochiamo?”, Tascabili Bompiani, Milano, 2010, pag.31 37 Lo stato dell‟ Io genitore si esprime attraverso due modalità: l‟una affettiva e l‟altra normativa. Lo stato dell‟Io-genitore Affettivo rappresenta transazioni che manifestano atteggiamenti di cura, amore, disponibilità e, se di segno negativo, può generare dipendenza, permissivismo. Lo stato dell‟Io-genitore Normativo rappresenta l‟adesione alle regole e, se di segno negativo, può attivare atteggiamenti aggressivi, persecutori e sarcastici. G A B 76 Lo stato dell‟Io-bambino, infine, esprime aspetti ancestralmente connessi alla dimensione infantile e si manifesta con modalità che richiamano entusiasmo, spontaneità, ma anche ribellione o inferiorità 38 . “Evviva!” “Capitano tutte a me!” possono essere considerati esempi di attivazione dell‟Io-Bambino. I tre livelli dell‟Io possono essere espressi con modalità positive o negative: nel primo caso avviene una “corretta” comunicazione e vengono prodotti effetti positivi in chi ascolta come ad esempio autonomia, capacità di apprendere, pensiero logico e acquisizione di comportamenti socialmente accettabili. Nel secondo caso, invece, avviene una comunicazione “distorta” e gli effetti che si possono generare sono di dipendenza, confusione, instabilità. Di seguito viene presentata una frase di esempio per ciascun livello dell‟io-energizzato 39 prima negativamente e poi positivamente. Il primo gruppo di frasi viene pronunciato da una moglie che si rivolge al marito e gli stati dell‟Io attivati sono di segno negativo. Nel secondo gruppo di frasi, l‟emittente è una madre che si rivolge al proprio bambino e gli stati dell‟Io attivati sono di segno positivo. 1) G- : Stai sempre fuori casa! Un bravo genitore dovrebbe sempre mettere i figli prima di tutto! Sei un incapace! A: Vorrei cercare la soluzione migliore per garantire il benessere dei bambini. B- Non ne posso più di te! Voglio subito l’affidamento esclusivo! 2) G+: Sono disponibile ad aiutarti ma so che sei capace di fare i tuoi compiti in autonomia. A: Penso che dopo potremmo andare al parco giochi. B+: Che bello passare il pomeriggio assieme! Durante gli scambi comunicativi, i soggetti possono attivare i diversi livelli dell‟Io generando transazioni “complementari” o “incrociate”. Le prime determinano una risposta che attiva lo stato dell‟Io atteso. Nel seguente esempio di transazione complementare, un genitore, attraverso l‟espressione dell‟Io-Genitore, rimprovera il figlio che disturba e questi dà una risposta proveniente dallo stato dell‟Io-Bambino atteso che anticipa il ridimensionamento del suo comportamento. Le transazioni “incrociate”,invece, potrebbero provocare un‟interruzione della comunicazione in quanto la risposta proviene da uno stato dell‟Io non atteso. Nel seguente esempio di transazione 38 Lo stato dell‟Io-bambino può esprimersi nella direzione dell‟espressione libera della parte pulsionale, creativa, non arginata dall‟educazione (stato dell‟ Io-bambino libero) o nella direzione rappresentata dall‟adattamento dell‟impulsività alle regole (stato dell‟ Io-Bambino adattato). 39 Ibidem, pag. 14. G A B G A B Smettila con questo comportamento! D’accordo 77 “incrociata”, i genitori, convocati dal CTU, esprimono conflittualità attraverso affermazioni di reciproco rimprovero e biasimo. Lo stato dell‟Io attivato dalla madre è quello dell‟Io-Genitore che si rivolge all‟Io-Bambino dell‟altro. La risposta del padre non proviene però dallo stato dell‟Io atteso (cioè l‟Io-Bambino) ma ancora una volta dallo stato dell‟Io-Genitore che a sua volta accusa la madre. È facile intuire che in situazioni come questa, la conflittualità potrebbe raggiungere livelli elevati qualora il consulente non intervenisse ad esempio agganciando i livelli dell‟ Io-Adulto di entrambe le parti e ricordando che, sulla base di quanto emerso dal colloquio, il Giudice farà le sue considerazioni e deciderà secondo quanto ritiene essere il bene dei minori. Esistono inoltre le transazioni “ulteriori” e quelle a “carambola”. Nelle prime, oltre al messaggio esplicito, è presente un altro messaggio espresso talvolta con la comunicazione non verbale (e/o paraverbale) ed in grado di coinvolgere stati dell‟ Io differenti da quelli interessati dal messaggio esplicito. Nelle transazioni a “carambola” il messaggio ulteriore e nascosto è rivolto ad una terza persona, presente fisicamente e non direttamente coinvolta nella comunicazione. G A B G A B M: Stai sempre fuori casa e non ti preoccupi mai dei bambini! P: Pensi solo a te! Non sei in grado di gestire i bambini! G A B G A B Se non otterrò l’affidamento dovrò riorganizzare tutta la mia vita: sarebbe un disastro! Ho bisogno di aiuto… Genitore Consulente 80 L‟immagine positiva di sé comporta, invece, una certa apertura e fiducia nei confronti di sé e degli altri in virtù della quale si è disposti ad accettare i rischi del cambiamento. Gli studi sulle immagini di sé, da considerarsi come tendenze e non come tratti stabili e univoci dei soggetti, richiamano i tre stili comunicativi che ciascuno può adottare a seconda della situazione nella quale si trova. Quando si adotta uno stile comunicativo passivo si tende a non esprimere i propri pensieri e si preferisce assecondare le idee degli altri per timore o incertezza. Quando si adotta uno stile comunicativo aggressivo c‟è la tendenza a imporre il proprio parere sminuendo quello degli altri. L‟adozione di uno stile comunicativo assertivo, invece all‟individuo di esprimere le proprie opinioni e nel rispetto delle posizioni altrui. È opportuno che lo stile privilegiato dal consulente pedagogico sia impregnato di assertività in quanto, per gestire una comunicazione interpersonale efficace e funzionale, è necessario creare fiducia e gestire il dialogo nel rispetto di sé e degli altri. Ciò non significa che in alcuni momenti del processo comunicativo, vengano escluse modalità più “direttive” (quando ad esempio vengono offerte indicazioni prescrittive) o meno “attive” (quando ad esempio nella fase di “raccolta delle informazioni” e di “decodifica del problema” si è focalizzati sull‟ascolto). La combinazione dell‟immagine che si ha di sé e dell‟immagine che si ha del proprio interlocutore determina la posizione esistenziale da cui può dipendere il rapporto con gli altri e il comportamento nelle varie situazioni. Schematicamente le quattro posizioni possono essere presentate come segue: Autostima Apertura Fiducia Rischio Azione Accettazione degli altri 81 Nel primo riquadro (Io sono OK – Tu sei OK) vengono attivati tutti i livelli dell‟Io e sono presenti soprattutto transazioni “complementari”. Nel secondo riquadro (Io sono OK – Tu non sei OK) vi è una prevalenza dello stato dell‟Io-Genitore e le transazioni possono essere “complementari” o “incrociate”. Nel terzo riquadro (Io non sono OK – Tu sei OK) agisce soprattutto lo stato dell‟Io-Bambino che si rivolge allo stato dell‟Io-Genitore dell‟interlocutore. Nel quarto riquadro (Io non sono Ok – Tu non sei OK) agiscono sia stati dell‟Io-Bambino che dell‟Io- Genitore. In “A che gioco giochiamo”, Berne fornisce ulteriori elementi per l‟analisi delle dinamiche comunicative. Può essere utile per il consulente pedagogico conoscere l‟esistenza di “giochi psicologici” nei quali i soggetti (spesso senza rendersi conto) si scambiano i ruoli di Persecutore, Salvatore e Vittima come se stessero recitando delle parti in una commedia. Lo scambio di ruolo può essere rappresentato attraverso il triangolo drammatico di Karpmann: Proviamo ad immaginare una famiglia che vive una situazione di conflitto caratterizzata dall‟assenza di una linea educativa comune, in cui la madre sembra adottare un comportamento caratterizzato da eccesso di codice materno e il padre, viceversa, da un eccesso di codice paterno nel gestire la crisi adolescenziale della figlia quattordicenne. In tale contesto i ruoli di vittima, persecutore e salvatore potrebbero essere rivestiti in momenti diversi dalla madre, dalla figlia e dal padre in un gioco che non genera soddisfazione in nessuno dei tre “attori”. Durante i colloqui, il consulente pedagogico può essere testimone o trovarsi egli stesso invischiato in dinamiche comunicative e relazionali ripetitive e logoranti che non consentono facilmente di trovare soluzioni ai problemi ma possono incancrenire situazioni già difficili. Berne definisce i “giochi” come una serie continuata di transazioni ulteriori complementari rivolte ad un risultato definito e prevedibile (…), una serie di mosse insidiose e Io sono ok Tu sei ok Io non sono ok Tu sei ok Io sono ok Tu non sei ok Io non sono ok Tu non sei ok P S V 82 truccate 40 ”. Riconoscere la presenza di giochi psicologici può non essere semplice ed alcuni elementi transazionali possono fungere da indicatori in quanto:  i giochi portano ad un momento di sorpresa e confusione;  ogni partecipante crede di interagire sollecitando il proprio stato dell‟ Io-adulto ma in realtà durante gli scambi sono presenti messaggi latenti a carico degli stati dell‟ Io-Genitore e dell‟Io-Bambino di segno negativo;  la conversazione si inasprisce;  ciascun partecipante riceve una buona dose di “carezze negative 41 ”. Il gioco inoltre si innesca secondo una sequenza che può essere rappresentata come segue 42 : G + A → R → S → X → T.F. G rappresenta il momento in cui il soggetto offre un “gancio”, ovvero invita l‟interlocutore a entrare nel gioco. R è l‟insieme delle transazioni e risposte a seguito delle quali avvengono: lo scambio di ruoli (S) tra le parti, un momento di confusione (X) e la conclusione del gioco con il tornaconto finale (T.F.) 43 . Secondo Cutuli, una volta riconosciuto un gioco, è possibile fermarlo attraverso quattro fasi: 1. giocare il gioco per agganciare e offrire quel tipo di “carezze” che l‟interlocutore si aspetta; 2. ignorare il gioco, ovvero non offrire l‟anello al gancio; 3. stoppare il gioco, chiedendosi qual è lo scopo che l‟altro vuole raggiungere e sostituire ad un vantaggio negativo (come attirare l‟attenzione) un vantaggio positivo e reale; 4. svelare il gioco, ovvero agganciare il livello dell‟Io-adulto, mostrando all‟interlocutore la ripetitività e l‟improduttività di ciò che sta avvenendo a livello transazionale. Tra i giochi che il consulente potrebbe incontrare è possibile menzionare: “Perché no...Si ma”, “Gamba di legno”, “Stavo solo cercando di aiutarti”, “Non è la volontà che mi manca”, “Indispensabile”, “adesso ti faccio vedere io”. - “Perche no...Si ma” nell‟ambito della consulenza pedagogica potrebbe essere messo in atto dal soggetto che chiede aiuto ma, quando vengono prospettate diverse soluzioni al problema, questi le rifiuta trovando scuse e ritenendo ciascuna alternativa propostagli non adeguata. Il consulente individua la disfunzionalità ma il cliente considera improponibili uno dopo l‟altro i vari suggerimenti proposti, trovandoli pretestuosamente non adeguati al suo problema. Il rischio che corre colui che si trova a gestire una relazione d‟aiuto caratterizzata da questo tipo di gioco è quindi quello di cadere nel “sto solo cercando di aiutarti” che ha come scopo l‟attenuazione del senso di colpa. Per gestire tale tipologia di cliente, il consulente potrebbe restituire al cliente il 40 E. Berne, “A che gioco giochiamo”, op. cit., pag. 55. 41 Ciascun essere umano ha un innato bisogno di sentir riconosciuta la propria presenza e, in Analisi transazionale, le “carezze” sono il segno di tale riconoscimento. Secondo Berne le carezze “negative” (rimproveri, biasimi, critiche, ecc.) sono preferibili all’assenza di “carezze”. 42 V. Cutuli, “Comunicazione corretta e comunicazione distorta”, op. cit. pagg. 45 – 46. 43 Il tornaconto è un‟emozione “parassita” provata dal giocatore alla chiusura del gioco. 85 Ovvero: - Esprimo sempre ciò che penso oppure faccio fatica a “calibrare” i miei messaggi a seconda delle circostanze? 3) Quali sono i modelli che influenzano la mia intenzionalità? Ovvero: - Aderisco ai nuovi tecnicismi scientifici basati sul metodico presidio di ricette oppure credo in una relazione educativa che si ponga con autenticità senza l’ausilio di subdole “strategie”? 4) Quali sono i miei “copioni” ricorrenti ? Ovvero: - Tendo a reiterarmi in ruoli schematici che non funzionano oppure sono appassionato a reinventarmi di volta in volta la mia funzione sul “palcoscenico”? QUESITI APERTI PER PROBLEMATIZZARE L‟ELEMENTO RESPONSABILITÀ DIREZIONALE 1) Quali finalità perseguo tutti i giorni? Ovvero:- La mia presenza educativa si pone un orizzonte di senso oppure proseguo “a caso”? 2) Gli orizzonti valoriali entro cui opero sono adeguati? Ovvero: - Sono attento/a alle esigenze della società contemporanea oppure perseguo modelli che ritengo abbiano una validità assoluta? 3) Le finalità prospettate sono adeguate? Ovvero: - Sono molto esigente in ciò che pretendo oppure chiedo meno di quanto potrei? 4) Come vengono osservate e lette le disfunzionalità del bambino? Ovvero: - Tendo a proiettare ciò che ritengo sia il suo problema oppure resto aperto al bisogno di cui egli è portatore attraverso il problema 5) Si è consapevole dei risultati che si vogliono ottenere? Ovvero: - Mi immagino dei risultati ideali oppure sono in grado di adattarli alle particolarità del bambino? QUESITI APERTI PER PROBLEMATIZZARE L‟ELEMENTO CONGEDO 1) Sono in grado di congedare? Ovvero: - “Lascio andare” mio figlio oppure faccio fatica a distaccarmene? 2) Che valore attribuisco ai momenti conclusivi in cui mio figlio dimostra “ciò che vale”? Ovvero: - Gli obiettivi raggiunti sono ciò a cui penso maggiormente o mi focalizzo solo sui processi? 3) Sono consapevole di come congedo? Ovvero: - I momenti di congedo sono evitati o sminuiti (meccanismo di difesa contro il dolore del distacco) oppure preparo intenzionalmente il momento in cui va riconosciuto l’esito del percorso? 4) Sono consapevole che dovrò congedare? Ovvero: - Non riuscirò mai ad immaginarmi senza mio figlio oppure sono da sempre consapevole che fortunatamente il mio ruolo andrà a scomparire? 86 Profilo e funzioni del CTP Il CTP è il difensore tecnico della parte in un processo presso il Tribunale o in ogni contenzioso con terzi ove gli aspetti tecnici ricoprono una certa importanza, al pari o a volte anche in maniera superiore a quelli legali 46 . Quando si verifica un contenzioso ci si rivolge solitamente all‟avvocato per far valere i propri diritti senza pensare di rivolgersi in prima istanza ad un Tecnico o in generale ad un CTP (Consulente Tecnico di Parte) che aiuti a far chiarezza sugli aspetti tecnici implicati, che qualora avessero rilevanti risvolti giuridici, richiederebbero anche l‟intervento di un legale. L‟assistenza di un CTP al cliente si suddivide in tre fasi: - FASE 1 - PRIMA DELLA CTU: il ruolo del CTP è fondamentale quando si trattano questioni tecniche, sin dall‟analisi preliminare dei fatti o dei luoghi per la predisposizione delle varie prove difensive e nell‟affiancare l‟Avvocato per la più corretta ed efficace formazione degli atti di causa o anche per tentare una proficua conciliazione o mediazione della lite. Se la parte è Attrice, ovvero agisce per prima in giudizio per far valere un proprio diritto, le principali funzioni del CTP (in via non esaustiva) sono: 1) Verifica della fattibilità tecnica per poter iniziare una causa legale anche attraverso analisi sintetiche o analitiche preliminari; 2) Ricerca ed analisi dei vari documenti tecnici da produrre in atti a titolo di prova; 3) Focalizzazione dei punti strategici e di forza a favore ovvero contro la Parte per l‟ottimizzazione dei risultati; 4) Confronto con l‟Avvocato sulla redazione degli atti, perizie e memorie difensive. 5) Definizione e Redazione di una relazione di Consulenza Tecnica di Parte detta anche Perizia a supporto della causa in Tribunale; 6) Valutazione delle chance della causa ovvero dei punti di forza e di debolezza della parte che assiste; 7) Formulazione dei giusti quesiti da far porre al CTU. Il CTP assiste infatti l‟Avvocato nella proposta di quesito, eventualmente anche intervenendo nell‟udienza di nomina del CTU. Quest‟ultimo punto è particolarmente importante poiché è quanto verrà accertato dal CTU ovvero esaminato dal Giudice per giungere alla sua sentenza finale. Se invece la parte è Convenuta, ovvero è convocata dall‟Attore a costituirsi in risposta nel procedimento stesso, allora le funzioni del CTP sono (in via non esaustiva): Analisi tecnica dei documenti tecnico-legali prodotti dalle controparti. 1) Svolgimento di analisi e consulenze sintetiche preliminari sulle contestazioni avversarie; 2) Valutazioni e suggerimenti sulla scelta e opportunità di produrre documentazione agli atti di causa; 3) Analisi SWOT e focalizzazione dei punti strategici e di forza delle varie Parti in causa; 4) Confronto con l‟Avvocato sulla redazione degli atti, perizie e memorie difensive da produrre in Tribunale; 5) Replica con perizia scritta alla relazione di consulenza tecnica avversaria; 6) Valutazione del rischio di causa e sulle opportunità conciliative e/o di Mediazione. 46 https://consulenzatecnicadiparte.it/cosa-fa-il-ctp/. 87 FASE 2 - DURANTE LA CTU: Il CTP durante le operazioni peritali condotte dal Consulente Tecnico d‟Ufficio ha un ruolo solo in apparenza di secondo piano rispetto al CTU, infatti può in questa fase, fondamentale per tutta la causa, ricoprire un ruolo determinante per condurre il CTU stesso verso le posizioni della propria parte assistita e difesa tecnicamente. Pertanto le principali funzioni sono: 1) Aggiornare periodicamente la Parte ed suo Avvocato sull‟andamento delle attività peritali (in particolare, trasmettendo i verbali delle operazioni). Non è necessario che il CTP formalizzi in verbali le attività che egli svolge da solo (anche se è opportuno che ne dia evidenza alla sua Parte specie se questa non è presente alle operazioni peritali); 2) Confrontarsi sulle impressioni e notizie utili rinvenute nel corso delle attività peritali, anche reperite al di fuori dei verbali; 3) Condividere la linea di difesa da portare avanti in conseguenza ai primi rilievi peritali. 4) Valutare, nell‟interesse per il Cliente, la possibilità di chiudere la vertenza con una conciliazione bonaria della lite; 4) Raccogliere eventuali nuovi elementi di prova o sollecitare il CTU affinché approfondisca alcuni accertamenti; 5) Cercare di prevedere e prevenire le posizioni del CTU in merito alla stesura della sua relazione; 6) Far verbalizzare tutti gli elementi favorevoli alla propria parte; 8) Il CTP deve vagliare l‟opportunità o meno di accettare ovvero di produrre nuova documentazione, ammissibile solo con il consenso (all‟esame e alla menzione) di tutte le Parti (art. 198 c.p.c.) ; 7) Non deve consentire di ampliare il campo d‟indagine del CTU, il quale resta vincolato ai quesiti formulati dal Giudice, se sorgono controversie sui poteri o sui limiti dell‟incarico conferito al CTU, si deve chiedere di ricorrere al Giudice (art. 92 disp.att.c.p.c.) (parziale) differenza nell‟ATP (art. 696 bis c.p.c.); 8) Il CTP non deve prestare alcun giuramento, contrariamente a quanto fa il CTU; 9) Il CTP assume una funzione di controllo tecnico-giuridico sull‟operato del CTU; 10) Il CTP risponde al Cliente del mandato ricevuto. 11) Il CTP interviene alle operazioni del CTU 12) Il CTP presenta al CTU osservazioni ed istanze che (auspicabilmente) saranno tenute presenti dal CTU per la stesura della sua perizia e dal Giudice per la sentenza. Ciò che fa il CTP nell‟esecuzione dell‟incarico di CTP è personale e non può essere delegata a terzi (ciò non esclude la possibilità di avvalersi di collaboratori e di farsi sostituire alle riunioni peritali, anche se su questo vi possono essere opposizioni delle parti. FASE 3 – DOPO LA CTU: dopo la chiusura delle operazioni peritali del CTU, il CTP svolge, in questa fase, il suo compito più importante: infatti, a seguito del deposito della relazione di CTU in bozza, questa viene consegnata preliminarmente alle parti, proprio attraverso il CTP, che dovrà: 1) Svolgere la propria analisi tecnica e formulare osservazioni critiche sulla relazione del CTU; se il CTP redige una buona relazione di Consulenza Tecnica di Parte, questa può essere utile ed utilizzata anche dal Giudice che, talvolta, decide in sentenza anche «contro» le conclusioni a cui è giunto il CTU (Giudice perito periturum);
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