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Per Kubrick. Dodici sguardi critici - Vito Zagarrio, Sintesi del corso di Teoria Del Cinema

Riassunto completo, per capitoli, del testo valido per l'esame.

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

In vendita dal 20/01/2023

EmanueleCellini
EmanueleCellini 🇮🇹

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Scarica Per Kubrick. Dodici sguardi critici - Vito Zagarrio e più Sintesi del corso in PDF di Teoria Del Cinema solo su Docsity! Dodici sguardi critici Per Kubrick Zagarrio Introduzione La revisione del cinema di Stanley Kubrick in Italia è relativamente tardiva, e avviene sostanzialmente durante gli anni Ottanta, quando Shining, il film horror destinato a far scrivere più di una generazione di studiosi, si impone quale opera “multiplanare”, suscettibile di ammettere ogni tentativo interpretativo come legittimo e capace di inglobare anche gli altri (quello psicoanalitico, sociologico, favolistico, ecc.). Una tale situazione amplifica e affina l’attività del critico, che se durante gli anni Settanta può affrontare con rigore di metodo l’indagine che sottopone il film al vaglio dell’ideologia o dell’esame storico-critico, adesso è nella complessità “stratificata” del linguaggio che può individuare i moventi dell’indagine. Kubrick è stato tra i cineasti più lucidi e personali del cinema americano del dopoguerra, un autore che dopo le sperimentazioni sul linguaggio dei primi lungometraggi coraggiosamente legati ad un’autonomia produttiva che continuerà negli anni (si pensi alle origini di Paura e desiderio, Il bacio dell'assassino e Rapina a mano armata) approda virtuosamente a un cinema “sospeso nella modernità”, teso e lucido nel comporre una sorta di ambiguità temporale che avvicina qualunque dei periodi storici affrontati (siano questi gli anni futuribili di Arancia meccanica così come i giorni di paradossale escalation autodistruttiva de Il Dottor Stranamore) all’epoca in cui ciascun film è realizzato. I film di Kubrick, che portano in scena un universo contemporaneo permeato dal vuoto pneumatico dell’atemporalità, mentre in un primo tempo vengono apprezzati in Italia per il contenuto libertario e progressista di alcuni indiscussi capisaldi della cinefilia internazionale (Orizzonti di gloria fu a lungo il titolo più considerato), dovranno scontrarsi con l’Italia dei dogmatismi, per cui un film come Il Dottor Stranamore, nel 1964, farà scrivere a un critico altrimenti equilibrato come Fernaldo Di Giammatteo che la sola ideologia paventata nel film di Kubrick è il “cinismo”. Tra vecchie prurigini antiamericane e rifiuto di un cinema che non si dichiarava realistico nel senso in quegli anni più accreditato, l’opera di Kubrick, che osava portare il disincanto della caricatura nella ricerca spettrale di una verità oltre la maschera, venne a tratti non compreso nel suo grado di superiore coscienza che permetteva a un regista americano di affrontare con il necessario distacco (insieme con un buon grado di “popolarità”) una stagione politica e umana dominata dal pericolo della definitiva scomparsa del pianeta. Kubrick è il regista dei grandi temi che arrovellano l’uomo al cospetto della modernità, un rabdomante della visione “così legato all’attualità da risultare astorico, e tanto attratto da ciò che è sociale e storico da rendere attuale ogni circostanza” (Davide D’Alto, Tra l'opaco e la luccicanza, in Roberto Lasagna e Saverio Zumbo, I film di Stanley Kubrick, Edizioni Falsopiano, 1997). Proprio la peculiare attenzione per come i drammi dell’uomo si palesano nel dominio della rappresentazione filmica (che si produce in Kubrick in una sorvegliata e investigante riproduzione visiva e ambientale dei contesti riprodotti) rende i suoi film dei testi destinati a nuove e continue riletture, caratteristica che vedrà il suo lavoro “crescere” nel corso degli anni, quando i più moderni film di denuncia del periodo, celebrati al momento della loro uscita nelle sale, reggeranno con meno vigore alla prova del tempo. Ma in quegli anni, in Italia, sono ancora in pochi ad accorgersi che la radiosa “confezione” (la cura attenta per ogni aspetto della realizzazione filmica) nel caso specifico non nasconde una scrupolosa e rischiosa ricerca in quell’archivio dell’enigmaticità che è la realtà, gli elementi identificabili e non sempre conosciuti che fanno la storia di un popolo. Il pregiudizio nei confronti de Il Dottor Stranamore, film che seguì di due anni gli scandali del leggendario Lolita (emblema dei rapporti tra cinema e letteratura nonché tra l’America e la sua precarietà), trovava la sua ragione rinnegherà il suo esordio cercando vari modi per prendere le distanze da questa “artisticità debordante e troppo esplicitamente esibita”. Il secondo esordio può essere letto come un tentativo di saldare il nesso tra uno stile visivo riconoscibile, ricercato e non trasparente, con una struttura narrativa caratterizzata dall’azione orientata e compiuta dei personaggi. In questo film vediamo infatti “azioni compiute da umani, per i quali i processi mentali sono legati alle azioni fisiche, che sono a loro volta finalizzate a scopi reali”. Per questo anche in Il bacio dell'assassino è possibile trovare modelli di riferimento “alti” (Orson Welles e Max Ophulus), che conciliano uno stile visivo ricercato, con il piacere narrativo dell'azione orientata ed evolutiva dei personaggi e del racconto. (→ la sequenza del gioco di specchi tra appartamenti è esemplificativa della sintesi tra il piacere visivo e la significanza narrativa). Con Il bacio dell'assassino Kubrick filtra la classicità con le lenti di quei registi che gli europei avrebbero considerato “autori”. Proprio questo modello autoriale consentirà a Kubrick di tornare ad affrontare aspetti permanenti del mondo e dell’umano garantendosi comunque il favore della critica e l'attenzione del pubblico e delle major.  Orizzonti di gloria - P. Sorlin Esistono pochi film sulla Prima guerra mondiale, e quelli che ci sono, al di là di un'ironia caustica, spesso non osano metterne in discussione né le motivazioni, né il comportamento degli stati maggiori, che mandavano i loro uomini verso una morte certa ed inutile. Solo tre film, tra cui Orizzonti di gloria, affrontano il tema delle esecuzioni sommarie ordinate dal comando “per dare l'esempio”. Kubrick non si era mai occupato di politica, il suo interesse per la Grande Guerra non era però casuale, ma bensì legato alla profonda conoscenza che aveva dell'Europa. Se nell’esercito americano la prima regola è che un soldato rimane un cittadino, e che il primo dovere dello Stato maggiore è risparmiare la vita degli uomini, le vite dei soldati europei durante la Prima guerra vennero sperperate: il film di Kubrick è più una condanna dell'Europa che una critica alla guerra mondiale. Orizzonti di gloria può essere definito come il più storico dei film di Kubrick. Sii tratta di un libero adattamento al romanzo di Cobb ispirato a fatti realmente accaduti (offrendo una visione romanzata e verosimile di un inutile offensiva micidiale imposta da un generale francese che per vendicarsi dello scafo subito fa fucilare tre soldati). Il racconto è perfettamente lineare, con un'azione coerentemente divisa in quattro momenti necessari, che corrispondono ognuno ad un giorno. La logica del film viene rinforzata dal ricorso a due procedimenti normalmente usati nel cinema tradizionale: in primo luogo, la raffigurazione della guerra propone luoghi comuni tesi a rafforzare nella mente dello spettatore l'idea che l'oggetto della pellicola sia la condanna della guerra stessa; in secondo luogo abbiamo la rappresentazione di un altro momento tipico del cinema americano, il tribunale, ma sta volta assistiamo a una sua parodia, dove la corte finge di funzionare normalmente ma in cui la sentenza è data già per scontata prima ancora della seduta. Questi elementi inciterebbero il pubblico a vedere nel film una critica aspra alla gerarchia militare. Il regista ha confermato più volte questa interpretazione, ma non possiamo ritenere che essa sia l'unica lettura possibile del film. Bisogna quindi mettere in rilievo un altro modo di capire Orizzonti di gloria ↓ Kubrick e i co-sceneggiatori hanno profondamente modificato la storia raccontata nel romanzo di Cobb. Nonostante possa quasi essere definita un'opera originale un confronto tra il libro e la pellicola non risulta però inutile: Nel libro il protagonista è il generale Mireau, insieme ai tre soldati condannati. Il colonnello Dax, comandante del reggimento, ha un ruolo limitato, è un militare perfettamente disciplinato, che “viveva in uno stato di paura vicinissimo al panico”. Nella pellicola, invece, il colonnello Dax diviene il vero protagonista. La coppia Mireau/Dax rappresenta la contrapposizione tra un generale senz'anima e un ufficiale superiore che ama i suoi uomini e vuole proteggerli. Essendo interpretato dal divo del film, Kirk Douglas, il pubblico capisce immediatamente chi sono i buoni, i cattivi e dove si trova la giustizia. C'è però attorno al personaggio di Dax un impressionante serie di inverosimiglianze che non possono essere etichettate come meri errori, si tratta di sbagli volontari (→ il colonnello Dax dorme in un tugurio miserabile mentre il rifugio di un semplice tenente a lui subordinato risulta essere un luogo confortevole, un contrasto evidentemente voluto; Dax dirige personalmente l'attacco quando in realtà un colonnello non si metteva ma a capo di un offensiva, ma la seguiva da una posizione lontana, di osservanza; il film si conclude con una sequenza originale che non esiste nel romanzo in cui, dopo l'esecuzione, il reggimento torna al fronte e dei soldati costringono una giovane tedesca a cantare. Si tratta di una scena assurda in quanto la guerra sul fronte ovest si svolse in territorio francese o belga, dove non era possibile trovare civili tedeschi. Questi sono alcuni “sbagli” volontari riscontrati.) Il personaggio di Dax viene reso, da queste incongruenze, una figura impossibile in un’opera che vuole ricostruire con la massima fedeltà l'atmosfera è il quotidiano della guerra nel fronte francese. Kubrick invece di rinforzare la critica attraverso l'opposizione Mireau/Dax, crea invece un eroe che mette in crisi l'esattezza della descrizione e, nonostante sia il polo positivo dell’opera, Dax non riesce né a ostacolare un’offensiva disperata destinata a fallire, né a convincere il generale che la corte marziale sia inutile, né a salvare i tre soldati. Possiamo sottolineare un legame forte tra il personaggio e la morte, in quanto esso è implicato anche nella morte morale di Mireau. Le tre sequenze in cui interviene il generale d'armata Broulard modificano la lettura del film. In sintesi, ciò che accade è che Broulard va a trovare il generale Mireau per convincerlo ad attaccare il Formicaio, promettendogli una promozione attraverso una manovra di seduzione fatta di lusinghe. Tutti sanno che la missione è impossibile e Broulard spinge Mireau verso una sconfitta. Dax racconta a Broulard come Mireau volesse far bombardare il suo reggimento, e quando i due generali si incontrano nuovamente appaiono in ottimi rapporti. Broulard rivela solo all'ultimo momento, in tono scherzoso, che sa tutto e che Mireau verrà per questo silurato. Capiamo qui che il responsabile del massacro non è un semplice ambizioso, ma bensì un generale che per poter eliminare Mireau lo convince a commettere un errore, senza preoccuparsi del numero di soldati che per questo verranno sacrificati. Mireau diventa così una vittima, che, contrariamente all' opinione corrente, è una vittima non simpatica: Broulard gioca con Mireau per poi abbatterlo, come il diavolo che offre il miraggio di un facile successo che si rivela una trappola. E la trappola è che il colonnello Dax muoverà l’accusa decisiva contro il generale Mireau. Dax diventa una figura strettamente legata alla morte. L’ipotesi azzardata trova conferma nella sequenza in cui Dax fa un’ispezione, ma la scena viene filmata come un sogno/allucinazione, in cui la ricercatezza stilistica conferma l’atmosfera onirica: la trincea è più grande e i soldati somigliano a un’armata di fantasmi, e il montaggio alternato accentua la distanza tra l'ufficiale e gli uomini. Che Dax sia una figura di morte viene poi confermato dal seguito della sequenza, in cui durante l’attacco i soldati cadono mentre il colonnello Dax va avanti solo, invulnerabile e intoccabile, si espone alla morte impunemente, come farebbe solo la morte stessa. Come un Angelo della morte rimane sempre intatto. Il film si presta dunque a due letture diverse ma non contraddittorie, che portano ugualmente al processo dello stato maggiore francese. Le interpretazioni differenti, una storica, l’altra mitica/metafisica, richiedono due letture differenti sia del racconto, che del lavoro filmico: secondo la lettura storica, i brevi interventi di Broulard servono unicamente ad aprire e chiudere la vicenda, mentre ciò che mantiene la centralità e il confronto Mireau/Dax (ambizione/umanità); invece, secondo la lettura mitica/metafisica la coppia fondamentale è Broulard/Dax. In questa seconda lettura Broulard risulta essere come Satana, tratto esemplificato dalla mdp che lo segue in campo medio simulando una danza rituale che ne enfatizza il carattere seduttivo (mentre ne nasconde la cattiveria). Quindi, se Mireau è un volgare ambizioso, Broulard è il Male assoluto. E di fronte a lui l’Angelo (della morte, Dax), semplice testimone disarmato, può solo dare dignità a un sacrificio inutile. Intrecciando le due chiavi di lettura il film sembra mettere a fuoco il problema dell'origine e del senso della guerra: chiede se essa sia l'origine di un confronto tra interessi incompatibili o l’affermazione, da parte dei forti, della loro superiorità sui deboli. L’inchiesta storica viene superata e il cinema pone una questione essenziale alla quale nessuno è davvero in grado di rispondere.  Kubrick e Lolita “per sempre” - S. Bernardi In film come Shining, Full metal jacket e Eyes wide shut la ripetizione come gioco o come sistema espressivo diventa un tema sostanziale, una struttura pienamente operante nella creazione Kubrickiana. Questo processo ha inizio con il film Lolita, che per questo si caratterizza come un momento di svolta nell’opera del regista. La “coazione a ripetere” è una scoperta di freudiana, che si costituisce come prova perfetta del rapporto tra Kubrick e Freud. Un rapporto non superficiale o limitato alle opere più note, ma profondo, esteso a opere note quasi solo a studiosi del settore. Citando il saggio freudiano sul Perturbante, Kubrick riporta “ Il Perturbante costituisce l’unica sensazione che si provi con maggiore forza sia nell’arte sia nella vita”. Alla luce di ciò, il problema ora è quello di vedere come in questa citazione siano contenuti vari tratti della poetica e dell’estetica Kubrickiane, nonché come il Perturbante possa essere considerato il motivo costante, tematico e stilistico, di tutta l’opera del regista. La prima volta che Freud utilizzò il termine “coazione a ripetere” fu in un breve scritto del 1914: il soggetto analizzato non ricorda gli elementi che ha rimosso, ma li mette in atto sotto forma di azioni, che ripete senza rendersene conto. La ripetizione si lega al ritorno del rimosso, diventa la traslazione del passato dimenticato. Fin dall'inizio appare chiaro un rapporto molto stretto tra coazione a ripetere, traslazione e metafora. Nel saggio Il Perturbante del 1919 Freud collega il Perturbante con la ripetizione, spiegando che esso non è l'apparizione di una cosa nuova per il soggetto, ma consiste invece in qualcosa che un tempo era molto familiare, e che poi per la constatazione che dietro le più diverse storie e i generi più distanti c'è sempre un grumo di desideri e immagini strutturalmente analoghe, che prendono in considerazione sempre le stesse, poche cose. Tutti i personaggi portati in scena da Kubrick hanno ambizioni napoleoniche, che però li destinano a divenire parodia di sé stessi. Tuttavia, per evitare l'identificazione con questi personaggi esiste sempre, in ogni film, un punto di vista estraneo e lontano, o una scena che ci distanzia: li osserviamo impazzire nel loro delirio da un punto di vista “disidentificante”, fondato sulla forma stilistica dello straniamento e portato in scena quasi sempre attraverso determinate figure retoriche, come una soggettiva di un personaggio inesistente o un (quasi) infinito zoom all’indietro (ma anche in avanti). Troviamo le soggettive senza soggetto in 2001: Odissea nello spazio e in Shining. Sono il punto di forza del Perturbante, perché se da una parte sappiamo di essere noi a guardare, dall'altra sentiamo che lo sguardo di cui siamo partecipi è superiore, mitico, oltre l'umano: siamo noi e al contempo non siamo noi a guardare. Per quanto riguarda lo zoom lentissimo in avanti o indietro ci troviamo nuovamente di fronte a un paradosso poiché con questo movimento siamo vicini e nello stesso tempo lontani, dentro e fuori. In questi momenti il Perturbante è l'enunciazione stessa, il Perturbante siamo noi. Nel film successivo al Lolita ovvero Il dottor Stranamore, ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba, Kubrick utilizza lo stesso attore, Peter Sellers, per interpretare nuovamente diversi personaggi. Un gioco a meta-testuale in cui Kubrick sbeffeggia l'America e deride il genere cinematografico usato per sbeffeggiare l'America, cioè la commedia, perché mette contro sé stessi i personaggi, li moltiplica e intanto li riduce a meno di quanto essi siano. Il dottor Stranamore diventa una commedia che deride sé stessa, un film che costringe a riprendere nostra posizione di spettatori, citando espressamente Lolita nel metodo con una sola differenza: quello che con Lolita e diegetico qui e profilmico. Il narratore deride anche sé stesso e il suo lavoro di narratore. Inizia qui a definirsi l'atteggiamento di Kubrick nei confronti dei generi classici americani, nei confronti del quale più che un lavoro di destrutturazione mette in atto un lavoro di risoluzione dei generi. Per ogni film che realizza è come se cercasse di realizzare il film finale, che pone termine al genere stesso essenzializzandolo e svelandone meccanismi, personaggi e le situazioni. Kubrick non si limita ad aggredire i generi, ma attraverso questi attacca poi anche le varie branche del sapere e della cultura occidentale, smontandole con una filosofia analitica sottile che lavora continuamente sui paradossi. Barry Lyndon usa il periodo storico per illustrare la crisi dell'uomo moderno. Tutto si ripete ciclicamente, tutto accade come se fosse già accaduto: la storia di Barry, nella sua iperbole di ascesa e decadenza, è semplicemente un paradigma di tutte le storie di tutte le vite. A questo punto potremmo azzardare una prima definizione dell’opera di Kubrick: si tratta di un regista terminale, che ha lavorato alla conclusione della storia del cinema. Di ogni genere affrontato riesce a produrre l'ultimo film possibile, quello che condensa il genere, lo simbolizza, lo analizza. Ha affrontato commedia, horror, fantascienza, film di guerra, film erotico-voyeurista, e con ogni film aspira a risolvere dentro un genere tutte le potenzialità del cinema, scoprendo che la somiglianza è l'altra faccia della differenza.  Istanti lunghi come minuti: Kubrick e Malick – F. Borin In tre film diretti da l'americano Malick è possibile trovare ascendenze kubrickiane di regia, poetica e stile: la rabbia giovane (‘73), i giovani del cielo (‘78), la sottile linea rossa (‘98). UIn'altra similitudine tra i due registi consiste nell’aura di mistero e nascondimento che avvolge entrambi. Le storie sui personaggi del mondo del cinema da sempre si nutrono di elementi contrapposti. in ragione della sua posizione davanti alla macchina da presa, l'interprete ha sempre un volto, un corpo dominio pubblico; ciò non accade invece per la figura del regista, che stando dietro alla mdp risulta essere non inquadrabile, non visibile, una figura priva dell'abbinamento nome-volto, esclusivo appannaggio degli attori protagonisti. i due registi considerati si segnalano per la loro autostima in questa scelta di autoisolamento selvatico. È questa una cifra che non può non risultare nel trasferimento di linee espressive dall’autobiografico al film, nelle tematiche predilette, in alcuni aspetti ossessivamente ripetuti, nelle vite dei personaggi e nei loro sofferti destini individuali. Destini già in partenza segnati dal tema della solitudine, del disagio, del conflitto tra generazioni, dall’assurdità delle vicende umane, dall’imprevedibilità dei comportamenti, dalla follia. Ripercorrendo le disavventure dei due sarà possibile ritrovare in Malick alcuni topoi kubrickiani. Il distacco partecipato tra film e osservatore, creato già da Kubrick con l'uso della voce off, e quel senso di svuotamento drammatico che progressivamente sembra mangiarsi le identità dei personaggi, mentre fa crescere lo spazio intorno e i problemi da cui essi sono soffocati, sono tipici tocchi di regia che si impongono imperiosamente anche in Malick. Portandosi dietro questo pesante bagaglio Malick ripropone la ricerca della Sopravvivenza da parte del suo Individuo Prigioniero, pretendendo, come Kubrick, quel cortocircuito ludico che scatta tra autore, testo e spettatore. Se i due registi esemplificano la mitologia cinematografica odierna per il fatto di essersi autoesiliati, essersi resi inaccessibili alle stesse ritualità della società dello spettacolo di cui sono parte attiva, il tutto è una precondizione di ulteriori somiglianze anche dal punto di vista di riconoscibilità di alcune tematiche, quali: conflittualità senza via di uscita e simultaneo rifiuto delle convenzioni consolatorie, attenzione per gli effetti del caso, scavo dei comportamenti dell’anima, quando essa è posta di fronte a sollecitazioni tremende. Il regista Malick lo fa presentando situazioni esasperate, terminali, in cui si arriva al cuore del problema senza compromessi, tentando di saltare schemi culturali e abitudini, senza mezze misure. Situazioni in cui i suoi personaggi appaiono sospesi lungo un angosciante e indifferente filo di confine tra vita e morte, tra bene e male. Un'altra similitudine è il fatto che la voce fuori campo viene non di rado utilizzata secondo il modello di Kubrick, ovvero l'anticipazione dell’informazione: alla stessa voce fuori campo viene affidato il compito di dire, spiegare, preparare, confermare – prima- ciò che – dopo- viene mostrato visivamente. Un procedimento che troviamo in Rapina a mano armata, Eyes wide shut, Lolita, Barry Lyndon e Shining. Un procedimento questo che non inibisce la sorpresa di vedere con gli occhi quanto già è stato raccontato dal messaggio sonoro, ma che invece sottopone il racconto e lo spettatore alla verifica, una seconda volta, di ciò che il regista stesso ha già visto. E Malik, regista che racconta ossessivamente le forme primarie della Morte, fa lo stesso di Kubrick. Possiamo poi definire due caratteristiche tipicamente Malickiane: la prima è che i giovani personaggi principali vengono tutti da situazioni di difficoltà, disagio, perdita, ovvero da crisi connesse alla morte. La loro posizione è di conseguenza già in partenza svantaggiata da una mancanza di cui non sono responsabili ma che marchia a fuoco caratteri, mentalità, comportamenti; la seconda caratteristica è la questione dell’impossibile ritorno dei giovani protagonisti alla natura. Proprio come in Kubrck, l'individuo in conflitto con l'istituzione cerca rifugio nell’istinto di conservazione e in sé stesso, così secondo Malick sembra che per la sopravvivenza, per marginare l'autodistruzione, non ci sia nessun'alternativa che la fuga nella foresta, il ritorno allo stato di natura. Però puntualmente il personaggio dovrà abbandonare questo inutile rifugio per fare definitivamente con la vita reale. Il suo primo film lo porta a sollevare più questione di quante ne possa risolvere, sollecitandolo a trasferire alcuni aspetti nel film successivo. In questa pellicola vengono portati avanti il motivo dell’inquietudine, sospesa tra desiderio di avventura e raggiungimento della maturità, tra fatalismo cosmico e ribellione soggettiva, tra un destino reso malefico da altri e le oscure leggi del caso e della creazione. E con questi stessi elementi entriamo dentro la vicenda esposta ne La sottile linea rossa, il terzo film di Malick. Un film più simile ad Apocalipse Now che a Salvate il soldato Ryan, dove più che della guerra contro il nemico si tratta di combattere e vincere la lotta con sé stessi e con i dubbi sull’esistenza che la mostruosità della guerra si porta dietro. Ma Malick non si limita a raccontare la guerra, va oltre: non solo la società è da rifiutare, ma anche il mondo della natura è crudele, e adesso l'uomo, dovendo difendersi dalla civiltà occidentale ma anche dalla natura, è diviso tra la guerra che lo porta ad attaccare le armi e il suo io che si ripiega su sé stesso, cercando di trovare appigli profondi nel proprio mondo interiore e mettendo l'anima a nudo. Malick propone una visione frantumata proprio come lo sono le certezze paurose degli esseri umani in battaglia. Con questo regista siamo di fronte a un vero autore. Presenta un mondo antagonistico e si avverte che dal suo interno passa verso lo spettatore un filo rosso, una tensione commovente simile a quella che ritroviamo in Kubrick, che potrebbe essere indicibile se non fosse sostenuta dal respiro del tempo del montaggio, il solo strumento in grado di far vedere pensieri e desideri, In Full metal jacket il soldato Joker “Born to Kill” esibisce un distintivo pacifista sulla divisa e alla fine, sulla canzone di Topolino in sottofondo, afferma “Vivo in un mondo di merda, ma sono vivo e non ho più paura”.  L’automa ribelle: Kubrick e gli attori – M. Sesti Rileggendo le interviste di Kubrick si rimane colpiti dalla ricorrenza ossessiva, nelle sue dichiarazioni tra fine anni ‘60 e gli anni ‘80, di un concetto e di una valutazione. Il concetto è quello di un’opposizione netta, per tecnica ed estetica, tra Chaplin e Ejzenstejn. La valutazione è quella che Kubrick dà di Lola Montès, attrice che giudica severamente e confessa di esserne rimasto deluso in quanto il suo regista, Ophuls, era uno dei suoi autori preferiti. Ciò che secondo Barthes Kubrick detestava di Lola Montès era una certa immagine riflessa del destino ineluttabile del suo cinema: un destino della perfezione significante delle forme del suo cinema, di una evidenza chiusa, un senso “troppo chiaro e troppo violento”. Barthes individua nel cinema di Ejzenstejn non solo il senso di stile nel progetto di comunicazione e il senso del simbolismo, ma anche un terzo senso, che chiama Senso ottuso, che non si confonde più con il senso drammatico della storia. Una caratteristica di questo senso è la sua difficoltà di decifrazione, e si può individuare (giardini, palazzi, campi di battaglia), e temporale (il tempo “grande” della Storia). Il racconto del Secolo ’700 è affidato alla forza delle inquadrature. La storia è il cristallizzarsi dell’azione pubblica in atteggiamenti, abiti, modi, arredi. La storia si fa quadro-tappezzeria, racconto “intemporale” delle logiche e delle forme che reggono la prassi umana, privata e pubblica. La monumentalità della Storia -e soprattutto la sua adattabilità- viene assorbita e “compressa” nella spazialità intemporale (situabile, ma non databile) nel racconto iconico. Le forme dello spazio attraversano tutto il cinema di Kubrick, divenendo non solo oggetto di composizione figurativa ma anche spazi-ambienti della messa in scena. Shining costituisce un cortocircuito vertiginoso tra lo spazio e il tempo. Lo spazio stesso non è più un mero contenitore di forze, ma diviene per primo una forza che preme e devasta, che nasconde e disorienta. L' Overlook Hotel non è uno spazio vuoto ma è uno spazio svuotato, in cui permangono intatti i segni della civiltà e la loro disponibilità all'uso. L'enormità rimane come impossibilità di commisurazione con l'umano. Lo spazio sottolinea questa sproporzione fra la disponibilità d'azione e la sua impossibilità effettiva. La richiesta conoscitiva dello spazio si scontra con l'inadeguatezza dei soggetti e, interrotta la possibilità d'azione, che presuppone unità conoscitivo e morale, lo spazio diventa un luogo di veggenza, di sviluppo di forza visionaria: così lo shining si sostituisce all'acting, e lo spazio diventa la tavola di sovrapposizioni ottiche e allucinatorie. Uno spazio allucinatorio attraversato da visioni che emergono da stratificazioni temporali incise nei luoghi (come l'antico cimitero indiano, sulle rovine del quale è stato edificato l'hotel, o le vicende della famiglia del precedente custode). Figure e materie emergono dallo spazio e dal tempo di una visione puramente allucinatoria: sono le pieghe e le continue deviazioni di uno spazio isolato e intricato, un intreccio di corridoi e stanze senza centro. La veggenza sostituisce la percezione, lo spazio allucinatorio sostituisce il mondo-ambiente, lo shining sostituisce l'azione, e soprattutto l'immagine del tempo come coesistenza, come stratificazione, sostituisce quella del tempo come linea. L’intricato mondo dell'hotel di Shining è una grande figura del tempo non lineare, del sovrapporsi di linea spazio- temporali. L' ineluttabilità dei rapporti fra passato, presente e futuro: il presente si fa ritorno al passato, il passato si fa antico presente (come suggerisce la foto a fine film). L'indicibilità temporale è accompagnata dalla indiscernibilità fra percezione e allucinazione. Ma la figura esemplare è sicuramente il labirinto: un interno senza esterno, dove esterno e interno si scambiano continuamente di posto; uno spazio senza centro, e quindi senza ancoraggio. Quando la possibilità di uscire manca, la presa conoscitiva cede e il labirinto è il luogo del ritorno del sempre uguale → perso il filo della ragione rimane solo quello della follia. Il labirinto è lo spazio piegato, una curvatura infinita che ha un inizio, forse una fine, ma sicuramente ha un “mezzo”: Il girare e rigirare come modalità dell’inoltrarsi in uno spazio labirintico. In questo film lo spazio è angolare, dalle continue deviazioni, una linea spezzata in cui l'azione assume le forme del ritornare su, della ripetizione. È la ripetizione maniaco ossessivo di Jack e il ritornare sui suoi passi di Danny per uscire dal labirinto (ripercorrere cancellare le tracce). Lo spazio labirintico è lo spazio senza possibilità di controllo, e di conseguenza una figura del tempo non- lineare, del tempo simultaneo, senza datazione. È il tempo della veggenza, dello sguardo allucinatorio, controllato da oggetti e forme della visione; a questo si contrappone lo sguardo onnipotente, che comprende lo spazio dall' alto, lo sguardo di Jack sul modello del labirinto. Questo sguardo di Jack attiva l'identità tra il modello e il reale: l’unica condizione per affermare l’onnipotenza e la totalità del controllo. Lo sguardo controlla il modello, ovvero la riduzione mentale e in scala del mondo. Ma il controllo al di fuori del modello diviene impossibile- lo spazio non è controllato, è lo spazio che controlla il soggetto che vi è collocato. La centralità dello spazio compositiva o tematica, la costruzione dell'inquadratura o della messa in scena, rimanda a quello che è l'approdo del cinema di Kubrick: l'invenzione di mondi cerebrali. Quando si parla del suo cinema non si può affrontarlo ricercando verosimiglianza o realismo nell’immagine-azione. Lo scarto che il regista opera nei confronti dell’immagineazione, e cioè dei generi, è quello di prenderne l'involucro e aprirne fratture che spesso diventano il senso stesso dell’intero film. Kubrick non rilegge i generi, e quindi non li ha cambiati. Non è la dinamica dei generi interessare il regista, se non nelle forme per cui un genere porta con sé sempre un'immagine del mondo. È invece il mondo di Kubrick che attraversa i generi, si modifica si altera e assume connotati di una cartografia cangiante, che è sempre e comunque una cartografia mentale. Tracciati, luoghi e icone mentali, non ambienti d’azione attraversati da quelle “forze” che sono personaggi, ma spazi che sono essi stessi forze, figure logiche astratte. Un' identità tra il mondo e il cervello: non solo il mondo che si fa mentale, ma il cervello stesso che si fa mondo. Sono la figurazione spaziale, le geometrie armoniche e disarmoniche dello spazio a rispondere a mondi mentali stratificati (di cui l'Overlook e il labirinto di Shining sono un esempio rilevante). Il cervello è attraversato da buchi, scissioni, logiche che sovvertono la sua sanità: perversioni, manie, schizofrenie, ossessioni, costituiscono e danno vita alle cartografie instabili di mondi cerebrali. Il cervello è aspirato da qualcosa che lo sottrae alla sua integrità e interiorità e che conduce il corpo a violenze aberranti. Il carattere precipuo del cinema di Kubrick risiede allora nell’aver costruito le molteplici facce di un mondo cerebrale utilizzando le architetture dei generi classici. Far vedere dietro un apparente dinamica d'azione la voragine che succhia il soggetto negli abissi interni o esterni, o quella che afferma l'identità dell’interno e dell’esterno sotto il segno di una medesima forza sconcertante: è questa la potenza e la logica del cinema di Kubrick.  Shining e la struttura ironica dell’esperienza - E. Carocci Kubrick ha elaborato forme di comunicazione umoristica per potersi allontanare dal sentimentalismo alla base del mainstream hollywoodiano. È stato l'ultimo modernista, ha portato nell’industria culturale del ‘900 una forma paradossale del sentire, accostando termini opposti senza tentare di conciliarli, ma insistendo sulla loro irriducibilità. Ma non sempre la sua vena umoristica si presenta in maniera inequivocabile, anzi spesso è ambigua o impura, mescolata a tonalità emotive in conflitto. Proviamo quindi a ragionare intorno alla dominante ironica dell'umorismo kubrickiano in Shining. - Banalità del quotidiano Potremmo affermare che il tema di Shining è il tentativo fallito di una famiglia di abitare in un hotel, cercando di trasformare in casa uno spazio che per definizione resiste all' intimità domestica. Li vediamo cercare di trasferire nell’hotel i rituali della loro vita domestica, ma nella dinamica del loro rapporto è palpabile la sproporzione tra banalità dei gesti, dimensione della scenografia e il tempo cospicuo che il racconto dedica la descrizione del quotidiano. Molto presto Jack si isola e osserva a distanza il proprio nucleo familiare, e in questa distanza si giocano tanto il dramma quanto le possibilità umoristiche che il racconto porta con sé. C’è una sequenza che esemplifica bene la distanza che Jack e il racconto mantengono rispetto a situazioni ed eventi: si tratta della sequenza in cui Wendy e Danny sono usciti a fare una passeggiata nel labirinto, godendosi la bella giornata giocando, mentre Jack non riesce a concentrarsi e si ferma a osservare il modellino che riproduce labirinto. Al primo piano del suo sguardo verso il basso con espressione neutra segue una strana inquadratura, una soggettiva dell'uomo ma da un'angolazione diversa. Si tratta della veduta dall'alto di un’ampia porzione del labirinto, non del modellino che stava osservando. Intanto però sentiamo in maniera distinta la voce e il rumore dei passi di madre e figlio, fieri di essere al centro del labirinto, mentre Wendy lo definisce “Beautiful” e “Pretty”. Torniamo poi a vederli passeggiare con una steadycam a procedere ad altezza d'uomo. Sul piano degli eventi nulla contraddice il clima di intimità familiare tra Wendy e Danny ma siamo presto portati a dimenticare la serenità di quella giornata perché l'episodio ha costruito una distanza visiva ed emotiva che continua a pesare, la struttura del labirinto ha sovrastato i due personaggi, e nel frattempo la musica non ha smesso di evocare disorientamento riconducendo la scena alla fluidità di uno spazio mentale. Si tratta dello spazio mentale di Jack, che ha osservato tutto dall'alto. È una prospettiva complessa, visivamente ed emotivamente distante, che rende banale il vissuto quotidiano così come raccontato nel film. Il senso dell'episodio dipende dalla forma del racconto, e le parole di Wandy sono immediatamente ridotto a suoni. -Esoscheletri narrativi Come dovrebbe reagire lo spettatore? instabilità evocato dalla musica si intreccia all' entusiasmo dei personaggi e all’indifferenza enigmatica di Jack, e il tono emotivo che ne risulta è composito e stratificato, non univoco. Il tono del racconto è destabilizzato dall’indifferenza reciproca tra scenografia, personaggi, punti di vista e musica: cioè, dalla relazione ambigua tra gli esoscheletri narrativi, ovvero quelle funzioni narrative che vengono esibite come tali nei film di Kubrick, senza essere però interiorizzate dagli schemi dell’azione. I cartelli, la musica, i movimenti di macchina o le figure del montaggio svolgono in Shining la funzione di esoscheletri. Questa indifferenza tra istanze formali esterne genera spesso una fluidità emotiva che contrasta con ogni tentativo di attribuire valore alle situazioni. L'intimità giocosa tra madre e figlio è depotenziata senza essere negata, e così perde il suo senso. La retorica del racconto mira a evocare la presenza di un punto di vista ironico sugli eventi raccontati. -Wendy che compie un tragitto smisurato per portare la colazione dalle cucine all' appartamento, tragitto che il film monta in forma alternata a quello di Danny sul triciclo, evidenziando ulteriormente la vastità degli spazi; -Il riverbero della voce di Wendy che sottolinea la scarsa intimità dell'ambiente; -Il movimento all'indietro compiuto dalla macchina da presa nel momento in cui Jack caccia Wendy e lei è costretta ad andarsene testa bassa, un movimento che enfatizza la lunghezza del tragitto che dovrà compiere prima di sparire; -infine, la sequenza in cui Wendy e Danny guardano la tv, e un movimento all'indietro mostra il bambino seduto a terra la donna sul divano, con uno spazio domestico eccessivamente grande, uno schermo che si fa sempre più piccolo, i suoni che diventano brusio di fondo e le ampie finestre sul fondo della sala che resistono alla creazione del calore domestico, mostrandoci la neve all'esterno. Atto 1: il primo atto mette in evidenza il doppio asse su cui avanzerà l'intreccio e su cui si basano i rapporti tra Bill e gli altri personaggi. Alice, infatti, rappresenta la sfera privata, mentre l'amico Zigler quella pubblica e sociale. La sequenza della festa nella villa e quella del successivo ritorno a casa dei protagonisti danno il via al sogno-incubo-realtà di Bill, nonché alle scelte linguistiche della regia (steady a procedere, steady che accerchia, c/c, zoom, carrello a co-stringere; Atto 2: innesca il processo di annullamento del protagonista attraverso una serie di episodi e di incontri, in un percorso che culmina col rituale orgiastico nella villa; Atto 3: completato dal sogno di Alice che viene solo raccontato, e in questo atto si ripropone il duplice asse pubblico/privato come cardine centrale attorno al quale ruota la svolta decisiva dell'evoluzione di Bill. Il sogno fornisce infatti una prima spiegazione di ciò che egli non riuscirà a fare nella seconda parte del film, ovvero recuperare il senso di ciò che ha esperito passivamente il giorno prima; Atto 4: speculare rispetto al secondo atto, qui Bill si trascina in un percorso a ritroso verso una fase preedipica, cercando recuperare uno status attivo di Soggetto, invano; Atto 5: ripropone gli stessi rapporti del primo atto (con Zigler e Alice) per fornire una spiegazione “insoluta”; -Coitus interruptus Il sogno di Alice divide il film in due metà simmetriche, che coincidono con le fasi di proiezione e dissociazione di Bill (la prima), e di presa di coscienza (la seconda). È proprio lo specchio che innesca il processo che porterà all'annichilimento di Bill in quanto Soggetto. Prendiamo in considerazione la sequenza davanti allo specchio, al ritorno dal party alla villa, una scena di un minuto, costruita molto semplicemente con due inquadrature e uno stacco. Nella prima è ritratta Alice, che si spoglia davanti allo specchio, ma è ripresa solo di spalle, mentre frontalmente è visibile solo il suo riflesso. L'inquadratura è in piano americano, che stringe fino a quando, a mezza figura, entra in campo il riflesso di Bill. Quando entra in campo il vero Bill, non il suo riflesso, Kubrick taglia la scena con un Jump Cut e un leggero spostamento di asse che gli impediscono di andare oltre all' abbraccio con Alice, tenendo in campo unicamente il riflesso dei due sullo specchio. In questo modo Kubrick guida l'identificazione di Bill non con la sua persona fisica, ma con l'altro sè riflesso. Prima di abbracciare la moglie Bill la osserva soddisfatto allo specchio, attivando la percezione del sé attraverso una dissociazione del soggetto dalla proiezione di sé; e da questo momento il film diventa la storia di Bill che ogni volta tenta di affermarsi in quanto Soggetto, e a cui ogni volta invece viene ribadita l'impossibilità di recuperare l'agoniata unità. Le molte sequenze in cui potrebbe avere rapporti con donne che non giungono mai all' effettivo, possono essere interpretate come una serie di coiti interrotti perché il soggetto in questione è già castrato a priori. È Alice che mette in moto il meccanismo di dissociazione nella scena davanti allo specchio, ed è lei il vero alter ego di Bill, che gli fa prendere coscienza della sua inadeguatezza di Soggetto, della sua castrazione a priori. una castrazione non fisica, ma dovuta all'ingresso del Soggetto nel linguaggio. Questo è possibile grazie alla differenza sessuale, perché in quanto femmina Alice è castrata a priori, ed è quindi già conscia di uno status che Bill ha represso nel suo inconscio. Confermando la differenza sessuale Bill cerca la sua conferma di Soggetto, con l'errore di identificare il Fallo con il Pene. Attraverso il rapporto sessuale Bill confermerebbe il suo essere maschio per differenza rispetto alla donna, ma non si rende conto di essere nella stessa condizione di Alice, l'oggetto esterno a sé di cui ha bisogno. Il Fallo è il possesso da opporre alla castrazione, la presenza da opporre all' assenza, la garanzia gratificante di un ritorno alla fase pre-edipica. Ma Alice è lì a ricordargli che il Fallo non è il pene, ma semmai il significato simbolico della castrazione. Qui giace il senso della confessione “Se solo vuoi uomini sapeste”, che mira a evidenziare lo scarto tra realtà e proiezione distorta di essa vissuto da Bill. Scarto di cui Alice è conscia e lui no. Infatti, ossessivamente visualizza la sequenza immaginifica del rapporto sessuale tra la moglie e il marinaio (un flash organizzato da Kubrick e in una sola inquadratura che mira a ottenere una completa astrazione dalla realtà diegetica attraverso l'utilizzo di luci, slow motion e il b/n). La visualizzazione traumatica assume la connotazione di un’immagine primaria che diventa reale nella vita psichica di Bill, turbandola. Una dissociazione che si complica in quanto in quei flash Bill viene escluso dalla partecipazione fisica a tale realtà psichica, relegato al rango di spettatore/voyeur. Nella scena dello specchio il feticcio Alice è per Bill fonte di piacere in quanto in quell’oggetto esterno da sé Bill proietta i suoi desideri, godendone il (supposto) possesso; ciò si realizza grazie all’identificazione in tale proiezione. Nei flash del tradimento, che sono anch'essi una proiezione di Bill, tale identificazione viene a mancare, e Alice torna a rappresentare quello che è: l’assenza del pene, la minaccia di castrazione o la coscienza della castrazione a priori. Alice, in quanto donna, è l'Altro da sé castrato. -Look/fuck: il fallo non è il pene Dall' iniziale narcisismo dovuto alla proiezione del Sé nell'Altro, nell’Oggetto, siamo entrati in una fase di dissociazione che culmina nella sequenza dell'orgia, che è una rappresentazione del relazionarsi sociale di Bill. Egli vuole a tutti i costi fare parte di una società che ha rituali, regole e modelli, ma l'unica posizione che gli è consentita è ancora quella dello spettatore-voyeur. L' erotizzazione del corpo femminile in questo film attiva il rapporto scopofilo, che deriva dal desiderio di piacere che l'Uomo-Spettatore prova per la Donna-feticcio, un rapporto che solitamente pone l'Uomo-Soggetto in posizione attiva rispetto a una Donna- Oggetto passiva, mentre in questo frangente viene sovvertito nei suoi fattori. Bill non trae alcun piacere da tale situazione orgiastica. Lo zoom assolutamente cinematografico e ironicamente fallico sulla modella che si sacrifica per Bill concede una delle pochissime inquadrature in soggettiva del film. La soggettiva nel cinema si avvicina all’atto del vedere la proiezione di sé allo specchio. Quando Bill osserva la modella nuda sul balcone si tratta del sacrificio del feticcio per riportare Bill al registro reale. Più avanti troviamo la ragazza morta nell’obitorio. Bill sembra volerne baciare il cadavere, perché non è più attuabile quella convergenza tattile tra soggetto e oggetto che era stata suggerita invece prima con altre due donne (Marion e Domino). In questa sequenza Bill vede il corpo nudo della ragazza ed è costretto a identificarsi con quel riflesso della sua castrazione, la morte della ragazza riduce a nulla, niente, il Soggetto. Questa inquadratura non è ripresa con una soggettiva ma con una plongée che ci consente di vedere il corpo senza vita da una posizione privilegiata rispetto a Bill, ed ha il duplice effetto di: operare una completa sostituzione dello spettatore con l'apparato cinematografico e col personaggio soggetto, escludere il soggetto dell'immagine, causarne l'assenza e costringerlo definitivamente a dissociarsi da ciò che vede. Se è il linguaggio a causare la dissociazione interna tra conscio e inconscio, è sempre il linguaggio a costruire il vincolo esterno tra individuo e società. Ed è il linguaggio di Kubrick a evidenziare la dissociazione di Bill e a vincolarlo simbolicamente al rituale sociale dell'orgia. Bill non capisce ciò che Ziegler gli spiega nella penultima sequenza. Questo personaggio rappresenta la controparte pubblica di ciò che Alice rappresenta nel privato: i personaggi che hanno la funzione di svelare il sostrato letente della realtà manifesta: Alice per portare Bill a comprendere e accettare la verità; Ziegler per spiegare i meccanismi in base ai quali le pratiche sociali la celano. A casa di Ziegler il personaggio propone a Bill una partita a biliardo, che declina l'offerta. Il biliardo allude a ciò che Ziegler spiega a parole: chi vuole prendere parte al gioco deve conoscerne le regole, chi conosce le regole ha in mano il gioco (ma il gioco del biliardo durante tutta la sequenza è fermo), chi non sta alle regole viene allontanato dal gioco, chi non accetta le regole perde al gioco: ma è lui stesso la causa della sua fine. Durante tutta la sequenza Ziegler è in piedi e domina il campo da gioco tenendo in mano una delle palle, mentre Bill rimane fermo in disparte, astratto dallo spazio circostante grazie al primo piano che Kubrick gli affibbia solo in questo preciso momento. -Doppio sogno S&M Il doppio sogno in cui ci trascina Kubrick non è dato da quelli più o meno reali sognati dalla coppia, ma è indotto dal doppio meccanismo di identificazione attivato al di là e al di qua dello schermo/specchio, e coinvolge Bill e lo spettatore. Kubrick è conscio che le condizioni di visione filmica causano la regressione artificiale allo stato onirico e che ciò annulla la distinzione tra percezione e rappresentazione. Egli organizza il film in modo che il rapporto tra enunciato (schermo/Oggetto) e enunciazione (spettatore/Soggetto) inneschi un processo di produzione del desiderio speculare a quello esperito da Bill. Il gioco linguistico del film attiva la formazione di un ego ideale nello spettatore, facendo leva sulla sua identificazione in ciò che sta vedendo. Un’identificazione secondaria col protagonista, garantita dall'uso della steady a precedere, ma anche un'identificazione soprattutto primaria con l'apparato cinematografico, che induce il Soggetto-spettatore in una posizione paragonabile a quella dello specchio. Precedendo Bill siamo sempre in posizione speculare, dissociata rispetto a lui: non è più chiaro chi guardi cosa, anche lo spettatore diventa oggetto di una rappresentazione che annulla ogni pretesa di soggettività. Kubrick sovverte i termini del rapporto Soggetto-spettatore (maschio) e Oggetto/donna utilizzando il campo/controcampo, un modello linguistico desunto dal cinema classico. Le conversazioni tra Bill e gli interlocutori sono riprese con questa tecnica con lo scopo di antropomorfizzare l'apparato. Identificandosi con esso lo spettatore viene coinvolto come invisibile mediatore, come spazio assente o fuori campo, che satura la distanza che separa colui che guarda dall’oggetto del suo sguardo, creando un apparente sensazione di unità del Soggetto con esso. Una volta ritornato al registro reale lo spettatore si rende conto di non aver partecipato al gioco, se non come voyeur. La conseguenza è l'esclusione del gioco e la pena è il trauma della castrazione. Questa è la poetica della distruzione del piacere di Kubrick, la sua ossessiva volontà di condurci “al di là del principio di piacere”. Eyes Wide Shut non è un romanzo familiare di una coppia-paradigma in crisi, né il dramma dell’istituzione matrimoniale, non è un film sui sogni e sull’inconscio. Eyes Wide Shut ci affonda nei labirintici e interminabili percorsi che disegnano le neuropsicosi di difesa di Bill utilizzando le tortuose lunghissime inquadrature della steady onnipresente: affida (Bill e lo spettatore) in una scomoda posizione, una posizione attiva e passiva, da cui assistere all’immagine primaria che testimonia Conseguenza sul piano metonimico: Scimmia = astronauta. Gli australopitechi guardano il monolito dal basso verso l'alto nel due mezzo della savana priva di vegetazione, gli astronauti guardano il monolito dall'alto verso il basso nel bel mezzo di un cratere lunare. Discorso sulla storia come coazione a ripetere: la sopravvivenza della specie passa attraverso la capacità di un singolo di concepire tecniche di eliminazione dell'avversario. Più ci allontaniamo dal luogo del taglio/ ellisse, più verifichiamo lo stacco come zona di confluenza tra due parti del film. Ecco l’'equazione che rende conto del potenziale creativo di questo film, rispetto alla filosofia del cinema fantascientifico, pre-istoria = post-futuro. E di conseguenza, come nella drammaturgia dell’astrofisica contemporanea, big bang = big crunch, inizio = fine. Ecco poi che ciò che vale per l'umanità è ciò che vale per me: non ricordo la mia morte né la mia nascita, non so nulla dei miei primi mesi di vita né di quelli che saranno gli ultimi. Privo dell'esperienza vissuta da inizio a fine, vivo nel frattempo, vivo la continuazione. Il monolito nero nel film è il blocco misterico costituito tanto dall'aldilà (cosa c'è dopo la morte?) quanto dal suo controcampo assoluto (cosa c'era prima della vita?). La nascita dell'intelligenza umana è segnalata dall’irruzione di due inserti nell’inquadratura della scimmia che guarda la carcassa e batte il femore contro le altre ossa: il primo inserto è quello dell'allineamento monolito/sole nascente/luna in eclissi, il secondo inserto (ripetuto 2 volte) è quello del corpo di un animale che si abbatte al suolo. Lo spettatore deve concepire il primo inserto come flashback e il secondo come flashforward; deve quindi fare un salto nella logica del linguaggio cinematografico classico. In questo senso la prima parte del film funziona da attivatore di processi mentali. Alla base di qualunque sillogismo c'è la possibilità di passare da due premesse a una conclusione. L'effetto Kulesov (primo piano di un volto che guarda + dettaglio del cibo = soggettiva di persona affamata) ci dimostra che il montaggio è intellettualmente creativo proprio in questo senso: l'accostamento di due immagini presenti può creare nella mente dello spettatore un'informazione assente. Questo effetto appartiene però al cinema muto, tutte le dialettiche del montaggio verticale e tutte le dialettiche del mixaggio entrano a far parte della possibilità strutturali del mezzo, ampliandone le possibilità di conflitto produttivo tra gli elementi. La porzione testuale da considerare premessa della possibile conclusione spettatoriale può assumere proporzioni e dislocazione diversissime: può essere un'inquadratura, una lunga sequenza o una parte del film; può essere giustapposta a un’altra premessa ma può anche trovarsi molto prima o dopo. Per questo la comprensione dei contenuti del film è da considerare un’avventura personale: le isotopie (i percorsi di lettura che segnano un possibile significato del testo) sono un montaggio di conclusioni che lo spettatore compie scegliendo arbitrariamente punti di pertinenza di queste premesse. La differenziazione dei dati di partenza garantisce la pluralità delle interpretazioni, e la creatività spettatoriale garantisce la semiosi illimitata. - La dialettica vita/morte fra “stacco” e “raccordo” 2001 rimette in gioco la dialettica strutturale tra tempi lunghi e strettissimi, tra immagini dilatate e inserti subliminali. Importanti sono due inserti consistenti in due primi piani di David Bowman con la bocca aperta, un grido di angoscia remake de l'urlo di Munch. i due inserti sono interessanti perché imprimono il tono emotivo disforico che va riconosciuto al terzo atto del film, in controtendenza rispetto alla vulgata che vuole il feto astrale come simbolo di gioiosa nascita del superuomo nietzschiano. Chiusura sinfonica che con le note di Così parlò Zarathustra raccorda il feto astrale finale all' iniziale alba dell'uomo, ribadisce l'assunto di base del film: l'ontogenesi ricapitola la filogenesi e viceversa, dunque la fantascienza è un viaggio nel corpo umano. 2001 è spesso accostato ad Arancia meccanica in quanto le basi oggettive nelle operazioni artistiche messe in campo sono complementari: decoupage fortemente simmetrico della narrazione, montaggio verticale con tendenza a costruire dei videoclip, andamento cardiaco (sistole/diastole) nella dialettica strutturale riguardante la lunghezza delle inquadrature e inserti subliminali. In Barry Lyndon l'unico inserto è un flashback della caduta da cavallo, che segna l'inizio della fine della storia. Il flashback diventa una sottolineatura del punto di svolta del destino e della sceneggiatura (la sceneggiatura è il destino). È proprio la dialettica fra il tempo base e flash analettici/prolettici che in Kubrick diventa il significante dei rapporti metafisici tra vita e morte. La struttura inizio/continuazione/fine vale per il singolo racconto, ma cosa c'è prima dell'inizio se non un altro racconto? Cosa c'è dopo la fine se non un altro racconto? Quindi, la morte è doppia, si configura come ciò che si pone dopo la fine e prima dell'inizio. Se prima e dopo sono identici, allora qual'è la differenza tra flashback e flash forward? Se torniamo all' inserto dell’animale abbattuto in 2001 possiamo chiederci se esso non sia più che una prefigurazione, una ricostruzione del passato, un'ipotesi sull'inizio della fine, su come si sia prodotta la carcassa di cui l'osso fa parte. Il singolo raccordo riproduce il decoupage narrativo così come l'ontogenesi riassume la filogenesi: l'ellissi osso/astronave si ripete in nelle ellissi che riassumono la vita di David, trasformando il giovane astronauta in un vecchio terrestre. Se la vita è un sogno anche tutta la storia dell'umanità lo è. Il montatore di 2001 è lo stesso di Shining: nei due film è in azione un terribile il gioco col Tempo, che culmina nell’agghiacciante equivalenza del prima con il dopo, dell'eternità con la morte: essere morti significa esattamente essere stati vivi in una vita precedente. Jack è sempre stato il custode dell' Overlook hotel in quanto esso è il regno dei morti e dunque Jack era in quel regno anche prima di nascere. Come prova finale prendiamo il finale di 2001: dopo la morte di David c'è la nascita di David, dunque il monolito è la soglia che divide la morte dalla vita, fine da inizio, Eternità da Tempo. Morire per un marine significa diventare immortale in quanto parte dell’immortale corpo dei marine: questa è l'ideologia di cui si fa portatore il sergente istruttore di Full metal jacket, film in cui il trattamento del tempo a rallentare (dalle prime veloci sequenze dell’addestramento fino alla lunghissima sequenza che porta all' uccisione della vietcong) è una rappresentazione dell’avvicinamento della morte come punto di catastrofe attorno a cui il presente tende a dilatarsi. un uso del tempo che troviamo in moltissimi film di Kubrick (Orizzonti di gloria, Il dottor Stranamore, Lolita, Shining). La scansione cronologica operata dai cartelli di Shining (colloquio, chiusura, un mese dopo, martedì, sabato, lunedì, mercoledì, ore 16) costituisce un ambito temporale in cui l'ellissi diminuiscono d'intensità fino a lasciare il posto a una sorta di tempo reale. D'altraparte le visioni di Jack e Denny immettono nel presente una quantità via via maggiore di passato. L’effetto totale è che il tempo, se da un lato tende a restringersi dall'altro tende a espandersi: il personaggio del custode finisce col rivelarsi eterno. Shining si caratterizza per l'indicibilità fra soggettive reali e allucinatorie, tra flashback e flashforward. Nel finale di 2001 David muore e contemporaneamente nasce, certificando che il mistero non è l'odissea nello spazio ma l’odissea nel tempo; nel finale di Shining Jack muore e contemporaneamente nasce, questo è il senso della pseudo soggettiva che entra nel bianco e nero della fotografia: la tragedia di ogni essere umano è quella di essere un identità qualunque tra molteplici identità equiprobabili, di vivere una vita qualunque fra le infinite ipotizzabili, di esistere per un tempo finito compresso tra due tempi infiniti (l’terno prima e l’eterno dopo). Shining è una meditazione non verbale sulla morte: non un film dell'orrore ma un film sull’orrore, ovvero sul mistero del tempo nei suoi rapporti con l'essere.  Arancia meccanica. Le forme della messa in scena – P. Bertotto La prima inquadratura di Arancia meccanica consiste nel dettaglio degli occhi di Alex, che vengono progressivamente contestualizzati nel volto e nel suo corpo per poi passare all'interno dello spazio del bar grazie un movimento di macchina all'indietro, rettilineo e graduale. Gli sguardi in macchina in questo film non sono solo una palese interpretazione dello spettatore, ma divengono esibizione del meccanismo comunicativo e fascinativo del cinema, un'oggettivazione del suo carattere di macchina produttiva e seduttiva. Lo sguardo di Alex è uno sguardo che non vede nulla, non percepisce e non è rivolto a un personaggio. È uno sguardo fascinativo rivolto allo spettatore con lo scopo di legare fortemente lo spettatore alla macchina enunciativa del film; è uno sguardo affermativo che attesta la presenza forte del protagonista all'interno del film. Sono occhi disomogenei perché quello destro e fortemente truccato mentre l'altro no. Questa contrapposizione tra occhi afferma le componenti anomale e iperaggressive di Alex. Inoltre, sembra evocare il contrasto natura/cultura, pulsionalità/simbolico che attraversa tutto il film. Dà l'impressione di una maschera che assume quindi i caratteri e la funzione simbolizzante. Movimento all'indietro della mdp rivela uno spazio iperqualificato dall’intervento scenografico. Una composizione dell'immagine che oltre ad esprimere un'estrema cura, vuole esprimere un'intenzione di formalizzazione radicale e assoluta di tutto il visibile, segnata dalle due opzioni fondamentali della stilizzazione di Kubrick: ricerca della geometria e della simmetria nell’immagine filmica. Nella carrellata iniziale troviamo un corridoio centrale, con ai lati due fili di manichini di donne nude, stilizzate secondo il gusto della Pop Art. Un'immagine suggestiva, un’architettura di interni formata da oggetti anomali con ingannevoli caratteri antropomorfici. La naturalità dell’immagine viene negata attraverso l'evidenza di assoluta artificialità e struttura ad effetto pittorico, grazie alla simmetria nella disposizione degli oggetti, alla delineazione rigorosa dello spazio e alla linearità del movimento della mdp. Kubrick inscrive negli spazi elementi e oggetti iconici che rinviano alla Pop Art. Le strutture visive sono costruite sui modelli dell'arte contemporanea, delineando un universo in cui tutti gli elementi sono ridisegnati in rapporto all' iconografia pop; un modo di produzione dell'immagine che è quindi segnato dalla trasformazione dello spazio del visibile da un orizzonte di rinvio al mondo dei fenomeni a un orizzonte di rielaborazione di modelli visivi e di opere dell’arte contemporanea. Arancia meccanica è un mondo che ha perduto ogni elemento di naturalità a favore di una totale riscrittura del visibile partendo da modelli artistici e di design che fanno parte di un universo già semiotizzato. La messa in scena di Kubrick consiste anche nella figurazione di un mondo fatto disegni che rinviano ad altri segni, circuito disegnata. l'effetto garantisce un’intensificazione dell'immagine e una dinamizzazione artificiale che si aggiunge efficacemente all’artificiale del disegno pop. La resa visiva della morte della donna con le immagini pop implica un duplice movimento significante: da un lato costituisce una palese riduzione della morte a scena, evento finzionale, con un'automatica sottrazione di negatività alla violenza; dall'altro lato riporta il visibile all'orizzonte del falso, scegliendo un'immagine pop estremamente caratterizzata per oggettivare visivamente l'apice tragico del film. Kubrick fa del riferimento alla stilizzazione di un altro linguaggio e movimento artistico la chiave di formalizzazione delle immagini di una sequenza, attestando come il suo cinema sia contemporaneamente rigore assoluto e ibridazione intenzionale, presentandosi come un superamento del classico e della modernità e come un attraversamento contraddittorio, molteplice e irregolare del postmoderno.  Metodo e follia. Il tema della psiche – C. Saba -Premessa Forse non è tanto nella dualità metodo/follia che il cinema di Kubrick (si) da a pensare, quanto nei processi perturbanti che investono i mondi finzionali e, soprattutto, nelle alterazioni dell’annunciazione filmica messa in testo da Paura e desiderio a Full metal jacket. -Metodica e derive della narrazione La follia è il progressivo azzeramento dei codici, ma la metodica dell'azzeramento non riguarda la follia in sé, bensì il processo di alterazione mentale che la produce; La follia è incontenibilità del dolore esistenziale, un dolore senza linguaggio, senza modi di comunicazione, un bisogno che non trova risposta. Nel cinema di Kubrick la follia, non come malattia mentale ma come metodica delle anomalie della mente, è presente in modo assolutamente palese perché è diegetizzata. Nei mondi funzionali di Kubrick si palesa l'argomentazione di come non esiste storia della follia che non sia storia della ragione. Pensiamo a Orizzonti di gloria, che racconta realisticamente una delle tante storie di ordinaria follia della guerra, una storia sul sistema del potere militare; oppure Arancia meccanica che si pone come critica alle pratiche di addomesticamento della follia e iscrive la follia di Alex (la lucida atrocità delle azioni commesse) nel linguaggio di chi la cura. Il cinema di Kubrick mette in testo il processo di alterazione della mente dei personaggi. È un'alterazione che non si arresta alla mente dei personaggi ma che investe la totalità del mondo finzionale e ne deriva le possibilità di sviluppo narrativo, secondo un metodo preciso: l'alterazione si installa nelle strategie di narrazione. Fotografare le cose in modo realistico, secondo modalità documentarie, e al contempo alterare la visione significa produrre uno spaesamento visivo/narrativo. In Shining l'alterazione mentale di Jack è anticipata nell’incipit da Tony, l’altro bambino che suo figlio Danny fa vivere in sé e che gli conferisce lo shining. Al momento della firma del contratto Tony fa vedere a Danny la cascata di sangue dell'ascensore e le due gemelle dell'Overlook hotel. Visioni, interferenze del passato che producono un eccesso di visibilità, cui fa da corollario un sapere imperfetto, da interpretare. L'anomalia della mente di Jack si manifesta attraverso visioni in cui il passato interferisce con il presente, immagini eccedenti che si danno a vedere allo sguardo dello spettatore poiché abitano fisicamente il mondo finzionale; Agiscono e reagiscono secondo modalità causative dentro il mondo diegetico: non sono proiezioni soggettive, ma apparizioni oggettive, persone del passato che si rendono presenti e visibili. Questo film, attraverso il delirio omicida di Jack, racconta il ripetersi di una progressiva, metodica, inarrestabile e orrorifica disintegrazione dell'affettività familiare. - Alterazioni dello sguardo: la soggettività negata Kubrick mette in testo i processi di alienazione che investono i mondi funzionali attraverso il progressivo squilibrio della storia raccontata. In Kubrick il mondo stesso è un cervello, vi è identità tra cervello e mondo. I film di Kubrick raccontano mondi possibili secondo uno spazio-tempo cerebrale, mentale. Ciò significa che la strategia testuale è il pensiero. Pensiero non come immanente all’immagine, ma come pensiero nell’immagine, pensiero i cui rapporti investono il modo di narrare una storia attraverso un racconto cinematografico. Un pensiero visivo in atto dell’istanza narrante e come racconto esteriore dei processi mentali e dei punti di vista delle persone finzionali. I personaggi sono delineati dall’esterno quali fasce di pulsioni, passioni e ossessioni che ne minano il cervello dissociando le identità. Si tratta di raccontare e mostrare dall'esterno una visione interiore, senza però rivelarla fino in fondo, lasciandola indicibile e polisemica. Il pensiero della persona finzionale è sempre inaccessibile (anche quando suscettibile di visualizzazione come un sogno, durante un'allucinazione o attraverso la memoria). La fissità enfatica della mdp sul volto del personaggio, lo sguardo del personaggio verso il fuori campo, il ritardo del controcampo sempre dislocato rispetto all'asse dello sguardo del personaggio, rivelando l'indifferenza dell'oggetto guardato allo sguardo che lo vede, mostrano la possibile relazione di pensiero tra lo sguardo del personaggio, la cosa vista e lo sguardo dell'istanza narrante. Il campo controcampo in Kubrick non appare quasi mai in funzione della reciprocità, dello scambio di sguardo tra persone finzionali, sguardo che avviene solo all'interno di un piano d'insieme. Nel cinema di Kubrick non c'è simulazione di sguardo, la soggettiva è rara e straniante perché quasi sempre marcata dalla morte psichica. Se pensiamo a 2001, allo sguardo di David verso il sé stesso anziano e il feto astrale, vediamo come esso vede sé stesso come un altro se stesso più in là nel tempo: c'è l'esorbitare della asincronia tra tempo della storia e tempo del racconto in una temporalità allucinata che si esprime come ossimoro. Nel cinema di Kubrick il pensiero in atto dell'istanza narrante trapassa le cronologie e la causalità della storia raccontata introducendo distorsioni temporali che provocano la rottura della linearità del racconto, oppure immette interferenze tra passato e presente, determinando una frattura invisibile del tempo. Da queste fratture prodotte nel farsi del racconto si può tentare di localizzare i siti testuali kubriciani in cui spesso si manifestano cifre della psiche (come sindromi paranoiche, anomalie del cervello, figure cerebrali) come modo di pensare cinematograficamente, attraverso un racconto in atto, il pensare stesso, il ricordare, il sognare, la visionarietà, la premonizione, l'allucinazione, l'apparizione, l'Altro. I siti testuali in cui si dispiegano i topoi della mente sono anche i luoghi in cui si radicalizza la scissione dello sguardo del personaggio da quello dell'istanza narrante. Il punto di vista è il luogo della pluralità, si moltiplica nel corso del film col moltiplicarsi delle inquadrature, dei campi, delle angolazioni, delle fonti di informazione. Lo sguardo dell'istanza narrante non assume e non finge di assumere la prospettiva (nè sussume il punto di vista) del personaggio. esso si pone quasi sempre in modo asimmetrico, al lato, dietro o davanti la traiettoria dello sguardo del personaggio. L'attività enunciativa dell'istanza narrante si pone tra l'orientamento oggettivo e soggettivo, oppure si determina attraverso prospettive al contempo oggettive e soggettive (semisoggettive, false soggettive, pseudo- soggettive) oppure si delinea secondo le forme ibride dell’oggettiva assoluta, della soggettiva senza soggetto o della soggettiva virtuale. Il corpo attoriale dall'esterno è superficie significante in cui si rendono manifestabili i processi mentali, il cui sistema resta però sempre inaccessibile. La persona funzionale si dà completamente come “immagine”: l'immagine propria di un personaggio. L' istanza narrante attiva una frequentazione asettica della psiche e attribuisce alle persone funzionali forza espressiva proprio barrando l'accesso alla soggettività: il film rimane all'esterno e non entra nella mente dei personaggi, è invece la loro mente che prende a contaminare il film alterandone le forme narrative. Il pensiero è inaccessibile, l’interiorità intangibile. Tale regime enunciativo ibrido, sempre esteriore (che, come detto prima, da un lato distanza l'istanza narrante della storia e dall’altro, sul piano visivo, la posizione rispetto a persone funzionali secondo diverse prossimità) e la strategia discorsiva prevalente adottata da Kubrick per raccontare; tale strategia si trasforma poi in stile narrativo e forma dello sguardo mentale. La forma del racconto cinematografico kubrikiano è pensata nei termini propri della comunicazione visiva: “Un film in cui la comunicazione avvenga per mezzo di immagini piuttosto che di parole, raccontare una storia per gli occhi più che per le orecchie”; nonostante ciò i film di Kubrick presentano anche una partitura sonora complessa soprattutto con lo scopo di generare una dimensione acustica “mentale” in cui anche il silenzio diviene ascoltabile (silenzio come rumore di fondo in 2001: Odissea nello spazio). -La geminazione del racconto Il tema pervasivo dei film di Kubrick non è individuabile in ciò che vi si racconta, ma nella “storia” come atto del raccontare. Il metatema stesso di tutti i film di Kubrick è la “storia” come atto del raccontare. Il racconto filmico si racconta rivelandosi come atto narrativo. Tale strategia narrativa implica una componente performativa forte e una componente filmica: -La componente performativa sarebbe l'accadimento non programmato frutto della ricerca riguardo tutto ciò che si può improvvisare durante le prove sul set e che può determinare delle svolte improvvise nella narrazione: ricercare l'impensato del pensiero affinché si possano esplorare tutte le possibilità di un racconto, quindi scoprire e scegliere nuovi percorsi narrativi; -La componente filmica pertiene invece a una concezione precisa della ripresa e del montaggio. Il montaggio è il dispositivo selettivo e produttivo dell’atto del raccontare attraverso le immagini, giacchè per Kubrick si tratta di essere capaci di vedere il farsi di un'azione in un modo particolare, di possedere uno sguardo assoluto: cosa possibile solo attraverso il cinema, attuabile solo in un film. Kubrick fa giocare il linguaggio filmico contro la storia raccontata per mettere le immagini contro il significato (es. Bacio dell’assassino: urlo di donna alla fine del sogno come punto di passaggio da sogno a veglia; brusio di rumori esterni mentre siamo ancora in interni per anticipare gli esterni visibili nella sequenza a seguire). Nella scrittura di Kubrick questa antinomia “linguaggio filmico vs. storia raccontata” si produce attraverso un linguaggio raccontante che forgia la forma discorsiva del testo mediante una precisa logica di produzione del che consente l'attivazione dell'attacco nucleare all'Unione Sovietica senza autorizzazione del presidente. Per non rivelare il codice di arresto dell'operazione si ritira in bagno e si suicida. Un film che racconta un mondo finzionale stravolto dai suoi stessi meccanismi attraverso lo stesso grado di realtà e di irrealtà che esiste nei sogni. Il tema della guerra nucleare accidentale è trattato in modo serio, ma non drammatico, e dà luogo a una contaminazione di generi intrecciando tragico-comico, ironico e grottesco. Il mondo finzionale è quello del potere politico-militare. Una situazione assurda prodotta dalla coerenza dei comportamenti nevrotici e psicotici dei personaggi. L’humor nero e grottesco del racconto filmico si riscontra molto nella performance di Peter sellers, che tra i vari personaggi interpreta anche il dottor Stranamore, personaggio sopraffatto dalla deconnessione cervello-corpo che si esprime attraverso la progressiva autonomizzazione del suo braccio meccanico, che passa dal saluto hitleriano all' autostrangolamento. • 2001: Odissea nello spazio → film organizzato in un flusso contemplativo che fa procedere la narrazione a stadi lenti, che si susseguono temporalmente mediante fortissime ellissi che ci trasportano da “L’alba dell’uomo” a “Quattromila anni dopo”,sino alla “Missione Giove” e “Oltre l’infinito”. Ogni stadio è marcato dalla misteriosa e sottile presenza del monolito nero, che in una strana congiunzione con il sole, interferisce con il comportamento di Moonwatcher. L’istanza narrante ci racconta la nascita di una forma di pensiero nella scimmia, e vi allude mediante “l’immagine mentale” di Moonwatcher che associa l’osso alla funzione di strumento e arma mediante gli inserti del tapiro abbattuto. Ellissi dell’osso e ci troviamo davanti la Orion III. Il monolito è il segreto oggetto della missione su Giove che l’’equipaggio del Discovey One deve risolvere e HAL 9000 è il sistema operativo che utilizzano. È un’ibridazione hardwere-softwere e pensa, vede e parla. I suoi occhi fish-eye sono disseminati ovunque, è portatore di un occhio trascendentale. Inoltre, HAL è un cervello post-organico, che compie un errore (che non sappiamo se è casuale o meno) che lo porta a scindersi dal suo computer gemello. Dopo tale errore sviluppa un’intenzionalità paranoica e diviene vittima di una crisi emotiva dato che non riesce a accettare la sua fallibilità. Trae apprendimento dall’ambiente, e per questo sviluppa necessariamente una gamma emotiva (odio, paura, invidia) che lo porta a questa crisi. Nel cinema di Kubrick l'interiorità del personaggio fittizio è preclusa, e il conferimento della soggettività ad HALL, mediante lo sguardo in soggettiva, è la forma narrativa ricercata da Kubrick per renderne visibile, leggibile, il cervello sfruttando modalità esterne. La soggettiva emerge con HALL e diviene nel cinema di Kubrick una figura retorica quasi sempre marcata dalla morte (non necessariamente “fisica”) o dalla sua premonizione. Quando, saltando nell’iperspazio, Bowman sopravvive ad HALL e raggiunge Giove, ancora una volta il monolito nero (oggetto concreto di un’intelligenza interstellare, cosmica) marca con la sua presenza il pensiero dell’uomo. Bawman si ritrova con la capsula spaziale in un appartamento, in una condizione “senza tempo” in cui trapassa alla maturità alla senescenza fino alla morte-rinascita, in un processo transumanante. • Full Metal Jacket → titolo che contiene un ossimoro e esprime una dissociazione del senso. In questo film è precisata la stilistica dell’estenuazione del tragico, dello svuotamento dell’azione drammatica. La narrazione è destrutturante. La guerra in Vietnam è raccontata attraverso un mondo “macchina da guerra” che cerca una rappresentazione, come attesta la trouppe di documentaristi che esorta i soldati a “essere come in un film di guerra”, cercando una rappresentazione quasi mitica dei marines. Il film si articola in due “tempi”: l’addestramento reclute e il Vietnam dell’offensiva del Tet. Il campo di addestramento è un luogo chiuso, di rituali ossessivi che devono forgiare i marines attraverso la pedagogia dell’umiliazione, annichilendo l’emozionalità e puntando al vuoto cerebrale. Il rigoroso ritmo narrativo e la condensazione dei passaggi temporali dell’addestramento di articolano attraverso simmetria di luoghi e profondità di campo. Viene poi introdotto nel mondo diegetico un'alterazione: Lawrence “Palla di lardo”. Dal suo ingresso l’istanza narrante decide di modificare la normalità delle sequenze dell’addestramento aprendo l’immagine con carrellate ottiche che isolano il volto del personaggio quando smette di ripetere le parole che i compagni ripetono in coro, sottraendosi definitivamente all’assimilazione passiva del gruppo. Ma la debolezza del personaggio è eversiva. Attraverso il rituale della manutenzione del fucile la sua mente si fissa sulla finalità omicida. Il tanto ripetuto “uccidere o essere ucciso” diviene per lui “uccidere e uccidersi”. Dopo 8 settimane diviene un marine, ma il suo sguardo vuoto si fissa ben oltre la mdp, verso un altrove incomunicabile, indicibile. Con rapida sequenzialià l’ultima notte prepara il suo fucile, uccide Hartman e si suicida. Se l’Io nella persona finzionale di Joker si adatta progressivamente al mondo esterno, Lawrence si disadatta irriversibilmente. Joker è ambivalente, assiste e punisce Lawrence, e ritroviamo in lui questo aspetto in Vietnam (dualità junghiana esibita ad esempio nell’ossimoro “Born to kill” + simbolo della pace). Il Vietnam è il tempo e luogo dell’attesa. Il percorso che conduce a Huè ci porta a uno stallo di 25 minuti in cui moriranno 3 soldati. Un'alterazione del tempo notevole rispetto alle rapide sequenze dell’addestramento, in cui si inserisce un ulteriore dilatazione temporale: il rallenti dei proiettili che colpiscono i tre uomini. All’ambivalenza temporale si aggiunge poi l’ambivalenza spaziale: Da Nang e Huè sono ambientati nel medesimo set, che si fa topografia labrintica di un’ennesima guerra. Affiora l’immagine del labirinto kubrickiano, metafora del cinema-cervello. Lo spettatore esce dal labirinto quando, dato che si usa lo stesso set, dopo Huè è come se tornasse al punto di partenza di Da Nang, ma Joker e i soldati non ne escono, e proseguono verso il Fiume dei profumi cantando tra loro la marcia di Mickey Mouse. • Alfabeto kubrickiano – F. Crispino ZOOM: l’incipit di Arancia Meccanica rappresenta al massimo la “teoria dell’occhio” che caratterizza il cinema di Kubrick. Alex sembra infatti rivolgere lo sguardo allo spettatore, che però durante il lungo movimento d macchina constata che si tratta invece di uno sguardo perso nel vuoto, che la mescalina proietta in un altro mondo, verso altre visioni. In Full metal jaket quella che sembra la soggettiva del cecchino diventa, con uno zoom rapidissimo, la traiettoria del proiettile, come se volesse suggerire che è lo sguardo a colpire e uccidere. VOICE OVER: una costante del cinema di Kubrick. UNHEIMLICH: secondo Freud questo termine indica ciò che è perturbante, e viene posto in antitesi a “Heimlich”, ciò che è familiare. Se qualcosa indica spavento ciò accade quindi perché non è noto. Il saggio di Freud è una delle fonti principali di Shining. TEMPO: attraverso la macrocartografia Tempo il cinema di Kubrick si arricchisce di quella profondità teorica e filosofica che affascina gli spettatori. La sua opera sembra essere sempre condizionata da una concezione del tempo non lineare, verticale, condensato. SPAZIO: proprio come il tempo anche esso non è una semplice categoria, ma un elemento in cui si raggruma gran parte del senso dell'opera. A partire da 2001 lo spazio diventa spesso forma metaforica, che sia il prodotto di una costruzione dialettica tra forma vuota (infinito, natura) e una piena (astronave, cultura) oppure che diventi l'inconscio labirintico dell’Overlook hotel, o ancora quello simbolico e destrutturato del Vietnam. Bisogna poi anche dire che lo spazio kubrickiano condiziona i personaggi che lo occupano, è come se li imprigionasse e inghiottisse al suo interno; un effetto ottenuto con l’uso di obiettivi panfocali e lenti anamorfiche. RITMO: il rapporto tra cinema kubrickiano e altre arti è fecondo. Lo vediamo nel rapporto tra 2001 e la musica (il valzer che armonizza lo strappo narrativo dall’alba dell’uomo alla navicella del futuro) come anche in Eyes wide shut (il valzer di Sostakovic che orienta l’alternanza dei percorsi, opposti e paralleli, dei protagonisti); o nel rapporto tra Arancia meccanica e la danza (tutta la prima parte è costituita da episodi che simulano altrettanti balletti, sempre risemiotizzandoli e qualche volta parodizzandoli). QUADRI: il legame con la pittura arriva al vertice in Barry Lyndon, dove l'ossessione per il ‘700 spinge Kubrick a riprodurre analiticamente la composizione, i cromatismi e l'atmosfera del secolo dei lumi. Inoltre il frequente ricorso a citazioni dirette e indirette di opere pittoriche è funzionale all'Enunciazione. PUNTI DI VISTA: adotta spesso punti di vista improbabili, come la soggettiva di HAL 9000 oppure quella di Lloyd in Shining, rivelata poi dallo sguardo in macchina di Jack. NATURA (VS CULTURA): possiamo leggere molto della sua opera mediante il rapporto/dissidio tra Natura e Cultura, tra Istinto e Ragione. MONTAGGIO: Ha sempre una forte connotazione espressiva sia se è costruito sulla musica, sia se è quello intellettuale (ellissi di 2001) o quello subliminale (come nell’episodio della clinica dimagrante di Arancia meccanica, in cui la sostituzione/eliminazione dell’Atto omicida ne provoca lo straniamento del senso, quasi a sottolineare che l'Atto, frustrato all'apice del climax, viene privato della sua empatia visiva. Infatti, il momento del colpo mortale viene sostituito da una serie velocissima di immagini pittoriche della Pop Art raffiguranti scene erotiche visibile solo interrompendo la sequenza sul giusto frame). LUCE: anche essa ha sempre una forte connotazione espressiva, sia se si tratta di quella fortemente contrastata e in bianco e nero dei film iniziali, sia quella a colori dei successivi, che tocca il proprio vertice in Barry Lyndon, film in cui, utilizzando pellicole particolari e rinunciando alla luce artificiale, riesce a restituire l'esperienza ottica dell'uomo settecentesco. HALL 9000: a partire da 2001: Odissea nello spazio il cinema diventa per Kubrick anche un’occasione per sperimentare nuove tecnologie. GUARDARE: a partire dal terzo atto di 2001 sembra che i veri protagonisti siano l'occhio e l'atto del vedere e questo film si deve leggere anche come una vera e propria odissea dello sguardo, nonché una tappa decisiva per individuare una delle tematiche che meglio caratterizzano il cinema di Kubrick. A partire da 2001 i meccanismi della visione concorrono alla produzione di senso dei film successivi. FOTOGRAFIE/FREEZE: Giovane fotografo, Kubrick rimase sempre affascinato dalle immagini statiche (foto, quadri), finendo spesso per utilizzarle come espedienti narrativi cruciali e decisivi come nel caso dell’ultima fotografia di Shining.
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