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Per una storia dell'asilo nido in Europa tra 800 e 900, Sintesi del corso di Storia Della Pedagogia

Parti dell'Inghilterra, della Germania e parte ONMI dell'Italia

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

Caricato il 24/10/2023

Sofia.2605
Sofia.2605 🇮🇹

4.3

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Scarica Per una storia dell'asilo nido in Europa tra 800 e 900 e più Sintesi del corso in PDF di Storia Della Pedagogia solo su Docsity! PER UNA STORIA DELL’ASILO NIDO IN EUROPA TRA OTTO E NOVECENTO Dorena Caroli LA DIFFUSIONE DELLE DAY NURSERIES IN INGHILTERRA WILLIAM CADOGAN E LA CURA DEI NEONATI NEL LONDON FOUNDLING HOSPITAL La ricezione delle crèches in Inghilterra presenta delle caratteristiche particolari rispetto agli altri paesi europei, poiché è avvenuta in un contesto caratterizzato al contempo dalla presenza di un sistema assistenziale fondamento sulle Poor Laws, che aveva causato la quasi totale assenza dei brefotrofi – assenti, peraltro, in quasi tutti i paesi protestanti –, e da una cultura educativa che privilegiava la famiglia come luogo di crescita e istruzione del bambino. Ad influenzare in modo significativo la cultura educativa della prima infanzia in Inghilterra fino all’inizio del 900 e ad orientare, seppur in modo indiretto, le politiche pubbliche in favore dell’infanzia, fu il trattato del filosofo John Locke, dal titolo Some Thoughts Concernings Education. Locke descriveva nei dettagli i numerosi aspetti che riguardavano l’allevamento dei bambini dal punto di vista pratico, esprimendo la sua preferenza per l’educazione impartita in famiglia rispetto a quella delle scuole pubbliche. Locke era interessato più alla formazione individuale del futuro cittadino inglese che ai benefici dell’allattamento naturale che avrebbero permesso alla madre di continuare ad occuparsi dell’educazione dei figli, a scapito dell’affidamento alle balie foresi. Il fautore della diffusione vera e propria dell’allattamento materno fu invece il dott. William Cadogan. Cadogan cominciò a sperimentare numerosi principi di puericultura che aveva appena raccolto in un trattato pubblicato nel 1748 col titolo Saggio sull’allattamento e sull’allevamento dei bambini della loro nascita fino ai tre anni di età, che doveva contribuire a migliorare l’allevamento del neonato all’interno del brefotrofio londinese, ma costituì anche un testo di riferimento per alcuni paesi europei. Cadogan forniva una serie di indicazioni su come allevare in modo adeguato i lattanti, descrivendo dettagliatamente alcuni aspetti inerenti alla nutrizione e al vestiario al fine di prevenire gran parte delle malattie infantile dell’età neonatale. La mancanza di un’istituzione assistenziale per trovatelli era stata percepita già dalla fine del secolo precedente, sebbene la mentalità comune nei confronti dei bambini illegittimi (bastards) ne avesse impedito la fondazione. L’alternativa dell’internamento dei bambini orfani nelle workhouses, che erano state autorizzate dal Parlamento inglese nel 1722, non offriva loro molte possibilità di sopravvivenza, data la pessima reputazione delle bambinaie assoldate dalle parrocchie. Definite anche killing-nurses, esse trascuravano i bambini affidati al punto che i tre quarti dei bambini moriva ogni anno. Il baliatico esterno al brefotrofio generava pratiche al limite della legalità da parte delle nutrici, che venivano accusate di somministrare ai pargoli alimenti inadatti, accompagnati talvolta da bevande alcoliche e da sonniferi; si diceva, anzi, che a ciò fossero imputabili numerosi decessi infantili nel primo anno di vita. Mentre quelle assoldate dalle parrocchie londinesi per allattare gli orfani e gli esposti potevano restare talvolta impunite in caso di negligenza, quelle accolte dalle famiglie dell’alta borghesia si sarebbero trattenute dal compiere azioni perniciose per la salute della prole. L’affidamento a balia fu stigmatizzato duramente dal Cadogan, il quale si opponeva all’uso delle fasce e proponeva l’allattamento al seno per un anno, della madre o della balia, quest’ultima utilizzata come estremo rimedio alla mancanza di latte materno. I bambini dovevano essere nutriti ad intervalli regolari e, per stimolare il loro intelletto, gli adulti dovevano parlare con loro senza imitare il linguaggio infantile. Quello di Cadogan era il primo trattato sull’argomento, l’edizione italiana, tradotta dalla decima edizione inglese del 1772 ispirò gran parte dei testi di puericultura. Cadogan proponeva un metodo assai dettagliato per l’allevamento dei bambini che fu inizialmente adottato nel London Foundling Hospital. Si trattava di migliorare le condizioni igieniche dell’accudimento vero e proprio. Il tipo di allevamento presentato da Cadogan doveva realizzare un’armonia fra anima e corpo dei neonati, spesso invece compromessa da un’armonia fra anima e corpo dei neonati, spesso invece compromessa da madri e nutrici che con le carezze li rendevano indocili e indisciplinati e con offelle e dolci facevano loro condensare il sangue e ostruire le vie circolatorie. Numerose pratiche errate inerenti alla nutrizione o all’abbigliamento causavano la morte dei bambini prima dei 5 anni di età. Infatti, se la madre era in condizione di offrire al proprio figlio solo il seno e pochi cenci per coprir leggermente il figliuolo, avrebbe avuto un bambino sano, mentre quelle che lo fasciavano troppo o lo rimpinzavano, lo avrebbero fatto morire di convulsioni. Per quanto riguarda la nutrizione, secondo Cadogan, immediatamente dopo la nascita, il neonato doveva essere tenuto completamente a digiuno per un breve periodo durante il quale doveva purificarsi, in quanto nasceva pieno di sangue e di escrementi. Infatti, erano in voga abitudini sbagliate che consistevano nel mettere in gola al neonato un pezzo di burro e zucchero e un po’ d’olio, oppure della panatella o un po’ di maiale arrostito per curarlo delle eventuali voglie patite dalla madre durante la gravidanza. In questo modo il bambino veniva solitamente ingollato di cibi strani e non adatti, oppur si mette a poppare qualche altra donna: il cui latte scorrendogli in bocca con troppa abbondanza, lo opprime e lo sopraffà, prima che abbia imparato ad inghiottire; e così se gli fa venire la tosse o il singhiozzo. Tuttavia, anche il rinvio dell'allattamento poteva essere pericoloso per la madre poiché poteva cagionarle “la febbre del latte”. Dopo il riposo che seguiva il parto, la madre doveva essere nutrita con qualche cibo leggero e doveva allattare il proprio bambino dopo un’ora o due affinché questi potesse succhiare latte o semplicemente tenere in bocca il suo capezzolo mentre il latte cominciava a scorrere con beneficio per entrambi. Nel caso in cui il bambino fosse malato e vagisse incessantemente, occorreva verificare che non fosse infastidito dal vestito troppo stretto; doveva quindi essere avvolto in una leggera fannella e doveva essere messo al seno della madre. L’allattamento, ripeteva il Cadogan, era «la migliore medicina» per il bambino e per la madre poiché preveniva i «mali isterici e convulsivi» della puerpera contrariamente a molti pregiudizi secondo i quali non si possono smunger di latte senza che rimangano spossate e mancanti del nutrimento loro dovuto». Infatti, secondo Cadogan, «il primo latte della madre ha questa proprietà che è purgativo e astersivo, e quindi ha la virtù di liberare e rinettare il bambino da quegli escrementi da lungo tempo ammassati che porta seco nascendo; e perciò nessun bambino può privarsi d'un tal beneficio, senzaché si rechi alla salute da lui un pregiudizio manifesto». Sebbene il latte cambiasse di qualità diventando «men solutivo e più nutritivo», il bambino poteva essere allattato almeno un anno secondo quanto dettava la natura. E, in ragione dell'allattamento della madre, il compito della nutrice era «la cura di tener netto e mondo il bambino, di farlo passeggiare e salterellare moltissimo, di scherzare e di trastullarsi tuttora con esso lui, e così farlo star sempre gaio e giulivo». In caso di pianto, il medico suggeriva di allattare il bambino solamente 2-3 volte al giorno, mentre invece le madri erano solite porgere il seno 10-12 volte per tranquillizzarlo. Inoltre, le pappe, panatelle e torte, condite con zucchero, spezie e qualche goccia di vino risultavano controindicate rispetto a un buon pane, considerato il cibo più leggero, e al latte di mucca 1760 ad introdurre una limitazione nell’accoglienza dei figli delle donne povere non coniugate. Il brefotrofio introdusse allora un’accoglienza controllata e cercò, infatti, di mantenere i legami con le madri, ma si adoperò anche per trovare una sistemazione definitiva per i bambini che crescevano. Le ragioni del successo dell’organizzazione del baliatico da parte del brefotrofio londinese si spiegavano col particolare “sistema di assistenza all’infanzia abbandonata messo a punto dagli amministratori del Foundling Hospital che si basava su una fitta rete di inspectors: uomini e donne della buona borghesia o della piccola nobiltà di campagna che fornivano la propria opera volontariamente e in forma gratuita, e che erano spesso chirurghi, farmacisti, sacerdoti, vedove abbastanza danarose”. Questi ispettori avevano il compito di individuare le balie propense e idonee a essere assunte, di vigilare sul loro operato, di accertare lo stato di salute del bambino, di prelevare il bambino alla scadenza del contratto e di informare le nutrici sul giorno in cui avrebbero dovuto presentarsi per il ritiro dei cosiddetti charity children. L’organizzazione del baliatico implicava che la donna fosse coniugata con un uomo che doveva aver dato prova di essere un lavoratore onesto; era assai razionale per quei tempi e garantiva anche buone condizioni di vita per i bambini che spesso, nella regione dello Hertfortdshire, venivano adottati dalle famiglie contadine che li avevano accolti per l’allattamento. Diversa era la sorte dei bambini rimasti orfani di un genitore o figli illegittimi che beneficiavano dell’aiuto delle parrocchie. L’ASSISTENZA AGLI ORFANI DALLE POOR LAWS AL CHILDREN ACT DEL 1908 Le Poor Laws (leggi sui poveri) condizionarono la tutela dell’infanzia fino all’inizio del ‘900. In Inghilterra l’assistenza alla popolazione indigente, specie ai bambini legittimi e non, va ricondotto al sistema delle Poor Laws che furono introdotte nel XVI secolo durante il regno di Elisabetta I per far fronte al problema della povertà causata dalle trasformazioni verificatesi a livello delle strutture agrarie. In base a queste leggi particolari, le parrocchie si occupavano di offrire un sostegno agli individui che vivevano in uno stato di precarietà, in genere anziani o afflitti da infermità, mentre quelli abili venivano impiegati come forza lavoro nelle workhouses, che tra il 1776 e il 1803 aumentarono del 22%. Fra le categorie di individui poveri assistiti dalle parrocchie o che si trovavano a vivere nelle case di lavoro, come afferma Hugh Cunningham, i bambini costituivano una percentuale importante. Infatti, per quanto riguarda l’allevamento dei bambini illegittimi, la legge emanata dalla regina Elisabetta I nel 1576. Questa legge incaricava due magistrati di richiedere al padre naturale oppure alla madre di versare una somma settimanale di denaro per il mantenimento del figlio. Per quanto riguarda i bambini rimasti orfani di un genitore, in genere, essi non venivano abbandonati, seppur in modo temporaneo al brefotrofio, come accadeva in altri paesi d’Europa ma rimanevano in famiglia. Per poter far fronte alle esigenze economiche della famiglia, il genitore superstite convolava a nozze due o tre volte ed era la madre o la matrigna ad occuparsi dei bambini di tenera età. Nel caso in cui famiglie intere o donne nubili con bambini cadessero in stato di estrema povertà, venivano internate nelle workhouses e la custodia dei bambini piccoli veniva affidata alle madri stesse e alle balie che si trovavano al loro interno. In genere, fino alla riforma del 1834, i bambini che si trovavano a carico delle parrocchie o che erano internati nelle workhouses erano figli illegittimi di donne nubili e queste forme di assistenza venivano finanziate grazie al cosiddetto dell’allocazione dello “Speenhamland”, la cui entità dipendeva dall’economia locale ossia dal prezzo del pane e dal livello del salario. Le parrocchie si assumevano una parte sostanziale delle spese per il mantenimento della donna nubile, mentre per il resto doveva provvedere da sola con il contributo obbligatorio del padre naturale. Il Poor Law Amendement Act del 1834, che abolì questo Sistema e raggruppò le parrocchie dal punto di vista geografico al fine di agevolare l’assistenza ai poveri, non fu accolto di buon grado dai Boards of Guardians, gli organi di gestione delle nuove amministrazioni locali, che non potevano più imporre al padre di contribuire al mantenimento del figlio illegittimo e si vedevano pertanto obbligate a dover sostenere un maggior onere nell’assistenza dei minori. Questa riforma era improntata a teorie liberali e utilitaristico-razionali e, in particolare, alla concezione del filosofo Jeremy Bentham, grazie al quale si diffuse l’idea che l’assistenza doveva comunque essere meno appetibile del lavoro retribuito. La tutela ai poveri abili al lavoro doveva perciò essere concessa, in linea di massima, solo all’interno di opifici rigidamente disciplinati, i cui responsabili non potevano però far morire di fame i poveri, in quanto rischiavano l’accusa di omicidio. A causa delle restrizioni introdotte nei confronti dei padri naturali dalla riforma del 1834, dopo il 1850, in Inghilterra le nascite illegittime diminuirono in ragione delle azioni giudiziarie intentate contro i padri insolventi nei confronti delle parrocchie. Questo sistema assistenziale delle Poor Laws mostrò tutta la sua debolezza negli anni ’60, in seguito alla crisi delle manifatture tessili verificatasi per il calo dei rifornimenti di materie prime, allorquando fu avviata una riforma della carità che si tradusse nella creazione di istituzioni alternative a quelle delle Poor Laws. Da parte loro, i Guardians of the Poor Law Unions furono sollecitate dalla Poor Law Commission a destinare risorse per la creazione di scuole che sottrassero i bambini all’influenza demoralizzante delle workhouses. Nei centri urbani i bambini lattanti venivano affidati a bambinaie, mentre in alcune zone industriali, ove erano predominanti le fabbriche tessili, erano le madri stesse ad occuparsi dei bambini piccoli, grazie alla diffusione del lavoro a domicilio e nei periodi morti della tessitura; anche i nonni e gli zii potevano prendersene cura. L’impiego della manodopera femminile contribuì a una più capillare diffusione del fenomeno del baby farming, assai simile a quello del baliatico, ma considerato tipico del periodo vittoriano. Il baby farming era un sistema di affidamento dei bambini a una balia per l’allattamento oppure per la semplice custodia diurna. In realtà questa balia era una bambinaia che accoglieva dei neonati per allevarli come i propri, per qualche mese, dietro pagamento di una somma da parte dei genitori ma poteva anche adottarli per sempre una volta cresciuti. A ricorrere al baby farming erano talvolta i genitori in stato di indigenza, talaltra le donne che partorivano i figli indesiderati e illegittimi nelle case di maternità che, in quest’ultimo caso, venivano spesso adottati. Lo scalpore suscitato da una decina di processi intentati contro queste megere colpevoli di aver provocato il decesso di alcuni bambini di pochi mesi fu all’origine della presa di coscienza della necessità di un intervento legislativo più significativo che andasse nel senso della legge Roussel varata in Francia nel 1874. Il dibattito contribuì alla creazione, nel 1870, della Infant life Protection Society che s’interessò al problema del baby farming al fine di regolare il lavoro di balia, indipendente dalla durata della custodia. Nel 1872, per limitare l’ecatombe dei neonati illegittimi messi a balia, il governo liberale di William E. Gladstone approvò l’Infant Life Protection Bill, in forza del quale s’imponeva l’iscrizione in appositi registri a tutte le donne che si fossero assunte l’incarico di accudire bambini altrui per oltre 24 ore di seguito. La legge suscitò le proteste vivaci delle organizzazioni femminili, che lo interpretarono come una palese violazione della libertà di lavoro: il baby farming continuò a prosperare (soprattutto nelle periferie dei centri urbani). La pratica del baby farming conobbe qualche miglioramento non solo in virtù di queste ispezioni, ma anche grazie la pastorizzazione del latte vaccino e l’accresciuta diligenza nella pulizia dei poppatoi mettevano a disposizione un metodo affidabile con cui nutrire i bambini piccoli, preferibile non soltanto al vecchio sistema di alimentarli con gallette inzuppate in acqua e latte, ma allo stesso allattamento al seno. Tuttavia, nel 1888, fu fondata la National Society for the Prevention of Cruelty to Children, che presentò alla giustizia circa 500 bambinaie accusate di maltrattare i bambini negli anni 1889-1890, raggiungendo il numero di 2729 denunce all’inizio del ‘900. Nel 1897, il lavoro della bambinaia fu sottoposto a un’ulteriore regolamentazione che prevedeva alcuni nuovi aspetti, fra i quali la registrazione della persona che si occupava dei bambini in età inferiore ai 5 anni, la dichiarazione di trasferimento del bambino e l’eventuale adozione per la somma di circa 20 sterline. Questi problemi legati alla custodia dei neonati produssero a un vero e proprio movimento di protezione della maternità e dell’infanzia che sfociò nella pubblicazione del Children Act del 21 dicembre 1908 con lo scopo di rimediare alle inefficienze della riforma assistenziale del 1834 e, a tal fine, estendere la responsabilità finanziaria dello Stato nei confronti dei minori. Questa legge instaurava un controllo sui bambini posti sotto la custodia delle bambinaie ed ebbe un effetto assai rapido. La persona che allevava o custodiva, previo compenso in denaro, uno o più fanciulli in età inferiore ai 7 anni, fuori dalla casa parentale, oppure uno o più fanciulli di quell’età, privi dei genitori, doveva dichiararlo all’autorità locale con conseguente notifica di ogni suo cambiamento di residenza, di restituzione o eventuale morte del fanciullo. Il Ministero della Sanità, inoltre, sussidiava le istituzioni assistenziali per i bambini in età inferiore a 1 anno gestite da enti locali e le rispettive madri, nonché quelle per i fanciulli in età inferiore ai 5 anni. Questo avveniva nel caso in cui queste istituzioni, per statuto, prevedessero la vigilanza degli ispettori ministeriali, dei responsabili del servizio medico della contea e dei distretti di residenza che in genere contribuivano al mantenimento dei bambini negli istituti stessi. Erano esclusi dal Children Act parenti, tutori legali o persone che allevavano o custodivano un fanciullo in base alle Poor Laws, gli ospedali, gli istituti di cura e i giardini d’infanzia. In conseguenza di questi cambiamenti legislativi, dopo il 1910, la figura della balia finì per scomparire definitivamente in favore della nanny, la bambinaia che vigilava giorno e notte sui bambini, assunta dopo lo svezzamento del bambino dalle famiglie della middle class. In base all’Affiliation Orders Act del 1914, il padre naturale del bambino doveva versare direttamente alla madre una somma per il suo mantenimento la cui entità variava a seconda dell’età del bambino e, in caso di disaccordo, poteva essere stabilita dal tribunale. Questa LO SVILUPPO DELLE DAY NURSERIES NEI PRIMI DECENNI DEL ‘900 In Inghilterra, la scarsa diffusione delle crèches fra l’ultimo decennio dell’800 e l’inizio del ‘900 era dovuta tanto a fattori socio-economici che facevano sì che si trattasse di un’istituzione poco allettante per le spese di gestione, quanto a motivi culturali che relegavano la donna entro le mura domestiche ad accudire la prole. La pratica dell’affidamento dei neonati alle nunnies era assai ricorrente in tutte le classi sociali. Il movimento femminista inglese, infatti, non aveva assimilato le idee socialiste dell’educazione collettiva dei bambini e non aveva ottenuto sussidi di maternità per permettere alla donna di occuparsi del proprio bambino durante i primi mesi di vita. In tutto il paese e, in particolare nella capitale, le day nurseries erano private e non beneficiavano di contributi pubblici (né statali né municipali). Mentre vi era una crèche in ciascun quartiere di Parigi, a Londra erano distribuite in modo diseguale all’interno del perimetro urbano. La Francia, senza Parigi e il Dipartimento della Senna, ne aveva 322, mentre l’Inghilterra, senza Londra, solamente 19. In genere, in Inghilterra, le day nurseries venivano organizzate da comitati parrocchiali e femminili, finanziate da donazioni private e si trovano in locali di fortuna, adattati per l’accoglienza dei bambini di pochi mesi. L’aperura di una day nursery, infatti, non implicava la richiesta del permesso alle autorità come in Francia; esse non venivano né registrate né sottoposte ad alcuna ispezione da parte del personale sanitario. Education Act (Legge sull’Istruzione) del 1902 à fissando ai 7 anni l’età per l’accesso alle scuole primarie, le istituzioni per la prima infanzia furono affidate alla competenza delle autorità locali, che avevano la prerogativa di formare anche delle classi particolari per i bambini dai 2 ai 7 anni (nursery classes) annesse alla scuola elementare oppure al suo interno nelle zone urbane più povere e in genere laddove non esistevano istituzioni per la prima infanzia per mancanza di risorse. La mancanza di finanziamento per le day nurseries e la formazione del personale spinsero alla fondazione, nel 1906, della National Society of Day Nurseries (società nazionale degli asili nido), sotto la direzione di Cecil Henland, che intraprese alcune attività per migliorare le condizioni igienico-sanitarie delle 30 day nurseries esistenti e per ampliare la rete di queste istituzioni nelle città inglesi. In tal senso si dimostrò assai significativo, a livello della formazione del personale, il Women’s Industrial Council, che nel 1911 a Hampstead aprì una scuola di addestramento per il personale delle day nurseries che consisteva in un corso di formazione di un anno da effettuarsi direttamente al loro interno. La National Society of Day Nurseries, infatti, contribuì al finanziamento delle day nurseries in modo alquanto esiguo. Dal 1914 il Board of Education stanziò una prima somma di 12 mila sterline per 8 day nurseries; si trattava di 4 pences per la frequenza di ciascun bambino, il cui costo giornaliero ammontava a una sterlina e mezzo, grazie al quale fu migliorata la formazione delle assistenti e delle infermiere e la retribuzione stessa del personale. Successivamente, con lo scoppio della guerra, nel 1916, più di un milione e mezzo di donne varcò i cancelli delle fabbriche di armamenti e il loro numero triplicò nel Sindacato. Pertanto, il Ministero degli Armamenti stanziò somme ingenti per l’istituzione di day nurseries nelle fabbriche di armi e munizioni. La mancanza di una gestione centralizzata condizionò a lungo la debole organizzazione delle day nurseries, che durante il periodo bellico soffrirono di una grave crisi nell’approvvigionamento del latte. Nel dopoguerra la funzione delle day nurseries nella prevenzione della mortalità infantile tornò all’ordine del giorno nei bilanci sulle conseguenze sociali del periodo bellico. L’impatto della guerra fece sorgere la necessità di affrontare la questione dell’assistenza ai bambini di tenera età in modo simile a quanto accadeva nel caso del Board of Education che continuò ad occuparsi delle infant school e delle nursery schools. Già dal maggio del 1917, la National Society of Day Nurseries, in collaborazione con altre due società, la National Association for the Prevention of Infant Mortality e l’Association for Infant Welfare and Maternity Centres, si espresse in favore della formazione di un Ministero della Sanità che avrebbe dovuto gestire, in qualità di autorità centrale, anche l’assistenza all’infanzia di età prescolare e in particolare le day nurseries. IL PASSAGGIO DELLE DAY NURSERIES SOTTO LA COMPETENZA DEL MINISTERO DELLA SANITÀ Le conseguenze del dopoguerra ebbero un impatto fondamentale sulla creazione, nel 1919, del Ministero della Sanità che costituì un apposito Dipartimento della maternità e dell’assistenza all’infanzia competente della gestione e del controllo regolare delle day nurseries (avendo inglobato al suo interno l’Health and Local Governement Board). Il nuovo Dipartimento stanziò alcuni fondi a favore di questo settore, ma non finanziò mai totalmente le day nurseries alle quali provvedevano le autorità locali che, dopo la promulgazione del Maternity and Child Walfare Act (1918), non potevano aprire delle day nurseries; anche i genitori dei bambini accolti contribuivano alle spese con il pagamento di rette quotidiane. L’avvio di una gestione centralizzata contribuì ad aprire alcune day nurseries in grandi città come Liverpool e Leeds, accanto a quelle allestite per iniziativa privata con inevitabili disparità dal punto di vista delle condizioni igienico-sanitarie. In genere, tuttavia, queste istituzioni non incontravano molto successo per i motivi già indicati. Peraltro, le day nurseries non furono appoggiate dal Trade Union Congress che nel 1919 le considerava un’ultima risorsa ossia una soluzione di emergenza e non una conquista per la tutela del lavoro femminile. Inoltre, nel 1921, in seguito a una restrizione economica, il Ministry of Health poté distribuire solamente ventisettemila sterline alle day nurseries private, con conseguente ispezione sulle condizioni di custodia, mentre gran parte di quelle sorte per iniziativa locale, grazie al finanziamento delle amministrazioni, dovette chiudere. Questo fece sì che nel 1923 se ne contavano 97 private e 25 municipali (riconosciute dal Ministero). Nelle grandi città come Liverpool, Londra e Parhwood le day nurseries accoglievano una media giornaliera di 20 bambini al di sotto dei 2 anni, benché la “Scuola di formazione di Londra” li ammettesse fino ai 4, previo pagamento di una cospicua retta. I bambini venivano suddivisi in base all’età in piccoli gruppi di 2-4, accolti in una sala che si apriva su una veranda esposta al sole. Vi era una nurse ogni 2 neonati. Le aspiranti nurses seguivano un tirocinio di 1 anno, senza interruzioni, e dei corsi di puericultura. La Helmsley aprì una crèche della quale potevano servirsi le donne che lavoravano, quelle che dovevano essere ricoverate in caso di malattia e, infine, quelle rimaste vedove. Il personale era costituito da alcune infermiere fra le quali una era responsabile, l’altra incaricata delle diverse attività assistita da alcune infermiere tirocinanti. Si trattò del primo passo, seguito dalla fondazione della National Society of Day Nurseries, che portò all’apertura di una day nursery per accogliere i bambini dai 3 mesi ai 3 anni con risorse private. Bruce Bruce-Porter à riguardava gli effetti delle lacune educative sulla crescita dei bambini e sottolineava che l’80% dei casi di morbilità infantile poteva essere evitata, divulgando fra le madri e i bambini una serie di informazioni sull’igiene infantile e sulla preparazione del latte. Crichton Miller à affrontò il problema della “paura dell’ignoto” dei bambini. Nel 1923 nella città di Liverpool esistevano 7 day nurseries “corporative”, nel senso che erano affiliate ad alcuni enti, gestite sotto il controllo del sotto-comitato dell’assistenza alla maternità e all’infanzia, per circa 390 bambini. I bambini vi venivano custoditi per 12 ore al giorno, dalle 7 di mattina alle 7 di sera, ad eccezione del sabato. Una delle day nurseries accoglieva anche i cosiddetti bambini residenti, ossia quei bambini che vi rimanevano anche la notte in caso di degenza della madre, con una retta più elevata. Poiché venivano assistiti bambini in età compresa fra le 3 settimane e i 5 anni, essi venivano suddivisi in 3 gruppi, se la struttura dei locali lo permetteva; in genere si occupava dei bambini una capoinfermiera dotata di una particolare competenza nel campo delle malattie infettive infantili. Durante la sessione coordinata dalla National Society of Day Nurseries, presieduta dall’onorevole Eustace Hills, Bruce-Porter discusse dell’enorme ruolo preventivo esercitato dalle day nurseries. Il 35% dei disturbi dei bambini che entravano a scuola, infatti, poteva essere abbattuto nelle aree urbane soprattutto grazie alle day nurseries, che svolgevano un’azione educativa anche sulle madri dei neonati accolti. In quest’occasione lo psicologo Crichton Miller sottolineò i benefici della day nursery sotto il profilo psicologico, poiché la socializzazione quotidiana con i coetanei distoglieva il bambino dal suo naturale narcisismo, mentre un altro intervento riguardò aspetti come l’elioterapia durante il sonno pomeridiano. La scarsa considerazione da parte del Board of Education nei confronti delle day nurseries fu ribadita dal Comitato delle Infant e Nursery schools del 1933, che sottolineava la natura sanitaria delle prima e quella ancora assistenziale delle seconde. Lo scarso interesse del governo nei confronti delle day nurseries era da attribuire ai tagli di bilancio operati in conseguenza della crisi economica mondiale che diedero il colpo fatale a queste istituzioni già molto fragili. Nel secondo dopoguerra grazie all’Education Act del 1944, la politica educativa nei riguardi delle istituzioni rivolte alla prima infanzia cambiò notevolmente, poiché rispetto alle 100 day nurseries e alle 118 nursery schools del 1939 si passò, nel 1944, a 1450 day nurseries a tempo pieno, a 109 classi a tempo parziale e a 784 classi nelle nursery schools. Le day nurseries entrarono a far parte del grande sistema del Welfare-State britannico che costituì un modello per tutta l’Europa. Il dott. Adolf Baginsky – responsabile dell’Ospedale per bambini della capitale prussiana – condusse un’inchiesta dalla quale emerse che la maggioranza dei bambini veniva allattata in modo artificiale a causa della distanza fra la fabbrica e la Krippe. La presenza di livelli minimi di igiene e un’accurata regolazione dell’alimentazione, al pari della prevenzione delle malattie infettive, avevano reso le Krippen luoghi sicuri per la custodia del bambino di tenera età. Ciononostante, negli anni seguenti, non risultarono particolarmente allettanti molto probabilmente in ragione degli alti costi di gestione. Nel 1901-1903 all’apertura di un asilo cittadino per bambini illegittimi e orfani in età fra i 6 e i 14 anni. Quest’ultimo registrò una mortalità dell’11,7% nel 1902. Dopo la morte della regina Vittoria, consorte di Federico III, avvenuta nel 1901, il Krippenverein venne a trovarsi sotto il patronato della regina Augusta Vittoria di Schleswig- Holstein, moglie di Guglielmo II, che contribuì alla fondazione di un istituto di assistenza e cura che portò il suo nome e fu a lungo attivo nella lotta contro la mortalità infantile. Inoltre, alcuni politici di spicco appoggiarono in vario modo il Krippenverein, contribuendo a cancellare progressivamente i confini fra assistenza pubblica e privata a favore di un maggior intervento delle amministrazioni locali nella lotta contro la mortalità infantile. Grazie all’alto patronato della Casa reale e del governo prussiano il Krippenverein divenne un’istituzione di beneficenza e, dopo il 1909, acquisì prerogative ben più complesse, giacché l’assistenza medica all’interno delle Krippen cessò di essere svolta a titolo benevolo e venne regolarmente remunerata. La realtà berlinese denotava una particolare fioritura di queste istituzioni anche in ragione della diversa considerazione che nutrivano i medici nei loro confronti, mentre in altre città esse furono ostacolate in favore di altre dedite alla prevenzione della mortalità infantile in senso stretto. Il noto medico berlinese Gustav Tugendreich, infatti, da un lato sottolineava che quelle ben organizzate presentavano buoni risultati e, dall’altro, era allarmato dall’alto tasso di mortalità delle Krippen. Si può supporre, invece, che a Wiesbaden non fossero state aperte poiché Emil Pfeiffeer, acerrimo nemico delle Krippen, nel 1884 puntò il dito sugli alti tassi di mortalità infantile, condividendo la posizione dei conservatori, tradizionalmente avversi al lavoro femminile in favore del tradizionale ruolo della donna fra le mura domestiche. Nel 1895, nell’ambito della conferenza annuale della Direzione centrale per le istituzioni assistenziali per i lavoratori e, successivamente, in una riunione dell’Associazione tedesca per la salute pubblica, le Krippen furono considerate la forma più dispendiosa di assistenza ai neonati, ma per combattere la morbilità e la mortalità infantile si richiesero non solo una serie di migliorie igienico-sanitarie ma anche l’allestimento di asili all’interno delle industrie, un controllo delle bambinaie diurne nei quartieri operai. DAL KRIPPENVEREIN DI BERLINO AL DEUTSCHE KRIPPENVERBAND Nel primo decennio del 900 in Germania esisteva una pluralità di istituzioni e iniziative destinate alla prima infanzia e all’assistenza alle gestanti: le Krippen che accoglievano in genere i neonati con almeno 2 settimane di vita, i ricoveri per neonati, le case per trovatelli, gli asili, la custodia dei neonati in stato di bisogno e, infine, le misure di tutela delle puerpere e delle donne incinte. L’uscita dalla maternità non era un salto nel vuoto per quelle che godevano di indennizzi da parte delle casse assicurative che andavano diffondendosi in seguito alla legge del 10 aprile 1892, mentre per le altre si prospettavano giorni difficili se non avessero avuto un gruzzolo per sé e per la propria creatura. Consapevoli dei problemi attuali, i responsabili del Ministero prussiano per la Sanità sollecitavano l’apertura di istituti per lattanti vicino ai ricoveri di maternità in modo da agevolare l’allattamento dopo la seconda settimana di vita, in particolare quello dei bambini che pesavano meno di 2 kg alla nascita e che potevano palesare complicazioni per l’allattamento durante la prima settimana dopo l’uscita dalla maternità. L’asilo dell’Associazione patria femminile di Charlottenburg fu aperto nel 1883 per i lattanti delle famiglie operaie del quartiere e allestì a sua volta un giardino d’infanzia, grazie all’organizzazione di un’Associazione legata all’Istituto. Interessante era la relazione che il personale coltivava tanto con la famiglia quanto con la scuola al fine di rispondere alle esigenze del bambino. Dal 1910 offrì anche corsi di formazione per il personale specializzato in puericultura. Il dott. Fritz Rott il 15 luglio 1908 diventò medico assistente nella Krippe del quartiere di Schoneberg, che fu denominata Auguste Victoria Krippe. Gestita dal Berliner Krippenverein, questa Krippe stava perdendo la sua caratteristica di ente filantropico per diventare un’istituzione medica specializzata, più moderna proprio nel primo decennio del 900. Dal 1908, la Krippe ricevette un nuovo locale, aprendosi anche all’accoglienza notturna. Era composta di un ampio spazio suddiviso in sala per i neonati, una sala principale con veranda per i bambini più grandi, bagno e due cucine (per il latte e per la pulizia). Ogni mattino, dopo l’arrivo, i neonati venivano lavati con acqua calda corrente e indossavano l’abito dell’asilo. Dal 1908 al 1911 furono accolti annualmente in media 114 bambini dei quali il 37% era costituito da neonati e il 47,7% da bambini in età inferiore a un anno. La presenza media giornaliera era di 45 bambini. Per ciascun neonato veniva tenuta una scheda con la registrazione del peso per verificare che ci fosse un aumento medio di 105 grammi ogni settimana e che raggiungesse i 9,4 kg alla fine del primo anno di vita; nel 92% dei casi, dopo il primo anno, i bambini passavano nel gruppo di quelli che giocavano. Gran parte dei neonati veniva nutrito con latte vaccino, benché il 23% venisse allattato ancora dalle madri che si recavano all’asilo 2-3 volte al giorno e, una volta ritirato il bambino, anche di notte. Per quanto riguarda le malattie infettive, l’asilo era rimasto chiuso 14 giorni per varicella e morbillo; vi erano stati rari contagi di scarlattina e difterite ma vi erano anche stati frequenti casi di malattie respiratorie, con una mortalità dell’8,5%. Nell’ottobre dello stesso anno, all’interno dell’asilo, il dott. Rott aprì una scuola di puericultura suddivisa in 2 corsi di 6 mesi: il primo per la cura e la nutrizione dei bambini fino ai 3 anni di età si teneva nell’asilo diurno; il secondo per la custodia dei neonati e dei bambini di tenera età si svolgeva nell’asilo notturno. Rott impartiva delle lezioni in collaborazione con l’équipe medica e il personale della Krippe. In seguito all’opera divulgativa intrapresa dal Krippenverein di Berlino, la società civile svolse un ruolo fondamentale nella fondazione degli asili nido. In genere, l’asilo funzionava grazie a un consiglio direttivo formato prevalentemente da benefattori, mentre il personale interno era costituito da donne vedove e da giovani medici; questi ultimi vi trovavano un ambiente appropriato per la loro specializzazione e il loro sviluppo professionale. Le Associazioni promotrici di Krippen che ambivano al riconoscimento giuridico, si dotavano di uno statuto e cercavano di organizzare delle lotterie o attività di beneficenza, stilando resoconti in forma di calendario, al fine di divulgare la loro missione e, per quanto possibile, sopravvivere. Se non fossero riusciti a trovare finanziamenti duraturi grazie ad appoggi importanti, le Krippen sarebbero state destinate a chiudere. Nel 1913 il dott. Rott, in qualità di medico della Auguste Victoria Krippe, riproponeva la concezione di Carl Helm – uno dei primi fautori tedeschi dell’apertura delle Krippen – il quale nel 1851 aveva affermato che le Krippen avevano il duplice scopo di soccorrere la madre durante gli orari di lavoro e proteggere i bambini neonati al fine di richiamare la comunità all’obbligo del finanziamento di queste istituzioni. Rott esaminava inoltre anche le condizioni generali delle Krippen al fine di sollecitare un’intensificazione del controllo medico. Nel 1913 fu fondato il Deutsche Krippenverband (Unione tedesca delle Krippen) con lo scopo di rendere più coesa la rete associativa a favore di queste istituzioni in tutto l’Impero. Quest’Unione, tuttavia, non riuscì a impedire la chiusura di gran parte delle Krippen durante la guerra. Il Deutsche Krippenverband organizzò conferenze sulla tutela del lattante, esposizioni divulgative e pubblicazioni. Nel 1919 il Deutsche Krippenverband aderì alla Deutsche Vereinigung fur Sauglingsfursorge (Lega tedesca per la tutela del lattante), che dal 1921 divenne parte della Comunità del lavoro delle Associazioni di categoria di igiene sociale. Questa confluenza del Krippenverband nella lega tedesca per la tutela del lattante rifletteva una politica che s’ispirò tanto ai principi dell’igiene sociale quanto a quelli eugenetici col duplice scopo di migliorare le condizioni di vita dell’infanzia e di rinvigorire la razza. Questa istanza politica suscitò un dibattito fra le due correnti di igienisti sociali e razziali che fu all’origine di un’affermazione sempre più persistente di un’eugenetica che creò le basi per la formulazione del concetto di selezione razziale nella Germania nazista. Il timore di declino demografico causato dalle perdite umane subite durante la Prima Guerra Mondiale contribuì, come in altri paesi, al dispiegamento di nuove riforme sociali durante gli anni 20. LO SVILUPPO DELLE KRIPPEN A BERLINO E NELLE ALTRE CITTÀ TEDESCHE L’attività del dott. Frizt Rott è legata anche alla storia della Kaiserin Auguste Viktoria Haus (KAVH, Casa della Regina Auguste Victoria) di Berlino sulla quale occorre soffermarsi poiché si trattava di un centro di cura e assistenza polivalente assai avanzato per quei tempi. Rott divenne primario del reparto di igiene sociale allestito al suo interno nel 1911. La KAVH era una Fondazione con un vero e proprio istituto di ricerca sulla nutrizione dei neonati e di cura della madre, di ricerca della mortalità infantile e di diffusione dei risultati perseguiti in questo settore in quanto al suo interno vi era l’Ufficio della Lega tedesca per la difesa del bambino. mila abitanti avessero una rete di servizi di assistenza all’infanzia e cliniche per la maternità sotto il controllo medico e che lo Stato educasse le fanciulle alla maternità su tutto il territorio tedesco. Il ministero delle Finanze, da parte sua, considerava invece la salute dei bambini di competenza della carità e non dovere dello Stato. La KAVH contribuì alla formazione delle infermiere pediatriche che svolgevano anche il tirocinio al suo interno e terminavano il corso, previo superamento di un esame introdotto dal 1917. LA DIFFUSIONE DELLE KRIPPEN FRA LE DUE GUERRE La condizione generale delle Krippen trasse qualche vantaggio dal fatto che, durante la Prima guerra mondiale, la tutela dell’infanzia divenne uno dei settori principali dell’assistenza sociale, come dimostra la creazione di un’apposita Commissione tedesca per l’assistenza alla prima infanzia e in particolare ai bambini dai 3 ai 5 anni di età. Numerose municipalità tedesche intensificarono il loro intervento a favore dell’infanzia a causa del drammatico peggioramento delle generali condizioni di vita avvenuto negli anni della guerra. Senza dubbio, l’aumento di manodopera femminile verificatosi fra il 1913 e il 1918, soprattutto nel settore metallurgico degli armamenti, fu all’origine della moltiplicazione delle istituzioni destinate all’infanzia a rischio di abbandono. Furono creati un’istituzione speciale per iniziativa della Croce Rossa e 3 consultori per lattanti; nel 1917 fu intensificata l’assistenza per le donne gestanti e i bambini piccoli e furono introdotti i premi di allattamento. Anche l’organizzazione delle Krippen trasse un impulso particolare dai cambiamenti intervenuti, senza tuttavia riuscire a legittimare la loro utilità a livello locale e nazionale. Dal 1914-1915 furono aperte numerose Krippen che funzionarono per il periodo della guerra. Nell’immediato dopoguerra, la quantità delle Krippen che era triplicata si contrasse sia per la conseguente diminuzione del lavoro femminile, sia per le difficoltà scatenate dall’inflazione. Per frenare la chiusura di numerose Krippen, dal 1917 il Krippenverein pubblicò anche una rivista. Il vero cambiamento nell’assistenza all’infanzia fu tuttavia segnato dalla legge dell’8 ottobre 1919 adottata nel Wurttemberg, che sanciva il diritto di ogni fanciullo all’educazione fisica, intellettuale, morale e sociale e il dovere dello Stato di intervenire nei casi in cui i genitori non provvedessero alla sua educazione. Ciononostante, nell’arco di pochi anni un centinaio di Krippen cessò la propria attività. Questo rappresentò il primo passo verso la nuova legge del 9 luglio 1922 sull’assistenza alla Gioventù, entrata in vigore il 24 febbraio 1924, che costituì una grande novità nella storia della protezione sociale tedesca in quanto fu introdotto un vero e proprio sistema statale di assistenza ai bambini e alla gioventù. A livello locale, le amministrazioni regionali dovevano erigere degli enti preposti all’assistenza alla gioventù per mezzo della creazione di Uffici appositi e di istituzioni per i minori (incluse quelle per i bambini di tenera età). La legge stabiliva le forme della collaborazione fra le associazioni pubbliche e non, contemplando la presenza della beneficenza privata. Dopo l’entrata in vigore della legge, i due Uffici per la gioventù, locale e nazionale, affrontarono la gestione della riorganizzazione dei giardini d’infanzia selvaggi e delle Krippen che fino ad allora non erano stati sottoposti ad alcun controllo da parte delle autorità, avevano strutture alquanto difformi fra loro e versavano in pessime condizioni. Queste istituzioni venivano definite anche giardini d’infanzia familiari, poiché spesso erano le madri che si occupavano dell’educazione dei propri bambini ed accoglievano anche i figli altrui, pur non essendo autorizzate a farlo e prive delle necessarie conoscenze pedagogiche. Per migliorare l’organizzazione interna delle istituzioni destinate alla prima infanzia, il 10 giugno 1926, l’Ufficio per la Sanità del Reich emanò i principi per la fondazione e la gestione degli enti di custodia per bambini e dei giardini d’infanzia in forza dei quali i bambini potevano essere accolti solamente previa visita medica quotidiana e dovevano essere suddivisi in 9 locali; il personale doveva essere qualificato con la presenza di almeno un’infermiera specializzata. Incaricate di realizzare questi principi erano le amministrazioni regionali, che si assumevano un compito che fino ad allora era stato appannaggio della beneficenza. Quanto alle Krippen, esse continuarono ad essere oggetto di discredito in quanto luoghi di propagazione delle malattie infettive al punto che la lotta contro le epidemie continuò a essere considerata l’aspetto cruciale nell’organizzazione di queste istituzioni, che esperirono anche il problema del personale scarsamente qualificato. Dalla fine del secolo, per rimediare a queste carenze, le Krippen introdussero dei corsi di 3-6 mesi, spesso di un anno, per la formazione degli educatori assai simili a quelli per le future puericultrici. In mancanza di un regolamento vero e proprio, nel 1929, i 438 educatori per l’infanzia censiti avevano una formazione diversa a livello regionale. Dal primo ottobre 1930 furono previsti due livelli di formazione di 1 e di 2 anni, rispettivamente per l’assistente e l’infermiera per l’infanzia. La legislazione sociale della Repubblica di Weimar ebbe sicuramente un effetto positivo sullo sviluppo delle Krippen al punto che nel 1929 se ne contavano 333 e, nonostante la grave crisi economica dello stesso anno, il loro numero rimase pressoché costante negli anni successivi. Con la fine della Repubblica di Weimar e l’avvento del nazionalsocialismo, la sorte delle Krippen fu strettamente legata ai cambiamenti verificatisi all’interno delle altre istituzioni assistenziali del regime, conoscendo anche un declino causato dalla nuova politica che ebbe inevitabili ripercussioni sulla condizione femminile. Al pari di alcune Associazioni assistenziali, il Krippenverein di Berlino perse la sua autonomia in seguito al suo assorbimento, avvenuto il 4-5 novembre 1932, all0interno della Lega paritetica tedesca per l’assistenza sociale, poi confluita nell’Assistenza popolare nazionalsocialista nel momento in cui la politica sociale tedesca assunse un orientamento razziale. Questo ente assistenziale era regolato da un Ufficio centrale per l’assistenza al popolo che Hitler incluse all’interno della Direzione del Partito nazionalsocialista tedesco del lavoro. Diretto da Erich Hilgenfedt, dal 1934 l’Ufficio creò al suo interno l’Opera assistenziale “La madre e il Bambino” per offrire un sostegno alle madri povere con molti figli, alle donne gestanti, vedove, divorziate e nubili. Tale aiuto consisteva da una parte nell’assegnazione di sussidi o di assistenza nella ricerca di un lavoro e, dall’altra, nell’istituzione e gestione di Krippen e di ricoveri per neonati figli delle donne lavoratrici. Quest’ultimo aspetto tuttavia venne trascurato costantemente, molto probabilmente per favorire l’allevamento materno inteso come precipua responsabilità femminile. L’ideologia sottesa alla politica demografica del regime, infatti, esaltava il ruolo tradizionale della donna nella famiglia, impedendo il dispiegamento di una rete di Krippen e servizi per l’infanzia che allo stesso tempo risolvessero il problema della mortalità infantile e andassero incontro alle donne lavoratrici. Le Krippen non costituirono l’oggetto di una politica educativa come si verificò per i Kindergarten e furono lasciate nell’ombra per una pluralità di motivi. Nei primi anni della sua organizzazione, la NSV in quanto ente assistenziale nazionalsocialista non si accinse ad ampliare la rete di Krippen innanzitutto perché, fino al 1938, riteneva che le Krippen non fossero istituzioni igienicamente appropriate per i bambini di tenera età; in secondo luogo, considerava che queste istituzioni fossero una competenza degli Uffici locali per la gioventù. In realtà, questo disinteresse occultava l’idea che l’allevamento del bambino doveva essere considerato una responsabilità esclusiva della madre entro le mura domestiche. Dopo il 1938, l’Assistenza popolare di regime (NSV) si occupò, infatti, solamente della creazione e della gestione di Krippen per le donne impegnate nella raccolta del grano così come per quelle occupate nei lavori pesanti; durante la guerra, come altrove, furono istituite le Krippen anche nelle industrie. Se dunque si può constatare che da un lato sia stata la particolare politica demografica imperniata sul ruolo tradizionale della donna a impedire il dispiegamento di una rete di Krippen, dall’altro si può sicuramente ipotizzare che la particolare scelta politica di eliminazione dei neonati disabili possa aver compromesso lo sviluppo di interventi sociali a favore della primissima infanzia e costituito una sorta di deterrente per il loro dispiegamento. Dal 1938, Hitler in persona con la collaborazione delle autorità mediche, decise di sterminare i neonati e i bambini piccoli che soffrivano di malattie congenite che, secondo il discorso del dittatore, rendevano la loro vita senza valore. In seguito alle discussioni tenute dal febbraio fino al maggio 1939, fra la Cancelleria del Fuhrer e un gruppo di docenti medici, il 18 agosto 1939 fu varato un decreto segreto che prevedeva l’anagrafe obbligatoria per i neonati e bambini disabili fino ai 3 anni (poi fino a 16) da parte di medici, funzionari sanitari e levatrici. Il personale degli uffici sanitari, tramite il supporto del Ministero degli Interni per la registrazione, doveva dichiarare la nascita di tutti i bambini colpiti da ritardo mentale, mongoloidi, spastici e malformati. Questo significò l’inizio dello sterminio dei bambini da parte di un gruppo di medici sotto la copertura del Comitato del Reich per la registrazione scientifica delle malattie ereditarie e congenite serie. Nel luglio del 1939 lo stesso Hitler incaricò il capo della Sanità pubblica e Consigliere di Stato, Leonardo Conti, di implementare il programma dell’eutanasia e di gestirlo sotto il controllo dello Stato. Della politica di igiene sociale volta alla preservazione della vita dei neonati restò ben poco. Lo stesso Rott, nel 1942, con gli altri igienisti fu attivo in una Società per la ricerca sulla costituzione individuale fondata su particolari caratteristiche biologiche. La legge del 1942 sulla tutela della maternità dava l’indicazione di creare le Krippen. Nel periodo della guerra rimase sicuramente lettera morta e, anche nel caso in cui qualche Krippe sia stata aperta nelle industrie, non si trattò di un rimedio significativo per il miglioramento delle condizioni delle donne lavoratrici. L’autorevole storica Victoria De Grazia sostiene che la politica sociale del fascismo, pur non riuscendo a stimolare i tassi di natalità, ebbe importanti conseguenze dal punto di vista dell’assistenza sociale in Italia in quanto le opere realizzate costituirono la base dei primi servizi pubblici moderni in Italia nell’assistenza alle madri e ai bambini, promuovendo tanto l’importanza sociale del ruolo delle donne quanto una nuova percezione della maternità. Questa nuova percezione della maternità, come mostra anche Elisabeth Dixon Whitaker, consisteva nel dovere della madre di allattare il proprio bambino e nell’osservanza delle norme di puericultura che coniugavano istanze tradizionali e scientifiche nella cura della nuova generazione: l’allattamento al seno rappresentava la vittoria sulla mortalità infantile e il consolidamento della morale e delle relazioni familiari. In base all’art. 4 della legge del 10 dicembre 1925, infatti, l’Opera nazionale provvedeva, attraverso i suoi organi provinciali e comunali, alla protezione e all’assistenza delle gestanti, delle madri bisognose e abbandonate, dei lattanti e svezzati fino ai 5 anni di età – figli di genitori che non potevano prestare loro le cure necessarie -, dei fanciulli di qualsiasi età nati in famiglie bisognose, dei minorenni disabili dal punto di vista fisico e mentale oppure materialmente e moralmente abbandonati, deviati e delinquenti fino all’età di 18 anni. L’intervento dell’Onmi nei confronti dei figli illegittimi aveva dunque un duplice scopo: promuovere lo sviluppo della popolazione e la salute pubblica, diffondere l’ideale della famiglia e della vita coniugale in cui il marito occupava il ruolo guida. L’iniziativa dell’Onmi si legò strettamente agli sforzi dei riformatori sociali e delle sostenitrici dei diritti della donna, intesi a giungere a una revisione del diritto di famiglia in direzione del riconoscimento della paternità naturale accanto alla maternità naturale, con la possibilità di riconoscere legalmente i figli illegittimi, di porli su un piano di parità nel diritto ereditario, e di eliminare ogni altra differenza legale tra legittimi e illegittimi. L’Opera doveva integrare le istituzioni già esistenti e promuoveva le iniziative volte alla diffusione delle norme e dei metodi scientifici di igiene prenatale e infantile nelle famiglie e negli istituti, mediante l’istituzione di ambulatori per la sorveglianza e la cura delle donne gestanti, di scuole teorico-pratiche di puericultura e corsi popolari d’igiene materna e infantile. L’Onmi si occupava anche di organizzare, in accordo con le province, l’opera di profilassi antitubercolare dell’infanzia e la lotta contro le malattie infantili, che a questi tempi costituivano tutte un periodo per la vita dei bambini. Fra i primi provvedimenti adottati dal Consiglio dell’Onmi alcuni riguardarono la formazione del personale addetto. L’assistente sanitaria – visitatrice d’igiene materna e infantile – era sicuramente una figura chiave, fondamentale per questi servizi, e doveva essere fornita di una preparazione infermieristica generica in quanto favoriva il collegamento tra le opere di assistenza e le famiglie degli assistiti. Per la vigilatrice scolastica poteva bastare il diploma d’insegnante elementare o anche quello di maestra giardiniera, a seconda che essa dovesse esercitare il proprio lavoro presso le scuole o i giardini d’infanzia. Per la bambinaia destinata a prestare servizio di sorvegliante nei brefotrofi o in altri istituti per la prima infanzia o ad occuparsi di bambini presso i privati, bastava il diploma di istruzione elementare inferiore. In base all’art.14 della legge del 10 dicembre 1925, le istituzioni pubbliche e private allora esistenti per la protezione e l’assistenza della maternità e dell’infanzia dovevano continuare ad erogare i rispettivi fondi, in conformità alle tavole di fondazione e degli istituti, a vantaggio degli abitanti delle province, dei Comuni e delle frazioni di Comune a cui essi sono destinati. Inoltre, dovevano accogliere anche le donne e i fanciulli inviati dall’Onmi, dalle Federazioni provinciali e dai Comitati di patronato. A causa delle ristrettezze economiche, l’Onmi si concentrò sull’assistenza ai bambini di tenera età senza poter estendere i servizi a un’assistenza più globale degli adolescenti, eccezion fatta per quelli a rischio. Non costituendo una priorità per i Comitati che si accinsero invece ad allestire una serie di servizi per la maternità e l’infanzia, la creazione degli asili nido avvenne spesso per iniziativa locale prima del 1925, benché dopo questa data l’Onmi cercasse di contribuire al finanziamento delle istituzioni preesistenti o di collaborare con esse. I centri di assistenza materna erano in genere gestiti da una patronessa delegata dal presidente del Comitato, coadiuvata da altre patronesse-visitatrici, da medici specializzati in ostetricia e in pediatria e dal personale ausiliario retribuito, con il compito di assistere in vario modo la madre durante la gestazione, il parto e il puerperio, agevolando, oltre al ricovero negli asili materni, anche quelli nei reparti di maternità presso gli ospedali, e le visite a domicilio effettuate grazie alla rete di consultori in collaborazione con le cattedre ambulanti di puericultura destinate soprattutto all’Argo Romano e ai comuni rurali dell’Italia meridionale. Nel 1927 furono istituiti, nelle città con sedi universitarie e scuole di ostetricia, numerosi corsi di perfezionamento in puericultura per medici e levatrici. I risultati dei primi anni di attività venivano valutati in modo positivo ai fini della prevenzione dell’abbandono, poiché in base alla legge del 1927, grazie ai servizi all’Opera, furono effettuati 27580 riconoscimenti di figli illegittimi. Questi centri di assistenza materna – primo passo per la creazione della Casa della madre e del bambino – che comprendevano oltre all’asilo nido e al dispensario per lattanti anche due consultori, uno ostetrico e uno pediatrico, e un refettorio materno, costituivano il perno di una nuova politica della famiglia volta, da un lato, a offrire un’assistenza sanitaria (sociale ed educativa) nei confronti della madre (nel pre-natale e post-natale) e del suo bambino fino allo svezzamento e, dall’altro, a rafforzare i legami della famiglia grazie all’azione di riconoscimento dei figli. Come afferma Victoria de Grazia in nome di una moderna cultura dell’allevamento dei figli, l’Onmi promuoveva l’allattamento al seno; ma incentivava anche l’uso di prodotti per l’infanzia, distribuendo campioni gratuiti di latte in polvere, detergenti, disinfettanti, medicinali e cibi per neonati. GLI ASILI NIDO PER LE OPERAIE DELLE MANIFATTURE TESSILI E DEI TABACCHI Il regolamento dell’Onmi del 1926 affrontò anche la questione dell’allestimento delle sale di allattamento per le donne lavoratrici, rimasta in gran parte disattesa fino a quel momento per alcuni motivi che dipendevano tanto dagli industriali quanto dalla mentalità stessa delle operaie, che non vedevano di buon occhio il fatto che mani estranee si occupassero dei loro figli, anche se più competenti delle loro a farlo. L’Onmi sollecitò a più riprese gli industriali ad applicare la legge del 10 novembre 1907 sul lavoro minorile e femminile, in base alla quale doveva essere allestita una sala di allattamento nelle fabbriche con almeno 50 operaie. Nel settore tessile c’erano già 82 mila operaie per le quali la presenza delle sale costituiva un’urgenza impellente. Si verificava, infatti, che quasi tutti gli industriali, per sottrarsi agli obblighi di legge, rifiutavano di assumere operaie coniugate o licenziavano le nubili quando si univano in matrimonio o restavano incinte. In genere non osservavano nemmeno la normativa secondo la quale l’operaia madre aveva diritto ad almeno un’ora al giorno per allattare. Durante il II Congresso di nipiologia (1932), i rappresentanti dell’Onmi lamentarono l’assenza di questi asili sia per la negligenza degli industriali sia per l’atteggiamento delle donne stesse, alquanto diffidenti o impossibilitate ad usufruire dei servizi offerti. Giovan Battista Allaria, direttore della Clinica pediatrica dell’Università di Torino e membro della Società italiana di Pediatria si soffermò sul fatto che lo sviluppo del neonato figlio di madre-operaia palesava già dalla nascita gli effetti nefasti del lavoro della madre. Questo intervento attirava l’attenzione sul congedo di maternità e sulla necessità di sviluppare maggiormente i servizi per le donne e i neonati (camere di allattamento nelle fabbriche sotto forma di camere di custodia o asili o nidi per lattanti). Questi richiedevano, infatti, un impegno finanziario e igienico poiché causavano con l’interruzione del lavoro delle operaie-nutrici per l’allattamento, un certo scompiglio nell’uniformità disciplinare delle maestranze. D’altro lato le maestranze operaie femminili non ne sentivano la necessità, o per mancata conoscenza della legge, o per indolenza, rassegnazione, mancanza d’iniziativa e diffidenza comune nelle masse meno istruite, o per incomprensione degli immensi vantaggi che l’applicazione dell’art.10 avrebbe conferito allo sviluppo organico ed all’avvenire sanitario della loro prole. Pertanto, l’articolo 137 del regolamento dell’Onmi del 15 aprile 1926 obbligava i suoi organi provinciali e comunali di richiedere ai dirigenti aziendali che allestissero le camere di allattamento e gli asili-nido nelle fabbriche. Tuttavia, anche se alcuni si adoperano in tal senso, queste sale furono inizialmente un fallimento. Al cospetto dell’atteggiamento ostile delle madri, tuttavia, le assistenti di custodia riuscirono a presentare l’asilo nido come rifugio sicuro per i bambini che spesso venivano lasciati da soli durante l’orario di lavoro. Allo stesso tempo, l’asilo nido diventava un luogo di divulgazione della puericultura. Giovan Battista Allaria afferma, durante il II Congresso di nipiologia, che i nidi annessi alle fabbriche private e all’industria di Stato non erano in grado di garantire un allevamento e un’alimentazione corrispondenti alle norme con inevitabili ripercussioni sull’eutrofismo e sulla vitalità del bambino. Pertanto, il Congresso deliberò che la direzione dei nidi fosse sempre affidata ad un pediatria o per lo meno ad una persona esperta in puericultura, indipendentemente dalla presenza del medico fiscale della fabbrica. Tale proposta suscitò un acceso dibattito, poiché c’erano specialisti come Giulio Casalini, in servizio presso l’Istituto madri e lattanti di Torino, il quale sosteneva che la soluzione ideale non era creare sale di allattamento, ma lasciare la madre accanto al suo bambino nel primo anno di vita. Occorreva pertanto provvedere agli ultimi tre mesi di gravidanza ed ai primi 9 mesi di vita del lattante. Auspicando l’estensione dell’assicurazione per maternità a un milione di operaie, sarebbe bastato un premio annuale di 70-80 lire diviso tra industriali e operaie per rendere possibile la realizzazione di questo tipo di assistenza, continuando che dobbiamo pertanto difendere il concetto del diritto del bambino non solo al latte materno, ma anche all’assistenza continuativa della madre almeno nei primi 9 mesi di vita. Il dott. Francesco Valagussa, in qualità di vicecommissario dell’Onmi, appoggiava la proposta di Casalini, auspicandone la realizzazione pratica, ma sottolineava che l’Opera stava cercando al contempo di favorire l’istituzione di asili nidi, di presepi, e di asili propriamente detti che tengono i bambini fino all’età scolare e di istituire nidi consorziati fra varie riaperto sotto forma di Nido-scuola da Maria Pezzè Pascolato, delegata provinciale di Venezia, su autorizzazione dell’Onmi, che lo affidò alla scuola professionale femminile “Vendramin Corner” per completare la preparazione delle allieve che frequentavano i corsi di economia domestica e il tirocinio industriale. Gli esami finali teorico-pratici furono presieduti dal Capo dell’Ufficio d’igiene del comune e dal pediatra, il dott. Giorgi, nonché dalle patronesse dell’Onmi. In Lombardia, che vantava una rete assistenziale assai fitta di iniziative già dall’800, si assiste anche a una particolare proliferazione di asili durante la raccolta del riso. Si trattava, infatti, di ben 125 asili aperti in 11 province che avevano accolto 3650 bambini, benché in 46 asili si notasse uno stato di assoluto abbandono dei neonati. Nei confronti delle mondariso l’Opera aveva offerto anche altre forme di aiuto, poiché aveva assistito 900 bambini nelle famiglie di origine ed affidatarie e distribuito dei cosiddetti premi di monda in collaborazione con gli organi del Partito nazionale fascista (PNF) e degli enti locali. Nel 1937 furono assistiti 20937 figli delle mondariso in asili nido, a domicilio o presso terze persone grazie a una collaborazione fra l’Onmi e la Confederazione fascista dei lavoratori dell’Agricoltura, che prevedeva l’accoglienza dei bambini in età inferiore ai 3 anni negli asili nido gestiti e controllati dall’Onmi. L’Opera si avvaleva della collaborazione dei Fasci femminili e del contributo degli Enti comunali di assistenza. I bambini dai 3 ai 6 anni, invece, venivano assistiti negli asili già esistenti. Naturalmente nelle grandi città, come ad esempio a Napoli, furono allestiti dei veri e propri centri assistenziali che includevano, accanto all’asilo nido anche il refettorio materno, il refettorio del dopo scuola e l’asilo nido per la prima infanzia. In tutti i centri vi erano ambulatori con distribuzione di latte e di medicinali a madri e bambini, con una media di un centinaio di visite giornaliere. Asili allestiti nelle carceri femminili per iniziativa della Direzione generale delle carceri presso il Ministero di Grazia e Giustizia in collaborazione con l’Onmi. Si trattò di un’esperienza limitata ma non trascurabile, essendo l’Onmi un Ente che si occupava anche dei minori a rischio, devianti e disabili, e che in questo caso mirava alla prevenzione dell’abbandono da parte delle madri detenute. Il primo asilo nido fu aperto il 26 giugno 1927 nel carcere femminile delle Mantellate di Roma. Era composto di due locali nei quali erano disposte 12 culle separate da paravento, aventi al centro un box in legno per i bambini che non potevano ancora camminare; vi erano 12 letti per le madri con una piccola stanza per il bagno dei bambini, la bilancia per pesarli e una casetta per i medicinali. Il medico del carcere visitava ogni giorno il nido e dettava prescrizioni per l’igiene, il vitto e l’allattamento. Erano addette all’asilo nido 2 suore che avevano frequentato un corso di puericultura presso l’Istituto Maraini di Roma. A partire da quest’esperienza, la Direzione generale delle carceri dispose che fossero istituiti asili nido in tutte le carceri del Regno e prese accordi con l’Onmi affinché gli ostetrici, in qualità di ispettori, provvedessero alle visite periodiche nelle carceri femminili per migliorare i servizi necessari per i bambini. Il I e il II Congresso di nipiologia, che si svolsero rispettivamente ad Ancona nel 1928 e a Trieste nel 1930, celebrarono il connubio fra l’Onmi e la nipiologia, contribuendo non solo a favorire l’allattamento materno e a combattere la mortalità infantile, ma anche a concretizzare i primi passi della particolare politica razziale italiana. Gli interventi per la tutela dell’infanzia subirono un importante cambiamento dopo il I Congresso di Nipiologia. Nella conferenza inaugurale Francesco Valagussa, sotto commissario dell’Onmi, sottolineò l’importanza del Congresso dal punto di vista della tutela della razza, intendendo con questo termine la duplice lotta contro la mortalità infantile e il declino demografico. In piena conformità con i valori del regime e con una retorica assai ridondante, Valagussa proclamava che si deve a Benito Mussolini se oggi l’Italia possiede la più importante Legge organica che esista, poiché, completata da un regolamento, che fu definito un trattato, mira a garantire l’integrità fisica e morale della nostra gloriosa stirpe, tutelando il fanciullo attraverso l’assistenza della madre e proteggendolo con molteplici forme di assistenza sino al suo primo palpito di vita. Fin dall’inizio degli anni 30, furono poste le premesse per una nuova fase di attività dell’Onmi che, per mezzo dei suoi servizi, continuò ad occuparsi delle donne indigenti, estendendo maggiormente l’assistenza anche a quelle lavoratrici, operaie o contadine, per mezzo della creazione di nuovi asili nido all’interno della Casa della madre e del bambino. Data l’urgenza delle questioni affrontate e, probabilmente in ragione delle problematiche emerse nella prima fase di impianto dell’Onmi che portarono a una sua riorganizzazione amministrativa, nel giugno del 1930 si tenne il II Congresso di nipiologia a Trieste. I cambiamenti introdotti riguardarono, in primo luogo, la semplificazione degli organi dirigenti e, in secondo luogo, la formazione del personale. Nella prospettiva di offrire assistenza a un maggior numero di donne, la sede centrale emanò altre disposizioni per la creazione di nuove istituzioni quali asili-nido, consultori ostetrici e pediatrici e refettori materni, dando un più preciso indirizzo agli interventi riguardanti i bambini di tenera età. Nel 1932, una circolare stabiliva che i delegati delle Federazioni dovessero prendere iniziative per creare asili nido per bambini lattanti e svezzati, laddove esistevano stabilimenti industriali e asili d’infanzia con refettori per bambini di età prescolare (dai 3 ai 6 anni) interessando i Comuni, i Fasci femminili e altri centri nella creazione di refettori materni per gestanti o nutrici. Queste istituzioni, che dovevano garantire un’assistenza diretta, erano tenute ad osservare le più rigorose norme igieniche sia nella cura dei locali, sia nell’alimentazione e dovevano assistere le donne, previa visita del consultorio e istruttoria dell’assistente sociale o della patronessa incaricata. Rispetto ai primi anni di attività, la riforma intrapresa dall’Onmi durante il 1933-1934 fu caratterizzata da una maggiore centralizzazione degli organi dirigenti alla quale seguirono una proliferazione delle strutture e un incremento delle Case della madre e del bambino. Nel 1934 le disposizioni di legge riguardanti la tutela dell’infanzia furono raccolte nel Testo unico delle leggi sulla protezione ed assistenza della Maternità e dell’Infanzia che è rimasto in vigore fino all’inizio degli anni 50. In base al Testo Unico, vi era una differenza importante dal punto di vista della retribuzione del personale addetto ai servizi: il personale sanitario e assistenziale dipendeva dall’Onmi che lo retribuiva dal suo bilancio, mentre il personale amministrativo degli uffici dell’Opera veniva messo a disposizione delle amministrazioni provinciali e comunali rispettivamente nei capoluoghi di provincia e nei comuni. Naturalmente le Federazioni provinciali e i Comitati comunicali di patronato erano gli organi esecutivi dell’assistenza materna e infantile, che avrebbe dovuto essere realizzata nel Centro assistenziale materno e infantile ossia nella Casa della madre e del bambino. Questa casa era un’istituzione polivalente che agevolava il coordinamento dei vari settori e riuniva in un’unica sede tutte le principali attività medico-sociali a favore delle madri e dei minori: i consultori specialistici, il servizio sociale, l’asilo nido per lattanti e svezzati e il refettorio materno. Per quanto riguarda l’asilo nido, l’art. 4 del Testo unico del 1934 non modificò sostanzialmente il suo regolamento precedente, poiché sia che l’asilo nido si trovasse all’interno della Casa della madre e del bambino che al suo esterno, il tipo di trattamento riservato ai lattanti era pressoché lo stesso, benché le condizioni dipendessero dai mezzi a disposizione del Patronato locale. L’asilo nido, come lo concepiva l’Onmi, era un’istituzione moderna che doveva garantire una custodia adeguata al bambino in locali salubri, spaziosi e luminosi, un’assistenza qualificata (che comprendeva il cambio dei vestiti all’ingresso, il bagno, il gioco, il riposo nei lettini e metodi educativi adatti all’età), un’alimentazione basata su diete specifiche e, infine, un’accurata vigilanza igienico-sanitaria. La funzione assistenziale dell’asilo nei confronti dei neonati fu orientata in senso maggiormente sanitario con l’introduzione di una scheda particolare ove veniva registrata la loro crescita. Questa esigenza emerse già durante il III Congresso di nipiologia che si tenne a Perugia nel settembre del 1932. Il primo regolamento sul Nido dei Centri di assistenza materna fu pubblicato nel 1933 sul Bollettino dell’Onmi, Maternità e infanzia. Nei nidi venivano ammessi i bambini dai 3 mesi al 3 anno di età, la cui madre risultasse regolarmente occupata fuori casa e impossibilitata ad accudire il bambino e, eccezionalmente, i figli di madri disoccupate e in presenza di difficoltà economiche della famiglia. Il nido, che si trovava nello stesso edificio del centro di assistenza materna e infantile, apriva le sue porte nelle prime ore del mattino; il personale accoglieva i bambini dalle 7:30 alle 6:15 di pomeriggio durante la stagione invernale e dalle 7 alle 8 di sera durante quella estiva. L’organizzazione prevedeva che le governanti vestissero i bambini con l’abbigliamento dell’asilo (maglietta, camicino e mutandine, grembiule con fazzoletto nel taschino, calzini e sandali) subito dopo il loro arrivo. I bambini dovevano essere accompagnati con puntualità al fine di permettere il regolare svolgimento delle attività secondo un orario fisso che poteva variare in funzione delle esigenze locali: • 11-11:30 igiene delle mani e della bocca nella sala da bagno; • 11:30-13:30 riposo nelle singole brandine; • 13:30 sveglia e servizi igienici; • 14:00 ritorno degli svezzati nella sala giochi; • 15:30 refezione e merenda a base di semolino in latte o caffè e latte, frutta fresca, pane o pane e miele; • 16:00 igiene personale; • 17:00 cambio dei vestiti di casa ai bambini di tenera età; • 18:00 riconsegna alle madri; • 18-18:30 disinfezione e pulizia del centro eseguita dal personale. Durante la settimana, a giorni alterni, si effettuavano 2 turni per il bambino dei lattanti e degli svezzati. Alle 10:00 era previsto il primo turno di allattamento effettuato con apposite boccette sterilizzate e riempite in base a quantità prescritte dal medico addetto; alle 10:30
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