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IL CRICCO DI TEODORO RIASSUNTO, Sintesi del corso di Storia dell'arte contemporanea

Riassunto libro Il Cricco di Teodoro, dall'età dei lumi ai giorni nostri, per sostenere l'esame di L. Capano di percorsi dell'arte. Voto: 30

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

In vendita dal 01/09/2023

noemi.masut
noemi.masut 🇮🇹

4.9

(56)

28 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica IL CRICCO DI TEODORO RIASSUNTO e più Sintesi del corso in PDF di Storia dell'arte contemporanea solo su Docsity! 0 PERCORSI DELL’ARTE lOMoAR cPSD|8219228 1 IL CRICCO DI TEODORO DALL’ETÀ DEI LUMI AI GIORNI NOSTRI lOMoAR cPSD|8219228 4 bellezza ideale che i greci avevano realizzato; a questa bellezza si può pervenire solo tramite la massima padronanza della tecnica scultorea e solo imitando la scultura classica. 2) AMORE E PSICHE (pag 30) → viene realizzata tra il 1788 ed il 1793. Canova riprende l’episodio narrato da Apuleio nell’asino d’oro in cui Amore rianima Psiche svenuta perché ha aperto contro gli ordini di Venere un vaso ricevuto nell’ade da Proserpina. Vediamo la tensione dei due giovani corpi che non si stringono, ma si sfiorano appena con sottile erotismo; è l’attimo che precede il bacio. Solo la visione frontale permette di fermare un'immagine del gruppo statuario tale da consentire di coglierne la geometria compositiva: due archi si intersecano mettendo in gioco il corpo leggermente sollevato e interruzione di psiche, la gamba destra e le ali tese di amore, che da dietro si piega verso la fanciulla e l'abbraccia sfiorandole i seni e la guancia destra. Due cerchi intrecciati (le braccia dei due giovani) sottolineano il punto di intersezione degli archi. Tuttavia la visione frontale non esaurisce le possibilità di godimento dell'opera. Infatti i rapporti reciproci fra i due corpi mutano continuamente girando attorno al gruppo scultoreo. 3) EBE (pag 32) → Canova realizza quattro esemplai di Ebe; questo è il secondo, del 1800-1805. La fanciulla, coppiera degli dei, si alza in volo sostenuta da una nuvola; il suo busto è nudo mentre la parte inferiore del corpo è avvolta da una veste leggera molto pieghettata che aderisce alle gambe mostrandone le curve. Lateralmente è presente un chiaroscuro più pronunciato. Tutta la scultura tende alla grazia: il corpo giovane, l’ovale perfetto del volto, la delicatezza con cui Ebe tiene la coppa e l’anfora, il corpo proteso in avanti. Ebe manca volutamente di una forte espressione perché altrimenti sarebbe sembrata una baccante e non una divinità. 4) I PUGILATORI (pag 32) → con i pugilatori lo scultore invece intende dare dimostrazione di uno stile severo, capace di interpretare emozioni forti e persino violente, senza tuttavia che venissero meno l'ideale di proporzioni classiche del principio winkelmanniano di evitare le azioni mentre accadono. Creugante e Damosseno, concepiti per essere esposti assieme, quasi fossero un gruppo statuario, furono realizzati il primo entro il 1801, il secondo nel 1806. I due personaggi raffigurano i pugilatori la storia era stata narrata da Pausania. Nel corso dei giochi i due atleti, dopo una giornata di lotta che non era ancora stata vinta da nessuno, per concludere si accordarono perché ognuno si lasciasse colpire una sola volta in qualunque parte volesse. Creugante percosse con forza la testa di Damosseno e pose una mano chiusa a pugno sulla propria per proteggerla. Damosseno lo colpì con la mano destra distesa e rigida. Damosseno venne bandito mentre venne decretato vincitore il defunto Creugante. Canova raffigura Creugante dopo che questi ha colpito l'avversario è quest'ultimo prima che sferri il colpo micidiale. Alla rotazione del busto e della testa di Creugante fa da contrasto il corpo più tozzo di Damosseno, con il busto incurvato, la testa spinta in avanti, la gamba destra tesa, il braccio sinistro portato contro il petto e il destro irrigidito, piegato e portato indietro per colpire con forza e precisione. Mentre il volto di Creugante mantiene una classica bellezza, al contrario quello di Damosseno ha la fronte più corrugata, le narici dilatate, la bocca più dischiusa e presenta una verruca in corrispondenza della narice destra, quasi che quella minima imperfezione fisica bastasse rendere meglio il carattere imperfetto e violento del pugilatore 5) PAOLINA BORGHESE (pag 34) → ritrae qui la sorella di Napoleone, moglie del principe romano Camillo Borghese. L’opera risale al 1804-1808. Paolina è un personaggio pubblico e investito di potere e per questo dovrebbe tutelarsi da qualsiasi scandalo. Invece ritratta in questo modo mostra le sue grazie in tutto il suo splendore. Le sue misure sono diverse rispetto a quelle della grande Odalisca. Paolina è raffigurata come Venere vincitrice; infatti tiene in mano il pomo della vittoria offertole da Paride in quanto dea più bella. La donna è adagiata su un fianco su un divano, che pare quasi un triclinio. Il busto, sollevato e appoggiato a due cuscini è nudo mentre la parte inferiore del corpo è coperta da un drappo che sottolinea le pieghe inguinali e scopre l’attacco dei glutei, e dona al ritratto un evidente erotismo. Il braccio destro appoggiato sui cuscini sorregge la testa, tenuta eretta e volta a destra. Il volto è idealizzato ed ha sembianze divine. Il letto di legno su cui è collocata la scultura nascondeva un ingranaggio che consentiva la scultura di ruotare. Canova mostra la bellezza di Paolina, ma anche la bellezza stessa della scultura, mostra cosa vuol dire saper modellare e scolpire il marmo in questo modo. I cuscini e il materasso sembrano morbidi, così come i panni che cadono a coprire l’agrippina sulla quale è sdraiata lOMoAR cPSD|8219228 5 Paolina: notiamo la capacità tecnica inimitabile. Questa scultura ha un enorme successo perché Camillo concede al pubblico romano di andarla a vedere. Paolina invecchia e chiede a Camillo di chiudere la statua al pubblico. Vuole vedersi eternamente giovane nella scultura e vedersi invecchiare. L’opera si trova a Villa Borghese 6) LE TRE GRAZIE (pag 34) → Canova fa due redazioni di questa opera, la prima del 1812-16 e la seconda del 1814-17, che è in migliori condizioni di conservazione. Le tre dee sono stanti (quindi lungo tre assi verticali paralleli), abbracciate in modo da rinchiudersi in se stesse, poste come attorno a una superficie cilindrica. Una fanciulla è vista frontalmente, un’altra quasi di spalle e la terza di fianco. Le gambe delle tre divinità sono atteggiate ha costruire le simmetriche radici allargate di un fusto tripartito. L'insieme delle braccia intrecciate circonda i corpi come un fessione decorativo, tutt'uno con il drappo che dall'ansa centrale ricala poi in due falde. I volti sono colti tutti di profilo. Nelle chiome vediamo il massimo chiaroscuro dota le tre figure di una superficie liscia e morbida. 7) MONUMENTO FUNEBRE A MARIA CRISTINA D’AUSTRIA (pag 36) → ci lavora tre il 1795 ed il 1805. L'opera fu commissionata dal duca Alberto di Sassonia per ricordare la consorte, l'arciduchessa Maria Cristina d'asburgo Lorena. Il monumento è rappresentativo del clima tardo settecentesco della poesia sepolcrale e si lega al tema della morte. La sepoltura ha la forma di una piramide. Questa forma deriva probabilmente dalla piramide di Caio Cestio a Roma o dalle tombe dei Chigi nella Cappella Chigi di Raffaello in santa Maria del Popolo. Canova sottolinea l'ingresso oscuro, che una processione recante le ceneri della defunta si appresta a varcare, per mezzo di uno spesso architrave e di due poderosi stipiti. l'immagine della defunta e racchiuse in un medaglione portato in volo dalla felicità celeste. la defunta e onorata dalla personificazione delle proprie virtù: la fortezza, resa dal Leone accovacciato e malinconico; la carità, rappresentata dalla giovane donna che accompagnata da un bambino guida un vecchio cieco tenendolo per un braccio; la tenerezza coniugale del duca Alberto rappresentata dal genio alato. La Virtù, una figura femminile ammantata e coronata dall'oro, recante il vaso con le ceneri di Maria Cristina, precede un dolente corteo a cui prendono parte a capo chino giovani donne, fanciulle e un vecchio Tutte le figure sono legate da una ghirlanda di fiori. Canova vuole sollecitare la meditazione sulla fatalità della morte, sul rimpianto e sulla corrispondenza di sentimenti amorosi che da sola riesce a mantenere in vita le persone care scomparse. Il mondo classico rivive nella scena teatrale composta da Canova. JACQUES-LOUIS DAVID (1748-1825) • Jacques-Louis David nasce a Parigi, dove studia, nel 1748. Nel 1775 intraprende un viaggio in Italia per trasferirsi a Roma (fino al 1785) dove studiò la scultura e la pittura romane, in particolare le opere di Raffaello. Poi fa un viaggio a Napoli, Ercolano e Pompei e dopo di che afferma di aver aperto gli occhi sull’antico. Rientra in Francia e partecipa alla rivoluzione a fianco di Robespierre; viene poi colpito dal fascino di Napoleone e divenne anche Primo Pittore dell’imperatore. Dopo la sua caduta è costretto all’esilio a Bruxelles, dove muore nel 1825. • Durante il primo soggiorno romano, David esegue le cosiddette accademie di nudo. Un esempio è l’accademia di nudo virile riverso (pag 41) e il nudo virile semi disteso e visto da tergo. Si tratta di due olio su tela. Nel primo vediamo Ettore riverso dietro il proprio carro da guerra; il nudo è mostrato in scorcio, adagiato secondo un andamento diagonale. Il secondo identificato con patroclo, è visto da tergo, ha la testa reclinata in avanti e i capelli appaiono come mossi dal vento. L'atteggiamento con la torsione del busto consente a David di esercitarsi nell'anatomia • Le sue opere pittoriche: 1) IL GIURAMENTO DEGLI ORAZI (pag 41) → stare a Roma rappresenta per David una continua fonte di ispirazione; studia i cicli delle stanze vaticane ed i dipinti di Raffaello e ne evidenzia quello che secondo lui è il suo carattere principale: aver saputo rendere autonomo ed isolato ogni personaggio delle sue opere pur all’interno di una narrazione con tante comparse e tanti protagonisti. È questo che David vuole ripetere. Il giuramento degli Orazi è datato 1784, fu commissionato dal re di Francia e l’anno seguente venne presentato al Salon. Il soggetto è ripreso dalla storia della monarchia di Roma durante lOMoAR cPSD|8219228 6 il regno di Tullio Ostilio. I tre fratelli Orazi, romani, affrontano i tre fratelli Curiazi, albani, per risolvere in duello la contesta fra Roma e Albalonga; i Curiazi muoiono tutti mentre un solo Orazio si salva, decretando la vittoria di Roma. Quindi, questo soggetto è simbolo di virtù civiche romane e l’amore per la gloria: i 3 giurano di vincere o morire per Roma. La scena è molto teatrale e si svolge nell’atrio di una casa romana molto luminoso. Nel fondo due pilastri e due colonne doriche dal fusto liscio sorreggono tre archi a tutto sesto, oltre i quali, immerso nell’ombra, un muro delimita un porticato, mentre un’ulteriore arcata a destra lascia intravedere altri ambienti abitativi e una finestra alta da cui entra la luce. Abbiamo 3 archi e 3 gruppi di persone. Il numero 3 si ripete, tant’è che il motto della rivoluzione è libertè, égalité e fraternité. I personaggi sono rappresentati in due gruppi distinti ed in mezzo c’è il padre, isolato, conscio della propria centralità nella storia. Ha il volto da filosofo antico. Egli ha appena parlato, infatti ha le labbra dischiuse. Il rosso acceso del mantello lo distingue come personaggio chiave. Leva in alto delle spade lucenti. È proprio su questa mano che sta il punto di fuga. D’altra parte è in direzione del padre e verso le spade che si protendono le braccia dei fratelli. A destra, le donne sono disperate e rassegnate. La madre copre i due figli più piccoli con il suo velo scuro (presagio di lutto). Sabina, affranta, invece si volge verso la cognata Camilla, la quale le tiene sulla spalla una mano su cui appoggia il capo chino. Camilla verrà poi uccisa dal fratello vincitore perché fidanzata col Curiazio. Il braccio di Camilla che cade è simbolo della morte. David riprende un elemento dell’iconografia religiosa che simboleggia la morte --> confronto con Michelangelo, Raffello e Caravaggio (foto). In conformità con l’estetica neoclassica, David non mostra il momento cruento del combattimento, ma sceglie di rappresentare quello supremo del giuramento che precede l’azione ed indica l’amor di patria. Questo quadro viene descritto come il manifesto della Rivoluzione francese. Ci sono dei motivi per considerarlo il manifesto del nuovo spirito e impegno, di quello che avverrà, tant’è che viene dipinto in Italia cinque anni prima dello scoppio della Rivoluzione. David lo dipinge durante il suo secondo soggiorno in Italia. Confronto con GIURAMENTO DI BRUTO, BEAUFORT 1771 2) LA MORTE DI MARAT (pag 43) → nel 1793, il rivoluzionario giacobino Marat viene assassinato nel suo bagno da una donna, girondina: Charlotte Corday. David viene incaricato dalla Convenzione di dipingere un quadro in onore di questo martire della rivoluzione. Sembra abbandonare la storia antica per passare alla cronaca nera. Nel dipinto del 1793 il protagonista viene inserito in un ambiente molto diverso da quello che in realtà è stato il luogo del delitto, in quanto questo avrebbe fatto apparire la morte di Marat come quella di un uomo comune. Il fondo è scuro e quasi monocromo; davanti vediamo una cassetta di legno chiaro che funge quasi da lapide e su di essa David presenta una dedica: “A Marat, David. 1793. L’anno secondo”. La sobrietà e l’essenzialità dell’arredo (la cassetta, la vasca in cui Marat è immerso, il ripiano di legno che funge da scrivania, il lenzuolo rattoppato) sottolineano la virtuosa povertà di Marat, repubblicano incorruttibile ucciso a tradimento per le sue virtù. Marat tiene in mano un biglietto con cui la donna aveva chiesto a Marat di incontrarlo. L’immagine è costruita come una pietà o una deposizione di Cristo (es quella di Michelangelo in San Pietro, o la sepoltura di Cristo di Caravaggio): c’è una ferita aperta sul costato, la testa è calata di lato, il braccio destro è abbandonato lungo la sponda della vasca, il lenzuolo macchiato di rosso sembra un sudario, il calamaio e la penna d’oca sulla cassetta, la penna ancora stretta nella mano e il coltello insanguinato ricordano i simboli della passione. Il paragone con la morte di cristo serve per collocare Marat al di sopra degli altri uomini. Il punto di fuga coincide con il bordo superiore della tela, consentendo una visione dall’alto verso il basso; la testa di Marat nella sua posizione reclinata segue la direzione dell’asse orizzontale del dipinto, così come la mano che stringe la penna si trova lungo l’asse verticale e il calamaio è raffigurato lungo una diagonale. Infine la verticale passante per il volto di Marat e il suo gomito individua l’arma del delitto che è in una posizione non casuale. David sceglie di rappresentare la vicenda nel momento successivo all’omicidio; così, l’atto violento non è mostrato ed il volto dell’assassina non viene ricordato. Tuttavia nella lettera scrive la data e il nome di Charlotte, quidni difatto vi è la presenza dell’assassina nel quadro (dettaglio foto). 3) LE SABINE (pag 45) → il dipinto è del 1794-99 e narra un episodio della leggenda secondo la quale i Sabini, guidati da Tazio, tentano di riprendere le loro donne rapite dai Romani, guidati da Romolo, per poter popolare la neonata Roma; i due condottieri decidono di ricorrere al duello, ma nel frattempo lOMoAR cPSD|8219228 9 sostanzialmente neoclassica, appare approdato a una visione di disincantato realismo. Questo dipinto infatti allude fortemente alle analoghe atmosfere di Corte descritte da Velázquez. I 13 personaggi del dipinto sono disposti in tre gruppi, collocati in modo da disegnare sul pavimento una sorta di ampia S, per Daria a ciascuno il giusto rilievo fisico ma anche psicologico e morale. Nel gruppo di centro e in rilievo la figura della regina Maria Luisa di Parma, moglie di Carlo IV. Nel gruppo di destra invece primeggia la figura di re Carlo IV, mentre in fondo a sinistra nella semioscurità della vaste disadorna sala fa capolino il quattordicesimo personaggio del dipinto. Si tratta dell'enigmatico autoritratto di Goya, nel quale si rappresenta in atto di dipingere un ipotetico soggetto collocato alle spalle di chi guarda la grande tela. Le sontuose vesti delle Dame e le ricche decorazioni di gala degli uomini sono realizzati con l'uso di pennellato estremamente libere, secondo la tecnica dei colori giustapposti. 3) LE FUCILAZIONI DEL 3 MAGGIO 1808 SULLA MONTAGNA DEL PRINCIPE PIO (pag 62) → in questo dipinto storico del 1814, Goya porta sulla tela il dramma della rivolta antinapoleonica, vissuta in prima persona quando assistette nel maggio del 1808 all’eroica resistenza del popolo madrileno contro l’invasione delle truppe francesi. NB: è importante fare attenzione alla data: Il dipinto risale al 1814, cioè sei anni dopo i fatti; i francesi hanno perso a Waterloo e nel 1814 è tornata la famiglia al potere con Ferdinando VII, l’erede di Carlo IV, Goya può fare questo quadro solo nel 1814 proprio perché è stata restaurata la monarchia. La tela è innovativa nei confronti dell’arte del tempo: per la prima volta vengono riprodotti avvenimenti contemporanei colti nel vivo del loro cruento svolgimento. È considerato come il primo quadro di storia contemporanea. A destra vediamo il drappello del plotone di esecuzione. I soldati sono di spalle e non possiamo vederne le espressioni. Questi sono anonimi: hanno cappelli, divise e i moschetti puntati a sparare. A sinistra ci sono i patrioti spagnoli, scompostamente ammassati come animali impauriti; sono rappresentati con un realismo carico di tragica pietà. L'uomo con la camicia bianca leva le braccia al cielo in un gesto che, oltre ad affermare la propria giusta causa, è anche di disperazione e di rabbia. Questo ritorna anche nelle espressioni dei compagni che hanno paura della morte e sono molto diversi dagli impassibili eroi della pittura neoclassica. In basso si accalcano indistintamente i cadaveri di coloro che sono già stati fucilati. Abbiamo quindi 3 gruppi: chi aspetta di morire, chi sta morendo e chi è morto. È quasi una sorta di racconto dinamico del processo di vita. I toni sono cupi, sia per rispettare i valori naturalistici dell’ambientazione notturna, sia quelli psicologici, messi in rilievo dall’angoscia soffocante della scena. Sullo sfondo al buio si intravede uno scorcio urbano, dove risalta soprattutto il campanile che indica la presenza della chiesa. Abbiamo una serie di riferimenti alla cultura spagnola che è radicata e sentita degli spagnoli: il campanile, la preghiera del prete sul cadavere: la religione è impotente di front al dramma della storia. Ci sia affida alla religione che non può salvarci dalla tragedia storica, ma allo stesso tempo può elevarci; facciamo riferimento alla figura centrale che ci ricorda il sacrificio di cristo: è il sacrificio del madrileno di fronte all’invasore. La frammentarietà della pennellata, la povertà della tavolozza, l’espressività dei personaggi, la volontà di cogliere e di bloccare l’attimo irripetibile sono indizi di una tecnica pittorica che, pur partendo da presupposti neoclassici, sta avviandosi verso il gusto romantico. Questi due quadri non vengono commissionati. Goya durante gli anni dell’invasione francese dipinge molti francesi che governavano e ciò dimostra che non era un loro totale oppositore. Tant’è che anche dopo la fine del governo francese, viene accusato di essere un loro fiancheggiatore. Perciò lui propone a Ferdinando VII di dipingere questi due quadri per celebrare il momento di resistenza dei partigiani spagnoli nel momento dell’opposizione ai francesi e nel momento della fucilazione. lOMoAR cPSD|8219228 10 L’EUROPA DELLA RESTAURAZIONE IL ROMANTICISMO • Il romanticismo è un complesso movimento politico, filosofico, artistico e culturale che si diffonde in Europa tra la fine del 700 e la prima metà dell’800. Esso assume caratteri molto diversi in relazione ai vari contesti nazionali. L’ideologia romantica è il prodotto di una società in grave crisi economica e sociale. POPOLO, NAZIONE, PERSONA • Il movimento letterario dello Sturm und Drang si diffonde in Germania tra il 1770 ed il 1780 ed è molto significativo perché apre la strada alla diffusione del romanticismo. • Il romanticismo esalta il concetto di popolo, connesso a quello di nazione. Se una nazione può rivendicare la propria originalità storica, allora ciascun uomo può legittimamente vantare la propria storia personale, che è sempre unica, preziosa ed irripetibile. • Da qui, l’attenzione romantica per la sfera di sentimenti, affetti, passioni caratteristici di ogni personalità. La sensibilità romantica infatti tende a prediligere le singole individualità e tutti i fattori ambientali, spirituali e culturali che hanno contribuito a formarle IL PASSATO ROMANTICO • Su queste basi, il romanticismo si pone in totale contrapposizione con il neoclassicismo e con la cultura illuministica. Mentre quest’ultima faceva riferimento ad un passato ideale, il romanticismo guarda al medioevo, perché si sente erede dei suoi fermenti nazionalistici; inoltre, non crede più nei valori assoluti di una classicità ormai lontana ed astratta. L’IRRAZIONALITÀ • La fede, il sentimento e l’irrazionalità, che l’illuminismo aveva condannato, riaffiorano ora in mille sfaccettature. • In arte, al perfetto rigore formale di David o Ingres si preferiscono rappresentazioni di più immediata presa sul pubblico. Ai soggetti della mitologia classica se ne sostituiscono di nuovi, legati alle leggende ossianiche, alla tradizione favolistica locale e alla rappresentazione di una natura fortemente personificata. • Questo ultimo aspetto in particolare viene ben espresso dalle opere di Friedrich, come il MARE ARTICO (pag 76) del 1823-24, dove il tragico affondamento di una nave tra i ghiacci diventa il pretesto per celebrare la grandiosità della natura, rappresentata dai ghiacci irti e taglienti come gigantesche lame, al confronto della piccolezza importante dell'uomo. • Così, alle atmosfere chiare e definite del neoclassicismo si sostituiscono ambientazioni fosche, ricche di riferimenti simbolici, magici e misteriosi; gli artisti vogliono toccare le emozioni e le sensazioni, piuttosto che la ragione ed il contenuto. • La nobile semplicità e la quieta grandezza delle opere neoclassiche cederanno progressivamente il passo a sentimenti espressi in modo più passionale, tanto che pur acquistando talvolta in immediatezza comunicativa, perderanno comunque in armonia e equilibrio • la passione e il turbamento che i neoclassici non rappresentavano mai, diventano per i romantici due dei principali modi di espressione artistica IL SUBLIME • A questa sensibilità artistica è connesso strettamente il concetto di sublime, che è un misterioso ed affascinante insieme di sensazioni che si provano solo di fronte a grandiosi spettacoli naturali. IL GENIO lOMoAR cPSD|8219228 11 • Fortemente connesso al concetto di sublime è il genio • Il genio è colui che grazie alla sua innata sensibilità artistica ci consente di accedere alla vertigine del sublime. NEOCLASSICISMO E ROMANTICISMO • Neoclassicismo e romanticismo costituiscono due fasi di uno stesso processo storico, che sono al contempo opposte e profondamente connesse e anche sovrapponibili temporalmente • Mentre il neoclassicismo si fa promotore del ritorno all’ordine, alla regolarità ed alla disciplina, il romanticismo esalta la fantasia, la sensibilità e la malinconia. • Vediamo il caso della natura. L’artista neoclassico vuole rimanerne estraneo ed indagarne razionalmente le caratteristiche per padroneggiarla; l’arte neoclassica non vuole imitare la natura, ma i modelli ideali che di essa hanno elaborato i classici. L’artista romantico si sente parte integrante di essa e vi si immerge personalizzandola e modificandola in base ai suoi stati d’animo FRIEDRICH (1774-1840) • Friedrich nasce in una cittadina tedesca. La sua giovinezza fu difficile e solitaria. Si è formato presso l’Accademia di Copenaghen. Fa dei brevi soggiorni a Berlino e a Rugen, ma vivrà fino alla morte a Dresda. Nonostante sia uno dei massimi pittori tedeschi dell’Ottocento, fu apprezzato solo dopo la sua morte • I suoi temi prediletti erano: le fantasiose ambientazioni notturne e cimiteriali e gli inquietanti paesaggi apri e desolati. • Le sue opere: 1) VIANDANTE SUL MARE DI NEBBIA (pag 79) → le tematiche romantiche della natura e del sublime trovano uno dei loro punti più alti in quest’opera del 1817. Rappresenta un uomo di spalle che in piedi sopra uno spuntone roccioso, guarda solitario lo straordinario spettacolo di un paesaggio alpino all’alba, con le cime dei monti che iniziano a emergere fra le nebbie. La scena è di forte impatto emotivo e si compone di un primo piano in controluce (uomo e rocce) che si staglia contro un luminosissimo sfondo montuoso. L’artista vuole trasmettere l’infinita grandezza della natura, al cui cospetto l’uomo non è che un viandante 2) LE FALESIE DI GESSO DI RUGEN (pag 80) → ispirato alle scogliere bianche a picco sul Mar Baltico. La scena appare incorniciata come da una quinta teatrale fra i 2 grandi alberi ai lati, i cui rami frondosi disegnano una sorta di cerchio immaginario, lungo la cui circonferenza sono collocati i 3 personaggi. A destra vi è un uomo in piedi, che osserva pensoso il baratro sottostante. Al centro un altro uomo si sporge timoroso oltre l’orlo del precipizio. A sinistra una giovane donna vestita di rosso è seduta su un cespuglio e indica con la mano la voragine. Le 3 figure umane restano marginali rispetto alla grandiosità della visione. Le candide falesie inquadrano dall’alto la distesa del mare, il quale è solcato da due vele bianche. L’orizzonte rosaceo ci dà il senso dell’infinito CONSTABLE (1776-1837) • John Constable nasce nel 1776 nell’Inghilterra del sud-ovest e muore a Londra nel 1837. La sua infanzia nella campagna inglese lascia un segno indelebile nei soggetti prediletti della sua arte: cieli sconfinati, boschi frondosi, mulini ad acqua. • Constable si interessa soprattutto al paesaggio, che assume per la prima volta la dignità di soggetto artistico autonomo. Vede inoltre la pittura di paesaggio come un ramo delle scienze naturali. Il suo stile predilige lo schizzo immediato, l’osservazione naturalistica e lo studio dal vero. A lui guarderanno Delacroix, Corot, i realisti francesi e gli impressionisti. • Le sue opere: 1) BARCA IN COSTRUZIONE PRESSO FLATFORD (pag 81) → questo olio su tela rappresenta il primo significativo punto di arrivo di circa un decennio di studi e di esercizi dal vero che Constable aveva lOMoAR cPSD|8219228 14 onde minacciose e cupe, sotto un cielo plumbeo, tutti gli uomini sono accalcati nell’unica porzione ancora intatta del relitto. Al di sopra i cavi di canapa che tengono l’albero a cui è appesa una vela di fortuna, disegnano una sorta di piramide. La stessa geometria è determinata dagli uomini collegati tra loro dalle braccia che si toccano e culmina nel personaggio che tiene un panno bianco e rosso. I corpi sono modellati come statue e sono colpiti da una luce che dà loro solidità; sembrano tratti dal Giudizio Universale. Gli sguardi degli uomini in fondo e le loro braccia sollevate in gesto di aiuto sono rivolti verso il puntino che indica la nave della salvezza. In primo piano invece vediamo i cadaveri, simbolo della sofferenza patita. L’orrore per i morti e i moribondi viene superato attraverso la perfezione del modellato. In basso a dx un cadavere è coperto da un drappo che richiama il lenzuolo funebre degli antichi. A sx un giovane quasi nudo abbandonato nella morte è sorretto da un vecchio ammantato di rosso e dal nobile volto pensoso, che ricorda un eroe omerico. In quest’opera non vi sono eroi né insegnamenti morali, ma solo il sopravvento del sentimento e dell’emozione. Quando viene esposto molti sono i critici che ne parlano, ma c’è un critico francese dell’epoca che dice “su quella zattera Géricault ha imbarcato la Francia intera” → è come se G mandasse alla deriva un po’ tutta la Francia con anche quegli ideali che ancora circolavano sul piano artistico (i modelli davidiani). Imbarca tutta una cultura che secondo lui non ha più luogo. 5) ALIENATA CON MONOMANIA DELL’INVIDIA (pag 91) → è del 1822-23. Fa parte di una serie di 10 tele rappresentanti 10 folli di cui ce ne rimangono solo 5. È una serie che realizza per un medico che studia la fisionomica: da piccoli particolari deduceva alcune nostre tendenze. Tutti i ritratti sono di tre quarti e su fondo scuro. La pittura di Gericault con la serie degli alienati si fa introspettiva, indagando gli abissi della sofferenza morale. La vecchia ha occhi arrossati e una fronte rugosa. Il volto è incorniciato dalla cuffia mentre una sciarpa rossa ravviva il marrone del pastrano. La testa è volta a sinistra; lo sguardo è assente e vuoto e sembra rincorrere un pensiero fisso ed estraniante. Presentando la donna vestita e non nuda, come avevano fatto altri artisti che prima di lui avevano trattato il tema della follia, Gericault rivela la propria compassione e l’assoluto rispetto del dolore. L'artista non giudica ma cerca solo di catturare l'espressione che sveli la tipologia della malattia mentale e le sue emozioni distruttive della personalità DELACROIX (1798-1863) • Delacroix nasce nella Francia settentrionale nel 1798 e studia a Parigi presso lo stesso pittore neoclassico che forma Gericault. Presto si allontana dalla poetica neoclassica e si avvicina ai pittori romantici francesi. La sua arte incarna la malinconia, il desiderio di cambiamento, l’avversione per l’accademismo, l’impetuosità creativa, l’esotismo, il riferimento ai fatti di storia medievale piuttosto che a quelli di storia antica, del romanticismo. I suoi grandi modelli sono Michelangelo, Tiziano e Rubens, ma il suo modo di dipingere fa un salto di qualità dopo aver visto le opere di Constable. Dopo un soggiorno in Marocco, il suo modo di dipingere si trasforma: da pittore che usa solo colori terrosi e pigmenti scuri, diventa un pittore colorista. Delacroix apre la strada all’impressionismo. Il suo disegno è immediato, rapido, fortemente espressivo. Muore a Parigi nel 1863 • Le sue opere: 1) ACCADEMIA DI NUDO FEMMINILE (pag 94) → la novità dell’Accademia di nudo femminile si deve all’insegnamento che Delacroix trae dallo studio approfondito dell’uso dei colori nel ciclo realizzato da Rubens per Maria de’Medici per ornare la galleria del Palazzo del Lussemburgo, conservato al Louvre. La modella dalle forme prosperose, la cui figura si stacca nettamente dal fondo scuro, è vista frontalmente, ma con una leggera rotazione delle spalle. Seduta, con le gambe spinte in avanti e i piedi incrociati, ruota la testa abbassata mentre solleva un braccio verso l’osservatore con morbida inflessione. L’incarnato ha perso il rosato dei nudi neoclassici statuari, assumendo una colorazione iridescente. Le gambe, i fianchi e la parte superiore del busto sono modellati attraverso l’accostamento di pennellate verdi, brune e rosse, secondo un andamento circolare. La scelta di accostare colori per ottenere volumi e ombre presuppone la ricerca che sarà fatta dagli Impressionisti riguardante la scomposizione cromatica e la ricomposizione retinica lOMoAR cPSD|8219228 15 2) LA BARCA DI DANTE (pag 65) → esordisce giovanissimo con questa opera al Salon nel 1822. Il soggetto, tragico e pieno di forza, è tratto dall’ottavo canto dell’inferno dantesco, dove si narra il passaggio della palude infernale, dove sono immersi gli iracondi. La barca è pilotata da Flegias, il demone nocchiero, il cui torso, sottolineato da un drappo azzurro, deriva dal Torso del Belvedere. I personaggi (dante, virgilio, flegias e i dannati) sono immersi in un ambiente tenebroso, dal cui fondo emergono fuoco e nuvole di fumo rossastro che si sprigionano dalle mura della città di Dite. Flegias è intento a remare; Dante è impaurito e cerca riparo presso Virgilio; i dannati mordono la barca, lottano per salirci. Ogni corpo è modellato da bagliori di luce; i nudi sono vigorosi e trattati con forte chiaroscuro. Il gruppo dei personaggi sulla barca forma una piramide, mentre le braccia allargate di Dante seguono la diagonale principale della tela. L’insieme delle attitudini dei dannati che assediano la barca dà luogo a forme concave moltiplicando il moto ondoso e suggerendo l’instabilità della barca. Già qui, Delacroix mostra i esiti della sua ricerca coloristica: ogni colore è stato diviso nei suoi componenti puri che sono stati posati direttamente sulla tela. Per questo Delacroix sarà importante per gli impressionisti e per i postimpressionisti. Questo quadro è una sorta di omaggio alla Zattera della Medusa di Gericault (acqua e corpi nudi), benché il tema sia diverso. 3) LA LIBERTA’ CHE GUIDA IL POPOLO (pag 96) → nel 1829, il re di Francia Carlo X di Borbone insedia un governo legato all’ambiente gesuita che scioglie il parlamento, sospende la libertà di stampa, modifica il sistema elettorale a proprio vantaggio e indice nuove elezioni. Nel 1830, il popolo di Parigi insorge contro queste disposizioni obbligando il re a revocarle. Nello stesso anno Delacroix realizza questa opera per esporla al Salon l’anno successivo, per celebrare la lotta per la libertà dei parigini. I riferimenti formali alla zattera di Medusa di Gericault sono evidenti, soprattutto nella composizione piramidale, nella disposizione dei due uomini riversi in primo piano e nel particolare realistico e macabro del calzino sfilato del popolano caduto di sinistra. Alla perfezione anatomica che dà importanza ad ogni singolo personaggio, però, si è sostituita la massa indistinta del popolo senza connotazioni fisiognomiche particolari. Così ciascuno poteva immaginarsi fra i personaggi. Delacroix unisce le varie classi sociali e persone di tutte le età nella lotta comune: vediamo il popolano, il borghese (l’uomo col cilindro che forse è il suo autoritratto), il militare. Sullo sfondo regna il fumo degli incendi e degli spari, che lascia immaginare quello che lì sta accadendo. Capiamo la collocazione geografica dell’evento dalle torri gemello di Notre Dame in fondo sulla destra. La donna al centro è la Libertà ed è vestita all’antica e con un seno nudo. Stringe un tricolore ed un fucile, incitando il popolo a seguirla. Essa corre verso lo spettatore, seguita dagli insorti. Probabilmente la fonte iconografica di questa figura femminile è la Venere di Milo, scoperta nel 1820 ed esposta al Louvre. La donna è la personificazione della Francia, la cosiddetta Marianna. Quest’opera rappresenta il primo tentativo di proporre un nudo femminile in un’opera avente a oggetto un episodio di storia contemporanea. Prima i nudi venivano accettati dalla critica perché filtrati attraverso rappresentazioni mitologiche. Delacroix superò il problema attribuendo alla fanciulla una funzione allegorica. Regnano i colori scuri, resi più vivaci da quelli della bandiera della Francia repubblicana, colori che si ripetono negli abiti della figura femminile. 4) IL RAPIMENTO DI REBECCA (pag 98) → l’opera viene esposta al Salon del 1846 e è quella con il più elevato risultato dal punto di vista dell’accordo cromatico. Illustra un episodio dell’Ivanhoe di Walter Scott del 1818, ambientato nell’Inghilterra del XII sec. Viene mostrato il rapimento di Rebecca, figlia dell’ebreo Isaac di York che aveva aiutato Ivanhoe, da parte di due saraceni al comando del cavaliere templare Brian de Bois-Guilbert. La scena si svolge sullo sfondo dell’incendio del castello di Torquilstone. Dalla torre fuoriescono fuoco e fumo grigio. Dalla collina una serpentina di persone fugge. In primo piano, secondo un andamento diagonale, due saraceni caricano Rebecca svenuta sulla groppa di un cavallo pezzato (che rinvia ad esempi di Gericault). Il gruppo compatto e la postura contorta di Rebecca generano un forte pathos. Al margine inferiore della tela, alcune armi sono state abbandonate componendo quasi una natura morta. La grande novità di questa opera sta nel colore: i tre colori primari del rosso, del blu e del giallo risultano accostati; il massimo della luminosità è raggiunto con l’opposizione dei complementari rosso e verde, colori che insieme all’azzurro determinano la struttura cromatica dell’intero dipinto. lOMoAR cPSD|8219228 16 5) CAPPELLA DEI SANTI ANGELI NELLA CHIESA DI SAINT SULPICE (pag 99) → del 1854- 1861. Il ciclo pittorico comprende due dipinti murali di ispirazione biblica (Eliodoro cacciato dal tempio e Giacobbe che lotta con l’angelo), un soffitto (con una tela che raffigura San Michele che vince il demonio) e quattro vele a monocromo raffiguranti angeli. Giacobbe che lotta con l’angelo raffigura un episodio della Genesi; Giacobbe vince e l’angelo rappresenta Dio stesso che si lascia vincere; presentando la figura di un uomo in lotta con la divinità; ciò è in sintonia con il tema romantico dell’eroe solitario. In una vallata verde stretta fra pareri rocciose, due alberi maestosi dominano la scena. A sx, in primo piano, su un rilievo nei pressi di un corso d’acqua, Giacobbe e l’angelo lottano avvinghiati. Sulla loro dx ci sono gli abiti da viaggiatore e delle armi, mentre all’estrema dx ci sono i servi di Giacobbe e le greggi. Tutto il resto della composizione è paesaggio. Nel dipinto c’è un’armonia compositiva fatta di linee e masse che si accompagna a un nuovo uso della tavolozza. L’armonia è dunque la scelta definitiva a cui approda Delacroix e non la passione romantica; per questo lui si ritenne sempre un classico. JEAN-AUGUSTE-DIMINIQUE INGRES (1780-1867) • Jean-Auguste-Diminique Ingres nasce nel 1780 e dopo i primi studi a Tolosa si trasferisce a Parigi per formarsi presso David. Diventa direttore dell’accademia di Francia e compie un viaggio a Roma tra il 1834 ed il 1841. La sua arte deve confrontarsi con la spinta innovativa di Delacroix, in una Francia in cui l’inventiva neoclassica va spegnendosi per lasciare il posto ad espressioni romantiche ed al realismo di Courbet. Ingres muore nel 1867. • Come David, produce numerose accademie di nudo, come l’accademia di nudo maschile (pag 51) del 1800, che è un tipico esercizio di studio anatomico dal vero; la forma serpentinata della figura è ripresa dalle statue di Prassitele. • Ingres è anche un eccezionale disegnatore. La sua passione per il disegno deriva dall’amore per Raffaello, Masaccio e Giotto. • Delacroix e Ingres → sono due protagonisti che vediamo insieme perché hanno avuto una vita parallela. Ingres era il pittore più complesso tra i pittori post davidiani. Come principio guida ha il segno, mentre Delacroix ha il colore, segue Bateaux, Rubens e Tiziano. Vivono nello stesso luogo e operano negli stessi anni, ma sono totalmente due dimensioni diverse. Entrambi guardavano con molto interesse all’Africa settentrionale in due modi però molto diversi: Delacroix era orientato più verso il Marocco, Ingres più orientato verso la Turchia. I due personaggi si autorappresentano in due modi diversi: uno alla Géricault, l’altro alla David (si presenta quasi come allievo di David. Ha in mano una biacca sta tracciando qualcosa sulla tela. È un artista che aderisce al principio della linea). • Le sue opere: 1) NAPOLEONE I SUL TRONO IMPERIALE (pag 51) → l'artista rappresenta Napoleone seduto sul trono. Egli diventa una vera e propria icona nella sua perfetta frontalità, sommerso dalle vesti dai simboli della regalità. Il suo corpo è del tutto scomparso, quasi privo di profondità spaziale. Gli ori, il rosso, il bianco e l'azzurro sono i colori dominanti del dipinto. Dalle vesti emergono un piede entro una preziosissima scarpetta, braccia fasciate e mani guantate e infine il volto tondeggiante che pare scolpito nel l'avorio. I simboli del potere sono ben in evidenza: lo scettro del re di Francia Carlo V tenuto con la destra, la mano della giustizia tenuta con la sinistra, la spada gemmata detta di Carlo Magno, il collare appositamente eseguito per Napoleone, il manto rivestito di ermellino e la corona d'oro a foglie di alloro. La figura è una summa dell'iconografia sacra, profana in mitologica 2) GIOVE E TETI (pag 52) → l’opera è del 1811 ed è ispirata ad un passo dell’iliade: Teti, madre di Achille, implora Giove di rendere i troiani vincitori delle battaglie che li oppongono ai greci perché il figlio, allontanatosi dalle mischie per una contesa con Agamennone, possa essere da questi pregato di tornare sui propri passi e riavere Briseide. Giove è seduto su un trono sul cui basamento è scolpita una gigantomachia; al suo fianco c’è l’aquila, rapace che gli è sacro. Le nuvole bianco-grigie circondano completamente l’insieme delle figure. Dal cielo nuvoloso a sinistra si vede la gelosa Giunone. Giove, ammantato di un drappo rosato, ha un possente busto nudo, col braccio impugna uno scettro ed il volto impassibile e fisso in avanti, è incorniciato da una fluente barba e capelli scuri. Teti è in ginocchio lOMoAR cPSD|8219228 19 alla base della statua di San Ambrogio, alla cui protezione l’educatore dei 3 giovani sta affidando i congiurati.A sinistra, in fondo, entra nella chiesa romanico-gotica il duca. La composizione è ricca di pathos, nonostante le pose teatrali dei protagonisti. Evidentemente, i congiurati vengono assimilati ai cospiratori carbonari ottocenteschi animati dallo stesso spirito di libertà. 3) MALINCONIA (pag 103) → è del 1842 e rappresenta una fanciulla in preda alla malinconia, stato d’animo molto trattato dalla poesia contemporanea. La ragazza dai grandi occhi scuri è in piedi contro una parete in pietra. Il suo volto è appena inclinato a destra, mentre il busto è leggermente ruotato dalla parte opposta; i capelli sciolti le ricadono sulle spalle. Il petto candido è attraversato da un cordoncino a cui è appeso un crocifisso. La stoffa celeste ricade sul braccio sinistro scoprendo la spalla. La tristezza è accentuata dagli occhi che fissano il vuoto, dal naso affilato e della bocca piccola con le labbra serrate. L’aspetto trasandato e quasi discinto sta a sottolineare, nell’imperfezione dello stato esteriore, una caduta dell’equilibrio emotivo, spostatosi verso la tristezza sognante e la depressione. Per rafforzare la sensazione di perdita, Hayez colloca sulla sinistra un vaso di fiori in parte appassiti. Dei petali e una foglia caduti suggeriscono la scomparsa della gioia 4) IL BACIO (pag 104) → nel 1859, mentre la seconda guerra di indipendenza apre le porte all’unità di Italia, Hayez dipinge il bacio. Il bacio dolce e furtivo che si stanno scambiando i due giovani venne interpretato come l’addio del cospiratore all’amata. Tale interpretazione era suggerita dal volto coperto del giovane, dal suo piede sinistro sullo scalino, come se avesse fretta di fuggire, dal pugnale e dalle spalle di una fantesca che scende le scale, all’estrema sx che dà l’idea di un’ombra furtiva. Le figure dei 2 si stagliano contro una parete di pietre. La superficie uniforme dello sfondo è interrotta dal varco e da una bifora. La fanciulla è completamente abbandonata nell’abbraccio. La sua figura è impreziosita dai riflessi cangianti e lucenti della veste di seta. Il tema del bacio era già stato trattato da Hayez nell’ULTIMO ADDIO DI ROMEO E GIULIETTA del 1823 (pag 105) . Il dipinto ritrae Romeo che co il piede già appoggiato allo scalino e la mano aggrappata alla colonnina della bifora, ruota la testa e il busto verso Giulietta che lo bacia dolcemente abbracciandolo. La scena prelude al dramma che poco dopo travolge i due amanti 5) RITRATTO DI ALESSANDRO MANZONI (pag 106) → nei ritratti, Hayez riesce a dimostrare tutte le sue qualità di sottile interprete della personalità del soggetto. Questo ritratto di Manzoni risale al 1841. Il protagonista è ripreso con atteggiamento familiare, secondo la richiesta della moglie, rappresentandolo nell’aspetto quotidiano e non del letterato; infatti, il romanziere tiene nella mano sinistra la tabacchiera e non un libro. Siede rivolto verso sinistra con le gambe accavallate e con fare pensoso e quasi assente. È collocato in una dimensione senza tempo, grazie al fondo monocromo che dalla periferia del dipinto passa gradualmente a toni più chiari , circondando il personaggio con una sorta di aura. COROT E LA SCUOLA DI BARBIZON COROT (1796-1875) • Corot è il primo grande paesaggista francese del XIX secolo. Nasce a Parigi nel 1796. Dopo il primo viaggio in Italia, matura e mette a punto le sue straordinarie doti di paesaggista. Rientrato a Parigi entra in contatto con la scuola di Barbizon, influenzandone gli sviluppi. Muore a Parigi nel 1875. • Le sue opere: 1) LA CITTA’ DI VOLTERRA (pag 109) → il dipinto viene realizzato nel 1834, in occasione del secondo viaggio in Italia. La sua pittura è impostata dal vero e tecnicamente basata su campiture larghe e veloci, con maggiore attenzione all’effetto di insieme piuttosto che all’insistenza sui singoli dettagli. La veduta rappresenta la città vista da nord, con le torri e i campanili che si stagliano contro un cielo azzurro. La scena è immersa nella morbida luce del pomeriggio. Il cielo occupa il terzo superiore del dipinto, mentre le mura e i viottoli che si inerpicano diagonalmente sulla collina inducono lo sguardo a percorrere il tracciato. L’uso di una tavolozza molto semplice restituisce una visione luminosa e profonda, costruita per masse di colore compatte e armoniose. lOMoAR cPSD|8219228 20 LA SCUOLA DI BARBIZON • La scuola di Barbizon è un variegato gruppo di artisti che si riuniscono nel villaggio di Barbizon, vicino la foresta di Fontainebleau. • Alla base delle sue esperienze troviamo il rapporto tra luce e natura, lo studio dal vero e la predilezione per temi paesaggistici. • L’animatore del gruppo è soprattutto Théodore Rousseau. • Lo stesso Corot si avvicina al movimento, condividendone le tematiche ma rimanendone fuori. ROUSSEAU (1812-1867) • Rousseau riprende da Constable l’uso di una pennellata libera e morbida, rifiutando il chiaroscuro di tradizione accademica. È un uomo deluso dagli esiti dei moti insurrezionali del 1830 e quindi si rifugia nella visione di una natura nostalgica. • Le sue opere: 1) SENTIERO FRA LE ROCCE (pag 110) → 1861. rappresenta un sentiero che si snoda attraverso il terreno roccioso all’ingresso di una boscaglia. Il cielo allude a una chiara mattina d’estate. Fra la vegetazione rigogliosa si vede un uomo che conduce al pascolo una mucca. L’effetto del forte contrasto tra la vegetazione in primo piano più in ombra e la luminosità delle fronde degli alberi all’orizzonte è reso mediante pennellate rapide e puntiformi DAUBIGNY (1817-1878) • Daubigny in realtà non ha mai fatto parte direttamente di questa scuola. Dopo un soggiorno in Italia si orienta verso ambientazioni limpide e luminose, con vasti e sereni orizzonti soprattutto lacustri e fluviali. Fa da tramite tra l’esperienza della scuola di Barbizon e la generazione dell’impressionismo francese. • Le sue opere 1) MIETITURA (pag 110) → esposta al Salon del 1852. Rappresenta una scena campestre con personaggi intenti alla mietitura. La contadina al centro, con il cappello rosso, di spalle, si incammina per uno stretto viottolo tra le spighe. All’orizzonte altri contadini appaiono affaccendati. Il senso della prospettiva è restituito grazie al succedersi dei vari piani del paesaggio . il cielo pomeridiano è solcato da nuvole rosacee, il che accresce la percezione di freschezza e luminosità COURBET (1819-1877) E LA RIVOLUZIONE DEL REALISMO • Nel 1848 in tutta Europa si susseguono grandi sommosse popolari. I moti di Parigi ne sono un esempio drammatico ed in questo contesto anche l’arte attraversa un periodo di crisi di identità. I movimenti realisti nascono proprio per rispondere in modo artistico ad una nuova prepotente richiesta di vero e di quotidiano; l’artista non può più nascondersi nel mondo incantato della mitologia e dello storicismo romantici. Si cerca ora di documentare la realtà nel modo più distaccato possibile, quasi analitico. • In Francia, il realismo si sviluppa come metodo scientifico per indagare la realtà. Il capostipite del realismo pittorico francese è Courbet, nato ad Ornans nel 1819. Inizia la sua attività nel solco della tradizione romantica. Presto però arriva a rifiutare ogni influenza e compromissione con tutte le forme artistiche ufficiali. Nel 1871, Courbet partecipa attivamente all’insurrezione di Parigi e per questo viene successivamente mandato in esilio. Muore a Vevey nel 1877. • Le sue opere: 1) GLI SPACCAPIETRE (pag 111) → nella scelta dei temi l’artista si concentra sui piccoli fatti quotidiani, registrati con l’impersonale distacco di un osservatore attento ed oggettivo. Lui vuole esaltare l’eroismo della realtà. Questa opera è del 1849. Erano 2 opere, ma una è stata distrutta durante i bombardamenti a Dresda. Rappresentano un manovale intento a frantumare sassi, e in quello perduto di Dresda è aiutato da un garzone che trasporta una cesta colma di pietre. Il soggetto è molto diverso da quelli della pittura accademica. Courbet indaga impietosamente la realtà: vediamo le toppe sulla camicia e sui calzoni dell’uomo in ginocchio, il panciotto strappato e i calzini bucati sul tallone, la camicia ed i pantaloni strappati del garzone. A destra sotto un cespuglio vi sono una pentola, un cucchiaio e un filone di pane, lOMoAR cPSD|8219228 21 accenno a quello che sarà il loro misero pasto. Anche l’arida natura circostante è rappresentata in modo scarno ed essenziale, come se riflettesse la miseria dei personaggi. 2) UN FUNERALE A ORNANS (pag 112) → dipinto fra il 1849 e il 1850 e presentato - con clamoroso scandalo - al Salon del 1850-1851. La tela, di dimensioni provocatoriamente colossali, del tipo di quelle riservate ai grandi dipinti accademici e soprattutto ai soggetti storici o eroici, rappresenta, invece, un semplice e umile funerale, a Ornans. La scala della rappresentazione e il tema trattato, dunque, sono in conflitto. Al centro del dipinto si apre la fossa, malamente scavata, con ai bordi un macabro teschio umano, simbolo della caducità delle cose terrene. Tutto intorno si raccoglie il mesto corteo dei dolenti, uomini e donne del paese - dal curato con i chierichetti ai rappresentanti del comune, ai quali l'artista ha dato le reali fattezze di molti suoi parenti e amici, fino al cane in primo piano - rappresentati ciascuno nei più ricorrenti atteggiamenti quotidiani. I volti ordinari (che la critica del tempo non ha esitato a definire «rozzi» e «grotteschi»), così come l'assoluto anonimato del defunto, del quale appena si intravede la bara, sulla sinistra, coperta solo in parte da un drappo bianco e portata da quattro necrofori, rimandano a uno spaccato di semplice e ordinaria vita di provincia. Il ritratto collettivo, in cui quasi tutti i personaggi vestono di un nero che li accomuna e li rende uguali, diventava dunque un inneggiare all' egualitarismo, qui applicato anche alla sepoltura: un rito che tutti attende e accomuna. La grande storia si tramuta qui in evento senza storia, che vive della sola forza della quotidianità, diventando il punto di partenza della trasgressione realista rispetto alla tradizionale pittura storica. Organizzando la scena in orizzontale, come in un antico fregio, Courbet intende volutamente monumentalizzarla, ma al tempo stesso ne interrompe bruscamente lo svolgimento, a destra e a sinistra, come in una ripresa fotografica che coglie una parte non intera del tutto. Anche nel tratteggiare il paesaggio Courbet adotta colori terrosi. 3) L’ATELIER DEL PITTORE (pag 114) → in questa opera del 1855, Courbet espone tutti i suoi ideali artistici ed umani. Le grandi dimensioni della tela alludono provocatoriamente al gigantismo di molti dipinti accademici. Al centro della composizione, rappresenta se stesso intento a dipingere un paesaggio con un cielo estremamente realistico ed anticonvenzionale. Attorno a lui si affollano una trentina di personaggi; a sinistra colloca coloro che vivono senza avere la piena consapevolezza della propria condizione umana: un bracconiere con i suoi cani, una caricatura di Napoleone III, una prostituta, una popolana che allatta, un rabbino, un prete, un mercante e nei loro volti si legge il pesante fardello della vita e dei suoi dolori; a destra ci sono coloro che condividono gli ideali e i sogni. Tra questi Baudelarire (la poesia), Proudhon (la filosofia), Promayet (la musica ) e Champfleury (la letteratura) e il libero amore simboleggiato da una copia che si abbraccia. Questi hanno i volti di amici di Courbet. La Verità, unica musa dell’artista, gli sta a fianco; è nuda, semplice ed innocente. Quasi di fronte un bambino con i vestiti laceri, guarda incuriosito (il realismo). 4) FANCIULLE SULLA RIVA DELLA SENNA (pag 115) → risale al 1857. Vediamo due ragazze che si riposano su un prato in riva al fiume. Qui Courbet non rappresenta personaggi storici o mitologici e quindi la scena appare ambientata non in una dimensione fantastica e lontana, ma lungo le riconoscibili rive della Senna. Dunque si tratta di una scena di genere, ma realizzata in un formato solitamente destinato ai grandi temi. Le due ragazze sdraiate sono vestite con gli abiti dell’epoca; hanno posizioni goffe e sgraziate: una in primo piano assopita e l’altra immersa nei propri pensieri. Comunque, il realismo della scena ed in generale il realismo di Courbet non devono farci pensare che l’artista costruisse i suoi dipinti in modo casuale; anzi, ha una grande attenzione per i problemi compositivi, tanto che prima di realizzare l’opera produce un gran numero di bozzetti e schizzi preparatori. L’opera fu esposta al Salon del 1857 e venne criticata IL FENOMENO DEI MACCHIAIOLI • In Italia sussistono ancora le tre aree di influenza stabilite dal congresso di Vienna nel 1815: al nord, il regno lombardo-veneto è sotto il controllo austriaco, così come il granducato di Toscana; al centro, vige il potere temporale dei papi; al sud, il regno delle due Sicilie è in mano ai Borboni. In questo contesto, solo il granducato di Toscana ha una propria autonomia politica e culturale. lOMoAR cPSD|8219228 24 cantano e suonano. Le tre figure sono viste in controluce presso una grande finestra ed esaminate con chiarezza nelle espressioni. La chiarissima luce estiva che proviene dall’esterno allude alla quieta dolcezza della campagna della quale si vedono i profili. All’interno la stessa luce indugia su vari particolari: la tastiera del pianoforte, le mani della pianista, la camicetta bianca e la tenda fiorata. L’indagine pittorica di Lega è acuta ed intima. 2) IL PERGOLATO (pag 124) → l’opera è del 1868 e ritrae un gruppo di donne sotto l’ombra di un fitto pergolato che si intrattengono con una bambina in attesa che la cameriera porti il caffè. Il ritmo lento e pacato della scena ed i toni dorati della luce trasmettono all’osservatore la placida sensazione della calda ora di un tardo pomeriggio d’estate nella campagna fiorentina. La composizione è equilibrata e limpida, fattori che derivano dalla formazione accademica giovanile. La fresca ispirazione, il soggetto domestico, gli effetti luministici e la resa dei colori sono invece tipici della nuova sensibilità macchiaiola. 3) LA VISITA (pag 124) → 1868. Altra magistrale testimonianza di quotidianità piccolo borghese, ambientata anch'essa davanti alle amichevoli mura di casa Batelli (come i 2 quadri precedenti). Insieme ai due dipinti precedenti questo forma una sorta di ideale trittico della poetica leghiana. La scena si svolge all'aperto, sull'aia ammattonata antistante la casa padronale. Virgilia Batelli (in nero e in lungo, sulla sinistra) sta accogliendo o congedando le due sorelle Cecchini in visita, mentre una terza figura (forse la madre delle due giovani) sembra attendere, arretrata di qualche passo. La linea d'orizzonte individua un piano d'osservazione ad altezza d'uomo, come di chi stesse guardando la scena facendone parte. Gli alberi spogli, il cielo nebbioso in lontananza e le mantelline sulle spalle delle donne (nere per le sorelle e rosa antico per la madre) alludono a una fredda ambientazione autunnale, in modo che il portone verde d'ingresso, aperto a metà, induca per contrasto a immaginare il tepore familiare dell'interno. La nitidezza del tratto, come in una pittura antica, così come l'impiego di colori caldi ma dai toni spenti, distribuiti a piccole macchie giustapposte, restituiscono il senso di un' ambientazione «vera», ma al tempo stesso velata di tenera malinconia. TELEMACO SIGNORINI (1835-1901) • Figlio d'arte (il padre Giovanni era un mediocre ma stimato pittore presso la corte granducale), Telemaco Signorini nasce nel 1835 a Firenze, dove muore nel 1901. Fu proprio il padre che lo indusse inizialmente a frequentare l'Accademia di Belle Arti, dalla quale si allontanò approdando a una ricerca pittorica svincolata dalle rigidezze convenzionali e ispirata principalmente alla copia dal vero e alla sperimentazione di nuovi effetti luministici. Entrò in contatto con Corot e la scuola di Barbizon. In conseguenza di questi rapporti Signorini andò sempre più maturando quello stile arioso e attento alla restituzione del dato naturale che, subito dopo, lo porterà ad aderire - insieme a Silvestro Lega - anche al gruppo fiorentino di Piagentina. Padrone di una tavolozza di straordinaria preziosità cromatica, si cimentò anche su importanti temi di attualità e di denuncia sociale. I suoi livelli espressivi più alti, comunque, restano legati alla pittura d'ambiente e al ritratto dal vero, alla costante ricerca di quello che lui stesso definiva «un realismo migliore». • Le sue opere 1) LA PIAZZA DI SETTIGNANO (pag 125) → La tela, realizzata verosimilmente nel 1881, rappresenta la piazza principale del suo paese natale - Settignano -, un piccolo borgo rurale adagiato fra le colline, che molti Macchiaioli amavano frequentare anche per l'incantevole vista su Firenze. La scena, inquadrata secondo un taglio marcatamente orizzontale, propone l'ampia visione della piazza semideserta che, scandita da un susseguirsi di zone in ombra e in luce, riempie da sola quasi la metà del dipinto. I semplici e chiari volumi delle case sullo sfondo si pongono come una quinta teatrale contro l'azzurro limpido d'un cielo estivo. Le grandi insegne dipinte o appese rimandano alla dimensione quotidiana e familiare della vita di paese, con i bottegai sulla porta dei rispettivi negozi, i cavalli in attesa o ad abbeverarsi alla fontana, un raro passante che attraversa lo sterrato della piazza battuto dal sole. lOMoAR cPSD|8219228 25 2) LA TOILETTE DEL MATTINO (pag 126) → Opera della piena maturità, tocca il tema della prostituzione. Proprio per questo assume un rilievo assolutamente particolare nella produzione di Signorini, anche per l'enfasi delle dimensioni, completamente estranea alle consuetudini macchiaiole di tele e tavolette abitualmente assai più piccole. La scena raffigura un vasto ma basso stanzone inondato da destra dalla prima luce di un chiaro mattino. Tre distinti gruppi di figure si dispongono idealmente lungo la diagonale destra della tela: al centro, presso un tavolino da toilette, una giovane donna seduta si acconcia i capelli davanti allo specchio, sotto lo sguardo di un'amica, in piedi alla sua destra, con un sigaro in bocca, dietro la quale si intravede la figura di un mattiniero cliente; a destra, in primo piano, seduta di spalle su un divano scarlatto, una terza ragazza si volge in atto di parlare con una donna più anziana che le sta allacciando il bustino; a sinistra sullo sfondo, infine, un secondo cliente sta stravaccato su un altro divano, mentre un'anziana si china verso di lui, forse per porgergli qualcosa, e una quarta ragazza siede al lato opposto. Il taglio compositivo è di tipo fotografico. L'assoluta naturalezza delle posture, la semplicità dell'arredo, la nota domestica del gatto di casa, alludono a una dimensione del piacere semplice e senza pretese, lontana dagli sfarzi raffinati dei locali parigini. Nessuno dei personaggi del dipinto guarda verso l'osservatore, così che Signorini sembra porsi volutamente come narratore esterno: distante e partecipe al tempo stesso, ma mai giudicante. La stesura del colore, sempre priva di disegno preparatorio, appare veloce e asciutta, con campiture a macchie di varie scalature tonali che suggeriscono con grande efficacia l'effetto del chiaroscuro. lOMoAR cPSD|8219228 26 LA STAGIONE DELL’IMPRESSIONISMO L’IMPRESSIONISMO • Dopo la sconfitta di Sedan e l’uscita di scena di Napoleone, la Francia proclama la terza repubblica, senza però attraversare un vero ricambio della classe dirigente al potere; questo favorisce l’ascesa di una borghesia moderata e conservatrice, la quale instaura una politica di rigida difesa dei propri interessi economici. LA VILLE LUMIERE • Nell’ultimo trentennio dell’800, Parigi consolida il proprio aspetto borghese e festoso, arricchendosi di teatri, musei, ristoranti, sale da ballo, casinò e caffè. La città di notte veniva rischiarata da un impianto di lampioni a gas tecnologicamente all'avanguardia che hanno contribuito la fama di Parigi come ville Lumière, la città della luce • È a Parigi, durante la Belle époque, che maturano i presupposti per la più grande novità artistica del secolo: l’impressionismo. Gli impressionisti sono figli di quella stessa borghesia mercantile e imprenditoriale chi aveva contribuito allo sviluppo economico della Parigi di fine secolo. Ma, a fronte di una straordinaria sensibilità verso il progresso tecnico scientifico, questa classe di cultura generalmente modesta e conservatrice, era ancora legata alla produzione artistica di tipo accademico. Ed è proprio contro tale accademismo che gli impressionisti si scaglieranno con maggiore impeto. I CAFFÈ ARTISTICI • L’impressionismo è un movimento artistico nuovo e particolare rispetto a quelli precedenti. Infatti, nasce senza una base culturale omogenea, perché i vari aderenti provengono da esperienze artistiche e da realtà sociali differenti. Inoltre, non è un movimento organizzato né preordinato e, come i macchiaioli, si costituisce per aggregazione spontanea, senza manifesti o teorie. Gli artisti che hanno una forte insofferenza per la pittura ufficiale iniziano a riunirsi nel Café Guerbois, che all’inizio è un ritrovo casuale e saltuario e diventa poi un appuntamento rigorosamente settimanale se non giornaliero. IL COLORE LOCALE • La principale diversità dell’impressionismo da ogni altro movimento precedente sta comunque nel modo che gli artisti impressionisti hanno di porsi in rapporto con la realtà esterna. Essi aboliscono quasi totalmente la prospettiva geometrica. • Ciò che più conta in ogni rappresentazione è l’impressione che un determinato stimolo esterno suscita nell’artista, il quale opera una sintesi tesa a eliminare il superfluo per arrivare a cogliere la sostanza delle cose e delle situazioni, nel continuo tentativo di ricercare l’impressione pura. • Sul piano tecnico, questo fine viene perseguito tramite vari espedienti: si aboliscono quasi del tutto il disegno e le linee di contorno degli oggetti; non si usano forti contrasti chiaroscurali e il colore locale (dei singoli oggetti) è reso mediante accostamenti di colori puri. LA LUCE • Un altro tema centrale per gli impressionisti è quello della luce, la quale determina in noi la percezione dei vari colori. • La pittura impressionista vuole darci conto dell’estrema variabilità dei colori con la maggior immediatezza possibile, cercando di cogliere l’attimo fuggente, cioè le sensazioni di un istante; quindi, le pennellate non sono fluide e studiate, ma date per veloci tocchi virgolati, per picchiettature, per trattini e per macchiette, con l’uso di pochi colori puri e con la rigorosa esclusione del nero e del bianco, che sono non-colori. lOMoAR cPSD|8219228 29 3) IL BAR DELLE FOLIES BERGERE (pag 152) → questo dipinto del 1881-82 è l’ultimo al quale Manet lavora. La tela fu accettata al Salon del 1882. Qui vediamo portati al massimo grado di raffinatezza tutti gli elementi tipici della sua pittura: l’amore realistico per il quotidiano (il soggetto è una cameriera), il gusto per la natura morta (bottiglie, bicchiere con le rose), l’uso di colori piatti e senza chiaroscuro, la suggestione delle luci riflesse nel grande specchio. È attraverso lo specchio che manet riesce a mostrare anche l’affollato salone delle Folies Bergere. I tocchi di colore sono rapidi; visti da vicino sembrano essere accostati senza senso, ma visti da lontano ci restituiscono la descrizione della sala e dei personaggi. L’atmosfera è chiassosa: inondata dalla luce dei globi di vetro bianchi e dai lampadari di cristallo, percorsa da nuvolette di fumo e rallegrata dagli esercizi di un’acrobata al trapezio (vediamo i piedi). L’immediatezza della visione, la chiarezza della luce, la semplicità disincantata del soggetto, il vivace realismo del bancone costituiscono altri elementi caratterizzanti dell’arte di Manet. CLAUDE MONET (1840-1926) • Monet nasce a Parigi nel 1840 e muore a Giverny nel 1926. Trascorre la sua infanzia a Le Havre e fin da giovane si dimostra molto dotato per la pittura; grazie ad una zia può trasferirsi a Parigi per frequentare una scuola d’arte. In realtà, arrivato in città non si iscrive mai a regolari corsi accademici e le sue prime frequentazioni sono quelle degli ambienti artistici vicini a Manet. Dal 1862 frequenta assiduamente il Café Guerbois, dove conosce anche Picasso e Degas. All’insegnamento accademico continua a preferire la pittura en plein air e le stimolanti sperimentazioni sulla luce e sulla percezione dei colori; da questo punto di vista, l’incontro con gli artisti del Café arricchisce molto il bagaglio culturale di Monet. Quelli successivi sono gli anni di lavoro più intensi per l’artista. • Le sue opere: 1) IMPRESSIONE, SOLE NASCENTE (pag 154) → questo dipinto del 1872 è quello che dà il nome a tutto il movimento impressionista. Nel 1874, la tela viene esposta nello studio di Nadar. Non ci sono tracce di disegno preparatorio e quindi il colore è steso direttamente sulla tela con pennellate brevi e veloci. A fatica si riesce a cogliere la presenza di alcune navi ormeggiate sulla sinistra, i cui alberi si riflettono in mare. Adestra si intravedono poi le gru e le altre strutture del porto, mentre due barche a remi che solcano le acque appaiono come poco più che ombre. Ogni oggettività naturalistica del soggetto è superata e stravolta da Monet, che vuole trasmettere attraverso il dipinto le sensazioni da lui provate osservando l’alba dal porto di Le Havre. In pratica, l’artista non vuole più descrivere la realtà, ma vuole cogliere l’impressione di un attimo, diversa ed autonoma da quella dell’attimo precedente o successivo. L’uso giustapposto di colori caldi e freddi rende in modo suggestivo il senso della nebbia del mattino, attraverso la quale si fa strada il sole. 2) PAPAVERI (pag 155) → a fianco dell'opera precedente Monet espone questa tela realizzata nel 1873, destinata a diventare un simbolo della pittura impressionista. L'opera è stata realizzata en plein air, ma Ciononostante non manca una solida strutturazione compositiva che si articola lungo una delle diagonali, separando percettivamente la rossa distesa dei papaveri in basso a sinistra dalla fresca luminosità del cielo estivo in alto a sinistra, a loro volta separati da una verde macchia di pioppi che si profila lungo la linea del lontano orizzonte. Quattro figure percorrono trasversalmente il campo: si tratta di due donne ciascuna in compagnia di un bambino, tratteggiate con pochi tocchi sgargianti di colore puro. Anche i papaveri sono stati realizzati in punta di pennello e suggeriscono un'impressione visiva più che una descrizione naturalistica 3) LA STAZIONE SAINT-LAZARE (pag 155) → pur prediligendo la natura del paesaggio, nel 1877 si cimenta come interprete della modernità urbana con una serie di 7 piccoli dipinti realizzati dal vero presso la stazione ferroviaria di Saint-Lazare. In uno realizzato proprio all'interno della campata in ferro e vetro, simbolo dell'industrializzazione e progresso tecnologico, Monet coglie l'attimo in cui una vaporiera avanza sbuffando riempiendo l'aria di fumo e vapori che avvolgono passeggeri e convogli in un'atmosfera quasi irreale. Anche in tutti gli altri dipinti della serie cerca di restituirla sensazione, lOMoAR cPSD|8219228 30 piacevole e frastornante al tempo stesso, di essere costantemente immersi nel caotico andirivieni della stazione 4) LE SERIE → negli anni 90 si dedica a diverse sedie nelle quali ritrae un medesimo soggetto in decine di tele successive. Il punto di ripresa è quasi sempre lo stesso e quel che cambia sono invece le condizioni stagionali, atmosferiche e di luce, a dimostrazione di come uno stesso soggetto possa essere sufficiente a destare infinite e diverse sensazioni. o I PAGLIAI e I PIOPPI (pag 156) → Monet realizza la sua prima serie di 25 pagliai alla quale si sovrappone quella di 24 pioppi, tutte realizzate en plein air nei pressi dell'amato borgo di Giverny. o LA CATTEDRALE DI ROUEN (pag 156) → Significativa e celebre è la serie di circa trenta tele dedicate alla facciata della Cattedrale di Rouen (1892-94) ritratta in diverse condizioni climatiche e a diverse ore del giorno. Vediamo ad esempio la tela Cattedrale di Rouen. Portale e torre Saint-Romain, pieno sole: Monet è indifferente alla grandiosa struttura architettonica della costruzione, mentre si concentra sul gioco di luci e ombre che la forte illuminazione solare produce sulla bianca superficie della facciata. 5) LO STAGNO DELLE NINFEE (pag 157) → l’acqua è uno degli elementi che più affascinano Monet, che ne studia la mobilità ed il colore. Dal 1899 fino alla morte, l’artista si dedica a centinaia di dipinti rappresentanti le ninfee. In questa opere del 1899, Monet rappresenta il ponte di legno in stile giapponese che si era fatto costruire nel suo giardino di Giverny. Osservando la tela abbiamo una sensazione di placida frescura, data dalla fredda luce verdastra schermata dalle chiome dei salici piangenti alla quale si somma quella originata dall’acqua dello stagno, punteggiata dall’affiorare di ninfee in fiore. L’atmosfera è fiabesca. EDGAR DEGAS (1834-1917) • Degas nasce nel 1834 da una agiata famiglia che gli permette subito di seguire la carriera da artista. La sua prima formazione avviene in ambiente accademico ed il suo principale punto di riferimento è Ingres, del quale ammira la purezza del disegno. Poco dopo abbandona l’accademia per fare diversi viaggi in Italia, dove studia i classici. Tornato a Parigi, osserva le opere di Delacroix. Degas ha una personalità artistica complessa: nonostante l’impegno impressionista, rimane sempre un sostenitore del disegno e della pittura in atelier; la sua natura non è quella derivante direttamente dalla percezione visiva come in Monet, ma è il frutto di studi, riflessioni e accomodamenti successivi. Nel 1861 conosce Manet, con il quale condivide la passione per le stampe giapponesi, e grazie a lui viene introdotto nel Café Guerbois. Dalla metà degli anni 60, la sua pittura diventa sempre più realistica. Tra il 1880 ed il 1893, Degas raggiunge il massimo successo della sua carriera. Muore nel 1917, quando ormai la stagione dell’impressionismo è quasi conclusa. • L’attività di Degas come disegnatore è proficua e vastissima, in opposizione all’ideale impressionista. • Le sue opere: 1) LA LEZIONE DI DANZA (pag 160) → questo dipinto del 1873-75 (quindi a cavallo della prima esposizione impressionista nello studio di Nadar) è il primo appartenente alla serie delle ballerine. Degas rappresenta il momento in cui una ballerina sta provando dei passi di danza sotto lo sguardo del maestro, mentre le altre ragazze in semicircolo aspettano il loro turno. Il taglio del dipinto è di tipo fotografico e vediamo alcune figure fuoriuscire dall’inquadratura; questo suggerirebbe una pittura di getto, atta a cogliere l’impressione di un momento. In realtà, il grande equilibrio compositivo e i tempi di realizzazione dell’opera testimoniano come essa sia frutto di un meditato lavoro in atelier. I gesti delle ballerine sono indagati con attenzione quasi ossessiva: quella con il fiocco giallo si sta grattando la schiena; quella col fiocco rosso sta sventolandosi un ventaglio; poii vi è quella che si accomoda l’orecchino, quella che si sistema l’acconciatura, quella che osserva, quella che ride, quella che parla con la compagna proprio come in ogni aula dove a fine lezione l’atmosfera è più rilassata. La fonte principale di luce è fornita da un finestrone a destra fuori dalla scena che però riflettendosi nello specchio genera maggior luminosità. In opposizione alle teorie impressioniste, Degas non rifiuta né il disegno prospettico né la sottolineatura dei particolari; anche l’abolizione del bianco e del nero non viene rispettata lOMoAR cPSD|8219228 31 2) L’ASSENZIO (pag 161) → Degas non ama i paesaggi e rappresenta sempre caratteristici interni parigini. Un esempio è questa opera del 1875-76, ambientata nel Café Nouvelle-Athènes di Place Pigalle, che insieme al Café Guerbois è uno dei luoghi di ritrovo prediletti dagli impressionisti. Anche qui vediamo un’ inquadratura fotografica; è squilibrata verso destra per dare l’idea di una visione improvvisa e casuale. Invece, la scena è costruita in modo rigoroso. Il punto di vista è decentrato ed è quello di un ipotetico osservatore. I due personaggi sono una prostituta di periferia e un barbone. Davanti alla donna c’è un bicchiere di assenzio, mentre dinanzi al barbone c’è un calice di vino. Entrambi i personaggi hanno sguardi persi nel vuoto e, pur essendo seduti vicini, sembrano lontanissimi. L’atmosfera del locale è pesante come lo stato d’animo dei protagonisti. o Confronto con MANET → Manet si cimenta con temi analoghi nella PRUGNA (pag 161), che sembra rispondere all’Assenzio di Degas. Anche qui la prostituta ritratta in attesa forse di un cliente assume un’aria svagata e malinconica 3) QUATTRO BALLERINE IN BLU (pag 163) → questa opera del 1898 è uno degli innumerevoli pastelli che Degas realizza nell’ultima fase della sua carriera. La logica è la stessa con cui Monet produceva diverse repliche dei Pagliai. I soggetti più ricorrenti sono le ballerine e scene di toilette femminile. Questa opera in particolare ha un taglio prospettico anticonvenzionale, perché il punto di vista è molto alto. I profili dolci ma scuri delle danzatrici sono composti lungo le due diagonali geometriche del foglio, con un rigore tutt’altro che casuale. La plasticità dei corpi femminili è resa mediante un sapiente incrocio di tratteggi, che suggeriscono un realistico senso del volume. PIERRE-AUGUSTE RONOIR (1841-1919) • Renoir nasce a Limoges nel 1841 e presto si trasferisce con la famiglia a Parigi. Le condizione economiche familiari non sono buone e Renoir viene messo prestissimo a fare l’apprendista nella bottega di un decoratore di porcellane. Così, si manifesta la sua precoce attitudine artistica e il padre gli permette di frequentare dei corsi serali di disegno. Nel 1862 entra nella scuola di belle arti e grazie ad uno dei professori può conoscere Monet. Pur avendo partecipato a solo tre delle otto mostre degli impressionisti, Renoir è, insieme a Monet, il rappresentante più spontaneo e convinto del gruppo. Nel 1881 si reca in Italia, dove rimane colpito dalla violenza dei colori mediterranei, sempre saturi e squillanti; dal punto di vista artistico, rimane affascinato da Raffaello e dai suoi affreschi vaticani. È proprio la visione di Raffaello che mette in crisi la sua visione impressionista della realtà, fatta di attimi e apparenze fuggenti. Muore nel 1919. • Renoir accetta di buon grado lo studio del disegno nella scuola di belle arti, pur non arrivando mai alla straordinaria sintesi di Degas. L’importanza del disegno per l’artista si intuisce soprattutto nella seconda parte della sua produzione, cioè quella successiva al viaggio in Italia del 1881. • Le sue opere: 1) LA GRENOUILLERE (pag 165) → Renoir e Monet sono molto amici e nell’estate del 1869 si recano su una riva della Senna dove c’è l’isolotto di Croissy, occupato da un ristorante all’aperto e collegato alla terraferma da un ponte; questo complesso viene scherzosamente chiamato Grenouillere, che letteralmente significa stagno delle rane, ma che nel francese parlato indica un posto dove si riuniscono molte ragazze per divertisti. Renoir e Monet dipingono entrambi questo soggetto. Il punto di vista è lo stesso ma è diversa l’attenzione posta alla scena: mentre Monet predilige l’immagine d’insieme, Renoir è più sensibile alle presenze umane che sono abbastanza ben definite; invece, le figure di Monet sono tratteggiate e sembrano un tutt’uno con la natura circostante. Per quanto riguarda l’acqua, Monet usa pochi colori dati a pennellate orizzontali individuando bruschi cambiamenti cromatici; Renoir invece adotta una pennellata più minuta, frammentando la luce in piccole chiazze di colore. La sua opera è più festosa, mentre quella di Monet è più attenta al dato naturale e alla distribuzione della luce. 2) GIOVANE DONNA CON LA VELETTA (pag 166) → all’inizio la pittura di Renoir è come quella di Monet più incline al paesaggio, ma poi si orienta verso il ritratto. L’identità del soggetto è sconosciuta. La giovane indossa una giacca a quadretti, è raffigurata di spalle, con il volto in forte scorcio mentre lOMoAR cPSD|8219228 34 1) RIUNIONE DI FAMIGLIA (pag 173) → del 1867. Bazille rappresenta la propria famiglia su una terrazza vicino a Montpellier, sullo sfondo di un tranquillo paesaggio della Francia del sud; il gusto narrativo è molto simile a quello che i macchiaioli stanno elaborando nello stesso periodo; la composizione risente degli influssi di Monet e Renoir, mentre l’innovativo espediente dei personaggi che guardano verso l’osservatore deriva da Manet. Bazille dimostra la sua carica di rinnovamento nell’uso del colore, perché vediamo un netto stacco tra il cielo azzurro e i personaggi in primo piano; le ombre sono colorate con tonalità più scure. In primo piano vi è una natura morta: un mazzo di fiori appena colti, un cappello di paglia e un ombrellino da passeggio. Questa natura morta contribuisce a fornire la nota di colore più variegata e anche a evidenziare la profondità prospettica GUSTAVE CAILLEBOTTE (1848-1894) • Gustave Caillebotte nasce a Parigi nel 1848 e muore a Gennevilliers nel 1894. Incarna la migliore evoluzione in senso impressionista di Courbet. La sua adesione all’impressionismo, nonostante l’assidua frequentazione del Café Guerbois e la partecipazione a 5 delle 8 mostre, è più ideale che sostanziale, perché non abbandona mai la solida costruttività del disegno appresa da giovane dall’accademia. Caillebotte è comunque uno dei primi e più collezionisti impressionisti. • Le sue opere: 1) I RASIERATORI DI PARQUET (pag 174) → del 1875: l’artista riesce ad esprimere in modo completo e coordinato i temi tipici della sua pittura; il soggetto è legato alla vita quotidiana (rappresenta degli operai intenti a rasierare un parquet) ed il verismo della scena è quasi fotografico; la luce scivola radente sul pavimento mettendo in rilievo i trucioli di legno e i corpi dei tre operai a torso nudo. L’occhio di Caillebotte indaga la realtà senza preconcetti, perché è privo di ogni intento di critica sociale; grazie alla sua schiettezza, l’artista si muove da uno stimolo impressionista riuscendo a superarne la frammentarietà della visione; dalla lezione impressionista mantiene la straordinaria sensibilità per la luce, dando ai suoi personaggi un rilievo volumetrico e una collocazione prospettica che li riallaccia alla tradizione romantica di Delacroix. 2) CANOTTIERI SULL’YERRES (pag 175) → appassionato di nautica dedica molti dipinti all’ambiente del canottaggio. Imposta un punto di vista alto come se l’osservatore stesse in piedi sull’imbarcazione. Questo artificio compositivo concentra l’attenzione sullo sforzo fisico dei due vogatori, i cui volti sono nascosti dai cappelli di paglia. ITALIANI DI PARIGI • Negli ultimi tre decenni dell'Ottocento Parigi va sempre più affermandosi come capitale dell'arte e della cultura europee. Molti artisti italiani trovano nell'ambiente parigino un' apertura di pensiero e una modernità che nell'Italia postunitaria, manca FEDERICO ZANDOMENEGHI (1841-1917) • Federico Zandoméneghi nasce a Venezia nel 1841 e muore a Parigi nel 1917. Formatosi presso l'Accademia di Belle Arti di Venezia, combatte in seguito nelle campagne garibaldine del 1860, partecipando anche all'impresa dei Mille. Frequenta anche Firenze, dove conosce i Macchiaioli. Poi si trasferisce definitivamente a Parigi, insieme a un nutrito gruppo di altri pittori italiani, entrando in amicizia con Renoir, Pissarro e Degas. Da quest'ultimo, in particolare, apprenderà l'amore per la pittura di interni e per la tecnica del pastello. • Le sue opere: 1) A PESCA SULLA SENNA (pag 176) → del 1878. Il soggetto rimanda al repertorio impressionista e rappresenta con straordinaria freschezza le rive della Senna che, appena fuori Parigi, offrono una cornice naturale per il riposo e il divertimento. La preponderante orizzontalità della tela sottolinea lo lOMoAR cPSD|8219228 35 scorrere del fiume tra i due argini erbosi ed è ulteriormente definita dalle fasce sovrapposte in cui terra, acqua e cielo si alternano con equilibrio. All'orizzonte una ciminiera fumante allude all'avanzare dell'industrializzazione. Un pescatore attende paziente sulla sua barca. In primo piano, a sinistra, siede una giovane donna con in mano un ombrellino parasole ed è in attesa del secondo uomo che pesca, del quale si intravede soltanto il cilindro. Qua e là squillanti tocchi di colore percorrono la scena come lampi improvvisi: la cintura rossa della donna, i fiori che si intravedono fra l'erba, il giallo intenso di un campo lontano. GIOVANNI BOLDINI (1842-1931) • Giovanni Boldini, nato a Ferrara nel 1842 e morto a Parigi nel 1931, inizia il proprio percorso formativo presso l'Accademia di Belle Arti di Firenze. Entrato in contatto con l'ambiente intellettuale del Caffè Michelangelo, mostra un immediato interesse per la ricerca verista della pittura macchiaiola. Andrà anche a Parigi dove conosce Degas e poi a Londra. Poi si stabilisce definitivamente a Parigi. Qui si dedica a ritrarre la mondanità cittadina, conducendo una brillante vita sociale e frequentando i teatri, i Salons e i salotti culturali. Di conseguenza la sua pittura, di attenta introspezione psicologica, caratterizzata da un tocco rapido e incisivo, da tagli audaci e da colori squillanti, assume in breve risonanza europea. • Le sue opere: 1) MADAME CHARLES MAX (pag 176) → La giovane donna è fasciata da un abito da sera bianco, sorretto da un'unica, sottile spallina (la seconda è scivolata oltre la spalla destra). Al candido e generoso décolleté si contrappongono il rosa delle gote, le labbra vermiglie, appena dischiuse in un abbozzo di sorriso, i vivaci occhi neri e la capigliatura, anch'essa scura. L'intero corpo della donna, slanciato e ben tornito, esprime un senso complessivo di floridezza, gioventù e movimento. Il tutto è sottolineato anche dalla forte inclinazione delle spalle, dalla gamba sinistra appena sollevata, con il ginocchio conseguentemente avanzato e il braccio corrispondente slanciato all'indietro, per equilibrare il passo, mentre la mano destra raccoglie con gesto esperto il lungo vestito per agevolare ulteriormente l'andatura. LA FOTOGRAFIA • Le prime ricerche su questa nuova tecnica incominciano già sul finire del XVIII secolo, quando il progresso scientifico consente la messa a punto delle prime camere ottiche che, con un semplice sistema di lenti e specchi, permettevano di ricalcare per trasparenza o proiezione l'immagine prospettica del soggetto prescelto, ricavandone una rappresentazione di grandissima precisione. • Nei primi decenni dell'Ottocento, invece, i progressi della chimica portarono allo sviluppo di nuovi studi sulla sensibilità alla luce di determinati materiali che, se opportunamente esposti e trattati, si dimostravano in grado di registrare qualsiasi variazione di luminosità. E poiché ogni immagine proiettata sul vetro smerigliato della camera ottica altro non è che un fascio luminoso, sostituendo al vetro una lastra spalmata di qualche sostanza chimica sensibile alla luce, si poteva far sì che la luce stessa si imprimesse sulla lastra sensibile lasciando permanentemente l'impronta dell'immagine proiettata dall'obiettivo. Nasce così la fotografia VEDUTA DALLA FINESTRA A LE GRAS • La prima ripresa fotografica vera e propria venne realizzata nel 1827 dal chimico francese Joseph Nicéphore Niépce che mise a punto anche il relativo apparecchio. Si trattava in sostanza di una camera ottica che al posto del vetro smerigliato per il ricalco manuale dell'immagine aveva una lastra di péltro, resa sensibile alla luce grazie a un particolare composto chimico a base di bitume • La fotografia è nota come VEDUTA DALLA FINESTRA A LE GRAS (pag 178) e rappresenta il panorama visibile dal laboratorio di Niépce La qualità dell'immagine è comunque molto bassa, così come la lOMoAR cPSD|8219228 36 precisione della messa a fuoco e la nitidezza dei contorni, in quanto il bitume, se esposto alla luce, indurisce e si sbianca. Si tratta però della documentazione del primo esempio di ripresa diretta dal vero senza alcun intervento umano LA DAGHERROTIPIA • Al pittore e scenografo Louis-Jacques Mandé Daguerre si deve invece il brevetto (1838) di quella forma di rappresentazione fotografica che, dal suo nome, fu detta appunto dagherrotipia. Essa consiste nell'impressionare con la luce di una camera ottica una lastra di rame argentata, precedentemente trattata con dei vapori di iodio. Poiché l'argento così trattato tende per sua natura a ossidarsi in presenza di luce, sulla lastra rimaneva impressa la scena ripresa al negativo, cioè con le zone in luce annerite, quindi scure, e le zone in ombra che rimanevano chiare. L'impiego di speciali sali di mercurio, infine, serviva a invertire l'immagine, riconvertendo gli scuri in chiari e viceversa, e a fissarla, cioè a stabilizzare in modo definitivo i livelli di luce e di annerimento. • Il limite dell'invenzione stava però nel fatto che ogni fotografia, una volta invertita e fissata, costituiva un vero e proprio originale e non era più possibile realizzarne delle copie, LE LASTRE FOTOGRAFICHE • Il più notevole salto di qualità tecnica nella fotografia si ebbe comunque con l'introduzione del cosiddetto negativo, cioè un supporto trasparente che permettesse di stampare per contatto varie copie positive su carta. È nel 1835 che il fisico inglese William Henry Fox Talbot mette a punto un negativo di realizzato in carta resa sensibile e traslucida e ristampabile poi per contatto mediante un processo che egli stesso brevetta come calotipia. • Intorno alla metà del secolo, infine, vari ricercatori francesi sperimentano come negativo la cosiddetta lastra, consistente in un semplice vetro (la lastra, appunto) reso precedentemente sensibile alla luce dopo essere stato spalmato con vari composti chimici a base di albumina • La luce proveniente dall'obiettivo colpisce così il sottile strato di emulsione sensibile impressionandolo in maniera direttamente proporzionale all'intensità luminosa stessa. Il successivo sviluppo serve a rendere visibili in negativo le immagini riprese, nelle quali le ombre appaiono chiare (bianchi), le luci scure (neri) e i toni intermedi in tutta la gamma del chiaroscuro (grigi). Dai negativi si possono poi ricavare diverse stampe su carta chimica preparata, nelle quali luci e ombre tornano a invertirsi apparendo come erano al momento della ripresa: le luci chiare, le ombre scure e i toni intermedi in varie tonalità di chiaroscuro LE SEQUENZE FOTOGRAFICHE • Nel 1877 il fotografo Eadweard James Muybridge esegue la prima serie di fotografie di soggetti animali in movimento, riuscendo in tal modo a bloccarne e ad analizzarne le varie fasi e ponendo direttamente le basi per quelli che saranno i futuri sviluppi della cronofotografia e della cinematografia • Per la serie CAVALLO AL GALOPPO (pag 180) utilizza una complessa batteria di 24 apparecchi fotografici uguali ed equidistanti, montati alla stessa altezza su treppiedi disposti parallelamente alla pista che il cavallo avrebbe percorso. Gli otturatori venivano fatti scattare in sequenza tramite dei fili strappati in rapida successione dagli zoccoli del cavallo stesso, mentre, per poter usare tempi di esposizione sufficientemente veloci, erano impiegate delle nuove lastre fotografiche nelle quali l'albumina era stata sostituita con una più sensibile e reattiva gelatina al bromuro d'argento. • Tali ricerche avrebbero consentito anche a molti artisti, primi fra tutti l'impressionista Edgar Degas, di approfondire lo studio dal vero, riuscendo a cogliere posture e movimenti mai prima rappresentati. CRONOFOTOGRAFIA • Altrettanto importanti per gli artisti sono le ricerche che svolge il fisiologo Étienne-Jules Marey lOMoAR cPSD|8219228 39 infatti esiste anche un secondo livello di lettura, che è quello intellettivo, che serve a scoprire l’essenza e la verità nascosta della realtà. È pertanto la geometria che permea tutte le cose a cui tutto può essere ricondotto, la verità a cui Cezane tende. Grazie alla geometria le sue figure acquistano una maggior emonumentalità e una reale potenza architettonica, mentre l’uso costruttivo del colore determina piani, curve, spigoli, mutamenti d’inclinazione, differenze di luce. 2) I BAGNANTI (pag 188) → del 1890. L’opera di Cezanne mostra dieci giovani nudi e seminudi in riva a un fiume mentre fanno un bagno. Più che per l’acqua, tipico soggetto impressionista, l’artista mostra interesse per la struttura del dipinto, che rivela una forte architettura e una decisa prospettiva. I personaggi sono disposti lungo la superficie laterale di un cono ideale con il vertice rivolto vero l’alto; il solido geometrico è suggerito con immediatezza dall’inclinazione del giovane seduto a sinistra e di quello all’estrema destra che corre per tuffarsi. La prospettiva è resa dalla riduzione dimensionale dei personaggi dei piani arretrati. Per il colore utilizza la tecnica della modulazione: cioè un giusto rapporto dei toni che crea il modellato. 3) I GIOCATORI DI CARTE (pag 189) → risale al 1898. Due uomini giocano a carte davanti ad uno specchio. Potrebbe sembrare un tema impressionista (es: il bar delle Folies Bergere di Manet o l’assenzio di Degas), ma qui non compare più nulla di impressionista. Ad esempio, lo specchio è quasi opaco e sembra far parte del rivestimento di legno, per cui l’attenzione di Cezane è tutta sui 2 giocatori. I personaggi sembrano dei manichini, perché Cezanne isola i vari volumi di cui sono fatti i corpi e i vari oggetti. Alla forma emisferica del cappello del giocatore di destra corrisponde il cilindro concluso con una lieve calotta sferica del cappello del giocatore di sinistra, mentre i volumi cilindrici e tronco-conici delle maniche si congiungono alla gran massa squadrata e pesante delle giacche. A queste figure solide si uniscono il cilindro della bottiglia, i parallelepipedi che formano il tavolo, la tovaglia con i risvolti rigidi configurano anche essi delle superfici geometriche semplici. Le pennellate contribuiscono alla resa volumetrica organizzandosi in pezzature di diverso colore. 4) LA MONTAGNA SAINTE-VICTOIRE VISTA DAI LAUVES (pag 190) → negli ultimi anni della sua vita, Cezanne è affascinato dal paesaggio che vede da sempre: quello dominato dalla montagna Sainte- Victoire a este di Aix- en-Provence. L’artista lo dipinge numerose volte e sempre in modo diverso. Questo dipinto è del 1904-06. Il paesaggio è stato scomposto in essenzialità e poi ricomposto tramite superfici accostate. Al colore si deve la ricerca della profondità senza prospettiva geometrica. Cezanne vuole mostrare lo spessore e la corposità dell’aria. L’aria e il cielo assumono i colori delle case e degli alberi: il verde è pure nel cielo, che è unito alla montagna. È un quadro tutt’altro che impressionista: la natura è vinta e svelata, sezionata e poi ricomposta. Per questo fatto, i cubisti ritengono Cezanne loro padre ed ispiratore. o Confronto con RENOIR, LA MONTAGNA SAINTE VICTOIRE → dipinge un paesaggio carezzevole e limpido. È un dipinto che riconcilia l’uomo con la natura GEORGES SEURAT (1859-1891) • Seurat nasce a Parigi nel 1859 e studia alla scuola di belle arti la sua vita artistica è molto breve perché muore appena trentaduenne nel 1891. A scuola, Seurat entra in contatto con le teorie di cromatica di Chevreul, secondo il quale se si accostano due colori complementari le qualità di luminosità di ognuno vengono esaltate. • Il divisionismo → I suoi inizi sono impressionisti, ma già dal 1886 crea il suo capolavoro con la tecnica da lui messa a punto, quella divisionista, consistente nell’accostamento di colori puri tenuti fra loro divisi. A questo Seurat aggiunge il principio della ricomposizione retinica: infatti i colori accostati sulla tela sarebbero stati ricomposti e fusi dalla retina dell’occhio degli osservatori senza l’intervento meccanico del pittore. Affinché questa tecnica raggiunga i risultati voluti, i colori vanno depositati sulla tela con la punta del pennello sotto forma di minuscoli tratti o puntini; da qui, il termine di puntinismo con cui la tecnica diviene nota, anche se Seurat preferisce il nome di divisionismo o di cromoluminismo. La pittura di Seurat venne definita inizialmente neoimpressionista in quanto costituiva un perfezionamento lOMoAR cPSD|8219228 40 della tecnica impressionistica o anche impressionismo scientifico, in contrapposizione a quello lirico di Monet, Renoir e Degas. Lo scopo di Seurat vuole dare sistematicità e dignità scientifica alla pittura impressionista. • Anche il suo disegno ubbidisce alle regole del puntinismo. • Le sue opere: 1) UNE BAIGNADE A ASNIERES (pag 193) → questa opera del 1883-84 è esemplare dell’avvicinamento all’impressionismo di Seurat. Degli uomini e dei ragazzi prendono il sole sulle rive erbose della Senna o fanno il bagno immersi nelle sue acque azzurre. Un cagnolino scodinzola accucciato alle spalle del padrone. Sul fiume ci sono delle vele, una canoa. All’orizzonte un ponte, delle case e le ciminiere fumanti delle industrie dell’immediata periferia di Parigi, simbolo di modernità e industrializzazione. Il tema e la tecnica impiegata per definire i prati, gli alberi, il cielo e l’acqua sono impressionisti, ma questo non si può dire del cappello del bambino (fatto di puntini azzurri e arancioni) né dell’acqua attorno al cappellino (che ha dei puntini gialli). Anche il formato della tela (di grandi dimensioni e quindi impossibile da dipingere en plein air) non è nella tradizione impressionista; la stessa cosa vale per la statuaria e innaturale immobilità delle figure, governate da pallore e geometria compositiva. I personaggi di Seurat risentono delle pose statiche e classicheggianti delle composizioni di de Chavannes e dell’immobilità delle figure di Piero della Francesca. 2) UN DIMANCHE APRES-MIDI (pag 194) → questa opera del 1883-85 viene esposta all’ultima esposizione impressionista del 1886. Il soggetto è impressionista: il divertimento borghese, una folla di gitanti domenicali sul verde di un’isola della senna; ma la tecnica è evidentemente puntinista. Fra tutti i personaggi spicca la coppia di destra: l’uomo con il cappello a cilindro, il bastone, il monocolo e un fiore all’occhiello cammina tenendo un sigaro in mano; la donna, dal cappellino con un vistoso mazzolino di fiori rossi, si ripara dal sole con un ombrellino e tiene al guinzaglio una scimmietta. I puntini di colore sono infiniti e tutti deposti sulla tela tenendo in considerazione la teoria del contrasto simultaneo per ottenere la massima luminosità. La scena è calma ed innaturalmente immobile. 3) IL CIRCO (pag 195) → 1981. Negli anni successivi sperimentò la tecnica pointilliste su soggetti ancora impressionisti come il paesaggio. Seurat costruisce il dipinto con sapienza; il maggio effetto prospettico è dato dalla figura del clown i primo piano, visto di spalle, piuttosto che dall'architettura dei palchi che circondano la pista circolare. Seguendo quella speciale attenzione che gli Impressionisti prestavano alla realtà e alle contraddizioni della città industriale, l'artista riproduce fedelmente la distinzione in classi sociali degli spettatori: uomini e donne ben vestiti si trovano in basso, mentre i meno abbienti occupano i gradini e la balconata più in alto. Il numero di equitazione acrobatica oggetto del dipinto era la principale attrazione dei circhi. A sottolineare tali sensazioni Seurat dissemina la tela di linee ascendenti. Tendono verso l'alto i capelli raccolti in grandi ciuffi puntuti dei clown, la veste e le braccia dell' equilibrista che presenta il suo numero sul cavallo in corsa, la criniera e la coda del cavallo stesso, le spigolosità di un secondo equilibrista che si esibisce in un salto mortale, gli abiti degli spettatori, le loro bocche incurvate, i baffi degli uomini impomatati, gli archetti dei violini dell'orchestra, le pieghe della tenda d'accesso. Alle linee si accompagna la prevalenza di colori caldi, perciò dinamici, a cui l'artista ricorre: il giallo e il rosso. La cornice sul tono dell'azzurro contribuisce alla massima luminosità del dipinto, accostandosi a una tela il cui tono complessivo, di sommatoria, è costituito dal complementare arancione e dal giallo-arancio. PAUL SIGNAC (1863-1935) • Paul Signac nato a Parigi è insieme a Seurat il primo e più importante esponente di quella corrente artistica postimpressionista che lui stesso contribuì a definire Pointillisme • Figlio di un modesto sellaio parigino, nel 1880 abbandona gli studi di architettura per dedicarsi completamente alla pittura, che aveva cominciato ad amare attraverso le opere dei paesaggisti di Barbizon e di Monet, del quale ammirava soprattutto l'uso del colore e delle vibrazioni di luce. Compie vari viaggi in Italia e nel Sud della Francia, ricavandone significative suggestioni per i suoi dipinti (soprattutto paesaggi e marine). Dopo l'improvvisa e precoce morte di Seurat (1891), ne continua appassionatamente gli studi, mettendo a punto una tecnica coloristica basata sulla luminosa giustapposizione di fitti tasselli di colori puri. Muore a Parigi lOMoAR cPSD|8219228 41 • Le sue opere: 1) I GASOMETRI. CLICHY (pag 197) → Fra i primi esempi di applicazione delle nuove tecniche divisioniste si conta un'opera che Signac presenta all'ultima mostra impressionista nel 1886, I gasometri. Clichy Proseguendo la scelta di soggetti periferici, l'artista guarda a Clichy, un sobborgo industriale a Nord di Parigi, vicino alla sua abitazione. È il paesaggio che cambia, con la campagna che arretra per lasciare il posto alle fabbriche: una modernità che il pittore annota senza esprimere un giudizio. A segnare il panorama sono i gasometri (serbatoi per l'immagazzinamento del gas), la cui struttura era attribuita a Gustave Eiffel. Le loro forme circolari - che racchiudono la composizione ai margini - contrastano con le linee spezzate del gruppo di case al centro, davanti a uno spiazzo erboso. Innovativo è l'uso del colore, distribuito in piccoli tocchi di tinte pure che mettono l'accento sulla giustapposizione dei complementari (che raggiungono il massimo effetto nel rapporto fra i tetti arancioni e il cielo blu). Fin da queste prime fasi Signac si distingue da Seurat per la tavolozza più vivace e una pennellata più variata e meno regolare. 2) IL PALAZZO DEI PAPI AD AVIGNONE (pag 197) → Alla tecnica divisionista l'artista si atterrà fedelmente per tutto il corso della carriera. Una delle opere più significative per la comprensione del suo particolare divisionismo è senza dubbio Il Palazzo dei Papi ad Avignone, uno sfolgorante olio del 1909. La gran mole trecentesca del Palazzo dei Papi, con il contiguo campanile della Cattedrale di Notre- Dame-des-Doms, campeggia al centro del dipinto, mentre a sinistra, contro lo sfondo dell'altura di Rocher des Doms, si stagliano anche tre delle arcate superstiti dell'antico ponte sul Rodano di Saint- Bénézet. La stesura brillantissima dei colori è organizzata secondo regole ben precise, quasi scientifiche: con tesserine in sequenza orizzontale per il fiume, come ad assecondarne il senso di scorrimento e ricorsi verticali per le architetture, al fine di enfatizzarne il monumentale slancio. Solo il cielo è trattato con maggiore libertà, attraverso picchiettature di colore che, soprattutto negli sgargianti giallo-verdi del lembo di sinistra sembrano quasi increspare la tela, suggerendo un senso di freschezza e vaporosità. L'assoluta assenza del disegno non nuoce affatto alla leggibilità della composizione che, grazie alle ombre colorate complementari (azzurro su arancio, verde su rosso e viola su giallo), si articola secondo geometrie compatte e ben individuabili. Straordinario, per intensità e luce, è anche il gioco di riflessi che cielo e terra proiettano sull'acqua: un tema, questo, già caro agli Impressionisti, che Signac risolve con limpidezza, come se la scena fosse vista attraverso uno spettacolare caleidoscopio PAUL GAUGUIN (1848-1903) • Gauguin nasce a Parigi nel 1848 e trascorre la sua vita viaggiando tra Europa, Sud America ed Oceania. Studia ad Orleans e a Parigi. Dagli inizi degli anni 70 si avvicina alla pittura e dal 1880 partecipa a tutte le mostre degli impressionisti. Desidera una vita semplice, primitiva, libera e per questo nel 1887 si imbarca per Panama e per la Martinica. Rientra in Francia solo nel 1888 e vive per un breve periodo ad Arles insieme a Van Gogh. Vende poi tutti i suoi beni per trasferirsi a Tahiti. Va poi nella Polinesia francese, dove viene imprigionato e muore nel 1903. • Anche per Gauguin gli inizi sono impressionisti, ma dal 1888 la sua pittura cambia completamente. I colori sono dati per ampie campiture piatte e fa uso solo di quelli primari: rosso, giallo e blu. • Le sue opere: 1) L’ONDA (pag 199) → È molto sensibile alla pittura giapponese. Da questa sua passione nasce nel 1888 l’opera l’onda, ispirata alle creazioni di Utagawa Hiroshige. Come nella stampa giapponese, l’incresparsi delle onde e i gorghi sono trattati come giochi lineari. Infatti la schiuma bianca e sfrangiata che lambisce è orlata da una sottile linea scura, mentre ampie curve disegnano i movimenti dell’acqua tra gli scogli e la battigia. La spiaggia è rossa e l’acqua è gialla e verde: colori sicuramente non naturali. Questa visione antinaturalistica è una delle caratteristiche principali di Gauguin, che riproduce la realtà non come la vede oggettivamente, ma come la senta intimamente. 2) IL CRISTO GIALLO (pag 200) → questa opera è del 1889. Gauguin apprende dall’amico Emile Bernard , conosciuto in Bretagna, la tecnica del cloisonnisme, consistente nel contornare con un mercato segno nero oggetti personaggi dipinti e nel riempire lo spazio così definito con il colore. Il colore uniforme lOMoAR cPSD|8219228 44 colline tagliano la tela diagonalmente, cosicché la maggior parte della superficie pittorica è occupata dalla luna e dal cielo stellato. Il paesaggio è a prima vista idilliaco e riconciliante e sembra rievocare le visioni romantiche di una natura terribilmente grandiosa tipiche di Friedrich. Le colline azzurre sembrano minacciose acque dilavanti; il cielo pare percorso da pericolose palle di fuoco. 7) CAMPO DI GRANO CON VOLO DI CORVI (pag 213) → Poco prima di suicidarsi aveva dipinto la disperazione, la rabbia, la solitudine e la dolcezza che ancora aveva. Campo di grano con volo di corvi è ritenuto il suo testamento artistico e spirituale .Una tempesta, quasi un presagio di lutto, si sta per abbattere su un campo di grano tagliato da tre viottoli divergenti bordati di verde e dai quali si leva uno stormo di corvi neri. Il dipinto è realizzato con una violenza che mai prima d'allora Van Gogh aveva osato riversare in una tela. Il campo di grano, scosso dal vento che piega le spighe, è trattato con frustate di giallo, date in spessore, mentre il cielo è incupito dal nero delle nubi minacciose.La luminosità del cielo d'un azzurro profondo e l'oro lucente del grano, a cui si affianca l'insieme brillante dei complementari rosso e verde dei viottoli, stanno per soccombere, vinti da un colore scuro che inesorabilmente li offusca e li copre. L'artista pare guardare impotente la maestosa terribilità dell'evento che si compie sotto i suoi occhi. HENRI DE TOULOUSE-LAUTREC (1864-1901) • Henri De Toulouse-Lautrec nasce nel 1864 ad Albi, nella Francia del sud. Ha una salute cagionevole che gli impedisce un normale sviluppo scheletrico. Dal 1882 al 1886 studia negli atelier di Bonnat e di Cormon, e presso quest’ultimo conosce Van Gogh. Muore nel 1901 a causa della sifilide e dell’alcol. • Toulouse-Lautrec assimila l’esperienza impressionista ma ne ripudia i principi ed i soggetti principali: la pittura en plein air, il paesaggio, i colori luminosi, la mancanza di prospettiva geometrica, l’indifferenza per il disegno preciso e per la linea di contorno. • L'affiche → Henri de Toulouse-Lautrec è uno dei primi artisti a dedicarsi all'affiche, cioè all'esecuzione di cartelloni pubblicitari, un nuovo tipo di attività, alla quale l'affinamento dei processi di stampa tipografica a più colori aveva consentito un incremento di qualità e di diffusione prima assolutamente impensabili. Il limitato numero di colori consentito dalle prime procedure litografiche impose all'artista di inventare la tipologia stessa del manifesto che, dunque, non poteva essere la semplice traduzione di un dipinto a olio, ma una semplificazione, una sintesi di soli segni, dunque un genere del tutto nuovo. • Lo stile → per lui solo la figura esiste, il paesaggio non è che un accessorio. Il suo interesse è riservato al mondo della notte e la luce che illumina i suoi quadri è quella dei lumi a gas o delle prime lampade elettriche. Il taglio che egli dà ai suoi dipinti è quello fotografico, suggerito dalle stampe giapponesi e ripreso dalle opere di Degas, che molto ammira e di cui si ritiene continuatore. Toulouse-Lautrec ricorre a un limitatissimo insieme di colori secondo una gamma non estesa - il verde, il rosso, l'azzurro, il violaceo, il giallo e dipinge per giustapposizione di tratti, per sovrapposizioni o per linee incrociate, usando il pennello come fosse una matita e diluendo molto i colori a olio. Spesso il fondo della tela e il beige della carta colorata o del cartone - che l'artista usa come supporti - traspaiono fra un tratto e l'altro e, pertanto, entrano a far parte della cromia. I suoi dipinti non brillano, contrariamente a quelli degli Impressionisti, ma tendono all'opacità. L'effetto che Lautrec ottiene, e che evidentemente ricerca, è assimilabile, infatti, a quello dei pastelli. Il suo segno è nitido, veloce, nervoso. Tuttavia l'immediatezza, che pare il carattere più facilmente afferrabile dei suoi dipinti, è tale solo a un'osservazione superficiale. Infatti, dipingendo in atelier, ogni sua opera finita è preceduta da un minuzioso lavoro che contempla il ricorso alla fotografia, la realizzazione di bozzetti, l’esecuzione di schizzi d’insieme, le prove di colore, la scelta dell’effetto migliore. • Le sue opere: 1) AL MOULIN ROUGE (pag 216) → Toulouse-Lautrec desidera vivere intensamente ed è affascinato dallo spettacolo umano; frequenta ambienti briosi, rumorosi, vivaci, locali notturni dove incontra lenoni, prostitute, ricchi borghesi alla ricerca di avventure a pagamento. Questa opera del 1892-93 rappresenta un interno del Moulin Rouge, il famoso locale da ballo aperto nel 1889. L’artista è un frequentatore assiduo del Moulin e si ritrae anche nel dipinto, in fondo e di profilo. La struttura lOMoAR cPSD|8219228 45 compositiva rimanda a quella della Lezione di ballo e dell’Assenzio di Deagas. I personaggi sono addensati al centro. Le pareti sono rivestite di grandi specchi poco riflettenti. I colori sono scuri ed opachi, vivacizzati da poche parti brillanti. Nessuno parla, nessuno ride, tutti i personaggi sono colti in un irreale isolamento. 2) AU SALON DE LA RUE DES MOULINS (pag 217) → questa opera è del 1894. Il soggetto è il salone d’attesa della casa chiusa di Rue des Moulins, dove l’artista trascorre molto tempo. Le donne sono raffigurate in un momento di calma, in sottoveste o in vestaglia o ancora in lunghi abiti dagli alti colletti. Il colore è molto leggero e molto diluito e per questo traspare il sottostante disegno a carboncino. La veduta è prospettica e ci fa vedere dall’alto la scena. Il clima della scena è di calma posata, fatto che viene sottolineato dal taglio prospettico e dal tono caldo dell’ampio locale. Toulouse-Lautrec riporta queste donne sottoposte a soprusi e malattie ad essere semplicemente persone. IL DIVISIONISMO ITALIANO • Anche in Italia, come in Francia, le teorie di Chevreul e quelle sull’uso dei colori esposte dal fisico statunitense Rood, influenzarono fortemente un gruppo di pittori che, pur provenendo da precedenti e diversi orientamenti artistici, abbracciarono con convinzione la tecnica divisionista. • Uno di essi, Gaetano Previati ( 1852-1920), sintetizzò la loro ricerca e ne descrisse i fondamenti teorici in un trattato, I principii scientifici del Divisionismo • Per gli Italiani la tecnica divisionista - consistente nella divisione dei colori e nella loro stesura secondo pennellate filamentose - è lo strumento per ottimizzare la ricerca nell'ambito della migliore resa luministica della realtà. Il tema della luce, d'altra parte, affianca e traduce in colori l'ispirazione dell'artista. Infatti, contrariamente ai Francesi, attratti da soggetti ariosi e per lo più gioiosi, i Divisionisti italiani tendono a privilegiare le tematiche simboliste, storiche, socialiste, di denuncia e, comunque, d'ambito sociale. La luce, inoltre, diventa il mezzo per trasfigurare il soggetto, trasportandolo spesso su un piano di poesia nostalgica o elegiaca. • Padre riconosciuto del Divisionismo italiano è Giovanni Segantini. Giuseppe Pellizza da Volpedo e Angelo Morbelli sono fra i maggiori e più evocativi pittori divisionisti. GIOVANNI SEGANTINI (1858-1899) • Giovanni Segantini nasce in Trentino (allora ancora territorio austriaco) nel 1858. Studia all'Accademia di Brera. Nel 1886 si avvicina alla tecnica divisionista che, a cominciare dal 1889, applicherà a soggetti di contenuto prevalentemente simbolista. Nel 1894 si trasferisce in Svizzera e nel 1899 si ritira a dipingere in una baita sulle pendici del massiccio svizzero dello Schafberg. Lì, isolato, in una natura solitaria e incontaminata, muore per un attacco di peritonite quello stesso anno. Primo in Italia a usare la tecnica divisionista, lo fa tramite la minuta giustapposizione di filamenti di colore accostati secondo tratti per lo più orizzontali o verticali o, ancora, leggermente ondulati. • Le sue opere: 1) MEZZOGIORNO SULLE ALPI (pag 218) → Eseguito nel 1891, è un luminosissimo dipinto basato su una solida struttura geometrica. Infatti, la figura della pastora sulla sinistra è posizionata esattamente sull'asse verticale che divide la tela in due parti, di cui una pari a ½, l'altra pari a ⅔ dell'intero. Inoltre la mediana orizzontale divide la figura in modo tale che la fascia superiore comprenda il busto e quella inferiore il corpo dalla vita in giù; è lo stesso braccio sinistro piegato della donna, del resto, che suggerisce l'esatta posizione della mediana. Tale geometria consente di ottenere immediatamente un chiaro e sicuro equilibrio compositivo. La donna è quasi in primo piano, eretta, ed è volta a sinistra, mentre si sistema il grande cappello di paglia che la ripara dai forti raggi del sole dell'alpeggio d'alta montagna. Alla sua sinistra pascolano delle pecore; in lontananza (a destra e a sinistra) si intravedono delle piccole costruzioni in pietra. Il paesaggio è costituito da un vasto altopiano schermato, in fondo, da una catena di monti innevati che si stagliano contro un profondo cielo azzurro, colore che si ripete anche nelle vesti della pastora. Si tratta, tuttavia, di due diversi toni lOMoAR cPSD|8219228 46 di azzurro, deposti sulla tela per filamenti, uniti al rosso carminio in un caso e al rosso vermiglio nell'altro, anch'essi dati in forma di tratti filamentosi in lieve spessore. In tal modo la tonalità del cielo - al pari di quella delle vesti della donna - è tendenzialmente violacea e si avvicina a quel blu che va scurendosi naturalmente a motivo dell'altitudine. Il dipinto, però, non è semplicemente agreste, né solo dedicato alla resa della massima luminosità. L'opera di Segantini, infatti, si arricchisce del senso dell'eternità: la giovane donna pare della stessa materia, solennità e durata delle montagne. Inoltre su tutta la scena si stende il velo della sorte ineluttabile che i luoghi e l'aspra esistenza dei montanari hanno imposto alla pastora, che non ha potuto scegliere la propria vita né mai potrà cambiarla. ANGELO MORBELLI (1853-1919) • Nato ad Alessandria nel 1853, Angelo Morbelli si iscrisse all'Accademia di Brera esordendo come pittore nel 1874. La sua attività si svolse tra la tenuta di Colma, a Rosignano Monferrato, e Milano, città nella quale morì nel 1919. La ricerca di Morbelli prende l'avvio dallo studio del vero, ma a partire dal 1890 l'artista si cimenta già con la divisione dei colori. I suoi temi, inizialmente di soggetto storico, di paesaggio e, comunque, di stampo verista, si trasformano, allora, in vedute en plein air, ispirandosi soprattutto alle montagne, alla denuncia sociale e al duro lavoro nelle risaie dell'alto Monferrato. • Le sue opere: 1) IN RISAIA (pag 219) → opera datata 1901, è una delle più suggestive realizzazioni divisioniste di Morbelli. Il soggetto, portatore di una forte denuncia sociale, ha una salda intelaiatura prospettica, retaggio degli insegnamenti che l'artista aveva ricevuto a Brera. L'ambientazione è costituita da una risaia in cui sono all'opera due squadre distinte di mondine. Il campo inondato e ricco di riflessi è già tutto un brulicare di piantine di riso che, in alto, la grande lontananza e la prospettiva trasformano in una sorta di prato verde. Degli alberi segnalano l'orizzonte, oltre il quale si intravede una striscia grigiastra di cielo. Se già la disposizione ortogonale delle due file di donne chine sulle piante di riso rompe la possibile ripetitività degli allineamenti, di grande rilevanza è la figura di una lavoratrice che, messasi in posizione eretta per riposarsi - il che rappresenta una sosta anche per l'occhio dell'osservatore che, seguendo la linea spezzata delle mondine, corre veloce all'orizzonte - si aggiusta il fazzoletto bianco che la protegge dal sole. Le lunghe gonne - tirate su e trattenute in vita - sono chiazze di colore che si riflettono nell'acqua, secondo uno studio puntuale della riflessione e rifrazione della luce che impegnò l'artista per alcuni anni. La luce scivola sulle schiene delle donne, diventando intensa sui loro corsetti, sulle camicie bianche e sui fazzoletti, quasi a nobilitarne il lavoro, sempre duro, insano e mal pagato. GIUSEPPE PELLIZZA DA VOLPEDO (1868-1907) • Nato ad Alessandria nel 1868, Giuseppe Pellizza studia dapprima all'Accademia di Brera e in seguito sia a Roma, all'Accademia di San Luca, sia all'Accademia di Belle Arti di Firenze, dove ha come maestro Giovanni Fattori. Nel 1892-1893 si colloca il suo passaggio da una pittura "di impasto" a una più specificatamente divisionista; allo stesso tempo iniziano i suoi interessi per i temi sociali. Scosso dalla scomparsa di un figlio e della moglie amatissima, l'artista si toglie la vita nel 1907. • Le sue opere: 1) IL QUARTO STATO (pag 220) → è un dipinto dalla lunga gestazione ed esecuzione (dal 1898 al 1901). Il soggetto simboleggia la classe lavoratrice che, consapevole della propria dignità e della propria forza, marcia compatta e solidale, a testa alta e con lo sguardo fiero, verso la conquista dei suoi diritti e la costruzione del suo futuro. La marcia è decisa, solenne e inarrestabile. I personaggi, disposti su piani verticali paralleli, avanzano portandosi dall'ombra in pieno sole, andando incontro all'osservatore, quasi a voler uscire dalla tela, così come dalla loro minorità socia-le. D'altro canto le dimensioni notevoli del dipinto consentono a Pellizza di realizzare le figure ad altezza pressoché naturale. Una giovane donna con un bimbo nudo in braccio e due uomini che, toltisi le giacche, le recano l'uno appesa alla spalla sinistra, l'altro gettata dietro la spalla destra, trattenendola con la mano, precedono i compagni. Il colore è dato per piccoli filamenti mentre opera dai forti contrasti lOMoAR cPSD|8219228 49 • L’art nouveau, che tocca tutti i settori della produzione, rappresenta la nuova risposta artistica che la cultura europea dà al disagio del proprio tempo, non è un’arte di evasione. L’Art Noveau diventa il gusto di un’epoca, incarnando lo spirito e le contraddizioni di una società che si avvia al nuovo secolo. In ogni paese, questo movimento artistico prende un nome diverso: in Francia Art Nouveau, in Inghilterra Modern Style, in Italia Stile floreale o Liberty, in Germania Jugendstil (stile giovane), nei Paesi Bassi Nieuwe Kunst (arte nuova), in Austria Secession, in Belgio Stile Horta, in Spagna Arte Joven o Modernismo. • L’art Nouveau si diffonde prima alle arti applicate, che fino ad ora sono rimaste sempre in ombra. Solo successivamente, arriva alla pittura ed all’architettura. A seconda di dove si sviluppa, l’architettura di questo movimento assume forme e soluzioni costruttive diverse. La sua costante però sta nell’uso di nuovi materiali. • L’art nouveau è l’ultimo periodo della storia contemporanea nel quale si assiste al diffuso affermarsi a livello internazionale di un’ideologia artistiche che si presenta sostanzialmente omogenea; da essa prenderanno l’avvio tutte le successive avanguardie del 1900. L’ESPERIENZA DELLE ARTI APPLICATE A VIENNA TRA KUNSTGEWERBESCHULE E SECESSION • L’ambiente viennese di fine secolo è la vera culla dell’art nouveau. Due sono in particolare gli avvenimenti che in campo artistico rinnovano e condizionano la vita culturale viennese: la creazione del Kunstgewerbeschule (scuola d’arte e mestieri) e il sorgere della secession. KUNSTGEWERBESCHULE • La scuola d’arte e mestieri (Kunstgewerbeschule) viene fondata nel 1867. È una struttura pubblica per l’istruzione artistica che viene creata proprio per reperire nuove figure professionali nell’ambito delle arti applicate. Le materie insegnate sono fondamentali per padroneggiare l’artigianato artistico che, teorizzato da Morris, diventa uno dei temi propulsori dell’art nouveau. Artisti e artigiani si dedicano insieme alla produzione industriale e devono saper trarre dallo studio delle arti superiori i canoni formali da introdurre nei loro progetti e nelle loro realizzazioni. SECESSION • La scuola muta la sua linea di condotta quando esplode la secessione. L’associazione dei pittori e degli scultori della secessione nasce nel 1897, quando alcuni giovani artisti con a capo Klimt si distaccano radicalmente dall’ambiente intellettuale ancora vicino al gusto eclettico e accademico. Organo ufficiale di questo movimento è la rivista Ver Sacrum (primavera sacra). Già dalla copertina viene evocata una forte volontà di cambiamento , con la rappresentazione di un alberello che crescendo frantuma con le sue radici il vaso che lo contiene. Questa secessione decreta il ridimensionamento ed il declino della prestigiosa scuola. GUSTAV KLIMT (1862-1918) • Klimt è uno dei maggiori esponenti della secessione viennese. Nasce nel 1862 a Baumgarten. Sceglie di non iscriversi all’accademia di belle arti e di studiare alla meno prestigiosa scuola di arti decorative di Vienna; rispetto all’accademia, dove è importante lo studio della forma e la copia dall’antico, la scuola insegna un uso più immediato ed artigianale dell’arte. Nel 1903 visita Ravenna, riportandone una suggestione talmente profonda da avere notevoli ripercussioni sul suo stile e sulle sue scelte espressive. La sua ultima attività coincide con i dolorosi anni della prima guerra mondiale. Klimt muore nel 1918 e non può quindi assistere allo sfascio dell’impero austro-ungarico. • Le sue opere: 1) IDILLIO (pag 247) → 1884. È una trasposizione pittorica di un disegno della serie Allegorie ed emblemi, una pubblicazione avente lo scopo di fornire agli artisti un insieme di soggetti tra i più disparati, lOMoAR cPSD|8219228 50 desunti dalla vita e dalle attività dell'uomo, validi quali suggerimenti per ogni genere di decorazione. Il dipinto è costruito guardando al Rinascimento italiano. Infatti l'impianto architettonico, il tondo e i nudi sono un adattamento di analoghi elementi della volta della Cappella Sistina. Ma l'atteggiamento sognante, languido, ambiguo e malizioso dei due giovani ignudi priva di ogni contenuto la monumentalità michelangiolesca, riducendola a puro pretesto ornamentale. La novità, invece, sta tutta nella cornice interna, che si sviluppa con un motivo a fiori e uccelli, e nel graticcio a fiori e foglie dello sfondo che costituiscono un sicuro punto di partenza per gli sviluppi in senso decorativo delle opere successive di Klimt. 2) PAESAGGI (pag 248) → A partire dal 1900 Klimt si dedica con grande successo anche al paesaggio.. Klimt studia le possibili vedute guardando attraverso il suo «mirino»: un cartoncino rettangolare in una parte del quale aveva ritagliato una superficie perfettamente quadrata. L'effetto originato dal formato quadrato è anche quello di dare l'impressione che il soggetto raffigurato prosegua oltre i margini della tela. A questo fine concorre anche il modo in cui il soggetto è dipinto: senza lasciare spazio al cielo o a vuoti, ponendo molto in alto la linea dell'orizzonte che a volte sconfina verso il margine superiore della tela; questa, inoltre, viene saturata solitamente con piccoli tocchi che riprendono la tecnica divisionista. o È il caso di Faggeta I, una tela quadrata che racchiude uno spazio limitato di un bosco d'autunno. Le foglie cadute, nei toni caldi del giallo, dell'ocra e del rosso, che per tratti si mischiano al blu e al verde, ricoprono lo strato vegetale superficiale trasformandolo in un tappeto fin dove arriva lo sguardo. Solo un po' di spazio viene lasciato al chiarore del cielo, che appena filtra nel fitto degli alberi. L'accordo cromatico dà luogo a uno sfondo sostanzialmente bidimensionale. I fusti, sottili e lievemente ondulati, dalle cortecce grigie appena aggredite dal verde del muschio e toccate dal sole del matti-no, risaltando contro il fondo di foglie, sono spaziati nel primo piano, per affastellarsi in quelli successivi, chiudendo, come una cortina, il margine superiore della tela e suggerendo, essi soli, la profondità 3) GIUDITTA (pag 249) → già dalla fine del 1800 l’arte di Klimt si orienta verso un disegno rigoroso ed armonico, arricchito da un preziosismo quasi gotico, con un uso del colore volto a sottolineare le trasparenze e dove il gusto per la decorazione è indirizzato verso la bidimensionalità. Giuditta I è del 1901. Il soggetto biblico è posto in subalternità, mentre il corpo dell’eroina nuda ed il potere del suo sguardo sono un inno alla bellezza femminile, l’invenzione della femme fatale, cioè di una personalità femminile seducente, forte e dominatrice. Questa interpretazione con gli anni si fa sempre più diffusa, tanto che Klimt stesso confonde Giuditta e Salomè, cioè l’eroina biblica e l’espressione dell’erotismo spregiudicato e fosco, come appare in Giuditta II (Salomè) del 1909. In questa seconda opera le forme della donna, dal corpo quasi snodato e dal seno nudo, rivelano un definitivo passaggio dalla prescelta dal cielo per compiere una missione salvifica (Giuditta) all’incarnazione della passione che sconfina nella morte (Salomè). Nella Giuditta I, la donna è frontale ed immobile, con gli occhi e le labbra socchiusi, in atteggiamento di sfida mentre mostra la testa mozzata di Oloferne. Il collier che ha al collo è chiaramente di gusto art nouveau. Non c’è linea di contorno ed il corpo di Giuditta sfuma delicatamente e si confonde con lo sfondo. Sull’oro dello sfondo insiste un disegno geometrico a elementi naturalistici molto semplificati e stilizzati e la cornice è parte integrante del dipinto stesso. Klimt inizia in questi anni ad usare la foglia d’oro, scelta espressiva che si conferma con maggior vigore dopo il viaggio a Ravenna. 4) RITRATTO DI ADELE BLOCH-BAUER (pag 251) → questo ritratto è del 1907. Rappresenta il vertice del periodo d’oro di Klimt (1905-1907). Il dipinto che ritrae Adele Bloch-Bauer, moglie di un ricco industriale e collezionista viennese ebreo, fu requisito dai nazisti e successivamente esposto a Vienna divenendo il simbolo non solo della città, ma anche dell'Austria di fine secolo. L'abbondanza del metallo prezioso impiegato nelle tele degli anni precedenti non riesce a competere con quella profusa nel ritratto di AdeleBloch-Bauer. La foglia d'oro satura la grande tela e nel piano di fondo suggerisce l'effetto di un pulviscolo dorato che rinvia ai giochi di luce delle tessere di un mosaico. L'opera, in tal modo, sembra solo porzione di una superficie senza confini, conseguenza anche del formato perfettamente quadrato della tela. Tale formato contribuisce alla qualità altamente ornamentale del dipinto, riprendendo il motivo del decoro a piccoli quadrati della poltrona e del fondo, e sottolineando, inoltre, la centralità dell'immagine in cui l'artista amalgama i pochi caratteri naturalistici (il volto, le spalle, le lOMoAR cPSD|8219228 51 braccia e le mani della giovane donna) con l'esuberante decoro bidimensionale. La figura si smaterializza così in un insieme geometrico in cui l'abito con motivi a occhi entro triangoli, quadrati, spirali e piccoli triangoli a mo' di goccia, si fonde con la tappezzeria a successioni di girali dei braccioli della poltrona e, ancor più, con i disegni dello schienale curvilineo contro il quale sono appoggiati dei cuscini. La spalliera, che, in basso, si apre a campana definisce una sorta di grande aureola attorno al busto della donna. La parte dell'abito decorata a occhi e triangoli si conforma a un contorno di linee curve che disegnano il corpo di Adele Bloch-Bauer, ma che, allo stesso tempo, partecipano, proprio con quei decori, a far dubitare che l'esile, ricca signora viennese sia davvero seduta e non invece in una posa stante. 5) IL BACIO (pag 252) → Anche Il bacio, una tela del 1907-1908, risente del preziosismo decorativo basato sull'impiego dell'oro in foglia. Il dipinto è anch'esso di formato quadrato. La tela mostra due amanti abbracciati che si stanno baciando. Inginocchiati su uno sperone fiorito, quasi in bilico su un vuoto dorato, essi sono circondati da un'aura d'oro a girali che si mischia ai fiori azzurri, gialli e viola che ricoprono lo sperone. Le porzioni naturalistiche qui sono ridotte all'essenziale (le teste e le mani dei due, le gambe e i piedi della donna). Tutto il resto è colore, ma, soprattutto, oro. Con un trattamento diversificato, però. Infatti, nel caso dell'uomo (il cui modello è l'artista stesso), piegato verso la giovane donna, la lunga veste che lo copre interamente è trattata con un ornamento a rettangoli dorati alternati ad altri ora scuri, ora grigi. Nel caso della donna (che ha i tratti della compagna di Klimt), il corpo è reso identificabile per un trattamento dell'oro a onde parallele e per l'inserzione di ovali di colore con ornamenti ad anelli. Tutto si concentra attorno all'abbraccio: l'uomo e la donna che si stringono hanno le teste coronate di foglie d'edera e di fiori, a simboleggiare uno stato edenico e primordiale in cui nulla esiste se non attraverso la forza creatrice dell'amore e dell'eros. 6) DANAE (pag 253) → questo olio è del 1907-1908. Il corpo della fanciulla si modella in una spirale ellittica racchiusa dal perimetro della tela. Danae è abbandonata al sonno ed è nuda. Una massa di capelli rossi le incornicia la testa. Le cosce grandi e le labbra rosse e carnose sottolineano l’eroticità del dipinto. Il flusso di una copiosa pioggia dorata (metamorfosi di Zeus) scivola su di lei, sensuale e portatore di nuova vita. 7) LO STILE FIORITO (pag 254) → Tra il 1909 e il 1911 Gustav Klimt viaggiò spesso in Europa ed ebbe così modo di conoscere i dipinti di Tou-louse-Lautrec, di Matisse e dei Fauves. L'incontro con l'arte fauve fu per lui una rivelazione in un momento di crisi e di dubbi. I colori violenti di Henry Matisse rigenerano profondamente il linguaggio dell'artista austriaco conducendolo a sostituire le minuzie decorative lineari e il rigore della geometria con getti di colore dagli arditi accostamenti e dall'inesauribile ricchezza cromatica. Ha inizio quel periodo solitamente definito «stile fiorito». Quanto ai ritratti femminili, a partire dal 1912- e significativamente da un secondo Ritratto di Adele Bloch-Bauer - Klimt si concentra sulla fantasmagoria delle stoffe degli abiti, alla quale non erano estranee suggestioni dalle stampe giapponesi (collezionate in gran numero dall'artista, che ne aveva anche esposte alcune sulle pareti dello studio) I FAUVES E HENRI MATISSE (1869-1954) • Nel 1905 a Parigi apre la terza edizione del Salon d’Automne. Nell’ottava sala del Salon espongono le loro opere i cosiddetti Fauves (Belve), definiti così per i colori violenti che usano. Il gruppo dei fauves non è un movimento ma ha alcuni tratti in comune: o il dipinto deve dare spazio essenzialmente al colore; o non bisogna dipingere secondo l’impressione, ma in relazione al proprio sentire interiore; o si deve esprimere se stessi e rappresentare le cose solo dopo averle fatte proprie; o la pittura, dando corpo alle sensazioni dell’artista di fronte all’oggetto da riprodurre, deve essere istintiva e immediata; o il colore va svincolato dalla realtà che rappresenta. • Consegue che l’interesse dell’artista non deve mai essere indirizzato verso la riproduzione realistica della natura, senza paura di sconfinare nell’antinaturalismo lOMoAR cPSD|8219228 54 ripetutamente anche sull'immagine dello scheletro, proiezione dell'esperienza della morte da parte di Ensor (nel 1887 scompaiono il padre e la nonna materna; lutti cui era seguita una malattia dell'artista) • La complessa figura di Ensor sfugge alle classificazioni. Se da un lato l'artista partecipa al clima simbolista dell'ultimo ventennio dell'Ottocento, dall'altro si dimostra in anticipo sui tempi, aprendo la strada ad alcune tendenze del XX secolo quali l'Espressionismo e il Surrealismo • Le sue opere: 1) L'ENTRATA DI CRISTO A BRUXELLES (pag 262) → 1888. Con questa tela monumentale realizza un vero e proprio manifesto, in cui religione, politica, satira, arte s'intrecciano in una complessità di significati. Il grottesco e la caricatura sono audacemente trasposti nelle grandi dimensioni della pittura di storia, in una contaminazione estetica che richiama, con l'appiattimento delle forme, anche la contemporanea fioritura del manifesto pubblicitario. Ispirato dal racconto biblico dell'ingresso di Gesù a Gerusalemme, l'artista ambienta la scena in un boulevard della Bruxelles del 1888. Cavalcando un asino e in atteggiamento benedicente, il Salvatore al centro della tela è soltanto un puntino in mezzo alla folla, una massa carnevalesca immensa e variopinta che rappresenta uno spaccato della società dell'epoca: la Chiesa, la classe politica, l'esercito, la giustizia, le classi popolari. La figura del Cristo non rappresenta tanto un' aspirazione di carattere religioso, quanto la speranza di un riscatto degli strati più bassi della società. La stessa tensione coinvolge anche l'artista il quale, riferendosi alla sua contrastata affermazione in campo artistico, arriva addirittura a identificarsi nel Messia cristiano, prestandogli le fattezze. Nascosta sotto le maschere o a viso scoperto (molti volti sono veri e propri ritratti), la folla appare indifferente a quel che accade. Il corteo è aperto da un grande striscione rosso che porta scritto Viva il sociale, interpretato come un'allusione ai progetti di riforma sociale che attraversavano il dibattito politico dell'epoca. La banda che precede il Messia, invece, avanza dietro a uno stendardo che reca scritto Fanfara dottrinaria, a indicare i pericoli dell'indottrinamento delle masse. Da un palco sulla destra, un rappresentante politico e alcuni pagliacci osservano il corteo; sotto è visibile un cartello che proclama Viva Gesù, re di Bruxelles. Stilisticamente, la tela è una risposta alla tecnica puntinista di Un dimanche après-midi à l'Ile de la Grande Jatte di George Seurat, che aveva trionfato l'anna prima al Salon des XX di Bruxelles, gettando Ense in una profonda crisi umana e artistica: alla stesura metodica dell'opera del neoimpressionista francese, Ensor oppone una grande libertà nell'uso del colore, distribuito con violenza in grandi masse. 2) AUTORITRATTO CON MASCHERE (pag 263) → eseguito nel 1937, testimonia la predilezione per il piccolo e medio formato che caratterizza l'ultimo ventennio della produzione dell'artista. Ensor si ritrae vecchio nella posa del pittore, con la tavolozza e il pennello in mano. Vestito con una certa eleganza calca in testa una bombetta, Leggermente voltato di tre quarti e con lo sguardo rivolto verso lo spettatore, sta dipingendo uno dei suoi soggetti più amati: quattro vivaci maschere cinesi. La scena risalta sul fondo quasi interamente occupato dal celeste della tela, tranne che per una striscia rossa sulla destra. Soggetti di un quadro nel quadro, le maschere sembrano qui prendere vita e sconfinare nel mondo reale, in un carnevale che il pittore non ha mai smesso di dipingere EDVARD MUNCH(1863-1944) • Munch nasce in Norvegia, nel 1863. Si trasferisce poi con la famiglia ad Oslo ed in breve perde la madre e la sorella per via della tubercolosi. Dal 1880 studia alla scuola reale di pittura della città e la sua prima formazione risente dell’impostazione naturalistica dei suoi maestri. Entra poi in contatto con gli impressionisti e quindi illumina la sua tavolozza, anche se continua a non praticare la pittura en plein air. Nel 1892, espone a Berlino molti suoi dipinti e riceve un giudizio molto drastico, al punto che la mostra viene in breve sospesa. A Parigi, tra il 1895 ed il 1986, espone con discreto successo al Salon des artistes independant, frequentando Toulouse-Lautrec e i postimpressionisti francesi. Nel 1899 partecipa alla biennale di Venezia ed è fra gli ospiti d’onore della secessione di Vienna. Dal 1914, la critica è matura per accettare la sua arte. Nel 1937 alcune delle sue opere vengono distrutte perché Hitler le considera degenerate. Muore nel 1944 vicino Oslo. lOMoAR cPSD|8219228 55 • Munch è suggestionato dalla filosofia esistenzialista di Kierkegaard e dai drammi di Ibsen e Strindberg. Ha una visione della realtà permeata dal senso incombente e angoscioso della morte; la precoce perdita della madre e della sorella influenzano sicuramente questa sua idea pessimista. Le sue teorie pittoriche anticipano di un decennio quelli che saranno gli esiti dell’espressionismo. • Le sue opere: 1) LA FANCIULLA MALATA (pag 264) → questa opera del 1885 ricorda con agonia la prematura scomparsa della sorella Sophie. La scena rappresenta una ragazza dai capelli rossi a letto con le spalle appoggiate a un enorme cuscino bianco. Accanto vi è una figura femminile dal capo reclinato. I due personaggi sono muti. L’intreccio delle mani delle due donne costituisce il centro narrativo del dipinto e ricade all’incrocio delle due diagonali. La prospettiva della stanza è angusta e le uniche luminosità provengono dal cuscino e dal viso pallido della ragazza. Munch alterna l’uso di colori molto asciutti, che fanno intravedere la tela sottostante, a stesure più corpose, per indirizzare l’attenzione dell’osservatore al doloroso tema dell’opera. 2) SERA NEL CORSO KARL JOHANN (pag 265) → Munch vuole rappresentare gli stati d’animo ed i personaggi non sono altro che involucri di passioni o di angosce. Ciò è evidente in questo dipinto del 1892, esposto alla fallimentare mostra di Berlino. La prospettiva degli edifici è incerta e sbilenca, con un punto di fuga molto lontano. Munch rappresenta il rito del passeggio, tipico dell’ambiente borghese, come un’orrida processione di spettri dagli occhi sbarrati. Dell’umanità dei personaggi rimangono solo gli attributi esteriori: i cilindri degli uomini ed i cappellini delle donne; i volti sono invece maschere scheletriche, oscure incarnazioni di forze misteriose e spaventevoli. Si tratta di un feroce attacco alla borghesia e alle sue vuote ritualità. L’unica figura in disarmonia con il resto della scena è quella solitaria sulla destra in ombra; è l’artista stesso che, incurante del consenso della massa, va controcorrente anche a costo dell’emarginazione e dello scherno. L’uso espressionista del colore si riscontra nell’ombra viola al lato destro della strada. 3) IL GRIDO (pag 266) → in questo dipinto del 1893 il simbolismo di Munch si fa più maturo ed angosciante. La scena è autobiografica (Munch che passeggia con alcuni amici ed assiste spaventato ad un tramonto rosso fuoco) e ricca di riferimenti simbolici: l’uomo in primo piano esprime nella sua solitudine il dramma collettivo dell’umanità intera; il ponte richiama gli ostacoli che tutti dobbiamo superare nel corso della vita; gli amici che continuano tranquillamente a camminare, incuranti dello sgomento, rappresentano con cruda disillusione la falsità dei rapporti umani. La forma perde qualsiasi residuo naturalistico, diventando preda delle angosce più profonde dell’artista. L’uomo che urla è un essere serpentinato, scheletrico, fatto della stessa materia di cui è composto il cielo rosso. La testa è un enorme cranio senza capelli; le narici sono due fori, gli occhi sbarrati sembrano aver visto qualcosa di abominevole, le labbra nere rimandano alla morte. 4) PUBERTA’ (pag 267) → il soggetto di questa opera del 1893 è un’adolescente nuda seduta su un letto appena rifatto, simbolo di una verginità ancora intatta. Il corpo della ragazza è ancora sessualmente acerbo. Lo sguardo è fisso, sbigottito, e le braccia si incrociano pudicamente sul pube in un gesto di vergogna. Vediamo nei suoi occhi il rimpianto per la fanciullezza quasi perduta e la contemporanea angoscia per una maturità alla quale non ci si sente ancora preparati. Il senso di angoscia è materializzato nella cupa ombra proiettata sul muro 5) MODELLA CON SEDIA DI VIMINI (pag 267) → questa opera del 1919-1921 appartiene all’ultima fase della produzione artistica di Munch. La scena è occupata quasi per intero da una modella nuda in piedi, con il corpo ruotato frontalmente di tre quarti, le braccia distese lungo i fianchi e la testa dai lunghi capelli scomposti reclinata verso il basso. A sinistra la sedia di vimini è coperta da un tappeto decorato a vivaci motivi geometrici. Contrariamente a quasi tutti i dipinti dell’artista, i colori qui sono luminosi e sgargianti e quindi le suggestioni espressioniste sono più che evidenti. Questo è ben visibile nel corpo della donna e nell’ambientazione sullo sfondo. IL GRUPPO DIE BRUCKE lOMoAR cPSD|8219228 56 • Nel 1905, quattro studenti di architettura dell’università di Dresda interrompono i propri studi per dedicarsi esclusivamente alla pittura. Nasce così il Die Brucke (“il ponte”); i suoi affiliati possono anche non essere artisti, ma devono pagare una modesta somma per entrarvi. Tra i suoi fondatori ci sono Kirchner e Hexkel. • Die brucke vuole porsi come ideale ponte tra vecchio e nuovo, contrapponendo all’ottocento realista e impressionista un novecento violentemente espressionista e antinaturalista; i promotori del gruppo sono imbevuti della filosofia di Nietzsche. Questa ideologia va avanti fino al 1913. • L’elemento che accomuna tutte le personalità del gruppo è l’impulso creativo, anche sul piano tecnico. I soggetti dipinti sono abbastanza omogenei: scene di realtà metropolitana, nudi nel paesaggio o in interni, gruppi di ballerine, scene di circo. In ogni caso, ricorrono un’esagerata enfatizzazione dei colori e una voluta spigolosità delle forme, sempre percorse da un’ironia sottile e dolorosa, a volte anche macabra. ERNST LUDWIG KIRCHNER (1880-1938) • Kirchner è l’ispiratore ed il primo animatore della Brucke. La sua formazione attinge all’incisione del cinquecento tedesco, all’arte primitiva e al gusto per le stampe giapponesi; sono forti anche le suggestioni che ricava dall’espressionismo coloristico di Gauguin e Van Gogh e da quello psicologico di Munch. • Le sue opere: 1) DUE DONNE PER STRADA (pag 269) → del 1910. Rappresenta due prostitute in attesa di sera a Berlino; queste sono agghindate con pellicce vistose ed esagerati cappelli piumati, hanno contorni affilati come coltelli che riprendono un po’ le maschere magiche dell’arte primitiva. Kirchner interpreta queste figure come forme angolose e spettrali , simbolo grottesco della degenerazione moral e dell’inaridirsi dei sentimenti umani. La composizione si basa su forme assimilabili a triangoli e la colorazione è fortemente antinaturalistica. ERICH HECKEL (1883-1970) • Heckel è il teorico del gruppo ed è anch’egli suggestionato dall’espressionismo di Munch. Matura uno stile angoloso e tagliente, che si ammorbidisce solo dopo il 1920. Parte infatti da un intenso colorismo alla Van Gogh per approdare, fin dal 1908, a una semplificazione geometrica delle forme e a un rigoroso controllo del colore. • Le sue opere: 1) GIORNATA LIMPIDA (pag 270) → del 1913: ripropone il tema ottocentesco di una fanciulla che fa il bagno in uno specchio d’acqua, in termini però di contrapposizione tra uomo e natura; la natura è altamente spigolosa (rocce aguzze) e ad essa si contrappongono le rotondità (ispirate alle Veneri preistoriche) dei seni e del ventre della donna. Le nubi squadrate e pungenti che si riflettono come lame nell’azzurro intenso dell’acqua rimandano al tema del cristallo, uno dei più cari all’espressionismo tedesco. Non si percepisce interruzione fra aria e acqua, cosicché sono solo i riflessi a suggerisci la differenza. EMIL NOLDE (1867-1956) • Nolde si unisce al gruppo solo nel 1906. Proviene dalle arti applicate ed ammira molto Van Gogh e Munch e, come Gauguin, effettua un viaggio tra le culture primitive del Pacifico. Molti dei suoi soggetti sono a sfondo religioso e nella loro crudezza rimandano alla tradizione germanica primitiva e alle suggestioni dei bestiari medioevali. • Le sue opere 1) GLI ORAFI (pag 271) → del 1919: i due personaggi sono gettati sulla tela con forza istintiva e sanguigna vitalità. La scena rappresenta due uomini barbuti a mezzobusto che sono due orafi colti di fronte e di tre quarti. Quest’ultimo è caratterizzato da un volto affilato la cui triangolarità è lOMoAR cPSD|8219228 59 L’INIZIO DELL’ARTE CONTEMPORANEA. IL CUBISMO IL NOVECENTO DELLE AVANGUARDIE STORICHE • La prima guerra mondiale sancisce la fine della Belle époque, il crollo degli imperi centrali di Prussia ed Austria-Ungheria e il primo affacciarsi sulla scena internazionale della nascente potenza degli Stati Uniti. • Le esperienze artistiche del primo novecento maturano in un contesto generale ricco di incertezze e contraddizioni. L’arte non deve più trovare le proprie motivazioni solo nella realtà visibile, ma può aprire la propria indagine anche al campo sconfinato della realtà interiore e del sogno; questo grazie agli studi che sta compiendo al momento Freud sull’inconscio. Inoltre, grazie ai nuovi orizzonti scientifici della scienza (Einstein) e del pensiero filosofico (Bergson), che fanno intravedere infinite altre realtà parallele, l’arte si apre ad un universo di ricerche e di sperimentazioni mai tentate prima. • In questo contesto maturano le avanguardie storiche, gruppi di artisti innovatori che intuiscono nuove prospettive di sviluppo artistico e le perseguono con forza e determinazione e che si concentrano in un arco di tempo relativamente breve. Tra le avanguardie storiche si annoverano i Fauves, l’espressionismo, e soprattutto il cubismo, il futurismo, il dada, il surrealismo, l’astrattismo e la metafisica. IL CUBISMO • I cubisti pongono pittura e natura sullo stesso piano; questo significa che si attribuisce alla pittura una dignità e un’autonomia mai pensate prima. Prima infatti con l’arte classica la pittura era solo imitatrice della natura. I pittori cubisti non cercano di compiacere l’occhio di chi osserva le opere imitando la realtà, né, come facevano gli impressionisti, tentando di interpretarne le suggestioni. Essi invece si sforzano di costruire una realtà nuova e diversa, non necessariamente simile a quella che vediamo. La riproduzione prospettica di un qualsiasi oggetto può apparirci verosimile, ma la verità di quell’oggetto è lontanissima, perché la realtà che percepiamo tramite il senso della vista è spesso molto diversa dalla realtà vera. • La realtà cubista, inoltre, cerca di tenere conto anche del tempo, una variabile molto difficile da rappresentare con i mezzi delle arti figurative; questo aspetto è in comune con il futurismo. Per poter osservare un oggetto da più punti di vista occorre muoversi attorno ad esso; per muoversi si impiega del tempo ed è così che la variabile temporale entra nel processo di produzione artistica, consentendo di rappresentare contemporaneamente momenti diversi di una medesima scena. • Il nome del movimento deriva dall’uso cubista di scomporre la realtà in piani e volumi elementari, assimilabili a cubetti. Un critico definì ironicamente i paesaggi di Braque come composti da banali cubi. Fu così che anche il cubismo come l’impressionismo assunse il nome che gli venne conferito per scherno. • I fondatori del cubismo sono Picasso e Braque. La storia del cubismo si intreccia indissolubilmente con quella dei suoi due fondatori, che diventano amici nel 1907 e lo rimangono per tutta la vita. Nel 1907 si fa convenzionalmente iniziare il cubismo ed è anche l’anno in cui Picasso dipinge Les demoiselles d’Avignon; inoltre si tiene a Parigi una grande mostra retrospettiva dedicata a Cezanne, la cui pittura esercita un influsso fondamentale su quella cubista. Quando scoppia la prima guerra mondiale finisce la stagione del cubismo, perché le strade dei fondatori si dividono: Braque viene chiamato al fronte, mentre Picasso rimane a Parigi a lavorare in solitudine. • Influsso di Cezanne → lo spazio pittorico di cezanne scandito e fortemente geometrizzato, costituisce l’indispensabile premessa alla grande rivoluzione cubista. Già intorno al 1815 infatti individua i soggetti dei suoi dipinti attraverso piccole pennellate di colore giustapposte che riducono la percezione della realtà a un fitto conglomerato di colorati volumi elementari interconnessi. Sul finire del secolo il gioco dei volumi diventa ancora più evidente. • Possiamo individuare due momenti del cubismo: lOMoAR cPSD|8219228 60 1. cubismo analitico → iniziato nel 1909, è il momento di massimo splendore del movimento, quello cioè in cui l’amicizia tra Braque e Picasso è talmente intensa che le rispettive opere risultano indistinguibili. Consiste nello scomporre i semplici oggetti dell’esperienza quotidiana secondo i principali piani che li compongono; questi piani, variamente ruotati, incastrati e sovrapposti, vengono poi distesi e ricomposti sulla tela. I colori impiegati in queste operazioni sono di solito terrosi e di tonalità neutra, in modo da non interferire con la comprensione delle forme. 2. cubismo sintetico → tra il 1912 ed il 1913, Braque e Picasso indirizzano le loro ricerche verso una ricomposizione degli oggetti precedentemente frammentati in oggetti nuovi e spesso fantastici. In questo secondo passaggio acquista un ruolo fondamentale Gris. In questa fase, gli artisti creano forme e situazioni che non hanno più alcun rapporto con quelle già note, anche se di esse si conservano a volte alcune caratteristiche distintive e in qualche sempre ben riconoscibili. • Per sottolineare il diverso uso che è possibile fare dei frammenti di realtà derivati dalla scomposizione analitica, Braque inventa la tecnica dei papiers collés (carte incollate) e Picasso quella dei collages (incollaggi). Nel primo caso vengono applicati sulla tela ritagli di giornali e di carte da parati di varie qualità e colori mentre nel secondo si utilizzano anche materiali eterogenei quali stoffa, paglia, gesso o legno. Così, i due artisti tentano di scindere la forma dal colore. PABLO PICASSO (1881-1973) • Picasso nasce a Malaga nel 1881. Suo padre insegna nella scuola locale d’arte e lo avvia all’apprendistato artistico. A 14 anni espone il suo primo dipinto a Barcellona, ottenendo anche il consenso della critica. Nel 1891 Picasso frequenta la scuola d’arti e mestieri di La Coruna e nel 1895 viene ammesso all’accademia di belle arti di Barcellona. Due anni dopo frequenta anche l’accademia di Madrid. Presto, l’artista si stacca dalla famiglia e compie diversi viaggi in Catalogna; tornato a Madrid, frequenta assiduamente il museo del Prado, dove studia i pittori spagnoli del passato, soprattutto Velazquez e Goya. Nel 1900 si reca per la prima volta a Parigi, dove rimane per quasi 50 anni. Alla fine della prima guerra mondiale, Picasso alterna grandi dipinti monumentali a vivaci riprese cubiste. Nel 1921, Picasso ritorna alla figurazione (= ritorno all’ordine) dopo un viaggio in Italia, dove riscopre la figura classica. Nel 1925 partecipa alla prima mostra surrealista alla Galerie Pierre di Parigi e negli anni 30 allarga l’esperienza surrealista anche alla scultura. Picasso muore in Costa Azzurra nel 1973. • La carriera di Picasso può essere divisa in varie fasi: o periodo blu → nel 1901 la pittura di Picasso, che fino ad ora non ha maturato uno stile personale oscillando tra l’ammirazione per Cezanne e le tematiche postimpressioniste, ha una prima svolta decisiva. Si inaugura infatti, dopo la morte di un caro amico dell’artista, il periodo blu, che si protrae fino al 1904. Si tratta di un tipo di pittura giocato sui colori freddi come blu, azzurro, grigio, turchino; i temi attingono ad un repertorio di personaggi poveri e malinconici, segnati dal dolore e sconfitti dalla vita. o periodo rosa → dal 1905 la tavolozza di Picasso cambia tono e subentrano le tiepide gradazioni di rosa, ocra e arancio, probabilmente in coincidenza con un periodo felice per l’artista: a Parigi sta iniziando infatti a riscuotere qualche successo e conosce la prima donna importante della sua vita. Inizia così il secondo momento importante della sua maturazione artistica: il periodo rosa. Al mondo degli sfruttati e degli emarginati del periodo blu si sostituiscono soggetti ripresi dall’ambiente del circo e dei saltimbanchi. o periodo africano → la fine del 1906 segna invece il periodo africano, definito anche epoca negra, nel corso del quale Picasso si interessa in modo approfondito della scultura rituale africana e polinesiana. In queste opere egli ricerca le testimonianze di un’umanità spontanea ed incorrotta, non contaminata dalla troppa ideologia e dai condizionamenti sociali e culturali occidentali. o cubismo analitico → nel 1907, Picasso espone les demoiselles d’Avignon, l’opera capostipite del cubismo. Le opere di Picasso e di Braque sono spesso indistinguibili in questa fase. o cubismo sintetico → il cubismo sintetico si colloca tra il 1912 ed il 1913 ed è ora che si precisano le diversità stilistiche dei due artisti. È il periodo più intenso e felice del cubismo picassiano: i colori lOMoAR cPSD|8219228 61 sono brillanti e le superfici perfettamente piatte; l’uso del collage dà ad ogni composizione un significato nuovo e provocatorio. • Le sue opere: 1) POVERI IN RIVA AL MARE (pag 286) → questa opera del 1903 risale al primo periodo blu. I tre personaggi, scalzi ed infreddoliti, sono una dolorosa metafora della sacra famiglia. Comunque, nonostante il loro misero aspetto essi spiccano per la dignità monumentale che assumono. La severa figura della madre ricorda la solida volumetria di certe donne giottesche. Nonostante una tavolozza quasi monocroma, l’artista riesce a diversificare i tre elementi della natura: terra (spiaggia), acqua (mare) e aria (cielo). Le 3 fasce orizzontali che vengono così a crearsi contrastano nella loro geometrica uniformità con i 3 personaggi in primo piano, contribuendo a isolarli nella scena al fine di sottolineare ulteriormente il loro muto dramma. 2) FAMIGLIA DI SALTIMBANCHI (pag 287) → questa opera del 1905 appartiene al periodo rosa. I sei personaggi sono colti in un momento di silenziosa attesa e la loro serietà pensosa stride con la variopinta stravaganza dei costumi di scena che indossano. Picasso interpreta la dura quotidianità di clown, acrobati e giocolieri con grande sensibilità e discrezione, mettendone in evidenza la misera vita di poveri girovaghi. Si autoritrae nell’arlecchino di spalle, che tiene per mano una bambina con il tutù che ricorda le ballerine di Degas. Il paesaggio deserto e desolato contribuisce a sottolineare la solitudine dei personaggi. 3) LES DEMOISELLES D’AVIGNON (pag 288) → questa opera viene realizzata tra il 1906 ed il 1907. Picasso parte dalle solide volumetrie di Cezanne e semplifica le geometrie dei corpi (che rappresentano cinque prostitute) coinvolgendo in questa semplificazione anche lo spazio. Quest’ultimo infatti è inteso come un oggetto al pari degli altri, da scomporre secondo i taglienti piani geometrici che lo delimitano. Lo stesso procedimento viene applicato anche alla natura morta in primo piano. Le figure femminili non risultano immerse nello spazio, ma da esso compenetrate e sembrano costituite dalla stessa materia solida. I volti delle figure centrali sono ispirati alla scultura iberica, mentre quelli delle due figure di destra risentono dell’influsso delle maschere rituali africane. Vengono stravolte tutte le regole della prospettiva ma anche del senso comune, che sottintende sempre un punto di vista unico. La percezione della realtà non è più visiva, ma mentale, volta a rappresentare tutto ciò che c’è e non solo quello che si vede. Per questo motivo si vedono contemporaneamente due o più lati: è come se vi si girasse intorno, tentando poi di ricostruire le varie vedute sovrapponendole l’una all’altra. 4) RITRATTO DI AMBROISE VOLLARD (pag 290) → questo ritratto risale al 1909-1910, cioè al periodo del cubismo analitico. Vollard, collezionista e mercante d’arte, è un amico di Picasso. L’artista mira più al contenuto che all’apparenza, rinunciando a qualsiasi verosimiglianza fotografica. Questo non significa rifiutare in modo assoluto il concetto di ritratto, ma impone di scavare in profondità nella psicologia del modello, mettendone in luce solo le caratteristiche veramente significative al fine della conoscenza profonda dell’essenza stessa della realtà. La composizione è minutamente frastagliata e sia il personaggio che lo sfondo sono posti sullo stesso piano. Dalla materia indistinta dello sfondo fuoriescono e prendono piano piano forma la spaziosa fronte calva del collezionista, una bottiglia appoggiata al tavolo, un libro su uno scaffale, il giornale che sta leggendo e altri dettagli. In assenza di qualsiasi riferimento prospettico i concetti di davanti e dietro perdono ogni significato, per cui non desta stupore che il giornale non copra la giacca e che anche libro e bottiglia fluttuino sullo stesso piano spaziale. 5) NATURA MORTA CON SEDIA IMPAGLIATA (pag 291) → Braque e Picasso, nel periodo del cubismo sintetico, iniziano ad introdurre nelle loro opere anche lettere dell’alfabeto e numeri perché vogliono evitare di perdere ogni rapporto concreto con la realtà e sfociare nell’astrazione. Sempre per radicare nella realtà la propria pittura, Picasso inizia ad usare la tecnica del collage. Questa opera del 1912 è uno dei primi e più significativi collage di Picasso. Viene rappresentata una natura morta ambientata in un caffè parigino. Da destra verso sinistra ci sono un limone tagliato, un’ostrica, un bicchiere scomposto analiticamente, un giornale e una pipa. I colori sono sui toni dei bruni e si intonano al ritaglio di tela cerata che rappresenta con realismo fotografico l’impagliatura di una sedia. L’artista distrugge ogni lOMoAR cPSD|8219228 64 testata di un giornale. La pipa, essendo ritagliata in una pagine di giornale, conserva solo la forma dell’oggetto al quale allude. Lo stesso accade per il violino, la cui sagoma è ricavata da un cartoncino nero 4) NATURA MORTA CON UVA E CLARINETTO (pag 299) → successivamente, Braque recupera il gusto per il colore. Questa natura morta è del 1927. In questa opera vediamo sia la meticolosa e ponderata scomposizione degli oggetti secondo i piani e le facce principali che li compongono, tipica del periodo analitico, sia l’altrettanto delicata separazione tra forme e colori del periodo sintetico. Il risultato generale è di grande equilibrio. Al centro di un tavolo composto da larghe campiture parallele di diversi colori è posta una fruttiera con una e pere. Sulla sx vi sono un calice e due carte da gioco, mentre un clarinetto attraversa diagonalmente la composizione, e pare spezzato dalla fruttiera. La fruttiera è vista di profilo e dall’alto. Il calice infine è visto di fianco JUAN GRIS (1887-1927) • Gris nasce a Madrid nel 1887 e studia alla scuola d’arte e industria della città. Nel 1904 abbandona la scuola per studiare pittura, sentendosi attratto dalla violenza cromatica dei fauves. Si trasferisce poi a Parigi, dove conosce Picasso ed Apollinaire. Nel 1911 si avvicina alle tematiche del cubismo, rimanendogli fedele anche quando Picasso e Braque lo abbandonano. Mette a punto un cubismo misurato e razionale, mediante il quale reinventa la realtà tramite una fortissima geometrizzazione delle sue forme. Gris muore a Boulogne- sur-Seine nel 1927. • Le sue opere: 1) RITRATTO DI PICASSO (pag 300) → in questa opera del 1912 è già forte l’impianto geometrico tipico di Gris. La frammentazione cubista dello spazio non avviene in modo casuale, ma attraverso piani rigorosamente inclinati secondo una delle diagonali del dipinto. Anche la testa proposta nella tipica visione cubista (frontale e laterale), è scomposta con la stessa logica diagonale. La terrosità dei colori che Picasso e Braque impiegano nei loro studi analitici appare qui attutita e rischiarata dalle tenui gradazioni azzurrine della figura, oltre che dalle simboliche notazioni di rosso, blu, giallo e verde della tavolozza che il personaggio ha in mano. 2) BICCHIERE E VIOLINO (pag 301) → l’impiego deciso del colore è evidente in questa opera del 1913. Risalta la preponderanza degli allineamenti geometrici lungo i quali il dipinto tende ordinatamente ad organizzarsi. Lo spazio viene annullato secondo regole precise e riconoscibili, per cui anche gli oggetti (bicchiere, tovaglia, spartito musicale, tavolo, violino, paviemnto) assumono una solenne monumentalità. 3) UVA (pag 301) → Anche Uva, una sgargiante natura morta costruita, elemento per elemento, con la consueta meticolosità compositiva risale al 1913. Al centro del dipinto spicca un'alta fruttiera che, oltre all'uva contiene anche delle pere, altro soggetto ricorrente nelle opere di Gris. Tutt'intorno, in un ordinato caleidoscopio di colori, ruotano dei bicchieri, una bottiglia, un giornale, un coltello e un altro grappolo d'uva, variamente intercalati e compenetrati da frammenti lignei di tavolo, stoffa di tovaglia 8 e mattonelle quadrate geometricamente scompartite. Questo desiderio di strutturare quasi architettonicamente le immagini, lasciando le forme geometriche essenziali sempre ben riconoscibili, al fine di sottrarsi a qualsiasi tentazione di fuga verso l'astrazione, costituisce un'ulteriore conferma di quel raffinato processo intellettuale mediante il quale Gris ha sempre cercato di restituire dignità e leggibilità agli oggetti delle sue composizioni. GLI ALTRI CUBISTI • Se il Cubismo nasce indiscutibilmente dal sodalizio iniziale e irripetibile fra Pablo Picasso e Georges Braque, in seguito i suoi sviluppi sono stati assai significativi non solo (e non tanto) per la sistematizzazione teorica del movimento (è del 1912 il saggio Du Cubisme di Albert-Léon Gleizes e Jean Metzinger), quanto soprattutto per il grandioso impulso che da essi verrà anche per tutte le successive lOMoAR cPSD|8219228 65 Avanguardie del Novecent (Futurismo, e Surrealismo ), a riconferma di quanto la rivoluzione iniziata da Picasso e Braque abbia segnato un vero e proprio spartiacque epocale FERNAND LÉGER (1881-1955) • Il francese Fernand Léger conosce Picasso e Braque nel 1910 e da allora inizia ad avvicinarsi al Cubismo, dopo un esordio artistico ancora legato alle suggestioni di Fauves e Impressionisti. • Le sue opere: 1) ELICHE (pag 302) → un olio del 1918, Léger precisa un proprio, riconoscibile approccio al Cubismo tramite una visione che utilizza forme geometriche elementari, prese spesso in prestito anche dal mondo delle macchine, dell'industria e dell'architettura, sullo sfondo di panorami metropolitani. Grandi e continui sono i riferimenti a Cézanne, del quale l'artista esaspera al massimo l'insegnamento, sciogliendo qualsiasi residuo di figurativismo in un metallico intrico di cilindri e di altri elementi geometrici fra loro variamente articolati. I colori, vividi e piatti, così come le nette ombreggiature delle superfici curve delle eliche, suggeriscono il senso di volumi quasi astratti, confermandolo in quel sentirsi orgogliosamente tubista, con una chiara allusione al costante predominare di forme tubolari anche nella sua produzione più tarda. ROBERT DELAUNAY (1885-1941) • Grazie a Robert-Victor-Félix Delaunay (Parigi, 1885-Montpellier, 1941) l'esperienza cubista si arricchisce di un ulteriore sfaccettatura, che Apollinaire battezza suggestivamente Orfismo, alludendo con ciò al mitico Orfeo, il cantore e poeta che, grazie alla lira donatagli dal dio Apollo, riusciva a suonare melodie così sublimi da ammansire le belve feroci e smuovere le montagne. Delaunay, influenzato inizialmente dal Postimpressionismo di Seurat, viene poi attratto dalla solida concretezza di Cézanne e, quindi, quasi per naturale evoluzione dal Cubismo, con il quale entra in contatto intorno al 1908 / 1909. Con il suo Orfismo (detto anche Cubismo orfico) l'artista tende a evocare atmosfere ricche di colori e suggestioni. Mentre i Cubisti storici tendevano a ridurre a pochi (due o tre al massimo) il numero dei colori, Delaunay si pone come erede del colorismo del Cézanne della Montagna Sainte-Victoire. • Le sue opere: 1) LA TOUR EIFFEL (pag 302) → fa parte di una serie di dipinti realizzati dall'artista nel corso di un quindicennio. Qui la rappresentazione della grandiosa costruzione metallica parigina assume anche un particolare carattere di liricità. Essa svetta innalzandosi sopra tutti gli altri edifici della metropoli moderna. La forte geometrizzazione compositiva, basata su un incastro di triangoli e la vivace policromia dei colori caldi, che spaziano dall'arancione al rosso, fino ai bruni, staccano con forza la torre dalle nuvole del cielo che, ridotte a riccioli e circoletti, si accordano sulle fredde tonalità contrapposte dei grigi e degli azzurri. 2) PRIMO DISCO SIMULTANEO (pag 303) → In seguito, gli esiti delle ricerche cromatiche portano Delaunay ai limiti estremi del Cubismo, in territori ormai prossimi a vere e proprie composizioni astratte. A questa fase di svolta appartiene il Primo disco simultaneo, nella cui realizzazione l'artista approfondisce in particolar modo lo studio dei colori complementari. Egli, infatti, non si limita più a giustapporli a due a due (come già faceva Seurat), ma cerca di accostarne contemporaneamente il maggior numero possibile, tenendo anche conto del fatto che i colori scuri tendono a sprofondare e quelli chiari a emergere. FRANTISEK KUPKA (1871-1957) • Sul fronte del Cubismo orfico si colloca anche il ceco Frantisek Kupka, Formatosi presso la Scuola di Belle Arti di Praga, si trasferisce a Vienna, dove frequenta lo stimolante ambiente artistico della Secessione. Poi decide di stabilirsi definitivamente a Parigi, partecipando attivamente al dibattito culturale in corso. Affascinato inizialmente dai colori dei Fauves, si avvicina in seguito al Cubismo (1911) e, in particolar modo, alle ricerche di Delaunay e alle teorie di Apollinaire. Mosso dalla volontà razionale di «liberare i colori dalla forma», si avventura anch'egli verso l'Astrattismo. lOMoAR cPSD|8219228 66 • Le sue opere: 1) I DISCHI DI NEWTON (pag 303) → del 1912, Kupka si ispira direttamente a un'esperienza scientifica che lo scienziato inglese realizzò nel 1672, costruendo uno strumento in grado di riprodurre, tramite uno specchio curvo e un vetro premutovi sopra, il fenomeno di iridescenza osservabile nelle bolle di sapone. L'artista, in altre parole, dà corpo e spessore ai colori dello spettro visivo generati per rifrazione della luce bianca attraverso il vetro e la lente, creando un meraviglioso gioco di toni che, come in un vortice, sembra anche alludere al moto perenne e perfetto dell'universo lOMoAR cPSD|8219228 69 • Boccioni nasce a Reggio Calabria nel 1882. Si stabilisce poi a Roma, dove approfondisce i propri interessi per la pittura e la letteratura. A Roma fa amicizia con Severini e con lui frequenta Balla, dal quale apprende la tecnica divisionista e il gusto per la pittura dal vero e per la luce. Nel 1907 si iscrive all’accademia di belle arti di Venezia ma poco dopo si trasferisce a Milano. Decisivo è l’incontro con Marinetti nel 1910: Boccioni aderisce al futurismo e collabora alla stesura del manifesto dei pittori e a quello tecnico della pittura. Nel 1914 pubblica Pittura scultura futuriste, importante testo teorico nel quale definisce i concetti fondamentali della pittura futurista e quelli di linea-forza, di dinamismo e di simultaneità. Viene chiamato a combattere nella prima guerra mondiale e muore cadendo da cavallo vicino Verona nel 1916. • Le sue opere: 1) LA CITTA’ CHE SALE (pag 310) → questa opera del 1910-11 è la prima a essere futurista e ha come soggetto un turbinoso affollarsi di cavalli da tiro e di operai. Lo scenario in cui si svolge questa battaglia di forze e di movimenti è quello della periferia urbana in espansione, con ciminiere fumanti e tram elettrici. Le forme centrali in primo piano alludono a dei cavalli da tiro condotti da alcuni operai, mentre le immagini più lontane alludono alla città in costruzione. In un primo momento lo sguardo viene attratto e quasi assorbito dall’intensità dei colori e solo successivamente anche le forme, pur prive di contorni riconoscibili, emergono dall’insieme. Con quest’opera Boccioni segna un passo decisivo nel processo di disgregazione delle leggi della rappresentazione. Il suo obiettivo è andare oltre la pura raffigurazione degli oggetti e dei personaggi, per approdare a un livello comunicativo più alto, quello dello stato d’animo. 2) STATI D’ANIMO (pag 312-313) → questa serie di opere è del 1911. L’artista realizza uno stesso evento (la gente che si saluta alla stazione), che si svolge nella stazione di una metropoli, nei suoi diversi risvolti emotivi. Il ciclo è composto da tre dipinti: Gli addii, Quelli che vanno, Quelli che restano. Esistono due diverse versioni di questo trittico: una precedente all’incontro con i cubisti e una subito successiva. In entrambe le versioni, anche se in forme diverse, sono presenti gli elementi essenziali della pittura di Boccioni, come la concezione della pittura come espressione di sensazioni o la riaffermazione del ruolo fondamentale della tecnica divisionista a cui unisce le linee-forza (linee che determinano lo slancio dinamico). o Nella prima versione degli addii, balza immediatamente agli occhi come la tecnica divisionista sia portata ai limiti estremi delle sue possibilità: le ondeggianti e nervose linee di colore sostituiscono l’originaria struttura puntiforme e acquistano la dimensione di masse cromatiche; lasciano appena intravedere due figure che si abbracciano in un movimento che sembra espandersi nello spazio. o La seconda versione degli addii, invece, risente molto dell’ esperienza cubista: figure sfaccettate, lontane da qualsiasi naturalismo, ripetono il gesto dell’abbraccio moltiplicandolo nello spazio; compare qui anche una locomotiva a vapore, riconoscibile solo per frammenti distinti e disarticolati. In questa opera è ben evidente la simultaneità di visione, che è uno dei principali criteri della pittura futurista. Il secondo criterio è quello della sintesi tra visione ottica (percezione) e visione mentale (comprensione). Il terzo criterio è il più tipicamente futurista e consiste nella compenetrazione dinamica, ossia in quella estrema vicinanza e sovrapposizione tra gli oggetti in cui si materializza l’idea di sinestesia (sollecitazione di più sensi contemporaneamente). Lo scopo di tutto ciò è portare lo spettatore al centro del quadro, perché la pittura non è più la rappresentazione di una certa realtà, ma diventa essa stessa un evento. LA RICOSTRUZIONE FUTURISTA DELL’UNIVERSO • Balla e Depero pubblicano nel 1915 il manifesto intitolato “Ricostruzione futurista dell’universo”. Con questo manifesto trova completa maturazione la tendenza a estendere l’azione futurista a ogni campo artistico. Si vuole ridefinire le forme stesse del mondo esterno fino a coinvolgere gli oggetti e gli ambienti della vita quotidiana. • Da questa volontà nasce quello che Balla e Depero hanno definito complesso plastico: costruito con più materiali diversi e comuni, il complesso scaturisce da un accostamento di tante pratiche artistiche lOMoAR cPSD|8219228 70 diverse. Alla sua formazione concorrono pittura, scultura, architettura, grafica, poesia, musica. Dal momento in cui concentra su di sé tutte le specifiche di ogni espressione artistica, il complesso plastico coinvolge tutti i sensi; acquista così realtà completa la teoria futurista della sinestesia. • Dalle nuove proposte del manifesto nasce l’ambientazione, che consiste nel realizzare non più singole opere d’arte, ma un’aggregazione più complessa di oggetti, arredi e decorazioni. GIACOMO BALLA (1871-1958) • Giacomo Balla nasce a Torino nel 1871 e frequenta l’accademia albertina, entrando in contatto con la pittura divisionista. Nel 1895 si trasferisce a Roma. Il suo iniziale interesse è per un intenso verismo, con una particolare attenzione per lo studio della luce. Nel 1910 aderisce al futurismo firmando il manifesto dei pittori futuristi e dal 1912 partecipa allo sviluppo dei temi evocati dai manifesti, imprimendo alla sua pittura una svolta verso le forme astratte. Nel 1915, insieme a Depero, firma il manifesto della ricostruzione futurista dell’universo. Partecipa poi alla stesura del manifesto del colore (1918) e sottoscrive quello dell’aeropittura (1929). Nei primi anni trenta, Balla si allontana dal futurismo per tornare a una pittura figurativa, fatta di paesaggi e di ritratti; la sua aspirazione è l’assoluto realismo. Muore a Roma nel 1931. • Le sue opere: 1) DINAMISMO DI UN CANE AL GUINZAGLIO (pag 318) → l’adesione di Balla al futurismo avviene con una serie di tavole dedicate al dinamismo. L’artista fissa sulla tela le singole fasi di cui si compone un movimento, come in una sequenza di fotogrammi. Ciò evidente in questa opera del 1912. Le figure e gli oggetti riconoscibili sono un bassotto, il suo guinzaglio e i piedi della padrona. Tutti e tre questi elementi appaiono moltiplicati fino a diventare pure vibrazioni che rappresentano il movimento in atto. 2) VELOCITA’ ASTRATTA + RUMORE (pag 319) → il soggetto di questa opera del 1914 è la velocità, la simultaneità e la continuità spazio-temporale. Come ondate di suoni, gli ampi movimenti circolari si inseguono sulla tela e fuoriescono dal quadro coprendo anche la cornice. Il vivace cromatismo delle pure forme astratte, nello spirito della sinestesia, porta l’osservatore nel centro vorticoso del chiasso urbano. 3) COMPENETRAZIONI IRIDESCENTI (pag 319) → tra la fine del 1912 e il 1914 si dedica a un’altra serie di sperimentazioni. Si tratta di un ciclo di dipinti dedicati allo studio della scomposizione della luce da parte dell’iride. Balla va oltre la scomposizione del movimento, giungendo anche alla scomposizione della luce stessa nei suoi colori fondamentali, che sono quelli dell’iride. In questa opera un fitto tessuto di triangoli colorati genera un puro divertimento astratto di campiture trascoloranti. Balla vuole rendere visibile l’invisibile. FORTUNATO DEPERO (1892-1960) • Nato nel 1892 in Trentino, all'epoca provincia dell'impero austro-ungarico, Fortunato Depero si trasferisce molto giovane a Rovereto, dove frequenta un istituto tecnico d'arte applicata per poi tentare - senza successo - l'esame di ammissione all'Accademia di Belle Arti di Vienna (1910). Nel 1914 va a Roma, dove conosce Giacomo Balla e l'ambiente futurista, entrando a far parte del movimento marinettiano. Da qui ha inizio la sua lunga carriera di artista eclettico, che lo vedrà incessantemente impegnato su più fronti espressivi, dalla pittura alla grafica editoriale, dall'architettura espositiva al design di oggetti, mobili e giocattoli, dalla scenografia alla scultura, dalla grafica pubblicitaria al disegno di arazzi, tarsie e decorazioni, con una enorme produzione di opere e progetti. Già nel 1915 firma insieme a Balla il manifesto Ricostruzione futurista dell'universo e nel 1916 tiene la sua prima personale di opere futuriste. Partecipa a numerose mostre, ma soprattutto fonda a Rovereto, nel 1919, la Casa d'Arte Futurista Depero, una singolarissima officina-laboratorio (la cosiddetta Casa del mago) per la produzione dei manufatti artistici i più vari. Nel 1929 firma il Manifesto dell'Aeropittura futurista, e nel 1931 il manifesto Arte pubblicitaria futurista, nel quale rivendica al Futurismo l'aver per primo promosso questa forma di lOMoAR cPSD|8219228 71 arte. Nel dopoguerra continua l'attività di pittore, grafico e realizzatore di interni. Muore a Rovereto il nel 1960. • Le sue opere: 1) CHIESA DI LIZZANA (pag 320) → Fra le più significative produzioni della Casa d'Arte Futurista Depero vi sono senza dubbio le cosiddette tarsie in panno, grandi pannelli decorativi, realizzati cucendo insieme pezze di lana ritagliate secondo il disegno dell'artista. Il panno utilizzato, una sorta di feltro pressato e non tessuto, dai colori vividi e densi, era il materiale ideale per le esigenze compositive di Depero, in quanto gli consentiva un perfetto gioco di campiture piane tipiche del suo linguaggio geometrizzato. Depero compone la tarsia in panno raffigurante la Chiesa di Lizzana utilizzando un cromatismo squillante e variopinto, sempre guidato dallo spirito della Ricostruzione futurista dell'universo, secondo il quale anche l'architettura e il paesaggio montani possono prestarsi a una visione ludica e festosa. La scena riprende con sottile ironia la chiesa, o meglio il campanile, di un piccolo borgo presso Rovereto. Lo spirito fiabesco, che percorre poeticamente tutta l'opera di Depero, dà qui origine a una scena fantastica e ridente, irta di scale, parapetti e piani inclinati, a sua volta popolata da rare figure di animali reinventati, dalle vivaci ombre variopinte. 2) ROTAZIONE DI BALLERINA E PAPPAGALLI (pag 320) → è una rielaborazione pittorica della ballerina che compare in Balli Plastici, uno spettacolo sorprendente e originale di marionette. Questa enigmatica ballerina, oggetto meccanico in legno e metallo, come i pappagalli che la circondano, è una delle prime e più suggestive figure magiche che abitano l'immaginario fiabesco di Depero. L'uso efficace delle campiture colorate, i colori piani e omogenei sono aspetti tipici del linguaggio pittorico e grafico di Depero, e rendono il senso scatolare della figura. Il movimento vorticoso della ballerina si trasforma qui nel suo equivalente astratto, privo di sembianze immediatamente riconoscibili, ma capace di un impulso dinamico e meccanico di grande vivacità espressiva. Animali, fiori, figure fantastiche e indefinibili non solo compariranno nelle scene teatrali di Depero, in forma di marionetta o di fantoccio, ma attraverseranno anche tutta la sua produzione, passando dalle copertine di riviste ai progetti pubblicitari, alle grandi tarsie in panno, o alla decorazione di oggetti DALL’ARTE MECCANICA ALL’AEROPITTURA • Nelle numerose iniziative artistiche e culturali cui il futurismo dà vita negli anni 20 e 30 si possono individuare due linee di tendenza principali: 1. la prima è costituita dal nuovo rapporto di interscambio con le esperienze delle avanguardie artistiche attive in altri paesi europei. 2. la seconda consiste in un forte incremento degli artisti che aderiscono al futurismo e in un’espansione a tutto il territorio nazionale delle loro iniziative, inizialmente limitate a Milano e Roma. • Il futurismo acquista un carattere popolare, fino ad essere un’avanguardia di massa. Si diffonde uno spirito nuovo per alcune importanti ragioni: il diffuso clima di richiamo all’ordine del dopoguerra; la necessità di convivere con il regime fascista; il confronto con gli sviluppi delle altre avanguardie. • L’arte meccanica costituisce in questo contesto uno dei principali sviluppi del futurismo. Il manifesto dell’arte meccanica risale al 1923 ed ha la firma, tra gli altri, di Prampolini. • L’aeropittura, invece, è l’ultimo atto inventivo del futurismo italiano. Fa espresso riferimento al volo, alle visioni dell’alto e al dinamismo esasperato al suo massimo grado. Il manifesto dell’aeropittura futurista esce nel 1929 e viene firmato, tra gli altri, da Dottori. ENRICO PRAMPOLINI (1894-1956) • Enrico Prampolini nasce a Modena nel 1894 e muore a Roma nel 1956. Aderisce al futurismo intorno al 1912, influenzato da Balla e da Boccioni. Nel 1916 partecipa alla mostra dada a Zurigo. La sua pittura si ispira prima a Boccioni e poi al Cubismo. A Parigi pubblica nel 1926 il manifesto dell’architettura futurista e è tra i primi a firmare il manifesto dell’aeropittura. È il massimo rappresentante dell’arte meccanica. lOMoAR cPSD|8219228 74 ARTE TRA PROVOCAZIONE E SOGNO IL DADA • Durante la prima guerra mondiale, la Svizzera rimane neutrale e sembra quasi un’isola felice dove gli orrori del conflitto non arrivano. Proprio in Svizzera si rifugiano molti pacifisti, intellettuali e artisti, che altrimenti sarebbero stati chiamati al fronte. In questo contesto, nel febbraio del 1916, alcuni intellettuali aprono a Zurigo il Cabaret Voltaire, nome che allude all’esaltazione della ragione contro l’irrazionalità della guerra. Il promotore di questa iniziativa è Hugo Ball, a cui si uniscono Tristan Tzara, Marcel Janco e Hans Arp. Nasce così il Dada, un movimento che è un nonsenso per definizione; anche il nome stesso è inventato e non significa nulla. Dada è gioco e paradosso, tutto e nulla, arte e negazione dell’arte. Il dada vuole riscattare l’umanità dalla che l’ha portata alla guerra e per fare ciò serve azzerare tutte le ideologie e tutti i valori. Serve un’arte nuova, elementare. • Nel 1918, Tzara scrive il manifesto dada, che spiega che non si tratta di un movimento ma di una tendenza; come tale finisce in pochi anni, subito dopo la fine della guerra, intorno al 1922-23. Le città in cui il dada si radica meglio sono Zurigo, Berlino, Colonia, Hannover e Parigi. Molti degli artisti che partecipano al dada, dopo la sua fine passano al surrealismo, altri all’astrattismo e alcuni terminano la loro attività. MARCEL DUCHAMP (1887-1968) • Marcel Duchamp nasce a Blainville nel 1887 e muore a Neuilly-sur-Seine nel 1968. Inizia la sua attività artistica nell’ambito del cubismo e del futurismo, dei quali condivide lo spirito innovativo e rivoluzionario. Vive e lavora fra Parigi e New York, contribuendo alla maturazione dell’esperienza dada. Infatti, fin dal 1913, Duchamp sperimenta il ready-made: impiega in campo artistico, quindi fuori dal loro abituale contesto, oggetti della vita quotidiana, la cui vista e il cui uso sono familiari; la sua provocazione sta nel riproporli come oggetti d’arte. Duchamp sperimenta anche nel cinema, creando nel 1926 il film Anemic cinema: sfrutta alcuni suoi macchinari per creare un senso di straniamento e di ipnosi. • Le sue opere: 1) L.H.O.O.Q. (pag 322) → questa opera del 1919 è un ready-made rettificato, cioè sul quale l’artista è intervenuto apportando alcune modifiche. È una riproduzione della Monna Lisa di Leonardo alla quale Duchamp ha aggiunto baffi e pizzetto. La provocazione è doppia, perché dissacra uno dei miti artistici più consolidati della storia. Le lettere del titolo, secondo la pronuncia francese, danno origine a una frase volgare (ella ha caldo il sedere) e estranea al contesto. Duchamp non vuole negare l’arte di Leonardo, ma onorarla a modo suo; vuole mettere in ridicolo gli estimatori superficiali e ignoranti, attaccati alle apparenze e alle convenzioni. MAN RAY (1890-1976) • Man Ray nasce a Filadelfia nel 1890 e muore a Parigi nel 1976. Sposta i limiti del dada verso il nonsenso più assoluto, prefigurando le tematiche surrealiste. Dopo i primi studi di architettura, compie diverse esperienze di fotografia astratta e di regia cinematografica. • Le sue opere: 1) VIOLON D’INGRES (pag 333) → questa opera è del 1924. Ray si cimenta con la manipolazione dell’immagine fotografica. Il titolo significa Violino di Ingres e indica un hobby, perché il violino era il passatempo preferito di Ingres. Vediamo di spalle la cantante e modella Alice Prin, che allude alla Bagnante di Valpincon, cioè un nudo di spalle di Ingres del 1808. In fase di stampa, Ray ha aggiunto due effe all’altezza delle reni, in modo da fare sembrare il corpo della modella un grande e perfetto violino. L’ARTE DELL’INCONSCIO: IL SURREALISMO lOMoAR cPSD|8219228 75 • L’inconscio è la sfera dell’attività psichica che non raggiunge il livello della coscienza. Costituisce quella parte della vita interiore di ogni individuo della quale non possiamo avere consapevolezza e conoscenza diretta. • Comunque, l’inconscio riesce a manifestarsi in vari modi, per esempio attraverso il sogno. Nel 1899, Freud pubblica L’interpretazione dei sogni, un’opera rivoluzionaria per l’idea di sogno visto come lo strumento più adatto alla ricostruzione dell’attività psichica. • Da queste premesse nasce la definizione di surrealismo di Breton. Egli consta che il sonno e il sogno costituiscono un’attività tipicamente umana e quindi deve esistere per forza un modo affinché questa attività possa far parte di una realtà superiore. Questa è definita surrealtà, cioè una realtà assoluta. Il surrealismo è un automatismo psichico, cioè un processo automatico che si realizza senza il controllo della ragione e che fa emergere l’inconscio; così, il pensiero è libero dai freni inibitori morali o estetici e può raccogliere immagini, idee, parole senza costrizioni né scopi preordinati. Viene così raggiunta la surrealtà, in cui veglia e sonno si conciliano e si compenetrano. • La bellezza surrealista nasce dal trovare assieme due oggetti reali che non hanno nulla in comune, in uno stesso luogo estraneo a entrambi. Questo genere visioni assurde che contraddicono le certezze. L’arte surrealista porta alle estreme conseguenze alcune tematiche romantiche inerenti al sogno, al mondo dei simboli e dell’irrazionale; è un’arte figurativa e, salvo per Mirò, non astratta. Questo vuol dire che le forme rimangono sempre e comunque figure facilmente riconoscibili. • Le tecniche escogitate dai surrealisti per ottenere una pittura automatica sono varie: il frottage (sfregare un materiale per colorare su un supporto messo a contatto con una superficie che presenti asperità, come il legno o un sacco di iuta), il grattage (raschiare con uno strumento il colore steso sulla tela in modo da far emergere un colore sottostante o la tela grezza) e il collage (accostare in modo casuale ritagli di materiali cartacei diversi per prevenire a un’associazione irrazionale di forme che diventano così surreali). • Breton insieme ad altri surrealisti aderiscono all’ideologia comunista nel 1927 e nel 1930 la rivista “La rivoluzione surrealista” cambia nome in “Il surrealismo al servizio della rivoluzione. Se i dadaisti, dopo la prima guerra mondiale, esplorano la casualità come generatrice di arte in modo simile ai surrealisti, essi però muovono dalla negazione di tutto. Al contrario, i surrealisti hanno una proposta costruttiva che considera sia una nuova scienza (la psicoanalisi di Freud) quale strumento per raggiungere la libertà individuale, sia l’azione politica rivoluzionaria quale mezzo per concorrere alla libertà collettiva e sociale. • Gli artisti principali del surrealismo sono Ernst, Mirò, Magritte e Dalì. MAX ERNST (1891-1976) • Max Ernst nasce vicino Colonia nel 1891 e studia filosofia a Bon. Si dedica totalmente alla pittura e aderisce prima al Dada e poi al surrealismo. Si trasferisce a Parigi. Nel 1933 è iscritto nelle liste di proscrizione naziste e nel 1939, quando scoppia la guerra, viene internato in un campo di prigionia francese per stranieri indesiderati. Nel 1941 lascia la Francia e va negli USA grazie all’aiuto della collezionista e mecenate Peggy Guggenheim, che sposa e da cui subito divorzia. Nel 1953 torna in Francia, dove rimane fino alla morte, avvenuta a Parigi nel 1976. • La sua è la più lucida interpretazione della poetica dell’arte surrealista. È lui a mettere a punto le tecniche del frottage, del grattage e della decalcomania, tutti mezzi della pittura automatica che si prestano bene a tradurre sulla tela i contenuti onirici svincolati dalla realtà tipici del surrealismo. • Le sue opere: 1) LA PUBERTE’ PROCHE (pag 336) → gli inizi di Ernst sono nell’ambito delle tematiche e delle tecniche del Dada. Questa opera del 1921 assembla frammenti di fotografie (quella pornografica di una donna stesa su un divano), pittura a olio e tecnica del frottage, per pervenire a un’espressione pittorica molto poetica. Una figura sensuale e senza volto si libra nell’aria, mentre un frammento roccioso precipita in basso. La donna è idealizzata e assurta a simbolo di femminilità e erotismo. Il lOMoAR cPSD|8219228 76 braccio sinistro di essa penetra in una sfera vicina a un ammasso informe, forse proprio la costellazione delle Pleiadi a cui allude il titolo dell’opera. È la forza prorompente dell’eros che vince ogni ostacolo. 2) AU PREMIER MOT LIMPIDE (pag 337) → (alla prima parola chiara) questo dipinto murale del 1923 è invece protosurrealista. Nell’opera è rappresentato un muro forato contro un cielo azzurro senza profondità. Al di qua e al di là del muro si elevano due steli che si concludono con capolini spinosi di carciofo o fiori di cardo chiusi. Da una delle aperture del muro sporge una mano femminile che tiene un frutto rosso al quale è legato con un filo un insetto stecco che si arrampica sul muro stesso. Il filo disegna una sorte di M, l’iniziale di Max. Ernst produce un’opera carica di simboli onirici e allusioni erotiche spinto dal fascino dell’Interpretazione dei sogni di Freud. Nelle dite incrociate si possono vedere le gambe affusolate di una donna e nella loro congiunzione al dorso della mano un inguine. 3) DUE BAMBINI SONO MINACCIATI DA UN USIGNOLO (pag 338) → è già pienamente surrealista. Lo stesso Ernst avrebbe spiegato che il soggetto era il ricordo di un incubo terrificante che aveva avuto durante l'infanzia. Il dipinto raffigura un prato cinto da un muro che si chiude in lontananza con un arco di trionfo. Oltre l'arco si intravede un edificio cupolato contro un cielo che dal chiarore giallognolo diventa sempre più scuro per concludersi, in alto, con un blu profondo. Un cancellino di legno dipinto di rosso è collocato in primo piano a sinistra, mentre la sagoma di legno, tridimensionale, di un edificio con un tetto a capanna gli fa eco a destra. Sul prato una figuretta monocroma rincorre con un coltello un usignolo che vola in alto, un'altra è riversa a terra, mentre una terza, in atto di correre è come sospesa sul colmo del tetto, stringe al petto una bambina cercando di metterla in salvo, mentre si protende a premere il bottone di un vero campanello per appartamenti, dipinto in blu e rosso, fissato alla cornice del quadro. Il soggetto è surrealista: il ricordo di un evento procurato da un' alterazione febbrile. Anche il titolo in sé è surrealista: elementi della quotidianità vengono proposti in modo angoscioso e deformato (la minaccia non di un animale feroce, ma del più dolce e canoro degli uccellini). La monocromia delle figure immerse in un ambiente colorato, raffigurando la cupezza incolore delle rappresentazioni oniriche, è surrealista. La matericità della casetta e del cancellino è surrealista, riproponendo non tanto la concretezza di cui chiunque, toccando, può accertarsi («È legno! È reale!»), quanto la vividezza di uno stato allucinatorio presente in taluni incubi che fa apparire vero ciò che, invece, tale non è. 4) LA VESTIZIONE DELLA SPOSA (pag 339) → questa opera pienamente surrealista è del 1940. L’ambiente, caratterizzato da una perfetta prospettiva lineare, ricorda gli interni prospettici dei dipinti tedeschi e fiamminghi dei secoli XV e XVI. Al centro della scena posa una donna nuda che indossa un morbido mantello e un copricapo a testa di rapace i cui grandi occhi guardano verso lo spettatore. Il suo corpo, come quello della fanciulla di destra, dal lungo collo e dall’ampia capigliatura, ricorda i nudi femminili quattrocenteschi e cinquecenteschi dei fiamminghi e dei tedeschi, caratterizzati da forma esile, ventre gonfio e piccoli seni sferici. A destra in basso, c’è una piccola figura ibrida, ermafrodita e deforme, che riassume in sé qualità umane, animali e del mondo inanimato. Un servitore metà uomo e metà uccello assiste alla vestizione tenendo un pezzo di lancia che per la posizione e l’orientamento si rivela un fallo maschile. La stessa scena è riprodotta in un quadro nel quadro posto in secondo piano. Ernst usa per alcune parti la tecnica della decalcomania, cioè a una tecnica pittorica automatica. JOAN MIRÒ (1893-1983) • Joan Mirò nasce a Barcellona nel 1893. Frequenta qui l’accademia di belle arti e segue dei corsi alla scuola d’arte di Galì. Mirò si reca a Parigi dopo la fine della prima guerra mondiale, nel 1924 conosce Breton e aderisce al surrealismo. Torna poi in Spagna, ma quando scoppia la guerra civile riparte per Parigi. Muore a Palma di Maiorca nel 1983. • All’inizio, Mirò è attratto dal divisionismo e poi dai fauves, dal cubismo e dell’espressionismo. Già dal 1918 trova una strada che è la negazione dell’impressionismo e un avvicinamento al classico. Il particolare classicismo di Mirò consiste nel prendere la realtà come modello e nel porre attenzione al dettaglio con pignoleria (il contrario di quello che faceva l’impressionismo). • Le sue opere: 1) MONTROIG, LA CHIESA E IL PAESE (pag 340) → in questa opera del 1919 niente è lasciato al caso: dalla scelta della posizione per la veduta, alla geometria dei campi. I caldi e solari colori mediterranei lOMoAR cPSD|8219228 79 • Il metodo paranoico-critico → L’adesione di Dalì al surrealismo è sincera e motivata, almeno all’inizio. Inventa una sua particolarissima tecnica di automatismo che definisce metodo paranoico-critico. La paranoia è una malattia mentale cronica, la cui sintomatologia consiste nelle delusioni sistematiche; le delusioni possono prendere la forma di mania di persecuzione o di grandezza o di ambizione. Le immagini che l’artista crea cercano di fissare sulla tela il torbido agitarsi del suo inconscio (paranoia) e riescono a prendere forma pittorica solo grazie alla razionalizzazione del delirio (momento critico). Dunque, il metodo di Dalì consiste nell’interpretazione e nella restituzione di fenomeni deliranti. Per Dalì, ciò che è paranoico e che ha un significato temporale è molle e plastico, mentre ciò che è critico e che ha un significato spaziale è duro e rigido. Dalì è un paranoico solo in teoria e quindi nelle sue opere spicca sempre l’elemento critico. Per questo, temi tabù, quali sesso, desideri di potenza o fobie, riescono ad emergere dagli abissi della coscienza e a materializzarsi con una nitidezza e una perfezione tecnica tali da sfiorare a volte l’iperrealismo. Il linguaggio artistico che ne deriva è complesso ed elitario e la sua comprensione è difficile e a volte impossibile. • Le sue opere: 1) LA PERSISTENZA DELLA MEMORIA (pag 351) → tela del 1931. Il senso dello scorrere del tempo è suggerito dal liquefarsi di 3 orologi, sullo sfondo di un desolato paesaggio marino, popolato solo da due solidi geometrici, un quarto orologio divorato dalle formiche e dalla porzione di un volto addormentato con un occhio dalle lunghe ciglia. 2) COSTRUZIONE MOLLE (pag 353) → questa opera del 1936 deriva dall’incombere terribile della guerra. Le forme anatomiche in primo piano sono usate per comporre un abominevole essere immaginario, evidente e spietata allegoria della guerra. Una mano nodosa strizza con violenza un seno di donna; un’altra mano scarnificata e deforma poggia a terra, mentre un uomo microscopico le si affaccia incuriosito da dietro; un piede scheletrico poggia su un abbozzo anatomico di bacino, sorretto da un altro piede ossuto e rattrappito. In cima, un volto orribile e ghignante volge lo sguardo in alto disperato. Sul suolo si mischiano ossa, fave bollite e strane concrezioni minerali, tra le quali spunta fuori contesto un armadio. Ne emerge violenza, angoscia, paura e prevaricazione. La tecnica pittorica è estremamente realistica e contribuisce ad aumentare il senso di irrealtà della scena. 3) APPARIZIONE DI UN VOLTO E DI UNA FRUTTIERA SULLA SPIAGGIA (pag 353) → in questo dipinto del 1938 l’attenzione dell’artista si sposta dalla paranoia al sogno, nel quale forme e personaggi non hanno più contorni definiti e possono quindi assumere i significati più vari, incredibili e contradditori. È impossibile dire con precisione cosa rappresenta il quadro. Non vi è più certezza di nulla e ogni soggetto viene polverizzato e contraddetto dal successivo. 4) SOGNO CAUSATO DAL VOLO DI UN’APE (pag 354) → l’atmosfera complessiva di questa opera del 1944 è nitida e tersa, non più ambigua e polivalente. L’artista stava dormendo, quando un’ape lo punge; Dalì cerca di fissare le visioni attraverso le quali il suo inconscio gli ha comunicato l’avvenuta puntura. Gala (compagna dell’artista), nella sua sensuale nudità, riposa sollevata magicamente sopra un piatto scoglio frastagliato. Gala è moglie, musa ispiratrice e amante di Dalì, ma è soprattutto l’ingrediente erotico più ricorrente nei suoi sogni. Una baionetta sta per trafiggere il braccio della donna: è il momento che precede la sensazione del dolore; l’arma appuntita rappresenta anche un simbolo sessuale. La percezione della puntura dell’ape viene ingigantita nel sogno e per questo assume la forma di due tigri che balzano fuori dalla bocca di un pesce, a sua volta scaturito da una melagrana. Sullo sfondo un inverosimile elefante dalle esili zampette a insetto, regge un obelisco sulla groppa, reinterpretazione surrealista dell’Elefante della Minerva realizzato da bernini. Del sogno conta più la sensazione di insieme rispetto al singolo particolare che, anche se curioso e inverosimile, ha una sua logica solo se visto nel complesso dell’attività onirica. 5) RITRATTO DI ISABEL STYLER-TAS (MELANCOLIA) (pag 355) → del 1945. Rappresenta la figlia di uno dei più ricchi mercanti di Amsterdam. La tela risale al soggiorno newyorkese e si rifà alla tipologia dei doppi ritratti rinascimentali italiani, cari a Piero della Francesca e a Raffaello. Però, in questo caso, al profilo della donna sulla destra si contrappone la sua sagoma speculare a sinistra. Quest’ultima non ha nulla a che fare con il ritratto vero e proprio e rimanda alla rappresentazione di un brullo paesaggio. La resa del personaggio, di un realismo quasi fotografico, stride ancora di più il suo doppio, che può essere lOMoAR cPSD|8219228 80 visto come un ritratto interiore nel quale la tagliente geometria delle rocce allude al carattere spigoloso e volitivo della donna. Qui trionfa la grande ironia di Dalì insieme al suo inesauribile gusto per il paradosso. 6) CROCIFISSIONE (pag 355) → Gli anni Cinquanta del secolo scorso segnano per Dalí un importante momento di ripensamento mistico, nel quale egli rivisita la profonda tradizione spirituale del cattolicesimo spagnolo. La figura del Cristo, anatomicamente perfetta, levita a mezz'aria davanti a una massiccia croce tridimensionale, formata dall' incastro di otto grandi cubi, che allude all'ipercubo, un solido non rappresentabile graficamente, ma immaginabile solo in teoria, con dei volumi al posto delle facce piane. La mancanza della corona di spine e dei chiodi, idealmente sostituiti da quattro simbolici parallelepipedi a base quadrata, allude a una visione anticonvenzionale dell'evento, ulteriormente drammatizzata dal potente scorcio dal sotto in su. A sinistra, in basso, su uno scoglio geometricamente squadrato, l'amata Gala, raffigurata con indosso un ricco abito di seta cangiante, incarna una pia donna dolente, sullo sfondo enigmatico di una scacchiera che si perde verso un orizzonte oscuro, presago di mistero. lOMoAR cPSD|8219228 81 OLTRE LA FORMA. L’ASTRATTISMO DER BLAUE REITER • Nel 1909 si forma a Monca di Baviera la Nuova associazione degli artisti di Monaco, a cui partecipano artisti, musicisti, storici dell’arte, intellettuali e letterati. Alcuni nomi celebri del gruppo sono Kandinskij, von Jawlensky, Kubin, Franz Marc. La Nuova associazione si colloca nell’ambito dell’ espressionismo tedesco. • Nel 1911, l’Associazione si divide per contrasti interni. Kandinskij, insieme a Marc, Kubin e altri, fonda il Der Blaue Reiter (il cavaliere azzurro), nome derivato dal titolo casuale di un libro di Kandinskij e Marc. Nel 1912, alla seconda mostra del gruppo del cavaliere azzurro partecipano anche Paul Klee ed alcuni esponenti della Brucke. L’ultima mostra viene organizzata nel 1914 e nel 1916 Marc muore al fronte; la prima guerra mondiale disperde così questo vivace gruppo artistico. ESPRESSIONISMO LIRICO • Gli artisti del Der Bleue Reiter sono contro la società contemporanea e contro l’impressionismo. Marc dice che bisogna distruggere e non riprodurre la natura per cercare le leggi che essa nasconde e non accontentarsi delle apparenze. Occorre quindi dipingere la forma ideale, originaria ed essenziale delle cose. Da questa osservazione scaturisce la passione di Marc per gli animali. Der Bleue Reiter è indirizzato, più del Die Brucke, alla ricerca della dimensione spirituale della realtà; per questo è contrario alla deformazione delle immagini, alla loro contorsione e alla violenta esteriorizzazione del disagio e delle passioni dell’anima, che costituivano il linguaggio degli espressionisti. Proprio la ricerca di una dimensione spirituale e di una maggiore dolcezza compositiva e coloristica conducono a definire questa arte come espressionismo lirico. VERSO IL REALISMO E L’ASTRATTISMO • Per Kandinskij, l’artista deve obbedire a una necessità interiore e quindi la scelta dei mezzi espressivi non può che essere ampia e libera. Questo comporta la possibilità di orientarsi sia verso il realismo (aderenza della forma all’oggetto della rappresentazione) che verso l’astrattismo (non riconoscibilità della forma). FRANZ MARC (1880-1916) • Franz Marc nasce a Monaco di Baviera nel 1880 e muore a Verdun nel 1916. Si forma a Monaco e, dopo due viaggi a Parigi, osserva la pittura impressionista e quella di Van Gogh. Nel 1911 conosce Kandinskij, con il quale progetta il volume Der Bleue Reiter. Nel 1912 entra in contatto con la pittura futurista. Dal 1914 si fa forte l’influenza di Kandinskij, ma presto muore a causa della guerra. • Mentre per Kandinskij l’astrattismo è la percezione della forma, per Marc esso è da intendere come superamento della forma, vista come involucro e apparenza, per cercare l’intima essenza delle cose che si cela nel profondo. Per fare ciò, per l’artista è necessaria l’”animalizzazione dell’arte”: Marc si mette dalla parte degli animali e con i loro occhi scruta la realtà. • Le sue opere: 1) I CAVALLI AZZURRI (pag 359) → è del 1911. I tre cavalli sono colti in un momento di vita quotidiana. Sono di un colore azzurro, mentre la natura è gialla, verde e rossa. Questi colori esprimono la ricerca emotiva dell’artista, che per questo è in analogia con i Fauves. I cavalli sono costruiti ricorrendo a forme circolari, così come tutto il paesaggio circostante. Per Marc, il blu è il principio maschile, mentre il giallo è quello femminile e il rosso rappresenta la materia. Presto, l’artista abbandona queste specificazioni dei colori. 2) TORO ROSSO (pag 360) → del 1912, dove un toro possente, sinonimo di forza e di inesauribile potenza sessuale, è rosso (pur se con le variazioni cromatiche fauves che vanno dall'azzurro al giallo, al bianco-celeste). L'animale è accovacciato e si volge indietro. Il nero disegna i contorni della forma e lOMoAR cPSD|8219228 84 PAUL KLEE (1879-1940) • Klee nasce vicino Berna nel 1879 da una famiglia di musicisti. Nel 1898 va a Monaco di Baviera per il suo apprendistato artistico; qui entra in contatto con Kandinskij, Kubin, Marc e con l’ambiente di Der bleue Reiter, partecipando alla seconda mostra del cavaliere azzurro nel 1912. Nel 1914 va in Tunisia, dove l’artista scopre il colore. Nel 1921 inizia a insegnare al Bauhaus di Weimar e di Dresda. Presto Klee deve abbandonare la Germania a causa del nazismo, che lo accusa di arte degenerata e lo costringe a tornare in Svizzera. Klee muore a Muralto nel 1940. • Contrariamente a Kandinskij, per il quale l’arte astratta è prescindere da forme riconoscibili e pertanto rappresenta qualcosa di opposto alla realtà naturale, per Klee è possibile mantenere un legame con la natura. Infatti, Klee non abbraccia mai l’astrattismo totale dell’amico. L’artista, per Klee, è solo un mezzo di cui la natura si serve per proseguire la propria attività creatrice. Però, pur essendo legata alla natura, l’arte mostra anche altre realtà possibili, diverse da quelle di cui abbiamo esperienza. • Le sue opere: 1) IL FOHN NEL GIARDINO DI MARC (pag 369) → la conquista del colore durante il viaggio tunisino si riflette in questa opera del 1915. Vediamo una porzione della casa dell’amico Marc immersa in una foresta, al limitare della quale si erge un piccolo fabbricato dal tetto rosso. Sullo sfondo si vede una montagna violacea e il cielo solcato da nubi chiare e leggere. L’opera è formata da quadrati, losanghe e triangoli fusi in uno schema perfetto per forme e colori, che sono densi e vividi o a volte trasparenti. Le macchie colorate non sono delimitate da linee scure di contorno. 2) ARCHITETTURA NEL PIANO (pag 370) → Durante gli anni trascorsi al Bauhaus insegnando Rilegatura, Pittura su vetro e Composizione, Klee fu sempre interessato alla teoria dei colori. È così che, in particolare tra il 1921 e il 1923, esegui molti acquerelli, indagando i rapporti tra i complementari e l'interazione dei colori che danno luogo a un «movimento diametrale» o «gradazione». Tale gradazione avviene quando i colori complementari, in opposizione rispetto a un centro, si fondono gradualmente sino a formare, appunto, il grigio. La gradazione può avvenire anche con la tecnica della smaltatura, che consiste nel sovrapporre a un dato strato di colore un velo di un altro solo dopo che il primo si è completamente asciugato. Architettura nel piano è un esempio notevole di tale metodo. Paul Klee, in questo caso, ha indagato l'effetto della gradazione considerando i tre colori primari, giallo, rosso e blu, disposti in successione dal basso verso l'alto. Essi sono separati da fasce di colore passanti dall'uno all'altro attraverso una maggiore o minore sfumatura. L'artista, successivamente, incrocia tali fasce con velature di blu e di rosso che da destra (il blu) e da sinistra (il rosso) convergono verso il centro, sempre più rarefacendosi. In tal modo nella parte inferiore del foglio si concentra la massima luminosità attraverso le varie tonalità di trasparenze gialle, verdi e arancioni, mentre in alto si dispongono nastri di trasparenze violette, che con il blu si presentano come timbri più gravi. 3) UCCELLI IN PICCHIATA E FRECCE (pag 371) → Uccelli in picchiata e frecce Di particolare importanza nell'arte, nel pensiero e nella didattica artistica di Klee sono le frecce. A esse, di volta in volta, in base alla loro conformazione e al colore, l'artista assegna un ben preciso ruolo: tragedie, conflitti, desiderio degli uomini di elevarsi fino al cielo pur rimanendo prigionieri della carne, impotenza e fragilità umane, impulsi sessuali, direzioni. Le frecce, in quanto sintesi simbolica di un pensiero o un'azione, possono essere di immediata comprensione od oggetto di interpretazione. In Uccelli in picchiata e frecce, un'opera del1919, Klee trae ispirazione dagli aeroplani, con i quali aveva avuto familiarità nel periodo trascorso nei pressi di Augusta, presso la Scuola d'aviazione. La tecnica impiegata dall'artista svizzero consiste nel ricalcare uno schizzo preparatorio su un foglio di carta attraverso un ulteriore foglio completamente ricoperto di inchiostro da stampa. In questo modo le linee riportate non hanno una consistenza nitida (è l'effetto cercato), mentre l'ulteriore inchiostro trasferito con la pressione della mano viene lasciato trasparire o è cancellato dal colore sovrapposto. Degli uccelli, schematicamente raffigurati come catene di quadrati o rettangoli, con testine a cuore e le zampe portate indietro, come aeroplani, si dirigono con forte inclinazione verso terra. Attraversando banchi di nuvole dai quali, a tratti, traspare l'azzurro, precipitano a grande velocità, come indicano le tre frecce dalle punte rivolte verso il basso. In particolare l'impennaggio terminale rosso di quella centrale è assimilabile alle alette tergali lOMoAR cPSD|8219228 85 delle bombe e dei razzi che, durante la Grande guerra, iniziavano a essere lanciate dagli aerei. Non è difficile, dunque, leggere il dipinto di Klee come riferito al conflitto mondiale 4) IL VIAGGIO IN EGITTO (pag 372) → Nel 1929 Klee mette su carta i ricordi del suo viaggio in Egitto. L'Egitto è una terra dove i tracciati dei canali, la configurazione dei campi e la struttura dei monumenti antichi, sono dipendenti dalla geometria. Klee, pertanto, adotta una composizione rigidamente geometrica, ricoprendo la tela con nastri di colore. o In Fuoco nella sera il fulcro è costituito dal rettangolo rosso in prossimità del centro, appena spostato sulla destra rispetto all'asse verticale del dipinto. Attorno a tale figura si infittiscono o si fanno via via più ampie le strisce orizzontali colorate che, lette da destra a sinistra, suggeriscono rispettivamente l'immenso spazio desolato del deserto e delle dune, i grandi monumenti (le piramidi) che ne contrastano l'avanzata, infine gli appezzamenti di terreno fertile, irrigati dai canali. o Se in Fuoco nella sera il legame con la realtà è flebile e la resa è del tutto astratta, in Monumenti aG. le grandi piramidi di Giza (la «G» del titolo sta, appunto, per Giza), ben riconoscibili, sono individuate da cunei che, interrompendone la successione regolare, stabiliscono un ritmo sfalsato delle fasce orizzontali. La loro geometria è resa astratta: esse, infatti, giacciono sul piano, adagiandosi sulla superficie pittorica fatta di strisce in cui ricorrono il verde, il violetto, l'ocra e il rosso (colori di luci tropicali e di sabbia). Del piano, mimeticamente, i triangoli / piramide assumono i caratteri cromatici e formali per nastri. In basso dei palmizi semplificati, resi con segni grafici sottili ed essenziali, suggeriscono l'avvicinarsi ai terreni fertili in prossimità del Nilo o dei canali 5) RAGAZZO IN COSTUME (pag 373) → questa opera del 1931 conduce ancora al gioco e al disegno infantili. La tecnica è riferibile a quella divisionista ed è anche memore dei mosaici ravennati ammirati da Klee durante un viaggio in Italia. Il colore è dato per piccoli rettangoli disegnati su uno sfondo grigio. Con essi, Klee individua la figura di un ragazzo in costume di fronte a un tavolo, recuperando il disegno e il colore con rigore ed essenzialità. ALEXEJ VON JAWLENSKY (1864-1941) • Jawlensky nasce in Russia nel 1864 e studia in una scuola per ufficiali dell’esercito. Nel 1880 visita a Mosca l’esposizione mondiale e decide di dedicarsi all’arte; frequenta allora l’accademia di belle arti di San Pietroburgo. Si trasferisce poi a Monaco, dove conosce Kandinskij. Nel 1909 è tra i fondatori della Nuova Associazione degli artisti di Monaco, ma ne esce nel 1912. Allo scoppio della prima guerra mondiale si trasferisce in Svizzera e rientra in Germania nel 1921. Nel 1933 il regime nazista gli vieta di esporre ed espone le sue opera alla mostra di arte degenerata a Monaco. Muore nel 1941. • La sua pittura muove dalle tradizioni della sua patria, occidentalizzate e modificate attraverso la violenza cromatica di Matisse e dei Fauves, il cloisonnisme di Gauguin, la spiritualità di Van Gogh e il rinvio all’uso costruttivo del colore di Cezanne. Il colore serve a sintetizzare le impressioni ricevute dalla realtà con le esigenze interiori dell’artista. La sua pittura è sempre legata alla forma, ma tende alla sua semplificazione, all’essenzialità di rappresentazione, all’economia delle linee. • Le sue opere: 1) SERA D’ESTATE A MURNAU (pag 374) → nel 1908/1909 in occasione di uno dei soggiorni in Baviera. Il paesaggio montano ripreso sul far della sera gode già dell'essenzialità del disegno. Linee scure contornano, secondo cloisons, come già in Gauguin, i campi, i boschi, i monti e persino la nuvola violacea di sinistra, imprigionandoli entro confini sicuri. Oltre la distesa dei campi verdi e azzurri, i monti e i colli boscosi si ergono dolci e ondulati, benché costituiscano una massa compatta di colore denso. Il tramonto avvampa il cielo nuvoloso e portatore di pioggia, colorandolo di un viola ora più ora meno profondo, squarciandolo al centro della veduta con un violento giallo aranciato. Alcuni abeti in basso suggeriscono che la ripresa è dal vero, mentre i colori saturi e l'assenza di figure umane trasformano il paesaggio in pura espressione del sentimento dell'artista. 2) GIOVANE RAGAZZA DAGLI OCCHI VERDI (pag 374) → questa opera è del 1910. Le ombre verdi- azzurre intorno alla bocca, al naso e al collo, il celeste che sostituisce il bianco della cornea degli occhi, le chiazze di vari colori che definiscono i volumi e l’incarnato sono alcuni dei più appariscenti caratteri lOMoAR cPSD|8219228 86 fauves di questo dipinto. La posizione frontale, la fissità dello sguardo, l’ovale del volto rappresentano un limite ancora di stampo naturalistico oltre il quale la ricerca di Jawlensky si indirizza verso una semplificazione sempre più accentuata e tendente all’astrazione. 3) LE TESTE (pag 375) → a partire dal 1914 interviene un mutamento nel modo di dipingere dell’artista e nella scelta dei soggetti. Il suo interesse si concentra sui volti, dai quali traspare il divino che è in ciascun uomo. Le serie principali sono Variazioni, Teste mistiche, Volti di santo, Teste astratte e Meditazioni. o I Volti di santo sono definiti da ovali e poche linee sottili; compaiono uno o più cerchietti colorati sulla fronte dei volti, ad indicare il terzo occhio, quello dello spirito, e quindi una condizione di santità e beatitudine. o Nelle Teste astratte l’ovale diventa un arco rovescio che prosegue in alto con due linee verticali e si conclude con lunghi tratti trasversali; all’altezza degli zigomi lo sfondo cambia colore, definendo un alto e un basso; i volti sono trasfigurati e semplificati. L’estrema rarefazione delle parti anatomiche e il soggetto, come ingrandito oltre misura, costituiscono l’approdo ultimo della visione matura di Jawlensky. o Le teste delle Meditazioni sono ai confini dell’astrazione, dove il colore, impregnato di nero, definisce quasi irriconoscibili, pietosi volti, specchio del dolore del mondo. GLI ALTRI DELLA NUOVA ASSOCIAZIONE DEGL ARTISTI DI MONACO E DEL BLAUE REITER • Amici, frequentano gli stessi luoghi, alcuni di loro si ritrovano assieme anche durante le vacanze in estate sui monti della Baviera. Condividono le medesime concezioni artistiche, maturano seguendo uguali sollecitazioni, anche se qualcuno prenderà il volo (Kandinsky) rivoluzionando la storia della pittura occidentale. Per tutti, però, le esperienze dellaNeue Künstlervereinigung München e del Blaue Reiter sarebbero rimaste un passaggio essenziale del proprio percorso artistico. GABRIELE MUNTER • Gabriele Munter nasce a Berlino nel 1877 e segue i corsi di pittura di Kandinskij, diventandone la compagna nel 1903. Muore nel 1962 a Murnau. Nel 1908 la sua arte si evolve: da un modo di dipingere quasi impressionista, passa alla rappresentazione del sentimento e dell’astratto, grazie all’influenza di Matisse e dei Fauves. • Le sue opere: 1) RITRATTO DI MARIANNE VON WEREFKIN (pag 376) → Eseguita nel 1909, l'opera mostra la Werefkin di profilo contro uno sfondo giallo - il muro esterno della casa di Murnau - ammantata di bianco. La lunga sciarpa viola che le avvolge il collo, ricadendo fino a toccare con i due lembi il margine inferiore del cartone, conferisce una struttura architettonica alla figura, comunque dominata dal volto ruotato e visto frontalmente. Un grande cappello scuro ornato di fiori, suggeriti da semplici chiazze colorate, infonde mistero e monumentalità alla pittrice dagli occhi penetranti e indagatori. Il colore violento dei fiori, l'azzurro usato per la cornea, il verde diffuso nel volto, che ottiene rilievo dalle ombre viola, sono tutti elementi che concordano con l'ideale espressivo dei Fauves. 2) VIALE DAVANTI ALLA MONTAGNA (pag 377) → Tensione verso l'essenziale, eliminazione dei particolari, ricorso alla linea di contorno, colori piatti e, per quanto possibile, non mescolati sono i caratteri più evidenti di Viale davanti alla montagna, un dipinto del 1909. In esso l'adesione al naturalismo è già solo un ricordo. Il colore, sui toni del blu, conferisce ancora fascino e procura piacere, con il sostegno di una chiara geometria che determina le forme. In particolare, le rette inclinate delineano un grande romboide occupato dalla montagna dalle falde azzurrine che domina il centro della veduta. MARIANNE VON WEREFKIN lOMoAR cPSD|8219228 89 • Furono anni entusiasmanti, difficili e tragici quelli che Kazimir Malevic si trovò a vivere. Nato a Kiev, in Ucraina nel 1878, trascorse la sua giovinezza tra lavoro e pittura, fino al trasferimento a Mosca. Entrato subito a far parte dei circoli dell'avanguardia artistica della capitale, si interessò immediatamente alle novità dell'Europa occidentale restandone profondamente colpito e influenzato. Nonostante questo, comunque, egli rimase un convinto assertore dell'unicità dell'arte russa, semplice e schematica, dalla quale trasse sempre continue ispirazioni. Le sue idee politiche erano quelle stesse dei rivoluzionari che nel 1917 presero il potere in Russia, ponendo fine al secolare dominio degli zar, e i suoi intenti erano quelli di democratizzare l'arte rendendola accessibile ai più vasti strati della popolazione. A Malevic, allora, venne affidata la cura delle prestigiose collezioni storiche del Cremlino. Professore a Vitebsk, fondò l'Istituto di Cultura Artistica (1924), che diresse con entusiasmo e competenza fino al 1926, quando venne improvvisamente sollevato dall'incarico. A partire dal 1930, divenuto inviso alle autorità dopo l'ascesa di Stalin al potere assoluto in Unione Sovietica (1929), fu arrestato, anche se subito dopo rilasciato. Morì a Leningrado nel 1935: per i successivi 27 anni le sue opere vennero vietate in patria e non fatte conoscere altrove, con grave danno per gli sviluppi delle teorie artistiche e della stessa pittura. • Quando molti artisti già abbandonavano la Russia sovietica -Malevic rimase e, anzi, nel 1927 rientrò dalla Germania, dove avrebbe anche potuto rifugiarsi, ben sapendo che ritornando in patria poteva andare incontro a problemi e gravi pericoli. Fu un uomo di forte e decisa personalità, insofferente alle critiche e anche autoritario. Dopo aver conosciuto le opere di Monet, Malevic cominciò a dipingere secondo una tecnica impressionista, per poi essere fortemente influenzato dal Postimpressionismo francese, da Matisse e dai Fauves. Quello che cercava, però, era la semplificazione delle forme e dei colori, perciò è soprattutto in Cézanne che riconobbe un vero e proprio riferimento. • Le sue opere: 1) RACCOLTA DELLA SEGALE (pag 385) → del 1912 circa, reca ancora chiare tracce dell'estetica futurista, mentre le figure dei contadini, i covoni di segale e il campo stesso sono forme cilindriche, in evidente adesione ai modi di Cézanne. I colori sono distribuiti su puri volumi, in modo da creare quei riflessi tipici del metallo laminato, arrotolato o lasciato ondulare: un evidente rinvio alla società industriale e, a dispetto del tema agreste, alla civiltà futurista della macchina e del progresso industriale. 2) TORSO (pag 387) → Dopo il rientro dalla Germania nel 1927, avendo lasciato lì tutte le sue opere e i suoi scritti, Kazimir Malevic procede alla ricostruzione del proprio percorso artistico, ridipingendo gli stessi soggetti ai quali si applicava nei primi anni del secolo, migliorandoli e retrodatandoli. Nel frattempo l'artista era tornato alla forma. Una forma che è un nuovo punto di partenza dopo che Malevic stesso l'aveva a lungo e convintamente negata. Essa, tuttavia, si accompagna a quadrati suprematisti e si presenta piatta, stilizzata, geometrizzata, mentre le figure umane sono prive di volto e, talora, anche delle braccia, come, per esempio, in Torso (prototipo di una nuova immagine), un'opera del 1928/1929 su un motivo del 1908/1909. La figura ha una ben definita struttura geometrica e segue dei rapporti proporzionali: la retta passante per la spalla destra dista dal margine superiore della tela ⅓ dell'intera altezza, mentre la retta passante per il margine destro del braccio sinistro divide la metà destra della: tela esattamente in due parti uguali. L'intero torso si basa su orizzontali e verticali raccordate da linee curve, mentre il volto non è che un ovale bianco. Il dipinto costituisce, allora, una nemmeno troppo velata critica al potere staliniano che aveva deliberatamente cancellato l'individuo, negandogli, oltre alla libertà, anche personalità e creatività autonome. IL SUPREMATISMO • La semplificazione delle forme conduce l'artista ad approdare al cosiddetto Astrattismo geometrico, un particolare tipo di Astrattismo che egli stesso definirà Suprematismo. Con tale termine Malevic intende essenzialmente la «supremazia della sensibilità pura», ritenuta, quest'ultima, essenza suprema dell'arte. Il termine, inoltre, implica la superiorità di questa nuova arte rispetto a tutte le altre che l'avevano preceduta. Il Suprematismo, pertanto, è un'arte non rappresentativa o non oggettiva in quanto non tiene lOMoAR cPSD|8219228 90 in alcun conto le forme note della realtà sensibile. L'arte suprematista consiste dunque nel pervenire al «totale senza oggetto», cioè all'assoluto privo di relazione con le forme naturali, perché ne costituisce l'essenza. D'altra parte il pittore ritiene che il vero realismo sia quello delle masse pittoriche «senza ripetere o modificare le forme primarie della natura». • Le sue opere: 1) QUADRANGOLO (pag 386) → Benché le opere suprematiste di Malevic datino a partire dal 1915, l'artista volle indicare come vera e propria data di nascita della sua pittura astratta il 1913. Infatti, in quell'anno, in occasione della rappresentazione teatrale della Vittoria sul sole egli aveva disegnato un sipario con un quadrato nero su fondo bianco. E, per l'appunto, la prima opera suprematista fu Quadrangolo, una tela in cui il contrasto tra nero e bianco costituiva, secondo il suo autore, l'essenza di tutta l'arte: massima ed estrema semplificazione della forma ridotta a massa geometrica, pura contemplazione dell'infinito. 2) COMPOSIZIONE SUPREMATISTA: BIANCO SU BIANCO (pag 386) → opera del 1918, stabilisce la perdita definitiva sia della forma, sia del colore. Ma qualcosa dell'oggettività resta nel dipinto: il modo in cui l'artista ha steso le pennellate, la leggera differenza nei toni del bianco, l'infinito naufragare del quadrato interno i cui lati, dai margini imperfetti e non paralleli a quelli del quadrato maggiore, suggeriscono espansione e fluttuazione. L'opera, dopo il quadrato nero su fondo bianco, sarebbe diventata l'altro estremo assoluto del percorso suprematista. 3) COMPOSIZIONE SUPREMATISTA (pag 386) → Prima di giungere all'approdo finale del bianco su bianco, però, il Suprematismo aveva attraversato ed esplorato diverse soluzioni di colore e di combinazioni. È il caso, per esempio, di Composizione suprematista del 1915. In essa un quadrato blu pare sollevarsi da un insieme apparentemente caotico di masse geometriche colorate rettangolari e trapezoidali di varie dimensioni disposte in senso orizzontale o diagonale, simili ad architetture viste dall'alto e da molto lontano. Da composizioni di tal genere, attraverso un loro sviluppo tridimensionale, avrebbe preso le mosse il successivo passaggio di Malevic teso a definire volumi e plastici architettonici. 4) SUPREMATISMO DINAMICO (pag 386) → In esso Malevic dissemina lo spazio pittorico di forme geometriche per la prima volta anche circolari e triangolari, disposte senza una logica apparente, quasi fossero il risultato di un movimento casuale, nonostante il loro maggiore addensamento in corrispondenza dei vertici del triangolo bianco su fondo bianco. lOMoAR cPSD|8219228 91 TRA METAFISICA, RICHIAMO ALL’ORDINE ED ECOLE DE PARIS METAFISICA E OLTRE • Nel 1917, casualmente si incontrano a Ferrara Giorgio de Chirico, il fratello Alberto Savinio e Carlo Carrà. Nasce così ufficialmente la pittura metafisica, alla quale, nel 1918, aderisce anche Giorgio Morandi. È una pittura inventata da De Chirico nel 1909 • Il termine metafisica indica l’allusione a una realtà diversa, che va oltre ciò che vediamo e che fa assumere agli oggetti nuovi significati. Quindi, i contenuti di un dipinto metafisico vanno oltre ciò che vediamo e oltre la natura. • La metafisica non è l’inizio del surrealismo, anche se i surrealisti riconoscono de Chirico come loro precursore. De Chirico non ha intenzione di ricorrere al sogno, all’automatismo, all’inconscio, alla pretesa di conciliare sonno e veglia in una realtà trasfigurata e superiore. • La pittura metafisica, piuttosto, nasce in opposizione al futurismo italiano e alle esperienze francesi, dall’impressionismo al divisionismo. All’immediatezza visiva e allo spazio rarefatto degli impressionisti e alla scomposizione delle forme e allo spazio dinamico dei futuristi, la metafisica oppone uno spazio rigidamente geometrico, una prospettiva schematica e ordinatrice, un colore terso e omogeneo, una solida volumetria degli oggetti e un segno netto, deciso e sicuro. Il ritorno all’ordine della metafisica risponde al senso di smarrimento e al bisogno di sicurezze dovuti alla guerra e alla profonda crisi dei valori che ne segue. VALORI PLASTICI • È la rivista Valori plastici, fondata nel 1918 dal pittore Mario Broglio, a diffondere i contenuti della pittura metafisica, accogliendo nelle sue pagine scritti di Savinio, De Chirico e Carrà. La rivista vuole mostrare l’ intima coerenza fra le moderne correnti figurative e i valori più sinceri della tradizione pittorica italiana di 300 e 400: quelli della forma e della solidità volumetrica, valori plastici appunto. Comunque, la rivista parla anche della coeva arte europea NOVECENTO E NOVECENTO ITALIANO • La rivista chiude nel 1922, quando alcuni artisti, raggruppati sotto la sigla Novecento, il più significativo dei quali fu Mario Sironi, organizzano la loro prima esposizione a Milano. La loro pittura sviluppa il richiamo all’ordine, ma con una più acuta e accentuata sensibilità volumetrica e chiaroscurale, finalizzata a una grande e quasi classica solennità compositiva. Nel 1924, il gruppo Novecento esordisce pubblicamente alla XIV esposizione internazionale d’arte di Venezia, e qui ci si accorge che le sue convinzioni sono condivise da molti artisti italiani, i quali si sono rivolti a una rappresentazione pittorica naturalistica, oggettiva e permeata da un’atmosfera magica e incantata: si tratta del cosiddetto realismo magico. Il soggetti del realismo magico sono spesso anonimi, ma il linguaggio è comunque tecnicamente altissimo e colto, in alcuni casi anche iperreale; regna un’atmosfera di silenzio e di calma, che discende dall’esperienza drammatica della guerra. • Nel 1926 viene organizzata la prima mostra del Novecento italiano e ancora più ampia e eterogenea è la partecipazione alla seconda mostra del 1929. Gli esiti del movimento, orientato verso un’arte popolare e nazionale, sono addirittura quelli di un’arte apertamente di regime • All’esposizione del 1924, Mario Sironi, che parte come pittore futurista (pratica un futurismo cupo e catastrofico) per poi aderire al realismo magico, presenta due opere: 1) L’ARCHITETTO (pag 421) → l’opera è del 1922. Un uomo dai tratti decisi è colto nell’interno di uno studio artistico 2) L’ALLIEVA (pag 421) → l’opera è del 1924. Vediamo una giovane donna circondata da oggetti riferibili all’attività di un pittore: un solido piramidale, una piccola scultura di un nudo femminile e una squadra di legno sul tavolo. È seduta e ha un vestito scuro con un’ampia scollatura; la mano destra è sul braccio sinistro; lo sguardo è perso nel vuoto. Si tratta dell’esatta trasposizione in abiti moderni della Monna Lisa di Leonardo. lOMoAR cPSD|8219228 94 la minaccia delle armi delle forze dell’ordine. I cavalli e le lance puntute si moltiplicano a dx e a sx; la folla si dispone inclinata in senso opposto rispetto alle armi dei soldati. I colori sono foschi, le forme aguzze. 2) SIMULTANEITA’: DONNA AL BALCONE (pag 431) → questo dipinto cubo-futurista è del 1912. I motivi futuristi si sommano alla griglia cubista, che scompone un paesaggio cittadino e lo ricompone in solide masse geometriche. Le componenti del dipinto sono due sodi glutei femminili e un arcuarsi ripetuto della schiena di una donna al balcone. Le case sembrano ribaltarsi verso l’interno e l’inferriata del balcone sta contemporaneamente davanti alla donna, al suo fianco e dietro di lei. 3) LA MUSA METAFISICA (pag 431) → nella sua stagione metafisica, Carrà vuole dare dignità poetica alle cose e alle situazioni più ordinarie, isolandole e riunendole non omogeneamente in un contesto inconsueto. Questa opera è del 1917. In un interno sono mostrati una piramide tronca a base poligonale e colorata, una tela dipinta, una scatola contenente una carta geografica dell’Istria (allusivo ai campi della prima guerra mondiale), un bersaglio da tiro a segno e una presenza inquietante: una sorta di bambola di pezza rappresentante una tennista dall’enorme testa di manichino (è la traduzione delle muse inquietanti di de Chirico). La dignità di ogni elemento e la studiata distribuzione dei colori (toni vivaci e monocromia della bambola) dimostrano la volontà di Carrà di aderire alla grande tradizione figurativa italiana. 4) LE FIGLIE DI LOTH (pag 432) → però, Carrà aspira al recupero totale della tradizione pittorica italiana, soprattutto di quella del 300 e del 400, e quindi anche alla sua spiritualità. L’artista guarda a Giotto, Paolo Uccello, Masaccio e Piero della Francesca e si volge alla realtà naturale. La sua pittura diventa scarna ed essenziale. Si tratta del momento in cui partecipa attivamente a Valori plastici e aderisce al realismo magico. È questo l’approdo artistico definitivo di Carrà. Questa opera è del 1919 e prelude a questa nuova visione artistica di Carrà, che però non rinuncia completamente alle acquisizioni della pittura metafisica. Il soggetto è ripreso dalla Genesi: dopo la distruzione di Sodoma e Gomorra, le figlie del patriarca Loth giacciono con il padre per generare dei figli. Il soggetto è di difficile scelta e alquanto scabroso, ma viene trasformato dall’artista in un’esaltazione della vita. Le ragazze sono rappresentate in uno spazio limpido e costruito prospetticamente; la prospettiva non è scientifica e rivela la presenza di molti punti di fuga, sul modello di Paolo Uccello. I colori, la gestualità e il paesaggio brullo, di ascendenza giottesca, si sommano ai più generici caratteri dei pittori italiani del 200 e del 300 e alle delicate esilità proprie del gotico internazionale. Alla ripresa dei temi cosiddetti primitivi si aggiunge però il senso tutto moderno e metafisico della calma e della sospensione. 5) IL PINO SUL MARE (pag 433) → Questa opera del 1921 raccoglie l’eredità delle Figlie di Loth, pervenendo a una chiara, ordinata e ascetica visione di un ambiente naturale. La presenza umana è del tutto bandita e viene solo suggerita dalla presenza della casa e dal panno steso ad asciugare. La cilindricità del tronco del pino e la compatta macchia verde della chioma rinviano a precedenti giotteschi. GIORGIO MORANDI (1890-1964) • Morandi nasce a Bologna nel 1890 e si diploma all’accademia di belle arti della città nel 1913. Fin dal 1908, Morandi conosce le opere di Cezanne; la sua formazione tiene conto della pittura italiana da Giotto a Masaccio, di cui vede le opere a Firenze nel 1910. Quando scoppia la prima guerra mondiale, viene chiamato alle armi, ma una malattia grave lo fa riformare. Nel 1918 aderisce alla metafisica ed entra in contatto con la rivista Valori plastici. Nel 1943 viene arrestato e l’anno dopo si trasferisce nell’Appennino tosco-emiliano, dove si verifica un terribile eccidio ad opere delle truppe naziste. Muore nel 1964 a Bologna, dove era tornato fin dal 1944. • Morandi consegue una carriera scolastica: parte dall’essere insegnante delle scuole elementari per arrivare a essere docente dell’accademia di belle arti di Bologna. Il suo studio è piccolo e contiene un grande numero di oggetti, che Morandi disegna e dipinge per tutta la sua vita; si tratta di oggetti umili, ma che accostati assumono un valore altamente poetico: questo è lo scopo della ricerca di Morandi. • Le sue opere: lOMoAR cPSD|8219228 95 1) NATURA MORTA METAFISICA E NATURA MORTA (pag 435) → Morandi previene alla metafisica attraverso una ricerca personale tesa allo studio volumetrico e a quello della forma sotto l’influenza del plasticismo di Giotto, Masaccio, Paolo Uccello e Piero della Francesca. Queste nature morte (una del 1919 e l’altra del 1918) sono pervase da un grande rigore formale. È assente l’attesa e l’artista si concentra sulla precisione geometrica e sull’individuazione limpida delle forme. Nella prima tela gli oggetti sono suggestivamente collocati entro la cornice di due piani fra loro ortogonali; nella seconda entro i limiti di una scatola. Ambedue le soluzioni consentono ai soggetti l’isolamento dall’ambiente. I colori caldi contribuiscono a dare un senso di serenità e la disposizione degli oggetti non produce spaesamenti di nessun tipo, ma dà luogo a un equilibrio sospeso, a una magica armonia di forme che fa sorgere il senso del tempo che si è fermato. Nel dipinto del 1919, gli oggetti sono una sagoma di un orologio, una cornice, un parallelepipedo vuoto, una sfera di legno, un righello e una sagoma. Nella tela del 1918 vediamo una scatola, un busto di manichino, un ovoide e un righello. 2) NATURA MORTA DI OGGETTI IN VIOLA (pag 436) → questa opera è del 1937 e mostra fiaschi, bottiglie e altri manufatti disposti in sequenza lineare. Nessun oggetto predomina sugli altri, ma comunque nessuno di essi è in sé compiuto; i colori sono spenti. Morandi evita volutamente l’uso di colori squillanti. La sua scoperta del colore avviene nel 1938, ma si limita a introdurre una nota più vivace nella calma pacata della studiata cromia dei dipinti degli anni precedenti. La natura morta, comunque, mantiene il carattere di solenne monumentalità che mai prima era stato dato a un dipinto di questo genere pittorico. 3) PAESAGGI (pag 437) → Morandi conferisce monumentalità anche ai suoi paesaggi, soprattutto a quelli dipinti dopo la seconda guerra mondiale. o Nel Paesaggio del 1942, il verde, il giallo e l’arancione, nei loro toni più caldi, costruiscono un’immagine di una grandiosità quasi religiosa, alludendo all’atmosfera immobile della campagna estiva o Analogamente nella Strada bianca, le case hanno lo stesso colore del terreno riarso e della luce dorata che pervade l’atmosfera. Queste sono allineate lungo uno stradello, al di là di una bassa radura verde. La presenza dell’uomo è solo suggerita dall’esistenza delle case stesse. o Nel Paesaggio del 1944, non ci sono né case, né persone, né animali e la natura è scura e sterile contro un cielo plumbeo; Morandi dipinge l’inverno, che esprime sofferenza, fatica e povertà dignitosa. 4) NATURA MORTA (pag 437) → in questa opera del 1956, gli oggetti dimessi e muti si compongono simmetricamente al centro del dipinto, in una condizione di solennità simili a quella di una maestosa cattedrale. I colori variano dal beige al bianco ghiaccio, dal marrone all’azzurro, dal marrone chiaro al verde. Gli oggetti (delle bottiglie, una scatola, tre barattoli parallelepipedi e un contenitore semicilindrico) sono in un ambiente grigio, che li isola nello spazio. ALBERTO SAVINIO (1891-1952) • La pittura di Savinio tocca solo marginalmente le tematiche surrealiste. Essa tende piuttosto a collocarsi in una zona intermedia tra metafisica e surrealismo, in una posizione con essi colloquiante in modo divertito e ironico. • Savinio nasce ad Atene nel 1891 e compie studi musicali, completandoli a Monaco di Baviera. Nel 1911 è a Parigi, dove esordisce come scrittore nel 1914. L’anno dopo torna in Italia insieme al fratello Giorgio de Chirico per arruolarsi. Sono poi insieme a Ferrara, dove, con Carrà, prende vita la pittura metafisica. Nel 1926 torna a Parigi e nel 1927 inizia a dipingere. Muore a Roma nel 1952. • Savinio lavora con precisione dall’ideazione del dipinto al disegno e alla colorazione. L’artista vuole “dipingere forte”, cioè portare al suo massimo d’intensità ogni soggetto dipinto. Anche il disegno tende alla perfezione formale e ricorre all’impiego contemporaneo di tecniche diverse. • Le sue opere: 1) LE NAVIRE PERDU (pag 440) → la pittura di Savinio è una pittura di memoria, contraria a quella del sogno tipica dei surrealisti; ciò è anche in relazione alle incertezze del presente: la memoria allude alla lOMoAR cPSD|8219228 96 propria storia personale, ma anche a quella dell’umanità, diventando una memoria lunga e collettiva. Questa opera si colloca nel 1928, al centro di un intenso periodo artistico che va dal 1927 al 1930, in cui Savinio dipinge giocattoli ambientati in uno scenario naturale, usando sia colori che monocromi; la poetica dell’artista è quindi vicina all’enigma metafisico e allo stesso tempo anche allo spaesamento surrealista. Qui, i giocattoli colorati sono giganteschi e collocati su una montagna in mezzo al mare; dietro di essi si vedono le vele, le funi e gli alberi di un veliero perduto, carico di sogni infantili e pronto forse a salpare verso lidi di infinita bellezza, rievocando la felice condizione dell’infanzia. È proprio alla condizione dell’infanzia perduta che allude il titolo ed è per questo che gli elementi della nave sono monocromi. 2) SENZA TITOLO (pag 441) → questa opera del 1929 si colloca nella poetica saviniana del fluire continuo delle cose, dell’eterna rinascita e delle infinite possibilità. Nel dipinto si possono vedere diversi stadi evolutivi della natura: dal naturalistico terreno in primo piano all’azzurro-blu degli alberi e degli arbusti in secondo piano, al celeste della natura lontana, fino al chiassoso e geometrico cielo. La natura verosimile e quella d’invenzione sono un’unica entità e appartengono alla stessa storia, cioè quella di un futuro possibile, desiderato e auspicato, immaginario e transitorio. 3) APOLLO (pag 441) → questo dipinto del 1930-31 propone il dio per metà colonna ionica e per metà uomo dalla piccola testa di struzzo. Savinio prende ispirazione dalla statua romana di Hermes Loghios: eretto, apollo si volge a sx e, mentre tiene in mano un mantello, solleva la destra nell’attitudine dell’oratore. Il sole diffonde la sua luce ed effonde il suo calore infuocando le nuvole nel cielo e facendo palpitare il giovane corpo muscoloso del dio dalle grandi mani creatrici. Il richiamo ai miti della Grecia costituisce un gioco di memoria e gli ingredienti della composizione sono un concentrato di riferimenti colti. Il corpo levigato del dio è quello di un giovane; apollo è infatti il dio della giovinezza. Egli è anche il dio della luce e viene identificato con il sole cocente. La testa di struzzo è allusiva della straordinaria bellezza del dio. Inseguendo il gioco antico di metamorfosi e di umanizzazione degli animali, Savinio, raggiunta con la memoria lunga l’origine dell’uomo dagli animali stessi, ne propone una sorridente visione. 4) I GENITORI (pag 442) → la stessa cosa capita con questa opera del 1931. Vediamo su una poltrona una donna dalla testa di pellicano seduta su una poltrona e che tiene in mano un mazzo di fiori; di fianco a lei c’è un possente nudo virile dalla testa di cervo. Il pellicano è dal medioevo simbolo della bontà e dell’amore materno, poiché si riteneva che esso fosse capace di svenarsi con il becco e di nutrire la prole con il proprio sangue. La testa di cervo dell’uomo sta a indicarne l’astuzia; inoltre, i grandi occhi dolci sembrano contraddire i gesti minacciosi, segno della duplice caratteristica paterna (dolcezza e severità). L’imponenza e la perfetta conformazione del nudo virile riaffermano il ruolo dell’uomo amante oltre che sposo. ESPERIENZE ITALIANE FELICE CASORATI (1883-1963) • Torino, enigmatica e severa, fu l'approdo sicuro e riposante per Felice Casorati. Lontano dagli influenti circoli artistici milanesi e romani, Casorati dominò il panorama pittorico del capoluogo piemontese del primo dopoguerra, influenzando il gusto di allievi e collezionisti dell' elitario ambiente intellettuale torinese. • Nato a Novara nel 1883, Casorati compie i suoi studi a Padova, laureandosi in giurisprudenza. Nella città veneta comincia a dipingere, partecipando a numerose esposizioni d'arte, tra cui quelle organizzate da Novecento. Si trasferisce con la famiglia a Torino e ottiene la cattedra di Pittura all'Accademia Albertina, istituzione di cui sarà direttore. L'artista muore nel capoluogo piemontese il nel 1963. • La pittura di Caso-rati è sospensione, attesa (evidente retaggio di un giovanile influsso metafisico), chiarezza di forma, colore severo, classica composizione, suggestione, luce che indaga, realismo magico carico di rasserenante poesia • Le sue opere:
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