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Percorsi di teoria e comparatistica letteraria, Sintesi del corso di Critica Letteraria

riassunto dettagliato di percorsi di teoria e comparatistica letteraria con la Sinopoli

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 23/05/2022

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lucrezia-vendola 🇮🇹

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Scarica Percorsi di teoria e comparatistica letteraria e più Sintesi del corso in PDF di Critica Letteraria solo su Docsity! Percorsi di teoria e comparatistica letteraria: 1.. L’esperienza della letteratura: Sintesi dell’immaginario: nel momento in cui deponiamo il libro non siamo più quelli che eravamo prima di leggerlo. Quell’evento costituito dall'esperienza letteraria è un incontro: uno scambio intersoggettivo che non esaurisce il proprio compito e senso in un atto di comunicazione, ma che trasforma l'uso sociale del linguaggio in intrecci di vissuti duraturi. L'oggetto di questo scambio si realizza attraverso il duplice lavoro di chi scrive e di chi legge. Quando leggiamo eseguiamo delle operazioni cognitive semplici solo in apparenza: elaboriamo ipotesi e congetture, traiamo inferenze, riempiamo lacune, organizziamo connessioni di fatti e di identità, raccordiamo gli eventi nel tempo. La fantasticheria solitaria non ci basta: ci può appagare per qualche momento, ma poi la accantoniamo per tornare alla nostra vita quotidiana. L'adulto si vergogna delle sue fantasie e le nasconde agli altri, coltivandole entro di sé come cose private. Sappiamo che non possiamo vivere ventiquattro ore su ventiquattro all'insegna di un atteggiamento estetico a briglia sciolta. L'esteticità diffusa che ci circonda non può occupare il primo piano della nostra vita cosciente e operativa. L'atteggiamento estetico, ha bisogno di cornici. Cornici istituzionali al cui interno possiamo scrutare le pieghe e i risvolti delle nostre impressioni, allentare le resistenze all'emotività, piangere, ridere, infuriarci e rallegrarci, assumere identità plurime. Dentro la cornice c’è il territorio dell'arte come luogo dell’estetico istituzionalmente sancito, campo di esplorazione inesauribile dell’informe, dove ogni corpuscolo infinitesimo può essere valorizzato, dove i sensi si spalancano e i nessi si moltiplicano, i contrari coesistono. Delegando ad altri la facoltà di dare forma a percorsi immaginativi che sappiano rispondere ai nostri bisogni di senso, evasione e irrobustimento del sé, configuriamo con ciò stesso lo spazio costitutivo della comunità letteraria. C'è qualcuno che scrive e qualcun altro che legge, qualcuno che parla e qualcun altro che in silenzio ascolta. Questo silenzio segna l'asimmetria originaria fra i protagonisti dello scambio, l'autorità/autorevolezza dell'autore. L’esperienza letteraria è un lavoro, risponde a una richiesta, e questa richiesta esige un soddisfacimento imprescindibile. Il termine “interesse” rinvia al dominio dell’economia, a conferma del fatto che per chi legge il testo deve avere un valore di scambio adeguato. Siamo sul piano di un'economia psichica, in cui ogni soggetto leggente formula preventivi di spesa, controlla profitti e perdite, stende bilanci di costi e ricavi. Scegliere un tema interessante non basta, bisogna mantenerlo vivo, stimolare l'attenzione del lettore. Nel tenere desta l'attenzione è importante l'aspetto affettivo del tema. Le emozioni sono il mezzo principale per mantenere viva l'attenzione nei confronti dell'opera che le suscita. In un saggio troviamo richiami al pathos del pubblico. Tomasevskij espone il concetto di "situazione narrativa" dando rilievo alla conflittualità in quanto forza che innerva il racconto oltre che i processi storico-sociali. Le forme dotate di fabula si fondano in maggioranza su un conflitto. Possiamo definire lo svolgimento della fabula come il passaggio da una situazione all'altra, mentre ogni situazione è caratterizzata da un contrasto d'interessi. Quanto più complesse sono le contraddizioni che caratterizzano la situazione iniziale, quanto più forte è il conflitto tra i personaggi, tanto più essa è ricca di tensione. Così sintetizza Paolo Giovannetti: l'opera innesca qualcosa come una mente corporea incorporata: il nostro corpo processa le parole del testo e costruisce un mondo complesso, che è il mondo di una storia finzionale (leggendo un romanzo proiettiamo la nostra memoria fisica sui personaggi, sugli spazi rappresentati e sulle vicissitudini dell'intreccio, e ne traiamo i contenuti narrativi che definiamo immagini). A riempire le fibre di questo scambio intenso in atto nell'incontro tra io narrante e io leggente c’è la spinta immaginativa che costituisce il motivo principale della decisione di leggere. Ogni racconto sorge da un progetto immaginativo perché ogni narrazione si muove all'interno di una geografia dell'immaginazione che orienta i pensieri del racconto e li rende ricchi di senso. L'esperienza letteraria è un incontro di immaginazioni reciprocamente coinvolte. Leggere vuol dire chiedersi perché proprio questo e proprio ora e chiederselo vuol dire continuare la storia nella storia, immaginarla. L'esperienza del mondo condivisa dall'io narrante e dall'io leggente comprende la possibilità che le cose percepite si carichino di un sovrappiù di senso, all'interno della situazione percettiva che sperimentiamo. Le tonalizzazioni o tonalità emotive colorano i dati percettivi e conferiscono loro una interna vibrazione immaginativa. Si tratta di un processo di valorizzazione in cui la cosa subisce una metamorfosi, assume una piega immaginativa e si mette in moto sollecitando la formazione di catene associative. Ecco che nella nostra esperienza si manifestano molti nessi associativi, che ci invitano a scorgere in una realtà data i tratti che caratterizzano altre cose e altre realtà. Ci troviamo di fronte al meccanismo analogico-proiettivo che sta alla base del funzionamento della memoria e delle figure retoriche. L'immaginazione si innesta sulla cosa inducendo in essa un principio di instabilità. La cosa che fino ad ora se ne stava stabilmente di fronte a noi nella fermezza delle sue determinazioni oggettive manifesta un inizio di dinamismo. Inizia il viaggio della sintesi dell'immaginazione: la sintesi finisce con l'implicare quella che potremmo chiamare una regione dell'immaginazione. Il privilegio e il compito di popolare le regioni dell'immaginario spettano al gioco, al rito, all'arte. Chi legge o ascolta segue i percorsi delle valorizzazioni immaginative tracciati nel testo da chi ha scritto o sta parlando. I contenuti della vicenda narrata o della poesia trasmettono le loro vibrazioni immaginative e intrecciano catene di figure. Stare al gioco: finzionalità e interpretazione: nel prologo di Romeo e Giulietta, il coro si rivolge agli spettatori. I suoi versi anticipano la vicenda di discordia, amore e morte che sarà messa in scena e in questa metafinzionalità il prologo svolge la propria funzione di momento di passaggio dal mondo degli spettatori al mondo dei personaggi. Quando il coro esce il palcoscenico diventa una strada di Verona. discorsivi e testuali eterogenei, letterari e non. A questa duplice dinamica di assimilazione dispiegata dal genere romanzesco, il critico Bachtin ne affianca una di espansione, per cui i generi non romanzeschi della modernità si romanzizzano, sviluppando una plasticità e forme di raffigurazione del discorso, derivanti dal romanzo. Descrivere questo sistema nel suo stato presente significherebbe osservare la frammentazione del romanzo in una molteplicità di sottogeneri. Generi e ricezione: questa impresa cartografica sarebbe votata al fallimento e non ci aiuterebbe a comprendere un ultimo aspetto del concetto di genere e della questione dei generi letterari. C’è una seconda obiezione: secondo il poeta Mandelbaum, il filosofo Wittgenstein non riuscirebbe a cogliere un insieme di tratti comuni nella famiglia dei giochi perché si concentrerebbe erroneamente sulle loro proprietà direttamente osservabili invece che su altre, come quelle relative alla funzione del gioco nella vita o all’atteggiamento che contraddistingue la nostra partecipazione ai giochi. Questa linea argomentativa è stata ripresa dal critico Arthur Danto per il concetto dell’arte: l’arte non apparirà come una famiglia di oggetti eterogenei a condizione che si osservino le relazioni tra quegli oggetti e i loro spettatori. L’esteticità non sarà tanto nell’opera d’arte, ma nell’esperienza che vivremo per essa. I generi letterari possono essere intesi come gruppi di opere che suscitano certe risposte e che sono istituite come tali da quelle risposte. Sapere che cosa sia un genere letterario significa rispondere alle opere di quel genere in modo appropriato, con un sentimento di pietà per l’eroe tragico e di terrore per la fragilità del bene umano. 3.. L’autore: L’intenzionalità: l’autore di un’azione conosce sempre le intenzioni mentali alla base del proprio agire. L’azione intenzionale è quel tipo di azione a cui si può applicare un certo significato della domanda “perché?”, la domanda sulla ragione dell’agire. Le intenzioni di un autore non devono essere semplicemente ricavate da una continua interrogazione biografica o psicologica. Ogni volta che poniamo la domanda sulla specifica forma di un’opera letteraria stiamo cercando di rispondere a un quesito che riguarda l’intenzione d’autore. L’intenzionalità è sempre in relazione con i contesti in cui si esprime. L’intenzione è un’iniziativa nel presente o atto reale in un mondo reale. Se non si vede nella critica solo un lavoro ancillare di esplicazione e commento, il suo ruolo principale è quello del concetto del “ri-uso”. Il ri-uso che la critica letteraria mette in atto nei confronti dell’intenzione formalizzata in un testo è un nuovo atto intenzionale che il critico imprime. Il testo critico è un nuovo testo intenzionale che si assume il compito di interpretare e valutare la forza di un testo all’interno di un nuovo contesto. All’iniziativa d’autore si deve affiancare l’iniziativa di ri-uso degli interpreti fissati da una società per tramandare la tradizione letteraria. L’intenzione fa sempre riferimento a un fatto pubblico e a un’azione in un contesto. L’intenzione contenuta in un testo è il luogo di incontro e contrasto delle intenzioni e degli eventi. Ogni grande opera letteraria è stata riconosciuta tale anche perché porta in sé un’iniziativa di riconfigurazione dei sistemi e dei contesti in cui è stata prodotta come una forza viva. Il critico Bachtin si schiera dalla parte dell’intenzionalismo e afferma che l’autore è presente fuori dell’opera come essere umano reale che vive la sua vita, ma lo vediamo in azione come creatore anche nell’opera. L’intenzionalità dell’autore nella sfera della cultura si misura nella forma, che è il risultato dell’attività dell’autore all’interno e all’esterno dell’opera. La rivolta dell’eroe non è una negazione dell’autore ma un riconoscimento aperto dell’eroe da parte dell’attività formalizzante di un autore che ascolta e dialoga coi suoi personaggi. Nell’articolo “The Intentional Fallacy” di Wimsatt e Beardsley, i due studiosi sostengono che il progetto o l’intenzione dell’autore non possono essere assunti in nessun modo come punti di partenza per giudicare la riuscita di un’opera d’arte letteraria. Il termine intenzione è qui usato nel senso di progetto o piano nella mente dell’autore. Stabilire il luogo proprio dell’intenzione nella mente dell’autore è il nucleo della strategia argomentativa di Wimsatt e Beardsley. L’articolo prosegue con la discussione di cinque proposizioni sul problema dell’intenzionalità in letteratura: nella prima gli autori negano che l’intenzione mentale dell’autore debba essere posta come standard attraverso cui il critico possa valutare la riuscita poetica; la seconda dice che se l’intenzione è stata realizzata con successo la ritroveremo nella lettura del testo; nella terza si afferma che giudicare un’opera letteraria è come valutare una macchina, cioè si domanda se funzioni; la quarta dice che qualunque testo poetico è sempre drammatico; la quinta afferma che la letteratura non apparitene né ai critici né all’autore ma al pubblico. In Europa nel 1968 esce l’articolo-manifesto “La morte dell’autore” di Roland Barthes, che introduce in Europa l’idea dell’intentional fallacy. Secondo il critico, non possiamo mai dire con certezza chi parli in uno scritto: la scrittura è la distruzione della voce, è la perdita dell’identità. La scrittura comincia quando l’autore entra nella propria morte, perché non si scrive mai un racconto con l’intenzione che esso sia un’azione diretta al reale, ma solo per scopi intransitivi. Il dibattito non appare finito neanche ai giorni nostri. I nuovi difensori dell’anti-intenzionalismo oggi si fanno fautori delle interpretazioni contro-autoriali. Alcuni studi puntano a storicizzare il ruolo e la presenza nel testo dell’autore, mentre in altri lavori si definisce il concetto di iniziativa dell’autore da preferire a quello di intenzione. La critica biografica: la critica biografica non ha avuto nel 900 grande fortuna. Il critico Tomaševskij, in un articolo intitolato “letteratura e biografia”, svolge alcune riflessioni importanti. L’interesse da parte del pubblico per la vita dell’artista ha subito diverse fasi: ci sono state epoche in cui il nome dell’autore non interessava in alcun modo e epoche che portano quel nome in primo piano. Non è la biografia reale a interessare lo studioso di letteratura, ma quella specie di leggenda biografica ideale amata dal pubblico. La personalità dello scrittore e qualsiasi elemento della sua vita quotidiana e della sua biografia hanno rilevanza per gli studi letterari solo se sono diventati materiale da costruzione di un’opera, rivestendo una specifica funzione letteraria. La biografia dell’autore è necessaria agli studi letterari solo quando svolge nelle opere un ruolo strutturale. Un’inversione di tendenza può essere segnata da un altro grande testo, cioè il volume di Starobinski intitolato “Jean Jacques Rousseau. La trasparenza e l’ostacolo”. Il critico incomincia il suo studio dicendo che questo libro non è una biografia, eppure l’analisi segue la cronologia degli eventi della vita e delle idee di Rousseau. L’autore ci dice di essersi limitato all’osservazione e alla descrizione di strutture che appartengono al mondo di Rousseau, il cui mondo è questo insieme che si realizza in una struttura che si presenta in una grande varietà di immagini, di desideri, di nostalgie che sono unite da una forma di permanenza. Per interpretare l’opera di Rousseau è indispensabile il confronto col mondo verso cui essa si pone in opposizione. Egli è un autore che desidera una comunicazione e una trasparenza sincera dei cuori, ma che trova sempre frustrata questa sua aspettativa e suscita l’emergere dell’ostacolo. In questo nesso strutturale tra interiorità e mondo, tra linguaggio e eventi, secondo Starobinski, Rousseau giunge a inventare l’attitudine che caratterizzerà la letteratura moderna. Nel metodo di Starobinski convergono diverse tendenze: il riferimento alle strutture, l’attenzione fenomenologica al rapporto tra strutture della coscienza e mondo, l’apporto del formalismo russo. Per tutto il 900, la critica biografica è stata oggetto di critiche, ma è stata anche praticata con risultati di grande interesse. Più che sulla correttezza del metodo biografico, è più utile interrogarsi sulle strade che i migliori testi di critica biografica pubblicati ai nostri giorni provano ad adottare per uscire dalle strettoie di un metodo contestano. La filosofa Kristeva ha pubblicato uno studio su una delle scrittrici vissute tra 800 e 900, Colette. La studiosa dichiara di voler leggere Colette nel testo, senza ignorare il lavoro del biografo, perché la vita di Colette è una vita rifatta dalla scrittura e all’interno di essa. L’autobiografia: gli studi critici sull’autobiografia hanno portato alla pubblicazione di ottimi volumi che affrontano con sicurezza la storia del genere autobiografico. In questi libri non si tace una difficoltà che gli studiosi devono affrontare passando dall’analisi storica alla teoria di questo genere. Lo storico Andrè Jolles si occupa del memorabile. Esiste un rapporto tra memorabile e autobiografia, in quanto nella forma semplice del memorabile vediamo un meccanismo sfruttato da quest’ultima. Il tipo di presentazione di una personalità attraverso qualcosa che sia tangibile è una delle forme più ricorrenti nell’autobiografia. Il ruolo del lettore è al centro di uno dei percorsi di studio più importanti dedicati al problema teorico dell’autobiografia: si fa riferimento alla riflessione sul patto autobiografico svolta da Philippe Lejeune. Lo studioso mette in luce quattro elementi necessari per parlare di autobiografia: forma del linguaggio (narrazione, prosa); soggetto trattato (vita individuale, storia di una personalità); situazione dell’autore (identità di autore e narratore); posizione del narratore (identità di narratore e protagonista, punto di vista retrospettivo della dimenticato che modi più classici di raccontare e raccontarsi sono ancora praticati. È significativo che uno dei testi più importanti e più celebrati degli ultimi anni è “La mia lotta” di Karl Ove Knausgård: un romanzo autobiografico il cui autore si limita a mettersi a nudo, raccontando la storia della sua vita senza apparentemente deformarla attraverso risorse finzionali. 4.. L’opera: Forma, formalismo, formalismi: ai formalisti russi possiamo ascrivere storicamente la fondazione della teoria della letteratura. Parlando di formalismo russo dobbiamo fare riferimento all’OPoJaz (società per lo studio del linguaggio poetico) e al MLK (circolo linguistico di Mosca). I contatti tra questi due non mancano di dissidi. I pietroburghesi non intendono accettare all’unanimità la sottomissione dello studio della letteratura alla linguistica. Il contributo dei formalisti configura una costellazione di problemi, di nuclei teorici fondamentali affermati sia nelle dichiarazioni programmatiche sia nella prassi critica. Molti di questi nuclei si sono radicati nella teoria letteraria novecentesca. Il primo nucleo teorico è l’autonomia del testo. Poiché il principio cardine dell’OPoJaz è lo studio della letteratura come serie specifica di fenomeni, i formalisti avviano la loro attività escludendo dal territorio di indagine tutto quanto eccede la composizione interna dell’opera d’arte verbale. Inevitabile è l’approccio contrastivo volto al raffronto tra l’uso quotidiano del linguaggio e la trasformazione che esso subisce nell’arte. Il linguista Lev Jakubinskij formula la distinzione tra lingua pratica in cui le rappresentazioni linguistiche non hanno valore autonomo, ma sono solo mezzo di comunicazione, e lingua poetica in cui gli scopi pratici passano in secondo piano e le combinazioni linguistiche acquisiscono valore in sé. Nella forma poetica i materiali verbali non sono veicoli trasparenti di significato orientati verso l’esterno come nella comunicazione ordinaria, ma attraggono l’attenzione sul proprio valore autonomo, sulle qualità ritmiche e sonore, sulle regole della loro distribuzione, creando un effetto di opacità della forma. La forma si rivolge a se stessa come al proprio scopo, è “autotelica”. L’opacità della forma poetica viene alla luce grazie a procedimenti come la ripetizione fonica e il neologismo. L’intransività del linguaggio poetico comporta la maggiore percettibilità della forma. Insiste su questo aspetto il critico Šklovskij nel saggio “L’arte come procedimento”, che attraverso la nozione di straniamento estende la dinamica di automatizzazione e percettibilità all’esperienza del mondo. Lo straniamento è per lui l’essenza dell’arte. Spostando gli oggetti da loro contesto abituale, l’arte crea nuove coordinate prospettiche da cui il mondo non si riconosce più, ma si vede. Parole e valori perdono la loro trasparenza, diventando corposi. Lo straniamento fa riflettere, smaschera, interroga. È possibile individuare quattro nozioni di forma dell’OPoJaz e del MLK: le tre metafore della macchina, dell’organismo, del sistema e la sineddoche del linguaggio. L’immagine della macchina è caratteristica degli scritti di Šklovskij. L’aspetto tecnologico del fare artistico si inscrive nel contesto storico segnato dalle esperienze delle avanguardie. Questa metafora tecnologica in Russia indicava una precisa posizione politica: il desiderio dell’intelligencija di sinistra di una trasformazione radicale della società russa. Se secondo Šklovskij il procedimento costituisce l’elemento minimo indipendentemente della forma artistica che migra come un meccanismo da opera a opera, Zirmunskij gli obietta che il procedimento non esiste indipendentemente ma solo come parte costitutiva dell’opera e che il suo valore è determinato dall’intero in cui è inserito. Prima del formalismo russo esisteva un formalismo occidentale. Se il modello meccanistico concepisce l’opera come un aggregato delle sue parti, i critici di tale concezione ribattono che l’opera letteraria non è un vero aggregato, ma ha una certa qualità interna che appartiene ad essa in quanto intero. Più che alla tecnologia bisogna guardare alla biologia e al suo oggetto di studio, quindi all’organismo. L’opera letteraria, come l’organismo, è un intero complesso unificato composto di elementi eterogenei, differenziati in base alla loro funzione. Alcuni esponenti del formalismo russo intendono la forma in senso generativo e si avvalgono del concetto di “morfologia” sulla base delle osservazioni che Goethe ha affidato ai suoi lavori sulle forme. La morfologia di Goethe si basa sulla convinzione che tutto ciò che esiste si debba anche mostrare. Secondo lui, l’universo naturale è governato da un ordinamento continuo e graduale. Le forme di vita sono totalità organiche creative, fenomeni in divenire. Il linguista Vladimir Propp elabora la sua “morfologia della fiaba”. Frutto dell’analisi del materiale, questo lavoro presenta un semplice metodo di studio della favola fondato sulle azioni che in essa compiono i personaggi. Dopo aver individuato il corpus delle fiabe di magia da esaminare, Propp osserva che dalla comparazione degli intrecci lo svolgimento dell’azione narrativa risulta uniforme: sotto i diversi nomi e attributi dei personaggi si celano azioni identiche. Per l’analisi è importante che cosa fanno i personaggi. L’esito è l’individuazione di 31 funzioni, intendendo per funzione l’operato di un personaggio. Negli scritti successivi, Propp si soffermerà nel dettaglio sulle trasformazioni della fiaba e sulle varianti seriori. Le 31 funzioni verranno considerate una pietra miliare dell’analisi del racconto, entrando nel senso comune degli studi letterari. Abbiamo tre testimonianze della feconda eredità trasmessa dalla morfologia di Goethe allo studio delle forme. Abbiamo i lavori di Andrè Jolles, soprattutto la sua opera “Einfache Formen” dedicata a leggende sacre e profane, mito, enigma, caso, fiaba, scherzo. L’intuizione dell’esistenza di “forme sempici” presenti nella realtà della lingua comorende per Jolles l’esigenza di determinare il percorso che conduce dalla lingua alla letteratura, cioè quando, dove e come il linguaggio diviene costruzione. Le forme semplici di Jolles sono unite con le “Pathosformeln” che lo storico Aby Warburg ha descritto come formule antiche di un’intensificata espressione fisica o psichica, che si sforza di rappresentare la vita in movimento. Esse ritraggono in immagini ricorrenti esperienze ancestrali radicate nella memoria dell’umanità. Il legame genetico tra le Pathosformeln e le Einfache Formen si sostanzia della presenza della “topica storica” di Curtius. Osserviamo come nelle ricerche storiche e antropologiche di Ginzburg la valenza della morfologia oltrepassi gli ambiti dell’estetica, dell’arte e della letteratura. Ginzburg ripercorre le tappe di un percorso teorico e metodologico incentrato sulla possibilità e necessità della comparazione di fenomeni storici lontani tra loro nel tempo e nello spazio. Strutturalismo: del saggista Claude Bremond è il saggio “Le message narratif”, che si apre con l’elogio della Morfologia della fiaba di Propp. Bremond conclude il suo intervento indicando due direzioni di ricerca da intraprendere. La prima è lo studio comparato delle strutture del racconto attraverso tutti i messaggi e delle forme narrative che comportano uno strato di narratività; l’altra consiste nel mettere in relazione lo strato narrativo del messaggio con gli altri strati della significazione. Per entrambi i percorsi viene evocato l’insegnamento di Propp. Il linguista Jakobson è considerato un padre fondatore dello strutturalismo. La sua biografia illustra il passaggio di testimone dal formalismo russo allo strutturalismo degli anni 60 attraverso le fondamentali tappe storiche delle Tesi di Praga del 1929 e dell’incontro con l’antropologo Claude Lévi-Strauss. La riflessione di Jakobson sulla lingua trova alimento nel commercio ravvicinato fin dalla giovinezza con l’attività dei poeti e degli artisti suoi contemporanei e nell’attenzione verso ciò che accade nel campo delle scienze. L’idea di struttura che Jakobson e Lévi-Strauss porteranno dagli USA alla Francia riguarda sia le scienze dello spirito che della natura. Quella dell’idea di struttura è una poligenesi. Lo storico Boris Èjchenbaum descrive l’opera come unità fluida, i cui diversi strati che la compongono sono in costante movimento e interazione, dove uno di essi tende a sottomettere tutti gli altri, elevandosi al ruolo di principio organizzativo. L’opera non è un luogo di composta armonia ma uno spazio conflittuale. L’opera è una correlazione dinamica di elementi che lottano per la supremazia, e uno o più elementi diventano dominanti. Per il critico Tynjanov, il conflitto continuo tra gli elementi per il predominio non è in atto solo all’interno di un’opera, ma all’interno del sistema letterario. È il linguista Roman Osipovič a disseminare la nozione di “dominante”. Egli dà forma compiuta alla sua definizione del messaggio poetico nella sua differenza specifica in quanto messaggio con funzione poetica dominante. Negli USA, Jakobson entra in contatto coi rappresentanti del “New Criticsm”, una corrente che esercita una forte influenza sugli studi letterari e i cui rappresentanti sono accomunati da un’attitudine text- centered e dalla pratica del close reading. Un incontro importante per la teoria della letteratura del secondo 900 è quello tra i critici Renè Wellek e Austin Warren. “Theory of literature” rappresenta il frutto di questo sodalizio che fa interagire la tradizione dello strutturalismo praghese e quella angloamericana. Lo strutturalismo in Italia ha contribuito a svecchiare la cultura nazionale attraverso iniziative editoriali, l’impulso alle traduzioni e all’istituzione di riviste. Lo strutturalismo italiano reca l’impronta della tradizione storicistica. In Italia il credo strutturalista si è e manifestazioni di varia natura che erano stati fino a quel momento considerati divisi da qualsiasi tipo di intento comunicativo. La psicoanalisi è una disciplina ibrida. Da una parte vorrebbe essere ammessa al tavolo delle scienze esatte e empiriche, presentando il proprio modello metapsicologico fondato su basi osservative; dall’altro abbraccia le scienze umane, situandosi nel campo dei sistemi filosofici e sociologici che spiegano la singolarità di fenomeni che cambiano nel tempo. Letteratura e psicoanalisi: Freud dimostra consapevolezza del rapporto privilegiato che sta tra psicoanalisi e letteratura, dichiarando il debito che la propria disciplina ha avuto nei confronti di scrittori, romanzieri e poeti. Freud ammette che la letteratura ha anticipato la psicoanalisi nella scoperta dell’esistenza di una dimensione inconscia della psiche. La letteratura è considerata come via regia per accedere all’inconscio. Può essere concepite come un archivio della psiche da consultare per trovare conferme e mettere alla prova le scoperte derivanti dal lavoro di analisi portato avanti coi pazienti in carne e ossa nella Vienna di inizio secolo. Per Freud i testi letterari sono infestati dal “rimosso”, cioè quel materiale che può manifestarsi all’interno di forme di comunicazione cosciente grazie a procedimenti di trasfigurazione artistica. La letteratura è capace di elaborare e dare voce a quei contenuti psichici che sono costretti a emergere in modo distorto tramite formazioni di compromesso. È la riflessione sulla letteratura come mezzo attraverso cui l’inconscio può esprimersi in forma mutata che ci rivela un altro aspetto importante del rapporto tra psicoanalisi e dimensione letteraria: il debito che l’analisi della narrazione ha nei confronti dell’insegnamento freudiano. L’analisi che Freud fornisce dei suoi casi clinici corrisponde a un approccio alla narrazione stilistico/formale focalizzato sul “come”. Biografismo e contenutismo: quando si parla di “critica psicoanalitica” ci si riferisce a due approcci al testo: un’analisi che si focalizza sul personaggio o sull’autore e la psicoanalisi del testo. I saggi “Delirio e i sogni nella Gravida” di Jensen e “Il poeta e la fantasia” sono i capostipiti di una tendenza contenutistica della critica psicoanalitica, si focalizzano sull’analisi dell’autore e dei personaggi di finzione. In “Delirio e sogni”, il protagonista viene psicoanalizzato da Freud, si parla del suo delirio e lo si analizza a partire dal comportamento e dai sogni raccontati nell’opera (Freud identifica un alter ego letterario dell’analista, cioè un’amica d’infanzia del protagonista che ha inconsapevolmente innescato l’amore del protagonista per una statua. È grazie all’incontro con questa che il protagonista si rende conto del suo delirio e comprende le ragioni che l’hanno generato, cioè un amore di infanzia rimosso che lo porta a chiudersi sul suo lavoro reprimendo l’innamoramento). Raggiunta la diagnosi, questa viene trasferita dal protagonista finto all’aurore reale. Gli elementi narrativi sono letti in chiave autobiografica. Ne “Il poeta e la fantasia”, l’atto della scrittura viene visto da Freud come intermedio tra la realtà reale e la fantasia generata dalla psiche dell’autore per superare una frustrazione e appagare un desiderio altrimenti destinato al fallimento. La letteratura è assimilata al gioco (lo scrittore è paragonato al bambino che crea mondi alternativi o che trasforma la realtà tramite l’uso della fantasia e dell’invenzione). Il meccanismo che governa le fantasie del nevrotico è per Freud sovrapponibile al meccanismo che presiede all’uso conscio della fantasia e al ricorso consapevole alla finzione. Il psicoanalista Otto Rank è sostenitore di uno dei primi esperimenti di critica psicoanalitica. Il saggio “Il doppio” identifica il tema del sosia e riconduce questa tendenza a una predisposizione psichica dell’autore verso la scissione dell’io. Rank usa l’opera come sintomo: i testi che presentano riferimenti al doppio segnalano la personalità borderline dell’autore. Anche Marie Bonaparte opera un’interpretazione analitica di tipo biografico in riferimento a Edgar Allan Poe. In “Il crollo della casa degli Usher”, l’autrice interpreta la punizione del protagonista del racconto come punizione che Edgar Allan Poe vorrebbe autoinfliggersi per essere stato infedele alla madre. Per Bonaparte, il testo rivela la psicologia dell’autore e la sua devianza, per cui si perviene a una totale identificazione tra Poe e il protagonista del racconto. Un’altra direzione della critica psicoanalitica è segnata da Charles Mauron, fondatore della “psicocritica” che trova sistematizzazione teorica in “Dalle metafore ossessive al mito personale”. Mauron inventa figure e immagini ricorrenti che tornano come costanti. Questa rete di metafore ossessive è da interpretare come manifestazione dell’inconscio del poeta che compare sotto immagini ritornanti. La psicocritica permette di scoprire il mito personale dell’autore. Il testo, la forma: la psicocritica è l’approccio che più si avvicina al filone che riguarda l’aspetto linguistico e stilistico dei testi. “L'interpretazione dei sogni” e “Il motto di spirito e la sua relazione con l'inconscio sono i due studi principali che influenzano questo approccio critico. Ne “L'interpretazione dei sogni” il sogno è considerato la via regi per accedere all'inconscio: la rappresentazione onirica è un appagamento allucinatorio di desideri. Il contenuto manifesto è ciò che ricordiamo al risveglio. Dietro al contenuto manifesto si nasconde un contenuto latente, soppresso dall'io durante lo stato di veglia. Il sogno diventa un testo da interpretare che presenta una trama esplicita e una serie di contenuti che richiedono decifrazione. Il motto di spirito è un'altra manifestazione del rimosso che emerge sul piano della coscienza. Se la narrazione del motto di spirito viene alterata, la battuta è rovinata, l'interlocutore non trae piacere dal racconto e non si scatena il riso liberatorio. La costruzione narrativa e stilistica sono vincolanti al fine della trasmissione di un senso non pienamente tollerabile sul piano della coscienza. L'inconscio possiede una propria modalità espressiva, un proprio linguaggio e uno stile peculiare finalizzato ad aggirare le maglie della censura cosciente. Esiste una “sintassi dell'inconscio” che opera secondo procedimenti propri e che spesso si infiltra in quelle che riteniamo manifestazioni consapevoli del nostro pensiero (lapsus). Si può considerare l'inconscio un linguaggio-pensiero che ci abita e infesta i nostri discorsi. Una delle rivisitazioni più interessanti di Freud in direzione di una visione linguistico-formale dell'inconscio è quella elaborata dal critico italiano Francesco Orlando. La critica orlandiana opera una precisa scelta di campo ponendosi in aperta polemica con letture biografiche e contenutistiche. Il suo metodo è definito “teoria freudiana della letteratura”. Per Orlando un'efficace applicazione della psicoanalisi alla letteratura deve considerare la letteratura come oggetto linguistico il cui discorso si presenta come intersezione tra logica cosciente e inconscia. Orlando afferma per il fatto letterario la supremazia del significante sul significato. La creazione letteraria diventa portatrice di un contenuto tendenzioso, è indispensabile che l'espressione stessa risponda a determinate caratteristiche per poter esprimere ciò che sarebbe altrimenti passibile di censura. Tendenziosa sarà la forma che permette l'elaborazione di determinati materiali altrimenti intoccabili. La retorica onirica è in letteratura la retorica letteraria che Orlando chiama “figuralità”. Questa varia in base al contenuto da esprimere. Il contenuto tendenzioso assume una forma che gli permette di essere comunicato. Se nel motto Freud identificava le manifestazioni delle tendenze oscene e aggressive rifiutate dall'individuo per tramite della censura dell'io cosciente, allo stesso modo Orlando afferma che i contenuti di cui la letteratura si fa portatrice sono riconducibili alle due grandi categorie di pensiero che confliggono con la stabilità dell'ordine sociale: la sfera della sessualità e quella della rivolta nei confronti del sistema ideologico-politico vigente. L'aggressività e l'osceno, che per Freud costituivano il bagaglio di rimosso psichico, sono in letteratura, secondo Orlando, contenuti repressi. Con Orlando la critica psicoanalitica si fa strumento che sonda la letteratura come formazione di compromesso ideologico, in cui le istanze conflittuali del discorso assumono una rilevanza sociale, politica, e storica. Dispositivo: il termine “dispositivo” nasce nell’ambito della filosofia post- strutturalista come successore del concetto di struttura. Il filosofo Foucault arriva a teorizzare il concetto di dispositivo per superare la dualità tra formazioni discorsive e formazioni non discorsive. Dice che il dispositivo è un insieme che implica discorsi, istituzioni, strutture architettoniche, leggi, proposizioni filosofiche. È un insieme di strategie di rapporti di forza che condizionano certi tipi di sapere e ne sono condizionati. Ha come caratteristica quella di rispondere a un’urgenza. È una struttura fissile, destinata a incrinarsi e a superarsi, in grado di tenere insieme forse eterogenee. Il contributo del filosofo Gilles Deleuze al dibattito sul concetto di dispositivo riguarda il tema della soggettivazione e della produzione di soggettività all’interno dei dispositivi. Deleuze parte dall’immagine di un groviglio per definire il dispositivo (groviglio di linee). L’operazione dell’interprete è quella di sbrogliare queste linee aggrovigliate: ciò che ne risulta sono le due principali dimensioni di un dispositivo e cioè il “regime di visibilità” e il “regime di enunciazione”. In merito al primo, ogni dispositivo ci permette di vedere, è una macchina per far vedere, nel senso che produce ciò che ci fa vedere. Ogni dispositivo instaura regimi di enunciazione. In questo senso i dispositivi sono macchine per far vedere e macchine per far parlare, sono regimi di possibilità. A queste dimensioni bisogna aggiungere le persone e nel mondo reale non è sempre ovvio e non è ovvio che ciò che vale per un lettore degli anni 2000 valga per un autore del 600. Le indicazioni testuali esplicite saranno integrate con ciò che valeva per le persone e il mondo reale secondo la cultura dell’autore. L’interpretazione è una forma della comprensione, e la comprensione inizia da una precomprensione che precede l’inizio della lettura. Leggiamo cioè sulla base di una conoscenza pregressa del genere a cui pensiamo che l’opera appartenga, di un’idea del suo tema, di determinate aspettative relative alla letteratura e al suo linguaggio. Se la caratterizzazione è interpretazione, anche l’elaborazione della fisionomia di un personaggio muoverà da una precomprensione che attraverso la lettura del testo si riarticolerà progressivamente. Identità e dialogismo: la fisionomia dei personaggi (la loro identità) si definisce in una dimensione relazionale. Il filosofo Charles Taylor scrive che non esiste una generazione interiore monologicamente intesa e che un aspetto importante della condizione umana è il suo carattere dialogico, per cui il fatto che sia uno ha scoprire la propria identità significa che la negozia attraverso un dialogo con altre persone. Taylor riprende il concetto di dialogismo che egli riconosce come forma dei rapporti umani e che noi possiamo cogliere nei personaggi letterari. Dialogismo e polifonia contrassegnano l’identità del personaggio letterario e la sua rappresentazione narrativa. Ciò vale anche per l’azione, cioè per i personaggi in quanto agenti, poiché anche le loro azioni saranno interazioni con gli altri personaggi. La caratterizzazione procede anche nel racconto dell’azione: i verbi che denotano l’azione sono predicati come gli aggettivi e i nomi con cui attribuiamo una psicologia o un’ideologia e possono concorrere alla sua definizione tanto quanto i nomi e gli aggettivi possono informarci sull’azione. Già Aristotele aveva correlato il carattere e le azioni dei personaggi nella “Poetica”, in cui egli pensa il carattere come portato del compiere nel tempo e in cui ripropone per i personaggi questa concezione del rapporto tra carattere e azione e chiede che la rappresentazione dei personaggi sia improntata a verosimiglianza. Il carattere si conoscerà dalle azioni compiute dal personaggio, in cui esso si manifesta. Nelle riflessioni di Aristotele il personaggio ci è apparso come mimesi. In primo luogo, pensare il personaggio come mimesi della persona non impedisce di pensarlo anche come figura testuale; in secondo luogo si può ripetere che il personaggio può essere pensato nella sua identità e insieme come agente. Quando pensiamo all’intreccio come alla composizione dell’azione dobbiamo pensare a un’azione informata a intenzionalità, motivazione, emozione o ragionamento e ai personaggi come a “generatori di intreccio”. Un modo per farlo è ricorrere al concetto di “narrazione incastonata” di Marie-Laure Ryan, secondo cui la narrazione incastonata di un personaggio è la storia quale si costituisce nella sua particolare prospettiva di comprensione e azione. L’intreccio è generato dalla composizione delle narrazioni incastonate dei diversi personaggi. Le possibilità dell’esistenza: nella mimesi poetica deve apparire necessario che una certa persona dica o faccia delle certe cose. Qui sta la prima formulazione dell’idea di un’esemplarità del personaggio letterario. Il personaggio è un individuo che rappresenta un gruppo. È tale esemplarità del nesso di intreccio e personaggio a fondare la funzione conoscitiva della poesia. L’individualità del personaggio convive con una funzione di esemplarità: un personaggio può rappresentare un gruppo di persone variamente definito. Meir Faygel esemplifica un gruppo storico-sociale, un’ideologia e una sensibilità. Il racconto “L’Ojo Silva” di Roberto Bolaño esemplifica un atteggiamento morale di rifiuto della violenza e un destino storico segnato dall’impossibilità di sottrarvisi. I personaggi letterari rappresentano delle possibilità dell’esistenza. La comprensione e l’interpretazione non sono conoscenza di oggetti distinti dal soggetto cheli conosce. Il personaggio non è solo un individuo particolare che stia davanti al lettore che ne costruisce la fisionomia. Il confronto col personaggio letterario è occasione di dialogo e incontro di possibilità che sono tali per il lettore. Ciò che il lettore conosce nel personaggio, attraverso il dialogo ermeneutico, è anche una possibilità di se stesso. 6.. Il lettore: La ricezione del testo: lo studio della ricezione è quella parte che indaga i modi di interazione tra testo e lettore e gli effetti che i testi letterari esercitano sui lettori. L’interazione tra testo e lettore va intesa da due punti di vista: il modo in cui i lettori reale interagiscono coi testi letterari in una prospettiva storica e sociologica; l’atto estetico della lettura, e cioè l’atto che interessa testo e lettore nel processo della costruzione di significato e di interpretazione dell’opera letteraria (lettore ideale). Il lettore reale: sociologia della lettura e storia della ricezione: la “teoria della ricezione” fu sviluppata alla fine degli anni 60 da Hans Robert Jauss. Questa teoria contemplava sia la prospettiva storico/empirica sia quella estetica. Jauss contribuì a esplorare la prima prospettiva, proponendo un approccio storico alla ricezione che si occupasse di analizzare l'effetto esercitato su un dato testo letterario dalle interpretazioni valutative e dalle letture di generazioni di lettori reali che si susseguono nel tempo. Secondo Jauss, il pubblico di un'opera ne influenza il significato stesso attraverso il susseguirsi delle letture concrete e delle interpretazioni imposte su di essa, influenzate dallo sfondo culturale e dalle esperienze personali dei lettori. Essenziale è la nozione di “orizzonte d'attesa”, che indica le aspettative del lettore rispetto al testo, prima della lettura. Il testo letterario non possiede nessun valore o significato intrinseco, i quali gli sono attribuiti dalla dialettica potenzialmente infinita tra testo e orizzonte d'attesa dei lettori. Nell'ambito della sociologia della letteratura, Robert Escarpit aveva proposto un'analisi che tenesse conto sia del processo editoriale riguardante l'opera letteraria, sia la sua ricezione da parte dei lettori intesi come consumatori. Molti studiosi hanno cominciato a interessarsi al nesso tra letteratura e società. Vittorio Spinazzola invitava a considerare l'opera letteraria come completa solo nel suo socializzarsi e cioè solo quando essa si trasforma da fatto privato (progetto dell'autore) a fenomeno pubblico, così interagendo con le convenzioni e i vari gusti presenti in una società diversificata e stratificata. Il lettore dentro al testo: approcci e prospettive: molti sono gli approcci che sono stati proposti per lo studio dell'interazione tra testo e lettore come atto estetico. Buona parte della teoria letteraria del secondo 900 si è concentrata sul problema dell'interpretazione del testo letterario e sul processo cognitivo della costruzione di senso. Le teorie che subordinano la cooperazione del lettore alla certezza del testo scritto tendono a descrivere l'intero processo come unidirezionale e a considerare il testo relativamente incompleto. Tali approcci si sono concentrati su come tecniche e strategie retoriche contenute nel testo strutturino tanto il testo stesso quanto il suo effetto sul lettore. Diversi studi hanno posto l'attenzione all'esterno del testo letterario. Per questi approcci il testo è sempre il punto di partenza certo del processo di interpretazione ma essi tendono a considerare il testo come una struttura aperta e il lettore in quanto figura sociale. Lontani dal riconoscere una qualsiasi autorità al testo sono quegli approcci che considerano il processo di interpretazione come individuale e soggettivo. Ciò implica che il processo di lettura conduce a una varietà di interpretazioni tanto numerose quanti gli effettivi lettori individuali. Più estrema è la posizione di Stanley Fish, per il quale il processo di lettura non produce il significato dell'opera, bensì coincide con esso. Per Fish il lettore è un membro di una comunità interpretativa, guidata da una serie di strategie interpretative condivise. Indeterminatezza del testo e ruolo del lettore: l'estetica della ricezione considera l'atto della lettura come incontro di due soggetti a distanza, con la mediazione dello scritto dell'autore e dell'esperienza del lettore. A consentire al lettore di interagire con il testo e di dare vita all'opera stessa è la struttura specifica del testo letterario. L'oggetto letterario può essere definito in contrapposizione agli oggetti reali e agli altri oggetti di rappresentazione. Gli oggetti reali possono essere pienamente compresi e gli oggetti ideali possono essere costituiti dalla nostra comprensione. Un oggetto letterario è intenzionale e cioè può essere afferrato soltanto come struttura schematica. Le oggettività così raffigurate derivano dalle proposizioni contenute nel testo, che sono anche piene di “punti di indeterminatezza”. Le oggettività raffigurate nell'opera letteraria sono delineate per mezzo di espressioni nominali. L'oggetto abbozzato assume una forma che equivale a uno schema ma che non potrà mai essere completato da qualità materiali, ed è cosi che si generano i punti di indeterminatezza. Gli oggetti raffigurati in un'opera letteraria non possono che rimanere schematici e la loro natura schematica non può essere eliminata da nessuna opera finita che è sempre da considerarsi incompleta, poiché richiede sempre delle integrazioni. Ulteriori integrazioni possono essere fornite dal lettore nella performance letteraria, e ciò implica che l'opera letteraria sia prodotta dall'interazione tra testo e lettore. Se il lettore prende parte all'atto della lettura non può racchiudere piuttosto che su quello che contiene. La conoscenza offerta dalla letteratura non è né oggettiva né diretta, e a causa di ciò opera una costruzione, in quanto può espandere, ampliare o riordinare la nostra percezione delle cose e permette di ottenere un senso più profondo delle esperienze quotidiane e di dare forma alla vita sociale. Il quarto modo di coinvolgimento è lo “shock”, cioè il potete della letteratura di turbare il lettore, dal momento che spesso ci mette si fronte a ciò che è inquietante o tabù. Lettura e teoria della mente: l’autrice Lisa Zunshine applica alla teoria della lettura il concetto piscologico di “teoria della mente” e cioè è la capacità umana di attribuire stati mentali a sé stessi o agli altri. Per "teoria della mente" si intende una serie di funzioni cognitive che ci consentono di navigare il nostro mondo sociale e di fornire ad esso una struttura. Noi leggiamo le opere letterarie di finzione perché esse ci consentono di esercitare la nostra teoria della mente. Questo avviene quando nel leggere testi letterari ci imbattiamo nei personaggi di finzione. La nostra prima reazione di fronte ai personaggi è quella di trattarli automaticamente come se avessimo a che fare con altre menti reali. Zunshine suggerisce che uno dei principali motivi per cui siamo attratti dalla lettura è che essa ci offre l'opportunità gratificante di fare pratica con quelle che chiama metrappresentazioni di intenzionalità, poiché attraverso la lettura assistiamo alla simulazione di vari livelli di intenzionalità messi in scena dai personaggi nei contesti delle storie si cui sono protagonisti. Anche per l’autore Alan Palmer, il motivo principale per cui leggiamo opere letterarie risiede nel fatto che esse ci consentono di interagire con quelle che chiama “menti finzionali”. Per Palmer, la caratteristica principale delle opere letterarie narrative è quella di creare nei lettori l'illusione di essere testimoni della mente e della coscienza di un personaggio. Quando leggiamo, non soltanto assistiamo all'illusione di una mente che si dispiega davanti ai nostri occhi, ma ne facciamo esperienza. Quando leggiamo ci accade che i pensieri che fanno parte del libro che stiamo leggendo, e che perciò sono le cogitazioni di un altro, diventino oggetto del nostro proprio pensiero. Sono i pensieri di un altro, eppure siamo noi il loro soggetto, quindi stiamo pensando i pensieri di un altro. L’autore Marco Caracciolo sostiene che mentre leggiamo, non soltanto attribuiamo una coscienza ai personaggi di finzione, ma la impersoniamo anche, dandole vita con la lettura. Durante la lettura facciamo spesso l'esperienza di una conoscenza profonda con i personaggi, più intensa di quella che facciamo delle persone reali. Ciò avviene perché sebbene possiamo immedesimarci nell'esperienza di un'altra persona anche nella vita reale, ciò non accade tanto spesso e intensamente quanto nella lettura dei testi. 7.. La narrativa: Introduzione: La narratività: con “narratività” si intende l’essere narrativo di un testo, cioè l’insieme di proprietà che caratterizzano i racconti e che consentono di distinguerli da ciò che non è racconto. Alcune precisazioni: è da 30 anni che la parola “racconto” è diventata una specie di passe-partout. Si racconta scrivendo un romanzo, girando un film, stendendo una diagnosi medica, aggiornando il profilo social o rievocando un evento passato. A ogni contenuto si può dare forma narrativa. Ciò pone alcuni problemi. Come ha detto il filosofo Galen Strawson, raccontare non è il modo più naturale di dare forma alla propria esperienza. Il secondo problema è che se tutto si narrativizza, diventa difficile definire in modo preciso il concetto di racconto. Non tutti i testi o le esperienze sono racconti. La narratività di un racconto è la risultante di un insieme di aspetti. Per ragionare di racconto è utile partire dai testi stessi, indagati in ciò che hanno di specifico e che li distingue da altri tipi di testi e di racconto. Bisogna fare una distinzione tra “narrazione”, “storia” e “racconto”. Con “narrazione” si intende l’atto di narrare, che ha creato ciò che stiamo leggendo; il prodotto di quest’atto è ciò che definiamo “racconto”, cioè ciò che concretamente leggiamo; la “storia” è il contenuto che il racconto veicola, l’insieme di eventi di cui un testo consiste. L’importanza degli eventi: Sequenzialità, causalità, avventurosità: la sequenza di azioni e la logica causa che le governa ci spingono a riconoscere un principio narrativo. L’azione è l’elemento essenziale per determinare la narratività di un testo. Bisogna essere più precisi perché così sembra che basta disporre in un certo ordine delle azioni affinché ci sia narratività. Si ricorre a due concetti: quello di “evento”, definibile come un avvenimento speciale, qualcosa che non è parte della routine ordinaria; quello di “avventurosità”, che è una proprietà che indica il grado in cui un determinato evento possa dirsi avventurosa a seconda del fatto che sia inaspettato, irripetibile o irreversibile. Sequenzialità, causalità e avventurosità sono requisiti indispensabili. Temporalità, avventurosità al grado zero: ragionare su sequenzialità, causalità e avventurosità significa prendere in considerazione la dimensione temporale del racconto. Gli eventi non possono che collocarsi nel tempo. Le storie più avventurose sono quelle in cui la dimensione temporale viene più manipolata. Sono tre le dimensioni su cui un autore può agire per gestire la temporalità del racconto: la frequenza (un evento può essere raccontato una o più volte all’interno dello stesso testo); l’ordine (gli eventi possono essere presentati in modo non lineare); la durata (a un dato evento può essere dedicato un numero limitato o ampio di pagine). Un racconto non per forza è costituito da soli eventi. Due esempi sono le “descrizioni” e le “ellissi”. Quando in un testo incontriamo un passaggio descrittivo non entriamo in contatto con nessun evento. Chi racconta può decidere di non raccontare un certo evento, determinando un’ellissi. Ci sono testi che ruotano intorno ad eventi deboli. A un racconto possono mancare gli eventi avventurosi e i nessi causali e sequenziali e la storia si può costruire a partire dalle riflessioni di chi racconta. Il critico Genette diceva che anche “io cammino” può essere considerato un racconto, poiché non appena viene dato un atto o un evento, viene data una storia. Si parla qui di “racconto potenziale”, cioè una storia di una unità minima che dev’essere espansa per dare vita a un vero racconto. I personaggi e il loro mondo interiore: molti narratologi invitano a considerare l’importanza di altri fattori per determinare la narratività di un testo. Si è sottolineata la centralità dei personaggi. I lettori possono dimenticare certi eventi di un romanzo o un film ma portarsi dietro il ricordo di un personaggio. È sui personaggi che investiamo molte delle nostre risorse immaginative. Si parla di “caratterizzazione”, di un processo di costruzione progressiva del personaggio. Pagina dopo pagina apprendiamo nuove informazioni sui personaggi. Alcune ci sono fornite direttamente e altre sono implicite in azioni o atteggiamenti. La critica Monika Fludernik ha sostenuto che i personaggi sono più importanti delle azioni. L’elemento fondamentale di ogni racconto e “l’esperienzalità”, cioè la comunicazione di un’esperienza antropocentrica. La sola esistenza di un personaggio basta a produrre un livello minimo di narratività. Fludernik ha in mente alcuni testi in cui centrale è la vita interiore dei personaggi. Il suo punto di vista offre un doppio vantaggio: quello di costringerci a pensare i personaggi non solo nei termini di veri agenti; quello di spostare la nostra attenzione su un aspetto più relazionale del racconto. Siamo noi che leggendo costruiamo i personaggi e riconoscendo un’esperienza antropocentrica al centro di un testo ne attiviamo la narratività. C’è qualcuno che racconta: Autore e narratore: eventi e personaggi sono sufficienti a garantire la narratività di un testo, ma c’è un terzo aspetto, cioè che se c’è una storia ci dev’essere qualcuno a raccontarla. La narratologia afferma che non è l’autore a raccontare. L’autore scrive, inventa contenuti, dà vita a un mondo della storia. A raccontare gli eventi non è chi li ha inventati, ma qualcuno che li tratta come se fossero veri, e questo qualcuno è il “narratore”. Chi scrive è diverso da chi racconta. L’autore è una persona reale, il narratore è fittizio. Diversi tipi di narratore: abbiamo il “narratore-personaggio”, cioè un narratore in prima persona, un personaggio parte della storia, che incentra il racconto su esperienze che ha vissuto e riflette su ciò che queste esperienze gli hanno insegnato. Poi abbiamo il “narratore autoriale”, cioè a raccontare non è un personaggio parte della storia, ma qualcuno che si muove liberamente all’interno del mondo della storia, come se lo governasse dall’alto, è uno che sa tutto dei personaggi e spesso interrompe il racconto per affermare verità o intrattenerci con le sue osservazioni, quindi a raccontare è un narratore in terza persona. Poi c’è il “narratore impersonale”, cioè chi racconta si limita a restituire i pensieri e le percezioni del personaggio che sta al centro della storia, e l’impressione è di entrare in contatto con la sfera interiore del personaggio. Azzerare eventi e personaggi e rimuovere le tracce che consentono al lettore di cogliere la presenza di un’istanza narrante docens), fa riferimento la “retorica interna” (rhetorica utens), cioè la pratica e tecnica e il modo in cui ci si esprime. Oggetto della retorica è il discorso pubblico di un oratore che mira a persuadere un uditorio mediante l’argomentazione. Oratore, discorso e uditorio sono i tre elementi importanti della retorica. L’uditorio è il più importante. Aristotele dice che le forme di organizzazione della parola hanno un carattere costitutivamente dialogico. La letteratura muove dal ri-uso dell’esperienza del discorso e dalla sua unità di base, cioè “l’enunciazione”. In ogni enunciazione l’ascoltatore svolge un ruolo attivo: ne determina la forma, la peculiarità, l’intensità. Sono tre i tipi importanti di uditorio, così come sono tre i generi della retorica. Le prime due classi di ascoltatori hanno in comune il fatto che il loro giudizio è tale da mutare una situazione. Essi devono pronunciarsi su azioni future o passate. L’ascoltatore che decide riguardo al futuro è il membro di un’assemblea politica e il genere è quello “deliberativo” (qui l’oratore consiglia ciò che è utile e sconsiglia il nocivo). L’ascoltatore che decide sul passato è il componente di una giuria in un processo o il giudice stesso e il genere è quello “giudiziario” (mira a ciò che è giusto e ingiusto). Il terzo tipo di ascoltatore deve valutare il talento dell’oratore e il genere è quello “epidittico” (attrae l’attenzione su ciò che è nobile o vile). “Persuadere” significa giungere a modificare una situazione e mutare una situazione significa intervenire sulla realtà. La storia ci racconta che la retorica deve la sua istituzione a un’esigenza ben concreta, quella di difendere la proprietà della terra. Retorica e logica: sin dall’antichità il discorso retorico viene contrapposto al ragionamento logico. Platone traccia una distinzione tra retorica e filosofia, osservando che la prima ha a che fare col sembrare (è falsa), mentre la seconda mira al giusto (è vera). Per poter istituire il logos, la parola filosofica che distingue il vero dal falso, Platone deve affrontare la parola del sofista, che dice cose verosimili. In Aristotele viene meno questo antagonismo. Una volta sistemata la logica, il filosofo può occuparsi della retorica e del verosimile, attribuendo loro un valore positivo. La testimonianza più chiara della valorizzazione aristotelica del verosimile ci è offerta da un passo della “Poetica”, in cui si contrappongono lo storico e il poeta: uno dice cose avvenute e l’altro cose che possono avvenire. Aristotele spiega come la retorica si avvalga di prove, di testimonianze che costituiscono ragionamenti più brevi, gli “entimemi”, che vanno comunicati tramite contatto diretto con qualcuno. L’entimema è il sillogismo retorico che muove da premesse necessarie. L’entimema sollecita il lavoro di chi ascolta a riempire l’incompleto. Per dare senso al ragionamento è necessaria la collaborazione del destinatario. Il contatto col destinatario si stabilisce conoscendo le emozioni di colui a cui si rivolge. Secondo i seguaci di Cartesio, la retorica va estromessa dalla filosofia e dall’educazione. Il filosofo Giambattista Vico difende la portata educativa e conoscitiva della retorica e argomenta contro l’esclusione dal dominio della razionalità poiché non rientra nei confini del puro vero. Secondo egli, il vero è talmente ristretto che occorre garantire dignità gnoseologica anche al verisimile. La retorica chiama in causa opinioni, punti di vista, valori condivisi. Fa leva sul “senso comune”. La retorica ha a che fare col verosimile, opera attraverso l’entimema e l’esempio, e argomenta, muove dalle opinioni del pubblico; la logica col vero e dimostra. Per i latini e per il rinascimento “eloquentia” e “prudentia” sono un binomio indissolubile, un solido perno attorno a cui ruota la vita civile e che tiene insieme il sistema del sapere. Il “Trattato dell’argomentazione” di Perelman e Olbrechts-Tyteca è il testo fondamentale della neoretorica novecentesca che si pone su un terreno filosofico e considera la retorica in tutta la sua potenzialità etica e gnoseologica. La retorica è costituita da 5 parti (inventio, dispositio, elocutio, memoria e actio), di cui si privilegia l’elocutio e lo studio delle figure, intese come ornamento del discorso. Riconoscere le tecniche retoriche significa saperle usare per far valere le proprie ragioni in modo civile. Significa comprendere l’importanza dell’uditorio, della corretta discussione attraverso argomentazioni fondate, il carattere dialogico di ogni atto di parola. E significa sapersi difendere dal flusso di discorsi che i media ci riversano addosso quotidianamente. Le articolazioni della griglia retorica: “inventio”, “dispositio”, “elocutio”, “memoria” e “actio” sono le cinque parti dell’arte del dire che rinviano ad altrettante capacità richieste all’oratore. “Inventio” e “dispositio” concernono la progettazione del discorso; “elocutio” è la messa in forma stilistica e l’approntamento di tutte le strategie e opzioni espressive adatte all’uditorio e consone al tema; la “memoria” allestisce le tecniche per fissare nel pensiero in modo visibile e ordinato; “l’actio” tratta della maniera opportuna di usare la voce, i gesti, la postura del corpo. Tra le sezioni della retorica ci sono continui rimandi interni. Lo svolgimento del discorso nelle sue unità principali viene descritto dai trattatisti o nella dispositio o nella inventio. La “narratio” è un’unità distinta del discorso, a cui si prescrivono tre virtù, dev’essere breve, chiara e verosimile e le virtù caratterizzano l’elocutio (adeguatezza, purezza, chiarezza, ornamento). Il fatto che un elemento si ritrovi in più zone del sistema retorico mostra l’elasticità della griglia che lo sostiene. Topica: l’inventio è la ricerca degli argomenti adatti a rendere la tesi convincente. La inventio non viene rappresentata come un processo creativo, ma come un ritrovamento per mezzo della memoria. La memoria viene rappresentata come una totalità di spazio, nelle cui singole parti sono distribuite le singole idee. Lausberg cita l’interrogativo sull'affinità concettuale che si divide nel “locus a simili” (paragone), nel “locus a contrario” (paragone con l'opposto) e in due “loci a simili impari”. In questi esempi è più evidente la continuità con l'eredità di Aristotele che nel trattato “Topici” esamina il “tópos” dialettico in quanto schema logico che fornisce lo scheletro dell'argomentazione da costruire. Il tópos è al contempo uno schema logico proprio della dialettica e una strategia del pensiero che si basa non su verita necessarie ma su “éndoxa”, opinioni condivise dalla maggioranza, ed è oggetto di interrogazione. I luoghi costituiscono le premesse degli entimemi e si distinguono in luoghi comuni e propri. I luoghi comuni sono punti di vista comunemente condivisi, rispondenti a opinioni diffuse, impiegabili per argomenti diversi in qualunque campo del sapere; i luoghi propri sono specifici in relazione alle singole discipline e a ciascun genere oratorio. Perelman e Olbrechts-Tyteca propongono un raggruppamento dei luoghi sulla base dei seguenti criteri: quantità, qualità, ordine, esistente, essenza, persona. I luoghi della quantità affermano che una cosa vale più di un'altra per ragioni quantitative; i luoghi della qualità affermano che la qualità è superiore della quantità; i luoghi dell'ordine affermano la superiorità di ciò che viene prima rispetto a ciò che viene dopo; i luoghi dell'esistente mostrano che è preferibile ciò che esiste rispetto a ciò che è possibile; i luoghi dell'essenza attribuiscono un ruolo superiore agli individui che manifestano l'essenza della loro specie o del loro genere; i luoghi della persona valorizzano la persona umana. I luoghi diventano col passare dei secoli patrimonio collettivo, tendono alla formularità e si depositano in un serbatoio di sapienza gnomica comunitaria, spesso confondendosi con i proverbi. La topica nella storia traccia delle “forme semplici”, dai confini indefiniti, accomunate dalla brevità e da uno stile ellittico. Queste forme conservano il legame con i tópoi della retorica. La loro fortuna in tutte le epoche si deve al fatto che il tópos da un lato offre uno schema di realtà proiettabile, applicabile a molteplici diversi contesti di esperienza, e dall'altro esso sollecita il riconoscimento. La diffusione millenaria dei luoghi ha convinto il filologo Ernst Robert Curtius a ritenerli i testimoni per eccellenza della continuità della cultura occidentale e il collante della letteratura europea dalla classicità alla fine del 700. La letteratura europea abbraccia lo stesso periodo di tempo della cultura europea. La compattezza del sistema alla base di questa continuità implica per il filologo tedesco anche una dimensione storico geografica. A governate la continuità presiedono i tópoi. Luoghi della memoria: i luoghi svolgono un ruolo fondamentale anche nella “memoria”. La memoria viene definita come la capacità di ricordare. Le operazioni essenziali della mnemotecnica convergono nella creazione di un percorso nello spazio in cui si individuano dei punti di riferimento, questi punti definiscono il sistema mnemonico dei luoghi in cui si depositano le porzioni del discorso da memorizzare, dopo che sono state trasformate in immagini. È ad un poeta greco che si fa risalire l’invenzione della mnemotecnica, e il poeta è Simonide Di Ceo. L'origine dei luoghi nei trattati latini è concreta, i luoghi sono veri. Nella “Retorica ad Herennium” vengono elencate e descritte in dettaglio le regole su come scegliere i loci: essi non devono trovarsi in zone troppo affollate (la folla tende a indebolire le impressioni); non devono essere troppo simili tra loro; è bene che non siano di dimensioni troppo piccole perché le immagini sarebbero troppo accatastate, né troppo grandi perché le immagini sarebbero troppo vaghe; i luoghi non devono essere troppo illuminati perché le immagini abbaglierebbero, né troppo in ombra perché non si distinguerebbero. A ciascun luogo corrisponde un'immagine. In un luogo si proietta un'immagine-concetto. L'ordine dei luoghi corrisponde all'ordine delle immagini e dei contenuti del discorso. Nel ricordare si ripercorrono neuronali risulta importante per spiegare il meccanismo del concatenarsi dei pensieri, chiarendo ciò che avviene nei processi di apprendimento quando si creano degli autentici circuiti concettuali. Nel nostro sistema cerebrale, i legami neuronali permettono di percepire come unitari dei concetti localizzati in aree diverse del cervello, ed è sempre grazie alle reti di neuroni che si creano delle attivazioni controllate e sequenziali di altri circuiti neuronali, finalizzati all'esecuzione di determinati movimenti. Tornando a riflettere sul carattere della figuralità e sul suo costituirsi a partire dall'esperienza dell'immaginazione e delle sintesi che in essa si producono, prendiamo la metafora leonina attribuendola ad Achille. Il centro del problema sta nella nozione di sintesi immaginativa. Se non vogliamo rimetterci l'immagine dobbiamo pensare ad una sintesi immaginativa. Il leone non è semplicemente un'altra idea associata ad Achille, ma diventa figura di Achille, quindi è appartenente all'immaginario. A questa appartenenza è legata la comprensione dell'immagine. Il leone come figura di Achille non fa parte della realtà del mondo, ma vive nelle regioni dell'immaginario. Diventa figura per una direzione di movimento dell'immaginazione. Questo leone porta con sé la traccia di quei valori immaginativi che sono scaturiti in chi lo ha immaginato. Il traslato ha le sue regole, che possono costituire strumenti utili per la comprensione dell'universo della letteratura. 9.. La poesia: Generi/Enunciazione: Generi: prima dell’800 col termine “poesia” si intendeva tutto il sistema letterario. Da tempi più recenti la poesia si è trasformata in qualcosa di più ristretto e preciso. Nella società letteraria tra 500 e 700 esisteva una rete di generi detti “poetici”. “Poesia” significava “discorso scritto in versi”. Intorno alla metà del 700, questo tipo di scrittura poteva realizzarsi in tanti generi che comprendevano: la poesia epica; la poesia drammatica; la poesia religiosa; la poesia didascalica; la poesia satirica; la poesia comica; la poesia lirica. Con i versi si poteva parlare di tutto ed erano scritti anche in latino. Poesia si confondeva con tutta la letteratura di finzione. Ovunque fosse possibile inventare contenuti piacevoli, là c’era la poesia. I generi poetici si caratterizzavano per precise restrizioni e codificazioni linguistiche e metriche. Ogni genere esemplificava certe sue peculiarità riconosciute dal lettore. La capacità di scrivere poesia era diffusa presso le persone istruite. Esiste un’istituzione settecentesca, che è “l’Accademia dell’Arcadia”. Tra le abitudini degli iscritti all’accademia, importante è la produzione di una poesia di tipo lirico, ripetitiva nei temi e convenzionale. Uomini e donne di cultura alta si dedicavano all’hobby della poesia, condividendo la propria passione con altri come loro. Nel corso dell’800 quello che era solo uno dei generi, il genere lirico, si espande diventando l’unico genere poetico. La poesia finisce per coincidere con la poesia lirica. Sempre nell’800 ci sono alcuni fenomeni di confine che segnalano una specie di imperialismo della lirica. Si manifesta una specie di super-genere, quello lirico, che svolge un ruolo decisivo nel sistema letterario ottocentesco, confrontandosi col romanzo. Se il romanzo è aperto, la poesia appare più chiusa su se stessa. L’immagine del poeta moderno è l’opposto di quella del poeta arcadico. Se l’arcade brillava per la sua apertura e socievolezza e per una concezione della poesia molto facile e colloquiale, il poeta moderno si caratterizza per un’asocialità dovuta al fatto che il suo mestiere ridiscute continuamente le regole per ottenere risultati nuovi (in Italia è Leopardi). La poesia moderna si qualifica per la sua separatezza. I valori delle opere in versi sono in tensione con i valori dominanti in un certo tipo di società, quella che definiamo borghese. È stato spesso detto che la poesia moderna svolge una funzione utopica poiché la sua condizione è di sistematica contestazione dell’ordine ideologico dominante, di rifiuto di un uso banale e commerciale della lingua e della comunicazione. Enunciazione: il “lirismo” moderno altro non è che la prosecuzione di un genere arcaico. Prendiamo in considerazione come è stato definito il problema del cosiddetto “io lirico”. Per cominciare prendiamo in esempio una semplice poesia dell'autrice romantica Joanna Baillie, intitolata “Song”. Dice con immagini chiare la condizione di dolore/piacere che si accompagna all’esperienza dell’amore. Assistiamo al dialogo fra un soggetto, detto "io lirico" e un'istanza seconda, un "tu": il proprio cuore. Ma questo dialogo deve essere interpretato come un dialogo interiore. Il punto è il seguente: quell'io è davvero l'io del poeta reale che ha scritto questi versi? Nella poesia moderna è evidente che il soggetto poetico vuole spesso sembrare sincero, poiché intende comunicare realmente sé stesso e le proprie passioni. Abbiamo “romanzi autodiegetici”, in cui una figura inventata narra una vita fittizia, che magari assomiglia a quella dell'autore ma non coincide del tutto con la sua. L'autobiografismo di tantissima poesia moderna non puo essere negato, e avanzare interpretazioni finzionali a volte significa distruggere la carica emotiva che il poeta introduce nei suoi versi. Nella poesia lirica tendiamo a sentire la voce di un uomo e una donna in carne e ossa. La poesia solo in parte è racconto. L'io in una poesia è suscettibile di scomparire del tutto. Il poeta Stéphane Mallarmé compone “Le vitrier” (il vetraio), in cui tutto è sia oggettivo (c'è un vetraio che cammina per la strada) e soggettivo (vediamo degli effetti di luce che qualcuno percepisce in modo immaginifico): ma non è ricondotto a una figura visibile, che si presenti in prima persona. La soggettività della poesia è sia autobiografica che fittizia. In poesia non possiamo non riconoscere una persona paragonabile a quella dell'autore. Alla poesia lirica è affidato un sapere anche etico: la sua memorabilità è legata al ruolo di conservare e rimettere ritualmente in vita contenuti ritenuti indispensabili all'esperienza collettiva dell'umanità. Un aspetto importante della poesia moderna è bene esemplificato da un testo un po' folle come quello del poeta americano Edward Estlin Cummings. La verità di una poesia del genere sta nella sua bislacca forma, nella deformazione delle parole e della sintassi. I segni finiscono per non significare quasi più nulla, e a dominare è una struttura esterna divenuta autonoma. Siamo in presenza di un testo che o si ascolta per cogliere sonorità molto grezze o si guarda per apprezzare forme astratte. Questa è una specie di poesia-oggetto. La poesia moderna è anche questo. La soggettività dell'autore sparisce dietro un'impalcatura che non comunica quasi nessun significato convenzionale, e che si trasforma in un oggetto inquietante. Il tipo di comunicazione che caratterizza una poesia-oggetto si colloca su un piano quasi del tutto estraneo a quello linguistico abituale. La forma è l'elemento che rende debole l'autobiografismo della poesia: la forma è in grado di allontanarci dalla figura concreta del poeta, per metterci a confronto con qualcosa di diverso. L'io risulta messo fra parentesi, viene annullato da un tipo di composizione fortemente oggettuale. Quasi che la poesia si trasformasse in qualcosa di fisico da osservare dall'esterno. Tradizioni/Forme: Le tradizioni: se da un lato la poesia moderna si inserisce nelle vicissitudini di un genere, dall’altro la sua azione va letta sullo sfondo di una serie di riferimenti storici codificati. Alcuni di questi sono: CLASSICISMO/ROMANTICISMO (si tratta di una dicotomia insidiosa. La poesia moderna nasce quando si è venuto imponendo il paradigma romantico di una lirica che non si sente più legata a regole e che cerca un contatto più stretto con la natura e con la storia. Il lirismo trova la sua giustificazione originaria nei diversi romanticismi europei. La cultura romantica si impone nella modernità e ci rende diversi dalle culture del passato, permettendo alla poesia di emanciparsi e di diventare il super-genere separato. Friedrich Hölderlin e Giacomo Leopardi sono esponenti di una cultura classicistica. Nell'ambito della poesia moderna ci sono momenti in cui certi poeti mirano a definire uno stile e una forma particolarmente precisi, nitidi, puri. I classicismi sono momenti dell'esperienza letteraria in cui il poeta vuole dare di sé un'idea di autore consapevole del proprio tempo e della propria eredità); DECADENTISMO- simbolismo/MODERNISMO-avanguardia (il decadentismo ha avuto una lunga fortuna nella cultura italiana. Dietro la parola decadentismo se ne cela una più importante, “simbolismo”. Il simbolismo è il cuore della poesia moderna, quella manifestazione della lirica che con maggiore esemplarità ha definito i paradigmi di assolutezza e separatezza. Charles Baudelaire è uno dei padri del simbolismo. Nel mondo soprattutto di lingua inglese e spagnola, l'esperienza novecentesca della poesia è erede sia del romanticismo sia del simbolismo, e questa esperienza è definita modernismo, ma prima di modernismo figura l'avanguardia. Importanti sono Eliot e Pound, Rilke e Montale, Machado e Pasternak. Esiste una specie di lingua comune della poesia moderna che è quella che condiziona ancora oggi la nostra maniera di concepire l'esperienza poetica); ERMETISMO/neoREALISMO (ermetismo è la parola che è stata impiegata per restituire molti aspetti della poesia moderna sempre in Italia, porta con sé una connotazione di tipo dispregiativo. La poesia moderna chiamarla ermetica sembra volerla accusare di un eccesso di oscurità, e nulla di tutto questo è vero. Grandi poeti come Montale, Vittorio Sereni, immediata, pubblica, della poesia. La sua diventerebbe una politicità privata. E invece esistono tradizioni pubbliche della poesia moderna. È il caso dimolti aspetti della tradizione biblica. Temi: una delle logiche importanti della modernità consiste nell’accoglimento, nella condivisione di aspetti della vita sempre più prosaici, più realistici. Il macro-genere della poesia moderna si fa erede anche delle forme basse della poesia comica e comprende anche la pratica della poesia oscena. È probabile che questa progressiva modificazione tematica possa spiegarsi con la presenza di alcuni macro-temi, capaci di dare slancio a un intero sistema. Tema importante è stato quello della “natura”, Nella poesia romantica inglese e tedesca, l’ingresso nella modernità ha comportato un recupero della natura, del soggetto poetico in dialogo col paesaggio. La natura è protagonista e gli osservatori sono da essa sovrastati. L’enfasi sulla natura comporta un’idea di spersonalizzazione, di impersonalità. Nel corso dei decenni sarà la lingua ad assumere il ruolo che era stato della natura. Il secondo macro-tema della poesia moderna è quello della “città”, che enfatizza il momento in cui il soggetto lirico soccombe di fronte alla pressione della società. Il poeta sente che la sua capacità di dire la totalità delle cose viene messa in crisi. È possibile solo un ripiegamento su se stessi, su una sofferenza privata, per contemplare il proprio isolamento rispetto a una comunità sentita come estranea, in quanto dominata da desideri volgari e grossolani. In pieno 900, i futuristi finiranno per cantare le città. Automazione, industria, progresso, rivoluzione: la modernità deve essere celebrata dal poeta, che è tenuto ad ammirarne i successi. Il poeta e la poesia moderna riconoscono nella città e nelle trasformazioni fenomeni che mettono in crisi la vecchia immagine di poesia e di poeta. La città spersonalizza il poeta. La poesia moderna tende a interpretare una condizione di disagio e di crisi. Uno dei temi che la lirica affronta riguarda l'identità stessa del proprio agire. La poesia mette a tema se stessa, parla di sé e delle proprie intenzioni. L'entrata definitiva nella modernità della poesia italiana avviene nel 900 con i poeti crepuscolari, che ci hanno lasciato tante poesia in cui dichiarano l'inutilità dello scrivere in versi, l'impossibilità di continuare a pensare alla letteratura nei termini della cultura letteraria che li aveva preceduti. Il poeta ha perso ogni privilegio, e non può fare a meno di prendere atto della propria crisi di identità. Molte odierne poesie sulla poesia possono esprimere la coscienza leggermente vittimistica e malinconica della crisi del discorso in versi. Sempre meno persone amano la poesia, ma il suo valore è immutato. Dispositivi/Lettori: Dispositivi: le poesie che leggiamo non si presentano mai isolate, ma sono inserite in libri di poesia, che rispondono a una duplice fisionomia: da un lato ci sono i libri di poesia veri e propri, detti "raccolte", dall'altra ci sono le “antologie”, in cui un curatore inserisce componimenti di vari autori. Libri di poesia e antologie poetiche possono essere definiti "dispositivi", poiché instaurano reti di relazioni, rapporti fra testi. E per "funzione strategica" si intende la costruzione di un senso, la costruzione di un significato complesso che trascende le singole poesie. Il libro di poesia come lo concepiamo oggi e in parte anche l'antologia nascono insieme alla poesia moderna, all'interno di un sistema economico-editoriale che è quello dell'industria culturale capitalistica (è sufficiente far riferimento a quelli che erano detti canzonieri). Il libro di poesia moderno ha una funzione economica e sociale. Se consideriamo qualcosa di più letterario, la natura di dispositivo della raccolta di poesia risulta chiara, ad esempio Montale e Ungaretti. L'immagine di Montale alterna episodi autobiografici a situazioni più disincarnate, parti poematiche a sezioni comprendenti poesie brevi, riferimenti privati a considerazioni pubbliche. La statuarietà di Ungaretti ha un fondamento diaristico. Oggi è dominante un dispositivo che è stato detto “di allestimento”. Il libro di poesia si colloca ai margini del discorso pubblico, e il sistema di relazioni che lo determina è sempre più debole. La sequenza delle poesie, la loro successione è ormai la logica dominante. Un altro fattore di cambiamento è che il libro di poesia risulta forte se messo in relazione al sistema mediale del 2000. L'allestimento assomiglia molto a un'esposizione. La singola poesia ta parte di una galleria di oggetti, la cui natura verbale spesso passa in secondo piano, anche perché il libro di poesia duemillesco tende alla natura dell'iconotesto, combinazione di parole e di immagini. L'installazione-libro implica la definizione di un dispositivo che per essere capito esige il riferimento meno alla letteratura che ad altre dimensioni dell'attività artistica. Il mondo digitale ha dematerializzato ogni prodotto. Il vecchio libro, divenuto dispositivo poetico che allestisce la poesia, ci viene incontro nelle forme di un medium particolarissimo, ri-materializzato, per veicolare un'esperienza di lettura diversa da quella del passato. La lettura: oggi è valorizzato l'aspetto visivo, il fatto di guardare un testo, di maneggiarlo fisicamente. Prima della nascita della poesia moderna, tutti i tipi di poesia erano condizionati dalle pratiche mnemoniche. La poesia si imparava facilmente a memoria, era letta ad alta voce, coinvolgendo tutta la persona e diventando facilmente proprietà dell'esperienza del lettore. Si possono prendere in considerazione due modalità di interpretare il fenomeno. C'è una prima posizione che dichiara che la lettura della poesia ritarda la costruzione del significato, nel senso che un testo di poesia viene capito molto lentamente, e richiede la presa in carico di una serie di fenomeni (ritmo, suoni, rime). C'è una seconda posizione che teorizza il fatto che la lettura della poesia sia una lettura discontinua, poco lineare. Una poesia, quando la si legge in silenzio, di solito la si legge saltando dei versi, ritornando indietro, ripartendo, concedendosi delle pause, accettando la distrazione. Secondo questo modo di vedere le cose, il lettore assume comportamenti non sistematici e imprevedibili. Il contenuto della poesia non si manifesta subito, ma si costituisce come una scoperta il cui esito non è né semplice né scontato. Il significato del romanzo è un costrutto progressivo, orizzontale, dato da un accumulo di esperienze disposte nel tempo; il significato della poesia tende alla dimensione verticale, si manifesta in modo quasi inatteso. Davanti a un testo poetico moderno, il lettore ha a disposizione infiniti percorsi di lettura. Il lettore dovrebbe lasciarsi sopraffare da un significato che lo illumina e lo alletta. Il “lettore installativo” sta prendendo forma nel mondo della poesia d'oggi. Un eccesso d'intellettualizzazione, di concettualizzazione non fa bene alla poesia e riportarla alla vita comune, all'universo della distrazione, è il modo migliore per riconoscerle il valore più importante. Forse si tratta di accettare che il significato di un testo poetico si impoverisca, per risultare più umano, più incarnato nei corpi dei lettori reali. 10.. Cronotopia di un campo disciplinare complesso: Perché “cronotopo”?: il termine “cronotopo” indica l’interconnessione delle dimensioni spaziale e temporale incarnate nel testo letterario. Alcuni dei maggiori comparatisti avevano sottolineato tale peculiarità della disciplina con riferimenti al concetto di “scarto differenziale”. La letteratura comparata è un modo di procedere, una forma di interrogazione dei testi. L’incontro con l’altro è al centro dell’approccio comparatistico. Il comparatista è colui che mette in relazione letterature e culture. “Cronotopia di un campo disciplinare complesso” vuol dire porsi nella prospettiva di considerare la comparatistica un luogo di convergenza di questioni teoriche e critico-letterarie di natura diacronica e sincronica in grado di restituire un’immagine complessa del campo della letteratura. Il tempo: la storia comparata della letteratura: la narrazione storica del processo letterario ha assunto nella cultura europea forme diverse. Nel 700 si produssero storie letterarie universali, dove con “letteratura” si intendeva qualsiasi testo prodotto nei diversi campi del sapere. Esse sono all’origine della storia comparata della letteratura. La disciplina accademica della letteratura comparata nasce in forma storiografica nel secondo 800 in Francia e come tale verrà poi messa in crisi un secolo dopo dando luogo all’interesse per un approccio formale alla letteratura. Da quel momento in poi si procederà a circoscrivere la storia letteraria comparata come momento iniziale dello sviluppo della disciplina, articolandone i diversi campi di studio, che non potevano evitare la centralità della critica letteraria e del testo in quanto tale. Secondo il critico Wellek, l’opera letteraria veniva sottoposta a un processo di spersonalizzazione. Tale idea di letteratura era al centro del volume “Theory of Literature”, dove a uno studio estrinseco dell’opera (osservata in relazione alla storia e alla cultura del tempo) veniva contrapposto uno studio intrinseco (il cui oggetto era osservato a prescindere dai suoi nessi col contesto storico-sociale e con la psicologia dell’autore). Negli anni 70, Wellek tornerà sul ruolo dello storicismo nello studio letterario, ricostruendo il lungo processo di disinteresse nei confronti della storia letteraria. Lo storico Jauss sosteneva che fosse necessario ripensare le categorie stesse usate nello studio dei rapporti tra letterature come fortuna di un autore o un’opera. Le sue idee sulla storia letteraria e è la lettura che il comparatista spagnolo Claudio Guillén ha dato del concetto goethiano laddove intende il termine Weltliteratur come "letteratura del mondo", attribuendogli tre significati: accessibilità delle letterature ai lettori di un sempre maggior numero di paesi; ampiezza della diffusione della conoscenza di tali autori e delle loro opere tramite traduzioni; capacità simbolica della letteratura di tradurre gli aspetti più profondi e duraturi dell'esperienza umana. Nelle prime due accezioni Guillén ritiene di poter individuare il carattere internazionale della letteratura presente nel concetto goethiano; nell'ultima prevarrebbe la dimensione sovranazionale. Il superamento della dimensione nazionale per quanto riguarda il campo delle lettere diviene oggetto di riflessione anche in campo filosofico- economico: il parallelo tra Weltliteratur e Weltmarkt è presente nella prima parte del Manifesto del partito comunista di Marx ed Engels. Ciò che qui interessa notare è il carattere mobile e progressivo che contraddistingue l'epoca borghese e il suo rivoluzionare non solo i modi e i rapporti di produzione, ma anche le relazioni pubbliche e private. La mobilità entra nel campo dell'attività letteraria. Lo stretto rapporto tra geografia, cultura e storia del colonialismo europeo tra XIX e XX secolo è stato indagato da Edward Said nel 1978 in “Orientalism”. Said ci ha mostrato il nesso che lega questa geografia coloniale e politica non solo all'idea di letteratura mondiale, ma anche al campo di studi della letteratura comparata. Essendosi la letteratura comparata europea sviluppata nello stesso periodo come reazione al nazionalismo, essa prese in un primo tempo la forma di studio degli “intermediari” (traduttori, critici, riviste). A questo studio internazionale della letteratura seguì uno sforzo di sintesi, consistente nella ricerca sui fenomeni presenti in diverse letterature e che tendeva a distinguersi dalla letteratura comparata definendosi "letteratura generale". L’idea e la storia dell’universalismo della letteratura in Occidente mostrano che so tratta di considerare la letteratura mondiale una questione critica. Lo studio della Weltliteratur è praticabile secondo due vie di accesso dovute alla differenza tra un'accezione selettiva e una comunicativa dell'idea stessa di letteratura mondiale: la prima porta alla ricerca di un canone generale della letteratura o alla costruzione di una biblioteca universale; la seconda è comunicativa nella misura in cui la letteratura è vista in un contesto interculturale e traduttivo dato dal passaggio di forme, contenuti. La riflessione sull'idea di letteratura mondiale ha assunto negli ultimi decenni del 900 forme molto diverse tra loro: si è manifestata come recupero e attualizzazione dei principali pronunciamenti, o ha assunto forme più innovative come la proposta di una critica letteraria internazionale elaborata con “La République mondiale des Lettres” di Pascale Casanova. Un’altro ramo della riflessione critica sul concetto di “letteratura mondiale” ha riguardato il rapporto delle letterature del canone occidentale con quelle del terzo mondo (“Third World Literature”). Nella storia della critica del 900, secondo Jameson è impossibile parlare di letteratura mondiale senza fare riferimento alla produzione letteraria di ambito postcoloniale. Prendere in considerazione la produzione postcoloniale riportandola al discorso coloniale rischia di ingabbiate la prima nella prospettiva limitata do quest’ultima. La problematica dell’universalismo condizionato dalla prospettiva occidentale è stata al centro di alcune analisi critiche condotte intorno alla costruzione culturale del soggetto femminile non occidentale. Riguardo la letteratura mondiale, vediamo come Pascale Casanova e David Damrosch propongano una visione unitaria del tema. Casanova dichiarava di voler effettuare un cambiamento di prospettiva rispetto alla critica abituale nei confronti dei classici della letteratura moderna, coniugando singolarità e condizioni storiche della produzione dei testi all'interno di uno spazio letterario mondiale. Le opere canoniche della letteratura trattate da Casanova appartengono alle culture occidentali e sono gerarchizzate nei loro rapporti reciproci. Ne consegue che nel sistema della repubblica letteraria la circolazione dei testi dipenderebbe dalle grandi capitali della cultura mondiale. Si vede come all'idea di "mondializzazione", ritenuta frutto della generalizzazione di un modello letterario specifico, si contrapponga l'idea di “internazionalizzazione", secondo cui è la concorrenza tra modelli letterari nazionali in lotta per la conquista della legittimità letteraria a determinare i confini dello spazio letterario mondiale. L'autrice vorrebbe combattere l'idea di una letteratura universale pacifica e quieta, cieca di fronte ai conflitti storici e politici. Il volume di Damrosch si fonda invece su tre principi: la circolazione, la traduzione e la produzione delle opere, per cui le opere veramente mondiali sarebbero quelle che acquistano valore nel processo di traduzione e la stessa letteratura mondiale sarebbe una modalità di lettura dei testi. Lo studio approfondisce nella sua parte introduttiva non solo l'origine del termine "letteratura mondiale", ma le varie forme in cui l'idea si è presentata nel corso del 900 in contesti culturali diversi. L'autore si dedica allo studio del modo in cui la letteratura mondiale è stata costruita e recepita all'interno di uno spazio culturale e temporale ben definito: il 900 statunitense. Lo scopo è quello di cogliere le trasformazioni che le opere letterarie subiscono una volta tradotte e ricontestualizzate in culture diverse da quelle in cui sono state prodotte. Possiamo concludere che l’idea di letteratura mondiale è soggetta ai complessi cambiamenti di prospettiva culturale attraverso cui essa stessa è enunciabile. 11.. Imagologia transculturale: L’imagologia: definizione e campo d’azione: l’esplorazione dell’altro e il confronto col diverso è alla base della parola letteraria. La scoperta e la rappresentazione dell’alterità culturale ricopre un ruolo particolare, poiché lega il discorso e l’immaginario del singolo scrittore alle formazioni discorsive e all’immaginario di una cultura. Il nesso tra il sé e l’altro: “l’imagologia letteraria”, disciplina che si occupa dello studio delle immagini del così detto “altro”, ha come oggetto le molte narrazioni della diversità culturale. Essa si occupa dell’alterità presenta sul piano testuale in quanto formazione discorsiva, traduzione e interpretazione simbolica del reale. Allo studioso di imagologia interessa la conoscenza delle strutture narrative e discorsive che lo esprimono. Le immagini dell’altro paese o cultura (etero-images) si considerano collegate con le immagini di sé di una collettività (auto-images). Parlare di chi è estraneo rispetto alla nazione d’appartenenza è un modo per rivelare degli elementi significativi e significanti del sé. Tale principio trova conferma in vari approcci al tema della formazione dell’identità. Possiamo affermare che l’identità è un processo risultante dall’interazione tra l’autoidentificazione e l’eteroidentificazione. Sebbene la letteratura occupi un ruolo centrale di catalizzatore di idee, immagini e stereotipi, non vanno tralasciati degli ampliamenti di campo e di orizzonte. Sarà compito dell’imagologo travalicare il confine del letterario senza trascurarne la specificità, nella convinzione che le immagini del sé e dell’altro costituiscano una delle chiavi d’accesso alla dimensione più profonda della sua sfera intratestuale, poetica e simbolica. Lo sviluppo dell’imagologia e le discipline sorelle: lo studio delle “images” letteraria ha sempre dialogato con diverse altre discipline. In un primo momento risentì di un determinismo culturale. Nella fase iniziale della storia di questo tipo di studi si registrano delle intuizioni che sarebbero rimaste valide anche in seguito, come quella sull’importanza delle idee su un’altra nazione nella fase della ricezione dell’opera di un autore. Le basi oggi valide di un’imagologia letteraria riformata furono poste da Dyserinck, le cui proposte di ripensamento possono essere riassunte così: le images letterarie ricoprono un’importanza importante all’interno dello studio intrinseco di un testo; il concetto di carattere nazionale o spirito di un popolo è di stampo irrazionale e inutilizzabile in uno studio imagologico eseguito secondo criteri più moderni; obiettivo principale di questo campo di ricerca comparatistico è la demistificazione culturale; gli studi imagologici ricoprono un significato etico-politico e contribuiscono a una migliore intesa dei popoli; il concetto di nazione va interpretato alla luce di processi dialogico-differenziali che coinvolgono la visione di sé di una singola comunità; compito dell’imagologia è intraprendere una riflessione costruttiva sull’identità europea. L’impostazione di Dyserinck si avvale di contatti con varie discipline. Questi studi presentano un importante punto di riferimento per la comparatistica internazionale. Diversa l’impostazione di Pageaux, i cui lavori mantengono viva una continuità con gli studi imagologici tradizionali e individuano nella letteratura di viaggio un luogo privilegiato della tematizzazione dell’incontro con l’altro. Per Pageaux: è importante mettere in collegamento le images e i mirages letterari con quelli che emergono nelle altre arti; vanno operate delle aperture verso ciò che era definito “paraletteratura”; oggetto degli studi imagologici è un’intera serie di testi, rappresentativi di un certo periodo o di una più lunga durata sul piano storico. Sul piano degli studi di Pageaux si parla di un superamento degli approcci intraeuropei d'essere da concetti più tradizionali di cultura e nazione, derivati dalle “Idee per la filosofia della storia dell'umanità” di Herder. La nozione che Herder applica alla cultura o nazione risponde a tre principi: l'omogeneità (di forme di vita, di idee e destini condivisi); il consolidamento etnico (corroborato dalla permanenza a lungo termine in uno stesso territorio); la delimitazione chiara dei confini (le sue forme pratiche e simboliche di vita si sviluppano entro certi limiti spazio-temporali). Alla luce dei più recenti movimenti migratori e dei cambiamenti che hanno investito le società non è più possibile attaccarsi all'idea che popoli, etnie e culture siano per natura omogenei verso il loro in- terno e separati dal loro esterno. Nelle analisi del filosofo Wolfang Welsch, il concetto di cultura come monade andrà sostituito con un concetto di cultura come “rete”, in considerazione delle molte interconnessioni stabilite sia con l'esterno sia all'interno di ogni costrutto nazionale o culturale. Welsch mette in luce l'importanza dell'integrazione di componenti culturali altri per l'intero processo di formazione identitaria. Individui e culture sono sempre di più degli "ibridi", e riconoscere ciò ha un valore reale e operativo che è capace di individuare le tante interconnessioni tra il proprio e il diverso. Per Welsch il modello transculturale può essere usato anche per una migliore comprensione dei processi storici di formazione delle culture. Meglio essa si applica ad aree del mondo come il Mediterraneo o i Caraibi, caratterizzate da molti scambi interculturali avvenuti nel corso della storia, atti a forgiare delle vere e proprie identità transculturali. Nel caso del contesto culturale caraibico, è bene ricordare che la natura composita di questo è dovuta a mescolanze prodotte da eventi storici di natura violenta come la colonizzazione europea delle Americhe. Agli occhi di un filosofo come Glissant, la “creolizzazione culturale” è un fenomeno significativo, poiché esige che gli elementi eterogenei messi in relazione si intervalorizzino. Il modello dei Caraibi è un esempio di una vera e propria "poetica della relazione". Identità transnazionali e doppi sguardi: il campo letterario si profila come improntato da identità transnazionali, caratterizzate dall'essere segnate dal superamento dei confini della propria nazione e cultura d'origine, dall'appartenenza per nascita a più nazioni e culture, dall'aver cambiato una o più lingue d'espressione letteraria. Lo scrittore transculturale articola un discorso-cerniera che combina elementi “imagotipici”, volti alla definizione del sé e dell'altro, con elementi “imagologici”, atti a demistificare lo sguardo dell'altro sul sé. La capacità di rapportarsi con una cultura o società facendo leva su un doppio sguardo diventa un potente motore tematico e estetico. Nelle scritture transculturali, lo sguardo che istituisce tali imagotipie e che agisce sul piano imagologico è rivolto verso l'interno di una cultura. Si ripercorre un processo di mistificazione a distanza del paese d'emigrazione, seguito da un processo di demistificazione collocato nel qui e ora spazio-temporale del paese d'immigrazione. Il processo di demistificazione culturale e la trattazione del tema del doppio sguardo può riguardare anche una società come quella statunitense, che basa le sue fondamenta sulla mescolanza tra varie componenti in realtà conflittuali. Un esempio è il romanzo “Ask the Dust” di John Fante, nella cui trama si incrociano sguardi e destini dei vari attori della società americana che lottano per un riconoscimento da parte della cultura egemone, che negli anni in cui scrive Fante è costituita dalla sua componente bianca e protestante. Risulta evidente che sarà necessario ridefinire lo stesso concetto di “image” al fine di rendere evidente la sua maggiore mobilità direzionale. Una possibile proposta terminologico-concettuale potrebbe essere quella “dell'imaging”, che cerca di rendere l’idea di un processo che corrisponde alla complessità ermeneutica costituita dall'interazione tra elementi imagotipici ed elementi imagologici. Come è stato messo in luce da Joep Leerssen, uno degli strumenti più efficaci di rappresentazione delle complesse dinamiche imagotipiche è “l'ironia”: ed è con ironia che i vari stereotipi riferiti alle particolarità etniche e nazionali vengono ripresi in molti prodotti audiovisivi. Tale procedimento può essere anche definito come la creazione di “meta-images”. Si tratta di un dinamismo interessante da osservare e utile per l'elaborazione di conflitti sociali improntati sulla diversità etnico-culturale. La comparatistica imagologica ha il compito di individuare nel grande serbatoio dell'inter- e transculturalità letteraria, un contro-discorso culturale, che metta in luce la natura pregiudiziale e gli inceppamenti ideologici dei discorsi dominanti, propagati e rafforzati dai media. L'imagologia letteraria a tutt'oggi si conferma essere uno strumento adeguato per far fronte a tale complessità. 12.. Traduzione e transmedialità: Traduzione e traduzioni: Antoine Berman dichiarava che la costituzione di una storia della traduzione è il primo compito di una teoria moderna della traduzione. In Italia si studiano la storia della letteratura, della filosofia, dell'arte, del pensiero scientifico, spesso con l'idea che si stia ripercorrendo una vicenda caratterizzata da un miglioramento progressivo delle conoscenze e delle competenze. Oggi disponiamo di strumenti molto raffinati che traducono con un invio quasi ogni tipo di testo. Sembra che presto il problema della comunicazione tra parlanti di lingue diverse sarà risolto con un semplice apparecchietto elettronico. Quando si parla di attività come la traduzione si tende a pensare a un lavoro routinario. Contro questi due luoghi comuni, molti studiosi della traduzione sostengono che non si traduce parola per parola o frase con frase, ma testo per testo e che non si traduce da una lingua a un’altra ma da una cultura a un’altra (parole chiavi: testo e cultura). Un traduttore avveduto dovrà essere consapevole che quando traduce ha a che fare con un testo che può essere ricondotto a una tipologia particolare. Dovrà essere consapevole che quel testo è un tessuto, un complesso intreccio di fili che lo rendono qualcosa di più della semplice somma delle frasi o delle parole che lo compongono. Un traduttore dovrà anche sapere per chi quel testo deve essere tradotto e con quale scopo. L’altra parola chiave della moderna traduttologia è “cultura”. Le convenzioni stilistiche, cioè quelle modalità dell'agire che conducono il traduttore a operare certe scelte in un particolare contesto, variano nel tempo e nelle culture. Da diversi decenni si parla di una svolta culturale negli studi sulla traduzione, a segnare un cambio di prospettiva nell'affrontare il tema del tradurre, che da questione linguistica diventa un problema che riguarda più ambiti della ricerca. La svolta culturale è poi uno dei nuclei fondativi dei moderni “Translation Studies” (TS). Con l'espressione "Studi sulla traduzione" o TS ci si riferisce a una ricerca per sua natura transdisciplinare, dove con traduzione si intende un concetto nomadico. La preoccupazione dei TS è quella di comprendere l'atto traduttivo nella sua complessità: un approccio descrittivo, che studia quell'atto nella sua complessità e nelle sue svariate applicazioni. Secondo Holmes i TS si devono occupare non solo di questioni teoriche generali ma anche dell’analisi e della descrizione dei prodotti della traduzione, dei processi, delle funzioni delle traduzioni. Perchè una storia della traduzione: molti studiosi hanno cominciato a dedicate un’attenzione particolare alla storia della traduzione o alla tradizione della traduzione. Sono state intraprese opere monumentali che studiano l’impatto che le traduzioni di opere letterarie hanno avuto sulle letterature nazionali, sui vari generi. Alla base di questi studi di storia della traduzione, alcuni testi teorici hanno offerto chiavi di lettura per indagare le dinamiche di queste relazioni. Influente nell'ambito dei TS è stato il lavoro di Itamar Even-Zohar che ha introdotto la nozione di “polisistema”. Per lui la letteratura tradotta, è parte importante di un complesso sistema di sistemi, in cui i vari generi si influenzano tra loro in modi non del tutto imprevedibili. In particolari condizioni storiche, la letteratura tradotta tende a svolgere una funzione attiva, di modellizzazione del centro del polisistema letterario, introducendo stili, temi, modalità del fare nuovi e inediti. La letteratura tradotta seguirà e si adatterà alle convenzioni retoriche o ideologiche dominanti quando il sistema letterario è solido. Riflessioni sul tradurre: Fase cosiddetta pre-scientifica: si può ricostruire la storia delle teorie della traduzione a partire dalla civiltà classico-romana, avvalendosi delle riflessioni che i suoi principali protagonisti hanno fermato in lettere, introduzioni. Determinanti per il consolidamento in un certo periodo di un’idea del tradurre sono stati i “paratesti”, a cui vanno affiancati gli studi autonomi e sistematici, redatti in forma di saggio, dialogo o trattato. Spesso gli autori hanno messo a confronto strategie traduttive opposte (parola per parola vs senso per senso; traduzione del retore vs dell’interprete; fedele alla lettera vs fedele allo scritto), o hanno descritto in modo articolato diversi generi di traduzione, o hanno sottolineato la legittimità di strategie attente alle esigenze dei lettori, costringendo i lettori a uno sforzo e a un’apertura nei confronti di istituzioni stilistiche e ideologiche non familiari. La scienza della traduzione: dalle riflessioni pre-scientifiche si sarebbe entrati in seguito in un periodo in cui si è coltivata l'idea di definire una "scienza della traduzione". L'espressione è legata a Eugene Nida. Al centro degli studi di Nida c'è la consumatori e nelle loro reciproche interazioni sociali. I consumatori sono attivi, nomadi, connessi fra loro e molto rumorosi. L’ecosistema narrativo: le relazioni tra le diverse forme di immaginario vengono riconosciute come degli ecosistemi narrativi basati su relazioni complesse fra singoli. Fra le conseguenze di tale diffusione va considerata l'importante sovversione che ha riguardato la figura dell'autore. La letteratura comparata sembra aver assolto il suo compito inter- e transdisciplinare: lo studio del processo di traduzione nelle sue infinite sfaccettature è uno fra i terreni più fertili su cui diventa possibile far interagire punti di vista e metodi di indagine anche molto diversi tra loro. Il centro del discorso resta invariato: lo studio delle relazioni, delle differenze e delle alterità. L'ottica transdisciplinare e comparatistica può cogliere l'insieme del processo traduttivo, della produzione culturale e di quanto quotidianamente tutto questo abbia a che fare con la nostra idea di immaginario. 13.. Letteratura, cinema e media: La letteratura nell’epoca della cultura convergente: i rapidi sviluppi della tecnologia hanno impresso una serie di cambiamenti alle logiche dell'industria culturale. All'interno del vasto orizzonte tracciato da queste trasformazioni, uno dei nodi decisivi è rappresentato dalla rilevanza della cultura visiva, dalle varie forme visuali con cui si presentano oggi le narrazioni, dai nuovi rapporti che la parola scritta intrattiene con la cultura di massa nello scenario dei “multimedia conglomerates” contemporanei, con cui si indica la concentrazione della produzione culturale in grandi gruppi industriali che detengono la proprietà di diversi segmenti mediali integrati tra loro in senso sia orizzontale (case editrici, canali televisivi, case di produzione cinematografiche, piattaforme digitali), sia verticale (attraverso il controllo dell'intero arco produttivo, dalla stampa alla promozione). Anche la teoria e la critica letteraria sono chiamate a instaurare nuove forme di dialogo interdisciplinare con la teoria dei media e le forme della cultura visuale. Il termine “cultura convergente” fu introdotto da Henry Jenkins ed è poi divenuto paradigma di riferimento di quel complesso di trasformazioni innescate dalla diffusione delle tecnologie digitali. Secondo Jenkins, tali trasformazioni possono essere riassunte attorno a tre questioni principali: il flusso di contenuti su piattaforme differenti; la cooperazione tra più settori dell'industria dei media e la loro integrazione economica; le migrazioni del pubblico alla ricerca continua di nuove esperienze di intrattenimento. Convergenza significa utilizzare una sola interfaccia per molte attività. La convergenza va intesa anche nel quadro più ampio di una convergenza economica, di una convergenza globale che definisce le forme e le estetiche dominanti dei linguaggi, e di una convergenza culturale che modella le nostre abitudini. Le forme della convergenza coinvolgono sia l'hardware, cioè l'idea di un unico dispositivo su cui passano i contenuti culturali, sia il software, cioè le modalità con cui un unico contenuto attraversa media differenti. Nozioni come cultura convergente, transmedia storytelling, media franchise danno conto di questo nuovo sguardo che coinvolge anche lo studio della letteratura. Al centro di questi processi ci sono nuove forme di negoziazioni tra differenti media e culture, nuovi modelli di consumo e ricezione, nuove strategie industriali che ridisegnano i prodotti culturali mettendo in crisi anche l'idea di una espressione specifica e autonoma dei singoli linguaggi. Anche la comprensione delle logiche del mercato editoriale contemporaneo appare inseparabile da quella delle altre industrie creative. Basti pensare al modo in cui sono cambiate in questi anni le figure dell'editor e dello sceneggiatore. Nel campo della serialità televisiva, lo sceneggiatore non è più legato solo alla capacità di scrivere ottime storie. Le sue competenze si estendono al campo della produzione esecutiva, del management, del marketing, dando origine alla figura dello showrunner, che gestisce tutte le fasi di una serie televisiva progettata e pensata per intercettare audience molteplici e disgregate su più piattaforme e dispositivi. Transmedia storytelling: le logiche del racconto e la costruzione di mondi narrativi sono tra i principali campi di investimento dei processi di convergenza industriale e sociale. L'idea che il racconto rappresenti il principale catalizzatore delle pratiche convergenti e transmediali va inquadrata nell’orizzonte dello “storytelling” e del “narrative turn”, ovvero di un forte ritorno alla logica narrativa. Lo storytelling, inteso come invenzione di storie per focalizzare e gestire l'attenzione di pubblici potenziali in settori diversificati, è un campo di esperimenti, pratiche e realizzazione che si è definito come assemblaggio di immagini e testi in cui le tecniche della narrazione si fondono con la logica persuasiva della pubblicità e del marketing addensando. La tecnica dello storytelling fa uso di tipi di narrazione molto diversi. Da questo scenario emerge un fenomeno decisivo per comprendere i rapporti tra letteratura e media nell'epoca della convergenza, ovvero il “transmedia storytelling”. Una prima definizione riguarda l'integrazione di molti testi dentro una trama narrativa complessa. La narrazione transmediale indica un processo lungo il quale gli elementi di un racconto attraversano diversi canali di distribuzione. Analizzando il caso “Gomorra”, Giuliana Benvenuti osserva come sia impossibile non vedere il libro di Roberto Saviano alla luce di ciò che lo ha seguito (adattamento per il teatro, il film di Matteo Garrone, la serie televisiva prodotta da Sky). Il fruitore può entrare nel mondo narrativo di Gomorra attraverso una delle produzioni di riferimento, ma può anche incontrarlo attraverso le varie riscritture sul web. Siamo di fronte ai processi caratteristici di un “media franchise”, cioè la costruzione di un marchio che, a partire da un prodotto principale di cui si detengono i diritti principali, viene poi sfruttato in una serie di prodotti derivativi e mercati ancillari. Gomorra rappresenta un caso interessante poichè la logica della riscrittura transmediale fa leva sulla figura dell’autore, chiamato a svolgete la funzione di testimonial e garante di tutte le operazioni. Il caso Gomorra offre la possibilità di riflettere sul ruolo dell’autore nell’epoca della cultura convergente e dello storytelling. Sono le narrazioni epiche e fantasy a trovare un ideale sfruttamento nell’ottica della convergenza e dello storytelling transmediale. La nozione di “transmedia storytelling” offre maggior aderenza alle logiche delle industrie culturali contemporanee. Sia perché prende in considerazione i frammenti delle storie estese su varie piattaforme e sia perché riconosce un ruolo decisivo anche alle riscritture dal basso. Dall’adattamento alla narrazione espansa: lo studio degli adattamenti diventa un ambito di studi e ricerche cresciuto negli ultimi anni, sia per la quantità di contributi e analisi, sia per la ricchezza di un dibattito teorico che ha ridefinito il proprio oggetto d'indagine e le proprie competenze in una chiave multidisciplinare. L'emergere del paradigma della convergenza transmediale, l'affermazione di un narrative turn nelle scienze umane e sociali, la diffusione delle pratiche dello storytelling ha comportato un forte ritorno di interesse per le questioni teoriche e metodologiche legate allo studio degli adattamenti. In uno dei primi contributi nel campo degli Adaptation Studies, la critica Linda Hutcheon osserva come sia ancora dominante negli studi umanistici una generale svalutazione degli adattamenti in quanto modalità secondarie. Hutcheon si propone di costruire un modello teorico dell'adattamento non circoscritto alla relazione tra il cinema e la letteratura, ma aperto alle riscritture praticate dai videogiochi, dalle graphic novel, dagli adattamenti radiofonici, dall'opera, dal balletto. I diversi media sono analizzati da Hutcheon lungo tre macrocategorie: narrazione; mostrazione; interazione. Nel contesto dell’economia globale, i testi hanno bisogno di trasformarsi, di adattarsi alle diverse condizioni culturali o storiche in cui vengono prodotti. Un adattamento non esiste mai nel vuoto, ma sempre dentro un preciso contesto di ricezione che spesso ne determina trasformazioni o modifiche. L’agenda teorica di nuovi studi sull’adattamento si struttura oggi attorno a cinque punti: la rilettura radicale della nozione di fedeltà; la necessità di superare la relazione cinema-letteratura in favore di una varietà di media e linguaggi artistici coinvolti nei processi di adattamento; l'idea di considerare molti adattamenti dello stesso testo; l'idea che l'adattamento è un processo dialogico da cui il testo originale e il prodotto derivativo risultano modificati; la volontà di integrare le prospettive degli studi sull'intertestualità e della comparatistica con un modello teorico che sappia dar conto delle molte pratiche dell'adattamento che caratterizzano l'industria culturale contemporanea. Narrazione letteraria e audiovisiva: nel suo saggio “Dickens, Griffith e noi Ejzenstejn citava l'apertura di un racconto natalizio di Charles Dickens come esempio della costruzione narrativa del film americano. È dal romanzo vittoriano che secondo Ejzenstejn nascono i primi elementi dell’estetica cinematografica americana. Il montaggio delle scene e delle linee narrative, la costruzione temporale, l'uso delle descrizioni d'ambiente che caratterizzano il linguaggio del cinema classico americano, le sue strategie di coinvolgimento dello spettatore si offrono agli occhi di soggettivizzante. È questo il campo delle “scritture concettuali" (conceptual writing), che lavora in un ambito post-poetico. L'oggetto artistico è usato prima che appaia traducibile in contenuti linguisticamente trasparenti. Si presenta come allestimento quasi museale di materiali ben diversamente connotati. “L'autofiction” ha le carte in regola per entrare in un simile discorso. Il lettore-spettatore si trova involto in un racconto pieno di trabocchetti che però rende ridicola la finzionalità, innalzando il testo alla vera testimonianza di un mondo soggettivizzato, non più in grado di trovare una piena coerenza. Questo tipo di esperienza esige un lettore-spettatore pronto ad abbandonare la visione in qualsiasi momento. 14.. Antropologia e letteratura: Ogni testo è testo dell’uomo: scienze dell’uomo e scienze del testo hanno lo stesso soggetto, sia nel senso che sono entrambe attività di ricerca condotte dall’uomo e sia nel senso che il loro dominio di indagine è rappresentato dall’uomo. Antropologia e letteratura si incrociano e si sovrappongono. “Antropologia” definisce un’attitudine metalinguistica, cioè lo studio di popolazioni, culture, civiltà, pratiche, mentre “letteratura” si riferisce ai prodotti dell’arte verbale umana e alla filologia e alla critica letteraria. La filologia è la disciplina più impegnata nell’analisi dei testi e ha trovato nell’antropologia culturale delle risorse utili per leggere le strutture sociali, le credenze, le mentalità, le forme di espressione che i testi delle società premoderne interiorizzano e che li rendono più difficili da intendere. Questo approccio si colloca nell’ambito di “un’antropologia del testo”, cioè di un’interpretazione dei testi che si avvale di strumenti, metodi usufruiti per un’analisi volta alla comprensione dei testi nella loro specificità. Questo approccio valorizza la profondità del testo. Diverso da questo è l’approccio dell’“antropologia della letteratura”, cioè come una teoria della letteratura che ricava i propri principi dalla riflessione antropologica per proporre una visione della letteratura, della sua origine e del suo sviluppo. L’obiettivo è dire qualcosa sull’esistenza e la permanenza di una modalità del linguaggio umano. Sempre di più emerge la centralità del soggetto umano nella letteratura, un soggetto inteso in tutta la sua pienezza storica e antropologica che si realizza nella letteratura. Possiamo affermare che attraverso ogni testo a cui applichiamo il nostro ascolto, ci giungono le voci di altri soggetti con i loro vissuti (ogni opera porta impressa la voce del suo autore e ogni autore mostra una storia attraverso personaggi). La relazione fondante nelle scienze umane e nelle scienze del testo è una “relazione dialogica”, tra due soggetti. Perché un testo cominci a funzionare è necessaria la presenza di un interlocutore: l’opera si realizza quando incontra chi la riceve e la fa vivere. Un testo letterario è frutto delle ripetute negoziazioni tra i due soggetti coinvolti (autore e ricevente). La vitalità di un’opera si misura nel suo grado di reazione a interpretazioni di soggetti diversi, in contesti storici, sociali diversi da quello in cui essa è stata prodotta. Dialettica di differenze e somiglianza: di fronte a un testo antico o di una cultura diversa è immediato percepire un senso di “alterità”, sia per le modalità espressive, stilistiche, sia per il riferimento a contenuti insoliti. L’elaborazione di questa alterità è alla base di due atteggiamenti interpretativi: quello filologico e quello antropologico. La manifestazione più immediata dell’alterità è quella di una differenza culturale. Ciò che più colpisce è l’insolito, la sorpresa, ma è anche vero che senza un terreno comune nessun dialogo è possibile. L’alterità che il testo ci mette davanti è una “dialettica di differenza e somiglianze”. Lo sguardo filologico è uno sguardo da vicino, interessato a ricostruire dall’interno il testo e la cultura che esso incarna. Lo sguardo antropologico si caratterizza come uno sguardo da lontano che si pone a distanza dall’oggetto osservato per coglierne la totalità. Il punto di vista filologico enfatizza le peculiarità che caratterizzano ogni opera; il punto di vista antropologico illumina le somiglianze che confrontano realtà lontane nello spazio e nel tempo. Abbiamo due effetti importanti per la teoria della letteratura: si supera la divisione di matrice romantica tra analisi testualista e contestualista; la complementarietà dialettica dà conto della temporalità dei testi. Questa duplicità di sguardi serve a modulare le domande che rivolgiamo ai testi e ci aiuta a distinguere le opere dalla semantica aperta, quelle che sono definite “classici”. Per passare dalla filologia all’antropologia occorre ricostruire la durata e la rete dei riferimenti culturali che l’opera ha introiettato. Altri due plessi concettuali sono quello delle “somiglianze” che la comparazione riconosce tra testi di diversa origine e quello della “cultura” come repertorio a cui riportare gli elementi comuni che i testi rivelano. La ricorrenza di temi, intrecci, figure ci fa riflettere sulle dinamiche culturali che governano la conservazione di questi schemi e il loro adattamento a contesti diversi, e su come costruiamo le somiglianze tra questi elementi per studiarne la ricorsività. Nelle scienze naturali e in antropologia si è fatta strada la nozione di “classe politetica”. Un ordinamento politetico mette insieme individui che condividono il maggior numero di caratteristiche senza che una sola possa essere necessaria a rendere un individuo membro del gruppo, perché nessuna proprietà dell’insieme dato è universalmente distribuita nella classe, mentre ciò che si rivela passando da un esemplare all’altro è un fascio di tratti discontinui. Passato e futuro della cultura nei testi: occorre volgersi a riflettere su questo concetto di cultura. Secondo Lotman e Uspenskij, la cultura è qualcosa di inevitabile per la specie umana, è la condizione di esistenza delle comunità, in quanto esprime il bisogno di conferire ordine e senso alla realtà attraverso il sistema linguistico e semiotico. La cultura ha un rapporto col passato, in quanto conserva in forma organizzata l'esperienza di una società. Ogni cultura possiede un dinamismo che le permette di far fronte e adeguarsi agli stimoli e alle novità che provengono dal contatto con l’ambiente esterno. Anche l’immaginario può intendersi sia come insieme di rappresentazioni organizzate in narrazioni relative a storia e struttura della società e sia come modalità di attribuzione di significato alla realtà. Semplifichiamo che cosa la cultura deposita nei testi della letteratura. Anzitutto nei testi possiamo trovare dati di fatto che l'opera interiorizza anche preterintenzionalmente perché appartenenti alla cultura ambiente e che però richiedono di essere spiegati e interpretati alla luce di ciò che sappiamo di usi e costumi. In secondo luogo, i testi possono utilizzare temi e motivi diffusi su scala interculturale che risultano già inventariati nei repertori del patrimonio narrativo internazionale. Un livello ulteriore è poi rappresentato da veri e propri processi mitico-rituali che possono essere verbalizzati come si manifestano, cioè descritti con deboli livelli di mediazione, interiorizzati sotto forma di modelli narrativi, in grado di organizzare sequenze di eventi che diventano l'intelaiatura di un testo. Infine, un altro punto focale per un'interpretazione antropologica dei testi può essere costituito dalla presenza nel racconto di eroi, semidei e personaggi archetipici che persistono nella cultura. Il personaggio sarà da intendersi come nebulosa di tratti, aggregazione temporanea di caratteristiche, nessuna delle quali è indispensabile e costante, e capace di agire da matrice delle narrazioni. Una nozione come quella di “archetipo” può essere valorizzata come costellazione figurativa di lunga durata. La narrazione è oggetto di una pluralità di riflessioni sulla letteratura. Secondo alcune ipotesi glottogenetiche, la funzione narrativa sarebbe in grado di spiegare le caratteristiche essenziali del linguaggio umano. Alcune proprietà, come l'aspetto verbale, l'espressione della modalità, la presenza dei dimostrativi, la sintassi, sembrano connesse alla funzione narrativa. Altri linguisti sostengono che il racconto delle azioni umane sia il fondamento antropologico della testualizzazione, cioè della produzione di schemi mentali e strutture ricorrenti di collegamento fra proposizioni costruite sulla base della ripetizione di certe esperienze di vita. La narrativa sarebbe l'origine della testualità. | due grandi archetipi rituali, liniziazione alla società adulta e la successione dei re sarebbero alla base delle modalità narrative che si sono poi evolute. Molti studi hanno puntato sull'universalità della narrazione, sulla possibilità che essa sia una modalità primaria di organizzazione verbale del mondo. Letteratura come esperimento mentale: la letteratura getta un ponte fra le cose come sono e come potrebbero essere. La letteratura sembra vivere sempre in una condizione di soglia, di esplorazione dell'alterità: agisce come un completamento immaginario dell'uomo. Questa fase liminale è ciò che caratterizza il processo rituale. Nella liminalità la sospensione degli obblighi e delle regole sociali dati può comportare eventi sovversivi e ludici, nel senso che i soggetti coinvolti giocano con gli elementi familiari e li defamiliarizzano. La liminalità, realizza una scomposizione della cultura nei suoi componenti di base e una loro ricomposizione libera o ludica in ogni e qualsiasi configurazione possibile. Il processo rituale offre nella liminalità anche un metalinguaggio efficace e un atto di riflessività collettiva ai partecipanti e a tutti i membri della società. Lotman ricorre alla categoria dell'“imprevedibilità” per definire la capacità del testo di generare sensi sempre nuovi nel corso del suo illimitato ri-uso. Una caratteristica di questo stato dell'imprevedibile è data dal pensate per avere risvolti concreti. Anche in medicina la funzione degli strumenti narrativi va intesa come finalizzata a potenziare e rendere più efficace la pratica medica, riducendo gli eccessi di prescrizioni di farmaci, l’invasività dei trattamenti, il rifiuto di collaborazione del paziente. La competenza narrativa: un approccio come quello di Rita Charon suggerisce che la piena valorizzazione del tessuto di narrazioni che spontaneamente connettono l'uomo con se stesso e i suoi simili può avvenire solo attraverso l'acquisizione di una padronanza dei mezzi e dei meccanismi del racconto. Il legame di Charon con gli strumenti letterari si rileva nella menzione di “close reading” e teoria della narrazione. Il sapere letterario è qui chiamato in causa e identificato come la competenza narrativa di cui Charon intende servirsi. La scrittura e la lettura vengono intese come attività che richiedono esercizio e che risultano preziosi supporti all'indagine e alla comunicazione medica. Charon si rifà alla scuola del New Criticism, il cui tratto distintivo consiste in un'attenzione prioritaria riservata al testo in sé, alle parole che lo compongono, ai toni e alle ambiguità di cui esse sono rivestite. Charon ha individuato gli aspetti testuali imprescindibili di cui andare alla ricerca: cornice, forma, tempo, trama e desiderio. Altrettanto irrinunciabile è per Charon l'invito a interrogarsi sull'atto di lettura stesso, andando alla radice del suo funzionamento e ritenendolo un laboratorio di prova per l'attenzione che il medico dovrà rivolgere alla storia del paziente di cui sarà destinatario. Il testo predispone uno spazio rallentante e sicuro, che consente l'approfondimento, il tentativo, la riflessione. Avvicinarci a un testo significa adottare una posa da lettore tra le tante possibili (la nostra attitudine cambia se sappiamo di trovarci di fronte a un'esperienza personalmente vissuta o a una storia di fantasia). Dobbiamo individuare quale lettore implicito il testo richiede che diventiamo. Martha Montello paragona l'atto del buon lettore alla capacità del medico di cogliere la storia del paziente. L'incontro con il testo viene esemplificato dalla metafora del viaggio e suddiviso in tre parti: partenza, che indica l'entrata nel mondo della storia, qui il medico tenta un equilibrio tra distacco e partecipazione nei confronti del paziente; performance, cioè la risposta a ciò che richiede il testo, qui il medico cerca di assumere la prospettiva del malato; cambiamento, cioè l'alterazione che quanto abbiamo letto esercita su di noi, qui il medico è disposto a contemplare analogie e somiglianze con proprie esperienze di vita. Immaginare narrazioni alternative, esistenze opposte alla nostra sono le attività consentite e incoraggiate in quello spazio delle possibilità messo a disposizione dalla letteratura. L’immaginazione viene giudicata indispensabile per rafforzare la capacità di riconoscimento e interpretazione dell’esperienza dell’altro. Una volta assorbita la rappresentazione altrui, il medico è in grado di darle una spiegazione. Autobiografia e malattia: il testo è anche un mezzo attraverso cui l'individuo ritrae se stesso in una situazione di crisi e che trova una sua collocazione in letteratura. Nella postmodernità emerge un tipo di narrativa inedito, figlio di quelle esigenze di esposizione, legittimazione e valorizzazione delle voci dei pazienti portate di recente in primo piano. Ci riferiamo ai racconti autobiografici di malattia. Tra i cataloghi di biblioteche e librerie ci siamo abituati a imbatterci nella storia di qualcuno che ha scritto un libro sull'avere vissuto un'esperienza di malattia: tale è la definizione che Hawkins offre di “patografie”. Il filo conduttore resta l'esternazione dell'esperienza privata della malattia e la sua traduzione in narrazione. Lo scenario che ci accingiamo a considerare diverge dall'attuazione della storia del paziente nel contesto circoscritto del dialogo con il medico, poiché corrisponde ora alla platea di lettori non specialisti a cui i testi di nostro interesse si rivolgono. L'assenza della patografia prima del 900 e il suo essere un prodotto della contemporaneità si devono a condizioni culturali e convenzioni estetiche che solo negli ultimi decenni hanno reso possibile scrivere di malattia nei termini a noi oggi familiari. La malattia riveste nella patografia una rilevanza autonoma e centrale. A questo ha contribuito la concezione odierna della malattia: considerata, un tempo, evento della vita scontato, naturale e irrimediabile, in seguito al progresso scientifico e tecnico è diventata inaccettabile ed estranea. La malattia entra nella narratività, diventa degna di essere raccontata e autorizza un individuo a fare fuoriuscire la propria storia da un'anonima sfera privata. Raccontare implica selezionare, organizzare azioni che plasmano la patografia e giustificano il paragone di alcuni critici tra le contemporanee storie di malattia e gli intrecci d'avventura, sulla base dell'estraneità che la malattia rappresenta per il narratore. La patografia offre al lettore una prospettiva su ciò che comporta l'interruzione apportata nella vita di una persona da parte della malattia. Il narratore ha anche il compito di ripristinare il senso perduto. Miti e identità in patografie: sul piano descrittivo, la patografia rivela i mutamenti rispetto a un'esistenza in cui la salute non è compromessa. Il primo avvenimento da cui prende il via la storia è il momento in cui si sono manifestati i sintomi o quello della comunicazione della diagnosi. Ricorrente è la scena del colloquio col medico, di cui vengono posti in rilievo le scelte lessicali, il tono e gli effetti prodotti nel destinatario. La parte più consistente delle patografie è dedicata ai trattamenti a cui si viene sottoposti, alle modificazioni a cui il corpo è soggetto e alle ripercussioni della diagnosi sulla propria identità e sulla dimensione relazionale. La prospettiva che caratterizza queste narrazioni è spesso straniata, portata a considerare la propria realtà abituale in una luce nuova. Tale è lo sguardo che si rivolge al corpo: prima dato per scontato, ora ci appare altro da noi, identificabile più con la malattia che lo abita (in “Le protocole compassionnel”, Hervé Guibert, confrontandosi con l'immagine restituita dallo specchio e dai filmati in cui immortala momenti della sua vita con l'AIDS, si vede precocemente invecchiato e simile, nell'aspetto, a un prigioniero dei lager nazisti). Sebbene abitualmente si consideri la narrazione medica come tendente a concretizzare, svuotare di vita, le patografie dimostrano che è la malattia stessa a imporre uno sguardo simile, a cui il soggetto autobiografico resiste. Quando il disastro si abbatte su di noi, qualcosa sopravvive al naufragio: le mappe del mondo in cui si viveva prima, a ricordarci che la patologia si presenta in una vita che ha già una storia, la quale incide su come si forma la storia della malattia. La funzione unificatrice e quella connettiva, tra gli eventi e tra gli individui, della narrazione che si fa mito consente anche di mantenere una continuità identitaria, che la malattia rischia di spazzare via e di rintracciare una temporalità dissestata. La patografia ha al suo centro un io in crisi che raccontandosi tenta di tenersi insieme, di riaffermarsi, di arricchirsi. 16.. Gli spazi della letteratura: La letteratura verso la geografia: un procedimento immediato per chi studia forme e dinamiche della letteratura è di situarle nel tempo, di riferirsi a un ordine mentale, a un percorso storico entro cui collocarle e leggerle. Il modello della storia letteraria giunge al suo apice nell’800. Intanto si è assistito a un fenomeno dalle conseguenze diverse a seconda degli ambiti in cuiè possibile osservarlo, e che è identificabile con un’immagine precisa, quella di una tendenza in direzione dello spazio (“spatial turn”). Ci riferiamo a uno spazio sensibile, plastico, modellato sulla geografia reale o finzionale. La ripresa dello spazio rispetto al tempo, che dominò la riflessione del primo 900, è volta a esprimere un’idea complessa di spazio. Non più una forma vuota agente da sfondo alle azioni umane, ma un concetto letto in modo rivoluzionario. La visione tradizionale, secondo cui lo spazio era un vuoto in cui esistono gli oggetti, cedette il passo a una nuova visione di esso come attivo e pieno: molte scoperte e invenzioni, edifici, dipinti, romanzi, teorie filosofiche attestano la funzione dello spazio. Gli effetti di questa nuova percezione spazio-temporale vanno letti in un luogo emblematico dell’accelerazione dei ritmi vitali, del caos. “Metropoli” e “modernità” sono uniti in un legame covalente. La grande città è un organismo capace di recepire le tendenze, le conflittualità e le innovazioni proprie del primo 900. Facendo ritorno a un piano più generale, si possono compiere alcune osservazioni per saldare gli effetti della rincorsa allo spazio al livello della creazione e della riflessione sulle forme letterarie. Queste recepiscono le modificazioni nello sguardo, le nuove conoscenze del mondo e l’esperienza traumatica del presente, traducendole in un inedito sentimento dello spazio. Lo spazio viene letto come decoro di sentimenti di perplessità, in una narrativa postmodernista che rivede il rapporto importante tra i personaggi e lo spazio circostante, mostrando percorsi, esperienze di luoghi. Sono i mondi di finzione testi a riprodurre le realtà invivibili del presente nell’Occidente globalizzato. Dalla geografia letteraria alla geocritica: quanto alla critica letteraria, è a partire dal 900 che questa si volge ad approfondire il valore dello spazio all’interno dei testi, facendo sì che geografia e letteratura intessano un dialogo significativo. Il termine “geografia letteraria” sembra comparire in Francia a pochi anni dal consolidamento della geografia come disciplina accademica. Il legame tra storia e geografia diventa approccio intersezionale e un approccio che consideri la molteplicità delle discriminazioni, immaginiamo di disegnare dei segmenti e di associare a ogni segmento una categoria di oppressione. Prendiamo poi un soggetto umano ed esaminiamo gli assi di potere che sono all’origine della sua oppressione sociale. Un approccio intersezionale impone che i segmenti si intersechino passando tutti per un unico punto, in cui sta il soggetto umano, attraversato simultaneamente da tutte le categorie di oppressione che ne determinano la marginalizzazione sociale. Prime teorizzazioni sulla simultaneità delle oppressioni: un iniziale teorizzazione sulla necessità della metodologia intersezionale risale al femminismo nero americano della fine degli anni 70. Un testo importante è il “Combahee River Collective Statement”, scritto da femministe nere lesbiche che affermavano che i maggiori sistemi di oppressione sono interconnessi e definivano il femminismo nero come il logico movimento politico che combatte le molte oppressioni simultanee che tutte le donne nere devono fronteggiare. L’approccio intersezionale evidenzia l’eterogeneità di cui si deve tenere conto quando si parla di donne, il fatto che non tutte le donne storicamente condividano la stessa oppressione. A partire dagli anni 70, attiviste femministe africane americane hanno evidenziato che la storia delle donne nere negli USA era diversa dalle donne bianche. Prima della guerra civile negli USA, le donne bianche del Nord utilizzarono le campagne contro la schiavitù per acquisire una certa pratica politica e una visibilità nella sfera pubblica. Le donne bianche del Sud si erano rese complici di tale sistema perché l’oppressione di donne e uomini neri creava una classe di persone marginalizzate e ciò consentiva loro un avanzamento sociale. Il volume “This Bridge Called My Back: Writings by Radical Women of Color” di Cherrie Moraga e Gloria Anzaldua, pone al centro l’esperienza di femministe negli USA accomunate dal fatto di essere di colore. Il volume sottolinea la necessità per queste femministe di opporsi al concetto di “sorellanza universale”, ma anche la possibilità di stabilire rapporti di solidarietà tra gruppi di donne che subiscono simili oppressioni. Chandra Mohanty in suo saggio denuncia il modo in cui le femministe bianche negli anni 80 avevano riconosciuto l’esistenza di soggetti i cui corpi erano attraversati da diversi assi di differenziazione ma le avevano confinate nella categoria delle “donne del terzo mondo”. Queste donne erano state ridotte a oggetti di analisi. L’autrice denuncia il fatto che le femministe occidentali abbiano messo le donne non bianche a una condizione di vittimizzazione e gli hanno negato qualsiasi capacità di agency (private della possibilità di effettuare le proprie scelte). Intersezionalità come categoria di analisi: la giurista africana americana Crenshaw conia l’espressione “intersezionalità giuridica” a partire da una riflessione su tre casi legali, uno dei quali è il “DeGraffenreid vs General Motors”. La giurista sosteneva che questa causa, un procedimento legale riguardante il lavoro e la vita quotidiana delle donne interessate, mostrasse come un mancato approccio intersezionale abbia ricadute pratiche sulla vita quotidiana dei soggetti e come le donne nere rischino di diventare invisibili nelle pratiche culturali, sociali, politiche e economiche. La metodologia intersezioanle applicata alla critica letteraria: l’intersezioanlità è nata in un contesto femminista, nero, lesbico, proletario, e si articola intorno alla necessità di rendere visibili soggetti che rischiano di scomparire dallo spettro sociale a causa del fatto che la simultaneità delle diverse oppressioni che subiscono risulta invisibile. Quando la metodologia di analisi intersezionale viene trasferita agli studi letterari, è importante che il suo potenziale sociale e politico non vada perso, ricordando che la divisione tra “sapere puro” e “sapere politico” è stata creata ad arte per depotenziare le creazioni e le riflessioni di soggetti mantenuti ai margini delle narrazioni. L’intersezionalità è un approccio orientato verso la giustizia sociale, che deve essere adottato al fine di formulare un’analisi della società, di generare nuove idee, di mettere a punto strategie politiche. Se l’intersezionalità diventa un meccanismo depoliticizzato senza alcuna finalità etica, essa perde la funzione di trasformare modi di essere e processi conoscitivi. L’intersezionalità fornisce importanti strumenti per riassegnare visibilità a soggetti resti storicamente invisibili. Le differenze tra le varie soggettività individuali sono disuguaglianze legate a categorie di oppressione che limitano la vita di individui e gruppi sociali e ne determinano una esclusione dalla società. Riguardo la critica letteraria, l’intersezionalità è un approccio all’analisi letteraria che invita gli studenti a considerare come un certo numero di fattori identitari interagiscano per modellare un personaggio. L’importanza della lettura intersezionale di un testo sta nella sua capacità di disturbare narrazioni tradizionali e immaginari cristallizzati, riarticolati alla luce di processi che mostrano le oppressioni simultanee che storicamente hanno reso i soggetti subalterni invisibili. La letteratura degli USA costituisce un commento sulle trasformazioni di concetti ideologici e metafisici intorno alla differenza razziale. Il razzismo e il sessismo sono elementi strutturali della società e sono indivisibili l’uno dall’altro. Due casi di studio: per facilitare la comprensione di come l’analisi intersezionale possa essere usata dalla critica letteraria, passiamo a esaminare due casi di studio. Lettura intersezionale di “Jane Eyre” e “Wide Sargasso Sea”: iniziamo prendendo in esame il romanzo di Charlotte Brontë, “Jane Eyre”, e la sua riscrittura ad opera di Jean Rhys, “Wide Sargasso Sea”. Le critiche Sandra Gilbert e Susan Gubar interpretano il personaggio di Bertha Mason, la moglie pazza che fu rinchiusa in soffitta e che muore nel rogo della casa da lei appiccato, come il doppio oscuro di Jane dal punto di vista psicologico. Un approccio intersezionale è inserito da Jean Rhys, che alla Bertha Mason di Charlotte Brontë restituisce la possibilità di narrare la propria storia nel romanzo “Wide Sargasso Sea”. Qui vengono raccontate le origini di Antoinette e la vita in Jamaica prima che il marito la sposasse al solo fine di prendere possesso del suo patrimonio. La follia di Antoinette/Bertha è considerata come il risultato della subordinazione sociale a cui le donne erano costrette nell'ambito dell'istituzione del matrimonio. La critica Elizabeth Baer legge il rapporto tra le protagoniste dei due romanzi come un'ideale sorellanza. Baer sostiene l'importanza che ha per le donne la narrazione delle proprie storie individuali, in quanto esse costituiscono tasselli di una storia collettiva femminile. I due romanzi devono essere letti come un'unica storia, quella della nascita e della strutturazione del soggetto femminile individuale che si fonda sulla battaglia e sul sacrificio delle donne di generazioni precedenti. Tale analisi sancisce la nascita di un soggetto femminile universale. La filosofa Gayatri Spivak oppone a un'interpretazione testuale che si fonda sulla nozione di sorellanza universale una lettura in cui le categorie di razza e colore sono significanti. Secondo Spivak il fatto che il sacrificio di Antoinette/Bertha sia necessario affinché Jane possa emergere come l'eroina femminista del romanzo inglese è parte integrante del progetto imperialista del colonialismo. La teoria della sorellanza tra le protagoniste non tiene conto del fatto che l’incontro tra le due donne è presentato come un incontro coloniale, che evidenzia e mette in scena questioni riguardanti la soggettività umana, la razionalità e la civilizzazione. Attraverso un'analisi intersezionale, Spivak evidenzia la distinzione esistente tra la popolazione creola e quella indigena, considerando come tale distinzione offrisse ai due gruppi diverse possibilità di accesso all'autorialità e all'autorappresentazione. L’analisi delle diverse posizioni critiche evidenzia come operare un'analisi intersezionale dei due romanzi presi in esame voglia dire considerare anche ciò che è assente, prestando attenzione agli interstizi e ai personaggi marginali, perché è proprio da quei luoghi e da quei personaggi che sono articolate narrazioni di resistenza. Lettura intersezionale de “L'ottava vibrazione”, “Albergo Italia” e “Identità”: il secondo esempio propone l'utilizzo di una metodologia intersezionale per una lettura critica della rappresentazione delle donne africane nei romanzi di ambientazione coloniale, “L'ottava vibrazione” e “Albergo Italia” di Carlo Lucarelli, per poi metterla a contrasto con quella di Igiaba Scego, “Identità”. “L'ottava vibrazione” è un romanzo storico. L'impresa coloniale italiana è rappresentata in modo niente affatto eroico. L'Africa di Lucarelli è un luogo dove gli italiani andavano per fare fortuna. Il punto di vista della narrazione è quello dei colonizzatori e che l'autore di fatto non articola una contronarrazione perché spesso non prende la dovuta distanza dalle rappresentazioni stereotipate dei colonizzati. Il punto di vista della narrazione è quello dei colonizzatori. La contrapposizione bianco/nero sono onnipresenti nel romanzo. Potenti immaginari coloniali sono dispiegati all'interno dei due romanzi di Lucarelli che ripropongono atmosfere esotizzanti e apparati simbolici di tipo coloniale. Nei contesti coloniali l'immaginario legato al desiderio di penetrazione di territori misteriosi e sconosciuti era legato anche al desiderio di penetrazione del corpo delle donne indigene, considerato misterioso e sconosciuto. L'identità nazionale italiana si rafforzò a partire dalla capacità dei maschi italiani di dominare i territori delle colonie e di affermare la propria superiorità razziale sulle categorie, meccanismi di potere e di dominio interni al sistema culturale di appartenenza, sistema che nella sua declinazione occidentale è maschile, patriarcale ed eterosessuale. L'autore viene sostituito dallo scriptor che nasce con il nascere del testo. E il testo diviene tale solo in virtù del lettore. La distruzione della concezione universalistica e neutralistica del soggetto non porta a una sua ridefinizione, ma a una sua negazione. L'operazione di estromissione dell'autore a favore del lettore e del testo auspicata dal poststrutturalismo non poteva essere accettata dalle donne che hanno sentito la necessità di riappropriarsi di se stesse in quanto soggetto. E non poteva rinunciarvi una prassi analitica che via via scopriva come i soggetti che hanno scritto e scrivono, come alcuni dei testi che sono stati prodotti non possono essere inclusi in un modello universale, a meno della perdita completa della loro identità, che misurava la portata e la consistenza delle differenze fra i diversi soggetti e oggetti. Le coordinate tracciate dalla passione, dagli studi e dalle ricerche delle donne hanno disegnato un soggetto nuovo. La presenza e la raffigurazione della scrittrice o della lettrice sedute a un tavolo con la penna o un libro in mano non erano fatti nuovi all'interno della tradizione letteraria e della rappresentazione artistica precedenti, ma costituivano una soggettività diversa da quel soggetto apparentemente asessuato, universale e neutro su cui si misuravano il valore, l'importanza, la fedeltà e i tradimenti a un preciso canone di conoscenza e di trasmissione del sapere. La "diversità" di tale soggetto si configurava come necessità di ripartire da una sua definizione più rispettosa di elementi negati che apparivano essenziali alla sua sostanza, a cominciare da una qualità importante: l'essere dotato di corpo. Oltre alla constatazione che la costruzione dell'immagine di corpo è determinata anche da fattori sociali e all'affermazione dell'esistenza di una dimensione simbolica del linguaggio, il non facile equilibrio tra una visione materialista del corpo e una concezione che fonda la differenza sessuale sulle questioni legate all'ordine simbolico del linguaggio e all'identità è stato facilitato anche da quell'operazione di apertura degli studi delle donne che hanno fatto propria una visione integrata del femminile e del maschile, che assume la differenza sessuale inscritta nel mondo. La teoria della differenza sessuale postula la necessità delle donne di dotarsi di uno strumento conoscitivo che riconsegni loro questa capacità fondativa. Il soggetto ha si un corpo, ma si tratta di una corporeità "volatile": incarnandosi, il soggetto si storicizza e diviene sessualmente, etnicamente e culturalmente specifico. La differenza sessuale non è biologica, ma culturale, sociale, storica. Al soggetto unico, neutro, universale si sostituisce un soggetto multiplo e differenziato, luogo in cui si incarnano le differenze di genere, e che agisce all'interno di un mondo di soggetti multipli e differenziati. Sul canone letterario e le donne: lo scavo negli archivi pubblici e privati che ha caratterizzato l'attività di tante ricercatrici ha messo in luce un dato di fatto, e cioè che le donne hanno scritto tanti testi di diverso tipo. L'esito di questa attività ha prodotto soprattutto monografie dedicate ad autrici più o meno note, la riedizione di opere dimenticate, la ricostruzione di biografie intellettuali. Il lavoro di scavo documentaristico ha messo in evidenza problemi teorici che depongono a favore di una complessità dei testi maggiore di quanto non apparisse a un primo esame analitico, coinvolgendo questioni di periodizzazione, di genere letterario, di ridefinizione dello statuto della letteratura italiana. L'esito migliore delle culture e dei saperi delle donne è stata un'operazione di conservazione e innovazione, di costruzione e di decostruzione, di preservazione dei dati più positivi della canonicità e di incentivazione degli esiti dell'anti-canonicità. La riflessione sul canone si è alimentata di un'incessante attività di smontaggio e rimontaggio della tradizione che ha dimostrato come quest'ultima abbia dominato la voce di soggettività specifiche. L’assenza di scrittura femminile dipende dalle modalità con cui il sistema di selezione ha conservato e eliminato i dati, distinguendo ciò che valeva la pena trasmettere. Se oggi si tende a far posto ai dati della cultura materiale, alla trattatistica, alla memorialistica, a scritture che fino a qualche decennio fa si sarebbero considerate non attendibili, lo si deve alla caduta di alcuni tabu "canonici', a cui la scoperta e lo studio delle scritture femminili hanno contribuito. Esse hanno portato a ridefinire il rapporto dei soggetti produttori con il linguaggio, con le figurazioni, con la tradizione. Se il canone è una ricostruzione a posteriori, ciò vuol dire che esso è una narrazione prodotta da un soggetto, a partire dal luogo specifico che esso occupa nel sistema storico-culturale. Le narrazioni hanno uno stretto legame con la memoria e la sua conservazione. Il soggetto decide cosa includere ed escludere. La sua azione è una forma di potere. La prima azione da fare è assumere consapevolezza che la "narrazione canonica" è frutto di un posizionamento, cioè del dato di fatto che il soggetto produttore è il punto finale di un insieme di portati, culturali, storici, sociali, economici, che ne costituiscono la parzialità e l'appartenenza a una specifica comunità. La soluzione sta nella piena accettazione del fatto che il canone è un racconto, la narrazione di un sistema, di una cultura, di una forma di conoscenza. Esso costruisce figurazioni. La narrazione si può aggiungere, è sempre imperfetta e parziale, ma mai disordinata. Si tratta di un atto di profonda responsabilità critica che traccia una cartografia dei saperi locali, cioè una mappa geopolitica dei cambiamenti in corso nella realtà attuale o nella realtà oggetto di studio. Dà conto delle figurazioni, di come il sistema sociale costruisce e manipola i corpi e le identità. Le culture e i saperi delle donne hanno teorizzato a questo proposito la figura della buona lettrice e dell'interprete empatica, la cui analisi è costruita sulla relazione che si determina nel testo fra chi legge e chi ha prodotto il testo. Conclusioni: ormai non ci si può più avvicinare alla scrittura delle donne senza tener conto del fatto che: essa è spesso la costruzione di un discorso altro prodotto della cultura globale del tempo che ne ha negato lo statuto specifico; molti degli aspetti canonici che caratterizzano la scrittura sono frutto di omologazione; l'essere donna ha rappresentato per il soggetto scrivente una limitazione all'accettazione della sua produzione da parte del sistema culturale; i testi a firma femminile sono stati destinati alla fruizione bassa; l'estromissione dal sistema è il prodotto di un simbolico che nega il soggetto scrivente; la scrittura passa per il corpo e la sua materialità. Porre la differenza sessuale come centro nevralgico di una rete di differenze ha reso visibile l'invisibile, costruendo una nuova memoria, permettendo di studiare la tradizione dominante dal nostro punto di vista, costruito, definito, elaborato e conservato in luoghi importanti di produzione del pensiero e del sapere delle donne. La raccolta della produzione scritta che documenta il sapere delle donne ha così investito di effetti devastanti la stabilità di molti canoni: da quello delle modalità della ricerca a quello dei metodi possibili. Per quanti scavi, ricostruzioni storiografiche, analisi si facciano, la scrittura delle donne rimane emarginata, respinta al confine del sistema letterario. La cancellazione prosegue con la non comparazione, la non messa a confronto della produzione femminile con il modello maschile dominante: la grandezza viene ridimensionata. Ancora non si è riusciti a spazzar via completamente una serie di luoghi comuni che continuano a gravare sulla scrittura femminile, stereotipi come quelli che continuano a ritenere che le donne non abbiano prodotto opere letterarie o che si tratti di scritti di scarso valore. Le donne sono state oggetto di letteratura. Si tratta di pregiudizi che derivano dalla continuità con cui il canone letterario occidentale ha operato l’inclusione/esclusione di autori e delle opere al suo interno. Stabiliscono continuità tra contenuto e stile. La forma della lingua è misura del valore estetico, cioè quest’ultimo coincide con una qualità della lingua prodotta. Stile ed etica si legano e legano tra loro produttore e destinatario dell’opera in una dimensione empatica. Si tratta di forme e contenuti normati secondo un canone universale che non contempla le differenze. Pensiamo sia difficile negare che la riduzione della bellezza di un'opera a un fatto legato a una certa lingua e a un certo stile, la cui fruizione educa e modella gli spiriti eletti sia un dato stabile del canone occidentale. La letteratura non solo produce letteratura, ma modella un'anima. 19.. La letteratura e il digitale: rappresentazione, analisi, comunicazione: Introduzione: nell’ultimo ventennio, il campo di studi del “Digital Humanities” è divenuto un fenomeno importante nel mondo della ricerca e nel dibattito culturale. Nel rapporto tra tecnologie informatiche digitali e scienze umane, alcune aree disciplinari hanno avuto un ruolo trainante. Uno dei pilastri di questo rapporto è il dominio delle scienze letterarie. Il campo degli studi letterari ha potuto disporre molti metodi computazionali. Poiché il testo letterario ha una sua specificità, resta inteso che tali metodi non sono adottabili per la critica e la storiografia letteraria. C’è un’altra dimensione del digitale che si è intersecata col campo letterario, quella delle nuove testualità digitali. La ricerca espressiva letteraria nel XX secolo ha comunicativa, mentre fra i media vi sono i testi a stampa, il cinema, la televisione. Le tecnologie informatiche hanno reso più agile la combinazione di vari media e modalità espressive portando alla comparsa di varie forme di testualità digitale. Tra queste, “l'ipertesto” è l'unica ad avere conosciuto un'ampia diffusione da parte di scrittori. Gli ipertesti sono la prima forma di “electronic literature” o “digital fiction”, categorie che includono opere letterarie sperimentali la cui creazione è possibile solo grazie a tecnologie digitali. Tutta la letteratura è diventata in parte elettronica (ebook, Kindle, Kobo). Con questi dispositivi il concetto di "pagina" viene eliminato, sostituito da una "percentuale" o "posizione" all'interno del libro, e i lettori possono personalizzare la visualizzazione del testo secondo i propri gusti. Le opere di “electronic literature” introducono elementi sonori, visivi e interattivi che sovrastano la parola scritta. La parola scritta è l'elemento distintivo dell'espressione artistica e della narrazione letteraria. Siamo oltre l'epoca che è stata definita “parentesi Gutenberg”, cioè quell'arco di tempo in cui la stampa e la circolazione di libri era la forma principale di diffusione della cultura. Si pubblicano ancora molti libri, ma l'influenza culturale della letteratura su carta stampata è inferiore a quella di trent'anni fa. Fiabe, parabole, poesie sono forme che hanno avuto principalmente una diffusione orale, perché la maggior parte delle persone non era in grado di leggere e perché i libri erano costosi. Questo ostacolo è stato superato con la diffusione del romanzo e delle biblioteche e con l’alfabetizzazione di massa. In ogni periodo storico, sono principalmente le possibilità tecnologiche e la creatività degli autori a modificare le forme letterarie, ma anche il comportamento dei lettori ha un ruolo decisivo. Lettori in rete: ci troviamo in un'epoca in cui la cultura è convergente e partecipativa. La convergenza avviene nel modo in cui il pubblico dispone di contenuti, cercandoli su media diversi e interagendo con altre persone per trovare maggiori informazioni, interpretare ciò che ha letto o per il piacere di incontrare qualcuno con gli stessi interessi culturali. L'impatto di questo cambiamento è stato tale da sancire il ricorso a forme di protezione del diritto d'autore diverse da quelle tradizionali. Questi aspetti della cultura contemporanea incidono sul concetto di letteratura, mettendo in discussione l'asimmetria della comunicazione fra autore e lettore. Se all'autore non si può rispondere sullo stesso piano comunicativo, i lettori spostano la discussione su piattaforme online dove possono creare storie alternative che si pongono in dialogo con l'opera originale. Ciò avviene perché c'è una diversa percezione del canone letterario. Quello letterario è diventato un sapere accessibile a molte più persone. Il valore riconosciuto oggi alla letteratura è dovuto alle emozioni che un'opera è in grado di suscitare ner lettori. Sono i personaggi, l'ambientazione e gli eventi narrati a essere più rilevanti rispetto allo stile e alle strategie di scrittura. È messo in discussione anche un altro dei cardini della comunicazione letteraria: l'identità del testo, cioè la riproduzione fedele della parola scritta. Nell'universo delle opere scritte dai fan, questo tema riguarda tre aspetti: da un lato c’è il riconoscimento della necessità di rimanere fedeli alle caratteristiche che un autore ha assegnato a personaggi e ambienti; dall'altro lato è legittimo creare opere di fanfiction che modifichino questi elementi del canone. A questi due aspetti si aggiunge l'emergere di autorità alternative, cioè fan che creano innovazioni rispetto all'opera originale, le quali vanno a formare un canone dei fan, cioè “fanon”. I custodi della tradizione letteraria si chiedono quale sia il valore estetico di opere che nascono dalla tastiera di autori amatoriali, senza la mediazione di editori e critici letterari che filtrino ciò che viene immesso nel circuito dei lettori. I giudizi estetici sono frutto del contesto sociale e culturale in cui si generano. Oltre che per il valore estetico di un'opera, un discorso simile si potrebbe fare per il valore pedagogico di opere amatoriali. Le ricerche sulla ricezione della letteratura Young Adults e sulle comunità online di fan hanno messo in luce come i giovani lettori amino questo tipo di opere perché parlano di temi a loro vicini. Uno degli aspetti principali del “digital social reading” è il piacere della condivisione dell'esperienza di lettura (discussioni sui libri, gruppi di lettura, recensioni). Il digitale e i social media hanno riattualizzato le possibilità di socializzazione legate alla lettura condensando il tempo e lo spazio delle interazioni tra individui ed espandendo la loro portata.
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