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percorso d'esame di maturità "la crisi delle certezze", Appunti di Scienze Umane

percorso discorsivo d'esame di maturità su eventi che causarono una crisi delle certezze nel corso della storia. contiene: introduzione + scienze umane, letteratura, latino, fisica, scienze, inglese

Tipologia: Appunti

2022/2023

In vendita dal 01/07/2023

tataaaa_
tataaaa_ 🇮🇹

10 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica percorso d'esame di maturità "la crisi delle certezze" e più Appunti in PDF di Scienze Umane solo su Docsity! LA CRISI DELLE CERTEZZE Nel periodo compreso tra fine 800 e inizio 900 si verifica una vera e propria rivoluzione che colpisce i più diversi campi del sapere e sancisce il passaggio dall’uomo moderno all’uomo contemporaneo. Questa svolta epocale può essere definita “crisi delle certezze”, perché vengono messi in discussione tutte le certezze e i valori classici: non si crede più a un mondo necessario, alla centralità dell’uomo, all’esistenza di una verità assoluta. Decadentismo, Pirandello: “Uno, nessuno e centomila” e “Il fu Mattia Pascal” Questi anni sono gli anni del decadentismo (1885-primo decennio del 900), in cui viene radicalmente rifiutata la visione positivista che costituisce lo sfondo dell’opinione corrente. Con questo movimento si afferma, perciò, la sfiducia nella realtà concreta (al contrario del positivismo in cui l’uomo aveva grande fiducia nella realtà che veniva osservata attraverso metodi scientifici). Il “decadente” ritiene che la ragione e la scienza non possano dare la vera conoscenza della realtà, poiché l’assenza di essa è al di là delle cose, per questo solo rinunciando alla razionalità si può attingere all’ignoto, al mistero e a l’inconoscibile. In linea con la corrente del decadentismo si pone Luigi Pirandello (1867-1936). Egli maturò una chiara percezione della crisi delle ideologie ottocentesche, in particolare dell’idea della storia come progresso. Alla consapevolezza della crisi della società borghese e dell’ottimismo positivista che permetteva all’uomo conoscenza e progresso infiniti, si univa la convinzione che la realtà fosse solo un’illusione, e da qui nasce la disposizione a usare l’arte per corrodere miti e credenze, per scomporre criticamente la realtà. Nel 900 nuove teorie misero in questione l’oggettività della conoscenza scientifica su cui l’800 aveva fondato il proprio essere. Pirandello intuì la portata di queste trasformazioni e soprattutto la nuova condizione storica ed esistenziale dell’uomo moderno. Egli infatti rappresentò sulle scene l’incapacità dell’uomo di identificarsi con la propria personalità, il dramma della ricerca di una verità al di là delle convenzioni e delle apparenze. Al centro della concezione pirandelliana c’è il contrasto tra vita (ciò che siamo) e forma (ciò che sembriamo). La critica delle illusioni inoltre va di pari passo con una drastica sfiducia nella possibilità di conoscere la realtà, che si presenta a Pirandello come vita in continuo divenire (un perenne caotico flusso in movimento e trasformazione, nel quale è immerso anche l’uomo). “Uno, nessuno e centomila” è uno dei romanzi più famosi di Pirandello e tratta proprio dell’incapacità dell’uomo di identificarsi con la propria identità, tema di cui ho già parlato prima. Il protagonista è un personaggio complesso, che sembra distaccarsi da una “forma” universale per arrivare ad essere un unico individuo entro cui si costringe una maschera (“persona”) con la quale si presenta a se stesso. Non esiste però la sola forma che l’io dà a se stesso; nella società esistono anche le forme che ogni io dà a tutti gli altri. E in questa moltiplicazione l’io perde la sua individualità: da “uno”, poiché ogni persona crede di essere un individuo unico con caratteristiche particolari, diviene “centomila”, poiché l’uomo ha dietro la propria maschera tante personalità quante sono le persone che ci giudicano, ma, paradossalmente, se l’uomo ha centomila personalità diverse è come se non ne possedesse nessuna, e nel continuo cambiare non è capace di fermarsi nel suo vero “io” e quindi diviene “nessuno”. E’ proprio dalla disgregazione dell’io individuale che partono in quest'opera le vicende del protagonista: quando la moglie, per un semplice gioco, gli farà notare alcuni suoi difetti fisici che lui non aveva mai notato, primo fra tutti una leggera pendenza del naso, il protagonista si renderà conto come l’immagine che aveva sempre avuto di se non corrispondesse in realtà a quella che gli altri avevano di lui e cercherà in ogni modo di capire questo lato incessabile del suo io (pg 22). Da tale sforzo verso un obiettivo irraggiungibile nascerà la sua follia, che per Pirandello è lo strumento di contestazione per eccellenza delle forme fasulle della vita sociale; è l’arma che fa esplodere convenzioni e rituali, riducendoli all’assurdo e rivelandone l’inconsistenza. Solo il “folle”, che pure è una figura sofferenze ed emarginata, riesce talvolta a liberarsi dalla maschera, e in questo caso può avere un’esistenza autentica e vera, che resta impossibile agli altri in quanto non è fattibile denudare la maschera o le maschere, la propria identità. E’ fallimentare poi l’evasione dalla follia del protagonista: nel tentativo, infatti, di sfuggire dalle tante forme impostategli dalla società finirà per dover accettare una nuova, ennesima maschera, e scontare per essa una pesante ed immediata pena. Ma in questa sconfitta trova una sorta di vittoria, una cura dalle angosce che lo perseguitavano. Se prima la consapevolezza di non essere “nessuno” gli dava un senso di orrore e di tremenda solitudine, ora accetta di buon grado l’alienazione completa da se stesso, rifiuta ogni identità personale, arriva a rifiutare infatti il suo stesso nome, e si abbandona allo scorrere mutevole della vita, al divenire del mondo, “morendo” e “rinascendo” subito dopo, in ogni attimo, sempre nuovo e senza ricordi, senza la costrizione di alcuna maschera autoimposta, ma identificandosi in ogni cosa, in una nuova totale estraniazione dalla società e dalle forme coatte che essa impone (pg 223/224/225). La crisi dell’Io è perciò un tema molto caro a Pirandello tanto che lo ripropone anche ne “Il fu Mattia Pascal”, romanzo che narra le vicende del giovane Mattia Pascal, un uomo che vuole fuggire dal peso dei ruoli sociali convenzionali. Sentitosi prigioniero di una vita noiosa e poco appagante (lavora in una biblioteca, vive costantemente in lite con la moglie) Mattia decide di partire per iniziare una nuova vita. Arrivato a Montecarlo vince alla roulette una grande somma di denaro e, speranzoso che le cose possano migliorare, torna nella sua casa. Sulla via del ritorno, in treno, sfogliando un giornale, legge del suicidio di un uomo nel suo paese: tra stupore e sopresa scopre così che si tratta del “proprio” suicidio (il corpo trovato in putrefazione in un mulino era stato riconosciuto come il suo dalla moglie e dalla suocera). Approfittando perciò di questa occasione Mattia decide di cambiare la sua identità e, una volta per tutte, di vivere una vita libera e svincolata da ogni convenzione e prigione sociale. Cambierà così nome, da quel momento si farà chiamare Adriano Meis, e affitterà una casa a Roma. Quando si innamora della figlia del proprietario della casa scoprirà però di non poterla sposare e capisce che senza documenti non può vivere spensierato come credeva (verrà anche derubato ma non potrà denunciare il fatto). Decide allora di “morire” per la seconda volta e rinascere nuovamente come Mattia Pascal. Una volta rientrato in paese, però, scopre che la moglie si è risposata ed ha avuto dei figli con il suo amico: non c’è perciò più posto per Mattia Pascal nella sua stessa vita. Il romanzo si conclude con la decisione da parte di Mattia di scrivere un romanzo che raccontasse delle buoni contenuti, per cui un buon oratore deve avere una formazione basata su letture greche e latine. Nell’opera Quintiliano prevede tutte le fasi di preparazione per un buon oratore: innanzitutto egli deve andare a scuola e conoscere così tutte le tappe per conseguire al meglio un discorso (5 fasi dell’orazione: 1) avere in mente l’argomento del discorso, 2) trovare dei materiali utili al discorso, 3) costruire l’orazione a livello tecnico, 4) allenare la memoria a ricordare il proprio discorso, 5) saper utilizzare i gesti per attrarre interesse nell’ascoltatore), deve fare letture di autori greci e latini per arricchire i suoi contenuti e infine deve essere al servizio dello Stato, collaborando con il principe per il bene comune. Nell’Institutio Oratoria mette inoltre in evidenza la decadenza dell’oratoria che vi fu in epoca imperiale, in parte dovuta alla decadenza dei costumi ma grazie anche alla corruzione. Combatte inoltre la tendenza all’asianesimo, ovvero un tipo di orazione molto pomposa, ricca di paroloni e caratterizzata dallo sfoggio dell’erudizione che ha chi le dice. Più che mostrare i contenuti devono far vedere quanto loro siano bravi a parlare. Tutta l’opera di Quintiliano è perciò fondata sulla formazione e sull’educazione dei giovani e fondamentale per loro, come ci esplica in tutta l’opera, è l’oratoria. La capacità di saper parlare era fondamentale per condurre discorsi politici, per difendersi in tribunale e, in primis, per la propria carriera, riuscendo a convincere il proprio ascoltatore che si ha ragione. Il perfetto oratore è delineato in maniera ottimale nel testo “l’intellettuale al servizio dello Stato” in suoi svariati versi, e in altrettanti Quintiliano ci spiega come l’impegno nella politica e nella difesa del bene comune sono il fine della formazione dell’oratore. In opere come “Vantaggi e svantaggi dell’insegnamento individuale”e “Anche a casa si corrompono i costumi” Quintiliano invece spiega come non sia la scuola il fulcro della corruzione giovanile e delle cattive abitudini: a casa un solo insegnante, trovandosi da solo, potrebbe avere comportamenti immorali nei confronti del giovane. Principale però è la concezione che nel collettivo sia presente il confronto, motore di un buon apprendimento: proprio in “Vantaggi dell’insegnamento collettivo” ci spiega come esso sia sicuramente uno strumento utile per abbattere la timidezza (l’oratore deve parlare in pubblico, per cui non può essere timido), come sia utile per non far credere al ragazzo di aver sempre ragione (lo scontro è utile per confrontarsi con altre ideologie, ma anche per migliorare risolvendo problemi), ma anche per migliorare sempre di più poiché vedere persone più brave di noi ci porta a fare di più. Delinea all’interno dell’educazione anche momenti di svago, lo ritroviamo nel testo “l’importanza della ricreazione”, fatti di giochi utili comunque all'apprendimento. Nello studio c’è sempre bisogno di una pausa poiché la mente non può essere concentrata per un lungo periodo (prendersi una pausa significa perciò riposare la mente per essere pronti a fare meglio dopo). All’interno della ricreazione, come dicevo, possono comunque essere fatti giochi intelligenti che sviluppano le capacità intellettive, ma comunque devono avere come primo scopo lo svago. Traccia inoltre la figura del maestro ideale. Egli deve fare le stesse cose che un padre fa nei riguardi dei propri figli, non deve avere vizi né tantomeno favorire quello degli altri. Non deve essere troppo severo né troppo blando e non deve compiere punizioni corporali. Il suo linguaggio dovrà essere semplice ma efficace e deve essere costante nell’insegnamento. Il suo giudizio, inoltre, deve essere giusto e nei rimproveri non deve usare parole sconvenienti. Per Quintiliano il perfetti maestro deve essere sia amato che temuto dai suoi studenti. (tutti testi contenuti in Institutio Oratoria). Con tutta la sua opera Quintiliano va quindi contro l’istruzione e l’educazione tradizionale romana, creando se vogliamo una vera e propria crisi delle certezze. L’educazione nell’antica Roma era a pieno carico della famiglia, in particolare del padre che provvedeva a impartire direttamente ai figli precetti di comportamento conformi al mos maiorum. Le famiglie più ricche poi potevano permettersi di assumere uno schiavo, detto litterator, che svolgeva la funzione di maestro di lingua. Solo successivamente si sviluppò l’insegnamento pubblico rivolto a tutti coloro che non avevano precettori in casa, ma non era comunque totalizzante poiché rimaneva privata e a pagamento. A partire dal I secolo a.C. vi furono interventi da parte dello Stato che, in età imperiale, iniziò a istituire strutture scolastiche gratuite. J. Joyce, “Dubliners” James Joyce can be considered one of the founding fathers of the 20th century novel. “Dubliners” was Joyce's first work. It is a collection of fifteen short stories published in 1914, in which the author criticizes the citizens of Dublin. In the gray and sad scenario of Dublin, the daily events of ordinary people take place. The inhabitants of this city live in squalor, prisoners of a life devoid of authentic feelings, prisoners of their doubts and their uncertainties. The characters are still unable to build themselves and decide their own tormented life. Everything that is external to one's daily life remains unrealizable. Let's take Eveline as an example: she is a young woman unable to accept the challenge of leaving and moving away from Dublin. Joyce, with his techniques of interior monologue and free indirect speech, presents a girl who actually wants to escape from her everyday life, but will end up paralyzed in it. In the first part of Joyce's story, thanks to the interior monologue, Eveline's thought flows freely and remembers her violent father, her brothers, her missing mother and the promise made to her, and she thinks that maybe it's time to get away from home to live a new life. The final part of the story, on the other hand, is faster and sees Eveline paralyzed on deck before embarking, a prisoner of herself. The dream of escape therefore fails and the girl will find herself, again, a prisoner of her monotonous life. The element of paralysis is very important to Joyce. It is both physical, resulting from external forces, and moral, linked to religion, politics and culture. However, the main theme of Dubliners is the failure to find a way out of this paralysis. In addition to paralysis, Joyce also develops the technique of epiphany. An epiphany is the sudden spiritual manifestation caused by a trivial gesture, an external object or a banal situation, which leads the characters to a sudden revelation about themselves or about the reality surrounding them. “Dubliners” can be seen as a sequence of multiple epiphanies. Teoria della deriva dei continenti Nel corso della storia delle scienze della Terra molte sono state le ipotesi che i vari studiosi hanno formulato per spiegare l’origine delle montagne, dei bacini oceanici, del magma dei vulcani, dei terremoti. Oggi pensiamo alla crosta terrestre come ad una struttura dinamica, soggetta a forze che, agendo in tempi lunghissimi, hanno mutato la fisionomia e la posizione di correnti e oceani. Questa idea però si è imposta lentamente a partire dall’inizio del nostro secolo, scardinando i modelli passati (che vedevano la crosta terrestre una struttura statica, nella quale i continenti e gli oceani occupavano da sempre la medesima posizione) e creando, se vogliamo, una crisi delle certezze. Nella seconda metà dell’800, perciò, cominciò ad affermarsi l’idea che le grandi masse continentali possono muoversi: questa viene chiamata teoria della deriva dei continenti. Tale teoria fu introdotta da Wegener nel 1915 e ci dice che anticamente esisteva un unico supercontinente, chiamato pangea, circondato da una grande oceano detto panthalassa. In seguito i continenti si sono allontanati comportandosi come zattere in grado di muoversi sul materiale sottostante. A sostegno della sua teoria Wegener raccolse dati in diversi ambiti disciplinari: - innanzitutto raccolse prove geografiche in cui scoprì che i margini di crosta del continente sud americano e africano coincidono; - successivamente raccolse prove geologiche in cui notò la somiglianza del tipo e della morfologia delle rocce dei monti del Canada e del Nord America con quelle delle catene montuose del Nord Europa, della Gran Bretagna e dell’Africa; - le terze sono prove paleoclimatiche, che vedono il posizionamento geografico di alcune rocce inconciliabile con il clima caratteristico delle aree di ritrovamento; - la quarta ed ultima prova è di tipo paleontologica e vede la scoperta di alcuni fossili appartenenti al rettile del genere Mesosaurus e della pianta del genere Glossopteris sia sulle coste sudamericane che africane. L’esperimento di Oersted Coulomb alla fine del 700 identifica l’interazione tra cariche elettriche come un’interazione a distanza, analoga all’interazione newtoniana tra masse. Per Coulomb inoltre elettricità e magnetismo erano due stati fisici non collegati tra loro. Le convenzioni di Coulomb furono messe però in crisi dall’esperimento di Oersted in cui un ago magnetico, posto vicino a un filo percorso da corrente, non viene attratto o respinto, ma ruota. L’esperimento di Oersted ovviamente gettò scompiglio nel mondo scientifico e si cercò di darne spiegazione nei modi più differenti: - Ampere, per esempio, suppone che nella materia ci siano delle correnti elementari e spiega il fenomeno con forze di attrazione e repulsione di tipo centrale. Egli notò infatti che quando due fili paralleli sono attraversati da una corrente elettrica, tra di essi si sviluppa una forza. In particolare quando le correnti scorrono nello stesso verso la forza è attrattiva, mentre quando le correnti si muovono in versi opposti essa è repulsiva. Il fatto è che ciascuno dei fili produce un campo magnetico in tutto
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