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Percorso sulla rivoluzione spazio temporale nella letteratura italiana dalla fine del XVIII secolo., Guide, Progetti e Ricerche di Italiano

Descrizione del concetto di spazio e tempo nel XVIII-XIX secolo attraverso l'analisi di opere della letteratura italiana.

Tipologia: Guide, Progetti e Ricerche

2019/2020

Caricato il 21/10/2020

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Scarica Percorso sulla rivoluzione spazio temporale nella letteratura italiana dalla fine del XVIII secolo. e più Guide, Progetti e Ricerche in PDF di Italiano solo su Docsity! RIVOLUZIONE SPAZIO TEMPORALE IL RAPPORTO TRA SPAZIO E TEMPO NELLA LETTERATURA ITALIANA DEL TARDO OTTOCENTO E PRIMO NOVECENTO “Nella teoria della relatività non esiste un unico tempo assoluto, ma ogni singolo individuo ha una propria personale misura del tempo, che dipende da dove si trova e da come si sta muovendo.” S. Hawking Aurora Lucia 1 L’interesse sulla nuova concezione dello spazio-tempo del Novecento nasce dalla osservazione di come il tempo e lo spazio abbiano un’oggettività indiscutibile e allo stesso tempo siano oggetti a svariate interpretazioni individuali in ogni campo: scientifico, filosofico, letterario e artistico. Specialmente nel Novecento si fa vivo il dualismo interpretativo che permette di considerare tempo e spazio in modo oggettivo o del tutto personale. La nuova concezione della fisica moderna, con la teoria della relatività di Albert Einstein, considera il tempo come variabile connessa allo spazio sia che essa si presenti come dimensione della coscienza, sia come variabile relativa allo spazio e il tempo acquista una genericità che lo scrittore o l’artista colgono in chiave soggettiva, mostrando il trascorrere del tempo come vissuto psicologico dei propri personaggi e quindi non in chiave cronologica ma psicoanalitica. L’interesse sul tema spazio-tempo fu espresso, ancor prima di Einstein, da Immanuel Kant. Difatti nella prima parte della Critica della Ragion Pura, Kant studia i principi a priori della sensibilità, vale a dire lo spazio e il tempo. Il filosofo si muove su un piano trascendentale, vale a dire quello dell’indagine non sull’oggetto ma sul modo del tutto personale di conoscerlo e quindi una conoscenza soggettiva. La problematica viene affrontata partendo dall’analisi della nostra capacità di conoscere i sensi: la sensibilità, che ha come caratteristiche basilari la passività e la recettività. La “letteratura contemporanea e non” è sempre stata sensibile alla rappresentazione dello spazio e del tempo e al rapporto tra questi nelle trasposizioni della realtà su carta che non sono altro che le 4 vv. 8-13: Il minimo evento dello "stormir tra queste piante" segna il passaggio dall'immaginazione spaziale a quella temporale. Il poeta instaura una contrapposizione tra concreto e presente, e spazio e tempo immaginati dal pensiero. vv. 13-15: Il pensiero si smarrisce generando piacere. In questi versi Leopardi concentra una profonda esperienza interiore, trasportandoci in un viaggio tra ciò che è delimitato, "finito", umanamente sperimentabile, e ciò che va oltre le possibilità dei nostri sensi ed è raggiungibile solo nell'immaginazione. Noi uomini, infatti, siamo una piccolissima cosa rispetto all'Universo, la nostra vita occupa una frazione infinitesimale del suo tempo, e solo con un grande sforzo di immaginazione possiamo figurarci uno spazio e un tempo senza fine. Nell'Infinito, il poeta dice (o immagina) di trovarsi in un luogo preciso, che ama e frequenta abitualmente: un colle solitario, tradizionalmente identificato nel monte Tabor, che domina sulle campagne sopra Recanati. Solo, in cima al colle, in uno spazio circoscritto e delimitato da una siepe, il poeta siede e guarda, ma non riesce a vedere: proprio questo fa scattare il meccanismo immaginativo. Si tratta di un'esperienza paradossale: non è la possibilità di vedere dall'alto ampi spazi, ma l'ostacolo alla vista, l'esperienza dei limiti umani, a suggerire l'idea dell'infinito. Annota infatti Leopardi nello Zibaldone (28 luglio 1820): L'anima immagina quello che non vede, che quell'albero, quella siepe, quella torre gli nasconde, e va errando in uno spazio immaginario, e si figura cose che non potrebbe, se la sua vista si estendesse da per tutto, perché il reale escluderebbe l'immaginario. Agli spazi senza fine si associano immediatamente sovrumani silenzi e profondissima quiete, che producono un sentimento di paura, di sgomento. Leopardi ama il silenzio e la quiete di quel 5 luogo, che gli permettono di meditare e fantasticare. Ma, proiettati in uno spazio sterminato, il silenzio e la quiete diventano quasi insopportabili, poiché si oppongono implicitamente all'idea di vita, che è fatta di suoni, di rumori, di movimento. Poi, qualcosa strappa il poeta alle sue immaginazioni: una realtà concreta ma effimera come il vento interrompe i suoi pensieri, ma contemporaneamente li rilancia in direzione di un approfondimento del problema. Il poeta viene riportato al qui e ora, ma la voce del vento tra le piante suggerisce immediatamente un confronto con quell’infinito silenzio, e la mente si tuffa negli abissi del tempo, quasi cercando di misurare le inconcepibili dimensioni dell'eterno attraverso il confronto tra l'interminabile fila delle stagioni passate (morte) e quella presente (viva), di cui si sente il suono. L'immaginazione permette di collocare l'io che vive qui e ora nell'infinità del tempo e dello spazio. Ne deriva una sensazione di annegare, di naufragare nel mare dell'immensità. Ma allo sgomento ora si sostituisce, o si aggiunge, paradossalmente, un sentimento di dolcezza, che non viene spiegato, ma comunicato, attraverso le parole vaghe e indeterminate del testo e i loro suoni. Tra reale e immaginario, spazio e tempo, finito e infinito ci sono relazioni complesse, che risultano particolarmente evidenti sul piano lessicale. Notiamo come la poesia si apra e si chiude con parole di apprezzamento, di piacere (sempre caro - m'è dolce) e con riferimenti a luoghi, concreti (il colle, la siepe) oppure astratti o metaforici (l'immensità, il mare), accompagnati da aggettivi dimostrativi (questo, questa) che sottolineano la vicinanza fisica o psicologica. In tutta la lirica è evidente il contrasto tra i termini concreti e molto comuni del finito e i termini più astratti dell'infinito, accompagnati da aggettivi che ne intensificano il significato. Ma sono ancora più significativi i collegamenti e gli intrecci tra questi due campi: dati 6 concreti, come gli ampi spazi nascosti dalla siepe o la quiete e il silenzio del colle, si collegano a interminati spazi, sovrumani silenzi, profondissima quiete dell'infinito immaginato, mentre il suono del vento si oppone a quello infinito silenzio, e al sentimento del presente e della vita che quel suono suscita si contrappongono il sentimento dell'eterno e della lunghezza incommensurabile del tempo trascorso, delle morte stagioni. Dal punto di vista formale, la poesia ha un'architettura speculare: è divisa in due parti uguali, di sette versi e mezzo, che corrispondono alle due esperienze dell'infinito spaziale e dell'infinito temporale; ai due estremi troviamo gli unici versi sintatticamente conclusi; le due serie di termini riguardanti lo spazio e il tempo sono disposte e graduate in modo opposto. Ma altri segni indicano la continuità di un percorso, come la frequenza di congiunzioni coordinanti, o la sinalefe al centro del verso 8 (...spaura. E come il vento...), che contrasta la separazione segnata dal punto. Osserviamo inoltre la frequenza degli enjambements: è come se la sintassi premesse continuamente contro i confini della metrica, spingesse ad andare oltre, come fa il pensiero alla ricerca dell'infinito. Giosue Carducci, interprete della sensibilità, del gusto poetico, della visione della vita del suo tempo, lui stesso si definì "scudiero dei classici", nei suoi versi, soprattutto nella raccolta “Odi barbare”, cercò di ridurre il sistema metrico della lirica antica, applicandolo alla lingua italiana contemporanea, che egli definiva "barbara", ossia poco raffinata. Egli è quindi da considerarsi uno "sperimentatore che gioca con la lingua" per ottenere risultati artistici diversi. Per Carducci, però, la poesia deve anche esprimere un impegno civile: il poeta è il migliore mediatore tra il passato e la società contemporanea e ha il compito di trasmettere i valori, 9 Malavoglia (Alessi), dall’altra registra uno strappo, il viaggio verso l’ignoto e il tempo della storia di ‘Ntoni (cfr. «L’addio di ‘Ntoni»). Il tempo storico infatti non scompare, ma entra nel racconto fin dal primo capitolo con l’inizio degli eventi che colpiscono la famiglia Malavoglia tra il 1865 e il 1878. La storia nazionale (la leva, le tasse, Lissa), i segni del progresso hanno effetti sconvolgenti sull’immobilità ripetitiva dell’arcaica vita dei pescatori. Le difficoltà economiche della famiglia Malavoglia cominciano proprio con la partenza di ‘Ntoni per il servizio militare; da qui il negozio dei lupini e il naufragio. La morte di Luca nella battaglia di Lissa segna l’ulteriore degradazione della famiglia. Il viaggio di ‘Ntoni nel mondo moderno del Continente mette inoltre in crisi radicale il sistema di valori del nonno. L’intervento della storia provoca la distruzione della società patriarcale. Non esiste possibilità di comunicazione e di mediazione tra i due mondi. Al conflitto tra tempo del progresso e tempo della natura corrisponde il diverso modularsi del rapporto tra tempo della storia e tempo del racconto nei quindici capitoli del romanzo. Il tempo della storia si va dilatando sempre di più, mentre si concentra quello del racconto. Non a caso, nella prima parte, al centro della narrazione è il personaggio di padron ‘Ntoni, che rappresenta la legge patriarcale del lavoro e dell’onore, mentre nella seconda protagonista diventa il giovane ‘Ntoni che contrappone al nonno la legge "moderna" del progresso e della ricchezza. L’opposizione si riflette anche nei tempi verbali. Alla prevalenza dell’imperfetto, il tempo della coralità, della ripetizione ciclica della natura (il mare che ripete sempre la solita storia) subentra il passato remoto, che scandisce il dramma storico di ‘Ntoni; il passato remoto introduce sullo sfondo del paese il tempo della storia, della 10 separazione delle antiche radici, che simboleggia l’addio a un’intera civiltà. L’opposizione tra tempo della natura e tempo della storia rimanda a quella tra spazio del paese e spazio della città. L’universo di Aci Trezza è chiuso in sé stesso, privo di rapporti con il macrocosmo nazionale. La regressione dell’autore nell’ottica del narratore popolare pone in primo piano, in tutto il romanzo, lo spazio astorico della società rurale. Esso è mostrato come luogo sociale, in tutte le articolazioni in cui si svolge la vita collettiva, nella piazza, all’osteria, al lavatoio, sul sagrato, nelle botteghe. Manca tuttavia una rappresentazione realistica del villaggio: non ci sono strade, le case sono sempre viste dall’esterno, anche la casa del nespolo. Al tempo etnologico risponde uno spazio idealizzato, che riflette la nostalgia di un mondo di sereno raccoglimento opposto alle passioni turbinose della vita cittadina. Questa unione tra indeterminatezza favolistica del tempo e dello spazio e precisione geografica caratterizza il romanzo fin dall’inizio. Oltre i confini paesani c’è il mondo esterno, l’ignoto pieno di minacce e di pericoli. A Riposto ci si imbarca per non tornare più. Catania, Napoli, Trieste rappresentano un altro mondo, diverso, immenso, che costituisce il luogo del vagabondaggio e della perdizione. Lo spazio esterno della città, tuttavia, è fonte non solo di pericolo, ma anche di fascino: la città appare a ‘Ntoni lo spazio del consumo, del lusso, del benessere. È luogo di un’emigrazione giovanile in cerca di fortuna. L’esperienza dello spazio esterno mette in crisi nel giovane la morale patriarcale del lavoro e del sacrificio, maturando in lui l’inquietudine e la rivolta. Ciò scardina l’immobilità della tradizione e la stabilità della famiglia. Lo spazio del paese è pure ambivalente. Appare nido protettivo per padron ‘Ntoni, Mena, compare Alfio, spazio mitico nel ricordo 11 nostalgico di ‘Ntoni, quando deve lasciarlo. In realtà non è uno spazio idillico, un rifugio sicuro dalle insidie del mondo esterno. Esso stesso è attraversato dalla lotta per la vita, dall’egoismo e dalle passioni feroci che caratterizzano ovunque l’esistenza dell’uomo. Questo spazio del paese non costituisce un’unità organica, ma contiene in sé un’altra opposizione, quella tra il paese e lfa casa del nespolo, unico spazio positivo, idillico e familiare, che fa da argine alla violenza del mondo esterno. Tuttavia il tempo del progresso procede come una fiumana, sconvolgendo i vecchi assetti: la famiglia patriarcale, pure unita come un pugno chiuso, entra in crisi. La storia di ‘Ntoni e la partenza dal paese (come la fuga di Lia) segnano l’irrompere del tempo moderno nella società premoderna: si tratta di un trauma, di una rottura irrisarcibile che decreta la fine del romanzo idillico e familiare e rivela la coscienza verghiana della crisi storica della famiglia. D’altra parte Alessi ricostituisce la casa del nespolo e il romanzo si chiude con una perfetta circolarità: passato e futuro, natura e storia, spazio chiuso e aperto, unità e disgregazione coesistono nel finale, la cui struggente nostalgia non lascia dubbi sul futuro destino della vecchia società patriarcale. A differenza dei Malavoglia, dove domina il ritmo lento e circolare della natura, il tempo del Mastro-don Gesualdo è quello lineare e veloce del lavoro, della produzione e degli affari. Prevale il passato remoto, il tempo dell’azione puntuale, della successione rapida degli eventi. L'inizio del romanzo segna, in modo esemplare, l'irruzione di questo tempo concitato e incalzante, che sconvolge i consueti ritmi paesani. Agli imperfetti della ripetizione si alternano i passati remoti: alla consueta campana di San Giovanni che subentra la campanella squillante di Sant'Agata e la scena si anima di un movimento drammatico. Così dall'incendio del Palazzo Trao, 14 alla sua “sorte maledetta”. Perciò anche gli spazi interni (la casa, la famiglia. il palazzo di Palermo) sono privi di intimità: in essi dominano il senso di una angosciosa estraneità, il conflitto e la morte. Lo spazio assume una connotazione lirico-simbolica, non più idillica, ma drammatica nella Lupa. Un paesaggio di fuoco fa da sfondo alla passione della Lupa. La donna, anch’essa isolata dalla società, vive in rapporto simbolico con la natura. La solitudine e la febbre d’amore della Lupa si identificano con il paesaggio aspro e bruciato. Il rosso delle labbra e dei papaveri, l’immensità della campagna assolata sottolineano il tratto psicologico dominante del personaggio, una sensualità panica in cui la violenta pulsione erotica si integra perfettamente con la natura selvaggia dei luoghi. Anche il tempo è imprecisato e cadenzato dal ritmo delle stagioni e dei lavori agricoli: è il tempo della natura tipico della società arcaica. L’ astoricità del personaggio, immerso in una natura dal simbolismo erotico fortemente allusivo, conferisce alla Lupa la dimensione di un archetipo, l’incarnazione della passione fatale, distruttiva e autodistruttiva. In Rosso Malpelo lo spazio e il tempo assumono i caratteri di un paesaggio demoniaco. Le determinazioni temporali sono sempre vaghe: non è nemmeno definita la durata della storia. Come nella Lupa, domina l’imperfetto, il tempo della ripetizione, il tempo della storia risulta lineare e unidimensionale come quello del discorso e conferisce alla novella, pur nell’ asprezza realistica, il carattere di un racconto esemplare. Lo spazio è organizzato sull’ opposizione tenebre-luce, sottoterra-aria aperta, cava-cielo. Da una parte la miniera, il buio, l’intricato labirinto delle gallerie, in cui muoiono schiacciati e smarriti tanti minatori; dall’ altra il mare turchino e l’azzurro del cielo. Ma la visione idillica e solare della natura è appena squarcio, opposto a quello della miniera. I colori che dominano lo spazio in cui si muove Malpelo, 15 anche fuori dalla cava, sono il nero della lava e il buio della notte. I suoi animali preferiti sono civette e pipistrelli. Non c’è alternativa alla cava: l’ambiente di Malpelo è un ambiente di morte. Il paesaggio evoca l’inferno: rena, roccia, picchi e burroni senza un segno di vita, se non il rumore delle percosse. La miniera è simbolo del labirinto, dello smarrimento nelle viscere delle terra, ma anche della prigione, da cui non si può evadere che con la morte. Malpelo si identifica totalmente nel mondo sotterraneo fino alla scelta volontaria dell’annientamento in quel buco nero. Nella Roba, coerentemente al nuovo clima delle Novelle rusticane, lo spazio, se conserva ancora una valenza mitico-simbolica, tende tuttavia a trasformarsi in un paesaggio agrario realisticamente e storicamente connotato. Esso registra il mutamento dei rapporti di proprietà in corso nel secondo Ottocento e il passaggio dal latifondo nobiliare all’ azienda borghese. Nel lungo esordio la campagna, rappresenta sotto il segno della produttività e dell’opulenza, è insieme avvolta in un’atmosfera epico-leggendaria e diventa l’emblema del suo proprietario. La natura e il personaggio si identificano e Mazzarò diventa il centro di un paesaggio di cui egli è padrone e che egli trasforma in roba. Sulla natura si proiettano la tensione eroica del protagonista verso l’accumulazione capitalistica e la sua fame illimitata di terra. Il paesaggio originario è scomparso per lasciar posto a una seconda natura gremita di strumenti, di animali, di persone. Oppure il paesaggio è teatro dell’energia infaticabile e del sogno di potenza creatrici di Mazzarò. Perciò la morte non rappresenta un naturale ricongiungimento alla terra, ma una drammatica separazione dalla terra e dalla roba in cui Mazzarò si è alienato. La perdita della roba è la perdita totale di sé e del senso che Mazzarò aveva creduto di dare alla vita. 16 Gli ultimi decenni dell'800 sono contrassegnati in tutta Europa dalla crisi degli ideali borghesi. La convinzione di un progresso senza fine e la fiducia nella tecnica che avevano portato la borghesia al potere, cominciano a vacillare: scrittori e poeti si sentono sempre più estranei ad un mondo in cui la legge dominante è quella del guadagno. Con questo ideale che verrà polemicamente definito “decadentismo” dalla critica, i protagonisti dei romanzi sono uomini comuni la cui interiorità è posta al centro, al contrario dell’estetismo che aveva come soggetti privilegiati gli uomini borghesi. L’atteggiamento tipico dell’intellettuale di questo periodo è certamente quello della fuga dalla realtà che sembra sempre troppo limitata per i cosiddetti “poeti maledetti”. Il decadente si lascia inghiottire dal vortice tenebroso, distruggendo ogni legame razionale: solo un abbandono totale può garantire l'esperienza del contatto con l'assoluto, la mente deve essere libera dai canoni scientifico-razionali. È da qui che nasce il privilegio per tutti quegli stati abnormi: la malattia, la follia, la nevrosi, il delirio, il sogno, l'incubo, l'allucinazione; tutti stati d'animo che si possono ottenere anche artificialmente con l'uso di alcool, assenzio o droghe in generale. È proprio in ambito romantico-decadente che affonda le sue radici "il culto della droga" e delle sostanze stupefacenti in generale: ogni sostanza in grado di liberare la mente e di farle raggiungere l'assoluto è vista in maniera positiva, non è la ragione o la scienza che può comprendere il mondo, ma altri sono i mezzi: il decadente è alla ricerca dell'estasi mentale che lo unisca al Tutto, l'uomo cerca un mezzo che amplifichi le sue facoltà e gli permetta di entrare in contatto con l'assoluto. «Bisogna essere sempre ebbri». Incipit lapidario di uno dei Poemetti in prosa di Baudelaire: «Di vino, di poesia o di virtù, a modo vostro. Ma inebriatevi». Così Baudelaire si darà all’hashish e 19 dell’universo. Al centro della terra è conficcato Lucifero, nell’Empireo sta la sede di Dio. Poiché la struttura fisica del cosmo riflette un ordine morale e religioso, ogni aspetto della natura acquista un significato simbolico e l’astronomia è strettamente legata alla teologia. Lo spazio della Commedia è uno spazio “moralizzato”: la terra, il Purgatorio e il Paradiso rappresentano una gerarchia di valori morali perché corrispondono a diversi gradi di vicinanza a Dio. Lo spazio fisico e metafisico si corrispondono. Persino l’Empireo, il non-spazio per eccellenza riflette la costruzione spaziale dei cieli. L’asse “alto-basso” organizza tutto il senso architettonico della Commedia. Nella selva Dante cerca di raggiungere direttamente, secondo un percorso terrestre, orizzontale, il colle illuminato, ma tre fiere gli sbarrano il cammino. Il viaggio verso la verità e salvezza sarà un viaggio per “loco etterno”, un viaggio che richiede la discesa verso il basso, l’Inferno, per poi risalire alle “beate genti”. Qui la storia si incrocia con l’eternità. Nella divina commedia il tempo è un elemento di particolare importanza nella struttura e nel significato del poema. I regni ultraterreni sono inseriti nella prospettiva dell'eternità’: eterna è la durata dell’Inferno e del Paradiso, mentre solo il Purgatorio è una condizione transitoria in quanto è inserito nel tempo. Questo non vuol dire che l'elemento temporale sia assente dal poema, ma che esiste il tempo soggettivo, cioè quello del pellegrino che compie il viaggio; quest’ultimo si svolge nell'anno del 1300.La durata del viaggio complessivo è di circa sette giorni, inizierà' l'8 aprile e si concluderà il 14 dello stesso mese; queste indicazioni cronologiche da un lato conferiscono valore di realtà concreta alla finzione poetica del viaggio, dall’altro lo caricano di valori simbolici per esempio la corrispondenza fra la nascita della natura in primavera e la rinascita dello spirito, oppure quella fra la metà' della vita di Dante e la sua personale rinascita interiore. In questa struttura 20 centrale del tempo si inseriscono i racconti degli innumerevoli personaggi, i quali, rievocando le proprie vicende terrene consentono il continuo riferimento al tempo della storia, per lo più' alla storia contemporanea del poeta. Per l'uomo medioevale e, quindi, anche per Dante, l'eterno rappresenta il compimento definitivo di ciò' che è provvisorio nella realtà umana. Pertanto la storia, vista dalla prospettiva eterna rivela il suo vero e profondo significato. Il viaggio di Dante-personaggio introduce una traccia temporale nell’ordine atemporale dei tre regni dell’oltretomba. Il tempo del viaggio, sette giorni, è scandito su ricorrenze religiose fortemente simboliche, il dramma della morte e della resurrezione di Cristo. Esso inizia la sera del venerdì santo, all’alba della domenica di Pasqua i due pellegrini tornano “a riveder le stelle” e cominciano l’ascesa della montagna del Purgatorio. Qui tutti i segni, la luce, le stelle, la marina indicano un rinnovamento di vita, un senso di benessere che è insieme fisico e spirituale. Anche il movimento di Dante, che, in quanto corpo, implica, uno spazio materiale e un tempo cronologico, assume sempre il significato di un’allegoria morale. Tutta la Commedia riflette il mondo terreno, nella sua individuazione storica, cioè secondo un’ottica che trascende lo spazio del mutamento e della storia. Le anime, fissate per sempre in un gesto estremo, rivivono intensamente nel ricordo la loro durata terrena, di cui svelano la più intima essenza. E la memoria assume una funzione diversa nei tre regni. Nell’Inferno il ricordo, che fissa a un solo istante, significativo e fatale, il tormento dei dannati, trasmette un’immagine d’uomo deformata dal peccato. Questa umanità rovesciata presenta le più orrende mutilazioni fisiche e morali, dai suicidi incarnate in corpi vegetali, alle animalesche metamorfosi dei ladri, a corpi gonfi e deformi degli usurai, al cannibalismo del Conte Ugolino. Lo spazio dell’Inferno è una voragine fisica, un abisso nella materia, ma insieme è penetrato 21 dalla volontà e dalla giustizia divina. Uno spazio senza “mutamento” dove domina l’immobilità e il movimento è ripetitivo e ossessivo. I gironi più che paesaggi sono architetture, prive di riferimenti. Lo scenario, anche all’interno di uno stesso cerchio, cambia all’improvviso, con salti bruschi di prospettiva. In tutto l’Inferno, lo spazio ha un carattere simbolico morale, rende visibile nella pena (secondo la legge del contrappasso) la natura della colpa, svela l’anima del peccatore e ne blocca l’immagine nel sentimento malvagio che ha caratterizzato la sua vita. Il Purgatorio è un mondo diverso, un luogo intermedio tra la terra e il paradiso assomiglia alla terra perché anch’esso è transitorio, scomparirà con questa nel giorno del giudizio. È l’unico dei tre regni immerso nel tempo, un tempo segnato naturalisticamente dall’alternarsi dei giorni e delle notti (quattro albe e tre tramonti). Il paesaggio del primo canto, pur intriso di significati allegorici, è un paesaggio naturale e familiare a occhi terrestri. Nel Purgatorio si reintroduce il movimento. Le anime e spiano diversi peccati, passando da un girone all’altro, compiono un percorso di purificazione. Hanno ancora un legame emotivo con la terra, come testimonia la musica di Casella. La memoria del passato, a differenza dell’Inferno, diventa uno stimolo a bene operare (si ricordi Manfredi). Dante personaggio da semplice spettatore diventa partecipe della condizione delle anime purganti e vive in prima persona il processo di purificazione. Nel Paradiso culmina il moto di ascesa verso l’alto dell’intero universo e del viaggio di Dante. L’ordine universale è conseguenza di due tendenze: l’espansione della potenza di Dio verso il basso, che penetra con la sua luce in ogni parte del creato, e la tensione del desiderio di Dio che spinge le creature verso l’alto. Il regno della perfezione e dell’eternità è rappresentato da Dante ancora in termini fisici. Il visone dello spazio paradisiaco e l’ascesa del poeta nei cieli sono espressi attraverso la luce e la musica. La luce non è solo un
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