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PERSONAGGI DEL GATTOPARDO, Dispense di Letteratura Italiana

Analisi sui vari personaggi del Gattopardo

Tipologia: Dispense

2017/2018

Caricato il 19/06/2018

alessandro-piparo
alessandro-piparo 🇮🇹

4.2

(24)

7 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica PERSONAGGI DEL GATTOPARDO e più Dispense in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! PERSONAGGI GATTOPARDO 1. BENDICO’ Sapete qual è la chiave del "Gattopardo"? Il cane Bendicò. Lo dice l'autore del capolavoro, Giuseppe Tomasi di Lampedusa, in una lettera inedita, inviata dallo scrittore il 30 maggio del 1957 al suo amico, il barone Enrico Merlo di Tagliavia. La lettera che riemerge dalla memoria per svelare alcuni degli ultimi segreti legati al romanzo è stata resa nota, in margine alla recente inaugurazione del «Parco letterario Giuseppe Tomasi di Lampedusa» a Santa Margherita Belice, dal direttore scientifico del Parco Gioacchino Lanza, figlio adottivo dello scrittore. I luoghi del romanzo, ma anche i riferimenti storici, l'identità dei personaggi e le loro abitudini, la descrizione fisica e quella dell'anima. Su questi elementi del «Gattopardo» gli storici hanno scritto fiumi di parole, per ricostruire le parentele, indicare le date, far combaciare le cronache del tempo. Ora c'è questa lettera. «È la lettera che Giuseppe Tomasi di Lampedusa mandò all'amico prima di partire per Roma per sottoporsi a una cura di cobaltoterapia», spiega Gioacchino Lanza. «Enrico Merlo era un suo carissimo amico, consigliere della Corte dei conti e assiduo frequentatore, come lui, del Caffè Caflish, dove lo scrittore era solito incontrare altri intellettuali, come lo storico Virgilio Titone e il professore Gaetano Falzone. La lettera è un'ulteriore conferma di come la sua ispirazione fantastica abbia trovato linfa vitale nell'accostamento di molteplici riferimenti tratta dalla realtà. La vera novità della lettera riguarda però l'identità morale di Tancredi, e i collegamenti che lo scrittore ha istituito con le figure di Francesco Scalea, ministro della guerra, e il figlio di questi, Pietro, ministro delle colonie». Ecco il testo integrale della lettera, che sarà esposta ad aprile al palazzo ducale di Palma di Montechiaro, in occasione della mostra di oggetti dello scrittore. N.H. Il barone Enrico Merlo di Tagliavia S.M. 30 maggio 1957 Caro Enrico, nella busta di pelle troverai il dattiloscritto del «Gattopardo». Ti prego di averne cura perché è la sola copia che io possegga. Ti prego anche di leggerlo con cura perché ogni parola è stata pesata e molte cose non sono dette chiaramente ma solo accennate. Mi sembra che presenti un certo interesse perché mostra un nobile siciliano in un momento di crisi (che non è detto sia soltanto quella del 1860), come egli vi reagisca e come vada accentuandosi il decadimento della famiglia sino al quasi totale disfacimento; tutto questo però visto dal di dentro, con una certa compartecipazione dell'autore e senza nessun astio, come si trova invece nei «Viceré». È superfluo dirti che il «principe di Salina» è il principe di Lampedusa, Giulio Fabrizio mio bisnonno; ogni cosa è reale: la statura, la matematica, la falsa violenza, lo scetticismo, la moglie, la madre tedesca, il rifiuto di essere senatore. Padre Pirrone è anche lui autentico anche nel nome. Credo aver fatto tutti e due più intelligenti di quel che veramente fossero. Tancredi è fisicamente e come maniere, Giò; moralmente una mistura del senatore Scalea e di Pietro, suo figlio. Angelica non so chi sia, ma ricorda che Sedàra, come nome, rassomiglia molto a «Favara». Donnafugata come paese è Palma; come palazzo è Santa Margherita. Tengo molto agli ultimi due capitoli: La morte di don Fabrizio che è sempre stato solo benché avesse moglie e sette figli; la questione delle reliquie che mette il suggello su tutto è assolutamente autentica e vista da me stesso. La Sicilia è quella che è; del 1860, di prima e di sempre. Credo che il tutto non sia privo di una sua malinconia poeticità. Io parto oggi; non so quando ritornerò; se vorrai scrivermi potrai indirizzare: Presso signora Biancheri Via S. Martino della Battaglia 2 Roma Con tanti cari saluti Tuo Giuseppe (sul retro della busta) Fai attenzione: il cane Bendicò è un personaggio importantissimo ed è quasi la chiave del romanzo. Perché dunque il cane Bendicò è tanto importante? Abbiamo girato la domanda a TancrediGioacchino Lanza Tomasi. «Questo emblema araldico è la chiave della distruzione, nel senso che la rovina arriva fino al cane», è la risposta. 2.TANCREDI Tancredi Falconeri è uno dei personaggi più importanti e ambigui del romanzo Il Gattopardo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, opera resa celebre anche dalla fortunata trasposizione cinematografica realizzata da Luchino Visconti. Anche se la vicenda è incentrata senza dubbio sulla figura dello zio di Tancredi, il principe di Salina Fabrizio Corbera, al quale l'autore riserva una particolare attenzione riguardo all'introspezione psicologica e alle riflessioni personali, rendendolo "filtro" di avvenimenti storici di sfondo e a vicende private, il giovane Falconeri ricopre sicuramente un ruolo fondamentale. Infanzia e adolescenza[modifica | modifica wikitesto] Tancredi, che fin dalla più tenera età rivela una certa predisposizione al non osservare le regole impostegli dal padre, rimane orfano a soli quattordici anni, perdendo così la madre, amata sorella del principe Fabrizio, e il detestato padre, uomo ricco e amante dei piaceri che, a causa dei continui sperperi, lascia l'ambizioso figlio senza alcuna risorsa economica; per questo motivo, Tancredi inizia a frequentare la casa del Principe di Salina, divenendone in breve tempo il pupillo. Del resto, la maliziosa ironia di Tancredi e il suo innegabile fascino, in breve tempo attirano malgrado tutto la perpetua benevolenza di tutti gli abitanti di casa Salina. L'incontro con Angelica[modifica | modifica wikitesto] Nel travagliato periodo antecedente e successivo allo sbarco in Sicilia di Garibaldi (1860), Tancredi si innamora e successivamente sposa, nonostante un sottile interesse dimostrato in precedenza per Concetta, la figlia dello zio, da sempre mossa da sentimenti teneri verso di lui, la bella Angelica, figlia di Calogero Sedàra, sindaco, e borghese arricchito, di Donnafugata, cittadina siciliana ospitante la tenuta estiva della nobile famiglia. Tancredi infatti è attratto dalla vistosa quanto "plebea" bellezza della ragazza, che si dimostra attraente e di piacevole presenza, ma priva della grazia aristocratica che invece è prerogativa di Tancredi; senza dubbio, un ruolo fondamentale nella scelta di Tancredi è stato giocato anche dal consistente patrimonio di Sedàra, indispensabile alla realizzazione delle ambizioni politiche (Tancredi ha partecipato ai moti garibaldini del 1860-1861) del giovane. Anche Angelica, dal canto suo, è incantata dalla bellezza e dal carisma di Tancredi, ma ancor più dal suo titolo nobiliare, che costituisce la garanzia di una buona collocazione nell'alta società. Il matrimonio è benedetto dal Principe Fabrizio che, insensibile alla segreta sofferenza della figlia Concetta, per la quale Tancredi coltiverà sempre una speciale ma sottaciuta tenerezza, intuisce acutamente e approva il raffinato gioco di attrazione e ancor più di calcoli di interesse su cui si basa l'unione. Le attività politiche e la morte[modifica | modifica wikitesto] Nel periodo successivo ai moti garibaldini, Tancredi viene nominato senatore del Regno d'Italia, e la sua attività politica spesso gli impedisce di portare a compimento progetti per la vita privata. Intanto, però, il matrimonio con Angelica, dopo l'iniziale passione, inizia a crollare: la donna, sfruttando i frequenti periodi di assenza del marito, inizia a tradirlo con altri uomini: dal contesto del libro, il lettore può facilmente intuire che Tancredi sa e vorrebbe capire, ma non se la sente di affrontare chiaramente la moglie. Tancredi è presente alla morte del Principe nel 1883, con le sue lacrime forse sincere, ma è destinato a morire prima della bella consorte, che invece invecchierà coltivando una 'tagliente' amicizia proprio con Concetta, mai sposatasi; ma soprattutto la figura di Tancredi Falconeri è destinata a rimanere sempre viva, se non nel cuore, almeno nei ricordi di quest'ultima, e, innegabilmente, anche del rapito lettore. La personalità di Tancredi[modifica | modifica wikitesto] Per l'azione del matrimonio del giovane, inizia a stagliarsi sempre più precisamente nella mente del Principe (e del lettore) quello che Tancredi Falconeri è veramente: una persona certo affascinante, capace di rapire il cuore di chiunque, (forse) anche buona e per di più veramente aristocratica; ma di certo anche calcolatrice, ambiziosa, furba, non sempre candida. D'altro canto il Principe non se la sente di criticare il ritratto cinico e realistico di Tancredi e degli altri personaggi, magistralmente orchestrati da Tomasi di Padre Pirrone: è il gesuita che ha la direzione spirituale generale di casa Salina. Nato a S. Cono, un piccolo paese vicino a Palermo, aveva lasciato la casa paterna a 16 anni, quando era andato nel seminario arcivescovile. Al paese natale era ritornato solo per le nozze delle due sorelle e per la morte del padre. Ciò che più lo preoccupa dello sbarco dei garibaldini in Sicilia è la requisizione dei beni della Chiesa, che con essi sostenta moltitudini di infelici. Per interessamento di un generale amico di Tancredi, non gli viene applicato l'ordine di espulsione stabilito per i gesuiti. Per sette anni aveva tentato di insegnare il latino a Tancredi, subendone i capricci e gli scherzi. Anch'egli aveva sentito il fascino del giovane, ma non condivideva i suoi nuovi atteggimenti politici. E' sempre timoroso nei confronti del Principe Salina e si preoccupa di non offenderlo. Gli è affezionato, nonostante alcune volte abbia sperimentato la sua collera o la sua impudenza, come quando è costretto ad accompagnarlo nel viaggio per Palermo, dove il principe incontra Mariannina. A padre Pirrone si rivolge Concetta per affidargli l'incarico di comunicare al padre il proprio innamoramento nei confronti del cugino Tancredi. Quando, dopo molti anni, padre Pirrone torna al paese per il quindicesimo anniversario della morte del proprio padre Gaetano, viene accolto da tutti festosamente. Alla sera si mette a parlare di politica con alcuni amici, che desiderano conoscere le novità, dato che lui vive tra i "signori": per le notizie ricevute, finiscono con l'andarsene assai più accigliati di quando erano venuti. Rimasto solo con il compaesano don Pietrino, approfittando anche del fatto che quest'ultimo, di fronte ai suoi astratti ragionamenti, ha finito per addormentarsi, espone esplicitamente la propria concezione sugli aristocratici: come vivono, come la pensano i "signori". In realtà sono le idee di Lampedusa, messe in bocca strumentalmente a padre Pirrone. Durante la permanenza a S. Cono il gesuita deve pure occuparsi del matrimonio "riparatore" fra la nipote Angelica ed il cugino Santino. I giovani appartengono a due famiglie rivali, per vecchi rancori sul possesso di un mandorleto. Padre Pirrone riesce a risolvere la "questione" con intelligenza ed astuzia, riportando l'armonia anche fra le due famiglie. Il sacerdote se ne ritorna a Palermo lieto, ma con una amara considerazione: "I gran signori sono riservati e incomprensibili, i contadini espliciti e chiari; ma il demonio se li rigira entrambi attorno al mignolo, egualmente". IL PUNTO DI VISTA Nel romanzo Tomasi adotta sia la tecnica del narratore onnisciente, sia quella a focalizzazione interna: riguardo a quest'ultima, si può notare che assume frequentemente il punto di vista del principe e spesso in questi casi ne condivide anche la visione del mondo. Lo si può constatare in alcuni punti chiave del romanzo: quando Tancredi dà, all 'inizio, la sua valutazione politica dei "nuovi tempi", dando così anche l'elementare spiegazione della sua adesione ad essi, esprime una posizione che il protagonista come l'autore giudica valida e vincente per un periodo non brevissimo. Quando Tumeo prevede la caduta della famiglia Salina, pur facendo una indovinata pessimistica previsione, rimane, secondo la voce narrante, un "pietoso burattino", perchè ignora l'inevitabile. Anche qui, le valutazioni del principe sono concordanti con quelle del narratore: l'arroccamento sui dogmi dell'antico regime è un atteggiamento inconcepibile. In altri casi invece il narratore, che dimostra di saperne di più dei suoi personaggi, esprime la sua visione delle cose direttamente e l'identificazione narratore - principe di Salina non funziona più. Durante il colloquio tra il principe e Don Ciccio Tumeo, in un passaggio il narratore si distingue nettamente dal personaggio, ponendosi interprete del pensiero dell'autore: "Don Fabrizio non poteva saperlo allora, ma una parte della neghittosità, dell'acquiscenza per la quale durante i decenni seguenti si doveva vituperare la gente del Mezzogiorno, ebbe la propria origine nello stupido annullamento della prima espressione di libertà che a questo popolo si era mai presentata" (pag.139). Nell'ultima parte, dopo la morte del principe, il pensiero di Tomasi è di volta in volta prestato a questo o a quel personaggio o allo stesso narratore. Un tratto fondamentale che distingue l'ideologia del narratore da quella del principe è proprio il non- determinismo. Accanto all'episodio già citato del colloquio tra il principe e Ciccio Tumeo, possiamo considerare anche la storia di Concetta, e ci accorgiamo che su di essa incidono atteggiamenti e situazioni che se fossero stati diversi avrebbero consentito una diversa soluzione dei fatti: la realtà quindi appare, sia pure sotto l'angolatura di una piccola storia, come il risultato d'una serie di forze umane, sulle quali molto possono l'accidentalità e il caso e nulla è scritto a priori: crederlo può far comodo ma non è così. NEL ROMANZO: LA VISIONE DEL MONDO L'ideologia del Principe di Salina si definisce nel corso del romanzo attraverso una serie di confronti con gli atteggiamenti espressi da altri personaggi. IL PRINCIPE E L'IDEA MONARCHICA Nel contrasto con le posizioni reazionarie del cognato Màlvica secondo il quale l'ordine sociale è un ordine conforme alle leggi della natura e di Dio, basato sulla proprietà e garantito dalla monarchia e dalla Chiesa, il principe ritiene che l'istituzione monarchica sia una opportunità storica, che garantisce la distinzione nobiliare e misura la sua efficacia sul modo in cui viene condotta e realizzata[footnote 1]. IL PRINCIPE, LA RELIGIONE, LA CHIESA Nei confronti della religione e della Chiesa il suo atteggiamento è di rispetto e di osservanza formale: si tratta di istituti perenni, mentre l'arte del vivere riguarda il contingente[footnote 2]; per quanto riguarda l'influenza che la Chiesa ha secolarmente avuto, le attribuisce molte responsabiltà a proposito della situazione siciliana[footnote 3], pur riconoscendola come istituzione perenne; al contrario del suo ceto che deve scendere a patti con i liberali per far fronte a quella che gli pare "soltanto una lenta sostituzione di ceti". IL PRINCIPE E L'ARISTOCRAZIA Il principe appartiene alla nobiltà, per la quale nutre sentimenti complessi: mentre padre Pirrone nel colloquio con don Pietrino l'erbuario la giustifica come la immancabile e fatale portatrice di valori perenni (la distinzione), mentre don Ciccio Tumeo ne difende visceralmente e ingenuamente la funzione e i privilegi, il principe più razionalmente e laicamente fa i conti con la storia e viene a patti con la borghesia emergente (il matrimonio di Tancredi) o con lo stato nascente (il sì al Plebiscito), ma senza personali coinvolgimenti (rifiuta l'offerta di Chevalley). Tuttavia già nel colloquio con Russo nella prima parte del romanzo il principe mostra il suo scetticismo sui cambiamenti che si vanno annunciando ("Molte cose sarebbero avvenute, ma tutto sarebbe stato una commedia; una rumorosa, romantica commedia con qualche macchiolina di sangue sulla veste buffonesca"; pag.50). Stessa sfiducia nei cambiamenti esprime nel colloquio con Chevalley. Il principe dunque, pur rilevando che la società del suo tempo sta cambiando e pur facendo uno sforzo di opportunistico adeguamento, pare dirci che è solo la superficie delle cose a cambiare. L'immobilismo, malgrado le scelte contingenti, sembra il segno distintivo della visione del mondo del principe, a cui corrisponde, uguale e contrario, il comportamente di Tancredi, il cui spregiudicato pragmatismo appare il segno esteriore di un eguale scetticismo. IL PRINCIPE E IL NUOVO STATO UNITARIO Uno dei brani più significativi del romanzo è costituito dal colloquio di Don Fabrizio con l'inviato piemontese. Ci troviamo qui al centro dell' ideologia del personaggio: egli denuncia in modo accorato, a tratti persino rabbioso, l'immobilismo della Sicilia ravvisandone le cause oltre che nella sua storia, nel suo clima. Don Fabrizio non si rende conto delle sue stesse contraddizioni: proprio lui desiderava che nulla cambiasse, "..ce ne vorranno di Vittori Emanueli per mutare questa pozione magica che sempre ci viene versata (pag.53)", aveva commentato mentalmente osservando il paesaggio dalla sua finestra. Ma per comprendere più a fondo il senso del discorso di Don Fabrizio bisogna notare che in esso è la dimensione esistenziale a prevalere su quella ideologica condizionandola, infatti spesso è la prospettiva del personaggio e il suo dramma nel rapporto con il tempo e con la storia a prevalere. IL RUOLO DELL'AMORE NEL ROMANZO L'amore non è fra i sentimenti terreni uno di quelli che più interessano Lampedusa. Non lo troviamo mai nel Gattopardo come stimolo e lievito dell'intelligenza; come passione costruttiva, feconda, arricchente, anche se segnata dall'assurdità e dalla precarietà; come tragedia. Si direbbe che Lampedusa non lo annoveri fra le cose salienti, determinanti della vita: senza assolutamente che ciò implichi una sua misoginia, piuttosto il solito scettico e difensivo disincanto. Non è attraverso l'amore che passa il destino dei personaggi, o se vi passa è perché l'amore è strumentalizzato, più o meno coscientemente, al raggiungimento di certi fini. Sotto questo aspetto, non si trova nel Gattopardo nessuna eco della grande letteratura ottocentesca: il narratore ottocentesco, pur conoscendo l'effimero e ingannevole dell'amore, lo accetta come qualcosa di profondamente costruttivo o distruttivo, ne fa di volta in volta il solco che segna la vita dei personaggi. Invece Lampedusa riduce l'amore ai margini dell'esistenza, come un dato inessenziale e poco incisivo. L'amore nel Gattopardo può essere accensione dei sensi, inoperosa romanticheria, convenzione, calcolo. L'eternità dell'amore dura pochi giorni, lo dice l'autore stesso. Diciamo che l'amore, per Lampedusa, si coglie unicamente nei due poli della sensualità e dell'affetto: il che vale a dire che non esiste. Molte pagine sono dedicate all'amore di Angelica e Tancredi. Don Fabrizio ha compassione per la loro "passeggera cecità". Esseri effimeri "che cercano di godere dell'esiguo raggio di luce accordato loro fra le due tenebre, prima della culla, dopo gli ultimi strattoni" (pag.266). Quella di Angelica e Tancredi è l'unica vicenda d'amore di qualche peso nel Gattopardo, per il resto, l'amore appare in rapidi accenni ed in episodi insignificanti. Non offre nessun interesse l'amore di Concetta per Tancredi, con relativo sacrificio e acre coltivazione di memorie da parte della ragazza; meno ancora l'amore svenevole, romantico e non ricambiato che per la stassa Concetta nutre Cavriaghi, un nobile piemontese commilitone di Tancredi. Non rientra nel quadro dell'amore la visita del principe della prostituta Mariannina a Palermo. E' un puro sfogo di sensi: la moglie, Stella, non soddisfa la sua vitalità. I LUOGHI I luoghi fisici in cui si svolge la vicenda del romanzo sono così precisabili: i luoghi chiusi rappresentati dalle dimore private aristocratiche: i palazzi dei Salina (di città, del suburbio, di Donnafugata), il palazzo Ponteleone, i giardini relativi; i luoghi pubblici (il palazzo reale, il convento di Santo Spirito, la chiesa e il palazzo del Municipio a Donnafugata); gli spazi urbani (descritti nel percorso fatto dal principe per raggiungere l’abitazione di Mariannina dal palazzo suburbano o nel breve percorso da palazzo Lampedusa a palazzo Ponteleone per il ballo; a Donnafugata il percorso di Chevalley per raggiungere o lasciare il palazzo); la campagna desolata, luogo di transito, attraversata dai principi negli spostamenti da una dimora all'altra (da Palermo a Donnafugata) o percorso di caccia. Nel Gattopardo il paesaggio è l’elemento primario della narrazione e diventa un carattere del dramma con un suo ruolo essenziale. Cessa di essere quindi uno scenario indifferente, ma agisce e interagisce con i personaggi e in particolare con i protagonisti, la cui vita si svolge tra l’uno e l’altro dei loro isolati e anche lontani possedimenti. Ciò che sta in mezzo è lo spazio di collegamento. fa soffrire, dominando gli elementi disordinati che ne sono alla base in modo limpido ed armonico. Lampedusa è riuscito dunque ad esprimere la sua dolente visione delle cose non attraverso un monotono e sempre ripetuto lamento sull'infelicità della condizione umana, ma attraverso il quadro complesso di una realtà che, nel continuo succedersi di amarezze-rasserenamenti, presenta, anche nell'assenza di una giustificazione finale, un suo particolare equilibrio. Dal romanzo esce un quadro della realtà che abbraccia tutte le condizioni dell'esistenza, così come Tomasi la concepisce, da quella della giovinezza a quella della maturità con il diverso modo di sentire e concepire la vita che ogni età comporta. Con la vecchiaia e con la morte il quadro, che si era aperto con la descrizione di una maturità ancora estremamente vitale e di una giovinezza fiorente, si conclude, racchiudendo in sè quell'esperienza di tutta una vita, che all'autore stava a cuore di esprimere. Passando all' analisi stilistica si osserva che uno dei tratti caratteristici della prosa del romanzo è ancora una volta proprio l'antitesi [footnote 1], che ritorna con frequenza, pur subendo alcune variazioni e gradazioni. Se dal particolare stilistico cerchiamo di risalire all'etimo psicologico, alla radice che sta nell'animo dell'autore, l'uso delle antitesi permette di aprire uno spiraglio sul particolare modo di sentire di Lampedusa. Questa scelta stilistica è omologa alla visione delle cose del narratore, diviso tra elementi contrastanti e sentimenti opposti, che raramente raggiungono una sintesi conclusiva. Elemento interessante del Gattopardo è la lingua, molto composita e complessa che ne rende la prosa sconcertante ad un primo esame critico. Quello usato da Lampedusa è quindi un vocabolario eterogeneo che permette di cogliere i più diversi aspetti della realtà gattopardesca, alla rappresentazione della quale non potevano adattarsi termini esclusivamente aulici oppure soltanto realistici. Facendo un elenco dei termini che colpiscono più facilmente l'attenzione, perchè non usuali, ci troviamo anzitutto di fronte ad una lingua di vocaboli aulici[footnote 2], letterari e ovviamente antiquati . D'altra parte è possibile trovare nel testo un tipo di espressioni e vocaboli di natura completamente diversa, vocaboli volgari [footnote 3] derivati dalla lingua parlata. Sempre a proposito della lingua è possibile commentare il tono neutro e impersonale delle brevi frasi di commento che consentono all'autore di porsi in qualunque momento al di fuori della vicenda per darne una valutazione intellettuale e perciò di ristabilire immediatamente il distacco tra se stesso e la materia trattata. E' frequente ad esempio in tutto il libro il richiamarsi di Lampedusa a massime generali[footnote 4] e norme di vita, enunciate come valide per tutti e ricordate con tono obiettivo. Il romanzo è intessuto da una fitta rete di similitudini, analogie, metafore[footnote 5]; questo tipo di scrittura serve a mascherare l'implicito, che il lettore attento pero' percepisce da vari segnali: lo si vede a proposito del colloquio con Chevalley, in cui le loro parole servono a mascherare qualcosa che è inconfessabile. Un altro esempio di metafore è costituito dalle immagini femminili e dal linguaggio amoroso con il quale si rivolge alla morte: il corteggiamento di questa non è disgiunto dal corteggiamento della vita, come dimostra il sensualismo lampedusiano che si manifesta non solo nell'attenzione alla donna e all'amore, ma anche nel gusto per i colori, odori e sapori. L'ironia[footnote 6] è uno dei tratti salienti dello stile di Lampedusa. Nel romanzo lo stile ironico è pressochè costante, l'autore del Gattopardo esprime la propria superiore consapevolezza attraverso il distacco, che si manifesta in un amaro sorriso dinanzi alle ipocrisie e alle illusioni, piccole e grandi dei personaggi. Un altro accorgimento stilistico che Tomasi usa per dialogare con il lettore e dare la sua valutazione intellettuale delle vicende, è l'uso particolare che egli fa della parentesi[footnote 7], attraverso la quale spiega la realtà vera delle cose. Il tono da lui usato è spesso quello del giudice onnisciente che ha con i personaggi gli stessi rapporti che legano la creatura al creatore. Il romanzo, presumibilmente scritto tra il 1955 e il 1956, quindi in tempi brevi, ma a seguito di una lunga meditazione interiore, fu pubblicato nel 1958 da Feltrinelli, a cura di Giorgio Bassani. La vicenda, ambientata in Sicilia, si apre nel 1860 e racconta la storia del Principe Fabrizio Corbera di Salina e della sua famiglia. Il romanzo è in otto capitoli (o "parti", come riporta il manoscritto) e a ciascuno l'autore ha premesso una breve didascalia riassuntiva. LA GENESI DEL ROMANZO Giuseppe Tomasi di Lampedusa cominciò a scrivere il suo romanzo probabilmente dopo il giugno del 1955 e terminò la prima stesura alla fine del 1956. L’opera non nasceva a caso, ma era il frutto di un’esperienza che era durata tutta una vita. Secondo la testimonianza della vedova, Lampedusa aveva già manifestato l’intenzione di comporre qualcosa, diciotto anni prima di iniziare la stesura del Gattopardo. I motivi che spinsero Lampedusa a rinviare la composizione del suo romanzo furono soprattutto i fatti esterni che condizionarono la vita dello scrittore. Il progetto iniziale di Lampedusa era quello di narrare la giornata di un principe siciliano nel 1860; col tempo l’idea si chiarì nella sua mente e all’inizio della sua prima stesura del romanzo, Tomasi disse a Gioacchino Lanza: "Saranno 24 ore della vita del mio bisnonno il giorno dello sbarco di Garibaldi". Più tardi però si rese conto che questa organizzazione del libro era limitativa, così decise di ripiegare sullo schema di tre tappe di 25 anni: il 1860, 1885 con la morte del Principe (che è anche la morte del bisnonno e che nella finzione romanzesca diventerà il 1883) ed infine il 1910. In uno dei primi mesi del 1956, Tomasi presentò ai suoi amici il primo capitolo, ancora senza titolo, ma in una stesura quasi definitiva. A questa si aggiunsero, una dopo l’altra fino al marzo 1957, tutte le altre parti scritte a mano su grandi quaderni formato protocollo. E' il cosiddetto "Gattopardo (completo)", come si legge nell'intestazione del manoscritto. Di questa stesura si servì Bassani per confrontarla con le parti dattiloscritte, se pure incomplete, di cui disponeva. Anche se Tomasi disse che si trattava della prima stesura del romanzo, la vedova rivelò che in realtà una stesura antecedente a questa esisteva e presentava rispetto a quella definitiva, alcune varianti. Il manoscritto del 1957, nelle sua integrità, senza alcuna revisione, mantenendo intatta anche la punteggiatura dell’autore, venne pubblicato da Feltrinelli nel dicembre del 1969. LA DEFINIZIONE DEL GENERE ROMANZO STORICO, PSICOLOGICO O AUTOBIOGRAFICO? Si potrebbe dire che il Gattopardo è troppo introspettivo-psicologico per essere solo un romanzo storico, troppo documentato sull'epoca dei fatti per essere solo un romanzo psicologico. Nelle preziose lettere a Guido Lajolo[footnote 1], Tomasi si pose il problema del proprio rapporto con il protagonista e anche quello del "genere" dell'opera. Tempo storico e tempo esistenziale scorrano insieme all'interno del romanzo; se la componente storica non deve essere sottovalutata, tuttavia la ricostruzione delle vicende della famiglia Salina nel contesto degli anni che vanno dal 1860 al 1910 non rappresenta il fine autonomo dell'opera. Il romanzo, accentrato sulla figura del protagonista principe di Salina, col quale il narratore instaura un rapporto di "relativa" identificazione, concede poco all'oggettivismo documentario e naturalistico, mentre vi prevalgono la ricostruzione familiare e autobiografica, la ricerca psicologica, i valori simbolici. Footnotes 1. a Guido Lajolo (31 marzo 1956): Carissimo Guido, [...] sono accaduti due fatti importantissimi: 1, ho scritto un romanzo; 2, stiamo per adottare un figlio. Comincio dal primo e meno importante evento. [...] Immagino che il libro ti piacerà: esso è di argomento storico: senza rivelare nulla di sensazionale cerca di indagare le reazioni sentimentali e politiche di un nobiluomo siciliano alla spedizione dei Mille e alla caduta del regno borbonico. Il protagonista è il Principe di Salina, tenue travestimento del principe di Lampedusa mio bisnonno. E gli amici che lo hanno letto dicono che il Principe di Salina rassomiglia maledettamente a me stesso. Ne sono lusingato perché è un simpaticone. Tutto il libro è ironico, amaro e non privo di cattiveria. Bisogna leggerlo con grande attenzione perché ogni parola è pesata ed ogni episodio ha un senso nascosto. Tutti ne escono male: il Principe e il suo intraprendente nipote, i borbonici e i liberali, e soprattutto la Sicilia del 1860.[....] a Guido Lajolo (7 giugno 1956): [....] Esso è composto di cinque lunghi racconti: tre episodi si svolgono nel 1860, anno della spedizione dei Mille in Sicilia, il quarto nel 1883, l'ultimo, l'epilogo, nel 1910, cinquantenario dei Mille, e mostrano il progressivo disfacimento dell'aristocrazia; tutto vi è soltanto accennato e simboleggiato; non vi è nulle di esplicito e potrebbe sembrare che non succeda niente [....] il protagonista sono in fondo io stesso e il personaggio chiamato Tancredi è il mio figlio adottivo [...]. a Guido Lajolo (2 gennaio 1957): [....] Non vorrei però che tu credessi che fosse un romanzo storico! Non si vedono né Garibaldi né altri: l'ambiente solo è del 1860; il protagonista, Don Fabrizio, esprime completamente le mie idee, e Tancredi, suo nipote, è Giò [....]. In quanto ai "Viceré" il punto di vista é del tutto differente: il "Gattopardo" è l'aristocrazia vista dal di dentro senza compiacimenti ma anche senza le intenzioni libellistiche di De Roberto [....]. LA SICILIA NEL 1860 1860: I democratici con la spedizione garibaldina in Sicilia rilanciarono con successo la via rivoluzionaria per il raggiungimento dell’unità italiana. L’occasione per la conquista garibaldina del Regno delle Due Sicilie, dove dal 1859 regnava il giovane Francesco II, si presentò in seguito al fallimento dell’insurrezione di Palermo del 4 aprile del 1860. Il moto fu infatti facilmente domato, ma l’agitazione si diffuse nelle campagne, mentre un gruppo di intellettuali di orientamento democratico, tra cui Francesco Crispi e Rosolino Pilo, chiesero a Garibaldi di intervenire militarmente in Sicilia. Ebbe così inizio la preparazione materiale della spedizione dei mille volontari garibaldini, che all’alba del 6 maggio 1860 salpò da Quarto, in Liguria, e l’11 maggio approdò a Marsala (inizio del romanzo). LE NOTAZIONI DI SINTESI CHE TOMASI PREMETTE A CIASCUN CAPITOLO Eccole nell'ordine: CAP. I : Il rosario e la presentazione del principe - il giardino e il soldato morto - le udienze reali - la cena - in vettura per Palermo - l’andata da Mariannina - il ritorno a San Lorenzo - la conversazione con Tancredi - in Amministrazione: i feudi e i ragionamenti politici - in osservatorio con padre Pirrone - distensione al pranzo - Don Fabrizio e i contadini - Don Fabrizio e il figlio Paolo - la notizia dello sbarco e di nuovo il rosario. CAP. II : il viaggio per Donnafugata - precedenti e svolgimento del viaggio - l’arrivo a Donnafugata - in chiesa - Don Onofrio Rotolo - la conversazione nel bagno - la fontana di Anfitride - la sorpresa prima del pranzo - il pranzo e le varie reazioni - Don Fabrizio e le stelle - la visita al monastero - ciò che si vede da una finestra. CAP III : la partenza per la caccia - i fastidi di Don Fabrizio - la lettera di Tancredi - la caccia e il Plebiscito - Don Ciccio Tumeo inveisce - come si mangia un rospo - epiloghetto. CAP IV : Don Fabrizio e Don Calogero - la prima visita di Angelica - l’arrivo di Tancredi e Caviraghi - l’arrivo di Angelica - il ciclone amoroso - il rilassamento dopo il ciclone - un piemontese arriva a Donnafugata - un giretto in paese - Chevalley e Don Fabrizio - la partenza all’alba. Si ritira così nella sua camera, che ora le sembra un mondo noto ma estraneo; chiama la cameriera e le ordina di portar via Bendicò, il cane imbalsamato, caro al padre. Anche lui "insinua ricordi amari". Tancredi Falconeri, nipote e pupillo del Principe di Salina. Suo padre, che aveva sposato la sorella di Don Fabrizio, aveva sperperato quasi tutto il suo patrimonio e poi era morto. Successivamente morì anche la madre, così all'età di 14 anni, Tancredi rimase orfano e il Re conferì al Principe la tutela del nipote. A 21 anni Tancredi è un giovane dal volto magro, dagli occhi azzurro-grigio, dalla voce leggermente nasale che porta una carica di brio giovanile. Il giovane Falconeri è un ragazzo dal temperamento frivolo, a momenti interrotto da improvvise crisi di serietà; è descritto come un giovane dalla condotta poco esemplare; mostra simpatie per i liberali che a quel tempo si organizzavano segretamente. E' un ragazzo intelligente che fa uso dell'arte di accattivarsi il favore del popolo per meglio dominarlo ed è capace dei più gustosi giochi di parole. Si pensa che il personaggio di Tancredi Falconeri possa essere stato ispirato da Corrado Valguarnera, l'unico patrizio palermitano che seguì i Mille. Infatti Tancredi si distingue subito da tutti gli altri protagonisti che ruotano attorno a Don Fabrizio, per la sua decisione di schierarsi tra i garibaldini, pur appartenendo all'aristocrazia palermitana. Il giovane spiega di voler partire perché teme di venire imprigionato al primo scoppio di un'insurrezione, tuttavia il vero motivo è un altro: lui stesso dice che "se vogliamo che tutto rimanga com'è, bisogna che tutto cambi". Tancredi ha capito che la rovina più grande per gli aristocratici non è la conquista dei Savoia, ma la caduta della monarchia e l'instaurazione della repubblica, che verrebbe accompagnata da un profondo cambiamento sociale. Per questo motivo decide di partecipare al movimento rivoluzionario. In breve tempo Tancredi viene promosso, anzi "creato capitano sul campo", e il giovane ottiene una licenza di un mese grazie alla quale parte con gli zii per Donnafugata. In questo paesino si innamora della bella Angelica Sedara, dimenticando i sentimenti che provava per la cara cugina Concetta. Tancredi riparte dopo pochi giorni per l'esercito. Quando scrive allo zio per chiedergli di domandare la mano di Angelica, si comporta con presuntuosa sicurezza di sé, considerando già accettato, da Angelica, il suo desiderio. Da questo momento in poi, Tancredi sembra divenire un bravo ragazzo legato ad Angelica da profondo amore e non particolarmente preoccupato della classe sociale a cui appartiene la sua futura moglie. Tancredi dà molte gioie a Don Fabrizio in quanto è dotato di un carattere che incarna l'ideale del Principe: è affettuoso, beffardo ("e nelle persone del carattere e della classe di don Fabrizio le facoltà di essere divertiti costituisce i quattro quinti dell'affetto"), intelligente, adattabile. Don Fabrizio, rivedendo il passato, capisce che Tancredi fa parte dell'attivo della sua vita, anche grazie alla sua ironia unita alla comprensione, che sono il segno di una superiorità d'ingegno e di una capacità di aristocratico distacco. Angelica Sedara: e' la figlia del sindaco di Donnafugata. Alta, ben fatta, occhi verdi un po' crudeli, ha studiato in un collegio a Firenze Va in giro per il paese con la veste rigonfia e i nastri di velluto che le pendono dal cappellino, dandosi molte arie per la posizione raggiunta dal padre.Partecipa al pranzo ufficiale di Donnafugata in sostituzione della madre ed il suo ingresso al palazzo lascia i Salina "con il fiato in gola". La principessa la ricordava quando ancora aveva tredici anni, poco curata e bruttina. La sua voce bella, bassa di tono, forse un po' troppo sorvegliata. Il collegio fiorentino aveva cancellato lo strascichio dell' accento girgentano. Sotto l'impeto della sua bellezza gli uomini sono incapaci di notare, analizzandoli, i non pochi difetti che questa bellezza ha. A tavola siede a fianco di Tancredi, che si innamora di lei. Si avvicina a Tancredi nei limiti del proprio carattere: possiede troppo orgoglio e troppa ambizione per essere capace di quell'annullamento, provvisorio, della propria personalità, proprio dell'amore. Tuttavia è innamorata di lui, dei suoi occhi azzurri, della sua affettuosità scherzosa, di certi toni improvvisamente gravi della sua voce. A lei importa poco dei tratti di spirito, dell' intelligenza di Tancredi. In lui vede la possibilità di avere un posto eminente nel mondo nobile della Sicilia, mondo che considera pieno di meraviglie e che in realtà è assai differente da quello che immagina. In Tancredi desidera anche un vivace compagno di "abbracciamenti". Se per di più è anche intellettualmente superiore, tanto meglio. Ritroviamo questa sua concezione quando il conte Cavriaghi si innamora di Concetta, che non accetta il corteggiamento del giovane ufficiale. Angelica, abituata al comportamento del padre, che agisce senza scrupoli per raggiungere i propri obiettivi, non capisce l'atteggiamento delle due giovani sorelle di Concetta, Carolina e Caterina, che "guardavano Cavriaghi con occhi di pesce morto e fricchicchiavano, si dislinguivano tutte quando lui le avvicinava". Angelica non capisce "perchè una delle due non cercasse di distogliere il contino da Concetta a proprio profitto. Sono delle stupide: a forza di riguardi, divieti, superbie, finiranno si sa già come". E' Don Fabrizio che richiede a Don Calogero la mano della figlia a nome di Tancredi, arruolatosi fra i garibaldini. Quando il giovane torna a Donnafugata, con un biglietto si premura di avvertire del suo arrivo Angelica, che in fretta raggiunge casa Salina: "Nella fretta e nell'emozione non aveva trovato di meglio per ripararsi dalla pioggia dirotta che mettersi uno scapolare, uno di quegli immensi tabarri, da contadino di ruvidissimo panno: avviluppato nelle rigide pieghe bleu-scure, il corpo di lei appariva snellissimo; sotto al cappuccio bagnato gli occhi verdi erano ansiosi e smarriti; parlavano di voluttà". Tancredi alla vista di Angelica rimane estasiato per il forte ed incantevole contrasto "fra la bellezza della persona e la rusticità del mantello". Da questo momento le visite alla Villa Salina divengono sempre più frequenti e permettono ad Angelica di conoscere tutto il palazzo nel suo complesso inestricabile di foresterie, di appartamenti smessi e disabitati, abbandonati da decenni e che formano un intrico labirintico e misterioso. Tancredi ed Angelica, "vicinissimi ancora all'infanzia, prendevano piacere al gioco" di inseguirsi, perdersi e ritrovarsi tra i vari locali del palazzo: "Quelli furono i giorni migliori della vita di Tancredi e di quella di Angelica, vite che dovevano poi essere tanto variegate, tanto peccaminose sull' inevitabile sfondo di dolore. Ma essi allora non lo sapevano ed inseguivano un avvenire che stimavano più concreto benchè poi risultasse formato di fumo e di vento soltanto. Quando furono divenuti vecchi e inutilmente saggi i loro pensieri ritornavano a quei giorni con rimpianto insistente: erano stati giorni del desiderio sempre presente perchè sempre vivo, dei letti, molti, che si erano offerti e che erano stati respinti, dello stimolo sessuale che appunto perchè inibito si era, un attimo, subblimato in rinunzia, cioè in vero amore. Quei giorni furono la preparazione a quel matrimonio che, anche eroticamente, fu mal riuscito". Angelica fa un'altra rilevante comparsa: nel ballo a palazzo Ponteleone. Anche lì suscita una scontata ammirazione. In tale occasione la ragazza mette in pratica gli insegnamenti di Tancredi sul modo di comportarsi nell'ambiente aristocratico, assumendo un contegno adeguato, che le permette di "mietere allori". La sua "naturale vanità" e la "tenace ambizione" in questa circostanza vengono soddisfatte in modo particolare durante il ballo con lo "zione" Don Fabrizio. La sua vita con Tancredi però non è senza screzi e incomprensioni; ella talvolta tradisce il marito, per esempio con Tassoni. Alla morte di Tancredi, gestisce con disinvoltura le glorie passate del coniuge: "Parlava molto e parlava bene; quaranta anni di vita in comune con Tancredi, coabitazione tempestosa e interrotta ma lunga a sufficienza, avevano cancellato da tempo fin le ultime tracce dell'accento e delle maniere di Donnafugata; essa si era mimetizzata al punto da fare, intrecciandole e storcendole, quel gioco leggiadrodi mani che era una delle caratteristiche di Tancredi. Leggeva molto e sul tavolo del suo salotto i più recenti libri di France e di Bourget si alternavano con quelli di D'Annunzio e della Serao". Una malattia, latente da tempo, la colpisce improvvisamente e "la trasforma in una larva". I VALORI SIMBOLICI (Liberamente tratto da Pagliaro - Giacovazzo, Il Gattopardo o la metafora decadente dell'esistenza, Lecce, Milella, 1983) Nel Gattopardo l'incessante ricorso ad un linguaggio caratterizzato in massima parte da un insieme di imprestiti analogici, di aggettivi traslati, sostantivi e forme verbali con valore simbolico che l'atteggiamento psicologico dello scrittore sottrae alla prevedibilità di schemi scontati mette in luce un complesso intreccio di procedimenti simbolici da cui deriva una particolare tecnica narrativa che ha il suo punto di forza proprio nell'uso insistente di analogie e di metafore caricate di un particolare valore semantico. Il valore di simbolo acquista, a mano a mano che si procede nella lettura, uno spessore sempre più consistente che avvia l'esplicazione del senso di disillusione, di apatia e di indifferenza con cui l'autore guarda il mondo, abbarbicato ad un'unica certezza: tutto e tutti, coscientemente o non, sono coinvolti in un irreversibile processo di dissolvimento e di distruzione, il cui epilogo è forse tutto nell'immagine di Bendicò rattrappito ormai e presentato come oggetto che vanamente evoca la protesta delle "cose" sofferenti nell'abbandono. L'analisi riguarda: L'acqua nel paesaggio Morte come sonno Morte come luce Morte come liberazione Morte e sensualità Morte come donna L'acqua nel paesaggio: L'acqua, come il fuoco e il sole, è un sinonimo di distruzione, simbolo di un destino inteso come necessità ineluttabile, predestinata da una forza superiore. "..Gli tornò in mente ad un tratto la scrivania di re Ferdinando a Caserta, anch'essa ingombra di pratiche e di decisioni da prendere, con le quali ci si potesse illudere d'influire sul torrente delle sorti che invece fluiva per conto suo, in un'altra vallata" (pag.45). In questo brano il torrente, preso simbolicamente come termine di paragone per rappresentare il corso della vita umana, è privilegiato dall'autore rispetto ad altre figure similari, per certe sue componenti semantiche particolari: quantità d'acqua, limitato da due lati, rapido, veloce, non costante. In effetti, più di qualsiasi altra immagine, quella del torrente specularmente riflette il corso della vita umana proprio per quelle sue precise connotazioni: l'impeto, l'irruenza, la brevità del corso, l'instabilità. Se poi si collega il termine torrente a sorti, ancora di più la metafora diventa significativa, a causa del preciso riferimento alla forza misteriosa sottesa a questo termine. Ed è significativo che l'autore ricorra spesso all'immagine dell'acqua fragorosa, soprattutto per indicare e descrivere la propria morte: "...sentiva che la vita usciva da lui a larghe ondate incalzanti, con un fragore spirituale paragonabile a quello della cascata del Reno" (pag. 285). "E se in lui, vecchio, il fragore della vita in fuga era tanto potente, quale mai doveva essere stato il tumulto di quei serbatoi ancora colmi che si svuotano in un attimo da quei poveri corpi giovani? (pag. 289)" "Sentì che la mano non stringeva più quella dei nipoti. Tancredi si alzò in fretta e uscì .... Non era più un fiume che erompeva da lui, ma un oceano, tempestoso, irto di spume e di cavalloni sfrenati..." (pag.297). " Il fragore del mare si placò del tutto" (pag.297). E' significativo che l'immagine dell'acqua,- sia che l'elemento venga colto nel momento in cui scorre, erompe, scroscia, cioè in movimento continuo, sia che venga fermato in momenti di staticità e di immobilità- corrisponde a un'immagine di non vita e quindi di morte. E infatti nel primo caso si ha l'impressione che nulla si può fare contro l'erompere fragoroso delle acque, e l'autore, al cospetto di tale ineluttabilità, viene a trovarsi in uno stato di passività e di inerzia che è molto simile alla morte. E non è difficile avvicinare l'immagine di questa acqua corrente alla rappresentazione dell'acqua barocca per elezione, cioè all'immagine della materia in fuga, incostante, fluida che fa spontaneamente pensare alla meditazione barocca per eccellenza, quella sulla fuga del tempo e sull'instabilità umana.
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