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PERSONAGGI PRINCIPALI PROMESSI SPOSI, Sintesi del corso di Letteratura Italiana

Personaggi promessi sposi e capitoli in cui si parla di loro

Tipologia: Sintesi del corso

2013/2014

Caricato il 08/06/2014

Flavia180385
Flavia180385 🇮🇹

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Scarica PERSONAGGI PRINCIPALI PROMESSI SPOSI e più Sintesi del corso in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! PERSONAGGI PRINCIPALI DE “I PROMESSI SPOSI Renzo Tramaglino È il protagonista maschile della vicenda, il promesso sposo di Lucia le cui nozze vengono mandate a monte da don Rodrigo: è descritto come un giovane di circa vent'anni, orfano di entrambi i genitori dall'adolescenza e il cui nome completo è Lorenzo. Esercita la professione di filatore di seta ed è un artigiano assai abile, cosicché il lavoro non gli manca nonostante le difficoltà del mercato (ciò anche grazie alla penuria di operai, emigrati in gran numero nel Veneto); possiede un piccolo podere che sfrutta e lavora egli stesso quando il filatoio è inattivo, per cui si trova in una condizione economica agiata pur non essendo ricco. Compare per la prima volta nel cap. II, quando si reca dal curato la mattina del matrimonio per concertare le nozze: è presentato subito come un giovane onesto e di buona indole, ma piuttosto facile alla collera e impulsivo, con un'aria "di braverìa, comune allora anche agli uomini più quieti"; infatti porta sempre con sé un pugnale e se ne servirà indirettamente per minacciare don Abbondio e costringerlo a rivelare la verità sul conto di don Rodrigo. In seguito progetterà addirittura di assassinare il signorotto, ma abbandonerà subito questi pensieri delittuosi al pensiero di Lucia e dei principi religiosi (anche nel cap. XIII parlerà in difesa del vicario di provvisione, che i rivoltosi vogliono linciare). Il suo carattere irascibile e irruento gli causerà spesso dei guai, specie durante la sommossa a Milano il giorno di S. Martino quando, per ingenuità e leggerezza, verrà scambiato per uno dei capi della rivolta e sfuggirà per miracolo all'arresto; dimostra comunque in più di una circostanza un notevole coraggio, sia durante i disordini citati della sommossa (in cui si adopera per aiutare Ferrer a condurre via il vicario), sia quando torna nel ducato di Milano nonostante la cattura, al tempo della peste (a Milano si introduce nel lazzaretto e in seguito si fingerà un monatto, cosa che gli consentirà di trovare Lucia). È semi-analfabeta, in quanto sa leggere con difficoltà ma è incapace di scrivere, cosa che gli impedirà di diventare factotum alla fabbrica del Bergamasco dove trova lavoro dopo la sua fuga dal Milanese (anche per questo conserva una certa diffidenza per la parola scritta, specie per le gride che non gli hanno minimamente assicurato la giustizia). Rispetto a Lucia si può considerare un personaggio dinamico, in quanto le vicende del romanzo costituiscono per lui un percorso di "formazione" al termine del quale sarà più saggio e maturo (è lui stesso a trarre questa morale nelle pagine conclusive dell'opera). Cap. II Si reca da don Abbondio la mattina del matrimonio, ma il curato lo convince a rimandare le nozze. Estorce da Perpetua alcune ammissioni, quindi costringe il curato a fare il nome di don Rodrigo. Mentre torna a casa di Lucia progetta di uccidere il signorotto, ma poi rinuncia ai propositi delittuosi. Rivela tutto a Lucia chiedendole spiegazioni sull'accaduto. Cap. III Dopo il racconto di Lucia è colto dall'ira e minaccia di vendicarsi di don Rodrigo. Segue il consiglio di Agnese e si reca a Lecco, per rivolgersi all'avvocato Azzecca-garbugli, ma questi cade in un equivoco e lo scambia per un bravo; dopo lo scioglimento dell'equivoco il giovane viene cacciato in malo modo. Torna a casa di Lucia e riferisce l'esito infelice del colloquio, venendo accusato da Agnese di non essersi saputo spiegare. Torna a casa propria sconsolato. Cap. V Giunge a casa di Agnese e Lucia, dove è già arrivato padre Cristoforo e parla con lui. Manifesta il desiderio di farsi giustizia da sé, per cui il frate lo rimprovera e lo esorta a confidare nell'aiuto di Dio. Promette di non fare pazzie, tranquillizzando Lucia. Cap. VI Accoglie con entusiasmo la proposta di Agnese riguardo al "matrimonio a sorpresa" e poi si reca a casa dell'amico Tonio, invitandolo all'osteria. Propone a Tonio di fargli da testimone, quindi l'amico accetta e propone a sua volta il fratello Gervaso come secondo testimone. Torna a casa di Lucia e Agnese, iniziando a discutere con la ragazza che è restia a ricorrere al sotterfugio. Cap. VII Dopo la visita di padre Cristoforo minaccia di uccidere don Rodrigo, finché Lucia, spaventata, accetta di partecipare al "matrimonio a sorpresa" (il giovane forse accentua ad arte la sua collera). Il giorno dopo rifiuta di andare dal frate come lui gli aveva chiesto e a sera va con Tonio e Gervaso all'osteria, dove ci sono i bravi inviati dal Griso. Raggiunge le due donne e tutti insieme vanno a casa di don Abbondio. Cap. VIII Si introduce insieme a Lucia, Tonio e Gervaso in casa di don Abbondio e poi tenta, senza successo, il "matrimonio a sorpresa" (il giovane riesce a pronunciare la formula di rito, ma non così Lucia). In seguito cerca invano di calmare il curato, quindi si allontana dalla casa insieme a Lucia e Agnese. Dopo l'arrivo di Menico si reca con le due donne al convento di Pescarenico, dove padre Cristoforo li informa dei piani di don Rodrigo e suggerisce loro di lasciare il paese. Sale con le due donne sulla barca che li porta sull'altra sponda del lago. Cap. IX Giunge a Monza insieme ad Agnese e Lucia, quindi si separa da loro e riparte alla volta di Milano. Cap. XI Arriva a Milano il giorno di S. Martino, quando è iniziato il tumulto per il pane. Entra in città e trova per terra farina e pagnotte, raccogliendone alcune. Giunge al convento di Porta Orientale e chiede del padre Bonaventura cui lo ha indirizzato padre Cristoforo, ma gli viene risposto che è assente ed è invitato ad attenderlo in chiesa. Il giovane decide di andare a vedere più da vicino la sommossa. Cap. XII Assiste all'assalto al forno delle Grucce, senza tuttavia prendere parte alla sommossa. Fa osservazioni circa l'inutilità di distruggere i forni. Segue i rivoltosi quando vanno alla casa del vicario di Provvisione. Cap. XIII Assiste all'assalto alla casa del vicario di Provvisione, quindi manifesta orrore al proposito della folla di uccidere l'uomo. Quando arriva Ferrer in carrozza, si adopera per far scansare la folla e aiutarlo a raggiungere la casa. Assiste al salvataggio del vicario, convinto che Ferrer gli sia debitore. Cap. XIV Arringa la folla in tumulto con un improvvisato discorso, attirando l'attenzione di un poliziotto travestito. Costui si offre di condurlo in un'osteria, col reale proposito di portarlo in prigione, ma poi Renzo entra nell'osteria della Luna Piena. Qui il giovane si ubriaca e finisce per rivelare il proprio nome al poliziotto, che poi se ne va. Perde totalmente la lucidità e diventa lo zimbello degli avventori della locanda. Cap. XV Viene portato dall'oste a dormire, ormai completamente ubriaco. Il mattino dopo è svegliato dal notaio criminale, venuto ad arrestarlo con due birri: portato in strada, attira l'attenzione della folla che lo libera. Si dà alla fuga, approfittando della confusione. Cap. XVI Si allontana dalla folla, riuscendo a lasciare Milano passando per Porta Orientale. Inizia a camminare verso l'Adda, intenzionato a passare nel Bergamasco. Si ferma in un'osteria, dove chiede indicazioni a una vecchia. Si rimette in marcia e giunge all'osteria di Gorgonzola, dove un mercante di Milano racconta del tumulto e parla della sua fuga. Esce dall'osteria e riprende il cammino. Cap. XVII Ripensa alle insulse chiacchiere del mercante all'osteria e, in un soliloquio, difende le sue ragioni. Si addentra nella boscaglia in cerca dell'Adda, finendo per smarrirsi e cadendo preda di angosce interiori. Trova il fiume e decide di pernottare in un capanno abbandonato. Il mattino dopo attraversa il fiume sulla barca di un pescatore, poi si avvia verso il paese del cugino Bortolo. Raggiunge il cugino, che lo accoglie calorosamente e gli promette aiuto e lavoro. Cap. XXVI Viene avvisato da Bortolo che la giustizia della Repubblica Veneta è sulle sue tracce, così è costretto a trasferirsi in un filatoio vicino dove viene assunto da un conoscente del cugino, anch'egli di origine milanese. Assume la falsa identità di Antonio Rivolta e, anche per questo, non può essere rintracciato da Agnese. Cap. XXVII Riesce finalmente a dare sue notizie ad Agnese, informandola della sua fuga e del fatto che deve restare nascosto. Riceve a sua volta una risposta da Agnese, che gli manda cinquanta scudi d'oro (la metà della somma ricevuta dall'innominato) e lo informa del voto di Lucia: va su tutte le furie e risponde che pronunciato e le chiede di comunicare la cosa a Renzo con una lettera, inviandogli anche la metà del denaro. Lascia la madre e si prepara a seguire donna Prassede a Milano. Cap. XXVII È in casa di donna Prassede, a Milano, dove è informata da Agnese che Renzo è in salvo ed è stato informato del voto, per cui cerca di dimenticarlo. Viene assillata da donna Prassede, che vuole ad ogni costo farle dimenticare Renzo descrivendolo come un delinquente, al che la ragazza lo difende e dimostra di esserne ancora innamorata. Gertrude, la monaca di Monza È la monaca del convento di Monza dove si rifugiano Agnese e Lucia in seguito alla fuga dal paese e al fallito tentativo di rapire la giovane da parte di don Rodrigo: detta anche la "Signora", viene introdotta nel cap. IX ed è presentata come la figlia di un ricco ed influente principe di Milano, la quale grazie alle sue nobili origini gode di grande prestigio e di una certa libertà all'interno del convento (è il padre guardiano del convento dei cappuccini di Monza, cui le due donne si sono rivolte su suggerimento di padre Cristoforo, a condurre Agnese e Lucia da lei e a ottenere per loro la protezione della "Signora"). Il personaggio è chiaramente ispirato alla figura storica di Marianna de Leyva (1575-1650), figlia di Martino conte di Monza e costretta a farsi monaca dal padre contro la sua volontà: entrata in convento tra le umiliate col nome di suor Virginia Maria (1591), esercitò in seguito l'autorità feudale come contessa di Monza e fu perciò chiamata la "Signora", mentre negli anni seguenti intrecciò una relazione con Gian Paolo Osio (l'Egidio del romanzo), un giovane scapestrato già colpevole di assassinio dal quale ebbe due figli (nel 1602 e 1603). Per tenere segreta la relazione l'Osio si macchiò di tre nuovi delitti, ma venne arrestato e ciò permise al cardinal Borromeo di scoprire la tresca, che fu confermata dalla stessa De Leyva. L'Osio fu condannato a morte in contumacia (1608) e venne poi ucciso in casa di un presunto amico che lo tradì, mentre la donna subì un processo canonico (1607) e venne rinchiusa nella casa delle penitenti in Santa Valeria a Milano, dove visse gli ultimi anni espiando le sue colpe e auto-infliggendosi crudeli penitenze, fino a morire in odore di santità. Manzoni modifica in parte la vicenda storica e la adatta alle esigenze narrative del romanzo, anche se rivela fin dall'inizio la storicità del personaggio: la Gertrude dei Promessi sposi è detta figlia di un gentiluomo milanese il cui casato non è dichiarato in modo esplicito, anche se la città dove sorge il convento è Monza (ciò in contrasto con la "circospezione" dell'anonimo, il quale nella finzione indica il luogo con i consueti asterischi). È presentata come una giovane di circa venticinque anni, dalla bellezza sfiorita e dal cui aspetto traspare qualcosa di torbido e di morboso, unitamente al fatto che il suo abbigliamento non si conforma perfettamente alla regola monastica (la tonaca è attillata in vita come un vestito laico e la donna porta i capelli neri ancora lunghi sotto il velo, mentre dovrebbe in realtà averli corti). Il padre guardiano dei cappuccini presenta Agnese e Lucia alla monaca (IX), la quale accetta di ospitare nel convento la ragazza e la madre, che alloggeranno nella stanza lasciata libera dalla figlia maritata della fattoressa e svolgeranno i servizi di cui si occupava la ragazza; in seguito si apparta con Lucia e mostra una curiosità morbosa per la sua vicenda, obbligandola a rivelare più precisi dettagli sulla persecuzione subìta da don Rodrigo e sul suo rapporto con Renzo. L'eccessiva libertà con cui Gertrude parla alla giovane suscita il suo stupore e Agnese, alla quale Lucia confiderà in seguito la sua perplessità, concluderà col suo buon senso di popolana che i nobili "hanno tutti un po' del matto" (X), invitando la figlia a non dare troppo peso alla cosa. La storia passata di Gertrude è narrata dall'autore con un ampio flashback, che occupa gran parte dei capp. IX-X e descrive la sua vicenda come esemplare dei soprusi che spesso nelle famiglie aristocratiche venivano esercitati sui membri più deboli: il principe padre di Gertrude, nobile milanese e feudatario di Monza, aveva deciso il destino della figlia prima ancora che nascesse, ovvero aveva stabilito che si facesse monaca per non intaccare il patrimonio di famiglia, destinato interamente al primogenito. Dunque la piccola Gertrude viene educata fin da bambina inculcandole nella testa l'idea del chiostro (le vengono regalate bambole vestite da monaca, viene spesso paragonata a una "madre badessa"...), finché a sei anni viene mandata in convento per essere educata come molte sue coetanee. All'inizio la ragazza è allettata all'idea di diventare un giorno la madre superiora del monastero, ma nell'adolescenza inizia a rendersi conto che non è quella la vita che si attende e, soprattutto, che vorrebbe anche lei sposarsi e avere un'esistenza nel mondo come tutte le sue compagne. Decide allora di scrivere una lettera al padre, per comunicargli di non voler dare il suo assenso alla monacazione, ma quando rientra a casa per trascorrere un periodo di un mese fuori dal convento (come prescritto dalla regola canonica per le monacande), è accolta con freddezza da tutti i suoi familiari e posta in una sorta di isolamento che ha il fine di forzarla ad accettare di prendere il velo. La giovane Gertrude un giorno scrive un biglietto per un paggio verso cui nutre un'innocente passione, ma la carta viene intercettata da una cameriera e finisce nelle mani del padre, il quale è abile nel servirsi di questo "fallo" della ragazza per farla sentire terribilmente in colpa e forzarla a dare il suo assenso, cosa che la poverina è indotta a fare per debolezza, senso di colpa, sottomissione all'autorità del padre. Da quel momento Gertrude è indotta in ogni modo dalla famiglia ad affrettare i passi che la condurranno alla monacazione, supera il colloquio col vicario delle monache che deve esaminarla per accertare la sincerità della sua vocazione e, alla fine, prende il velo iniziando il suo noviziato nello stesso convento in cui era stata educata, godendo di ampi privilegi e venendo trattata con rispetto e considerazione come se fosse lei la badessa (carica che non può ancora esercitare per la sua giovane età). In seguito Gertrude diventa la maestra delle educande e sfoga su queste ragazze il malanimo e l'insofferenza per il destino che le è stato imposto, tiranneggiandole e diventando talvolta la loro confidente e la complice delle loro beffe; nei confronti delle altre monache prova un profondo astio, specie per quelle che a suo tempo sono state complici del padre nel costringerla ad accettare il velo. Gertrude vive in un quartiere isolato del chiostro e questo è contiguo ad una casa laica, dove vive un giovane scapestrato di nome Egidio: questi un giorno osa rivolgere il discorso alla monaca e Gertrude risponde, iniziando in seguito con lui una torbida relazione sessuale che l'autore riassume in modo molto sintetico, accennando per sommi capi anche alla sparizione di una conversa che aveva scoperto il suo segreto e che, verosimilmente, è stata assassinata da Egidio con la complicità di Gertrude (l'episodio era invece narrato con abbondanza di particolari nel Fermo e Lucia). Quando Lucia e Agnese entrano nel convento è trascorso circa un anno da questo avvenimento, e in seguito Gertrude sembra affezionarsi sinceramente alla giovane e prendersi a cuore il suo caso, offrendo dunque una protezione sicura dalla persecuzione di don Rodrigo. Il signorotto riesce tuttavia a scoprire il nascondiglio della ragazza (XVIII) e in seguito chiede l'intervento dell'innominato (XX), il quale si rivolge a sua volta proprio a Egidio che è suo compagno di scelleratezze: questi induce Gertrude a fare uscire Lucia dal convento con un pretesto, affinché i bravi dell'innominato possano rapirla e condurla al castello del potente bandito, e la monaca obbedisce anche se la proposta le sembra spaventosa e l'idea di causare danni alla ragazza le riesce intollerabile. In seguito (XXXVII) Lucia apprenderà dalla mercantessa più precisi dettagli sulla storia di Gertrude, in particolare saprà che la donna è stata accusata di atroci delitti e rinchiusa su ordine del cardinal Borromeo in un monastero a Milano, dove conduce una vita di volontari patimenti e sofferenze rispetto alla quale solo la morte potrebbe essere peggiore. Manzoni tratteggia una figura tragicamente solenne e fa di Gertrude uno dei personaggi più affascinanti del romanzo, specie nel racconto dettagliato della sua storia precedente la monacazione in cui dà prova di grande finezza e introspezione psicologica, mentre nella vicenda della relazione con Egidio e del delitto della conversa il racconto è decisamente più reticente, in accordo alla poetica dell'autore che non vuole rappresentare il male in modo diretto o in modi che possano risultare affascinanti e seducenti per il lettore (celeberrima, sotto questo aspetto, la frase con cui è spiegato l'inizio della relazione con Egidio: "Costui... un giorno osò rivolgerle il discorso. La sventurata rispose"). La vicenda di Gertrude è anche esemplare del male insito nel mondo del potere e nella stessa condizione nobiliare, poiché l'imposizione del padre nasce da motivi che riguardano il decoro aristocratico e la necessità di lasciare intatto il patrimonio, mentre alla fine Gertrude è indotta ad accettare il velo pur di non perdere quegli stessi privilegi nobiliari a cui è in fondo attaccata (il rifiuto comporterebbe il ripudio da parte della famiglia e, dunque, l'ingresso in una condizione sociale inferiore, per cui la giovane avrebbe la possibilità di sottrarsi al suo destino ma vi si abbandona perché non ha la forza di ribellarsi alle convenzioni della sua classe sociale). L’innominato È il potente bandito cui si rivolge don Rodrigo perché faccia rapire Lucia dal convento di Monza in cui è rifugiata, cosa che l'uomo ottiene grazie all'aiuto di Egidio, suo complice e amante della monaca Gertrude: in seguito a una crisi di coscienza e all'incontro decisivo col cardinal Borromeo giunge a un clamoroso pentimento, decidendo così di liberare la ragazza prigioniera nel suo castello e di mandare a monte i piani del signorotto, che dovrà successivamente lasciare il paese e andare a Milano. L'autore non fa mai il suo nome e infatti lo indica sempre col termine "innominato", dichiarando di non aver trovato documenti dell'epoca che lo citino in maniera esplicita, tuttavia la sua figura è chiaramente ispirata al personaggio storico di Francesco Bernardino Visconti, noto bandito vissuto tra XVI e XVII secolo e passato alla storia per la sua vita turbolenta e criminosa, salvo poi convertirsi ad opera proprio del cardinal Federigo. Manzoni conferma tale identificazione in una lettera a Cesare Cantù, dove allude al feudatario di Brignano Ghiaradadda come al personaggio del romanzo (in esso finzione e realtà sono abilmente mescolati, tratto comune a tutte le figure storiche che appaiono nelle vicende). Viene introdotto a partire dal cap. XVIII, quando don Rodrigo accarezza l'idea di rivolgersi a lui per tentare il rapimento di Lucia dal convento della "Signora" (obiettivo troppo al di fuori della sua portata), mentre la sua storia passata e un dettagliato ritratto del personaggio vengono riportati dall'autore nella seconda parte del cap. XIX, quando il signorotto parte alla volta del suo castello. Come personaggio vero e proprio entra in scena nel cap. XX, allorché accetta da don Rodrigo l'incarico di far rapire Lucia, anche se ci viene mostrato già preda di rimorsi e rimpianti sulla sua vita scellerata che preludono al pentimento e alla conversione dei capp. seguenti. Viene descritto come un uomo di alta statura, bruno, calvo, con pochi capelli ormai bianchi e il volto rugoso che dimostra più dei suoi sessant'anni, anche se il suo contegno e l'atteggiamento risoluto testimoniano una vigoria fisica e un'energia che sarebbero straordinari in un giovane. L'autore lo presenta come un bandito feroce e spietato, che accetta incarichi sanguinosi da mandanti anche prestigiosi e che per questo è circondato da una fama sinistra che incute terrore in tutti quelli che hanno a che fare con lui: i vari signori e tirannelli locali che vivono nel territorio che controlla (una zona a cavallo del confine tra Milanese e Bergamasco, dove è situato il suo castello e dove vive circondato da bravi) devono scendere a patti con l'innominato e diventare suoi amici, dal momento che i pochi che hanno cercato di opporsi sono stati uccisi o costretti ad andarsene. Spesso l'uomo accetta di aiutare degli oppressi vittime delle prepotenze dei nobili, il che lo rende esecutore di quella giustizia che lo Stato corrotto e inefficiente non è in grado di assicurare ai deboli; la sua figura acquista dunque una sorta di imponenza tragica e di grandiosa malvagità che lo rendono uno dei personaggi più interessanti del romanzo, specie se accostato a don Rodrigo che, al suo confronto, appare come un individuo ben più modesto e mediocre, anche perché l'innominato si compiace della sua reputazione famigerata e si propone come un nemico pubblico delle leggi e di ogni autorità costituita, mentre il signorotto ricerca continuamente l'appoggio della giustizia e degli amici potenti, mostrando in più di un caso il timore delle conseguenze delle sue malefatte. L'intervento dell'innominato nelle vicende del romanzo è del resto decisivo, poiché con la liberazione di Lucia i disegni di don Rodrigo vanno a monte e il bene inizia a prevalere sul male, mentre la sua clamorosa conversione diventa un esempio della misericordia divina che è anche tra le pagine più celebri del romanzo, nonché una vicenda umana di caduta e redenzione simile a quella di altri personaggi manzoniani, soprattutto padre Cristoforo (convertitosi anch'egli dopo essersi macchiato di un omicidio e dopo una giovinezza inquieta in parte simile a quella del bandito). In seguito alla conversione l'innominato tiene con sé solo i bravi che accettano la sua nuova vita, mentre egli va in giro senz'armi e si propone come un difensore di deboli e oppressi, non però con i metodi della violenza usati in passato; gli antichi nemici rinunciano a vendicare i torti subìti per rispetto e perché ancora intimoriti da lui, mentre la pubblica autorità non prende nei suoi riguardi alcun provvedimento, specie perché le sue parentele altolocate ora gli valgono una protezione prima solo accennata. Egli mantiene una corrispondenza col cardinal Borromeo, l'artefice in qualche modo del suo ravvedimento, e fa avere per il suo tramite cento scudi d'oro ad Agnese come risarcimento per il male fatto alla figlia, che la donna accetta e di cui manda la metà a Renzo che nel frattempo si è nascosto nel Bergamasco; in occasione poi della calata dei lanzichenecchi (capp. XXIX-XXX)
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