Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Pescatori di uomini - Predicatori e piazze alla fine del Medioevo, Sintesi del corso di Storia Medievale

Riassunto dell'interno libro divisi accuratamente per capitoli e sezioni

Tipologia: Sintesi del corso

2023/2024

In vendita dal 03/03/2024

sonia-ricchetti-1
sonia-ricchetti-1 🇮🇹

4.7

(7)

18 documenti

1 / 17

Toggle sidebar

Spesso scaricati insieme


Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Pescatori di uomini - Predicatori e piazze alla fine del Medioevo e più Sintesi del corso in PDF di Storia Medievale solo su Docsity! PESCATORI DI UOMINI – Predicatori e piazze alla fine del Medioevo Uno degli scopri del libro è ribadire che l’importanza della comunicazione non è una scoperta recente, alcuni fenomeni mediatici risalgono più indietro di quanto solitamente si riconosca. Il libro parla della storia dei predicatori medievali come comunicatori e la loro relazione con le folle di cui condizionavano i comportamenti, cosa che poteva generare sia buoni frutti che riserve. Già nel XV secolo si coglie una differenza di giudizio tra dotti e popolani nella valutazione dell’opera dei predicatori, i quali facevano leva anche sulle paure ricorrendo anche ad effetti speciali. Il ricatto della paura era una cosa che funzionava da sempre. Lo scopo di questi uomini era realizzare un modello di società cristiana dai comportamenti virtuosi e solidaristici, ma ciò non avvenne senza contraddizioni. I predicatori lottarono contro le superstizioni ma non esitarono a introdurre devozioni a loro volta superstiziose. Per vincere la guerra alle usure inventarono un istituto accusato da altri religiosi di essere a sua volta usuraio. Ma da quei secoli non c’è ragione di pretendere coerenze. In quei secoli si possono cercare le origini di forme religiose e strategie comunicative che sembrano aver caratterizzato nel lungo periodo l’arca italiana. La predicazione italiana era caratterizzata dall’impiego della voce ma anche del corpo, cosa che suggestionava il pubblico ma non convinceva alcuni umanisti. Ci furono critiche anche allo stile comunicativo degli oratori laici. I signori e le autorità cittadine temevano i predicatori quando questi intervenivano a favore di politiche che confliggevano con le loro, come nel caso del rapporto dei Medici con gli ebrei. Li si temeva per il quinto potere, quello della comunicazione, basato su abilità personali ma anche ancorato a un sapere sistematizzato. Un potere che usava la Chiesa per saldare i legami con i fedeli ma anche per ragioni politiche. Se ne avvalevano però anche i signori delle città per superare le divisioni interne. I predicatori furono sia alleati del potere politico che avversari, i quei casi il predicatore doveva ricorrere ai ripari o i signori dovevano rivedere le loro posizioni. Con uomini come Bernardino da Siena, Giovanni da Capestrano o Roberto Caracciolo da Lecce la forza del sacro non era più collocata al di là dell’attore ma appariva direttamente collegata ad esso. I predicatori avevano un ruolo di assoluta rilevanza nelle piazze per convincere le folle, erano artefici di interventi sulla vita cittadina (soggetti politici a tutti gli effetti). Essi dovevano istruire ed ammonire ma anche stimolare all’azione facendo della parola uno strumento di intervento sulla società. Convincere famiglie avversarie a tregue o addirittura a paci richiedeva un’enorme forza persuasiva, capacità non inferiore a quella che oggi si mette in campo per catturare il voto degli elettori. Prima e dopo il passaggio dei predicatori, il paesaggio istituzionale urbano e il clima morale non erano più gli stessi. Si apre una nuova fase storica che cominciò a delinearsi nel XIII secolo con Francesco e il diffondersi della predicazione itinerante, la scelta di operare nelle città e la cura alla relazione col pubblico. Una scelta che prevedeva l’adattamento del discorso agli uditori. La predicazione fu rilevante non solo per la storia della parola cristiana ma per la parola tout court, da qui l’importanza nella guida dei comportamenti e nella formazione delle coscienze e delle opinioni. Un processo che proseguì con Girolamo Savonarola e nell’età moderna dove fu ancora più urgente il bisogno di concretezza. Quando la predicazione divenne un evento di massa, le masse determinarono o disfarono le fortune. Quanto più i predicatori erano severi e minacciosi tanto più godevano del favore delle piazze dove erano delle vere e proprie stelle. I predicatori non furono visti come manipolatori, non ebbero nessuna accusa di manovrare le masse. I predicatori professionisti della comunicazione però, non furono i soli ad agire sulle folle poiché vi erano anche i concionatori. Al centro di questo studio c’è la “pesca all’amo” praticata dai predicatori attraverso un uso sapiente ed efficace della parola, intesa come strumento comunicativo capace di generare consenso. CAPITOLO PRIMO Come si fa una predica Lo scenario della predica: non esiste oratore senza pubblico, pena l’inutilità e il ridicolo. Per questo per le prediche si sceglievano le città popolose e la piazza, postazione ideale per i comunicatori. La rinascita urbana si manifesta a partire dal X-XI secolo ed è a partire da quel periodo che si è posto il problema di predicare al popolo in modo da essere compresi da tutti. Dalla metà del IX e XI secolo si è predicato male e poco finché con uno stile quasi concionatorio Francesco nella piazza di Bologna nel 1222 impiegò parole e modi capaci di conquistare il maggior numero di persone possibile. Una volta affermatosi il principio della necessità della predicazione, i vescovi non erano in grado si assicurarne sempre l’esercizio, così gli Ordini mendicanti agirono in questo campo in regime quasi di monopolio. Entrarono nelle città abbandonando la vita eremitica perché era necessario esserci per ammaestrare e salvare i popoli, non solo sé stessi. In città un solo uomo poteva convincere al bene centinaia o migliaia di persone, una sorta di assedio francescano della città ad opera di un movimento che si caratterizzava per posizioni antiurbane alle origini. Il fine principale della predicazione era insegnare, la predicazione è un insegnamento pubblico e collettivo dei costumi della fede. Chi predicava doveva parlare dei costumi ma anche provocare concreti effetti, per questi si doveva dotare di strumenti e metodi utili per impressionare a tal punto da incidere sul piano della concretezza lasciando segni tangibili. Gli uditori di una predica costituivano una folla di cittadini; infatti, il progetto sotteso alle artes praedicandi del XIII secolo richiedeva già un’attenta valutazione del pubblico al quale ci si intendeva rivolgere. Per avere un’azione efficace, secondo Bernardino da Sina si doveva parlare “chiarozzo chiarozzo”. Questo era uno dei fondamenti della retorica bernardiana che persegue la comprensibilità attraverso la scelta di vocaboli e l’essenzialità del messaggio. Ma si poteva ricorrere anche ad esempi alla portata di tutti. Bernardino da Siena era consapevole del sistema della retorica e delle sue regole, sapeva che il discorso per essere efficace e dar luogo alla persuasione doveva essere dotato di alcune virtù, tra cui la perspicuitas (la comprensibilità intellettuale, condizione preliminare della credibilità). In pieno Trecento si ricorre al volgare nelle prediche, anche se dal concilio di Tours dell’813 era stato dato l’ordine ai vescovi di predicare in volgare per essere capiti da tutti. I più celebri predicatori del Due e Trecento predicarono in volgare anche se la maggior parte delle prediche continuò ad essere documentata in latino. Il primo predicatore che ha steso in volgare il frutto della propria predicazione in volgare fu Roberto Caracciolo da Lecce. Grazie alla stampa la sua opera divenne un best seller che raggiunse un vasto pubblico sia in Italia che fuori. Dicitore e Uditore: quando Bernardino da Siena si rivolgeva al suo pubblico con parole chiare e gesti era perfettamente conscio di predicare il Vangelo in modo non tradizionale e sapeva di non essere il primo ad allontanarsi dalla tradizione. Quando tenne la predica nella quale parlò del predicatore e dell’uditore, aveva alle spalle secoli di elaborazione del tema del rapporto tra il predicatore e il suo pubblico ma anche l’esperienza di Giordano da Pisa. Il dicitore era l’uomo autorizzato a fare la predica ma anche colui che sapeva farla, ma il suo operato sarebbe stato inutile senza un uditore disposto a imparare. Svelando i segreti della predicazione, Bernardino da Siena voleva fare con questa predica degli uditori in ammaestratori. La promessa era sia eccessiva che scandalosa poiché ad ascoltarlo vi erano anche le donne, le quali non potevano prendere parola in pubblico. Anche questa idea non fu del tutto nuova, già le donne erano state definite predicatrici anche se unicamente nei confronti dei loro uomini. La promessa di Bernardino di fare delle donne delle predicatrici era per attrarre un pubblico più vasto ed ammaestrarle, poiché erano ritenute più facilmente convincibili e inclini alla cedevolezza e il peccato. Bernardino dice nella predica che i predicatori sono obbligati a tre cose: 1. Altezza di vita: il predicatore doveva evitare riferimenti diretti a persone e doveva comportarsi in modo da essere al di sopra di ogni sospetto. Doveva scansare ogni adesione a posizioni in odor di eresia e rifuggire la calunnia. Doveva vivere in conformità ai principi che sosteneva evitando di insegnar bene e vivere male. 2. Chiarezza di dottrina 3. Onore di Dio Secondo Bernardino, la parola del predicatore sapiente doveva illuminare la mente per fa conoscere quello che doveva essere messo in opera come il sole ha splendore, calore e vigore. Anche la predicazione doveva possedere questi attributi. Uno splendore illuminante, dimostrante, dichiarante, decorante; un calore vivificante, cibante, consolante (o dilettante) e infiammante; un vigore conterente, difensante, fruttificante e glorificante. Conterente significa ammorbidente e con esso il frate alluda al fatto che le parole possono agire sugli animi come agisce il fuoco sulla pietra trasformata in calcina dalle fiamme. La luce della parola: durante questa predica sulla predicazione, Bernardino si interruppe all’improvviso per sferrare un attacco severo a due donne che si erano addormentate mentre parlava. Queste, dormendo, rendevano inutile lo sforzo di Bernardino, il quale aveva investito in quella predica. Un investimento impegnativo anche dal punto di vista fisico poiché le prediche duravano ore e mettevano a dura prova la resistenza sia del predicatore che dell’uditorio. Egli rivendica poi l’insostituibilità della predicazione e della parola parlata, una posizione che può sembrare contradditoria dato che il cristianesimo è la “religione del libro”. La posizione di Bernardino da Siena si ricollegava a quanto asserito da Tommaso d’Aquino secondo cui l’insegnamento di Cristo non fu scritto da Cristo ma dai suoi discepoli. Affermare il primato della predicazione significava tornare alla Chiesa primitiva e a Cristo. La rivendicazione di questo primato significava ripristinare la vita evangelica e tornare alla Regola di san Francesco. Durante le sue prediche, Bernardino usava apostrofare il suo pubblico, sollecitarlo, renderlo partecipe. Inscenava dialoghi e contradditori che vivacizzavano il suo dire usando anche pause ad effetto. Il guadagno di chi ascolta: la predicazione doveva illuminare la mente ed essere dotata di splendore illuminante, dimostrante, dichiarante e decorante. Lo splendore era dichiarante quando la parola predicata recava lume poiché aiutava a riconoscere il buono e il male, decorante perché ornava l’anima di chiarezza. Quattro erano anche le forme del calore: vivificante, cibante, dilettante (o consolante) e infiammante. Vivificante perché si faceva utile ma solo de davvero udito. Per consentire a tutti di godere del calore vivificante della predica, Bernardino suggerisce alle autorità di emanare un bando per chiudere le attività durante l’evento, in molti casi questo fu promulgato. Le attività potevano essere sospese perché stava nell’andare a udire la parola di Dio il vero guadagno. I predicatori usavano anche un vocabolario proprio al mondo degli affari e degli scambi per discutere della vera ricchezza e denunciare come falsa ricchezza quella che non va a beneficio della collettività. In molti sermoni si ritrova la condanna di chi accumula sterilmente e il richiamo al valore della povertà volontaria scelta in quanto investimento fruttuoso. Adottare il lessico dei mercanti comportava il riconoscimento di quel mondo e di come funzionasse. Alla storiografia sono noti i riferimenti dei predicatori alla vita terrena come occasione di investimento per quella ultraterrena, il peccatore era come un cattivo contabile che aveva anteposto i piaceri immediati a quelli duraturi. I riferimenti di Bernardino da Siena al mondo dei mercanti sono numerosi, come nel suo adeguatamente l’evento e rendere più forte la presa. Fra i pericoli di questo mestiere vi era quello dell’esposizione alla critica in quanto i predicatori operavano in pubblico, qui dovevano ricorrere alla pazienza. Per essere efficace la parola del predicatore doveva però arrivare ad ascoltatori solleciti, devoti ed umili. Da questo pubblico ideale stavano fuori coloro che non ascoltavano per intero la predica o coloro che non volevano seguire le prediche che si tenevano nei giorni feriali. Ma anche in questi casi, i predicatori dovevano tollerare l’assenza. Il pubblico doveva essere sollecito poiché avrebbe sentito l’obbligo di tradurre la predica in opere. Il mestiere del predicatore dava luogo a formidabili carriere, cosa che poteva indurre ad accrescere la fama per vanità. Per questo anche la Caritas era una virtù necessaria per non cadere vittima di questa tentazione propria del mestiere. Pescatori di Monete: fra i predicatori c’erano anche uomini attratti dalla vanagloria e altri agivano spinti dall’avidità. Bernardino da Siena mise in guardia il suo pubblico dai cattivi predicatori fornendo la lista dei criteri distintivi: è dall’avidità di ricchezze che si distingue il cattivo dal buon predicatore. Ciò lo troviamo anche nel Decameron con la novella di frate Cipolla. Come frate Cipolla, i falsi predicatori riuscivano con parole magnifiche pronunciate con enfasi a dire cose banali ma in forma tale da cadere sugli uditori come preziose. Il caso narrato dal Boccaccio richiama quanto si legge nella cronaca di Parma del frate minore Salimbene de Adam che parla delle false reliquie di Alberto (un peccatore alla cui morte si generò la fama che facesse miracoli). Uno spicchio d’aglio fu venduto come sua reliquia, si era caduti nel tranello anche per il lucro che i vescovi e canonici derivavano dalla venerazione di quelle reliquie, cosa contraria alla stessa Chiesa poiché era vietato venerare coloro che non erano stati inseriti nella lista dei santi. La novellistica fonda molte storie sui predicatori imbroglioni. In più occasioni Bernardino da Siena ha messo in guardia i fedeli contro i falsi predicatori e le reliquie fasulle criticando anche l’atteggiamento credulo e la cattiva religione di quanti erano disposti a farsi raggirare. Anche Roberto Caracciolo da Lecce testimonia l’opera efficace di predicatori pronti a ricorrere a qualsiasi mezzo pur di attrarre un folto pubblico quando riferendo di un certo Antonio e le sue profezie apocalittiche. Queste però erano a breve termine e mostrarono immediatamente i propri limiti. La cronachistica conferma ciò che spesso la novellistica mette in burla. Se l’avidità metteva in evidenza i cattivi predicatori, l’umiltà costituiva una delle prove della buona rivelazione. Ad andar per piazze a sentire i predicatori poteva capitare di incontrare superbi visionari e imparare le regole per distinguere le rivelazioni buone da quelle cattive. Secondo Bernardino da Feltre, le cattive si riconoscono perché hanno come fine il denaro. Sollecitudine, preparazione, memoria: la predica sulla predica di Bernardino da Siena dura due giorni e la seconda puntata ha luogo lunedì 18 agosto nonostante il suo cattivo stato di salute dichiarato superato. Il tema della seconda puntata riguarda la necessità di lasciare il male ed abbracciare il bene, un tema che si intreccia con quello dell’utilità della predicazione. Bernardino lamenta che i senesi non hanno fatto ciò che ci si aspettava da loro ovvero rinunciare al gioco e le sodomie. Bernardino esamina i suoi concittadini e ne conclude che non si sono regolati come i perugini, aditati a modello, avviando a una sorta di gara di virtù. Parla anche del caso di Roma informandoci che inizialmente ebbe una cattiva accoglienza trasformatasi in gradimento proprio grazie alle sue parole. Egli fa poi delle considerazioni sull’udire bene, il tenerlo a mente e l’operarlo. Fu una lezione di mnemotecnica. Si doveva per prima cosa udire la predica per intero e con ordine e sollecitudine. Il predicatore, una volta costruita una fitta trama di parole, doveva attirare e mantenere l’attenzione del pubblico conoscendone caratteristiche e gusti. Al predicatore spettava tener vivo l’interesse dell’uditore ma anche questo doveva fare la sua parte mostrando sollecitudine e dotandosi di un’adeguata preparazione alla predica. Per impedire distrazioni e sguardi verso il sesso opposto, si usava stendere un lungo telone che separava gli uomini dalle donne come è testimoniato dall’iconografia. Questo perché c’era chi andava alle prediche per udire la parola di Dio e chi coglieva l’occasione per mostrarsi e socializzare, specie le donne che non avevano molte altre opportunità di uscire di casa. Il telone era a salvaguardia del corretto uso della predica. Per sottrarre le più giovani dai vizi e salvare per loro tramite anche i rispettivi mariti, Bernardino da Siena raccomandava alle madri di portare alla predica le figlie pronto a difendere la loro virtù facendo stendere il telone. Una volta indotti uomini e donne a presenziare alla predica, occorreva mantenere vigile l’attenzione. Era necessario che il pubblico non perdesse nemmeno una parola, la predica andava ascoltata con la massima attenzione ma anche pensata, ripensata, ruminata e digerita. Rielaborare e ripetere aiutava a introiettare i contenuti, ma anche metterli per iscritto era utile. Quanto si era appreso dalla predica andava ricordato e diffuso per rendere partecipi del contenuto il maggior numero di persone, un compito suggerito alle donne che erano chiacchierone per definizione. Per far conoscere la parola di Dio il predicatore proponeva una sorta di passaparola, una forma di diffusione attiva dei contenuti. Agli uomini consigliava di parlarne a lavoro. La loquacità delle donne veniva trasformata in virtù. La predica padovana di Roberto Carracciolo da Lecce del 27 dicembre 1450 incentrata sulle caratteristiche del buon predicatore e del buon uditore aveva come tema l’attenzione. Il buon uditore doveva ascoltare devotamente e non partecipare tanto per. Essere solleciti comportava non arrivare a predica iniziata e non andare solo nei giorni festivi. All'attenzione giovava la ruminacio, quanto udito e appreso andava comunicato e messo in opera. Immagini e azioni: a tener desta l’attenzione e a fissare il ricordo potevano essere utili le immagini. Come il monogramma col nome di Gesù inventato da Bernardino da Siena o La tabula della Salute di Marco da Montegallo. I concetti espressi in parole potevano risultare rafforzati e meglio compresi grazie a immagini efficaci. La tabula della salute presentava una salute sia fisica che spirituale. Marco da Montegallo predicava la carità e la penitenza dando vita al primo Monte di Pietà a lui attribuito. Egli era un uomo aperto alle novità e intuì fra i primi l’opportunità di usare a supporto delle parole le immagini. Adottò la figura della vita eterna per meglio comunicare con il suo pubblico. Il suo discorso era finalizzato alla creazione dei Monti e trova traduzione in un’efficace rappresentazione iconografica raffigurante la centralità del Monte nella vita della collettività cristiana. Alla base ci sono uomini e donne in atto di ascoltare le parole del frate che predicando dal pulpito indica il Monte. Nella fascia centrale sono illustrati i modi per giungere alla vita eterna indicata nella creazione di un Monte. Ci sono anche alcuni uomini chiusi in gabbia, probabilmente in prigione a causa delle usure. Un'immagine come questa che allude ai danni sociali delle usure e indica la via per uscirne era efficace quanto (se non più) delle parole del predicatore, inoltre era anche facilmente memorizzabile. Per gli stendardi usati dai predicatori era ricorrente il Cristo in pietà, un chiaro e facile invito a partecipare al dolore altrui. Nel 1462 fu fondato a Perugia il primo vero Monte di pietà e la rappresentazione di Cristo costituì il logo di questa istituzione così come la rappresentazione di Cristo vivo con la corona di spine e consegnato alla folla. Si tratta di immagini così drammatiche e commoventi che aiutavano efficacemente le parole dei predicatori impegnati a dar vita ai Monti di pietà. Fra i temi iconografici della fine del Medioevo proprio quello della Pietà occupa una posizione privilegiata. Il caso dei Monti spiega con chiarezza come i predicatori fossero consapevoli del ruolo delle immagini nell’attirare l’attenzione e commuovere gli animi. Per suscitare emozioni le parole venivano spesso accompagnate dall’esposizione di immagini o da gesti che inducessero sentimenti forti. Si potevano anche esibire teschi o c’erano uomini sotto il pulpito che creavano effetti sonori, poteva funzionare anche predicare al cimitero o far partecipare un morto alla predica. Parole efficaci, suggestive, minacciose: il condizionamento del pubblico sul predicatore e del predicatore sul pubblico era bidirezionale. Il predicatore faceva leva su sentimenti che oggi ci paiono eccessivi ma governavano gli uomini e le donne di quei tempi, capaci di emozioni diverse dalle nostre. La predicazione riflette questa sensibilità e vi si adegua, infatti usava la paura per ottenere i suoi scopi. Nella predica sulle divisioni e parzialità tenuta da Bernardino da Siena sul Campo di Siena nel 1427 egli impiegò parole assai crude sui mali che nascono dalle divisioni, arrivando a narrare atti cannibaleschi. Il turbamento era perseguito non solo con le parole ma anche attraverso l’esibizione di oggetti dal forte potere evocativo come il teschio e la croce di Giovanni da Capestrano. Era lo stesso pubblico a chiedere di essere appassionato e coinvolto anche da minacce. I predicatori miravano dritto al cuore degli uomini per modificarne i comportamenti. Gli uditori meno avvertiti potevano tornare dalla predica turbati o confusi. Un predicatore come Bernardino da Siena possedeva l’intera gamma dell’eloquenza e disponeva i piani diversi del discorso nella loro giusta prospettiva creando un’efficace relazione col pubblico. Quest'ultimo faceva la sua parte nella relazione quando scattava quel contatto che rendeva convincenti le parole del predicatore e dava ad esse risonanza e forza per trasformarle in consapevolezza e in qualche caso in azione nel nome di un comune sentimento. Sul pubblico al quale venivano indirizzate minacce terribili e sciagure in caso di inosservanza delle raccomandazioni del predicatore, sciagure come la peste. Le epidemie ricorrenti venivano interpretate come una terribile conseguenza del peccato e della mancata ubbidienza ai richiami del predicatore. Le minacce dei predicatori spaventavano e spesso i loro pronostici arrivavano. I balli erano spesso oggetto di biasimo da parte dei predicatori, che conoscevano la passione del loro pubblico per le attività giullaresche. Nelle prediche del Carracciolo del 1451 un motivo ricorrente è quello della peste, una minaccia efficace per via della tremenda esperienza che molti avevano della malattia. C'era anche il pericolo dei turchi, un’autentica minaccia nei territori della Repubblica veneta e Roberto da Caracciolo fu proprio inviato in Veneto per promuovere una crociata contro di loro. I frutti della predica: i frutti che il buon predicatore poteva cogliere erano di ordine diverso e coincidevano con i benefici per i fedeli-ascoltatori, vantaggi sia per il singolo che per l’insieme dei cittadini come la pacificazione della città e la promozione di conversioni (queste utili sia alla salvezza spirituale di chi sceglieva di abbandonare il mondo che all’acquisizione da parte della Chiesa di nuove forze). L’albero di Bernardino da Siena ha prodotto frutti copiosi e formidabili promuovendo importanti mutamenti nelle persone ma anche nelle istituzioni. Dopo di lui l’Osservanza non fu più la stessa e così la forma predicatoria. Gli osservanti inizialmente erano solo 150 sparsi nei vari conventi, con Bernardino si unirono altre 400 persone. Dopo la morte di Bernardino da Siena arrivarono a 4000. Gli Statuti di Perugia del 1425 hanno preso da lui il nome, in quell’occasione quello che i predicatori sostenevano per estirpare gravi peccati venne normato in 15 rubriche che riguardavano il gioco, la bestemmia, la sodomia, l’usura e altro. Per Bernardino tutte le attività che ruotavano attorno al gioco erano nocive e inutili. Le prediche di Bernardino da Feltre a Venezia fecero sospendere la pubblica baratteria del Rialto dove si giocava. Bernardino da Feltre era contro i consumi eccessivi e pro la creazione di un servizio creditizio cristiano a vantaggio dei poveri non poverissimi (coloro che potevano aspirare a una soluzione dei loro bisogni diversa dalla beneficenza). I predicatori non cancellarono né il desiderio né l’uso di possedere belle vesti o imbandire banchetti ma riuscirono nello scopo di ispirare leggi limitative. Non sempre i predicatori riuscirono nel loro intento di contenere lussi e vanità o dare piena soddisfazione alla domanda di piccolo credito, ma crearono una coscienza del consumo e dimostrarono la possibilità di coniugare le esigenze economiche con i principi etici. Il caso di Savonarola fu singolare perché portò a Firenze una modificazione di regime che passò da Mediceo a popolare, ma finì col frate bruciato sul rogo. Fu un importantissimo esperimento politico, le prediche sono state per Savonarola lo strumento per far conoscere il suo progetto politico. Alla predica, volta a giustificare il governo popolare come opera di Dio, fu presente la Signoria e ciò segnò il culmine dell’influenza del frate ma anche l’inizio del declino. Il potere della comunicazione: i predicatori ispirarono nuove regolamentazioni delle vecchie leggi, suscitarono dubbi nei riguardi di chi (come gli ebrei) aveva convissuto a lungo con gli altri cittadini in armonia, lottarono contro le eresie o si opposero al pericolo ottomano. Prima e dopo il passaggio dei predicatori il clima morale e il paesaggio delle istituzioni appariva mutato, era la prova di un potere reale che consisteva nella capacità di convincere e indurre all’azione. L'azione dei predicatori si svolgeva nell’ambito perimetrato delle autorità ecclesiastiche ma il campo di competenza (il rapporto con le masse) era agito in autonomia e con risultati non sempre previsti o controllabili. Gli obiettivi venivano raggiunti in forza della capacità persuasiva grazie al potere della comunicazione, un potere al servizio della Chiesa e in linea con quello politico locale ma anche dotato di gradi di autonomia strettamente connessi alle individualità dei singoli. Pur operando in molti casi a partire da una iniziale committenza civile e intervenendo su richiesta del pontefice, dimostrarono di avere un loro potere riconosciuto e quindi anche contrastato. I predicatori erano consapevoli del loro potere e anche le autorità politiche che arrivarono a chiedere a Bernardino da Feltre di non predicare a Firenze. Il loro dominio delle piazze attraeva ma insieme impauriva proprio perché non si limitavano a campagne di moralizzazione ma promuovevano anche interventi concreti e coordinati per la realizzazione del bene comune. Si registrarono coincidenze d’intenti con le autorità politiche cittadine ma anche divergenze stridenti come quella sugli ebrei. Le città in molti casi si opposero alla rottura con gli ebrei e vennero conservati i banchi ebraici anche una volta fondato il Monte, ma sta di fatto che nessun Monte sarebbe nato senza l’intervento dei predicatori specie in città dove l’interesse per il nuovo istituto era debole. Passioni e consuetudini sono sempre state difficili da modificare ma in molti casi i predicatori ci riuscirono. Fu difficile per i predicatori imporsi in caso di conflitto con le autorità cittadine. Se non era scontata l’alleanza con le autorità politiche locali, è comunque assodata l’opera di disciplinamento morale e sociale svolta dai predicatori proprio valendosi dell’indiscussa capacità di comunicare. Un ulteriore forma di potere all’interno della dialettica fra i poteri appare funzionale a un disegno di mediazione all’interno del conflitto secolare tra Chiesa e Stato. I predicatori hanno contribuito anche a quella convergenza-confusione tra Stato e Chiesa. Nelle città perseguivano la politica del buono, l’idea dell’equivalenza fra buon cristiano e buon cittadino, nella compresenza di quel duplice piano di norme (diritto positivo e consuetudine etica) che ha costituito il respiro di tutta la civiltà giuridica occidentale. CAPITOLO SECONDO La Parola in Piazza La tavoletta col nome di Gesù: verso la fine della sua vita quando, già infermo, Francesco tenne una predica a Chiara e alle sue consorelle che interpreta e riassume il valore dei gesti in questo campo. Fu una predica muta, capolavoro di mimica. Però a lungo e in silenzio, si fece portare della cenere e ne sparse un po’ intorno a sé e se ne gettò un po’ in testa, poi se ne andò rapidamente. Le suore tardarono a comprendere il significato dei suoi gesti, con i quali san Francesco voleva ricordare che gli uomini sono semplicemente cenere. Il Medioevo ha ricevuto in eredità dal mondo classico un modello di Il contatto fisico col predicatore: molti volevano toccare il predicatore di grande fama o sfiorare con le dita (o con le labbra) qualche oggetto di culto a lui legato. Lo si faceva sia per omaggio che per la speranza di ricavare qualche vantaggio spirituale. Nel caso della predica di San Francesco a Bologna nel 1222 uomini e donne fecero a gara per riuscire a toccare la sua tunica o strapparne un lembo per possedere una reliquia. A volte i poveri e i malati non si rivolgevano a santi cittadini ma a coloro che possedevano le reliquie, ciò dimostra che la credenza nelle validità di un intercessore non seguiva vie gerarchiche o strade prestabilite ma si basava sulla fiducia personale riposta in qualcosa che si poteva toccare. Spesso la folla che voleva toccare i predicatori portò a doverli proteggere; tuttavia, Bernardino non voleva essere accompagnato forse per timore di rendere ancor più visibile il suo seguito richiamando l’attenzione di autorità cittadine con le quali non ebbe sempre rapporti felici, o magari per non dare alimento a una sorta di culto nei suoi riguardi che avrebbe generato e accresciuti critiche ed invidie. Se molti, incontrandolo, si inginocchiavano per farsi benedire, erano ancor più numerosi quanti portavano i bambini alla benedizione. Era frequente che si formasse un corteo di persone disposte a seguire il predicatore per un lungo tratto di strada quando lasciava una città o desiderose di andargli incontro quando si avvicinava a piedi. Quando Bernardino da Feltre morì il popolo accorse al convento in cui si trovava per vederlo e toccarlo. Il riso: i gesti potevano impressionare e indurre al pianto ma anche suscitare il riso e l’abilità del predicatore era ancor più grande se riusciva a suscitare nello stesso tempo pianto e riso. Girolamo Morlini riporta una novella raccontata a Roberto Caracciolo da Lecce, le cui abilità oratorie erano proverbiali tra i contemporanei. La novella narra di un monaco molto scaltro il quale annunciò pubblicamente che avrebbe fatto in modo da indurre i presenti a ridere e piangere insieme. Parlò della Passione del Signore in modo così pio che molti scoppiarono in lacrime ma poi mostrò le sue parti basse in modo da suscitare il riso. Il predicatore che prova gusto e trae vanto dal suscitare riso nel suo pubblico è trattato con severità nelle terzine dantesche, dove si legge che il cappuccio del predicatore si gonfia per la vanagloria e lì sotto si annida il diavolo. Era tutt’altro che inusuale la presenza dell’elemento comico nei sermoni poiché, come insegnava Aristotele, l’uomo è per natura un risibile animal. La posizione della Chiesa difronte al riso mutò nel tempo. Nel mondo cristiano si sviluppò il fenomeno delle risus paschalis, ovvero nelle festività pasquali il sacerdote doveva far ridere in chiesa, una tradizione che durò quasi 800 anni (una forma di sintonia con la gioia della resurrezione). Ci sono testimonianze di chi riteneva questo fenomeno sconveniente, ma il riso serviva per tenere l’attenzione degli uditori. Il riso trova per questo la sua cittadinanza nella predicazione poiché il ridiculum ha la proprietà di stabilire una sorta di patto in forma di solidarietà tra chi lo suscita e le persone in cui è suscitato ma richiede anche un uso prudente e sapiente del registro da parte dell’oratore. Nei primi secoli del cristianesimo l’ideale fu quello di un contegno grave e apatico, importante per il cambiamento fu il ruolo di San Francesco che ruppe con la spiritualità monastica e privilegiò il riso proponendo ai suoi frati e a tutti i cristiani un atteggiamento anche ludico. Segno e strumento di questa modificazione furono gli exempla, storie che i predicatori spesso usavano per mantenere l’attenzione e spezzare l’esposizione dottrinale, rendendo più efficace il discorso. Molti fra gli exempla dei predicatori inducevano al sorriso grazie a storie spesso aggressive e qualche volta crudeli che frequentemente avevano le donne come protagoniste e collegate a un’immagine negativa del sesso femminile. Queste storie nascevano da stereotipi condivisi ed erano su categorie intorno alle quali valeva un’opinione comune come la cedevolezza e vanità delle donne. È stato osservato che i frati mendicanti scorsero nel riso una nuova opportunità in un’architettura di strategia pastorale di persuasione inedita rispetto al tradizionale catechismo della paura. Per dotare i predicatori di questo indispensabile strumento utile a tener vigile l’attenzione, vennero compilate raccolte di exempla dalle quali i predicatori potevano pescare gli aneddoti che più convenivano al tema, molti furono tradotti in volgare. Bernardino da Siena ha utilizzato ampiamente gli exempla. Ciò che faceva ridere allora però non è detto che farebbe ridere anche oggi perché il riso è un fatto culturale e dipende da un contesto generale, rimanda alla coscienza e alla sensibilità e disposizioni d’animo degli uomini nelle diverse civiltà ed epoche storiche. Le storie degli exempla rimandavano sempre a messaggi religiosi, per esempio quella dell’uomo che per lavoro svuotava latrine e svenne per i buoni profumi davanti a un negozio di spezie. Per risvegliarlo dovettero fargli annusare dello sterco. Il messaggio è che chi si abitua a stare nel peccato non sopporta l’idea di uscirne. Alcuni exempla che riguardano le donne rivelano pregiudizi diffusi e opinioni prevalenti sul modo più opportuno di trattarle. Dall'omiletica e le sue venature umoristiche e satiriche si originarono le rappresentazioni drammatiche. Tra pergamo e palcoscenico: Per colpire le folle, Bernardino da Siena faceva leva sulla parola, sui gesti e sulle sensazioni che riusciva a suscitare usando con abilità parole e immagini e coinvolgendo sensi come l’udito, il tatto o il gusto. Nel 1427 predicò sulla pace e la guerra, qui invitò il pubblico a sentire fisicamente la dolcezza che la parola di pace dà alle labbra. Il corpo del predicatore e quello degli ascoltatori erano direttamente coinvolti dall’esperienza predicatoria tramite l’evocazione di sensazioni fisiche. È noto che non pochi predicatori usarono strumenti ed artifici propriamente teatrali. Il rapporto tra la predicazione e la rappresentazione teatrale si è realizzato in vere e proprie contaminazioni fra i due ambiti, cosa che fu chiamata “sermoni semidrammatici” nei quali il predicatore inseriva rappresentazioni drammatiche allo scopo di commuovere il pubblico. L'effetto suscitato dalle parole e dai gesti poteva durare per ore e perfino per un’intera giornata. Ci furono anche processioni-spettacolo molto coinvolgenti e assai efficaci per raggiungere il risultato sperato dal predicatore, spesso con l’obiettivo di commuovere e indurre a generose offerte ai Monti di pietà (tanto che ci fu il caso dell’esibizione di una grande macchina teatrale a forma di Monte). Il rapporto tra predicazione e rappresentazione si fa più evidente quando si drammatizzano gli exempla ripresi direttamente dalla predicazione. Tutto ciò ci mostra come l’ammaestramento del pubblico non doveva avvenire necessariamente con la monotonia o la pedanteria ma anche col diletto e la commozione. Bernardino da Siena ricorreva a rappresentazioni prossime al genere teatrale quando la materia predicata risultava particolarmente adatta a questo trattamento come nei casi del Figliol prodigo, la Samaritana, Lazzaro. L’intrusione di elementi spettacolari nei rituali religiosi fu anche oggetto di biasimo, alcuni ritenevano esagerata la ricerca esagerata dell’effetto scenico nelle processioni come quella di Firenze. Anche i componimenti poetici potevano servire ad accompagnare e sostenere iniziative come la creazione del Monte, questi venivano rappresentati e coinvolgevano un gran numero di persone. La predicazione a volte era lo sfondo per attacchi agli ebrei ma a volte li induceva alla conversione, in alcuni casi il neoconvertito si trasformava in un buon predicatore a sua volta convertitore. Le parole dei predicatori potevano influenzare il comportamento dei cittadini anche in ambiti inattesi come nel caso dell’Ospedale degli innocenti, il quale rischiava la rovina se i creditori avessero deciso di ritirare i loro depositi all’improvviso in seguito a una predica. L'effettivo fallimento in realtà si preparava da tempo, ma è significativo notare come si riteneva che i predicatori fossero così potenti da poter determinare la nascita di un’istituzione come il Monte ma anche di decretarne la fine come l’Ospedale degli innocenti. Dove e quando: si predicava in chiesa, piazza, duomo, conventi, castelli ma anche nei boschi. In alcuni casi si ebbero contese sul luogo nel quale Bernardino da Feltre doveva predicare in occasione della sua compresenza con un altro predicatore. Il pulpito veniva eretto sul momento o con poco anticipo, era un’essenziale struttura in legno che era decorata con un arazzo o un drappo rosso come attesa l’iconografia. Ci sono due note rappresentazioni di Bernardino da Siena mentre predica e sono entrambe a opera di Sano di Pietro. Mostrano Bernardino su un pulpito nella predica davanti alla chiesa di San Francesco (dipinto nel 1427) e nella predica davanti al Palazzo pubblico (dipinto nel 1444). Il pannello dipinto nel 1444 appare dominato dall’edificio pubblico denotando la scelta di privilegiare il punto di vista civile piuttosto che quello religioso, lo stesso punto di vista traspare anche nella rappresentazione del pubblico composto da devoti distinguibili per classe sociale. Gli uomini sono separati dalle donne e Bernardino è rappresentato in modo tale da comparire fra l’una e l’altra componente del suo pubblico fungendo da mediatore quasi a garantire unione nella distinzione. Gli uomini e le donne che prendevano parte alla predica stavano in piedi o seduti (sia a terra che su panche di legno in caso di pubblico poco folto). Abbiamo ad oggi poche raffigurazioni delle prediche, non ritenute un soggetto da proporre ai fedeli. Non sempre il pulpito veniva appositamente costruito, a volte si trasportava all’esterno quello delle chiese e con lui le panche. In alcuni casi si costruirono pulpiti in muratura all’esterno delle chiese per far tornare un predicatore apprezzato, come nel caso di quelli dedicati a San Bernardino da Siena all’esterno della chiesa di San Francesco a Viterbo o nel duomo di Perugia. Non vi era opposizione fra prediche all’esterno e all’interno, quelle all’aperto non erano inferiori a quelle all’interno. Si trattava di due forme opposte ma complementari alle quali si ricorreva per ragioni diverse. L'edilizia francescana e domenicana fu condizionata dall’attività omiletica e furono costruite chiese a capannone per contenere un vasto pubblico che voleva vedere il volto, le espressioni e la mimica di chi teneva la predica. Quando il pubblico non poteva essere contenuto in chiesa si predicava in piazza, sempre che lo spazio esterno fosse superiore a quello interno. All'aperto si era esposti al rischio di intemperie che potevano essere ignorate ma che non sempre lo furono. Sono attestati casi di prediche tenute sotto la pioggia ma anche di inviti del predicatore a restare nonostante le cattive condizioni del tempo (la pioggia, secondo Bernardino da Siena, era un’arma usata dal diavolo per contrastarlo). Il luogo da assegnare al predicatore dipendeva dall’Ordine di appartenenza ma anche dal suo successo e quando in città vi erano più predicatori la rinuncia a tenere la predica da parte di uno a favore del collega era un riconoscimento delle superiori doti di quest’ultimo. Le prediche spesso avevano luogo di prima mattina ma in realtà non c’era un orario consueto. In alcuni g iorni si tenevano anche due prediche, una la mattina e una il pomeriggio. La concomitanza di due grandi predicatori non era infrequente ma nelle grandi città c’era pubblico per tutti. In alcuni casi il predicare sulla piazza dipendeva dal numero di ascoltatori. A quanti: quantificare gli ascoltatori è un’impresa assai ardua ma in qualche caso la cronachistica offre qualche informazione. A volte il pubblico sembrava coincidere con l’intera cittadinanza ma l’informazione non è completamente affidabile. In alcuni casi si parla della presenza di addirittura 14.000 persone. Per verificare l’attendibilità o la verosimiglianza dei dati numerici traibili dalle fonti sui grandi raduni, bisogna informarsi circa la superficie delle piazze tenendo conto che la densità di persone al metro quadrato varia da 1 a 4 (e che nel caso di massima densità le persone erano del tutto impossibilitate a muoversi). Tenendo conto di ciò la presenza di 14.000 persone nella piazza padovana di 5000 metri quadri è realistica. La cosa interessante è notare l’ammirato riferimento dei contemporanei a numeri elevatissimi, espressi sulla base dell’enorme impressione che doveva suscitare la vista di piazze stracolme. Assistevano alle prediche uomini e donne con una probabile prevalenza della presenza femminile, anche se le donne erano più interessate a mostrarsi che alla predica. Esse non costituivano la parte più attenta e sensibile del pubblico, formata dai devoti iscritti alle confraternite come testimoniato dall’iconografia dove i pittori li collocavano in prima fila. La predica era un importante appuntamento sociale se non mondano, ma anche per i ladri che tagliavano le cinture alle quali erano appese le borse con le monete. Quando fu esposta da durante una predica la reliquia di san Bernardino accorsero ben 125.000 persone, un numero che fu un record. Il numero degli uditori dipendeva dalla città in cui si predicava, dal luogo scelto, dalla stagione, dalla consuetudine di udire in un certo luogo un predicato dell’uno o dell’altro Ordine, dal periodo dell’anno. Ad alcuni predicatori capitò anche di predicare per poche persone. La predica promuoveva anche affari e guadagni benché le botteghe restassero chiuse, evidentemente la sospensione dell’attività non riguardava tutti. I predicatori erano consapevoli degli effetti economici positivi per la città delle loro prediche. Per quanto tempo e a chi: chi assisteva alla predica di solito stava in piedi in mezzo a una folla numerosa in una posizione scomoda destinata a diventare sempre più faticosa se la predicazione durava due o tre ore che potevano diventare anche cinque o sette. Alcuni sermoni arrivarono anche a 12/14, un’estensione al di là del sopportabile per un uditorio che pare tollerasse al massimo una predica di 2 ore e mezza. Ma le due o tre ore potevano sembrare una mezz’ora soltanto se a predicare era un uomo come Bernardino da Feltre. Nel corso di una predica di tale durata è probabile che il pubblico tendesse a sedersi. Le prediche spesso duravano molte ore anche in ragione delle necessità di tradurre nella lingua più comprensibile al pubblico le parole del predicatore. L'invito era a predicare in volgare ma il volgare non era ovunque lo stesso (volgare marchigiano, toscano, romagnolo...). La traduzione veniva fatta da un interprete ma il pubblico rimaneva comunque ammaliato dalla voce, il volto e i gesti del predicatore. Alcuni fuori dall’Italia predicavano in latino come Giovanni da Capestrano. Quanti accorrevano a udire la predica in molti casi cercavano e apprezzavano l’evento in sé anche se non capivano granché della lingua, ciò grazie alla mimica. Le prediche erano rivolte alla cittadinanza ma spesso in molti si muovevano da località del contado per partecipare all’evento. A volte erano dirette ad un pubblico scelto, come uomini ma anche frati o clero. Durante le prediche a porte chiuse capitò che dei soldati dovettero stare di guardia. Nelle prediche di piazza intervenivano spesso cittadini illustri, intellettuali e signori della città. Non erano solo masse di incolti a seguire la predicazione ma anche illustri intellettuali e uomini di potere. In alcuni casi furono i predicatori che andarono a parlare nei luoghi del potere per ottenere precisi risultati. Predicare comportava affrontare questioni di carattere morale ma anche temi di rilevanza e ciò richiedeva estrema prudenza da parte del predicatore che non era in condizione di prendere una posizione piuttosto che un’altra, pena l’ostilità e la cacciata con conseguente mancata efficacia dell’azione intrapresa. confronti con donne indemoniate e usò queste occasioni per tuonare contro le donne vane, portando a condanne e denunce ma anche al primo falò delle vanità. Bollettino medico: Bernardino da Feltre aveva appena finito l’anno di noviziato quando si ammalò nel 1457, non amava l’idea di prendere medicine ma accettò di fare un’eccezione che infatti lo fece guarire. Gli venne poi anche una fistola che venne trattata da un medico di Feltre, probabilmente ebreo (e lui pensava che cristiani ed ebrei dovessero star lontani) che riuscì a salvarlo. La vita da predicatore gli fece sempre affrontare fatiche e stenti che gli fecero venire più volte la febbre. A Roma giunse anche la notizia della sua morte ma ritornò più vivo che mai andando a Venezia. Ironizzò anche sulla cosa dicendo che non voleva morire a Roma perché c’erano tante reliquie, voleva morire in un luogo dove il suo corpo poteva essere più utile. Per tutta la vita dimostrò un vigore che mal si conciliava con la sua debolezza fisica, soprattutto durante le prediche. Soffriva anche di vertigini e oltre tutto ciò seguiva una dieta leggerissima a base di brodo di ceci e radice di prezzemolo. Ebbe anche la peste nel 1479 ma si risanò. Predicando affrontava un grande sforzo fisico, doveva parlare per ore in modo da essere udito da migliaia di persone. Il suo fisico debole lo portò a doversi far sostituire a Mantova e una frattura costale lo obbligò a servirsi dell’aiuto di un confratello forte, che lo aiutava ad attraversare torrenti e cattivi passi. Nonostante gli fu raccomandato dal papa in persona, quando riusciva evitava di andare a cavallo. Anche quando era gravemente malato partiva. Probabilmente ebbe anche l’epatite o il tifo. Per la frattura costale a Milano quasi non riuscì a finire la predica, o forse per la fragilità ossea derivante dall’osteoporosi. Nel 1492 si ammalò e gli fu messo a disposizione un cavallo, ma lui andò comunque a piedi. Predicava anche se stava male, gli venne una sincope e arrivò a sputare sangue. Il suo fisico era ormai debilitato quando fu affetto da una probabile tubercolosi e poi una colica renale. Volle ugualmente predicare ma riuscì solo mezz’ora. Nel 1494 ogni volta che predicava si doveva metterlo a letto. Il suo intelletto rimase vigoroso fino alla fine, morì il 28 settembre del 1494 nel convento di San Giacomo fuor delle mura di Pavia. I monti di pietà: nel 1484 Bernardino da Feltre fondò a Mantova il suo primo Monte dopo tre mesi di prediche sul tema. Fu il primo di una lunga serie nata grazie al suo impegno degli ultimi dieci anni della sua vita che portarono a fondare, sostenere e moltiplicare questo presidio per i meno abbienti. I Monti erano un’istituzione ideata in ambiente francescano e proposta alle città dai minori osservanti nel corso delle loro prediche seguendo una sorta di copione che prevedeva prima l’attacco alle usure e dopo il suggerimento di creare un Monte raccogliendo un cumulo di risorse attraverso donazioni, lasciti o depositi e sollecitando le autorità a sostenere l’istituto assegnandogli entrate. Il primo Monte sorse a Perugia nel 1462 grazie a Michele Carcano, poi i Monti si moltiplicarono nell’Italia centrosettentrionale. Negli anni Ottanta del XV secolo, Bernardino entrò a far parte del novero dei sostenitori del Monte e fra essi primeggiò. L’idea di creare un Monte nasceva dall’esperienza del modo di funzionare dei banchi ebraici e si fondava sulla necessità di differenziare i servizi cittadini introducendo un credito solidaristico che rafforzasse le posizioni dei cristiani e indebolisse quelle degli ebrei (che operavano da secoli nelle città con soddisfazione quasi generalizzata). Per scalzare gli ebrei si doveva dimostrare la mancata convenienza sul piano spirituali ed economico della prosecuzione del rapporto con loro. Una volta creato un Monte, questo entrava a far parte delle istituzioni cittadine. Si apriva un istituto che esercitava una razionale ed efficiente funzione creditizia compatibile con i presupposti del cristianesimo per i “poveri meno poveri”, coloro che erano in grado di offrire a garanzia della restituzione un pegno che valesse almeno un terzo di più della cifra ottenuta. Dopo un anno o circa si restituiva il prestito o il pegno andava all’asta. Molti Monti e tutti quelli proposti da Bernardino da Feltre esigevano un rimborso delle spese pari al 5% della cifra prestata. Il Monte di Mantova costò molta fatica e sforzo a Bernardino per la radicata presenza ebraica in città e per il favore accordato agli ebrei dal marchese Lodovico Gonzaga. Accanto agli ebrei operavano banchieri cristiani e il loro tasso di interesse si aggirava attorno al 25%. Il secondo Monte che nacque grazie a Bernardino fu quello di Parma, città in cui in un primo momento il frate si trovò a predicare a un uditorio esiguo. A Firenze non giunse a fondare il Monte per la difficoltà di affrontare il tema con Lorenzo de’ Medici, tanto che seguì un bando a protezione degli ebrei dopo che dei ragazzini corsero a dare l’assalto a un banco degli ebrei, cosa che costrinse il frate a lasciare la città. Il Monte sorse solo nel 1496 al tempo di Girolamo Savonarola. La capacità oratoria del predicatore e la sua abilità nel commuovere erano direttamente proporzionali alla generosità delle offerte, di qui la richiesta del suo intervento ogni volta che si voleva fondare un Monte o rafforzare un istituto già nato ma un po’ debole. Bernardino e i Monti incontrarono resistenze da parte dei domenicani e degli agostiniani che ritenevano il rimborso spese paragonabile all’usura. La questione fu sottoposta al collegio dei dottori di Piacenza che però fa favorevole a Bernardino da Feltre. Quando accadde a Vicenza rivela la linea di continuità tra la predicazione e l’azione di Bernardino da Siena e quella di Bernardino da Feltre, il primo tuonò dal pulpito contro le usure e gli ebrei (tanto da convincere i vicentini a cacciarli dalla città) mentre il secondo intervenne per combattere materialmente le usure e a sostegno del Monte collaborando all’aumento del suo capitale. I due condussero la stessa battaglia in forme diverse. Anche a Vicenza incontrò opposizioni e fu accusato di favorire l’usura. L'ultima predicazione di Bernardino da Feltre ebbe luogo a Pavia e una delle sue ultime cure terrene fu la visita al Monte della città. Il predicatore come strumento politico: il Monte non fu l’unico frutto istituzionale della predicazione minoritica ma si ebbero luogo grazie ai predicatori anche ricomposizioni di dissidi cittadini, organizzazioni di fedeli con finalità di culto e assistenza, strutture ospedaliere (come a Pavia quello dei poveri esposti). Nel 1486 a Roma, Bernardino da Feltre andò a baciare il piede al papa che lo ringraziò per l’opera di pacificazione condotta a Perugia. Bernardino così gli chiese di fargli avere il breve di riconoscimento del Monte di Mantova. Si trattò di una sorta di scambio, dove il predicatore si pose un obiettivo che non era scontato sarebbe stato condiviso dal pontefice. Egli sembra quasi usare il suo potere per ottenere l’avallo dal papa. Tutti i predicatori erano buoni conoscitori delle città e quindi erano uno strumento essenziale per realizzare una buona politica locale. Erano nello stesso tempo uno strumento di conoscenza e un mezzo per l’azione di governo, fungevano da informatori polivalenti informando sia i cittadini che il signore di quanto avveniva altrove. Nel caso di Bernardino, egli aggiornò il pontefice sugli eventi accaduti nelle città sotto il suo dominio e consigliò al papa di mostrare ai perugini la faccia di leone (inviare un governatore capace di farsi rispettare). Papa Innocenzo VIII usò Bernardino come uno degli strumenti per restaurare il proprio dominio sull’Umbra e Perugia dove erano scoppiati gli scontri tra le fazioni avverse. I predicatori furono una sorta di jolly da impiegare in situazioni diverse: per comporre equilibri cittadini incerti, risolvere conflitti tra Stati, per amministrare. Ebbero infatti compiti nell’ambito delle amministrazioni comunali, anche se il fenomeno fu visto con perplessità da alcuni. Per il controllo delle fazioni cittadine il sovrano pontefice aveva in mano un’arma efficace di cui altri signori non disponevano. I predicatori furono severi fustigatori dei costumi e ingegnosi inventori di soluzioni ad alcuni problemi cittadini, ma furono anche strumento di persuasione e mediazione. Si temevano anche le potenzialità di uomini come Bernardino da Feltre ma allo stesso tempo lo si attendeva con ansia (o si tentava di intimidirlo). Tensioni, resistenze, espulsioni... il nodo degli ebrei: la predicazione di Bernardino in qualche caso divise, suscitò perplessità o tumulti specie se era finalizzata a cancellare le usure ebraiche e creare Monti pii. A Firenze dovette affrontare il problema direttamente con Lorenzo de’ Medici e il Consiglio cittadino. Ad ostacolare l’impresa fu l’assalto del Giudeo da parte dei ragazzini la cui responsabilità fu attribuita a Bernardino che dovette lasciare immediatamente la città, dove in molti si dolsero della decisione dei signori. In tanti accorsero fuori dalla città per vederlo mentre si allontanava, ma altri per ammazzarlo: si trattava dei sodomiti nei confronti dei quali più volte aveva esagerato facendoli frustare pubblicamente e bandire (cosa ammessa addirittura dal biografo). Arrivò poi a Siena accompagnato dalla nomea di suscitatore di tumulti, ma la fama che si era fatto era anche quella di riformatore di costumi e pacificatore e su questa base gli fu chiesto di predicare. Gli eventi fiorentini aumentarono l’interesse per Bernardino e moltissimi accorsero ad udirlo con gran svantaggio di altri predicatori. Ciò li indusse a mettere in giro brutte voci che vedevano Bernardino come un seminatore di scandali, per questo egli prese a raccomandare al pubblico di seguire le prediche degli altri (con scarso successo). Mentre era a Siena i fiorentini gli mandarono un breve papale per chiedergli di predicare in Santa Croce ma chi aveva scacciato Bernardino da Firenze venne punito duramente, tutti gli Otto della guardia fecero una brutta fine e il ministro che gli aveva intimato di lasciare la città fu tagliato a pezzi sulla pubblica piazza. Al tempo di Bernardino da Feltre la predicazione veemente contro gli ebrei aveva una tradizione alle spalle e poteva valersi di concetti e termini forgiati da Bernardino da Siena, Fortunato Coppoli e Cherubino da Spoleto. Un secolo o quasi di predicazione antiusuraia e di ricorso dai pergami a simili epiteti nei riguardi dei prestatori ebrei faceva da sfondo agli attacchi di Bernardino da Feltre che si fecero ancor più decisi e virulenti quando si trattò di sostenere i Monti di pietà. Non si può negare la stretta connessione fra aggressività antiebraica e campagna a favore dei Monti pii. L'unico caso testimoniato dal biografo di Bernardino di predica alla quale gli ebrei furono costretti ad assistere è del 1484, l’anno di fondazione del Monte pio di Mantova dove il marchese costrinse gli ebrei a presenziare alla predica. Alla base dell’antiebraismo dei francescani c’era il progetto di realizzare un modello di società compattamente cristiano dove non trovasse spazio una diversità religiosa ma anche sociale. I predicatori dovevano mettere in conto però anche le ostilità, tanto che sia a Bernardino da Siena che Bernardino da Feltre capitò di trovarsi segati i sostegni del pulpito. La condanna dei rapporti con gli ebrei non riguardava solo il campo economico ma anche le relazioni fra cristiani ed ebrei, in particolare il ricorso da parte dei cristiani malati alle cure dei medici ebrei. Il credito e la salute dovevano essere sottratti agli ebrei perché era intollerabile la concessione a chi non era cristiano di un ruolo rilevante in questi delicati settori. La sua predicazione piaceva quindi al pubblico ma non ai signori che ne temevano gli effetti per quanto riguardava la sospensione dei rapporti con gli ebrei. A Bernardino da Feltre fu mossa l’accusa di aver fomentato gli animi contro gli ebrei anche a Castelfranco, Montagnana e Crema. A Crema il duca temeva che a seguito della sua predicazione si verificassero tumulti e temeva la modificazione della sua linea politica di accordo con gli ebrei. Ma anche la sospensione di un evento tanto atteso come la predica di una star come Bernardino poteva suscitare reazioni nella piazza, così le autorità civili dovettero fare un passo indietro e chiedere a Bernardino di tornare. Il timore dei tumulti in piazza ispirava politiche contraddittorie simili. Negli ultimi anni della sua predicazione all’intensificato interesse per i Monti si combinava una martellante campagna antiebraica che mirava a colpire le usure degli ebrei ma che metteva in crisi la relazione di questi con i cristiani. In tutte le città (o quasi) si toccava anche il tema delle vanità. Bernardino biasimava in particolare quei cristiani che ammettevano alle feste donne ebree, sosteneva che tale familiarità era tanto più grave quanto più coloro che la praticavano occupavano posizioni sociali rilevanti. Il timore che le sue veementi parole contro le usure e in particolare contro quelle ebraiche e contro la familiarità dei cristiani con i giudei suscitassero tumulti popolari e creassero difficoltà agli ebrei accompagnava regolarmente l’arrivo di Bernardino nelle città dominate da quei signori che contavano sulla collaborazione ebraica. Il difficile rapporto di Bernardino con gli ebrei e con i signori che intendevano conservare intatta la relazione con loro prova quanto la predicazione toccasse questioni vive e rilevanti per la città e come i predicatori non esitassero a sfidare i signori avendo dalla loro parte la piazza. Qualche volta vincevano, qualche volta no. Muore una stella: ormai debole per la malattia, Bernardino non cessò di predicare anche a Pavia dove arrivò dopo un viaggio penoso. Arrivò a Pavia il 27 agosto del 1494 e due giorni dopo cominciò a predicare, meno forze aveva più cresceva il suo fervore nel predicare anche se ormai doveva mettersi a letto dopo ogni predica. La febbre lo divorava ma lui si sforzava di non rimanere sdraiato a letto. Morì a 55 anni nella notte di San Michele, al suono della campana si diffuse l’annuncio della sua morte e tutto il popolo accorse al convento di San Giacomo per vederlo, toccarlo e impossessarsi di un frammento del suo abito. Molti malati furono portati da lui perché ne toccassero il corpo. Molti uomini, dopo aver udito le sue prediche, non furono più gli stessi ma nemmeno le relazioni in città o il panorama delle istituzioni (come mostra la questione dei Monti). Bernardino da Feltre lasciò un segno, qualche volta distruttivo ma soprattutto costruttivo proprio come i pescatori sottraggono pesci al mare e li guadagnano alla terra.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved