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Pezzi da Museo - Maria Vittoria Marini Clarelli, Sintesi del corso di Storia Dell'arte

Riassunto del volume “Pezzi da Museo” di Maria Vittoria Marini Clarelli

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021
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Scarica Pezzi da Museo - Maria Vittoria Marini Clarelli e più Sintesi del corso in PDF di Storia Dell'arte solo su Docsity! Pezzi da Museo – Clarelli 1. Musealia 1.1. Dalla cosa all’oggetto e viceversa Come entrano le cose nei musei? Hanno un accesso riservato, come per gli attori di teatro. Secondo una linea di pensiero della museologia la fase di cambiamento dall’oggetto al musealia è la trasformazione della cosa in oggetto. ICOM ha proposto questa distinzione: “l’oggetto non è una realtà in sé stessa, ma un prodotto, un risultato o un correlato, designa ciò che è posto da un soggetto, che lo tratta come differente da sé. L’oggetto quindi differisce dalla cosa, che intrattiene con il soggetto un rapporto di utilizzabilità. Non tutti concordano con l’utilità di questa distinzione. Oggetto viene definito da Peter Van Mensch come il più piccolo elemento di cultura materiale di per sé dotato di una funzione riconoscibile e riconosciuta, includendo in questa categoria non solo i manufatti, ma anche gli elementi naturali sui quali l’uomo sia intervenuto in qualunque modo. Secondo Zbybnek Stransky la distinzione fra cosa e oggetto caratterizza due approcci diversi, uno ontologico e uno gnoseologico. Il museo infatti non provoca trasformazione ma trae origine da una relazione specifica fra l’uomo e la realtà che chiama musealità, nella quale confluiscono le forme di collezionismo. Teoria dei mondi di Karl Popper, secondo la quale attraverso il mondo n.2 (del pensiero, della fantasia), creiamo in mondo n.3, della cultura, partendo dal mondo n.1, quello fisico. Secondo Heiddegger quindi le cure che si prestano alle opere d’arte riguardano solo il loro essere oggetti. Egli si preoccupa di distinguere fra l’installazione dell’opera nel museo intesa come sistemazione e posizionamento e installazione originaria dell’opera stessa. Se l’opera d’arte diventa un oggetto una volta entrata nel museo, lo stesso accadrà a tutte le altre cose che varcano la stessa soglia. Remo Bodei ha rivalutato la distinzione tra cosa e oggetto, necessità che l’uno si converta nell’altra. La cosa è “ciò che riteniamo talmente importante da mobilitarci in sua difesa”. L’oggetto invece sfida il soggetto, vieta la sua affermazione, obietta alle sue pretese di dominio. La cosa è un nodo di relazioni che riguardano la dimensione personale ma anche collettiva. Gli oggetti diventano cose se individui e società li investono di affetti. Pomian ritiene che le cose non siano portatrici di significati ma intrattengano con il soggetto solo una relazione di utilità. Esse diventano semiofori, oggetti-segni presentati in modo da rivolgersi soprattutto allo sguardo. Il semioforo è bifronte, deve essere considerato da due punti di vista. Uno è l’aspetto materiale (insieme dei suoi caratteri fisici sia la sua forma), e l’altro è l’aspetto semiotico (caratteri visibili che rimandano a qualcosa di assente o invisibile). Clarelli ritiene possibile una sintesi che permetta di far coincidere nel pezzo da museo due aspetti contraddittori: il carattere rappresentativo dell’oggetto (il suo essere subordinato al soggetto) e il carattere relazionale della cosa, il suo “concernermi”. La prima trasformazione avviene con l’inclusione nel sistema di oggetti che chiamiamo raccolta museale. La seconda avviene quando si instaura una relazione fra l’oggetto mutualizzato e la persona che lo fruisce. Hannah Arendt a proposito delle opere d’arte e della loro esclusione dal ciclo dell’uso e consumo afferma che esse hanno in comune con i prodotti della politica la necessità di uno spazio pubblico nel quale apparire ed essere viste, il poter esplicare il proprio essere. Roberto Esposito prende le mossa dalla nozione di res nel diritto romano fondato sulla tripartizione fra persone, cose e azioni. La cosa qui è ciò che si contende. È quindi corretto presentare il museo come una delle grande istanze di produzione degli oggetti. Nel museo le cose e gli oggetti si scambiano spesso i ruoli. La farfalla chiusa in una vetrina è un oggetto ma se lascio che lei agisca su di me allora la farfalla provocherà in me un’esperienza estetica colpendomi con la sua forma e i suoi colori oppure genererà in me un ricordo e un’emozione o anche un apprendimento. Clarelli ritiene quindi che nel museo avvengano entrambi i movimenti: dalla cosa all’oggetto (prevale la relazione frontale, oppositiva: il museo estrae dal contesto una cosa perché ha legami pratici o emozionali con le persone, che vengono rescissi) e dall’oggetto alla cosa (rapporto e pratico perché riaffiora il sentimento, è nella sua dimensione di oggetto che il pezzo da museo si proietta verso le generazioni future, entrando nella conservazione, ed è nella sua dimensione di cosa che entra in rapporto con i singoli individui della generazione presente con cui intrattiene un rapporto sensoriale, emozionale e intellettivo.). 1.2. La separazione museale Il processo che converte la cosa in oggetto da museo si chiama musealizzazione e si divide in tre fasi: separazione, ricomposizione e esposizione. La separazione piva le cose dei loro rapporti precedenti con le perone. Gli utensili cessano di essere usati, le suppellettili sacre di essere adibite al culto, nessuno può più considerare quelle cose come proprie. Mario Praz usa l’allegoria funebre di Noibe, che trasformata in Petra diviene tomba di sé stessa per piegare cosa accade ad una casa che diventa museo. Kemal, protagonista del libro “Il museo dell’innocenza” di Ohran Pamuk, quando decide di trasformare in museo la raccolta di oggetti che gli ricordano la donna amata si fa allestire una camera da letto nella soffitta per non rescindere il rapporto affettivo. I legami rotti dalla separazione museale possono essere collettivi, come nel caso dei fedeli che avevano pregato davanti a un oggetto di culto o un tesoro divenuto bottino di guerra. Martin Scharer si chiede se i valori attribuiti agli oggetti siano presi in considerazione quando si discute della restituzione di un bene culturale al paese che lo rivendica. Un oggetto può appartenere legalmente e sentimentalmente a popoli diversi? La decontestualizzazione di una cosa non è solo lo sradicamento dal luogo di origine, ma la rottura di un tessuto di relazioni, l’estrapolazione da un nucleo di sentimenti, emozioni, valori. La separazione museale è giustificata dal fine di costruire una memoria culturale materiale. La singolarizzazione è il processo per cui quella certa cosa è prescelta per far parte della collezione museale. Per diventare oggetto da museo la cosa subisce un duplice trattamento. Il primo è la conservazione che controlla le condizioni fisiche dell’oggetto perché la materia di cui è fatto deve resistere al degrado. Le misure di conservazione preventiva fissano le regole di vita con livelli di temperatura, umidità relativa e luce. Con conservazione attiva intendiamo stabilizzare o restaurare l’oggetto. L’altro trattamento assicura che la permanenza dell’oggetto sia definitiva. La cosa è inventariata, catalogata, fotografata e tutti i uopi movimenti sono registrati. Come un carcerato schedato in cella. I pezzi da museo spaziano dalle opere d’arte agli strumenti d’uso comune. Fra questi pezzi da museo ci sono relazioni di somiglianza definite come convenientia, aemulatio, analogia e simpatia. La convenientia si riferisce allo spazio quindi somiglianza dei luoghi, la vicinanza, stesso edificio o in edifici collegati concettualmente. L’aemulatio opera sulla distanza, come uno specchio, somiglianza per risonanza, le cose si evocano a vicenda. L’analogia passa attraverso l’uomo. La simpatia è un libero gioco in cui nulla si può considerare presupposto e che ha come complemento l’antipatia. Le cose nel museo spesso si dispongono da sole, con reciproca attrazione o repulsione. La relazione con l’esterno dei pezzi da museo è anche fisica. I musealia circolano dentro al museo. La mercificazione è una condizione alla quale possono essere ricondotti se rubati e immessi sul mercato clandestino. 1.3. Il ritorno al mondo Anche le opere d’arte sono cose. Se l’opera d’arte nel museo appare accessibile tanto più questo accade alle cose prima di varcare la sua soglia non erano già dotate di una funzione culturale. Nei musei etnografici i beni di prestigio sono l’eccezione. Scatta spesso il fenomeno dell’evocazione, dal latino ex e vocare, chiamare fuori. L’evocatio era il rituale con cui si invitava una divinità a cambiare la sua sede con un’altra. In italiano, l’evocazione è una suggestione prodotta dalla fantasia, dal sentimento e dalla memoria. La dimensione evocativa è connessa con il prodursi dell’aura. La fase del processo di musealizzazione è l’esposizione che si divide in tre livelli: l’ostensione, l’esplicazione e l’implicazione. Ostensione è il mostrare il considerato di per sé. L’esplicazione è il modo in cui il museo avvia il processo di interpretazione degli oggetti. L’implicazione è quando l’oggetto si riconverte in cosa. Il rapporto con l’oggetto è personale ed esiste sempre un piano emozionale. Empatia. Tre sono i nodi cruciali della dinamica dell’implicazione come riconversione dell’oggetto in cosa. Il primo è il ricostituirsi del legame affettivo emozionale. Dall’oggetto che torna ad essere cosa si sprigiona l’aura, un’atmosfera che riveste un ruolo molto importante nel museo. Il secondo nodo riguarda la relazione sensoriale, la percezione che abbiamo degli oggetti nel museo coinvolge il corpo, ed è il corpo che secondo Esposito trasforma gli oggetti in cose. Il terzo nodo riguarda la percezione del vissuto. Sapere che l’Origine du monde di Courbet prima di approdare al Musée d’Orsay era appartenuto allo psicanalista Jacques Lacan è un dato storico importante e cambia la relazione con il quadro. Le vicende pregresse non sono mai irrilevanti. L’omogeneità degli oggetti da museo lascia il posto alla diversificazione delle cose. Ad esempio la ciocca di capelli di Lucrezia Borgia dal 1685 era inventariata nella biblioteca Ambrosiana a Milano. Se di questa ciocca però non avessero parlato Byron, Flaubert e D’Annunzio, la sua fama non avrebbe indotto a sostituire l’originario cofanetto di vetro con la teca, né si sarebbe spostata nella Pinacoteca Ambrosiana, dove è più visibile al pubblico. La storia della provenienza è quella delle sue relazioni con le persone. 1.4. Originale/Copia, Autentico/Falso, Raro/Comune La prima polarità tra originale e copia la dobbiamo a Kubler. Se non ci fossero le copie, le cose fatte dall’uomo non sarebbero mai abbastanza. Le copie e le imitazioni sono necessarie e se non ci fossero nemmeno si porrebbe il problema dell’originale, il capostipite della serie. La copia di un originale perduto ha un valore relativo rispetto a quello dell’originale. Se quest’ultimo riemergesse le sue copie che si trovano nei musei perderebbero gran parte del loro interesse. L’essere un pezzo originale non equivale all’avere una grande importanza culturale. Tante croste originali valgono molto meno della copia di un capolavoro del passato fatta da un pittore importante. L’originalità rientra nel patto implicito che il museo stringe con i suoi visitatori, che ritengono che i pezzi esposti siano degli originali, a meno che non si dichiari espressamente il contrario. A volte ricorrere a una copia è necessario per motivi didattici. La musealizzazione dell’originale e la sua sostituzione con una copia è a volte resa necessaria dall’impossibilità di mantenere l’opera nella sua collocazione originaria per motivi conservativi. La statua equestre di Marco Aurelio a Roma è stata rimossa e sostituita come molte altre statue all’aperto per proteggerle. Se i marmi Elgin dovessero essere restituiti dal British Museum alla Grecia, che continua a rivendicarli, non verrebbero collocati di nuovo sul Partenone, ma nel museo dell’acropoli di Atene. L’architetto giapponese Tadao Ando ha creato due musei all’aperto, nei quali sono replicati a grandezza naturale capolavori che vanno dall’ultima cena di Leonardo alle ninfee di Monet. Il loro successo è parso ad alcuni una conferma della constatazione che il pubblico preferisce copie di opere note a originali ignoti. Il principio di originalità impone che la cosa sia mantenuta nel suo stato fisico primitivo. Ci sono infatti dibattiti sulla riconoscibilità e reversibilità dell’intervento di restauro, in modo che un esame attento del manufatti riveli la natura di integrazione successiva e che in futuro possa essere rimosso. La maggior parte dei visitatori non è in grado di distinguere un originale da una buona copia. Il fanciullo d’oro scritto da Penelope Fitzgerald nel 1977 è ambientato in un museo che ha le caratteristiche del British museum e si basa sull’irrilevanza dell’originalità del pezzo esposto. Nessuno si accorge che la mummia coperta di foglia d’oro è stata appena rifatta. La logica del prodotto culturale fa perdere di vista il museo come presidio di realtà. Se la riproduzione è più spettacolare dell’originale, se può generare un’esperienza immersi a che sarebbe impossibile con l’oggetto da museo, non si corre il rischio di allontanare sempre più il pubblico dalla cosa vera e propria? È il senso dell’unicum, il visitatore del museo può solo fruirne, quell’oggetto è disponibile per lui o lei solo in un certo frangente spazio/temporale. Sembra che Francis Bacon non abbia mai visto dal vero il Ritratto di Innocenzo X di Velasquez della galleria Dora Pamphilj, cui è ispirata una delle sue serie pittoriche più famose. Le riproduzioni hanno avuto un ruolo decisivo nella storia della circolazione delle immagini e il principio di originalità è del tutto irrilevante in alcune culture. L’autenticità si differenzia dall’originalità perché si contrappone non alla riproduzione ma alla contraffazione. Il falso può essere anche una copia usata per ingannare, ma a volte è un prodotto originale che si attribuisce a un altro autore, ambito o epoca. Ferretti Massimo parla dei restauri ricostruttivi, antiquariati. La sua tesi è che la falsificazione non è da ricercare tanto nel prodotto contraffatto ma nell’accreditamento critico di quell’operazione. Il falso non è falso finché non è riconosciuto come tale, quindi la falsità si fonde sul giudizio. Pressoché tutti i musei importanti del mondo ospitano opere che qualcuno ha dichiarato false e non sempre le questioni si sono chiarite. Nei pezzi da musei autenticità e falsità sono non solo concetti chiave nella dinamica cosa oggetto ma anche generatori di casi mediatici. La notorietà di alcuni oggetti è stata interamente basata su pretese di originalità rivelatesi poi del tutto infondate. Jean Baudrillard analizza il problema dal punto di vista sociologico, per lui la rarità è il livello massimo della qualità distintiva degli oggetti. Come funzione sociologica, la distintività serve a denotare lo status di una certa categoria sociale. A volte però un oggetto comune diventa raro perché la sua categoria si è estinta o perché ha di colpo acquistato prestigio. 1.5. Oggetti e immagini L’originalità, l’autenticità e la rarità sono state messe in discussione da molti esponenti dell’arte contemporanea per via del ruolo privilegiato che occupano nel sistema di valutazione dei pezzi da museo. La pop art ha focalizzato l’attenzione sugli oggetti comuni. L’attacco all’autenticità è venuto da Duchamp, con i suoi ready made, oggetti che l’artista non modificava limitandosi a firmarli. Il bersaglio prediletto è l’originalità. Hummelen ha affermato che l’originale non è più il materiale stesso, perché viene creato, prodotto e rivitalizzato dalla rete collettiva. La musealizzazione pone l’accento sul carattere iconico dell’oggetto. Nella dialettica fra materia e immagine è quest’ultima che prevale. Nel museo la percezione è guidata in modo da ridurre al massimo le interferenze, da correggere le distorsioni percettive, da non fare insorgere fenomeno di disturbo. Il museo fa prevalere la vista, ma frena l’uso del tatto. Oggetto che fuori dal museo riguardavano altri sensi, come un violino, guanti, varcata la soglia museale contano principalmente per la loro forma esterna. quel quadro sta svolgendo una funziona pratica. La nozione di bene culturale è più ampia di quella di oggetto da museo e comprende anche gli edifici storici dichiarati di importante interesse, che però continuano ad essere usati come abitazioni. L’oggetto da museo smette di essere utilizzato come strumento, ma non di essere utilizzabile come merce di scambio. L’appartenenza al museo non preserva le cose dall’essere usate come trofei e come mezzi di propaganda. Anche nella sua musealizzazione l’oggetto deve lasciar trasparire la funzione per la quale è stato concepito e che viene sospesa per fini di conservazione. La fruizione prevale sull’utilizzazione. 3.2. Prendersi cura Martin Heidegger distingue fra la cura rivolta alle persone e quella che si estende alle cose d’uso. La prima come sollecitudine e la seconda come prendersi cura. Fra l’uomo e ciò che nel mondo è usabile esiste una relazione che va al di là dell’uso. Il museo è il luogo del prendersi cura per eccellenza, il luogo in cui le cose sono conservate in senso spaziale. L’oggetto da museo rientra nella più vasta categoria dei beni comuni.dal punto di vista materiale, il prendersi cura coincide con le attività di conservazione, restauro e sicurezza. La nozione di cura è la messa in atto di tutte le misure che consentono all’oggetto di durare nel futuro e di essere apprezzato nel presente per la sua rilevanza culturale. La conservazione degli specimen naturalistici e degli esemplari faunistici richiedono trattamenti molto costosi. La realizzazione di queste nature morte tiene conto anche degli aspetti estetici della presentazione finale. Oggi la tassidermia è guardata con diffidenza da molti musei. Es. Squalo in formaldeide di Hirst o Un asino tra i dottori di Cattelan. 3.3. La polvere e la patina La polvere nuoce agli oggetti in senso sia estetico sia fisico. La polvere si intromette nel rapporto visivo con gli oggetti, la rimozione deve essere continua. Rainer Maria Rilke usa la metafora della spolveratura per indicare il prendersi cura delle cose. L’idea della felicità delle cose accudite. C’è una gerarchia e una specializzazione anche nella gestione della polvere, dentro le vetrine è un problema del conservatore del museo, quella sul pavimento riguarda il personale delle pulizie. La spolveratura è la rima forma di manutenzione ordinaria degli oggetti. La polvere è la metafora di tutto ciò che va rimosso, per consentire la durata nel tempo del pezzo da museo. Il rispetto dell’intenzione dell’autore genera conflitti con altre esigenze, quelle del museo e quelle del mercato. Ray Bradbury ne “L’estate di Picasso” racconta dell’artista sorpreso da un suo ammiratore americano mentre traccia segni sulla sabbia. L’americano vorrebbe trovare un modo per far sopravvivere quel fregio effimero e si chiede cosa fare. La conservazione a tutti i costi rischia di privare alcune manifestazioni artistiche del loro senso più profondo. Caitlin DeSilvey ha svolto un esperimento di osservazione scientifica del degrado fisico di un contesto (fattoria in montana) per non interrompere alcuni processi naturali. Il rallentamento del degrado elimina sempre alcune tracce culturali anche se il fine è di preservarne altre ritenute più importanti. 3.4. La vita sociale dei pezzi da museo Secondo Igor Kopytoff tutte le cose hanno una biografia culturale nel corso della quale possono assumere o perdere la condizione di merci. L’esistenza dei musei ha modificato la relazione fra le persone e gli oggetti culturali. Pierre Bordieu dice che i musei concorrono alla costruzione sociale della realtà stessa di quegli oggetti. I musei giocano il ruolo di istanze di consacrazione degli oggetti. Due nozioni: campo e habitus. Il mondo sociale è fatto di diversi campi che producono l’insieme dei sistemi del riconoscimento sociale. L’habitus è un modo di entrare in contatto con il mondo compresi gli aspetti fisici e affettivi. Abbiamo poi il mondo delle industrie culturali, che danno priorità alla diffusione, al successo immediato e si adeguano alla domanda. Anche questo ondo fa parte del campo. Quindi nel campo dell’arte coesistono due modi di creazione e circolazione delle opere. Avendo il potere di consacrare oggetti, il museo partecipa anche alla loro produzione. Secondo Bordieu l’opera d’arte è fatta e rifatta tutte le colte che qualcuno partecipa alla costruzione del suo valore. Il libro di Alfred Gell parla del rapporto fra opere d’arte e fruitori, impostato sulla prospettiva dell’agentività, capacità di provocare sequenze casuali. Descrive gli artefatti come agenti sociali, l’oggettivizzazione sotto forma di artefatti è il modo con cui l’agenda sociale si manifesta e realizza. L’oggetto viene analizzato con le mosse di Gell, una delle quali è quella di essersi limitato a coglierli quando sono già diventati pezzi da museo. 3.5. Raccogliere e disperdere Il collezionismo è la forma più tipica della sollecitudine per gli oggetti. Differenza fra accumulo e raccolta: nel primo caso conta soprattutto l’aumento di quantità e/o di valore, nel secondo la corrispondenza a determinati criteri selettivi. Secondo Pomian questa è grossomodo la differenza che intercorre fra un tesoro e una collezione. Il tesoro deve rendere visibile la potenza e la ricchezza. Fornisce strumenti di pagamento. Il contenuto dei tesori non è mai stato immutabile. Dalla loro scomposizione violenta a causa dei saccheggi e dei bottini è nato la collezionismo. Nella seconda metà del XV secolo in Italia i quadri cominciano ad essere i nuovi oggetti privilegiati da collezione. La collezione privata così come la intendiamo oggi è limitata nella storia ed è esistita solo tre volte: nella Cina antica da cui passa in Giappone; nel I secolo a Roma; e nel XIV secolo in Italia e Francia. La raccolta museale garantisce all’oggetto una visibilità e una stabilità maggiore. Nella collezione Campana, il marchese Campana, direttore del Monte di Pietà di Roma, aveva finanziato scavi archeologici e collezionato reperti greci, etruschi, romani, dipinti di arte primitiva italiana. A causa delle irregolarità amministrative lo stato pontificio mise in vendita la collezione. L’Ermitage di San Pietroburgo comprò alcuni marmi rinascimentali, ma molti furono acquistati da Napoleone III per il museo a lui intitolato aperto per qualche mese a Parigi. Lo fece chiudere il Louvre, che riuscì così ad aggiudicarsi molte opere, mentre il resto fu disperso in 95 musei. Solo nel 1950 si decise di ricostituire la raccolta nel Petit Palais di Avignone. Negli ultimi anni si afferma l’alienazione dei pezzi da museo. Alcuni grandi musei americani hanno statuti che consentono l’alienazione a favore di acquisizioni migliori, ma anche i musei britannici possono ora vendere esemplari in collezione a certe condizioni. Questa rinuncia a possedere è una reazione al fatto che l’istituzione museo si sta ingorgando per via non solo dell’eccesso di accumulo di grandi istituti ma anche della moltiplicazione di quelli nuovi. Escono dai musei molti oggetti. Il caso forse più eclatante è quello degli oggetti reclamati dagli indiani d’America, sono stati oltre 1.500.00 e hanno coinvolto circa 50 musei americani. Di essi quasi la metà è stata sottratta a ogni tipo di trattamento conservativo, esposta agli elementi o sepolta di nuovo o distrutta per motivi di purificazione rituale. I pezzi da museo subiscono l’accanimento vandalico. Spesso gli aggressori attaccano opere verso le quali provano particolari sentimenti di amore/odio. Guerre e saccheggi sembravano ormai consegnati alla storia finchè le televisioni di tutto il mondo hanno trasmesso le immagini dei terroristi dell’Isis. Secondo Paolo Matthiae gli attacchi al patrimonio culturale da parte dei terroristi islamici hanno tre finalità: incremento degli scavi clandestini per finanziare le proprie attività, l’uso dei siti archeologici come basi o depositi militari e la distruzione sistematica degli oggetti d’arte come basi o depositi militari e la distruzione sistemica degli oggetti d’arte espressione di una cultura diversa. 4. Lo spazio della memoria e lo spazio dell’attenzione 4.1. Il tempo si fa spazio Nella collezione museale, se qualcosa riacquista attualità, qualcos’altro la perde. Lo spazio della memoria nel museo è la riserva o il deposito. Luogo dell’oblio o prova dell’inefficienza della gestione. Il deposito è il garante della sopravvivenza nel tempo degli oggetti più fragili e sensibili. L’oggetto in deposito sarebbe come il giocatore in panchina, la riserva, spesso l’opera prestata è sostituita durante la sua assenza da un’altra non esposta che dà l’impressione di fungere da supplente. La discussione se il criterio da adottare debba essere quello etico (tutto ciò che è possibile) o quello estetico (tutto ciò che rispetta la proporzione con lo spazio) è molto antica. Oggi gli allestimenti dei musei sono diventati sempre meno stabili. Le opere ruotano molto più spesso ed è difficile stabilire quale sia la loro casa principale. La visita ai depositi è sempre più ambita, perché ciò che sembra inaccessibile esercita un fascino particolare. I depositi di pittura oggi sono chiusi, a griglie scorrevoli che si compattano impedendo la visione simultanea. I depositi di scultura invece sono a scaffali aperti o vetrine trasparenti. Lo spazio della memoria nel museo non è solo fisico. Il museo è anche capace di trasformare il tempo in immagine. Nessun rapporto con il passato stabilito attraverso gli oggetti sarebbe possibile prescindendo dall’immaginazione. 4.2. In mostra L’esposizione degli oggetti è destinata principalmente agli occhi. Se l’occasione delle esposizioni nei chiostri delle chiese di Roma era inizialmente legata alla celebrazione di eventi come la festa del patrono i una confraternita esiste una corrispondenza tra il progredire degli studi di ottica e l’attenzione dedicata alle arti figurative e all’organizzazione dei loro materiali. L’allestimento delle quadrerie seguire criteri connessi alla percezione visiva, come l’allineamento dell’orizzonte nella disposizione dei paesaggi. La cornice è un’intensificazione della presenza del quadro, un modo di isolarlo e una forma di raccordo spaziale. Anche ii basamenti sui quali esporre le statue antiche cominciano ad essere concepiti in riferimento all’opera ma anche all’allestimento generale. La centralità dell’aspetto visuale nella presentazione espositiva ha reso per molto tempo secondario l’apparato scritto. Già a metà settecento i visitatori dell’istituto delle scienze di Bologna ammiravano il fatto che tutti i pezzi fossero etichettati e che i più piccoli fossero contrassegnati da numeri che rinviavano a una scheda mobile a disposizione del pubblico. La collocazione dei pezzi da museo nel loro spazio è la parte più visibile del lavoro dei conservatori e curatori del museo. Il disporre gli oggetti per mostrarli non obbedisce a criteri scientifici predefiniti e le variabili sono tali e tante da rendere assai difficile la valutazione di un allestimento come migliore di un altro. 4.3. Senso e racconto L’oggetto esposto deve essere investito di senso. Ma il senso ha un largo margine. Non tutti gli oggetti da museo sono opere d’arte, ma tutti hanno la capacità di generare nuovi significati. L’oggetto ha un livello semantico individuale, uno che gli deriva dalle contestualizzazione nel museo e dal riferimento a quelle precedenti, e uno che attiene alla relazione anche emozionale che si stabilisce con il visitatore. Più complesso è lo schema di Pomian secondo il quale la percezione del significato di un oggetto da collezione è condizionata da sei variabili: il luogo sociale, il contesto fisico dato dalla prossimità di altri oggetti, il contesto verbale (descrizioni dei conservatori), il modo di esporlo, le caratteristiche del pubblico cui si mostra e il comportamento di coloro che lo espongono e che lo guardano. Il luogo sociale vale come ricostruzione della provenienza. Il luogo sociale del museo conferisce alcune caratteristiche alle due variabili che Pomian chiama del contesto fisico e del contesto verbale (anche contesto didattico e comprende l’apparato esplicativo dai cartellini ai sussidi multimediali). Il contesto fisico invece è da considerare in modo diverso a seconda che il luogo di origine dell’oggetto esaminato esista ancora altrove o che si possa e si voglia evocarlo in qualche modo. Gli elementi storici, sociologici del contesto non spiegano l’opera d’arte in quanto tale ma concorrono a spiegarla in quanto documento. È vero che se voglio ammirare un’opera di Rembrandt non è perché mi interessa sapere come si viveva in Olanda nel XVII secolo, tuttavia scatta per l’opera d’arte lo stesso meccanismo di approfondimento che si attiva con l’innamoramento: di lei voglio sapere tutto. Il personale del museo incide sulla catena del significato perché ha determinato l’acquisizione dell’oggetto, è responsabile del suo stato di conservazione, ha deciso come disporlo e infine ha predisposto l’apparato esplicativo. L’utente ha diritto a ricevere dal museo tutti gli strumenti ermeneutici che questo può mettergli a disposizione. La indagini sui visitatori stanno diventando sempre più sofisticate. Quali oggetti guardano di più e per quanto tempo, quali reazioni anche corporee subiscono, che impressioni traggono, ecc. La ricerca del senso si attiva passando per uno o più meccanismo narrativi. Il più ovvio è la biografia dell’oggetto, del quale sono dichiarate le generalità attraverso il cartellino. Le audioguide sfruttano il genere biografico. Le biografie degli esemplari naturalistici sono meno frequenti. Il modello narrativo probabilmente prevalente è quello della biografia dei personaggi che hanno realizzato o posseduto le cose esposte. Il clou è lo studio dello scrittore o dell’artista. Una tecnica narrativa che richiede la collaborazione dello spettatore è quella delle tracce. Vi sono poi i racconti che derivano dalla posizione degli oggetti. Nel museo è evidente la compresenza dell’ordine paradigmatico e di quello sintagmatico. Il primo tipo di ordine si basa sul fatto che gli oggetti sono sincronici e le loro relazioni reversibili ma il percorso museale implica la diacronia e rientra anche nel secondo tipo di ordine. Nei musei di storia il percorso fisico del museo è anche un percorso cronologico. Non basta che l’oggetto sia accompagnato da una corretta informazione scientifica. Ma c’è una parte dell’umanità che non ha mai prodotto testi. 4.4. Raccoglimento e distrazione L’attenzione prende le mosse dalla percezione che avviene in modo indiviso. Rispetto al singolo pezzo da museo il visitatore può scegliere se contemplare, guardare, vedere, trascurare. Non riuscirà a concentrarsi su tutto ma nemmeno a sorvolare su tutto. La visita museale è un alternarsi di raccoglimento e distrazione. La possibilità che gli oggetti attirino l’attenzione è legata alle loro caratteristiche e a come il museo riesce ad assecondare e deludere le aspettative del visitatore, per rilassarlo o per sorprenderlo. Gombrich partendo dalla tesi che l’organismo umano si protende verso l’ambiente guidato da un innato senso dell’ordine sostiene che noi tendiamo a risparmiare l’attenzione per quando compare una novità e scommettiamo sulla continuazione. Ciò che attira la nostra attenzione quindi è il mutamento che provoca un passaggio dell’ordine al disordine. La percezione è solo una componente del vedere, quella guidata dai sensi. L’altra è lo sguardo, inteso come il vedere culturalmente orientato. La storia dello sguardo non coincide con quella della percezione. Ogni società esercita lo sguardo collettivamente anche se ciascuno percepisce invidiabilmente. Lo stesso oggetto sarà guardato da persone appartenenti a culture diverse in modo diverso. Federico Zeri sosteneva che mentre il quadro rinascimentale italiano va letto partendo dall’insieme per arrivare al dettaglio, il quadro fiammingo va letto procedendo in senso opposto, esaminando un dettaglio dopo l’altro fino ad arrivare all’insieme. 4.5. “Dire le cose” Nominare le cose è un modo di salvarle dall’oblio. La prima operazione per fissare la loro memoria è l’iscrizione in un elenco: quello patrimoniale (inventario) e quello conoscitivo (catalogo). Nell’ venatorio io dico delle cose che sono mie o dell’istituzione e attribuisco loro un valore economico. Nel caso del museo, l’inventariazione è l’argine giuridico contro la dispersione delle collezioni, lo strumento che serve per rivendicarne la proprietà. Nel diritto italiano un bene inventariato in un museo si trasforma in immobile. La catalogazione è più strutturata. Un oggetto da museo può comparire in centinaia di cataloghi: tutti quelli dell’istituzione cui appartiene e tutti quelli delle mostre cui partecipi. Questo può generare refusi. Umberto Eco ha incluso i cataloghi dei museo nella categoria delle liste illimitate, quelle che potrebbero finire con ecc. Francis Haskell ha segnalato le esposizioni d’arte che più hanno fornito agli scrittori l’casi one di scrivere testi straordinari (Proust con Vermeer). I pezzi da museo non avrebbero lo stesso spessore culturale se non fossero anche entrati nell’immaginario letterario. 5. La fama, l’aura e le atmosfere 5.1. La costruzione della fama La fortuna letteraria dei pezzi da museo non coincide sempre con la loro fama. Prendiamo ad esempio la Gioconda di Leonardo. È un capolavoro e anche Zeri lo riteneva uno dei suoi quadri preferiti. “Cosa accadrebbe pulendo in modo perfetto la Gioconda? Verrebbe a vanificarsi, a distruggersi quell’aura di mistero per la quale essa è diventata famosa. Ormai quel quadro è entrato nella nostra coscienza e nella nostra cultura sotto questo aspetto, lo lascerei com’è”. Difficilmente Monna Lisa avrebbe raggiunto e mantenuto il primo posto nella graduatoria degli oggetti da museo più visitati, se non fosse stata oggetto di un furto clamoroso, di un altrettanto clamoroso ritrovamento e se le circostanze della restituzione non fossero diventate un caso diplomatico. Raramente un visitatore del Louvre che conosce la Gioconda solo di fama si sottrae alla delusione nel constatare che il capolavoro è troppo piccolo. La fama genera sempre un’aspettativa. Anche se il caso della Gioconda è unico il suo furto è stato recentemente emulato ampliando la notorietà di un pezzo da museo che ancora non aveva raggiunto l’arena globale. La saliera di Benvenuto Cellini. La principale ragione della fama del Cenacolo di Santa Maria delle grazie a Milano (Leo) era in origine soprattutto quella spiegata da Henry James nelle “Ore italiane”. “Il dipinto non ha bisogno di ulteriori ingiurie o deturpazioni per essere considerato oggi il più triste dei capolavori esistenti, eppure, in rovina com’è, rimane pur sempre uno dei più grandi.” A rendere questa una delle immagini sacre più popolari ha contribuito anche l’industria dei souvenir. Per entrambi i capolavori di Leonardo che abbiamo citato, l’attualizzazione della celebrità è giunta nel XXI secolo grazie al romanzo di Dan Brown “Il codice Da Vinci”, un blockbuster per il palato medio. Che la notte stellata di Van Gogh e Guernica di Picasso siano nella rosa degli oggetti da museo più amati non stupisce. Mentre Guernica è il principale elemento di richiamo del museo Reina Sofia di Madrid, La notte stellata deve in gran parte al prestigio del suo contenitore, il Moma di New York. Il mito di Van Gogh è forse dovuto anche alla canzone di Don McLean Vincent. Meno però di quanto il libro e film di Tracy Chevalier abbiano accresciuto la fama della Ragazza con turbante di Vermeer. Fra i pezzi da museo non classificabili come opere d’arte, uno dei più celebri è la Stele di Rosetta del British Museum, che può contare su due forti magneti: L’antico Egitto e Napoleone. Il Diamante Hope invece è l’attrazione del Museo di storia naturale di Washington a causa della sfortuna che aleggia sulla sua storia ed è anche uno dei tre oggetti che l’istituzione statunitense ha classificato come inamovibili. Addirittura per legge è vietata l’uscita dal territorio austriaco del Bacio di Klimt dal Belvedere di Vienna. La fama di un oggetto non deriva automaticamente da quella del suo autore. Caravaggio è un artista amatissimo ma nessuna delle sue opere è considerata icona. Vi sono capolavori che pur essendo celebri, pochi sono disposti a raggiungere in luoghi relativamente scomodi, come i Bronzi di Riace a Reggio Calabria, che continuano ad essere richiesti in prestito. 5.2. La perdita e il recupero dell’aura La fama bacia solo alcuni pezzi del museo. Tutti invece possono sprigionare quella sostanza definita aura. Etimologicamente l’aura è una brezza, un soffio. Un alone che circonda il corpo dei santi, una sostanza luminescente e fluida emanata dall’anima. Negli anni fra le due guerre mondiali l’argomento diventa di moda, tanto che si discute se sia possibile catturare l’aura con la fotografia. Walter Benjamin ne fornisce definizioni: un singolare intreccio di spazio e tempo, l’apparizione unica di una lontananza per quanto possa essere vicina. L’opera d’arte sta perdendo l’aura perché la sua riproducibilità tecnica la priva dell’unicità e l’esigenza delle masse di rendere le cose più vicine tende a ridurre la percezione della distanza. Contemporaneamente il valore culturale cede il posto a quello espositivo, la dimensione spettacolare tende a prevalere su quella contemplativa. Benjamin sostiene che l’aura attorno ad un oggetto sensibile corrisponde all’esperienza che si deposita come esercizio in un oggetto d’uso. Nello sguardo è implicita l’attesa di essere ricambiato da ciò a cui si offre. Se questa attesa viene soddisfatta lo sguardo ottiene l’esperienza dell’aura. Remo Bodei sostiene che a differenza della cosa, l’oggetto è privo di aura. Qui l’aura si materializza nella cornice, nella vetrina, nel piedistallo, nella teca, in tutto ciò che separa e distanzia, evidenzia e richiama. Senza la struttura simile a un altare, gli allarmi e i custodi, il frammento di basalto vulcanico esposto all’Air and Space Museum di Washington non lascerebbe intendere di essere un pezzo di luna. Se mi emoziono vedendo esposto il diario del mio scrittore preferito, più che leggendolo pubblicato, è perché vedo la sua scrittura, so che ha toccato quelle pagine e in qualche modo entro in intimità con lui. Nel museo quindi l’incontro fra le persone e gli oggetti avviene con ritualità, a volte solenne, a volte intima. L’aura è una sorta di percezione aumentata, una forma di atmosfera. 5.3. Tre atmosfere letterarie La fortuna letteraria del museo non è stata indagata ancora a fondo. Consideriamo due scene d’amore che svolgono un ruolo chiave nei romanzi. La prima è da “L’età dell’innocenza” di Edith Wharton, ambientata al Met. I protagonisti sono un giovane appena sposato e la cugina di sua moglie. Lui le chiede di incontrarsi in un posto dove stare da soli e propone il museo d’arte nel parco. In una di quelle sale lei gli propone di andare da lui una sola volta e poi partire per sempre e lui pensa di non aver mai contemplato prima l’amore fattosi visibile. Il loro proposito d’amore sfumerà quando saranno usciti dal museo. I due si separano ma quella sala del Met riappare alla fine del romanzo. È ancora un museo che prelude al tentativo di un nuovo incontro fra i due molti anni dopo, a Parigi. La seconda scena d’amore si svolge al Louvre e il romanzo noire è “La donna che visse due volte”, la cui fama è stata oscurata dalla trasposizione cinematografica. Anche qui i due protagonisti si incontrano al museo. L’atmosfera del museo serve agli autori per proiettare un alone inquietante sulla storia d’amore. Il museo qui è inteso come trappola. La terza atmosfera letteraria è tratta dalla Coscienza di Zeno di Svevo, museo visitato in viaggio di nozze. Zeno e sua moglie che vivono a Trieste austriaca scelgono di visitare l’Italia e arrivano a Firenze. La moglie vuole vedere tutti i musei e la nevrosi di Zeno lo induce a fingere di aver sofferto della sindrome di Standhal pur di sfuggire alla noia dei musei.
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