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Pianeta Varda riassunto libro, Schemi e mappe concettuali di Storia Del Cinema

riassunto completo del libro "Pianeta Varda"

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2021/2022

In vendita dal 30/01/2023

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4.5

(40)

33 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Pianeta Varda riassunto libro e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia Del Cinema solo su Docsity! Pianeta Varda AMERICA La curiosità di Varda per l'arte, la società e il cinema statunitensi non è nel contesto parigino degli anni 60 una rarità. Varda andando in America per ben due volte, la traduce in film profondamente americani che dà a quella curiosità un seguito reale e questo la porta alla candidatura a miglior film straniero di Les parapluies de Cherbourg del suo Jacques Demy. Come ricorda in Les plages d’Agnes (2008), in America Varda ci arriva con Demy nel 1967 e ci rimarrà due anni. Per Varda America sarà sempre e soprattutto California; ci va perché ama Demy e perché c'è da promuovere Josephine ma soprattutto perché a Demy è offerta la possibilità di realizzare un film per la Columbia Pictures. Gerry Ayres che mette sotto contratto Demy non avrà difficoltà a ottenere un riconoscimento anche per Varda sempre per la Columbia; lei deve fare altro e si occupa di due cortometraggi documentaristici, Oncle Yanco (1967) e Black Panthers (1968) e un lungometraggio di finzione Lions love (1969). Il divertissement sullo “zio Yanco” appartiene al genere prediletto da Varda, quello del ritratto, ma rappresenta anche l'occasione per un'esplorazione di San Francisco e del suo versante hippy; sempre attraverso Yanco, Varda prende anche posizione contro il governo Johnson, contro l'ossessione tipicamente americana per il denaro il successo e contro la guerra in Vietnam. Per la regista stare in America significa anche stare con gli americani, con quella parte di americani di intellettuali liberi e innamorati della vita, ma è vicina e solidale anche a quella generazione di americani un po’ più arrabbiati e nel 1968 va a Los Angeles documentando le proteste per l'arresto di Huey p. Newton. È però tutta sua la parentesi femminile che riesce a scavare tra un comizio e una marcia e un concerto grazie a un'intervista a Kathleen Cleaver, partendo dal partito delle pantere la questione si sposta verso il corpo e l'orgoglio per i capelli afro e i canoni della bellezza nera in confronto con i modelli bianchi. Sono invece Hollywood, i suoi corpi e le sue star le sue effigi e le sue contraddizioni i protagonisti del progetto americano più sfuggente ma anche più esplicitamente cinefilo in Lions love Varda crea un film americano che sembri girato da un regista della nouvelle Vague. Tratta di due grandi temi americani: il sesso e la politica, ma il collage come viene definito il film da parte di Varda, riguarda anche la nostalgia per il recente passato di Hollywood e il misticismo hippie, la fine della giovinezza e le contraddizioni. In sintesi, questa prima parentesi americana si compone di un film su di sé, su una famiglia politica, le pantere nere, e di un film su una famiglia dello spettacolo. Il secondo soggiorno americano a Los Angeles è più breve e senza Demy, dopo il film che l'ha riportata decisamente a casa, Daguerreotypes (1975) e due progetti attraverso i quali ha indagato il segreto di essere donna e cioè Réponse de femmes (1975) e L’une chante l’autre pas (1976). Mur murs, il primo dei progetti americani appartenenti al secondo viaggio, è una specie di ideale continuazione di Daguerreotypes in cui il cast è rappresentato da the people of Los Angeles, dalle loro tracce e dei loro segni lasciateci muri. Documenteur (1981) nasce dall'immagine finale di Mur murs: una donna e suo figlio di 8 anni si sono appena fermati di fronte al grande murale Isle of California realizzato nel 1972, ma a definire il film è il dialogo stretto tra l'identità della regista e quella dell'attrice che comincia a lavorare per una troupe che sta girando un documentario sui murales de Los Angeles; La dinamica è per metà uno sdoppiamento e per metà un rispecchiamento. ARCHIVIO Agner Varda ha saputo fare della raccolta un metodo creativo. Il suo lavoro sembra recuperare le usanze arcaiche che hanno segnato l'evoluzione della nostra specie, il ruolo della donna nelle società umane. Varda ha costantemente raccolto in immagini ciò che sopravanza al vivere quotidiano, quella realtà in esubero che può essere recuperata e trasformata. Già l'Opera Mouffe (1958) è una testimonianza di un doppio percorso: raccogliere immagini e riscriverle in una sequenza di montaggio intellettuale. Film successivi come Ulisse (1984), Les glaneurs et la glaneuse (2000) e Les plages d'agnes (2008) ne sono altri esempi, ma in realtà tutto il sistema Varda è strutturato in questo modo. Questa tendenza al glanage sia amplifica con la morte di Demy nel 1990 dopo la quale Varda inizia a riscrivere Demy, a riconfigurare le immagini e l'immaginario in una serie di film più o meno documentari. Varda non si è limitata a riscrivere Jacques Demy, spesso ha ri-raccontato le stesse storie. La tensione verso l'autoritratto, così centrale nella sua opera, ha prodotto molteplici versioni di momenti di formazione del suo talento artistico o di episodi epifanici. È proprio questa svolta verso l'inconsistenza dell'immagine che sembra aver stimolato la tendenza alla catalogazione di sé, una sorta di auto archiviazione della sua prassi creativa. Sorta di film testamento, Les plages d'agnes traduce definitivamente in immagine audiovisivi un lavoro più complesso e sostanziale di archiviazione, conservazione e promozione della propria opera. Varda ha raccolto e archiviato tutta la documentazione sui film suoi e del marito attraverso carte, lettere, disegni e fotografie sulle quali ha lavorato al restauro e all'elaborazione dell’extra. Sappiamo che l'archivio è uno degli spazi emblematici della modernità, una sua ossessione specifica. Va detto che Varda con le sue pratiche soggettive e intenzionali sembra molto lontana dalla nozione che si propone alcuni anni dopo nell’Archeologia del sapere (1969), dove l'archivio non è tanto luogo fisico, ma la legge di ciò che può essere detto. È qui che si manifesta quell'uso sentimentale dell'archivio che caratterizza tante esperienze novecentesche. È questo approccio sentimentale che si ritrova nell'opera di Varda; da un lato l'archivio serve a colmare una perdita, in primo luogo la morte di Demy, ma più in generale lo scorrere inesorabile del tempo. Anche l'archivio di Varda è rivolto in avanti e cerca di configurare l'immagine che il futuro avrà del passato, nello specifico l'immagine della sua opera come eredità per le generazioni successive. D'altro lato l'archivio si pone tra il soggetto e il mondo esterno, rappresentando lo spazio di transazione dell'identità e il luogo di raccolta dell'esperienza personale. Esempio perfetto di una Varda collezionista e storica è Daguerreotypes in cui l'esperienza privata della regista si intreccia al ritratto di amici, vicini e commercianti. ARTE Il percorso di Agnès Varda si è svolto nell'arte, o meglio nelle art,i tra letteratura, teatro e arti plastiche. Ai film si sono affiancate nel nuovo millennio le mostre, le installazioni e i suoi film hanno incorporato le sue mostre e le sue installazioni. Percorrendo l'intreccio fra cinema e arte di Varda, vediamo nella sua biografia che le arti compaiono sin dall'infanzia in Belgio negli anni 30 del 900 con la passione della madre per la storia dell'arte, la quale amava la cultura figurativa ma anche le immagini in genere. L'artista rievoca i ritratti, gli album di figurine, accanto alle ripetute visite con la madre a Gand ed è rimasta in lei la passione per la forma trittico e la predella, la meraviglia per le figure nude che fin dall'infanzia contemplavano nei quadri. L'idea di quadro Varda ha realizzato film sempre diversi tra loro e le nuove tecnologie le hanno aperto la possibilità di realizzare opere a metà tra il diario e il saggio. Il digitale le hai cambiato il modo di lavorare, le opere degli ultimi vent'anni sono accomunate da un approccio simile: presenza della regista nel film, riprese da documentari, accostamento di materiali. Varda negli ultimi due decenni partiva da se stessa per arrivare agli altri e arrivare al cinema. Colpisce nel suo percorso l'essere stata sempre nei luoghi dove le cose stavano suggerendo e cambiando, guidata da intuito con la curiosità e istinto. Sono film che respirano l'aria del tempo oppure restano attuali anche nella loro eccentricità. Varda è portatrice di un suo punto di vista preciso, mai allineato, senza paura di conciliare l'impegno con la leggerezza e l'ironia con la ricercatezza mettendo sempre insieme pratica e riflessione. Varda ha frequentato tutto il cinema nelle sue svariate modalità: autoproduzione, ambiente francese, cinema di finzione. Un'attività intensa e instancabile in cui aveva una visione totale del cinema, quella dell'artigiana come all'interno di una bottega. COLORE Il colore nell'opera di Agnes Varda si coniuga con la complessa poetica del quotidiano in cui coesistono l'esposizione della memoria e del ricordo, dalla rappresentazione del presente, il gusto per il barocco. Varda ha dichiarato allo stesso tempo una sorta di predilezione per il bianco impiegato come pura sensazione, spesso associato all'amore; è bianca la luce che illuminava e avvolge le stanze e gli arredi in Cleo o gli abiti scelti per il delicato ritratto di famiglia in Les plages d’Agnes. L'impiego connotativo e psicologico del colore rientra nella prassi abituale di Varda la quale sceglie toni freddi nel verde e del marrone per accompagnare la disperazione di Suzanna o la solitudine di Mona, mentre preferisce il rosso per caratterizzare la passione di MarJane e Julienne. Appare innegabile la caratterizzazione dei personaggi attraverso un colore o uno spettro di colori in relazione ai colori primari, al rosa e al viola. In alcuni suoi film Varda inserisce l'articolata materia memoriale con l'immaginazione e la realtà combinando in un perfetto inconsueto ordito sollecitazioni che provengono allo stesso tempo dal cinema e dalla fotografia. Appaiono significative ed emblematiche alcune tappe del processo conoscitivo di Varda se si pensa all'uso del colore contrapposto al bianco e al nero. Varda si dedica a due lavori su commissione, entrambi a colori: si tratta di video promozionali in cui il colore assume un ruolo centrale e stabilisce una precisa dialettica fra i colori e le forme. Appare interessante soffermarsi su una fra le primissime opere a colori di Varda, Il verde prato dell'amore che compone un vero e proprio saggio sul colore e una scintillante favola in cui tutto è illuminato dei toni accesi dalle sfumature decise; Varda descrive il ciclo vitale di un amore che si esaurisce. Il verde prato dell'amore si sviluppa infatti attraverso la successione di quadri che descrivono diverse declinazioni della felicità: coniugale, domestica, filiale e agreste. Il complesso film parte però soprattutto da una critica a questa costituzione della felicità realizzata ricorrendo alla presenza del colore e di alcuni poster pubblicitari. DEMY Il rapporto tra Demy e Varda viene definito come un clan, i cui due universi sono diversi ma si sono così tanto incrociati, intrecciati, da essere indispensabili l'uno all'altra. Con Jacques Demy, Agnes inizia quella che anni dopo avrebbe definito “una bella avventura d'amore”. La seconda metà degli anni 50 è un periodo di grandi cambiamenti di cui sono protagonisti i due giovani. La coppia Demy-Varda trova uno spazio tutto suo; Varda dichiara che non deve esistere più la necessità per una donna di scegliere tra la famiglia e la professione e che bisogna allontanare il pensiero che la donna debba diventare un mostro per lavorare. I due registri paiono rimandarsi nel delineare le prime figure di donne o i primi orizzonti familiari e borghesi. Si gioca una partita importante e una riflessione profonda attraverso il cinema sulla rappresentazione e sul ruolo della donna nella società: la famiglia, il matrimonio, l'orizzonte borghese sono al centro di due film successivi, tra cui Il verde prato dell'amore. La scomparsa prematura di Jacques ha segnato il percorso di Agnes; la sua malattia così attuale e così implacabile diventa un non detto perché fu lui a non volere che si sapesse pubblicamente dell’AIDS. Del resto, Varda nei film dedicati al marito non vuole dire la morte ma celebrare la vita e la creatività artistica. Se l'infanzia è il principio, il momento seminale di ogni cosa è però anche l'epoca a cui si guarda con nostalgia; il documento di un'epoca si tramuta in un sentimento vissuto nel presente: si parla al contempo del passato di Jacques e della futura vedovanza di Agnes. Del resto la nostalgia è un sentimento poco presente in Varda ed è un'ulteriore omaggio a Demy, che l’ha tanto spesso raccontata come la nostalgia di un ritorno che si consuma nell'attesa. DONNE Scrivere al passato di parte è un compito difficile perché ricorda tristemente il vuoto che ha lasciato dietro di sè. Durante la sua carriera di creatrice di film e di immagini Varda, è entrata in relazione con tutte le donne che ha incontrato, filmato e rappresentato. La filmografia di Varda si può leggere come un'esplorazione costantemente rilanciata di immagine ed esperienze femminili e include uno spettro molto ampio di creazioni dai primi cortometraggi sperimentali e saggistici fino ai lungometraggi più tardi e autobiografici. La regista è interessata a creare una varietà di immagini e ad assemblare una raccolta stimolante di rappresentazioni. Il film di Varda non presenta nessuna di queste donne come più interessante o più importante e non suggerisce nemmeno che si guardi dall'alto uno dei due gruppi ma cattura semplicemente le divergenti prospettive vita di queste donne ponendole l'una a fianco all'altra. Un'altra particolarità riguardo le immagini di donne è la sua curiosità per i corpi di tutte le età. Vuole insomma catturare un insieme di donne piuttosto che concentrarsi su una soltanto rendendo il colore e il tono di un gruppo invece di mettere a fuoco un unico punto. Per Varda rappresentare corpi di età diverse non significa semplicemente includere nei suoi film diversi tipi di donne, la sua esplorazione della geografia tattile dei corpi femminili è sia poetica sia politica. Osservando le diverse fasi della vita di una donna e il modo in cui gli altri la percepiscono, Varda ci mostra qual è il margine di scelta di questi personaggi e allo stesso tempo ci fa riflettere anche sulle donne che potrebbero avere opzioni più limitate. FOTOGRAFIA La fotografia segna l'apprendistato artistico di Varda. Nei primi anni 40 infatti è catturata dalla doppia natura che ha caratterizzato la storia della fotografia fin dal buon vento negli anni 30 dell'Ottocento: da un lato strumento mimetico con cui documentare il reale e dall'altro pratica artistica. Non basta guardare bene ma bisogna soprattutto imparare a eliminare dall'inquadratura porzioni divisibili e rinunciare a qualcosa nascondendolo; Varda sembra delineare uno spazio della rappresentazione al tempo stesso centripeto e centrifugo. Il cortometraggio inserito al centro della trilogia si intitola Ulysse in cui la tensione tra osservazione documentaria e creazione artistica si vanifica in modo esemplare. Alla memoria individuale e frammentata dei soggetti ritratti testimoniata dalla fotografa si associa inoltre la memoria ufficiale, cioè i fatti storici di quel giorno, e ancora una volta la fotografia è suscettibile di essere un documento del reale ma anche l'innesco di un processo negativo. Fotografia e messa in movimento scatenano la relazione con ciò che mi punge lo spettatore, che come sempre in Varda è chiamato a concedersi. Lo statuto ontologico dell'immagine fotografica torna al centro dell'attenzione di Varda misurandosi per la prima volta con il digitale. Qui il processo di cinescrittura assomiglia sempre più alla scrittura automatica. INCONTRI Il cinema di Varda è un continuo girovagare e incontrare persone. Visages villages (2017) può essere un chiaro esempio dell'attitudine all'incontro e dei modi con cui rende conto del presente nella memoria del passato. Varda parte a riflettere sull'incontro, questo significa infatti incentrare l'attenzione sulla fondazione dell’intersoggettività e su ciò che avviene quando differenti soggetti si scoprono a vicenda. L'incontro di soggettività che è alla base di ogni possibile empatia non è semplice rispecchiamento, ma piuttosto siamo di fronte a una situazione relazionale in cui sono determinanti il qui e l'ora concreti e le conseguenti modificazioni che i soggetti coinvolti subiscono attivamente grazie alla compresenza l'uno dell'altro. È giusto dunque riconoscere a Varda una straordinaria sensibilità all'apertura verso l'altro capace di trasformare ogni incontro in un tassello fondamentale della sua esistenza e del suo fare cinema. Tale esigenza nasce dalla consapevolezza di essere mancanti di qualcosa di fondamentale e di non voler essere autosufficienti, e dal considerare questa condizione non come un limite ma come una necessità che dalla singolarità del soggetto apre all'intersoggettività. Il cinema arriva a poter sostenere che il creatore e l'incontro stesso e la concreta situazione scaturita nell'incontro. Godard è senza dubbio un interlocutore fondamentale di Varda: due visioni affini nel fare cinema tra finzione e documentario, rimandi reciproci nei film, vicini e intimi. Nel 2019 in Varda par Agnes ripercorrendo la sua vita, il suo cinema, la regista individua tre parole chiave per comprenderli: ispirazione - creazione – condivisione: la prima rimanda al perché e alle idee che danno a loro i film, la seconda il modo e i mezzi per fare un film e la terza è la più importante, personale per la regista, perché non si fanno film per se stessi bensì per creare comunità. MEMORIA All'interno della abbecedario, vengono usate parole quasi malinconiche per descrivere il proprio rapporto con la memoria; la memoria di Varda si possiede al contempo come una qualità intima e pubblica, si tratta del tentativo di un'artista di rileggere la propria esistenza attraverso un filo che apparire uno schermo in modo inatteso nella stanza. Il corpo si fa schermo per l'inarrestabile flusso della memoria, incarna e ci restituisce l’implacabile e potente trascorrere del tempo e della vita. SPIAGGE La relazione fra soggetto e luogo è indissolubile nell'opera di Varda: i luoghi si esprimono attraverso coloro che li abitano e gli individui si definiscono nel rapporto con essi. Definita da una parte come un luogo illimite, la spiaggia ricorre nella sua produzione sia come spazio pieno e abitato sia come quinta teatrale, palcoscenico vuoto atto ospitare il gioco della messinscena. Lo slancio vitale delle spiagge picassiana sembra alimentare un motivo ricorrente nel cinema di Varda, quello degli amanti nudi sulla spiaggia. La fascinazione verso gli oggetti e colori appartenenti alla quotidianità dei bagnanti si unisce al piacere dell'accumulo che caratterizza molte altre opere della regista. Lo sguardo curioso della regista recepisce e immagina che nella spiaggia trovi il luogo ideale dove alternare un'apertura all'osservazione e una chiusura nella composizione. Le spiagge di Agnes si confermano così lo spazio privilegiato per l'autrice in cui offrire la complessità di questo suo sguardo che oscilla costantemente fra il desiderio di captare frammenti di irreale e quello di lasciare campo libero all'immaginazione. TEMPO Il tempo ci sembra diverso se siamo felici o se siamo ansiosi e questo si chiama tempo soggettivo. Varda enuncia chiaramente il proprio concetto di temporalità con l'intenzione di combinare il tempo oggettivo con il tempo soggettivo. Il tempo di ricordo non smette di rinnovarsi e di invadere il presente riscrivendo un movimento simile a quello delle onde del mare che incessantemente si infrangono sulle spiagge; il mare è nella filmografia di Varda l'elemento naturale in grado di raffigurare il mistero del tempo, almeno a partire dagli anni 80 i film di Varda si confrontano in modo esplicito con il tema della memoria personale e della sua messa in scena. Contiene il passato e il presente che appaiono talvolta apparentemente irrelati e tuttavia acquistano significato in virtù del valore che hanno per il soggetto autoriale. Il cinema di Varda rifiuta quasi sempre la linearità cronologica per rappresentare un tempo fuori dai cardini consegnando un preciso valore al tempo della narrazione, il suo scorrere, il suo emergere. VILLAGGI Quasi la metà dei film di Varda contiene nel proprio titolo un'indicazione spaziale, spesso il nome di un luogo o il nome della popolazione o la tipologia di paesaggio o un singolo elemento architettonico. La sensibilità nei confronti della dimensione spaziale si traduce spesso nel film in un'esigenza di localizzazione puntuale consegnata a inquadrature di cartelli con nomi di località o di strade. A determinare gli spostamenti da un luogo all'altro sembra essere il caso, elemento fondamentale nella pratica artistica di Varda e nell'esistenza di figure esemplari del suo cinema. Varda è interessata non solo a indagare le relazioni umane all'interno di una comunità, ma anche l'idea stessa di comunità che in alcuni casi può definirsi attraverso il suo posto, vale a dire l'isolamento. I villaggi sono intesi nel cinema di Varda non secondo una stretta definizione urbanistica, ma come nuclei che costellano quella campagna. Il Village rappresenta un vero e proprio dispositivo che può agevolare il contatto tra gli individui. Nell'opera della cineasta gli individui sono espressione dei luoghi in cui abitano o fusione di elemento urbano ed elemento spaziale. Il paesaggio si fa palcoscenico teatrale, sfondo su cui spiccano elementi dalle precise valenze simboliche e allo stesso modo Varda lavora al materiale etnografico. VOCE L'oralità e la voce hanno rappresentato per le donne la conquista di uno spazio di libertà. Il femminismo ha opposto spesso la voce come espressione fluida allo scritto nella sua rigidità e discontinuità. In Varda l'uso della voce soggetto appare legato a una rivendicazione femminista perché rimarca la sua posizione di osservatrice e di artista che dà uno sguardo personale sulla realtà. È importante sottolineare che mentre nel cinema moderno la relazione tra sguardo e voce è spesso evoluta in una dimensione asincrona e disturbante, la voce di Varda è stata capace di instaurare un dialogo con lo spettatore ma di lasciarlo anche libero di aderire e di criticare. La rivendicazione di uno sguardo femminile è stata forte anche rispetto alla realtà politica. Varda si focalizza spesso sul ruolo delle donne e dei contesti analizzati sia nel caso di Cuba che degli Stati Uniti. Nella narratrice Varda sembrano trovare un incontro quelli che sono i pilastri della secolare abitudine della narrazione: l'agricoltore sedentario il mercante navigatore. Per Varda l'impronta è la sua voce incarnata, la presenza di un corpo che lavora alla realtà e alla materia, incarna l'impossibilità di una divisione tra un interno e un esterno ed essa convoca un ascoltatore: spettatrici e spettatori sono ancorati ad un soggetto e Varda fa esperienza del mondo attraverso la sua voce. VOLTO Grazie alla fotografia prende forma la sua cifra stilistica e fa capolino uno degli elementi nodali della sua poetica: il volto, o per essere più precisi, la questione della viseità, dato che per Varda il volto assume le sembianze di un segno di uno spazio di rappresentazione e codificazione estendibile oltre il corpo. Il volto appare di fatto come un mezzo interlocutorio che si rivela attraverso le gradazioni di porosità della sua parte più esposta, cioè la pelle o la superficie cutanea. Il volto guarda un piano intelligibile posto tra ciò che si vede e ciò che non si vede ma che, come un palcoscenico, prelude a qualcosa da rendere manifesto. Varda realizza un autoritratto effetto mosaico tagliando la fotografia ottenuta in tante piccole parti irregolari nel 1949 a partire da uno scatto fatto in posa davanti a uno specchio. Quello di Varda è un volto che espone nella rappresentazione particellare un'identità composita dal confine aperto dell'autoritratto del 1949; Varda non può assomigliare a se stessa se non in quel modo, contemplando quel che si vede insieme a quel che non si vede. Nelle stagioni californiane il volto assumerà in prevalenza sembianze collettive, prendendo l'aspetto e il respiro dei movimenti hippie, del contesto underground e delle proteste degli afroamericani. Il volto dell'arte e dell'architettura è per altre ispirazione costante del lavoro di Varda. Varda sembra così voler indicare come il volto sia il paesaggio umano in cui è possibile provare a conoscersi incontrando l'altro. I volti sono così il perno di un rapporto interpersonale, lettere di un alfabeto visivo attraverso cui mescolare storie e riflessioni.
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