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Pink Floyd attraverso i tempi possibili, Tesine universitarie di Semiotica

Una visione semiotica del tempo nella storia musicale della rock band inglese, con particolare attenzione a Dark Side of The Moon. Le varie prospettive di comunicazione che la musica può proporre.

Tipologia: Tesine universitarie

2018/2019

Caricato il 06/04/2019

emmegizeller
emmegizeller 🇮🇹

4.3

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Scarica Pink Floyd attraverso i tempi possibili e più Tesine universitarie in PDF di Semiotica solo su Docsity! 1 Pink Floyd: Times Introduzione Tra tutti i generi di arti scaturiti dalla creatività umana, nessuna più della musica dipende dal tempo. Forse essa stessa può essere definita l’arte di manipolare sezioni oggettive di tempo tramite il suono, con il risultato di trasformarle in esperienze quanto mai soggettive per chi si trova ad ascoltare. Basti riflettere su come momenti di vissuto più o meno quotidiano si dilatino nella nostra percezione del tempo grazie alla presenza di una musica: la musica classica dal dentista, che sembra congelare lo scorrimento delle lancette e con esse l’attesa della visita; la musica al concerto di un artista che ci piace, che riduce due ore in mezz’ora scarsa; o ancora, le colonne sonore dei film, che conferiscono alle scene una determinata qualità emotiva. Al di sotto della dimensione soggettiva percepita, è fortemente presente un utilizzo tecnico del tempo in musica. Come sappiamo infatti, ogni composizione ha un proprio tempo di cui si deve tenere conto mentre lo si scrive su pentagramma, mentre lo si esegue. Sarebbe surreale pensare, ad esempio, ai componenti di un’orchestra che eseguono un determinato brano ognuno regolandosi su un numero di bpm (battiti per minuto) differente. Il risultato sarebbe essenzialmente chiasso. Il tempo in musica è anche ritmo, che costituisce moduli comuni condivisi – e talvolta suddivisibili per generi specifici – che ci permettono di dire se un pezzo ha groove, se è funky, se è troppo lento, se ci fa venire voglia di ballare e come. Alla creazione di spazi temporali, contribuiscono anche senza dubbio le dinamiche di un brano, i suoni e gli strumenti che vi partecipano, le loro frequenze, la loro intensità, in altre parole la texture di un brano. Il genere musicale contemporaneo che più ha lavorato con consapevolezza su tutte queste componenti per produrre esperienze musicali assolute più che semplici canzoni, è quello del progressive rock, nato in Inghilterra intorno alla fine degli anni sessanta. L’unione dei nuovi strumenti tecnologici 2 dell’epoca, la cultura dei musicisti, e l’intenzione di creare qualcosa di impegnato e ricercato, hanno fatto sì che il prog si inquadrasse come una sorta di musica classica dei nostri giorni. Tra i maggiori precursori, troviamo proprio i Pink Floyd, il celeberrimo gruppo inglese che in quegli anni attraverso ricercatezza dei suoni, concerti estremamente scenografici e composizioni articolate, è riuscito a dare un’impronta a tutta la successiva storia del rock. Pink Floyd: in time Secondo il critico Edward Macan, all’interno del progressive rock inglese, si sono succedute due diverse fasi che hanno contribuito a costruire il carattere del genere come ci è rimasto oggi. La prima (1967-71), in cui troviamo accanto ai Pink Floyd anche i Nice o i Moody Blues, rappresenta l’embrione dello stile, che poi nella seconda (1971-76) vedrà la sua “epoca d’oro” e completa affermazione, con gruppi come i King Crimson o i Jethro Tull. La prima ondata si aggrappa ferocemente ad un importante momento storico della musica di quegli anni, ovvero l’uscita nel 1967 di Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club, celeberrimo disco dei Beatles, le cui sonorità nuove e sperimentali avranno il potere influenzare grandissima parte degli artisti successivi. Sgt. Pepper presenta infatti quelli che sono distinguibili come i primi elementi del prog rock inglese, che fino agli anni settata rimane soprattutto all’interno della definizione psychedelic rock. Il motivo per il quale è necessario rimarcare sulle influenze dalle quali origina il genere, è in questo caso più importante rispetto a quanto potrebbe esserlo per altri. Si tratta infatti di un periodo storico – quello tra gli anni sessanta e settanta – in cui l’immersione culturale degli artisti era enorme. C’era una diffusa consapevolezza delle possibilità delle nuove risorse tecnologiche in circolazione, un’ambiente estremamente stimolante, pieno di idee, novità e droghe, in cui chi era appena arrivato poteva sia guardare da vicino i grandi del momento, sia avere un ampio orizzonte su cui orientarsi. Basti pensare che negli Abbey Road studios, mentre nella sala principale i Beatles – già famosissimi – registravano il sovracitato Sgt. Pepper, nella stanza più piccola dei giovanissimi Pink Floyd registravano il loro primo disco, A Piper At The Gates Of Dawn. Ecco dunque che non è difficile immaginare dei giovanissimi Waters, Mason, Wright e Barrett (il cui crollo mentale porterà all’ingresso nel gruppo poco dopo di David Gilmour) con l’orecchio teso ad ascoltare cosa si stesse creando dietro alla porta accanto, oppure ad intercettare nei corridoi uno dei Fab4 per qualche consiglio o scambio di idee. Il concetto stesso di progressive trae le radici da quello di progress, in termini di sviluppo e crescita tramite stratificazione di elementi. Contenuti culturali, elementi sinfonici, temi provenienti dalla tradizione della musica classica: il rock degli anni ’60-’70 si appropria mentalmente delle strutture della musica colta – soprattutto opere classiche – mescolandovi elementi della contemporaneità, spesso tra i più audaci, sia in termini di innovazione che di contenuti. Da ciò, va anche da sé l’impossibilità di inquadrare il genere in precisi caratteri estetici, che inevitabilmente emergono, ma tuttavia sarebbero limitanti e denaturalizzerebbero la descrizione di un prodotto artistico che per sua natura è multi-stratificato, diversificato. Un brano prog, o più specificatamente uno dei Pink Floyd è un manierismo in cui c’è spazio per l’esperienza collettiva e individuale, per la tendenza trasgressiva e quella estatica. È un frame of mind, dato dallo sviluppo e dalla magnificazione di un concetto pensato dall’artista. 5 l’ascoltatore attraverso quello che diventa un viaggio. Un viaggio in una dimensione che, sprofondando nelle sonorità, diventa assoluto, ipnotico, psichedelico, spaziale. Tale è la sinuosità, che il tempo si dilata fino a dissolversi. Si è assorbiti da una dimensione altra, il cui il tempo è quantomeno diverso. Si potrebbe accennare ad una certa religiosità, se non altro proprio per questa spinta verso una dimensione superiore, in cui l’esperienza (il momento calcolabile) si eleva a pensiero (il momento di transito) che diventa poi valore (annullamento del tempo). Dark Side Of The Moon: sense of time Si può già comprendere – se non altro per i presupposti strutturali e culturali accennati – quanto sia rilevante la dimensione temporale all’interno di questo album. Tuttavia, attraverso uno sguardo più ravvicinato, si vedrà non solo quanto, ma anche come questa importanza si presenta. Speak To Me, brano di un minuto appena che introduce il disco, a livello simbolico ci dice già parecchio. Al principio ritmico della cassa della batteria in 4/4 – che pulsa come un cuore, in crescendo – si aggiunge al pattern ritmico il suono delle lancette di un primo orologio, assai più rapido e secco, che come il “battito” della batteria, ha una doppia frequenza sempre uguale (per capirci, BUM bum, tic toc). Poi un secondo orologio, il cui tempo sta orientativamente tra quello del primo e la cassa, il cui suono è leggermente più brillante del precedente, ed infine un terzo, un pendolo. È impossibile stabilire uno schema ritmico preciso, in termini musicali, giacché l’intento stesso è quello di creare una confusione sonora. A questi orologi si aggiungono una voce, il cui effetto di riverbero la allontana dall’ascoltatore, il rumore di un registratore di cassa (che poi ricomparirà in Money) e di un elicottero. Interessante è notare – benché ad oggi ci risulti poco stupefacente ascoltare qualunque tipo di suono in un brano registrato – la presenza di questi sonorità riprese dal reale. È impossibile non citare Alan Parson, che di Dark Side of The Moon fu tecnico del suono, guadagnandosi una propria fama prima di sfondare in campo musicale con The Alan Parson’s Project. Egli ebbe l’idea non solo di registrare dal vivo quei suoni, ma anche di utilizzare per la registrazione di tutte le dieci canzoni una sola bobina da sedici piste. Il motivo, è molto semplice, e lo abbiamo già accennato: «Il modo in cui ogni brano fluiva nell’altro era estremamente importante per l’atmosfera generale» Ed è subito dimostrato già a partire da Speak to me. È infatti impossibile, teoricamente, dire che la canzone finisce. Bisognerebbe piuttosto dire, appunto, che essa fluisce in quella seguente, Breathe. Facciamo una breve riflessione. L’ascoltatore per cui è stato pensato Dark Side of The Moon, era inevitabilmente un ascoltatore del 1973. Mentre ciò aveva un peso relativo al momento del live (nel live il gruppo propone il proprio spettacolo/esperienza al pubblico, dove grazie all’elemento visivo è più facile aggiungere o raggiungere determinate intenzioni o dettagli), diventava significativo nel momento della riproduzione personale del disco. Il disco infatti non era un cd, bensì un vinile, e ciò aveva varie implicazioni, tra le quali l’impossibilità di leggere lo scorrimento delle tracce su uno schermo. L’unico modo per sapere quali canzoni ci fossero all’interno di un LP era leggere la copertina, e nella maggior parte dei casi, non era difficile scindere a orecchio un brano dall’altro, grazie a pause o cambiamenti evidenti di tema. Chiaramente la possibilità di distinguere i segmenti di un disco, contare quante canzoni si è ascoltato, vedere quante ne mancano alla fine dell’album, sono elementi con cui un ascoltatore scansiona ciò che sta ascoltando. Sono un riferimento spazio – temporale, perché si sa dove si è stati, e dove si sta andando. Insomma, c’è la possibilità di orientarsi 6 all’interno dell’opera prodotta. Tutto ciò non avviene in Dark Side of The Moon, in cui parte dello stravolgimento della dimensione temporale si deve all’espediente della fluidità, di cui Parson è stato mente pratica. Se immaginiamo un ragazzo, seduto sul proprio divano ad ascoltare per la prima volta questo disco, difficilmente si accorgerà che Speak to Me è terminata, o che Breathe è cominciata, poiché il rumore delle pale dell’elicottero con cui la prima si conclude, diventa quello con cui la seconda inizia. Questo espediente sonoro volto a creare un continuum temporale, si ripropone tra ognuno dei dieci brani, agganciandoli tra di loro. Così, tutto l’album diventa un’unica canzone, potremmo quasi dire un’opera contemporanea, in cui il mood generale rimane lo stesso per tutti i quarantadue minuti, mentre in ogni singolo frammento c’è una variazione sul tema di base, che quindi evolve su se stesso, con una fluidità e una densità capaci di tenere alta e costante l’attenzione dell’ascoltatore fino alla fine. Ciò che davvero ha fatto la differenza, è che Dark Side Of The Moon è stato dapprincipio pensato come un concept album, e dunque era necessario che le due componenti musica-testo viaggiassero su binari soltanto vicini ma coincidenti, facendosi l’un l’altro da contrappunto. Ragion per cui, oltre al fattore meramente uditivo, c’è da porre attenzione anche alla componente concettuale che, come precedentemente accennato, in questo album più che nei precedenti, è non solo presente, ma anche considerevolmente significativa. Per esempio Brain Damage tratta la follia, Money, dove c’è una pesantissima critica al capitalismo e all’attaccamento al denaro oppure Us And Them, che discute il tema della guerra. In particolare, questi due ultimi brani si inseriscono al termine di un blocco di quattro canzoni (tracce 4-7), di cui può essere interessante osservare la sequenza tematica. La prima è Time, dove c’è il tema dell’esistenzialismo, poi The Great Gig In The Sky, che parla della morte, dell’aldilà – con la sorprendente voce di Clare Torry – e infine le due sovracitate. Non è difficile visualizzare un vero e proprio discorso, poiché è come se questi temi dialogassero tra di loro. Capitalismo-guerra-esistenzialismo-morte: il primo, che è il motivo per cui si conducono le guerre, che inevitabilmente conducono ad una riflessione sul senso della vita, che è per tutti quanti morte, ad un certo punto. Oppure, la riflessione sulla vacuità del senso della vita proposto da una filosofia capitalista, insieme all’invisibilità e alla insensatezza di coloro che muoiono in guerra. Ad ogni modo, già solo questi quattro temi possiedono parecchie chiavi di lettura, e tutte ruotano attorno al rapporto dell’uomo con la vita e la sua inesorabile temporalità. Time to Time Time è probabilmente uno dei brani chiave di tutto l’album. Esso rappresenta la riflessione dell’uomo su se stesso e sul proprio vissuto, presente passato e futuro. Il brano è pervaso da un’atmosfera cupa, amara, dai toni contrastanti, talvolta rabbiosi e frustrati, talvolta dolci e speranzosi. Ora, attraverso uno sguardo nel testo e i rispettivi riferimenti musicali, si cercherà di esplicitare quale specifica idea del tempo veicola questo pezzetto di storia della musica. Nei primi secondi ritroviamo il medesimo ticchettare di orologi che si era già incontrato all’inizio del disco, in Speak To Me. Le lancette sono poche e distinguibili, dal suono secco, mentre al secondo 0.08 avviene un’esplosione che coglie di sorpresa l’ascoltatore: campane, pendoli, sveglie, orologi di tutti i tipi urlano per dieci secondi. Va da sé che il richiamo associativo al tempo non potrebbe essere più forte, poiché ci troviamo in presenza di suoni che scandiscono il tempo umano in vari ambiti della quotidianità (l’orologio in una stanza, la sveglia al mattino, la campanella a scuola, etc.). Intorno al minuto 0.26 il caos svanisce, e subentra il basso di Waters, che simula il ticchettare delle lancette, a cui si aggiungere il battito della cassa della batteria (proprio come in Speak to Me) in crescendo. Su questo pattern ritmico isolato, si inseriscono, a fendere letteralmente la traccia, chitarra elettrica, organo Hammond e batteria. 7 Ticking away the moments that make up a dull day Fritter and waste the hours in an offhand way. Kicking around on a piece of ground in your home town Waiting for someone or something to show you the way. Tired of lying in the sunshine staying home to watch the rain. You are young and life is long and there is time to kill today. And then one day you find ten years have got behind you. No one told you when to run, you missed the starting gun. So you run and you run to catch up with the sun but it's sinking Racing around to come up behind you again. The sun is the same in a relative way but you're older, Shorter of breath and one day closer to death. Every year is getting shorter never seem to find the time. Plans that either come to naught or half a page of scribbled lines Hanging on in quiet desperation is the English way The time is gone, the song is over, Thought I'd something more to say. Home Home again I like to be here When I can When I come home Cold and tired It's good to warm my bones Beside the fire Far away Across the field Tolling on the iron bell Calls the faithful to their knees To hear the softly spoken magic spell Segnando i momenti Che rendono una giornata triste Sciupi e sprechi le ore in una strada fuori mano Gironzolando in una parte della tua città Aspettando che qualcuno o qualcosa ti mostri la via Stanco di sdraiarti alla luce del sole Di restare a casa a guardare la pioggia Sei giovane e la vita è lunga E c’è tempo per ammazzare l’oggi E poi un giorno ti ritrovi 10 anni sulle spalle Nessuno ti ha detto quando correre, Hai perso lo sparo della partenza E tu corri e corri per raggiungere il sole, ma sta tramontando E sta correndo attorno per spuntarti di nuovo alle spalle Il sole è lo stesso, relativamente, ma tu sei più vecchio Col respiro più corto e un giorno più vicino alla morte Ogni anno si fa più breve, sembra che non si trovi mai il tempo Progetti che finiscono nel nulla o in mezza pagina di righe scarabocchiate Appesi ad una quieta disperazione è tipicamente inglese Il tempo se n’è andato, la canzone è finita, pensavo di aver ancora qualcosa da dire A casa, di nuovo a casa Mi piace stare qui quando posso Quando arrivo a casa infreddolito e stanco È bello scaldarmi le ossa vicino al fuoco Lontano, oltre la campagna Il rintocco della campana di ferro Chiama i fedeli ad inginocchiarsi A sentire gli incantesimi narrati sottovoce Entrano come graffi e si dissolvono, lasciando l’ascoltatore in suspense – ricordiamo che nei momenti in cui si dissolvono e spariscono, sotto c’è sempre il basso-orologio e la cassa-battito – poiché si ha la sensazione, dalla sonorità complessiva, che debba accadere qualcosa. Gli ingressi del secondo gruppo strumentale si fanno sempre più ravvicinati e distesi negli intervalli, accrescendo la sensazione di attesa, fino a quando, dopo un notevole crescendo, al minuto 2.17 entra il cantato della prima strofa. Senza dubbio la sensazione percepita è quella di frustrazione rabbiosa, sia dalla musica che dalle 10 Bibliografia - Aristotele, Fisica, IV Capp. 10-14 (Il Tempo), a cura di Laura M. Castelli, Roma, Carocci, 2012 - Brian Hiatt, La storia di Dark Side Of The Moon, traccia per traccia, Rolling Stone, 2016 - Dan Epstein, Dark Side Of The Moon: dieci cose che non sapevate sul classico dei Pink Floyd, Rolling Stone, 2018 - Ema Martin, Pink Floyd – The Dark Side Of The Moon, 2013 - Franco Fabbri, Around The Clock, Torino, UTET, 2008 - Gerardo Mele, Il sentimento del tempo all’epoca dei Pink Floyd, 2013 - Giuseppe Artusi, The Dark Side Of The Moon: esegesi di un’opera immortale, 2016 - Guido Bellachioma, Chit Chat With Oysters. Il Volto Inedito dei Pink Floyd, Ernesto Assante, Roger Waters, il rock in un museo perché l’arte è comunicazione, in “Pink Floyd Story – Prog Italia, Milano, Sprea Editori, 2018, pp. 26-29, 32-33 - John S. Cotner, Pink Floyd’s “Careful with That Axe, Eugene”, Toward a Theory of Textural Rhythm in Early Progressive Rock, Deena Weinstein, Progressive Rock As Text, The Lyrics of Roger Waters, in “Progressive Rock Reconsidered”, New York, Routledge, 2002, pp. 66- 107 - Philippe Gonin and Philippe Lalitte, Experimentation and a New Listening Experience: The Case of “A Saurcerful of Secrets”, in “Prog Rock in Europe, Overview of A Persistent Music Style”, Dijon, Edition Universitaires de Dijon, 2006, pp. 165-182 11
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