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Pittura e controriforma- Zeri, Sintesi del corso di Storia Dell'arte

Pittura e controriforma- Zeri riassunto

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica Pittura e controriforma- Zeri e più Sintesi del corso in PDF di Storia Dell'arte solo su Docsity! PITTURA E CONTRORIFORMA - F. Zeri LA FORMAZIONE Scipione Pulzone da Gaeta, pittore del Cinquecento famoso per i suoi ritratti dell’alta società romana. Non sappiamo quando esattamente Pulzone nacque né quando giunse a Roma, dove appare documentato per la prima volta nel 1562, Secondo Baglione egli fu discepolo di Jacopino del Conte, ma alla luce del fatto che, come già pose in evidenza Federico Zeri, i modi di Pulzone non riflettono più di tanto lo stile di Jacopino, fondato sul disegno forte e marcato da lui appreso alla scuola di Andrea del Sarto, è possibile che tale apprendistato non fosse l’unico ricevuto dal giovane pittore, né è possibile avere l’assoluta certezza che si sia svolto interamente a Roma e non anche in parte a Napoli. Senza dubbio, oltre che verso Andrea del Sarto Jacopino indirizzò gli studi di Scipione verso il sommo Raffaello, costituirono certo delle imprescindibili pietre miliari per il giovane Gaetano, non può essere automaticamente ricondotta all’insegnamento di Jacopino la specifica attenzione che egli rivolse verso le rigorose codificazioni tipologiche della ritrattistica asburgica – termine che si preferisce usare rispetto a quello inflazionato di “internazionale” – esempi della quale dovettero essere introdotti a Roma nel corso degli anni cinquanta anche indipendentemente dai passaggi, riferiti al 1550 e al 1552, del suo più fecondo esponente, il pittore fiammingo giramondo Anthonis Mor. A livello più strettamente stilistico, Scipione dovette poi svolgere per altre vie uno studio personale sulla potenza espressiva e il valore semantico dei colori locali, che per un verso trova un parallelo a Firenze nella ricerca di un compagno di apprendistato del suo maestro Jacopino nella bottega di Andrea, Agnolo Bronzino, e per l’altro ha ben poco a che vedere, al contrario di come si è talora sostenuto, con il tonalismo tizianesco e veneto, al quale invece i Fiorentini avrebbero più tardi cominciato a guardare; senza che perciò la lezione di Tiziano non rimanesse per lui fondamentale sul piano inventivo. SCIPIONE RITRATTISTA Il primo ritratto che si conosce di Pulzone, appartenente a una collezione privata italiana, è quello di un gentiluomo che una scritta sul verso indica per Giovan Battista Giordani, aggiungendo che fu eseguito nell’ottobre del 1568. Esso presenta un fondo rosso scuro che già indica come Pulzone avesse cominciato a lavorare sull’armonia di tonalità spente. Nulla sappiamo dell’effigiato, alquanto avanti negli anni, se non osservare che il suo cognome corrisponde a quello della famiglia napoletana detentrice di una cappellania nella chiesa dei Santi Severino e Sossio, per il cui altare un pittore di fama quale Marco Pino da Siena compì nel 1571 la pala con l’Assunzione. L’autentica fioritura artistica di Pulzone ebbe luogo però nel 1569. A tale anno risalgono il ritratto, firmato sul fondo marrone scuro, di un’ignota Gentildonna già appartenente alla collezione Stroganoff e oggi nella raccolta di Marco Grassi a New York, e soprattutto quello del cardinale Giovanni Ricci da Montepulciano, che con la forza di uno sguardo indifferente ma diretto, al quale per lo spettatore è impossibile sottrarsi, presenta già un elemento di immediatezza e verosimiglianza di stampo naturalistico, accompagnato dalla celebrata minuzia descrittiva che rinvia all’influsso fiammingo di Anthonis Mor. L’impostazione è quella tradizionale del ritratto ecclesiastico, derivata per emulazione dal ritratto di rappresentanza pontificio seduto e inclinato di tre quarti rispetto al piano di superficie che Raffaello aveva creato con il Giulio II; al posto del fazzoletto, emblema della fatica pastorale del pontefice e allusione alla Veronica, il cardinale Ricci stringe nella mano sinistra la lettera piegata che, è divenuta escamotage pronto all’uso per iscrizioni didascaliche. Inoltre si tratta di un esempio per cui è possibile riscontrare il modello produttivo a taglio multiplo: in una presa dal vero di alcune ore il pittore realizza un disegno, o più probabilmente un bozzetto, limitato al volto del personaggio; una volta tornato a studio, nei giorni successivi trasferisce il lavoro dal naturale in dipinti che secondo la richiesta potevano essere di vario formato: busto, tre quarti e la più rara, impegnativa e sicuramente costosa figura intera. Rispetto al suo maestro, Scipione come possiamo vedere già nei suoi primi ritratti, è più attento al modello e ai dettagli sia fisici sia delle fogge, quasi in confronto con certi ritrattisti fiamminghi. In questa nuova ritrattistica che si va a diffondere nella seconda metà del secolo XVI, il ritratto non va a fermare solo i tratti fisionomici ma anche gli attributi dello stato sociale e del censo. In questa ritrattistica definita “internazionale” o “di corte” si ritrovano le scuole di Borgogna e Fiandre come capostipiti e solo in seguito arrivarono esempi italiani, questo perché almeno fino al 1560 gli artisti italiani non minimizzeranno la propria abilità nei tratti fisionomici o psicologici del personaggio per esaltare vesti o qualsiasi segno della condizione sociale del soggetto. Il giungere al Nord di ritratti ad opera di Tiziano Vecellio, i moduli iconografici di Han Holbein e la reviviscenza della pittura dei Paesi Bassi sono alcuni momenti e movimenti principali che portarono, verso il 1550 all’elaborazione del ritratto internazionale. Fu proprio il fiammingo Antonio Moro a formulare l’iconografia internazionale e a diffonderla con successo. E fu a Roma, nei due soggiorni di Antonio Moro e delle sue opere lasciate alla città che Pulzone venne a conoscenza di questa nuova ritrattistica. La sua pur sommaria affermazione aiuta a chiarire che l’approdo di Scipione alla pittura religiosa si manifesta solo nella maturità, quando la sua fama di ritrattista ha varcato i confini dello Stato pontificio, dove risiede, e del Regno di Napoli, di cui è suddito per nascita. I dati biografici finora emersi mettono in luce che il desiderio di affrancarsi dal ruolo di specialista del ritratto, così da competere con i contemporanei più affermati, è appagato dal Gaetano grazie alla fitta rete di rapporti con illustri personalità e famiglie aristocratiche che egli – da uomo colto e avveduto “cortigiano”, quale si dimostra attraverso i documenti – aveva intessuto sin dagli sessanta. Risulta, infatti, che le committenze di carattere religioso sono spesso connesse al medesimo circuito di personaggi e ambienti frequentati in qualità di ritrattista e che solo negli anni ottanta si manifesta il favore di ordini e congregazioni religiose (più di nuova che di vecchia fondazione) e di alcune confraternite. L’ARTE SACRA DI SCIPIONE Nella prima opera a carattere sacro, ovvero la Pala d’altare dipinta nel 1574 per la Basilica di San Giovanni in Laterano ed ora divisa mostra già, nei due suoi frammenti la progressione stilistica di Scipione Pulzone: nella scena di Martino V il ritratto di profilo, probabilmente copiato da un affresco di Gentile si mostra ancora arcaico come la rappresentazione prospettica dell’inginocchiatoio. Immagini sorta già prima della Riforma protestante)56, ma anche dalla precettistica di Paleotti – e ha fatto notare, grazie a quell’inconsueta consultazione epistolare, «quali complesse preoccupazioni il genere della «historia», declinata in chiave sacra. teologiche e storiche hanno preceduto e guidato la progettazione» della pala. Il tema era delicato – «hoggi ancora alcuni dubitano dell’Assontione»– e poneva vari problemi: se era legittimo raffigurare gli apostoli attorno al sepolcro della Vergine, poiché essi vi giunsero dopo tre giorni; se il loro numero poteva essere di dodici essendo Giacomo morto da tempo; se si doveva seguire l’“erronea” tradizione che li dipingeva con lo sguardo rivolto al cielo (come nell’Ascensione) sebbene l’Assunzione non fosse visibile; se la presenza degli angeli era consentita e il volto della Vergine doveva essere senile o giovanile; se il sepolcro vuoto doveva essere nel mezzo in forma di sarcofago o di fianco scavato nella roccia; infine se si potevano aggiungere ai Dodici altri discepoli. Tali scelte iconografiche provengono dunque dal desiderio dei diretti committenti. Va dunque precisato che Scipione, almeno in questo caso, non può essere letto come il rappresentante di un’arte sacra “ufficiale”, ma come un prudente innovatore che – in una fase di ricerca e di asistematico dibattito sulle iconografie religiose – sa accogliere le istanze di avveduti committenti e vuole presentarsi come l’aggiornato interprete della migliore tradizione pittorica di Roma. Le semplificazioni compositive che Scipione andò compiendo nel corso del nono decennio del Cinquecento risentivano certamente del clima religioso di quegli anni e del dibattito sull’arte sacra sviluppatosi dopo Trento, ma solo in parte provenivano dalla precettistica sulle Immagini. Quanto il concilio di Trento abbia influenzato l’arte del secolo non ci è dato sapere con certezza tuttavia l’esame diretto dei dipinti sacri eseguiti nel corso della prima metà del XVI secolo a Roma mostra un progressivo accentuarsi di motivi pietistici e divozionali già decenni prima del concilio tridentino. Tra Rinascimento e Riforma e tra Rinascimento e Controriforma non esiste soluzione di continuità; i diversi indirizzi finali della vicenda sono condizionati non già da spinte esterne che il Concilio avrebbe subito ma dalle situazione locali dei diversi Stati. In italia,il prevalere dell’attaccamento a Roma non fu che una logica conseguenza del crollo della grande borghesia mercantile, entrata in crisi mortale per molteplici ragioni, non ultimala scoperta delle nuove vie di traffico che allontanava per sempre l’Italia dalle principali strade di commercio. L’ARTE DELLA CONTRORIFORMA Tralasciando la crisi che sconvolse nel profondo Firenze, nello scenario romano fu SEBASTIANO DEL PIOMBO a mostrare i primi segni del cambiamento. Nel suo Cristo portacroce si nota il concentrarsi sul tema sacro con chiari motivi meditativi, tra i suoi “clienti” troviamo personaggi che con il precipitare degli avvenimenti furono protagonisti di vicende drammatiche. Al Sacco di Roma del 1527 segue un decennio in cui la pittura religiosa è scarsamente rappresentata ma sullo scadere del quarto decennio il riflesso dei gravissimi avvenimenti (divampare delle guerre d’eresia e l’avanzata dell’Impero Ottomano) non manca di riperquotersi sulla pittura religiosa. Qui dovremmo parlare di Michelangelo dove trovano eco gli avvenimenti di quegli anni, ma i problemi del momento subiscono nel suo linguaggio una trasfigurazione poetica, è lecito comunque affermare che in Michelangelo non si avvertono segni di abbandono della ragione figurativa rinascimentale anche se sembrano avvisarne alcuni sintomi come l’impianto prospettico. Una più decisa conversione dei vecchi modi al nuovo clima lo si può notare nelle opere di GEROLAMO SICIOLANTE DA SERMONETA. Nelle sue opere assistiamo ad un graduale cedimento del classicismo, presente nelle sue opere giovanili a favore un accento mistico accompagnato da uno snellirsi e semplificarsi della composizione. Nelle opere di MARCO PINO DA SIENA già nel 1550 e nelle opere successive al suo soggiorno a Napoli la tipologia grecoromana, i moduli compositivi tratti da Raffaello vengono sottoposti ad una rigida legge di simmetria strutturale mentre i volti dei personaggi subiscono una flessione verso espressioni dolorose ed estatiche. Anche la gamma cromatica passa dall’archeologica del suo maestro Pierin del Vaga a quella di Domenico Beccafumi ricca di imprevisti accostamenti, fosforescenze e cangiantismi di gotica memoria. Fra le sue opere quella in cui si vede maggiormente la rottura con le opere rinascimentali è Santa Caterina in estasi davanti alla Crocefissione. La Santa con lo sguardo allude alla scena del monte Golgota che diventa quindi protagonista della raffigurazione, primeggiando sulla figura della Santa che pure lo vede e lo contempla. Il soggetto principale diventa quindi secondario, marginale solo semplice spunto con un sovvertimento totale della prospettiva ragionata. Crolla così il rinascimento che tuttavia dal punto di vista della struttura anatomica ragionata viene comunque esplicata nel corpo di Cristo e della Vergine. Loro sono solo alcuni dei pittori che abbandonano la prospettiva ragionata e in genere gli aspetti naturalistici della cultura figurativa nata a Firenze nella prima metà del Quattrocento per accostarsi ad un irrazionalismo spaziale e libertà espressiva caratterizzata da inclinazioni misitiche personali di ogni esecutore. ALESSANDRO FARNESE: L’ULTIMO UOMO DEL RINASCIMENTO Alessandro Farnese conosciuto anche come Gran Cardinale, nasce nel 1520 dalla famiglia in piena ascesa, ed è l’ultima delle grandi figure del Rinascimento e la prima dei nuovi tempi, ponendo i suoi ideali al servizio della famiglia Farnese e della Chiesa di Roma. Il riflesso di Casa Farnese sulle manifestazioni artistiche e sulla Chiesa di Roma è stato decisivo. Il gothic revival a Roma è segnato dall’improvvisa ed estrema fortuna avuta dalla miniatura con Giulio Clovio e Vespasiano Strada. In pittura assistiamo allo spegnersi definitivo della tradizione rinascimentale che ha i suoi ultimi momenti complessi sotto il pontificatodi Giulio II. La personalità più notevole del momento è il protetto di Alessandro Farnese: GIOVANNI DE’ VECCHI di Borgo San Sepolcro, nonostante le lacune del suo catalogo è comunque possibile stabilire un certo rapporto don Domenico Theotocopuli detto IL GRECO, de’ Vecchi è vicino alle forme trasfugurate come una fiamma di un cero percossa dal fiato di chi mormora quindi più vicino al periodo di Toledo che a quello romano del Greco. Ma un'altra personalità è essenziale per la formazione de’ Vecchi e per coprire al lacuna tra il lavoro italiano di Greco e la fase di Toledo, ovvero la presenza a Roma e molto probabilmente alla stessa corte farnese di ANTHONIE BLOCKLANDT VAN MONTFOORT. Si può dunque affermare che la suprema fiammata del misticismo pittorico del Cinquecento fu accesa nel 1572 con l’incontro tra Blocklandt, Greco e de’ Vecchi: Blocklandt in particolare rivelò al candiota gli elementi di una grammatica che (interpretata secondo i termini del Manierismo Veneto e da un temperamento spregiudicato, abituato alle stilizzazioni e astrazioni bizantine) avrebbe condotto ai poemi toledani. Il Greco, durante il suo soggiorno a Roma ha lasciato un sapore feudaleggiante che traspare dalle sue pitture, come nel caso de Allegoria della vita camaldolese, dove divino ed aulico si intrecciano in un paesaggio a volo d’ucello sotto il quale stanno i due santi Benedetto e Romualdo a lato della targa vignolesca che fiancheggiano come uno stemma di famiglia. Con de’ Vecchi si entra in una sfera di rovello mistico che non conosce ostacoli accademici o formalistici, avviene il totale abbandono dell’eredità rinascimentale per ricorrere a elementi primitivi e fiamminghi per accrescere il potenziale sacro. Un'altra faccia del pittore de’ Vecchi è quella dell’uomo con cui Federico Zuccari da vita al Manierismo internazionale dove il lato sacro e quello mondano si mescolano dando vita a dipinti sacri che rasentano la blasfemia. Tra i pittori di questo stile troviamo anche BARTOLOMEO SPRANDER che all’inizio della sua carriera aveva eseguito una copia del Giudizio universale di Fra Giovanni da Fiesole, che in quel periodo veniva conosciuto come Beato Angelico. Alle radici del Manierismo Internazionale sta il complesso di affreschi che orna le pareti dell’Oratorio di Santa Lucia del Gonfalone. Il carattere neogotico della pitura controriformata si manifesta attraverso un riallacciamento alle sacre rappresentazioni dei secoli passati. PADRE GIUSEPPE VALERIANO GIUSEPPE VALERIANO (Aquila 1542- Napoli 1596) architetto-pittore si formò alla scuola di Pompeo Cesura e giunse presto a Roma per gli affreschi della pala d’altare nella Cappella dell’Ascensione in Santo Spirito in Saxia, lo sappiamo poi in Spagna nel 1572 quando entrò nella Compagnia di Gesù. Dopo un periodo a Lisbona, torna in Italia fra il 1579 e l’81 probabilmente chiamato dal nuovo Padre Generale dell’Ordine per sovrintendere, vista la sua fama d’architetto, alle fabbriche della Compagnia. A lui spettano l’erezione della Chiesa di Gesù a Genova, Napoli e della Cappella della Madonna della Strada nel Gesù di Roma. La sua fama lo portò poi a Monaco di Baviera tra il 1591-92. Tuttavia Valeriano si dedicò anche alla pittura, sua prima arte, e la sua prima opera fu proprio la Pala per la Cappella in Saxia visto però lo stato di conservazione possiamo analizzare lo stile del pittore nell’opera dell’Ascensione. Divisa in due dall’orizzonte, la composizione segna un progressivo rarefarsi verso l’alto dalla pesantissima corposità espressa nella parte inferiore. L’assemblea degli apostoli si presenta comeuna massa di copri giganteschi con una gamma plumbea rispetto al chiarore in cui ascende la figura lieve del Redentore entro il coro di angeli musicanti dagli atteggiamenti patetici e svincolati. Chiara è la somiglianza con la pittura di Sebastiano del Piombo mescolata con la tendenza cuvizzante di Daniele da Volterra. Ma è nella Sacra Famiglia con San Giovanino che si vedono le sue idee derivanti da Sebastiano del Piombo: zone di oscurità coesistono con colori squillanti e accostamenti striduli in un paesaggio crudo. Qui Valeriano si concentra per congelare le virtù morali nell’aspetto fisionomico dei personaggi. Dopo il soggiorno in Spagna e in Portogallo, di cui non si hanno notizie di opere pittoriche, nel suo ritorno in Italia Valeriano mostra una pittura razionale che segna la nasciata della vera Pittura Sacra come oggi noi la identifichiamo. Nella Cappella della Modanna della Strada a Roma, una delle prime opere architettoniche dopo il rientro in Italia di Valeriano, sono ospitate sette tavole ad olio con soggetti tratti dalla vita della Vergine che recano i segni della partecipazione di Scipione Pulzone da Gaeta: così come Valeriano in architettura è il primo a raggiungere il razionale, così queste figure tendono a raggiungere il traguardo di figure eterne per scopi devozionali così come prefissato dal pittore. LA COLLABORAZIONE Tra la fine del nono decennio del Cinquecento e l’inizio successivo, prima dell’ultima grande impresa di Santa Caterina dei Funari, il Gaetano lavorò a più riprese per il Gesù di Roma, affiancando Giuseppe Valeriano (1542-1596) nelle sette tavole del sacello della Madonna della Strada ed eseguendo in prima persona le pale delle cappelle degli
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