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Pittura ed esperienze sociali nell'Italia del '400, Sintesi del corso di Storia dell'Arte Moderna

condizioni del mercato- occhio del '400 - dipinti e categorie riassunto completo

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica Pittura ed esperienze sociali nell'Italia del '400 e più Sintesi del corso in PDF di Storia dell'Arte Moderna solo su Docsity! Pittura ed esperienze sociali nell’Italia del Quattrocento - Baxandall Prefazione: L’ autore nativo inglese, è stato uno dei più importanti storici d’arte degli ultimi trent’anni. Il saggio è il prodotto di lezioni tenute all’Università di Londra, aventi come scopo ultimo di dimostrare che la storia sociale rinascimentale è pienamente rispecchiata nello stile dei quadri del tempo. Nel primo capitolo vengono esaminati contratti, lettere e libri contabili del XV secolo per estrapolarne i dati economici che stanno alla base del culto del talento artistico di chi ha capacità tecnica e abilità pittorica. Il secondo, chiarisce la relazione tra le capacità visive popolari quali predicazione e danza e lo stile del pittore e come esso riesca a farle proprie. Infine il terzo capitolo, suggerisce i principali termini usati dai critici d’arte nell’esaminare i dipinti dell’epoca. Nelle ultime pagine il libro ci lascia sottolineando che la storia sociale e la storia dell’arte sono strettamente connesse poiché si chiarificano a vicenda = una società sviluppa le proprie caratteristiche capacità e abitudini dall’aspetto visivo che diventano i strumenti espressivi del pittore, analogamente uno stile pittorico consente di risalire alle capacità ed abitudini visive e all’esperienza sociale di quell’epoca. Capitolo 1: LE CONDIZIONI DEL MERCATO 1.1 Un dipinto del XV secolo è la testimonianza di un rapporto sociale = da un lato un pittore che faceva il quadro dall’altro qualcuno che lo commissionava, forniva il denaro per la sua realizzazione e una volta pronto decideva come e dove usarlo. Nel XV secolo la “miglior” pittura, intesa in termini di qualità, era effettuata su commissione ovvero, il cliente ordinava un prodotto, specificandone le caratteristiche ed una volta chiarite veniva stipulato un contratto legale; ciò che veniva maggiormente richiesto erano le pale d’altare e gli affreschi. Le opere già pronte, dipinte da artisti meno richiesti invece, tendevano sempre a raffigurare Madonne e cassoni nuziali. Allora come oggi il cliente pagava per il lavoro, ma i criteri che si adottavano per stabilire i prezzi avevano una profonda incidenza sullo stile dei dipinti; risultando oggi, quindi dei fossili della vita economica del Quattrocento. L’unica cosa che si evince da tutto questo è che nel XV secolo la pittura era considerata troppo importante per essere lasciata ai pittori, i quali non potevano esprimersi, ma solo sottostare alle scelte dell’acquirente. 1.2 Non si può fare una distinzione fra pubblico e privato nella pittura del xv secolo infatti le commesse dei privati avevano spesso un ruolo decisamente pubblico, un a distinzione più pertinente appare quella tra commesse controllate da grosse istituzioni corporative come le fabbriche delle cattedrali e le commesse di singoli individui, dunque da un lato imprese collettive e dall’altro iniziative private. Il pittore solitamente ma non necessariamente veniva assunto dalla seconda tipologia, in questo differiva dallo scultore che molto spesso lavorava per grandi imprese comunali. Alcuni dei contratti che venivano formulati all’epoca erano redatti da un vero e proprio notaio, altri erano solo promemoria, “ricordi” da tenere da entrambe le parti. Non esisteva una tipologia fissa ma dovevano contenere tre temi principali: a) specificare ciò che il pittore doveva eseguire poiché, il soggetto da raffigurare spesse volte non poteva essere ben descritto a parole per questo al contratto si affiancava un disegno del genere di figura desiderata.; b) esplicitare i modi, tempi e termini di pagamento, in quanto la somma concordata non era rigida e se un pittore si trovava in perdita rispetto al contratto poteva cercare di rinegoziarlo; c) insistere sul fatto che il pittore utilizzasse colori di buona qualità, come oro e azzurro ultramarino (ottenuto dalla polvere di lapislazzuli orientali); questa preoccupazione proveniva dal fatto che questi erano colori di difficile impiego e costosi ed esistendo a buon mercato sostituti più economici e meno brillanti come l’azzurro d’Alemagna (carbonato di rame), i committenti non volevano avere delusioni. Non tutti però lavoravano con contratti di questo tipo, alcuni infatti, percepivano uno stipendio da dei principi come Mantegna per i marchesi Gonzaga di Mantova; egli, però, rispetto ai grandi pittori del Quattrocento, che anche lavoravano per dei principi ma pagati per le singole opere, aveva una posizione insolita, privilegiata disponendo di uno stipendio. Tornando infine ai contratti nel corso del secolo il ruolo in primo piano dei colori preziosi lasca il posto alla richiesta sempre maggiore di abilità pittorica. 1.3 Vi è un interesse minore da parte dei clienti riguardo la preziosità dei materiali fine a se stessa, in generale in tutta l’Europa occidentale dell’epoca vi era la tendenza ad una sorta di limitazione selettiva dell’ostentazione; era evidente negli abiti, non più sfarzosi, sgargianti od ostinatamente dorati come nella pittura che aveva sostituito con il largo uso di colori preziosi, l’abilità tecnica del pittore. 1.4 A metà secolo, cambiarono anche i modi ed i termini di pagamento delle opere commissionate ai grandi artisti, infatti, attribuivano, per qualunque tipo di prodotto e all’ interno di ciascuna bottega, un valore notevolmente diverso al tempo del maestro rispetto a quello degli assistenti ed i materiali utilizzati venivano forniti a parte. In aggiunta, tanto più l’ampiezza dell’intervento del maestro era grande tanto maggiore sarebbe stato l’onere finale e il lustro per il cliente. Nel 1490, in conclusione l’individualità dell’artista diventava sempre più significativa così come l’atteggiamento del pubblico nel considerarli come tali, rispetto agli inizi del secolo. 1.5 Esistono alcune descrizioni del Quattrocento relative alla qualità dei pittori ma sono relativamente poche per rappresentare un’opinione collettiva, anche se è degno di nota un promemoria inviato al duca di Milano da parte del suo agente a Firenze, relativo a quattro pittori che lì andavano per la maggiore, ovvero Botticelli, Filippino Lippi, Perugino e Ghirlandaio per la decorazione della Certosa di Pavia. Da questa nota si evince che vi è una distinzione sottile tra affresco e pittura su tavola e che il confronto tra i quattro artisti è di concorrenza e che vengono definiti più che per le loro abilità per la loro diversità di carattere. Capitolo 2: L’OCCHIO DEL QUATTROCENTO L’uomo del quattrocento si impegnava a fondo nel guardare un dipinto. Sapeva che in un buon dipinto ci doveva essere abilità e spesso era convinto che il dare un giudizio fosse compito del fruitore colto, come dice il più famoso trattato del Quattrocento sull’ educazione De ingenuis morbus di Pier Paolo Vergerio 1404. Il dipinto risente della capacità interpretativa umana , buona parte di ciò che noi chiamiamo gusto consiste nella corrispondenza fra l’analisi richiesta da un dipinto e la capacità di analisi del fruitore, l’uomo si trova davanti al dipinto con una quantità di informazioni e opinioni tratte dall’esperienza generale: se per esempio nella lettura dell’Annunciazione di Piero della Francesca si prescindesse dalla supposizione che gli elementi architettonici sono spesso rettangolari e regolari e dalla conoscenza della storia dell’Annunciazione, sarebbe difficile riuscire a decifrarlo. Alcuni degli strumenti mentali con cui un uomo organizza la sua esperienza visiva possono variare, e buona parte di questi strumenti sono relativi al dato culturale, nel senso che sono determinati dall’ambiente sociale che ha influito sulla sua esperienza. Il fruitore deve utilizzare nella lettura di un dipinto le capacità visive di cui dispone, e dato che di queste sono pochissime di solito quelle specifiche della pittura, egli è incline a usare quelle capacità che sono più apprezzate dalla società in cui vive. La maggior parte dei dipinti del XV secolo sono religiosi, creati con fini istituzionali a cui fornivano il contributo di una specifica attività intellettuale e spirituale, e che ricadevano sotto la giurisdizione di una teoria ecclesiastica. Questi dipinti per la Chiesa dovevano avere un triplice scopo: il dipinto deve raccontare una storia in modo chiaro per la gente semplice, in modo indimenticabile per chi stenta a ricordare ed utilizzando tutte le emozioni che la vista può suscitare; equivale a usare i dipinti come stimoli accessibili che inducono l’uomo a meditare sulla Bibbia e sulle vite dei santi. Naturalmente, non poteva essere così in una scuola secondaria l’abaco con nozioni più impegnative e soprattutto la matematica. Le nozioni matematiche acquisite erano di natura commerciale strutturate sulle esigenze del mercante. Anche in pittura faceva ricorso a queste nozioni come la misurazione, i concetti geometrici e l’attitudine ad esercitarli rende più acuta la sensibilità visiva di un uomo di fronte alla realtà di un volume e quindi soddisfa la terza richiesta della chiesa di stimolare la vista. 2.10 Nel suo trattato Sulla vita civile Matteo Palmieri raccomandava lo studio della geometria per rendere più acute le menti dei bambini. Anche Rucellai lo ricordava ma sostituiva la geometria con l’aritmetica dove fondamentale era lo studio della proporzione. L’aritmetica era una branca della matematica commerciale anch’essa molto importante nella cultura quattrocentesca, e alla base di questa vi era lo studio della proporzione. Lo strumento aritmetico universale usato dai mercanti italiani colti nel Rinascimento era la REGOLA DEL TRE anche nota come REGOLA AUREA o CHIAVE DEL MERCANTE che esprime una proporzione geometrica: il primo termine sta al terzo come il secondo sta al quarto, o anche il primo termine sta al secondo come il terzo sta al quarto ed inoltre che se si moltiplica il primo termine per il quarto il prodotto sarà uguale a quello del secondo per il terzo. Ci si basava su questi rapporti per fare i calcoli, in quanto ogni città aveva non solo la sua valuta ma anche i propri pesi e misure. C’è una continuità tra le capacità matematiche usate dalla gente di commercio e quelle usate dal pittore per produrre la proporzionalità pittorica. 2.11 La percezione dei dipinti può essere arricchita attraverso l’occhio morale e spirituale utilizzando un tipo di libro o sermone sulla qualità sensibile del paradiso e un testo in cui le caratteristiche della normale percezione visiva vengono tradotte in termini morali. Secondo il primo la vista è il più importante dei sensi e le delizie che l’attendono in cielo sono grandi. Il DE DELICIIS SENSIBILIBUS PARADISI di Rimbertino del 1498 è un resoconto su questi argomenti distinguendo tre tipi di progressi rispetto alla nostra esperienza visiva di esseri umani: maggiore bellezza delle cose viste, maggiore acutezza del senso della vista e una infinita varietà di oggetti da osservare. La maggiore bellezza sta in 3 particolari: luce più intensa, colore più chiaro, e migliore proporzione; la maggiore acutezza della visione comprende una maggiore capacità di fare distinzioni tra una forma o un colore e un altro e la capacità di vedere sia a grande distanza che attraverso i corpi. L esperienza terrena che si poteva avvicinare di più a ciò era forse quella che si serviva di una rigida convenzione prospettica applicata a un disegno geometrico, come accade nel disegno di Piero della Francesca della parte esterna di un pozzo. Il principio della prospettiva lineare in uso è: la visione segue delle linee rette e le linee parallele che vanno in tutte le direzioni sembrano incontrarsi all’ infinito in un unico punto di fuga. Unendo questi due tipi di pensiero, l’esperienza geometrica sufficiente a percepire una costruzione prospettica complessa e una cultura religiosa per fare di questa un allegoria, emerge un ulteriore sfumatura che caratterizza la rappresentazione narrativa dei pittori del ‘400. Capitolo 3: DIPINTI E CATEGORIE Quali erano i pittori che spiccavano sulla massa? Per quanto riguarda la pittura del ‘300 si può riassumere almeno a Firenze in Cimabue, Giotto e i suoi allievi. Mentre per il 400 non si ha uno schema altrettanto netto, l’elenco di Giovanni Santi, padre di Raffaello in un suo componimento poetico in rima sulla vita del suo datore di lavoro il duca di Urbino, sembra essere il documento più distaccato e più ricco di informazioni: FIRENZE: Beato Angelico 1387/1455 Paolo Uccello 1396/1475 Masaccio 1401/1428 Pesellino 1422/1457 Filippo Lippi 1406/1469 Domenico Veneziano morto 1461 Andrea del Castagno 1423/1457 Ghirlandaio 1449/1494 Antonio e Piero Pollaiuolo 1432/98-1441/96 Botticelli 1455/510 Leonardo 1452/1519 Filippino Lippi 1457/1507 OLANDA: Rogier van der weyden 1400/1464 Eyck morto nel 1441 MARCHE: Piero della Francesca 1410/1492 Melozzo da Forlì 1438/1494 Cosimo Tura 1425/1495 Ercole de Roberti 1448/1496 UMBRIA: Perugino 1445/1523 Signorelli 1450/1523 VENEZIA – ROMA: Gentile da Fabriano 1370/1427 Pisanello 1393/1455 PADOVA-MANTOVA: Mantegna 1431/1506 VENEZIA Antonello da Messina 1430/1479 Gentile Bellini 1430/1516 Giovanni Bellini 1429/1507 Diversamente da molti fiorentini Santi è consapevole della bella pittura prodotta a Venezia e nel nord , e riconosce anche la buona qualità della pittura olandese. Cristoforo Landino era uno studioso di latino ed uno studioso platonico, uno studente della lingua volgare, un docente dell’Università di Firenze e scrittore di lettere pubbliche; praticamente la sua professione consisteva nell’esatto uso della lingua. Altri due elementi lo mettevano in grado di pronunciarsi sui pittori: l’amicizia con Leon Battista Alberti (1404-1472) ed era il traduttore della Naturalis Historia di Plinio 77dc. Alberti scrisse il suo trattato “Della Pittura” nel 1435, il primo trattato in Europa sulla pittura giunto fino a noi e particolarmente diffuso tra gli umanisti, il cui I libro è una geometria della prospettiva, il libro II descrive la buona pittura suddividendola in tre sezioni, il libro III discute la formazione e lo stile dell’artista. La Naturalis Historia di Plinio fu scritta nel I secolo dc e nei libri 34-36 comprende la più completa storia critica dell’arte classica che sia giunta dall’antichità, il metodo di Plinio si fondava su una tradizione di uso della metafora con cui descriveva lo stile degli artisti. Il resoconto sugli artisti di Landino si trova nell’introduzione al suo commento alla Divina Commedia in cui mirava a respingere l’accusa che Dante fosse stato antifiorentino sostenendo la lealtà di quest’ultimo. La sezione su pittori e scultori si suddivide in 4 parti: la prima descrive l’arte antica in dieci frasi e si rifà a Plinio, la seconda descrive Giotto e i pittori del’300 e copia un critico del XIV secolo Filippo Villani, la terza descrive i pittori fiorentini del’400 in cui impiega 16 termini per descrivere 4 pittori fiorentini, la quarta descrive alcuni scultori. Metodo della critica di Landino: egli non usò i termini di Plinio bensì il metodo, infatti come lui fece uso di metafore, riferendo aspetti dello stile pittorico del suo tempo allo stile sociale o letterario della sua epoca, usa come Plinio termini ricavati dalla bottega degli artisti. “Masaccio era considerato l’imitatore della natura, esponente del rilievo – Gran rilievo universale e Rilievo delle Figure – con stile puro (disadorno ed essenziale); i suoi affreschi vengono definiti “buon fresco” o autentico affresco dipinti quasi interamente su intonaco fresco, definito anche abile pittore e prospettico. Filippo Lippi, invece, viene definito come grazioso, ornato, varietà (inteso come utilizzatore di svariati colori e figure), compositivo e colorire (stendere il colore). Andrea del Castagno, poi, è stato considerato come disegnatore, amatore delle difficoltà e degli scorci e pronto. Infine, il Beato Angelico è definito con aggettivi come vezzoso e devoto.”
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