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Pittura ed esperienze sociali nell'Italia del quattrocento, Sintesi del corso di Storia dell'arte medievale

Riassunto libro di Michael baxandall pittura ed esperienze sociali nell'Italia del quattrocento

Tipologia: Sintesi del corso

2017/2018

Caricato il 01/11/2018

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Scarica Pittura ed esperienze sociali nell'Italia del quattrocento e più Sintesi del corso in PDF di Storia dell'arte medievale solo su Docsity! MICHAEL BAXANDALL PITTURA ED ESPERIENZE SOCIALI NELL’ITALIA DEL QUATTROCENTO 1. LE CONDIZIONI DEL MERCATO Un dipinto del XV secolo è testimonianza di una rapporto sociale tra il pittore che faceva il quadro e colui che lo commissionava. Entrambe le parti lavoravano all’interno di istituzioni e convenzioni che influivano sulle forme dell’opera che artista e committente creavano insieme. Colui che ordinava il dipinto potrebbe essere definito il “mecenate” ed è un agente attivo, determinante e non necessariamente benevolo e possiamo quindi chiamarlo anche il “cliente”: nel XV secolo la pittura di migliore qualità era fatta su commissione e il cliente ordinava un prodotto specificandone le caratteristiche e sia il cliente che l’artista stipulavano di comune accordo un contratto legale in cui quest’ultimo si impegnava a consegnare quanto il primo aveva concepito e progettato. Il cliente investiva il suo denaro secondo l’ottica del Quattrocento e questo poteva influire sul carattere dei dipinti. Il rapporto che sta alla base dei dipinti era infatti anche un rapporto commerciale e questo condizionava non poco i dipinti stessi. Nella storia dell’arte il denaro ha grande importanza: agisce sul dipinto anche per quanto riguarda i particolari criteri di spesa. (es: Borso d’Este paga i dipinti a piede quadrato ≠ Giovanni de’ Bardi paga in base ai materiali e al tempo impiegato). I criteri adottati nel Quattrocento per stabilire il prezzo dei manufatti, così come le diverse forme di pagamento hanno entrambi una profonda incidenza sullo stile dei dipinti: i dipinti sono dei fossi della vita economica. I dipinti erano anche progettati ad uso del cliente, anche se per ciascuno c’è un complesso di molteplici motivazioni che variano da caso a caso. Si può prendere ad esempio un buon cliente, Giovanni Rucellai, che aveva in casa le opere dei migliori maestri per cinque motivi principali (specificati da lui stesso): - Piacere del possesso: soddisfazione personale per il fatto di possedere oggetti di qualità - Attiva devozione: “perché raghuardano in parte all’onore di Dio” - Un certo tipo di coscienza civica: Per l’onore della città - Desiderio di lasciare un ricordo di sé (e forse anche di farsi pubblicità): “a memoria di me” - Necessità per l’uomo ricca di trovare una forma di riparazione che gli desse insieme merito e piacere: l’acquisto di oggetti di questo genere procura il piacere e il merito di spendere bene, una piacere maggiore di quello di far denaro - Gusto per i dipinti: il piacere di guardare bei dipinti – lui non lo cita, ma si è inclini ad attribuirgli In ogni caso è ovvio che l’uso primario del dipinto era quello di essere osservato e quindi quello di fornire stimoli piacevoli e indimenticabili e perfino proficui. Nel XV secolo la pittura era ancora troppo importante per essere lasciata ai pittori, ed il mercato dell’arte era abbastanza diverso da come si presenta oggi. Nel 1457 Filippo Lippi dipinse per Giovanni di Cosimo de’ Medici un trittico destinato al Re Alfonso V di Napoli. Da sinistra a destra egli abbozzò un san Bernardo, un’adorazione del Bambino e un san Michele; la cornice architettonica è disegnata in modo più chiaro e definito. (La lettera a pg 7 mette in evidenza una trattazione economica del quadro) Una distinzione fra “pubblico” e “privato” non si addice alla pittura del XV secolo: le commesse di privati spesso avevano una funzione pubblica e sovente erano destinate a luoghi pubblici. Una distinzione più pertinente si ha tra le commesse controllate da grosse istituzioni corporative (come le “fabbriche”) e commesse di singoli individui o di gruppi di persone. Il pittore, di solito, veniva assunto e controllato da una persona o da un piccolo gruppo e spesso, dunque, si trovava ad avere un rapporto diretto con un cliente profano. Perfino nei casi più complessi il pittore lavorava per qualcuno di identificabile, a differenza dello scultore che spesso lavorava per grandi imprese comunali, dove il controllo del profano era meno personale e quindi meno stretto. C’è una categoria di documenti legali che riportano gli elementi essenziali relativi al rapporto alla base di un dipinto: alcuni sono contratti veri e propri, altri invece sono ricordi meno elaborati, promemoria che dovevano essere tenuti da ciascuna delle parti e che avevano un certo peso contrattuale. Non esistono però contratti che si possano definire tipici, perché non esisteva una forma tipica. • Un esempio è l’accordo tra Domenico Ghirlandaio e il priore dello Spedale degli Innocenti a Firenze per l’Adorazione dei Magi. Questo contratto contiene i tre temi principali di questo tipo di accordi: o Specifica ciò che il pittore deve dipingere (in questo caso sulla base di un disegno concordato) o È esplicito per quanto riguarda i modi e i tempi di pagamento e i termini entro i quali il pittore deve effettuare la consegna o Insiste sul fatto che il pittore debba usare colori di buona qualità La quantità di dettagli e la loro precisione variavano da contratto a contratto. Le istruzioni circa il soggetto del dipinto non entrano in genere nei particolari: l’uso di un disegno esplicativo era in effetti più frequente ed efficace. • Un altro esempio è quello relativo alla pala d’altare del Beato Angelico del 1433: la qualità del prezzo venne eccezionalmente affidata alla sua coscienza, anche se circa il disegno ci sarebbero state parecchie discussioni fra le due parti. • Nel 1469 Pietro Calzetta si impegnò a dipingere gli affreschi nella cappella Gattamela in Saint’Antonio a Padova: nel contratto sono chiaramente enunciati gli stadi attraverso i quali l’accordo sarebbe stato perfezionato. Il rappresentante del donatore avrebbe dovuto stabilire i soggetti da dipingere, Calzetta avrebbe quindi abbozzato un disegno da consegnare ad Antoniofrancesco e sulla base di questa bozza quest’ultimo avrebbe dato ulteriori indicazioni sul dipinto. Se c’era qualche difficoltà nel descrivere il tipo di finitura desiderata spesso si ricorreva al riferimento ad altre opere. Una somma forfettaria versata a rate era di solito la forma in cui veniva effettuato il pagamento, ma talvolta le spese del pittore erano distinte dal suo lavoro. In ogni caso le due voci di spesa e l’opera del pittore costituivano la base per calcolare il pagamento. Inoltre, la somma concordata in un contratto non era del tutto rigida e se un pittore si trovava in perdita rispetto al contratto poteva solitamente rinegoziarlo (es:Ghirlandaio). Nel caso in cui il pittore e il cliente non riuscissero ad accordarsi sulla somma finale, intervenivano dei pittori professionisti in qualità di arbitri. La preoccupazione generalmente espressa circa la qualità sia dell’azzurro che dell’oro era ampiamente giustificata: dopo l’oro e l’argento, l’azzurro ultramarino era il colore più costoso e di più difficile impiego. Ne esistevano di diverse qualità, a buon mercato e care, ed esistevano persino dei sostituti ancora più economici (l’azzurro ultramarino si otteneva dalla polvere di lapislazzuli, filtrata molte volte per ricavare il colore e il primo prodotto (un azzurro-violetto molto intenso) era il più pregiato; mentre, ad esempio, l’azzurro d’Alemagna non era altro che carbonato di rame. Il colore di quest’ultimo era però meno brillante e meno resistente, soprattutto nell’affresco). Per evitare di avere di avere delle delusioni a proposito dell’azzurro i clienti specificavano che doveva essere ultramarino e quelli addirittura più prudenti stabilivano anche una particolare qualità. Senza contare che, inoltre, sia i pittori che i fruitori delle opere d’arte erano molto attenti all’uso dell’azzurro, che serviva per evidenziare qualcosa nei dipinti: - Es 1: nel pannello della Sassetta San Francesco rinuncia ai suoi beni, l’abito che Francesco rifiuta è proprio una tunica di azzurro ultramarino - Es 2: nella Crocifissione di Masaccio il gesto del braccio destro di Giovanni è sottolineato dall’azzurro ultramarino I contratti sono dunque piuttosto sofisticati per quanto riguarda gli azzurri, mostrando una sottile capacità di discriminarli l’uno dall’altro - Es 1: nel 1408 Gerardo Starnina stipulò un contratto per dipingere gli affreschi sulla Vita della Vergine e il contratto è meticoloso per quanto riguarda l’azzurro: quello per Maria è di 2 fiorini l’oncia, mentre per il resto basterà quello da 1 fiorino -> L’ importanza viene quindi espressa con una sfumatura viola più o meno intensa. Non tutti i pittori lavoravano con contratti di questo tipo; alcuni artisti lavoravano per dei principi da cui percepivano uno stipendio: è il caso di Mantegna, che lavorò dal 1460 fino al 1506 (anno della sua morte) per i marchesi Gonzaga di Mantova. Mantegna in cambio dello stipendio non solo dipinse affreschi e pannelli, ma svolse anche altre funzioni. La posizione del Mantegna non fu però così definita e lo stipendio non gli veniva sempre pagato con regolarità. Ma la posizione del Mantegna era abbastanza insolita rispetto ai grandi pittori del Quattrocento: anche chi dipingeva per i principi era più comunemente pagato per una singola opera piuttosto che con uno stipendio fisso. Ciò che regolava il mecenatismo nel Quattrocento era la pratica commerciale documentata nei contratti i cui dettagli variavano da caso a caso. Quello che è più interessante è che, nel corso del secolo, si verificarono graduali cambiamenti nel porre l’accento su questo o su quel particolare. Due di questi cambiamenti sono interessanti e divengono una delle chiavi per comprendere il Quattrocento: mentre i colori perdono il loro ruolo di primo piano, la richiesta di abilità pittorica assume maggior rilievo. Nel corso del secolo nei contratti si parla sempre meno dell’oro e dell’azzurro ultramarino ed essi sono sempre meno il centro dell’attenzione, tanto che l’oro viene spesso riservato esclusivamente alla cornice. Nella seconda metà del secolo non si trovano più differenziazioni dell’azzurro a seconda delle parti del dipinto (come avvenne per Starnina nel 1408). Si ha l’impressione che i clienti comincino a badare meno all’esigenza di fare sfoggio di una 2. L’OCCHIO DEL QUATTROCENTO Ciascuno di noi ha un’esperienza diversa nella fase della comprensione della percezione visiva, e quindi avrà anche una conoscenza e una capacità di interpretazione leggermente diverse. Queste differenze sono piuttosto modeste dal momento che la maggior parte dell’esperienza è comune a tutti, tuttavia in certe circostanze le differenze da uomo a uomo, in altri casi marginali, possono assumere una strana rilevanza. Il fatto di tendere a dare un’interpretazione piuttosto che un’altra può dipendere da molte cose, come ad esempio dal contesto dell’immagine, ma non meno dalla capacità interpretativa che ciascuno di noi possiede e cioè le categorie, i modelli e le abitudini di deduzione e analogia: in breve ciò che si può definire lo “stile conoscitivo” individuale. Abbiamo tre tipi di strumenti diversi e molto legati alla cultura che la mente usa per dare un’interpretazione piuttosto che un’altra: A. Una serie di schemi, categorie e metodi di deduzione B. L’abitudine ad usare una certa gamma di convenzioni rappresentative C. L’esperienza, ricavata dall’ambiente, di fatti che consentono di visualizzare in modo plausibile ciò di cui abbiamo un’informazione incompleta In pratica però non si tratta di elementi che operano uno di seguito all’altro, ma insieme. A. Le convenzioni implicano una capacità ed una volontà di interpretare i segni sulla carta come rappresentazioni che semplificano un aspetto della realtà all’interno di regole ormai accettate: noi infatti non “vediamo”un albero. Come una superficie bianca piana circoscritta da linee nere. Eppure l’albero non è altro che una versione sommaria di ciò che si trova in un dipinto, e le varie influenze che agiscono sulla percezione, cioè lo stile conoscitivo, condizionano in chiunque anche il modo di percepire un dipinto. o Es. affresco di Piero della Francesca dell’Annunciazione ad Arezzo. La comprensione del dipinto si fonda sul riconoscimento di una convenzione rappresentativa imperniata sul fatto che il pittore dispone i colori su un piano bidimensionale per riferirsi a qualcosa che è tridimensionale “che essa possa gli occhi de’ riguardanti o in parte o in tutto ingannare, facendo di sé credere che ella sia quello che ella non è ”. Infatti, dato che la vista è stereoscopica, è ben difficile che ci si possa ingannare a tal punto da credere che un dipinto di questo genere sia vero. Ma la convenzione consisteva nel fatto che il pittore facesse la sua superficie piatta in modo da richiamare il più possibile un mondo tridimensionale e gli veniva attribuito il merito di avere tale capacità. Per l’Italia del XV secolo il fatto di osservare tali rappresentazioni era una specie di istituzione che comportava una serie di aspettative, variabili a seconda della collocazione cui era destinato il dipinto, di cui una rimaneva costante: il fruitore si aspettava il talento. L’uomo del Quattrocento si impegnava a fondo nel guardare un dipinto: sapeva che in un buon dipinto ci doveva essere abilità e spesso era convinto che il dare un giudizio su di essa, e talvolta anche l’esprimerlo verbalmente, fosse compito del fruitore colto. o Trattato sull’educazione De ingenuis moribus di Pier Paolo Vergerio (1404): ricordava al fruitore che “rerum , quae natura constant aut arte, pulchritudo ac venustas quibus de rebus pertinet ad magnos virus et loqui inter se, et judicare posse.4 “ Un uomo che avesse un minimo di rispetto intellettuale di sé non poteva assolutamente restare passivo, ma era tenuto ad esprimersi. B. Il dipinto risente dei tipi di capacità interpretativa che la mente gli fornisce. La capacità umana di riconoscere forme o un rapporto fra esse influisce sull’attenzione che l’uomo dedica all’osservazione di un quadro. Inoltre ci sono delle capacità percettive che sono più adatte di altre ad un certo dipinto. Buona parte di ciò che noi chiamiamo “gusto” consiste nella corrispondenza fra l’analisi richiesta da un dipinto e la capacità di analisi del fruitore. Quando il dipinto rende possibile l’utilizzo delle capacità di un fruitore, quel dipinto sarà di suo gusto. C. L’uomo si trova davanti al dipinto con una quantità di informazioni e opinioni tratte dall’esperienza generale. La nostra cultura è sufficientemente vicina al Quattrocento da permetterci di accettare buona parte del patrimonio e di non avere la netta sensazione di fraintendere i dipinti. Per questo motivo però ci può essere difficile renderci contro di quanto la nostra comprensione del dipinto dipenda dalle nostre conoscenze personali. 4 “Spetta ai grandi uomini poter giudicare e parlare tra loro della bellezza e dello splendore delle cose che si fondano sulla natura o sull’arte” [traduzione orribile ma più o meno ha senso] Se nella lettura dell’Annunciazione di Piero della Francesca prescindessimo da questi elementi sarebbe difficile comprenderlo: ▪ La supposizione che gli elementi architettonici siano con ogni probabilità rettangolari e regolari: nonostante la rigorosa costruzione prospettica, la logica del dipinto dipende dal fatto che noi supponiamo che la loggia sporga ad angolo retto dalla parete di fondo ▪ La conoscenza della storia dell’Annunciazione: se uno non ne conoscesse la storia sarebbe difficile distinguere chiaramente cosa stava accadendo nel dipinto. Piero, infatti, poteva fare affidamento sul fatto che il fruitore conoscesse il soggetto con un’immediatezza sufficiente da permetteresti di accentuarlo, modificarlo e adattarlo in modo abbastanza spregiudicato. Ad esempio la posizione frontale di Maria risponde a diverse esigenze: • È una soluzione che provoca la partecipazione del fruitore • Si contrappone al fatto che la sua collocazione costringe il fruitore a guardare l’affresco da una posizione abbastanza spostata sulla destra • Contribuisce ad indicare una fase particolare della storia di Maria, cioè u momento di riserbo nei confronti dell’Angelo che precede la sua definitiva sottomissione o Annunciazione di Domenico Veneziano: se abbandoniamo l’ipotesi che l’architettura della loggia sia regolare e rettangolare, improvvisamente lo spazio del quadro si riduce a una piccola superficie poco profonda Poiché si riteneva che le persone colte dovessero essere in grado di dare giudizi sull’interesse dei dipinti, ciò assumeva molto spesso la forma di una vera e propria preoccupazione per la ricerca dell’abilità del pittore. Ma in pratica l’unico sistema per esprimere pubblicamente dei giudizi è quello verbale: il fruitore del Rinascimento era quindi spinto a trovare dei termini adatti a definire l’interesse di un oggetto. A un certo livello abbastanza alto di consapevolezza, l’uomo del Rinascimento era uno che abbinava dei concetti allo stile pittorico. Anche nel XV secolo, come oggi, c’erano persone iperculturalizzate che possedevano una gamma piuttosto estesa di definizioni specialistiche, ma in confronto disponevano di pochi concetti specifici, forse soltanto a cassa della scarsa letteratura artistica di allora. La maggior parte della gente per cui il pittore lavorava possedeva una mezza dozzina di categorie relative alla qualità dei quadri (“scorcio”, “azzurro ultramarino a 2 fiorini l’oncia”, forse “panneggio”…) e al di là di queste doveva attingere alle sue risorse conoscitive più generali. Come accade oggi, in realtà si imparava a dare una valutazione, coscientemente precisa e visivamente complessa, degli oggetti, non tanto sui dipinti quanto su cose più immediatamente legate al benessere e alla sopravvivenza sociale. C’è da fare una distinzione fra le capacità visive più correnti e quelle specifiche capacità che riguardano più direttamente la lettura delle opere d’arte. Le capacità di cui siamo più consapevoli sono quelle che abbiamo appreso in modo formale, cioè quelle che ci sono state insegnate e si può riscontrare una correlazione con le capacità di cui possiamo parlare. Quelle che apprendiamo hanno infatti comunemente delle regole e delle categorie, una terminologia e dei modelli prestabiliti che non solo altro che il mezzo che rende possibile il loro insegnamento. La fiducia in una capacità abbastanza sviluppata e apprezzata e il fatto di disporre della relativa terminologia rendono tali capacità particolarmente adatte a essere trasferite in situazioni quali quella di un uomo che si trova di fronte ad un dipinto. In questo caso, però, non si sta parlando di tutta la gente del Quattrocento, ma di quelle persone la cui reazione era di importanza fondamentale per l’artista, dunque delle classi dei committenti. Questo significa id una porzione piuttosto ristretta della popolazione: i mercanti e i professionisti, i principi e i loro cortigiani, i superiori degli ordini religiosi. Anche all’interno delle classi dei committenti c’erano delle diversificazioni per gruppi, anche se noi ci occuperemo degli stili di giudizio più diffusi. Un uomo del Quattrocento trattava affari, frequentava la chiesa, conduceva una vita sociale e da tutte queste attività traeva delle capacità di cui si serviva per osservare i dipinti. È vero che ognuno poteva essere più dotato di capacità specifiche, ma ciascuno aveva in sé qualcosa di ognuna, qualunque fosse l’equilibrio individuale. Per riassumere: alcuni degli strumenti mentali con cui un uomo organizza la sua esperienza visiva possono variare, e buona parte di questi sono relativi al dato culturale, nel senso che sono determinati dall’ambiente sociale che ha influito sulla sua esperienza. In essi rientrano le categorie per mezzo delle quali egli classifica i suoi stimoli visivi, e l’atteggiamento che assumerà di fronte al tipo di oggetto artificiale che gli si presenta. Nella lettura di un dipinto il fruitore deve utilizzare le capacità visive di cui dispone, e dato che di queste di solito sono pochissime quelle specifiche della pittura, egli è incline ad usare quelle capacità che sono più apprezzate dalla società in cui vive. Il pittore deve fare i conti con la capacità visiva del suo pubblico. Egli stesso infatti fa parte della società in cui opera e quindi partecipa all’esperienza visiva e alle abitudini di questa. La maggior parte dei dipinti del XV secolo sono dipinti religiosi: - Erano creati in funzione di fini istituzionali cui fornivano il contributo di una specifica attività intellettuale e spirituale - Ricadevano sotto la giurisdizione di una teoria ecclesiastica sule immagini con regole ormai consolidate da tempo - Secondo il Catholicon di Giovanni di Genova esprime quali dovevano essere i tre scopi dei dipinti religiosi: o Per l’istruzione degli ignoranti, che sembravano essere istruiti da quella sorta di libri o Affinché siano maggiormente impressi nella nostra memoria il mistero dell’incarnazione e gli esempi dei santi che ogni giorno sono visibili ai nostri occhi o Per ravvivare il sentimento di devozione che è eccitato maggiormente attraverso la vista piuttosto che l’udito - In un sermone pubblicato nel 1492, il domenicano fra Michele da Carcano ne dà una più ampia spiegazione: o Per l’ignoranza dei semplici, affinché chi non possa leggere la scrittura possa comprendere nella pittura il mistero della nostra salvezza e della nostra fede. o Le immagini sono introdotte per la lentezza del desiderio: affinché gli uomini che non sono stimolati alla devozione, quando sentono qualcosa sulla memoria dei santi, siano almeno mossi mentre sentono una sorta di loro presenza nei dipinti. Infatti il nostro desiderio è maggiormente stimolato dalle cose che vede, rispetto a quelle che sente. o Per la caducità della memoria: e perciò poiché molti non possono ricordare ciò che sentono, ma ciò che vedono verrà ricordato con le immagini Trasformare queste tre ragioni in istruzioni rivolte al fruitore equivale ad usare i dipinti come stimoli che inducono l’uomo a meditare sulla Bibbia e sulle vite dei santi. Se le si considerano delle disposizioni rivolte al pittore esse comportano l’aspettativa che il dipinto debba raccontare una storia: - In modo chiaro per la gente semplice - In modo avvincente e indimenticabile per chi stenta a ricordare - Utilizzando appieno tute le emozioni che la vista può suscitare Vi erano però degli abusi sia nelle reazioni del pubblico di fronte ai dipinti, sia nel modo i cui i dipinti stessi venivano fatti. L’idolatria rappresentava una preoccupazione costante per la teologia: ci si rendeva conto che la gente semplice poteva confondere l’immagine della divinità o dei santi con la divinità o la santità stesse e quindi adorarla. Ma l’idolatria non assunse mai le proporzioni di un pressante problema di pubblico scandalo come avvenne in Germania. L’opinione pubblica laica riteneva in genere che la si potesse considerare soltanto un uso scorretto delle immagini, che non costituiva però motivo di condanna dell’istituzione stessa delle immagini. Si era concordi nel riconoscere che in una certa misura l’abuso esistesse, ma questo non spingeva gli uomini di chiesa ad adottare concezioni nuove, né ad agire nei confronti del problema. Per quanto riguarda poi i dipinti, la Chiesa si rendeva conto che c’erano talvolta nella loro concezione degli errori che andavano contro la teologia e il buon gusto: - Sant’Antonino, arcivescovo di Firenze, riassume i tre principali errori, nonostante questi furono ampiamente usati e continuavano ad esistere: o Le rappresentazioni contro la fede, quindi eretiche: ▪ Rappresentazione della Trinità come un uomo con tre capi ▪ Rappresentare un piccolo bambino nel ventre della Vergine nell’episodio dell’Annunciazione, quasi non fosse umano ▪ Dipingere in mano ad un piccolo Gesù una tavola scritta, come se non avesse imparato dagli uomini: in molti dipinti il Cristo veniva erroneamente mostrato mentre imparava a leggere o Le rappresentazioni che ritraggono soggetti apocrifi come: ▪ Ostetriche durante il parto della Vergine ▪ Maria Vergine che lascia a San Tommaso la sacra cintola per confortare la sua fede, utilizzata: • Nelle decorazioni scultoree della Porta della Mandorla della cattedrale di Firenze • In molti dipinti o Dipingere le vite dei santi non per accrescere la fede, ma per suscitare scherno e frivolezza, come: ▪ Cani e scimmie che inseguono lepri ▪ Frivoli ornamenti di vestiti • l’Adorazione dei Magi di Gentile da Fabiano, dipinto per Palla Strozzi nel 1423, ritrae scimmie, cani e costumi elaborati o Capelli d’oro, lisci quasi fino alle orecchie e poi ricci e crespi. Davanti sono ripartiti in due parti, divisi nel mezzo. o Ha il volto pieno, pulito e serenissimo, senza rughe né macchie, ma un poco colorito o Ha la barba folta e spessa, dello stesso colore dei capelli, non troppo lunga e anch’essa divisa in due parti o Ha gli occhi brillanti e chiari o Nel riprendere è terribile, ma nelle ammonizioni piacevole ed amabile o Non fu mai visto ridere, ma piangere sì o Ha il petto largo e dritto o Ha mani e braccia belle da vedere o Grande nel parlare e modesto tra i figli degli uomini - VERGINE: era raffigurata in modo meno uniforme, e c’era una tradizione di controversie circa il suo aspetto. Questo tipo di descrizione lasciava ancora spazio all’immaginazione. o Gabriele da Barletta fornisce l’immagine tradizionale in un sermone sulla bellezza della Vergine: ▪ Alberto Magno disse che non era né bianca, né nera, né rossa, perché questi colori danno qualche imperfezione alla persona. Era piuttosto una miscela dei tre. Le autorità della medicina dicevano infatti che aveva un colore composto dal rosso e dal bianco più un terzo, che doveva essere il nero per tra ragioni: • Poiché i Giudei tendevano al bruno ed Ella era Giudea • Perché le tre rappresentazioni di Luca (di Roma, di Loreto e di Bononia) erano brune • Perché il Figlio assomiglia alla Madre, e anche il contrario, e dato che il volto di Cristo era bruno, anche quello della madre doveva esserlo - SANTI: sebbene alcuni avessero alcuni segni fisici emblematici (come la calvizie di San Pietro), generalmente consentivano un margine di intervento al gusto individuale e alle tradizioni proprie di ogni pittore. Molte figure esprimono un carattere peculiare indipendentemente dal rapporto che esse hanno con le altre, inoltre la complessa fisognomica medica del tempo era troppo accademica per costituire una fonte cui il pittore potesse attingere e i luoghi comuni della fisiognomica popolare sono rimasti invariati. D’altro canto Leonardo da Vinci considerava la fisognomica una falsa scienza e riteneva che il pittore dovesse limitarsi a osservare i segni lasciati sul volto dalle passioni (“ver’e’ che li segni de’ volti mostrano in parte la natura de gli huomini di lor vitij e complessioni...” cfr testo pg 66) o Scena dall’Odissea di Pinturicchio: noi lo comprendiamo solo a metà ed anzi fa emergere non pochi interrogativi. Noi non conosciamo abbastanza a fondo questo linguaggio popolare capace di connettere strettamente il movimento del corpo e i moti dell’animo e della mente per poter affermare qualcosa con sicurezza. o Alberti: l’espressione fisica dello stato d’animo mentale e spirituale è una delle sue maggiori preoccupazioni nel suo trattato della pittura: “Ma noi dipintori i quali volliamo coi movimenti delle membra mostrare i movimenti dell’animo...” o Guglielmo Ebreo: trattato sulla danza: “La qual virtute del danzare è una azione dimostrativa di fuori di movimenti spirituali” o Leonardo da Vinci: ne sottolinea l’importanza nella valutazione della pittura “La più importante cosa che ne discorsi della pittura trovare si possa sono li movimenti apropriati alli accidenti mentali di ciascun animale” nonostante poi non sapesse descrivere gli specifici movimenti cui si riferisce. Non ci sono dizionari sul linguaggio dei gesti, ma ci sono delle fonti che offrono delle indicazioni sul significato di un gesto che, anche se poco autorevoli, sono molto utili per avanzare delle ipotesi: • Leonardo: suggeriva due fonti: o Gli oratori (i predicatori): fonte più utile e autorevole. Essi avevano una gamma di gesti codificati, non specifici per l’Italia ma validi in tutta Europa. I gesti di alcuni predicatori (Fra Mariano da Genazzano: lacrime) erano piuttosto insoliti, ma una serie più contenuta e tradizionale di accenti istrionici era evidentemente normale. Nel Mirror of the World del 1520 c’è un elenco dei principali gesti: ▪ Quando parli di un soggetto solenne stai ritto in piedi con un piccolo movimento del corpo, ma puntando con l’indice ▪ Quando parli di un qualsiasi argomento crudele e pienon d’ira prima stringi il pugno e scuoti il braccio ▪ Quando parli di cose celesti e divine guarda in alto e indica il cielo con il dito ▪ Quando parli di gentilezza, dolcezza o umiltà appoggia le mani al petto ▪ Quando parli di argomenti santi o di fede tieni le mani alzate Trattando lo stesso argomento dei predicatori nel loro stesso luogo, i pittori inserivano nel dipinto le espressioni fisiche del sentimento secondo lo stile usato dai predicatori: ▪ Incoronazione della Vergine del Beato Angelico: quinto gesto I gesti erano anche utili per diversificare una serie di santi: ▪ La consegna delle chiavi del Perugino Spesso servivano ad introdurre nella raffigurazione di un gruppo un ulteriore elemento che ne arricchisse il significato o I muti (i monaci votati al silenzio): di questi ultimi abbiamo solo pochi cenni che consistono in elenchi del linguaggio dei segni usati durante i periodi di osservanza del silenzio: ▪ AFFIRMATIO: leva manum moderate et move, non inversam, sed ut exterior superficies sit sursum 6 ▪ DEMONSTRARE: extenso solo poterit res visa notari 7 ▪ DOLOR: palma premens pectus dat significare dolorem ▪ PUDOR: lumina quando tego digitis designo pudorem In tal modo siamo spinti a leggere ne La cacciata dei progenitori dal Paradiso terrestre di Masaccio che è Adamo che esprime vergogna, mentre Eva soltanto dolore. Ogni lettura di questo tipo dipende dal contesto ed è probabile che anche la stessa gente del Quattrocento potesse sbagliarsi nell’interpretazione (San Giuseppe: malinconia/meditazione) o Il gesto laico non era molto diverso da quello religioso, ma aveva una propria gamma, difficile da classificare, era più personale e cambiava a seconda della moda. ▪ Xilografia del Liber scaccorum del 1493 di Jacobus de Cessolis: gesto usato per indicare invito e espressione di benvenuto ▪ Un giovane dinanzi al consesso delle Arti del Botticelli: la figura principale usa una chiara forma di benvenuto ▪ Camera degli Sposi di Mantegna: espressione di signorile ritegno ▪ Le tre tentatrici del Pinturicchio: le fanciulle rappresentano il secondo dei quattro stadi di tentazione e cioè la carnalis simulatio -> il carattere delle fanciulle appare già molto chiaro nell’uso eccessivamente libero delle mani (Decor Puellarum: norme precise) ▪ Primavera del Botticelli: la figura di Venere ci invita con la mano e lo sguardo nel suo regno. D’altro canto non v’era una distinzione netta tra gesto profano e religioso: generalmente i dipinti religiosi si basano sul gestire devoto allontanando abbastanza le vicende sacre dal piano della vita profana di ogni giorno. - Nelle storie una figura interpretava la sua parte ponendosi in relazione con le altre e nella composizione dei gruppi e negli atteggiamenti il pittore era solito suggerire rapporti e azioni. Questi gruppi erano rappresentati anche in drammi sacri di vario genere che, dove esistevano, devono aver contribuito ad accrescere nella gente la capacita di visualizzare gli avvenimenti rappresentati. Le descrizioni di questi drammi non ci dicono però molto del modo in cui un attore si rivolgeva fisicamente ad un altro: due cose sono chiare: o Le descrizioni che abbiamo delle sacre rappresentazioni sottolineano la loro dipendenza da effetti spettacolari che hanno poco a che fare con la raffinata suggestione narrativa del pittore. Le rappresentazione delle storie nelle strade, invece, sono più vicine alla pittura, perché l’elemento verbale aveva scarso rilievo. Anch’esse tuttavia si fondavano sull’imponenza numerica dei personaggi o In secondo luogo ciò che le rappresentazioni e i dipinti avevano in comune può essere individuato in ciò che noi consideriamo convenzioni antidrammatiche: queste erano introdotte ad esempio dalla figura del fastaiuolo che fungeva da tramite tra il pubblico e le vicende -> figure corali di questo genere vengono usate anche dai pittori. Questi non lasciavano il palcoscenico tra una rappresentazione e l’altra, ma sedevano sulle rispettive sedie, alzandosi per recitare la propria parte. ▪ LA VERGINE E IL BAMBINO CON I SANTI di Filippo Lippi: le figure dei santi assistono sedute alla vicenda, in attesa del loro turno per alzarsi, come facevano i Profeti nelle rappresentazioni fiorentine dell’Annunciazione. Il pittore, dunque, procedeva per sfumature, per “variazioni sul tema” di un argomento ben conosciuto dal fruitore. Questo escludeva la brutale rappresentazione di una cosa scontata. Ma questo modo attenuato di rappresentare i rapporti fisici fece crescere una più rozza tradizione popolare di immagini di gruppi e di gesti, documentata in espressioni più umili di pittura, come le xilografie: VITA ET FABULE DI ESOPO (1485) rappresenta un gruppo di figure vigorose, popolaresche e molto eloquenti. Nella versione pittorica questo carattere allusivo era attenuato, ma persino Piero della Francesca faceva affidamento sul fatto che il fruitore fosse disposto a leggere i rapporti che c’erano all’interno dei gruppi: BATTESIMO DI CRISTO, tre angeli usati per un artificio a cui Piero spesso ricorreva -> una delle figure guarda verso di noi, chiamandoci così ad unirci al gruppo. 6 alza la mano moderatamente e muovila, non capovolta, ma affinché il lato esteriore sia verso l’alto 7 - Un’attività abbastanza simile era la bassa danza: la danza a passo lento che divenne popolare nella prima metà del secolo/ sono diversi gli elementi che la rendono un utile parallelo: o Si trattava di un’arte a sé, con tratti propri e terminologia teorica: come l’arte della retorica la danza si comprovano di cinque Parti: ▪ AERE: aierosa presenza et elevato movimento, colla propria persona mostrando con destreza nel danzare un dolcie et umanissimo rilevamento ▪ MANIERA: tenire le nezi del tuo movimento che non sia ni tropo, ni poco, ma cum tanta suavitade che pari una gondola che da dui rimi spinta do sua natura, alzando le dicte undicelle cum tardeza et asbassandosse cum presteza ▪ MISURA: è ritmo, ma ritmo flessibile “tardeza ricoperada cum presteza” ▪ MISURA DI TERRENO ▪ MEMORIA o I danzatori erano concepiti e classificati in gruppi di figure, in schemi o Il parallelo tra la danza e la pittura sembra sia esso stesso imposto alla gente del Quattrocento (sonetto di Angelo Galli a Pisanello) Il trattato sulla pittura dell’Alberti e il trattato sulla danza di Guglielmo Ebreo hanno in comune una preoccupazione per i movimenti fisici come riflesso dei moti mentali, anche se il manuale sulla danza era il più enfatico a proposito, dato che questo era il punto centrale della danza stessa. I trattiti infatti offrono in un modo piuttosto esplicito delle figure tipo che esprimono dei rapporti psicologici -> erano semidrammatiche. Il legame con i pittori era più evidente nei dipinti di soggetto neoclassico e mitologico (perché il pittore era costretto ad inventare qualcosa di nuovo in un linguaggio quattrocentesco) che non in quelli religiosi: o LA NASCITA DI VENERE: Lorenzo di Piero de’ Medici, il Magnifico, aveva composto una danza intitolata VENUS. Questo non significa che quella danza abbia influenzato il dipinto, ma che sia la danza che il quadro erano state create per la gente con lo stesso tipo di approccio alle scene artistiche di gruppo e ciò permise ai pittori di contare su un’analoga prontezza del pubblico. o PALLADE DOMA IL CENTAURO, BOTTICELLI: il pittore poteva far danzare le figure in modo da esprimere palesemente il loro rapporto I personaggi, inoltre, non venivano stabiliti in base ai modelli relativi alla gente reale, a in base ai modelli desunti dall’esperienza di gente reale. Le figure dei pittori e il loro ambiente erano anche dei colori e delle forme molto complesse: riunire i colori in serie simboliche era un gioco tardo medievale ancora in uso nel Rinascimento. - Sant’Antonino: codice teologico o BIANCO: purezza o ROSSO: carità o GIALLO-ORO: dignità o NERO: umiltà - Alberti: codice relativo ai quattro elementi o ROSSO: fuoco o BLU: aria o VERDE: acqua o GRIGIO: terra - Leonello d’Este: codice astrologico per la scelta quotidiana degli abiti Ciascun codice poteva essere operante solo all’interno di limiti molto ristretti. I simbolismi legati ai codici non sono importanti in pittura, anche se ci sono talvolta degli elementi che vi corrispondono. Non ci sono codici segreti che valga la pena di conoscere a proposito del colore usato dai pittori. La cosa che più si avvicina a un codice è una sensibilità maggiore ai diversi gradi di preziosità delle tinte che permetteva al pittore di usarle per porre qualcosa in evidenza. GHERARDO STARNINA (azzurro per la Vergine/dipinto) dava una distinzione teologica, individuando tre livelli di adorazione: - LATRIA: massimo, dovuto solo alla Trinità -> oro - DULIA: reverenza per l’eccellenza (santi, angeli e padri della chiesa) - HYPERDULIA: forma più intensa della precedente dovuta alla Vergine -> azzurro a 2 fiorini l’oncia C’erano colori costosi e colori economici, e l’occhio era senza dubbio colpito da quelli preziosi prima che dagli altri. Ciò potrebbe apparire un fatto meschino, ed in effetti all’epoca c’era per esso un certo disgusto intellettuale e pittorico, espresso in una disputa sulla pura relatività del colore: 1430 LORENZO VALLA, esasperato dall’assurda gerarchia araldica dei colori di BARTOLO DA SASSOFERRATO (testo pgg 83-84) fece forse l’affermazione letteraria più eloquente. L’obiezione del Valla si fonda sull’ordine di colori scelto da Le difficoltà che emergono nell’applicazione e nel particolare, sono un problema per il pittore e non per il fruitore: molta gente del 400 era piuttosto abituata all’idea di applicare la geometria piana la più ampio mondo delle apparenze. L’idea della prospettiva di comporre su un prospetto un reticolo di angoli calcolabili e delle linee rette immaginarie rientra nella capacita di comprensione di un uomo in grado di affrontare un simile esercizio di misurazione. Unendosi 1.l’esperienza geometrica sufficiente a percepire una costruzione prospettica complessa e 2.una cultura religiosa per fare di questa un’allegoria, emerge un’ulteriore sfumatura: gli episodi di virtuosismo prospettico perdono la loro gratuita e assumono una diretta funzione drammatica. Questo tipo di prospettiva, infatti, viene considerata anche come una forma di metafora visiva, un suggestivo artificio che esprime la condizione spirituale. E c’è poi la possibilità di interpretarlo come 1.simbolo analogico di una convinzione morale e 2.come una visione escatologica della beatitudine 3. DIPINTI E CATEGORIE Esistevano in ogni caso uomini di affari che andavano in chiesa e danzavano e essi corrispondono all’uomo del XV secolo rappresentandolo negli di altri cui ci si riferisce più comunemente, come gli “umanisti civili”. Le abitudini sociali più immediatamente connesse alla percezione dei dipinti sono quelle visive e la maggior parte delle abitudini visive non viene registrata in documenti scritti. Dal tipo di fonti disponibili energie quel modo di vedere del pubblico personificato dal mercante che andava in chiesa e danzava. Questi non viene proposto come tipo ideale, ma ha in sé gli elementi del problema (religione, educazione, affari). In ogni caso alcuni dei principi più attivi nel commissionare la buona pittura erano piuttosto ferrati in matematica e l’osservanza religiosa era una consuetudine talmente istituzionalizzata da rendere il problema della fede individuale quasi irrilevante. Andremo qui ad analizzare un testo di CRISTOFORO LANDIANO, il miglior critico d’arte che, benché dotato di una sensibilità superiore alla norma, di conoscenze riguardo alla pittura, si rivolgeva a uomini comuni con lo scopo di essere da loro compreso. Ma prima di fare ciò sarà utile dare uno sguardo a come venisse vista la storia generale della pittura del XV secolo: mentre la pittura del TRECENTO è stata riassunta, a Firenze, in uno schema molto chiaro (CIMABUE, GIOTTO E ALIEVI DI GIOTTO – il profeta, il salvatore e gli apostoli), il QUATTROCENTO non produsse mai uno schema così netto e quando qualcuno faceva un elenco di grandi artisti propendeva per quelli che avevano lavorato nella sua città. L'elenco più distaccato e più ricco di informazioni è un componimento poetico di un pittore (testo pg 108), GIOVANNI SANTI che era il padre di Raffaello Sanzio. Egli non è un artista importante, tuttavia fu un pittore eclettico e molto preciso. La professione di CRISTOFORO LANDINO era nell’esatto uso della lingua; altri due elementi lo mettevano in grado di pronunciarsi sui pittori: • era amico di LEON BATTISTA ALBERTI : ALBERTI aveva scritto il suo trattato DELLA PITTURA nel 1435, il primo trattato in Europa sulla pittura: o Libro I: geometria della prospettiva o Libro II: descrive la buona pittura suddividendola in tre sezioni: ▪ Circumscriptione ▪ Compositione ▪ Ricevere di lumi o Libro III: discute la formazione e lo stile di vita dell’artista • era il traduttore della NATURALIS HISTORIA di Plinio: scritta nel I secolo dC e comprende la più completa storia critica dell’arte classica. Il metodo di Plinio si fondava su una tradizione si uso della metafora: egli descriveva lo stile degli artisti con parole che dovevano buona parte del significato al loro uso in contesti sociali o letterari, non pittorici. Così quando nel 1480 Landino si trovò a descrivere gli artisti del suo tempo ci si sarebbe aspettati che usasse i termini di Plinio, ma fu merito suo non averlo fatto. Egli non usò i termini di Plinio, bensì il “metodo” dei termini di Plinio: fece uso di metafore, o coniate da lui o appartenenti alla sua cultura; usa termini ricavati dalla bottega degli artisti, non così tecnici da essere sconosciuti al lettore comune, ma che hanno in sé l’autorità del pittore. Il resoconto sugli artisti si trova nell’introduzione al suo commento alla Divina Commedia e si suddivide in 4 parti: • Arte antica in dieci frasi e si rifà a Plinio • Descrive Giotto e alcuni pittori del Trecento e copia FILIPPO VILLANI • Descrive i pittori fiorentini del 400 ed è il suo contributo personale • Descrive alcuni scultori a. MASACCIO Nacque a San Giovanni Val d’Arno nel 1401 e fu ammesso all’Arte dei Pittori a Firenze nel 1422. Tra il 1423 e il 1428 dipinse un affresco della Trinità in Santa Maria Novella e diversi affreschi nella cappella Brancacci in Santa Maria del Carmine. Nel 1426 dipinse anche un polittico per una cappella in Santa Maria del Carmine a Pisa. • IMITATORE DELLA NATURA Variante di una delle espressioni critiche del Rinascimento: con una formula più accentuata si poteva dire che un pittore “rivaleggiava o superava la natura o la realtà stessa” • RILIEVO • PURO • FACILITA • PROSPECTIVO b. FILIPPO LIPPI • GRATIOSO • ORNATO • VARIETA • COMPOSITIONE • COLORIRE c. ANDREA DEL CASTAGNO • DISEGNATORE • AMATORE DELLE DIFFICULTA • SCORCI • PROMPTO d. BEATO ANGELICO • VEZZOSO • DEVOTO •
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