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Pittura ed esperienze sociali nell'Italia del Quattrocento, Sintesi del corso di Storia Dell'arte

Sintesi su tutti i capitoli del libro

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

Caricato il 13/06/2019

Sasabrina1994
Sasabrina1994 🇮🇹

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Scarica Pittura ed esperienze sociali nell'Italia del Quattrocento e più Sintesi del corso in PDF di Storia Dell'arte solo su Docsity! BAXANDALL Il contratto del Ghirlandaio insiste sul fatto che il pittore usi colori di buona qualità e soprattutto per quanto riguarda l’azzurro ultramarino, il colore più costoso dopo l’oro e l’argento ed è il più difficile impiego usato dal pittore. Ne esistevano sia qualità a buon mercato che care e c’erano perfino di sostituti più economici, generalmente noti come azzurro d’Alemagna. Per evitare di avere delusioni, i clienti specificavano che doveva essere l’ultramarino. I pittori e il loro pubblico erano molto attenti a tutto questo e presenti i alcune opere come: nel pannello del Sassetta San Francesco rinuncia ai suoi beni alla National Gallery l’abito che san Francesco rifiuta è una tunica d’azzurro ultramarino. Nella Crocifissione di Masaccio, il gesto del braccio destro di san Giovanni è sottolineato dall’azzurro ultramarino. Nel corso del secolo si parla sempre meno nei contratti dell’oro e dell’azzurro ultramarino. Si ha l’impressione che i clienti comincino a badare meno di prima all’esigenza di fare sfoggio, di fronte al pubblico, di una preziosità dei materiali fine a se stessa. Il cliente aveva a disposizione vari modi per trasferire il suo denaro dall’oro al pennello. Ad esempio come sfondo alle figure poteva richiedere dei paesaggi invece della doratura. Un contratto poteva specificare ciò che il cliente aveva in mente per i suoi paesaggi. È questo il caso del Beato Angelico nel 1447 si trovava a Roma per dipingere degli affreschi per il nuovo papa Nicola V. il suo lavoro venne pagato sulla base del tempo impiegato da lui e dai suoi tre assistenti; i materiali venivano forniti a parte. Si poteva spendere molto di più per l’abilità se una parte importante del dipinto veniva fatta esclusivamente del maestro. Come accadde per Filippo Lippi negli affreschi della Cappelle Strozzi, per il quale il contratto prevedeva che fosse lui a doversi occupare delle figure, più importanti e più difficili degli sfondi architettonici. Esaminando i documenti siamo arrivati a queste conclusioni: vi erano diversi modi per impiegare il denaro nell’abilità anziché nei materiali: c’era chi dava disposizioni affinché un pannello avesse sullo sfondo delle raffigurazioni piuttosto che delle dorature; c’era chi pagava il costoso intervento personale del grande maestro. Si ha a disposizione un numero molto scarso di documenti sulle testimonianze relative alla reazione del pubblico di fronte alla pittura. Esistono alcune descrizioni del ‘400 relative alla qualità dei pittori, ma sono poche quelle che si possono ritenere rappresentative di un’opinione collettiva sufficientemente ampia. I contratti non ci dicono con quali caratteristiche specifiche dovesse manifestarsi l’abilità di un’artista. Sappiamo che veniva fatta una forte distinzione tra affresco e pittura su tavola, che i pittori vengono considerati come individui in gara tra loro e che non solo bisogna fare delle distinzioni sul fatto che un’artista è migliore di un altro, ma anche sul fatto che uno abbia un carattere diverso dall’atro. CAPITOLO 2 L’occhio del ‘400 Il cervello ha il compito di interpretare i dati di prima mano relativi alla luce e al colore ricevuti dai coni, ma ciascuno di noi ha avuto un’esperienza diversa e quindi avrà anche sia una conoscenza che una capacità di interpretazione leggermente diverse. Ognuno infatti elabora i dati dell’occhio servendosi di strumenti differenti. In pratica queste differenze sono modeste dal momento che la maggior parte dell’esperienza è comune a tutti. Applicando questo concetto dell’arte, prenderemo come esempio l’affresco dell’Annunciazione di Piero della Francesca ad Arezzo. In primo luogo la comprensione del dipinto si fonda sulla convenzione rappresentativa della stesura bidimensionale del colore pur volendo rappresentare qualcosa di tridimensionale: dato che la vista è stereoscopica, non è possibile ingannarsi a punto tale da credere che un dipinto di questo genere sia vero. L’uomo del ‘400 si impegna a fondo a guardare l’opera, ma sa che dare un giudizio su di essa è compito del fruitore colto, dunque osservando il dipinto di Piero, un uomo con un minimo di spessore intellettuale, non poteva pretendere di restare passivo ma era tenuto a esprimersi. E secondo punto, il dipinto risente dei tipi di capacità interpretativa che la mente gli fornisce. La capacità umana di riconoscere un certo tipo di forma o un rapporto influisce sull’attenzione che l’uomo dedica all’osservazione di un quadro, ad esempio alle proporzioni se è avvezzo al riconoscimento dei rapporti proporzionali, ai colori se dispone una ricca gamma per categorizzare le diverse sfumature, ecc.. questi aspetti lo porteranno a una lettura dell’opera diversa da quella di un “profano” e senza dubbio più acuta. Buona parte di quello che noi definiamo “gusto” risiede nella corrispondenza tra l’analisi richiesta da un dipinto e la capacità di analisi del fruitore. Se un dipinto ci ricompensa con la sensazione di aver saputo cogliere il modo in cui il dipinto stesso è organizzato, allora siamo portati a provare piacere e dunque è il nostro gusto. Il terzo punto è che l’uomo si trova davanti al dipinto ha a sua disposizione una gamma di informazioni e opinioni tratte dall’esperienza generale. La nostra cultura è sufficientemente vicina a quella del ‘400 tanto da non avere la sensazione di fraintendere i dipinti. Prendiamo due tipi contrastanti di questo genere di conoscenza: se nella lettura dell’Annunciazione di Piero della Francesca si prescindesse a) dalla supposizione che gli elementi architettonici siano rettangolari e regolari e b) dalla conoscenza della storia dell’Annunciazione, sarebbe molto difficile riuscire a dedurre di aver compreso l’opera. Per quanto riguarda il punto a) saremmo portati a rivalutare lo spazio, domandandoci allora se le piastrelle del pavimento non siano rombi, se in realtà lo spazio sia meno profondo, se la parete che sporge crei un angolo acuto e non un angolo retto, ecc.. rispetto invece al punto b) se non conoscessimo la storia sarebbe difficile capire cosa sta avvenendo nel dipinto di Piero, il che non significa che Piero abbia raccontato male l’avvenimento, ma che poteva contare sul fatto che il fruitore avrebbe riconosciuto i soggetti dell’opera. Così come la pittura, anche questa era un’arte a sé, con una sua propria letteratura e una terminologia teoria; i danzatori erano concepiti come gruppi di figure e riuniti in schemi; in ultimo il trattato sulla pittura dell’Alberti e quello sulla danza di Guglielmo Ebro hanno in comune la visione del movimento fisico come riflesso del moto dell’animo. Le figure dei pittori il loro ambiente erano anche dei colori e delle forme molto complesse, e nel primo Rinascimento era ancora in uso come nel Tardo Medioevo riunire i colori in serie simboliche, ad esempio bianco- purezza; rosso- carità; giallo oro dignità; nero- umiltà. Ma anche rosso- fuoco; blu- aria; verde- acqua; grigio-terra. C’è da dire tuttavia che la cosa che maggiormente si avvicina all’utilizzo di un codice per il colore è la sensibilità maggiore che l’uomo rinascimentale aveva rispetto alle sfumature del colore. A Firenze e nella maggior parte delle altre città, l’istruzione si divideva in due gradi. C’era la scuola primaria. La botteghuzza, dove si frequentava per 4 anni prima di passare agli studi dell’abbaco, dove insieme a qualche lettura di testi impegnativi come Dante o Esopo, ma la maggior parte dell’insegnamento era basato sulla matematica. Pochi erano quelli che entravano all’università per diventare avvocati, ma per buona parte della gente appartenente alla borghesia le nozioni matematiche acquisite nella scuola secondaria costituivano il nucleo centrale della loro formazione intellettuale e della loro cultura. Lo strumento aritmetico universale usato dai mercati era la Regola dei Tre o Regola Aurea, tramite cui l’uomo del Rinascimento trattava i problemi della proporzione in ogni campo dal baratto, allo scambio di valuta, allevamento e via dicendo. CAPITOLO 3 Dipinti e categorie Per il 300 si produsse uno schema molto chiaro su chi fossero i migliori pittori (Giotto, Cimabue e gli allievi di Giotto), per il 400 non si produsse mai uno schema netto. Giovanni Santi, padre di Raffaello Sanzio, è consapevole della bella pittura prodotta a Venezia e nel Nord Italia: egli riconosce anche la buona qualità della pittura olandese. Abbiamo incontrato 4 pittori dell’elenco di Santi: Botticelli, Filippino Lippi, Ghirlandaio, Perugino. Landino dà le caratteristiche di altri 4: Masaccio, Filippo Lippi, Andrea del Castagno e il Beato Angelico. Landino era uno studioso di latino e filosofo platonico, esponente della lingua volgare e professore di poesia e retorica all’università di Firenze. La sua professione consisteva nell’esatto uso della lingua. Altri 2 elementi lo mettevano in grado di pronunciarsi sui pittori: l’amico Leon Battista Alberti e il traduttore della Naturalis Historia di Plinio. La storia di Plinio fu scritta nel I secolo D.C. e offre la più completa critica dell’arte classica. Il metodo di Plinio si fonda sull’uso della metafora. Landino si trovò di fronte alla traduzione di termini che ci si aspettava che avrebbe tradotto letteralmente adoperando gli stessi termini, che sono ricchi e precisi. Ma egli non usò i termini di Plinio, tuttavia fece suo il metodo di metafora. Oltre a questo adopera termini che sono propri della bottega degli artisti non tanto specifici da essere sconosciuti al lettore medio. Il resoconto sugli artisti si trova nell’introduzione al suo commento alla Divina Commedia in cui egli mirava a respingere l’accusa che Dante fosse stato antifiorentino. La sezione su pittori e scultori, che viene dopo quella sui musicisti, si suddivide in 4 parti: la prima descrive l’arte antica in 10 frasi. La seconda descrive Giotto e alcuni pittori del 300. La terza descrive i pittori fiorentini del 400. La quarta descrive alcuni scultori. Di Masaccio, Filippo Lippi, Andrea del Castagno e del Beato Angelico, Landino scrive: • MASACCIO Nacque a San Giovanni Val d’Arno nel 1401 e dipinse due capolavori a Firenze, un affresco della Trinità in Santa Maria Novella e i diversi affreschi nella cappella Brancacci in Santa Maria del Carmine, molto danneggiati in seguito all’incendio del 1771. Nel 1426 dipinse anche un polittico per una cappella in Santa Maria del Carmine a Pisa ma alcune parti si trovano ora a Londra (pannello centrale), Pisa, Napoli, Vienna e Berlino. Imitatore della natura Nonostante la loro apparente semplicità rappresentano nella critica del 400 una delle più comuni forme di lode per i pittori e Landino riconosceva il pregio di distaccarsi dalla lettura dei libri per arrivare alla rappresentazione quanto più possibile del vero tramite la semplice osservazione della natura dal vero, basando lo studio e la rappresentazione del loro aspetto su prospettiva e rilievo. Rilievo Masaccio è il principale esponente del rilievo. Puro senza ornato Là dove per pure si ha la traduzione di Landino del Plinio latino, e si intende quindi nel senso latino di laconico e disadorno. La connotazione “senza ornato” acquisisce un valore aggiuntivo di conciso e chiaro come un elemento di connotazione morale. Per Masaccio significa studioso e rigoroso. Facilita Questo termine è a metà tra facilità e abilità. Questa facilità era una qualità da un lato apprezzata ma dall’altro difficile da definire. Essa si manifesta in un dipinto che appare completo ma non è ancora rifinito. Gli affreschi di Masaccio sono ciò che si dice “buon affresco” dipinti quasi interamente su intonaco fresco, poiché esso veniva dato sul muro pezzo per pezzo ogni volta che si riprendeva a dipingere. Prospectivo È qualcuno che si distingue nell’uso della prospettiva. • FILIPPO LIPPI Era orfano e non si parla di lui come pittore fino al 1430 e non si sa chi sia stato il suo maestro, benché spesso si supponga un suo legame con Masaccio. Egli lavorò per la famiglia Medici che lo aiutò in una serie di difficoltà personali. Ci rimane un gran numero di dipinti su tavola di Filippo Lippi. Il suo più ampio lavoro, fuori di Firenze, è costituito dai cicli di affreschi nelle cattedrali di Prato e Spoleto, dove morì. Senz’altro suo figlio Filippino e anche Botticelli furono i suoi allievi. Gratioso Due significati: che possiede “grazia” e piacevole in generale. La prima era la più diffusa e precisa, ma la seconda attraeva intellettuali come Landino e lo adopera tanto per Lippi quanto per Desiderio. Entrambi infatti sono soliti ritrarre Madonne a mezzo busto graziose ma più interessante se il confronto viene fatto tra i gruppi di angeli del Tabernacolo di Desiderio in San Lorenzo a Firenze e le figure di Lippi in Salomè danza davanti a Erode: le fanciulle ai lati della sala sembrano grazia pura. Ornato Le sfaccettature del termine erano molteplici e la definizione di “ornato” sentita in quel periodo ci arriva dalla critica letteraria neoclassica e specialmente dell’Istituto oratoria di Quintiliano: per i critici letterari le prime caratteristiche della produzione scritta erano la chiarezza e la correttezza. Per raggiungere un risultato brillante era necessario anche che il testo fosse ornato, ed ornato era l’unione di chiarezza e credibilità. Per Landino quindi Filippo Lippi e Beato Angelico avevano una produzione artistica ornata, cosa che mancava a Masaccio. Varietà La nozione di varietà venne messa a punto da Alberti nel trattato sulla pittura, che si occupò di differenziarla dalla pura e semplice abbondanza di materiali. Distingueva nel trattato due tipi di interesse: 1) copia che è una profusione di soggetti e 2) varietà che è invece la diversità dei soggetti. Un esempio di varietà è il mosaico di Giotto della Navicella “il quale Giotto pose 11 discepoli tutti mossi dalla paura vedendo uno dei compagni passeggiare sull’acqua, caratterizzando ciascuno con movenze e atteggiamenti diversi a dimostrazione dello stato d’animo”. Compositione Il termine composizione inteso come armonizzazione sistematica dei vari elementi del dipinto volta a ottenere l’effetto complessivo desiderato, venne usato per primo da Alberti nel 1435. Alberti prese a modello la critica letteraria classica degli umanisti, per i quali compositio era il modo in cui una proposizione veniva costruita su 4 livelli gerarchici: proposizione, clausola, frase, parola. Alberti trasferì il termine e lo schema alla pittura: dipinto composto di corpo, corpo composto di membro, membro composto di superficie. Con questa teoria gli studiosi del 400 potevano permettersi di destrutturare l’opera e comprendere a fondo la composizione del quadro mettendo in relazione gli aspetti formali con i fini narrativi. Su questo schema l’artista costruiva e il critico giudicava la varietà. Colorire Talvolta adoperato anche come sinonimo di dipingere ma il Landino lo intende in un senso più specifico, che è quello di cui parla Piero della Francesca nel trattato sulla prospettiva della pittura: stendere il colore in una maniera fedele al modo in cui sono nella realtà. In questo, colorire e rilievo si sovrappongono. Colorire in pratica era trattare i “lumi” da un lato quindi si riferisce alla modulazione del bianco e del nero da una parte e di tutte le altre tinte dall’altra. Ma colorire raggiunge anche un ulteriore significato quando viene contrapposto a disegno che Landino adopera per Andrea del Castagno. • ANDREA DEL CASTAGNO Firmò alcuni affreschi in San Zaccaria a Venezia nel 1442. Non si sa chi fu il suo maestro, né esattamente quando nacque. Nel 1444 egli ritornò a Firenze e la sua principale attività
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