Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

PITTURA ED ESPERIENZE SOCIALI NELL'ITALIA DEL QUATTROCENTO - Baxandall, Sintesi del corso di Storia dell'Arte Moderna

Sintesi completa e correttamente approfondita dell'opera di Michael Baxandall. Materiale di studio monografico per l'esame di Storia dell'arte Moderna della Prof.ssa Terzaghi dell'Università degli Studi di Roma Tre Ti è piaciuto? Recensiscilo! Io ho aiutato te, tu aiuta me :) anche poche parole possono convincere ed aiutare qualcun'altro nella scelta!

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

In vendita dal 10/02/2021

imaribo
imaribo 🇮🇹

4.5

(25)

20 documenti

1 / 8

Toggle sidebar

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica PITTURA ED ESPERIENZE SOCIALI NELL'ITALIA DEL QUATTROCENTO - Baxandall e più Sintesi del corso in PDF di Storia dell'Arte Moderna solo su Docsity! PITTURE ED ESPERIENZE SOCIALI NELL’ITALIA DEL 400 MICHAEL BAXANDALL INTRO: Lo “stile” dei quadri costituisce un vero e proprio documento di storia sociale. I fatti sociali portano allo sviluppo di precise capacità e abitudini visive che a loro volta si traducono nello stile del pittore. Pertanto all’interno di questo libro troveremo notizie generali sul rinascimento, in particolare: - Cap I: esamina la struttura del mercato dell’arte del XV sec, per individuare i dati economici che stanno alla base del culto del talento artistico; - Cap II: affronta il concetto enunciato inizialmente e dimostra come capacità visive di origine popolare siano comuni ai dipinti e alla vita sociale, religiosa e commerciale del tempo; - Cap III: fornisce un quadro dei principali termini usati nel 400 per esaminare i dipinti dell’epoca: dunque 16 concetti utilizzati da Cristoforo Landino, miglior critico non professionista di quel periodo; CAP I: 1. Un dipinto del XV secolo è la testimonianza di un rapporto sociale che vede da un lato un pittore che faceva il quadro, dall’altro qualcuno che lo commissionava, che forniva il denaro per la sua realizzazione e che una volta pronto decideva come usarlo. Entrambe le parti immerse all’interno di un contesto governato da istituzioni (commerciali, religiose) che influivano sulle forme dell’opera che l’artista e il committente creavano insieme. Quest’ultimo potremo definirlo “mecenate” nelle sue innumerevoli connotazioni, o più precisamente “cliente”. Nel XV sec, la pittura di migliore qualità era quella fatta su commissione quindi ad esclusione di Madonne e cassoni nuziali, le pale d’altare e gli affreschi, venivano eseguiti su commissione tramite la stipulazione di un contratto legale. Il cliente decideva dunque di investire il suo denaro secondo l’ottica del 400, quello alla base del dipinto è dunque un rapporto commerciale ma in generale è innegabile come nella storia dell’arte il denaro abbia una grande importanza: oltre che per l’investimento di per sé, anche e soprattutto per i criteri di spesa. Infatti, un committente come Borso D’Este finiva per avere un diverso tipo di dipinto rispetto a chi come il mercante fiorentino Giovanni de’ Bardi, pagava il pittore in base ai materiali impiegati e al tempo speso. Pertanto, i dipinti potrebbero essere definiti dei veri e propri fossili della vita economica, in quanto specchio di essa. Dietro alla commissione vi era inoltre, l’uso da parte del cliente; molteplici erano infatti le motivazioni che spingevano ad un simile investimento che vanno dal collezionare nella propria dimora solo opere di qualità come nel caso di Giovanni Ruccellai (il quale contava nella propria casa dipinti di Verrocchio, Paolo Uccello, Domenico Veneziano) ma a queste motivazioni se ne sommano altre spiega, come il ricordo in sua memoria che ne sarebbe rimasto, onore portato alla città e la glorificazione del nome di Dio. Infine, una quinta ragione sembra essere quella che vede il piacere nell’acquistare oggetti di questo genere. Può sembrare contraddittorio che un uomo come Ruccellai, arricchitosi con l’usura, possa trarre dall’arte questo merito e questo piacere. Eppure, non va trascurato il fatto che l’opera d’arte avesse il vantaggio non solo di essere un oggetto degno di nota ma anche a buon mercato. Ciò che conta è che l’uso primario del dipinto è quello di essere osservato e nel XV la pittura era ancora troppo importante per essere lasciata ai pittori: il mercato dell’arte del tempo era diverso rispetto alla nostra condizione tardo romantica in cui il pittore dipinge ciò che ritiene meglio; e il fatto stesso che oggi acquistiamo i quadri già pronti ciò non implica la una diversa considerazione dell’artista/dell’arte ma semplicemente è sintomo di una diversa società con un diverso tipo di organizzazione commerciale. 2. Nel 1457 Filippo Lippi dipinse per Giovanni di Cosimo de’ Medici un trittico destinato in dono al re Alfonso V di Napoli, in una lettera vi descrive e vi fornisce uno schizzo del progetto che prevede da sinistra a destra: San Bernardo, un’adorazione del bambino e un San Michele. Una distinzione fra “pubblico” e “privato” non si addice molto alla pittura di questo periodo: questo perché le commissioni dei privati erano spesso destinati a luoghi pubblici anche perché come nel caso di prima, una pala per altare o un ciclo di affreschi nella cappella di una chiesa, non possono definirsi privati. Però è possibile attuare una distinzione tra:  Commissioni da grandi istituzioni come le fabbriche delle cattedrali  Commissioni di singoli individui o piccoli gruppi di persone Dunque, da un lato le imprese collettive, dall’altro iniziative private. E’ bene specificare che il pittore però aveva contatti solo ed esclusivamente con una persona (un privato cittadino o un uomo a capo di una confraternita o monastero); questo interveniva in determinati settori, riportati in genere in accordi legali in cui vi sono gli elementi essenziali relativi al rapporto che stava alla base di un dipinto. Accordi legali che risultano sia sottoforma di veri e propri contratti, sia come promemoria che dovevano essere tenuti in considerazione da ciascuna delle parti. Fra questi ad esempio:  Cosa il pittore doveva dipingere;  Modi e tempi di pagamento da parte del cliente e termini di consegna  Insiste sul fatto che il pittore doveva utilizzare colori e materiali di ottima qualità (oro/azzurro oltremarino tra i + costosi e difficili da stendere, vi erano perfino sostituti + economici ‘Adorazione dei Magi’ Domenico Ghirlandaio) Ovviamente non tutti gli artisti lavoravano con contratti di questo tipo; Mantegna, ad esempio, dopo una generosa offerta che comprendeva anche un luogo presso cui abitare, accetto di lavorare per i Gonzaga di Mantova dal 1460 fino alla sua morte avvenuta nel 1506. Nonostante la sua posizione di rilievo rispetto ad altri pittori che venivano pagati dai signori a opera singola e non a stipendio fisso, la proposta dei Gonzaga non si rivelò così conveniente per Mantegna, il cui stipendio non veniva pagato con regolarità. Ciò che è fondamentale emerga dai contratti di inizio 400 sono determinate posizioni che cambiano come quella relativa all’attenzione riservata al colore che a fine secolo, si sposta verso una maggiore abilità pittorica dell’artista. 3. Nel corso del secolo nei contratti si parla sempre meno di oro/azzurro e per spiegare questo genere di evoluzione sarebbe riduttivo limitarsi all’ambito della storia dell’arte. In una panoramica più ampia si prende coscienza della sempre più diffusa tendenza in tutta Europa occidentale, che va verso una sorta di limitazione selettiva dell’ostentazione che si manifesta in altri tipi di comportamenti (esempio nei tessuti degli abiti) il tutto dovuto probabilmente al problema di doversi distinguere dal vistoso nuovo ricco, diminuzione di oro ecc. (era l’orientamento dell’ostentazione a spostarsi, non l’ostentazione a sparire): analogo era il caso della pittura dove ci si sposta dall’importanza data all’oro a quella data al pittore e alla sua capacità. Nel primo Rinascimento ‘il’ punto nodale era proprio la dicotomia tra il valore del materiale prezioso da una parte e il valore attribuito all’abile uso dall’altra; questo il motivo che ricorreva con maggior frequenza in discussioni che riguardavano sia l’ambito della pittura sia quello della scultura e ciò avveniva sia se questa fosse di carattere moralistico ( che deplorava la fruizione di carattere edonistico dell’opera da parte del pubblico -dialogo Petrarca) sia di carattere asseverativo (Alberti trattati sull’arte). Due posizioni che risultano fondamentali se si doveva stabilire il prezzo di un dipinto. 4. Svariati erano i modi a disposizione del cliente per trasferire il suo denaro dall’oro al pennello come quello di richiedere nel dipinto la presenza di paesaggi che inevitabilmente, necessitavano di una notevole abilità, oppure il cliente conferiva lustro al suo dipinto non con l’oro ma con la maestria e nello specifico privilegiando la mano del maestro rispetto a quella dell’assistente/allievo. Esistono alcune descrizioni del 400 relative alla qualità dei pittori, ma sono veramente poche quelle ritenere rappresentative dell’opinione collettiva. CAP II: 1. Il secondo capitolo inizia con la spiegazione del funzionamento del meccanismo della vista, come l’occhio riceve stimoli di luce e colori, e come questi vengono elaborati dal cervello. A questo punto, la percezione visiva cambia da individuo a individuo: in quanto spetta al cervello il compito di elaborare dati, ricavando collegamenti dal suo bagaglio di schemi di esperienze, abitudini e analogie, ma tali differenze sono piuttosto modeste, dato che la maggior parte dell’esperienza è comune a tutti. Il fatto di tendere ad un’interpretazione piuttosto che ad un’altra dipende da diversi fattori, tra cui anche il contesto, che possono essere riassunti sotto l’idea dello ‘stile conoscitivo’ di ciascun individuo, e gli elementi che lo compongono non operano uno in seguito all’altro, ma insieme. 2. Vi sono convenzioni rappresentative più legate a ciò che si vede, altre invece più astratte e concettualizzate: entrambe però implicano una capacità e una volontà di interpretare i segni sulla carta come rappresentazioni che semplificano un aspetto della realtà: noi infatti non vediamo un albero come una superficie piana bianca circoscritta da linee nere; esempio ‘Annunciazione’ Piero della Francesca ad Arezzo: il primo approccio al dipinto si ha sul piano dei colori disposti su un piano bidimensionale per riferirsi a qualcosa che è tridimensionale: il tentativo è quello di ingannare replicando con il colore ciò che la natura ha creato da sé, ma dato che la vista è stereoscopica è ben difficile che ci si possa ingannare al punto tale da credere che un dipinto di questo genere sia vero. Nell’Italia XV del sec. Il fatto di osservare tali rappresentazioni era una specie di istituzione che comportava una serie di aspettative: queste variavano a seconda della collocazione cui era destinato il dipinto -salone o chiesa- ma un’aspettativa restava costante cioè il talento. L’osservatore del 400 si soffermava dinnanzi ad un dipinto, riconosceva la necessaria presenza dell’abilità, ma sapeva che a pronunciarsi in un giudizio doveva essere compito del fruitore colto, dell’intellettuale che non poteva assolutamente restare impassibile. Con ciò non bisogna dimenticarsi che il dipinto risente dalla capacità interpretativa, la capacità umana di riconoscere un certo tipo di forma o un rapporto di forme influisce senz’altro sull’attenzione che l’uomo dedica all’osservazione di un quadro. Se per esempio ha una certa abilità nel notare rapporti proporzionali o se dispone di una ricca gamma di categorie per diversi tipi di rosso e di bruno, tutte queste capacità lo porteranno a una lettura dell’Annunciazione di Piero della Francesca diversa da quella di gente priva di tali capacità e senza dubbio molto più acuta rispetto a quella di persone ci l’esperienza non ha fornito quella capacità che sarebbero necessarie per meglio comprendere un dipinto. Ciò che chiamiamo ‘gusto’ è la corrispondenza tra la l’analisi richiesta da un dipinto e la capacità di analisi del fruitore. Paradossalmente perché la nostra mentalità è più vicina a quella del 400, ci può essere difficile renderci conto di quanto la nostra comprensione del dipinto dipenda dalle nostre conoscenze personali. Oltre alla logica architettonica che governa il dipinto, se si pensa alla storia: se uno non sapesse quella dell’Annunciazione sarebbe difficile capire cosa stesse accadendo nel dipinto di Piero, si potrebbe benissimo supporre che l’arcangelo e la madonna stiano rivolgendo una sorta di devota attenzione alla inconsapevolmente anche il fruitore dal momento che l’occhio viene colpito prima dai colori preziosi e poi dagli altri. Le considerazioni di Aliberti sulle combinazioni di colore sono le più precise del periodo, nonostante non si capisca bene cosa egli voglia intendere: d’altronde le parole non erano il mezzo con cui gli uomini del XV secolo, potessero esprimere il loro senso del colore. 9. A Firenze, un ragazzo che potesse dirsi istruito riceveva due formazioni: quella della scuola elementare o botteghuzza dove imparava a leggere e a scrivere e la scuola secondaria dove si proseguivano gli studi con la lettura di Dante/Esopo ma anche e soprattutto con l’apprendimento della matematica. Queste conoscenze bastavano a chi non proseguiva con l’università, essendo le nozioni matematiche nucleo centrale in quanto stiamo parlando di una matematica commerciale strutturata sulla base delle esigenze del mercante. Una fra queste è la misurazione. Emblematico è lo scritto di Piero della Francesca De abaco, da cui emerge questo strettissimo rapporto tra il pittore e la geometria: infatti le competenze citate prima erano comuni alla maggior parte di quelle persone che poi avrebbero costituito il pubblico per un pittore e avrebbero giudicato il dipinto sulla base di quelle stesse competenze. (inserimento del padiglione, non affinchè il pubblico misurasse ma per far sì che la sua vista e la sua attenzione venissero stimolate; ed esso è il punto che permette il passaggio da qualcosa di quotidiano che il fruitore conosce a qualcosa di diverso come il mistero dell’Immacolata concezione. Il pittore dunque dipende dalle attitudini del suo pubblico; e allo stesso tempo da entrambe le parti c’è la tendenza a ridurre tutto a figure misurabili così il fruitore può comprendere a fondo Adamo ne ‘La cacciata dei progenitori dal paradiso terrestre’ di Masaccio se lo identifica come composto da cilindri, o la madonna nella ‘Trinità’ di Masaccio se vista come un tronco di cono. Un pittore che avesse lavorato all’interno di altre convenzioni, avrebbe utilizzato un altro modo si ma allo stesso tempo avrebbe raggiunto uno scopo analogo. (convenzione Italia sett > Pisanello e i contorni di figura con toni chiari). 10. Nel 400 in Italia c’erano moltissimi problemi sul tipo di quello della vedova e dei gemelli circa le proporzioni; essi avevano una funzione pratica: sotto le spoglie della vedova e dei gemelli c’erano tre capitalisti che traggono un certo profitto a seconda dei loro rispettivi investimenti in qualche impresa rischio. Questa era la matematica delle società commerciali: lo strumento aritmetico universale usato dai mercanti italiani colti nel Rinascimento era la Regola del Tre, anche nota come Regola Aurea o Chiave del Mercante. Essa rappresenta il modo in cui il Rinascimento affrontava i problemi di proporzione (verificabile con la moltiplicazione di 1-3 e 2-4), questi problemi riguardavano l’allevamento, lo sconto, lo scambio di valuta e il baratto. La difficoltà non stava nella formula in sé, ma nel ridurre ogni tipo di problema ad essa; per noi è importante aver chiaro come l’abilità fosse una sola, sia per gli scambi commerciali, sia per i dipinti. Piero della Francesca disponeva della stessa preparazione sia per un affare di baratto sia per i suoi dipinti, il piccolo passo che separava le due cose era nel fatto che lo studio delle proporzioni armoniche fatto da un pittore era abbastanza sommario rispetto alla precisione dei mercanti ma faceva pur sempre riferimento alla Regola del Tre (come dimostra Leonardo). 11. Ci sono due generi della letteratura del rinascimento che forniscono degli accenni su cosa possa arricchire la percezione nei dipinti.  Uno è un sermone di Rimbertino sulla qualità sensibile del paradiso, che distingue tre tipi di progresso rispetto alla nostra esperienza visiva: I. Una maggior bellezza delle cose viste, che risiede: a) Luce più intensa; b) Colore più chiaro; c) Miglior proporzione; II. Una maggior acutezza della vista; a) Capacità di fare distinzioni tra una forma o colore e un altro; b) Capacità di vedere sia a grandissima distanza sia attraverso i corpi; III. Un’infinità di oggetti da osservare; Secondo Rimbertino l’esperienza terrena che più poteva avvicinarsi a quella del paradiso era quella che si serviva di una rigida convenzione prospettica applicata ad un disegno geometrico (PdF ‘parte esterna di un pozzo’).  Il secondo testo è di Pietro di Limoges, abbastanza in voga, e prendeva in considerazione una serie di fenomeni ottici (bastone in acqua, due dita davanti alla fiamma) e trarne considerazioni morali. Di queste ‘tredici meravigliose cose’, l’undicesima riguarda la percezione dei dipinti, in particolare la prospettiva lineare. Le maggiori difficoltà di essa sorgono nella pratica e diventano dunque un problema per il pittore ma non per il fruitore. Se si uniscono questi due tipi di pensiero, ne risulta un’ulteriore sfumatura che caratterizza la rappresentazione narrativa dei pittori del 400: lo sguardo del pubblico sull’arte riconosce il virtuosismo prospettico che assume una funzione drammatica. CAP III: 1. L’uomo del 400 potrebbe perfettamente essere inscritto nella figura tipica di Lorenzo de’ Medici, riferimenti di quelli che identifichiamo come ‘umanisti civili’. Nel 400 all’interno delle categorie di coloro che pagavano i pittori, nessuno era privo di elementi come l’educazione mercantile, il frequentare la chiesa e la danza. Così inquadriamo in quest’ottica: ‘l’aria virile’ di Botticelli ricollegandola alla bassa danza; ‘la proportione integra’ di cui parlava lo stesso Botticelli in relazione alla regola del Tre, ‘l’aria angelica’ del Perugino legata al gesto religioso. ‘Virile’, ’Proportione’, ‘Angelica’: questi i sistemi di analisi tipici di un’intellettuale, del mercante, del credente, ognuno dei quali deriva da una precisa origine. Ciò che può unire questi punti di vista è lo scritto di Cristoforo Landino, il miglior critico d’arte del 400, in quanto dotato di una sensibilità superiore alla norma, si rivolgeva a uomini comuni con lo scopo di essere da loro compreso. Il testo fa parte di un’introduzione al suo commento su Dante e al suo interno sono racchiusi 16 termini impiegati per descrivere 4 pittori fiorentini. A differenza del 300 di cui Giovanni Santi (padre di Raffaello Sanzio) ha saputo tracciare una summa – Cimabue (profeta), Giotto (salvatore) e i suoi allievi (discepoli); del 400 non vi è uno schema altrettanto netto. Giovanni Santi, che morì 1494, si è solito ritenerlo un pittore trascurabile ma non è del tutto corretto: egli operò nell’ambito di una scuola dell’Italia Orientale e della sua arte resta un’inestimabile pala d’altare a Montefiorino. Spesso chi scrive d’arte riconosce gli artisti della propria città come i migliori, Santi invece dimostra avere vasta cultura dal Nord Italia al Olanda e dimostra come 13 dei 25 artisti italiani, provengano da Firenze. Avendo già menzionato Botticelli, Filippino Lippi, Ghirlandaio e Perugino parlerò ora di Masaccio, Filippo Lippi, Andrea del Castagno e il Beato Angelo. Cristoforo Landino era uno studioso di latino e filosofo platonico, la sua professione consisteva nell’esatto uso della lingua ma due elementi lo mettevano nella posizione di potersi pronunciare in pittura: l’aver tradotto il Naturalis Historia di Plinio e l’essere grande amico di Alberti, autore del primo trattato in Europa che sia giunto fino a noi. Composto da 3 libri:  Geometria della prospettica  Buona pittura  Formazione e vita dell’artista NH invece è un’opera risalente al I sex ed è la più completa storia critica dell’arte classica giusta: il metodo di Plinio si basa sull’uso della metafora: egli descriveva lo stile degli artisti con parole che dovevano il loro significato a contesti sociali o letterari, non pittorici. Ci si aspetta dunque che egli abbia parlato della pittura del suo tempo con i termini di Plinio (severo, austero, grave, liquido) ma egli si rifà solo al suo metodo quello delle metafore, coniate da lui o appartenenti alla sua cultura e non così lontani dall’essere compresi dal lettore comune. MASACCIO 1401 a San Giovanni Val d’Arno, all’età di 21 viene ammesso all’Arte dei Pittori di Firenze, 1423-1428 dipinse i suoi 2 capolavori superstiti a Firenze, un affresco della Trinità in Santa Maria Novella e diversi affreschi nella cappella Brancacci in Santa Maria del Carmine. Per la stessa, nel 26 dipinse un polittico le cui parti ad oggi si trovano a Londra, Pisa, Napoli, Vienna e Berlino. 1428 Roma dove muore. a. Imitatore della natura Insieme a imitatore del vero, erano varianti di espressioni critiche del rinascimento di cui è difficile capirne bene la portata nonostante è noto che la realtà e la natura siano due cose diverse per ciascuno, ma comunque denota una certa indipendenza da libri e formule( in termini negativi); certamente costituiva la più consueta forma di lode ma che indicava allo stesso tempo un uniforme livello qualitativo che non denotava una particolare forza espressiva o il carattere dell’artista; anche se per Landino è l’unico che merita tale definizione; anzi un’accezione positiva arriva dallo stesso Leonardo che con questa espressione indica colui che ha padronanza di luce e prospettive. Proprio ‘rilievo’ e ‘prospettiva’ saranno altri due concetti che Landini accosterà alla figura di Masaccio. b. Rilievo Masaccio è il maggior esponente, seguito da Andrea del Castagno e Filippo Lippi. Alberti utilizza questo termini per intendere l’apparire di una forma modellata a tutto tondo, ottenuta trattando abilmente i toni della superficie. È bene specificare la luce e le ombre vengono percepiti come forma solo quando si ha chiaro da dove venga la luce, senza di essa persino i corpi complessi vengono visti come macchiate di luci e di ombre, l’effetto contrario ricercato dai pittori, e di questo concetto Masaccio ne ha piena padronanza. c. Puro È uno dei latinismi, che troviamo in Cicerone, Quintiliano, che Landini associa a Masaccio ma occorre fare distinzione tra il senso negativo ‘spoglio, povero’ e quello positivo di ‘conciso e chiaro’ in contrasto con ‘ornato’. Puro va riferito allo studioso e rigoroso, e non ad insipido né elegante d. Facilita Una via di mezzo tra ‘abilità’ e ‘facilità’ senza connotazione negativa per quest’ultima. Definito come il ‘prodotto del talento naturale e delle capacità acquisibili mediante l’esercizio’: la scioltezza che deriva dalla pratica diligente. Una capacità che emergeva nel momento in cui il pittore lavorava rapidamente sull’intonaco che si stava asciugando: questo fa di Masaccio un’artista di autentici affreschi. e. Prospectivo Qualcuno che si distingue nell’uso della prospettiva, una scienza resa dai fondamenti matematici sistematica: e nel riconoscere il primo, Landini fa il nome di Brunelleschi. Anche se è innegabile come le prospettive lineari del 400 siano spesso intuitive, la stessa ‘Trinità’ di Masaccio è costruita su una prospettiva palesemente ma non del tutto coerentemente calcolata. FILIPPO LIPPI Era orfano ed entrò nell’ordine delle carmelitane nel 1421, nella stessa chiesa in cui Masaccio stava realizzando gli affreschi della cappella Brancacci. Non si parla di lui come pittore prima del 1430 e non sapendo chi possa esser stato suo maestro non si esclude un legame con Masaccio stesso. Egli lavoro principalmente per la famiglia Medici, di lui ci rimane un gran numero di dipinti su tavola e il suo lavoro più ampio fuori Firenze, è costituito da cicli di affreschi nella cattedrale di Prato e Spoleto. a. Gratioso Decisamente diverso rispetto a Masaccio, questa parola a lui accostata oscilla tra un significato più oggettivo e uno più soggettivo: che possiede grazia o piacevole in generale. Non escludendo entrambi i significati, dato che il primo che ritroviamo anche nell’epigrafe che Poliziano dettò per lui. Filippo Lippi così dotato di ‘grazia’ ha meno ‘rilievo’ di Masaccio e Andrea del Castagno: le due qualità infatti non sono del tutto compatibili. Tuttavia, non si ha una precisa definizione anche se in termini neoplatonici ‘grazia’ indica la differenza dalla bellezza ma con risultati eccessivamente elaborati e accademici. Ma quella più adatta è sicuramente il prodotto tra varietà e ornato. b. Ornato Considerando che buona parte della produzione artistica è ornata e che per Landino i dipinti di Filippo Lippi e di Beato Angelico lo erano a differenza di Masaccio, ciò significa che questi perseguivano altri valori. Essi erano nitidi, ricchi, ilari, giocondi e accurati mentre Masaccio sacrificava tutto ciò per un più vivo realismo. Anche questa definizione resta generica, tenendo conto che ‘ornato’ è un elemento troppo diffuso in uno stile pittorico perché lo si possa isolare come ‘rilievo’. c. Varietà Il significato di questo concetto viene fornito dallo stesso Alberti che distingue la varietà dalla pura e semplice abbondanza di materiali:  Copia > profusione di soggetti, un dipinto è copioso se ripieno di soggetti;  Varieta > diversità di oggetti che risiede in due due fattori: contrasto di tinte e contrasto e diversità degli atteggiamenti delle figure (Giotto ‘Navicella’, Filippo Lippi ‘ disegno per una Crocifissione’); d. Composizione e. Inteso come armonizzazione sistematica dei vari elementi del dipinto volto ad ottenere l’effetto armonico desiderato. Alberti schematizzò il tutto parlando del dipinto Dipinto Corpo Membro Superficie Con questa teoria il 400, poteva esaminare a fondo la composizione di un quadro, a partire dalla sua articolazione e in modo tale da rifiutare il superfluo: questo lo stesso schema su cui l’artista costruiva e il critico giudicava la varietà che insieme alla composizione diventano motivo di lode per Lippi. Stessi fattori che lo accomunano a Donatello: entrambi composero sulla base di varietà, entrambi raggiunsero i propri fini narrativi tramite la composizione di gruppi di figure che si combinano in gruppi simmetrici. Entrambi costruirono mondi irreali ma comunque adatti a fare da sfondo ai loro protagonisti, inserendo profondità nel dipinto. Colorire Con questo termine non si intende l’impressione piacevole data dal colore, che denota un’ingenua e passiva sensibilità, bensì per Landino vuole significare ‘lo stendere il colore’ quasi paragonabile al dipingere. Una definizione che in parte si sovrappone al concetto di ‘rilievo’ e di distribuire la luce, ma soprattutto il vero significato emerge nel momento in cui Landini accosta questo termine a ‘disegno’ di Andrea del Castagno. ANDREA DEL CASTAGNO
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved