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Pittura ed Esperienze sociali nell'Italia del Quattrocento, Baxandall, Sintesi, Schemi e mappe concettuali di Storia dell'Arte Moderna

Sintesi completa ed esaustiva del libro Pittura ed Esperienze sociali nell'Italia del Quattrocento di Baxandall.

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2021/2022

In vendita dal 30/06/2022

doranastasi
doranastasi 🇮🇹

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Scarica Pittura ed Esperienze sociali nell'Italia del Quattrocento, Baxandall, Sintesi e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia dell'Arte Moderna solo su Docsity! RIASSUNTO BAXANDALL Nel ‘400 i dipinti sono il frutto di un rapporto sociale che si estrinseca in maggior rapporto in un rapporto commerciale. Questo rapporto presuppone un mercato che è contraddistinto dalle istituzioni o dalle convenzioni sociali e da un rapporto interni tra cliente e artista, il cui il cliente commissiona l’opera quindi la paga e l’artista la esegue. Questo rapporto presupponeva un contratto, cioè un accordo tra le due parti che doveva essere rispettato e in cui il cliente si impegnava a pagare e l’artista a consegnare il lavoro attenendosi alle richieste. Un esempio quintessenziale di cliente è GIOVANNI RUCCELLAI, esponente di una della più influenti famiglie di Firenze che si era arricchito con gli interessi di prestito, e quindi con l’usura. La caratteristica di Rucellai era quella di investire parte dei propri guadagni nella costruzione, nella decorazione e nell’ abbellimento di edifici di funzione pubblica, quindi chiese e palazzi e nell’acquisto e nella committenza delle opere d’arte che lui stesso possedeva nel suo palazzo privato. Lui stesso scrive di provare piacere e soddisfazione nell’investire i propri guadagni perché le opere d’arte provocano dolcezza, cioè sono belle da contemplare, ma hanno anche la funzione di accrescere la bellezza e il prestigio della città ma soprattutto solo riconducono a lui e mantengono viva la sua memoria. Inoltre l’acquisto di questi beni gli procura più piacere del guadagno stesso perché ha consapevolezza di spendere bene, cioè per motivi non futili. Il fatto di investire sulla costruzione e la decorazione dei monumenti pubblici in qualche modo serviva da remissione. Spendere denaro per abbellire il patrimonio culturale pubblico era si un piacere ma una anche una forma di risarcimento per la società, sia una donazione benefica che un pagamento per gli interessi e il sostentamento della chiesa. Infine un altro motivo che lo spingeva ad acquistare opere d’arte era la contemplazione e il piacere che la bellezza delle opere d’arte producevano, perché aldilà delle funzioni che può avere un’opera d’arte istituzionalizzata o privata è quella di essere mostrata, di essere vista e di provocare degli stimoli che nel caso anche proficui. Il rapporto tra cliente e artista veniva formalizzato da un contratto che poteva riguardare le grandi istituzioni corporative come le fabbriche della grandi chiese oppure le committenze private. Non c’è una tipologia di contratto che poteva essere definito tipico perché la tipologia prevedeva diversi modelli; c’erano quello registrati da un vero e proprio atto notarile, quelli che erano degli impegni scritti, dei promemoria di cui oggi non resta traccia perché poi una volta ultimata l’opera se entrambe le parti in causa erano soddisfatte veniva distrutto. Se la modalità di registrazione differiva in realtà le clausole erano sempre le stesse. A tal proposito è esemplificativo il caso del contratto stipulato tra Domenico Ghirlandaio e il priore dello Spedale degli Innocenti per l’esecuzione dell’Adorazione dei Magi nel 1488. Il contratto contiene quelle che erano le clausole che erano comuni a tutti i contratti - il fatto che il pittore si impegna a eseguire un lavoro sulla base di un disegno concordato precedentemente - Si esplicitano i tempi e le modalità del pagamento da parte del cliente e il termine della consegna da parte del pittore - Inoltre si esplicita la qualità dei materiali con cui il pittore deve eseguire l’opera e spesso si fa riferimento all’oro e all’azzurra ultramarino cioè la polvere ottenuta dal lapislazzulo. Di solito non vengono indicate le tipologie dei personaggi che figurano nel quadro perché il contratto presuppone un disegno preventivo in cui col contratto si sottoscrive. Per quanto riguarda i pagamenti questi avvenivano a rate e spesso si tendeva a diversificare il prezzo del materiale (che nel migliore dei casi era direttamente fornito dal cliente) con quello della manodopera. Il pagamento comunque si calcolava in relazione alla spesa e la manodopera. La somma concordata comunque era fluida e nel caso in cui il pittore si trovava in perdita rispetto al contratto poteva rinegoziarlo. Comunque nel caso in cui pittore e cliente non riuscivano ad accordarsi intervenivano in qualità di arbitri dei pittori professionisti che definivano il costo del lavoro. Il contratto del Ghirlandaio poneva un accento particolarmente importante sulla qualità del colore; oltre all’oro e l’argento il materiale che costava di più era proprio l’azzurro ultramarino che si estrapolava dalla polvere di lapislazzulo. L’importanza della qualità assicurava non soltanto una resa più brillante del colore ma assicurava anche una conservazione a lungo termine. C’erano anche degli azzurri a buon mercato, tipo l’azzurro d’Alemagna che era carbonato di rame ed era meno brillante e meno duraturo di quello ultramarino. In ogni caso l’azzurro veniva utilizzato per sottilineare delle parti fondamentali di un’opera, tipo il manto della Vergine ad esempio. Comunque il fatto di sottolineare le discrepanze tra la qualità di un colore e un altro dimostrano una cultura che noi non siamo in grado di comprendere perché il nostro occhio non comprende appieno la motivazione e il significato della qualità a dell’uso di un colore piuttosto che un altro. Per quanto riguarda contratti e pagamenti MANTEGNA rappresenta un caso isolato e la sua posizione era considerata abbastanza insolita nel ‘400. Viene assunto come pittore di corte a Mantova dai Gonzaga e non viene pagato per singole committenze ma percepisce uno stipendio un alloggio e il vitto. In realtà poi diventerà una sorta di factotum dei Gonzaga e lo stipendio spesso non gli verrà assicurato sempre in tempo e gli verranno concessi privilegi di terre e denaro. È inoltre fondamentale evidenziare l’importanza del contratto nel ‘400 come specifica attestazione della pratica commerciale del mecenatismo. Oltretutto saper interpretare i contratti equivale a comprendere le relazioni e i cambiamenti di tendenze che si sviluppano lungo il ‘400. Se nel primo decennio del ‘400 l’importanza era data maggiormente alla qualità del colore, alla fine del secolo questo termine passava in secondo piano rispetto all’importanza dell’abilità artistica del pittore. Nel corso del ‘400 l’attenzione si sposta in modo sempre più focalizzato sull’abilità del pittore. L’importanza per il colore non si esaurisce ma diventa parziale e soprattutto l’interesse per l’oro si limita alla cornice. In realtà tendenza si motiva con il fatto che i clienti inizino a badare meno all’ostentazione della ricchezza di un materiale fine a stesso. In altre parole un dipinto viene considerato prezioso e di valore non soltanto in relazione alla qualità dei materiali impiegati ma soprattutto per l’abilità del pittore. In generale questa tendenza a minimizzare l’ostentazione si percepisce in un cambio del gusto e della moda. Le stoffe più pregiate sono considerate quelle borgognone di colore nero. In generale non è l’ostentazione a venire meno ma si modifica il modo in questa si manifesta. Per quanto riguarda la pittura avviene la medesima inversione di tendenza, cioè ci percepisce che l’abilità del pittore può supplire alla qualità del materiale. Lo stesso Alberti nel DE PICTURA sollecitava i pittori a dipingere l’oro con l’oro ma combinando sapientemente l’uso del giallo e del bianco. Oltretutto i contratti per definire il prezzo di un dipinto si basavano nel rapporto tra la materiali e manodopera. Per quanto riguarda il cliente questo poteva “risparmiare” esplicitando delle preferenze. In particolare poteva richiede un paesaggio invece dello sfondo che era chiaramente più caro. Poteva anche parcellizzare differentemente il lavoro del maestro e degli aiutanti di bottega. È il caso di Beato Angelico per gli affreschi di Nicola V, in cui vennero pagati non in base a una tariffa definita prima ma in base alle ore di lavoro però il maestro venne pagato quasi il doppio di quanto non fossero pagati gli allievi. In generale nella seconda metà del ‘400 la ricchezza di un dipinto non viene classificata in base alla qualità dei materiali ma alla qualità del lavoro e dell’abilità. In tutto il corso del ‘400 l’individualità dell’artista diventava la cosa che veniva maggiormente pagata rispetto a tutto il resto. Da un punto di vista percettivo, e cioè dalle abilità biologiche e fisiologiche la percezione opera in modo identico per tutti. Il nostro occhio percepisce delle forme e le organizza in strutture che poi successivamente hanno bisogno di un filtro cognitivo che possa interpretarle. Successivo al processo di percezione c’è il processo di comprensione delle forme e delle immagini che vengono comprese se fanno parte di forme convenzionali che noi riusciamo a comprendere. Le forme e le strutture grafiche di cui un quadro è costituito rappresentano dei segni convenzionali che noi interpretiamo come immediatamente riconducibili a elementi reali. Prendendo il caso dell’Annunciazione di Piero della Francesca si possono scardinare i vari processi grazie a cui avviene la percezione, la comprensione e l’interpretazione. Per prima cosa il nostro occhio dotato di vista stereoscopica comprende che quello che sta guardando non è reale e lo fa immediatamente proprio perché il pittore esegue su un piano bidimensionale quello che nella realtà è definito su un piano tridimensionale e sviluppato in profondità. L’abilità nel pittore sta infatti nella capacità di rendere su un piano bidimensionale la definizione tridimensionale dell’architettura (nel caso di Piero). In secondo luogo per comprendere l’opera è necessario che l’osservatore impieghi una sua propria capacità interpretativa che varia in relazione alle propensioni e alle conoscenze di ogni osservatore; un medico avrà una capacità maggiore di cogliere di dettagli anatomici di cui un mercante neanche si cura. Questo ovviamente dimostra che ci sono capacità percettive che permettono una maggiore comprensione dell’opera piuttosto che altre. Oltretutto un’opera viene apprezzata se incontra il gusto dell’osservatore; cioè quando un osservatore mette in pratica le proprie capacità percettive e trova un riscontro nella comprensione, questo gli provoca piacere e sarà più propenso ad apprezzarla. Il gusto consiste quindi nella corrispondenza tra l’analisi richiesta dal dipinto e la capacità di analisi dell’osservatore. Il terzo punto riguarda il fatto che noi comprendiamo sulla gruppo guarda verso l’osservatore. Anche Alberti consiglia ai pittori di utilizzare questa figura all’interno delle proprie composizioni proprio per instradare l’osservatore a una corretta interpretazione dell’opera. Un’altra caratteristica era ad esempio che i personaggi non lasciavano mai la scena, ma quando avevano finito di interpretare il loro ruolo rimanevano all’interno della scena seduti in disparte. Ora quello che interessa maggiormente è come il pittore intendesse evocare un rapporto emotivo o intellettuale tra due figure che stavano una di fronte all’altra senza sfociare nel banale. Cioè in altre parole come poteva intendere un sentimento amoroso o di amicizia senza però condizionare le figure a un bacio o a un abbraccio che indicasse il loro rapporto. Da questo punto di vista il pittore operava per sfumature, cioè inseriva degli indizi per una comprensione che fosse mediata e che fosse già in parte assimilata da altre opere che rappresentavo delle variazioni sul tema, dalla meditazione privata o dalla mimica dei predicatori, evitando delle rappresentazioni che potevano essere considerate scontate o banali. Tornando alla figura del FESTAIOLO, un esempio potrebbe essere l’angelo del battesimo di Cristo di Piero della Francesca. All’interno del gruppo di angeli c’è un angelo che guarda fuori dalla composizione con aria trasognata, questa figura stabilisce con noi un rapporto e quindi noi veniamo attratti della figura e stabiliamo con lei un contatto. Di solito ha un ruolo secondario è sempre inserita all’interno di una figurazione con più componenti ma sembra riferisci all’esterno e provare a stabilire un contatto con l’osservatore. Questa figura figura funziona come un indicale, e ci rende contestualmente fruitori quando ne guardiamo l’insieme e attori quando ne percepiamo la presenza che ci consente di unirci all’avvenimento di cui diventiamo parte attiva. La capacità di cogliere questa figura amplifica la possibilità di comprensione del quadro laddove si riesca a percepirla. Un’altra attività che ci permette di comprendere il ruolo psicologico nel rapporto delle figure è dato dalla bassa danza, che rappresenta un utile parallelo con la pittura. Era un’arte a se con trattati propri, aveva una sua terminologia teorica, i danzatori venivano concepiti e classificati all’interno di schemi preimpostati. Rappresenta un utile parallelo con la pittura proprio perché anche nella trattatistica inerente alla bassa danza aveva lo stesso problema di quella di cui Alberti si fa portavoce, cioè come rendere la gestualità capace di evocare dei sentimenti indescrivibili in quanto stati mentali, ma soprattutto i trattati esprimono degli schemi gestuali che in modo esplicito esprimono dei rapporti psicologici. Chiaramente per il pittore usufruisce di questi modelli in raffigurazioni mitologiche o dipinti di soggetto laico che non in quelli religiosi, proprio perché il pittore era costretto a inventare qualcosa di nuovo e non viceversa basarsi su un repertorio di forme e di figure che fosse già ampiamente stato utilizzato nel corso del secolo. Molto probabilmente anche la Venere di Botticelli si basa su uno schema che era quello della danza, Lorenzo il magnifico aveva composto una danza che si intitolava Venus negli anni ’60 e Botticelli realizza la Venere nel ’80. Questo dimostra che sia la danza che il quadro vennero creati per dei fruitori che avevano lo stesso approccio alle scene artistiche di gruppo. La sensibilità della danza richiedeva al pubblico una capacità di interpretare schemi di figure, cioè rapporti tra le figure che avevano delle connotazioni psicologiche. Quando il pittore aveva a che fare con soggetti neoclassici o mitologici di cui non aveva modelli di repertorio abbastanza utilizzati e comprensibili, poteva ricorrere alla danza per evocare dei rapporti di comunicazione in cui si evidenziassero le componenti psicologiche. Un’altra caratteristica che contribuiva a definire il modo di considerare i dipinti nel ‘400 fa parte della formazione comune. I giovani rampolli ricevevano 2 gradi di istruzione prima la botteguzza dove imparava e leggere a scrivere e poi l’abbaco dove ricevevano un’istruzione più accurata in relazioni ai calcoli, alla misurazione e alla matematica mercantile. In altre parole la matematica che apprendevano era finalizzata ai calcoli commerciali e alle misurazioni dei barili e del loro volume e questo aiuta a comprendere quale fosse la loro capacità analitica e le loro usanze. Il punto di contatto tra la misurazione e la pittura è evidenziato da Piero della Francesca che all’interno del suo DE ABACO tratta di come si deve misurare un barile, perché rappresentava l’unità di misura preferenziale di un mercante. Il rapporto tra capacità di misurazione geometrica e pittura influiva nel caso dell’osservatore che era abituato a guardare e calcolare. Le capacità che Piero o qualsiasi altro pittore utilizzava per analizzare le forme che dipingeva erano le stesse di un commerciante che usava per misurare delle quantità. Un pittore ma Piero in particolare per indurre il processo di misurazione da parte dell’osservatore utilizzava una combinazione di solidi, sotto forma di immagini più complesse che richiamavano alle forme familiari che ricorrevano negli esercizi di misurazione, cioè quelle forme familiari che l’osservatore aveva studiato per imparare la geometria. un esempio può essere considerato il padiglione di Piero; il padiglione era utilizzato all’interno dei manuali di misurazione per risolvere i problemi di calcolo dell’area del solido. In altre parole quello del padiglione era un problema familiare che chi osservava aveva già imparato a risolvere. Il calcolo proposto all’interno delle opere di Piero può essere più esplicitamente definito come una modalità di carpire in maniera attiva l’attenzione dell’osservatore e di semplificare la comprensione attraverso delle situazioni familiari, per cui quello che doveva essere l’insondabile mistero dell’Annunciazione diventa inserito all’interno di un contesto il cui problema è già stato risolto. Sia per il pittore che per il commerciante sussiste la stessa capacità di calcolo e analisi e una consapevole tendenza a ridurre delle forme complesse in forme semplici per essere appunto misurate. Chiaramente i concetti geometrici di un misuratore e la sua capacità di esercitarli rendono più acuta la sensibilità e la capacità visiva di fronte a un volume. Oltre alla misurazione l’uomo colto del ‘400 aveva delle nozioni di aritmetica che gli permettevano di risolvere i problemi di calcolo quotidiani. Lo strumento aureo utilizzato dai mercanti del rinascimento è LA REGOLA DEL 3, e rappresenta il metodo preferenziale con cui nel rinascimento venivano risolti i problemi di proporzione. In altre parole qualsiasi problema di calcolo quotidiano l’uomo colto del rinascimento doveva risolvere era in grado di ridurlo in termini proporzionali A:B=C:D. Che si trattasse affari mercantili o di problemi proporzionali o di fare o di vedere un quadro, l’abilità era sempre la stessa, cioè riportare in minimi termini un problema per risolverlo in termini proporzionali e matematici. I calcoli che faceva un pittore per lo studio delle proporzioni anatomiche non era tanto differente dalle proporzioni con cui aveva a che fare il mercante o un uomo di commercio, che poteva comprendere perfettamente i calcoli prospettici in termini pittorici perché si era scontrato con quegli stessi termini per risolvere altri problemi. Per concludere c’è da dire che l’educazione del ‘400 attribuiva un ruolo fondamentale alle abilità di risoluzione dei problemi in ambito matematico e in particolare con la regola del 3. Conoscevano benissimo il settore in cui erano specializzati e utilizzavano la matematica oltre che per affari lavorativi, per indovinelli e giochi e compravano libri lussuosissimi per ostentare le loro conoscenze nel campo, perché rappresentava la parte più vasta della loro cultura intellettuale convenzionale. Questa specializzazione permetteva di praticare un attitudine a indirizzare l’esperienza visiva nel senso che erano portati a scomporre le figure complesse in figure semplici e di procedere ai calcoli che fossero calcoli di misurazione del volume, della superficie o delle proporzioni e quindi erano sensibili e apprezzavano i dipinti che possedevano questo tipo di caratteristiche. Oltretutto c’è una continuità tra le abilità di misurazione e le capacità matematiche del commerciante e quelle del pittore per la costruzione dei solidi o per lo studio proporzionale, che sono pressoché le stesse ma applicate su piani differenti. Il pittore che ben conosceva queste possibilità non si nascondeva dal farlo e anzi ostentava le sue conoscenze che il committente apprezzava.
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