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Pittura ed esperienze sociali nell'Italia del Quattrocento, Baxandall, Sintesi del corso di Storia dell'Arte Moderna

Riassunto libro di storia dell'arte

Tipologia: Sintesi del corso

2017/2018

Caricato il 29/03/2018

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snookie-rose 🇮🇹

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Scarica Pittura ed esperienze sociali nell'Italia del Quattrocento, Baxandall e più Sintesi del corso in PDF di Storia dell'Arte Moderna solo su Docsity! PITTURA ED ESPERIENZE SOCIALI NELL'ITALIA DEL QUATTROCENTO Le condizioni del mercato Un dipinto del 15 secolo è la testimonianza di un rapporto sociale: il pittore faceva o sovraintendeva alla sua esecuzione, dall'altro lato qualcuno lo commissionava, forniva il denaro per la sua realizzazione e pronto, decideva in che modo usarlo: entrambe le parti lavoravano all'interno di istituzioni e convenzioni che erano diverse dalle nostre e influivano sulle forme dell'opera che artista e committente creavano insieme. La pittura di migliore qualità nel 15 secolo era fatta su commissione e il cliente ordinava un prodotto specificandone le caratteristiche; le opere già pronte si limitavano a oggetti quali Madonne di tipo ordinario e cassoni nuziali dipinti dagli artisti meno richiesti in periodo di scarso lavoro; le pale d'altare e gli affreschi venivano invece eseguiti su commissione e il cliente e l'artista stipulavano di comune accordo un contratto legale. I criteri adottati nel Quattrocento per stabilire il prezzo dei manufatti, così come le diverse forme di pagamento in uso per maestri e prestatori d'opera, hanno entrambi una profonda incidenza sullo stile dei dipinti come li vediamo noi oggi: i dipinti sono infatti dei fossili della vita economica. Per un uomo ricco come Rucellai che si era arricchito con l'usura, spendere denaro per chiese e opere d'arte, ovvero per abbellire il patrimonio monumentale pubblico, era un merito e un piacere, un giusto risarcimento alla società, qualcosa a metà tra la donazione benefica e il pagamento dei tributi alla chiesa o di tasse. Il piacere del possesso, un'attiva devozione, un certo tipo di coscienza civica, il desiderio di lasciare un ricordo di se e forse anche di farsi pubblicità, la necessità per l'uomo ricco di trovare una forma di riparazione che gli desse insieme merito e piacere, un gusto per i dipinti: in effetti il cliente non aveva bisogno di analizzare le proprie motivazioni sopratutto perché in genere si serviva di forme istituzionalizzate che gli razionalizzavano implicitamente i suoi motivi. L'unico elemento generale su cui si deve insistere è che nel 15 secolo la pittura era ancora troppo importante per essere lasciata ai pittori: il mercato dell'arte era abbastanza diverso da come si presenta oggi, i pittori dipingono ciò che ritengono meglio e solo dopo vanno alla ricerca di un acquirente; il significato sta tutto nel fatto che viviamo in una società con un diverso tipo di organizzazione commerciale. Una distinzione tra pubblico e privato non si addice molto alla funzione della pittura del 15 secolo: le commissioni di privati avevano spesso un ruolo decisamente pubblico, sovente erano destinate a luoghi pubblici. Una distinzione più pertinente si ha tra le commissioni controllate da grosse istituzioni corporative o dei singoli individui o di piccoli gruppi di persone, quindi da un lato imprese collettive o comunali e dall'altro iniziative private. C'è una categoria di documenti legali che riportano gli elementi essenziali relativi al rapporto che stava alla base di un dipinto, accordi scritti circa i principali obblighi contrattuali delle due parti: alcuni di quelli conservati sono contratti veri e propri, redatti da un notaio, altri invece sono ricordi meno elaborati, promemoria che dovevano essere tenuti da ciascuna delle parti, che mantenevano tuttavia un certo peso contrattuale. Quantità e dettagli precisi variano da contratto a contratto, ma sono tre i temi principali di questi accordi: 1. specifica di ciò che il pittore deve dipingere; 2. modi e tempi di pagamento sono espliciti (era anche possibile che le spese del pittore fossero distinte dal suo lavoro, ma in ogni caso le voci di spesa e l'opera del pittore costituivano la base per calcolare il pagamento), come i termini entro i quali il pittore deve effettuare la consegna; 3. notazioni sui colori, quali e di quale qualità (la preoccupazione generalmente espressa nei contratti circa la qualità, sopratutto dell'azzurro ultramarino (polvere di lapislazzuli) e dell'oro era ampiamente giustificata, erano i più costosi). 1 → E' da rilevare che non tutti gli artisti lavoravano con contratti di questo tipo: alcuni artisti lavoravano per dei principi da cui percepivano uno stipendio (es. il Mantegna, che lavorò per i marchesi Gonzaga di Mantova). Ciò che è importante prendere in considerazione è il graduale cambiamento nel porre l'accento su questo o quel particolare nel corso del secolo: ciò che era importante nel 1410 lo era talvolta meno nel 1490; due di questi cambiamenti di accentuazione sono molto importanti per comprendere il Quattrocento: i colori preziosi perdono il loro ruolo di primo piano, la richiesta di abilità pittoresca invece assume maggior rilievo. L'attenuarsi della preoccupazione per i colori preziosi è piuttosto evidente nei dipinti come li vediamo oggi, si ha l'impressione che i clienti comincino a badare meno di prima all'esigenza di far sfoggio di una preziosità dei materiali fine a se stessa, e non avrebbe senso cercare di spiegare questo tipo di evoluzione limitandosi all'ambito della storia dell'arte: il ruolo meno rilevante dell'oro nei dipinti fa parte di una tendenza generale in tutta l'Europa occidentale dall'epoca verso una sorta di limitazione selettiva dell'ostentazione che si manifesta anche in molti altri tipi di comportamento (es. gli ambiti del cliente che abbandonano le stoffe dorate e le tinte sgargianti in favore di un più serio nero di Borgogna). In genere l'intento dei contratti successivi è il conferire lustro al dipinto commissionato non con l'oro ma con la maestria, la mano del maestro in persona. → La restrizione resta limitata però all'oro e non fa parte di un abbandono complessivo dell'ostentazione, si poteva essere sfarzosi tanto quanto prima anche nella limitazione dell'abito nero, tagliando le migliori stoffe olandesi: l'ostentazione in quanto tale continuava. E' difficile avere fonti sui pareri di chi vedeva le opere, raramente erano messi per iscritto i pareri verbali; abbiamo però un resoconto genuino su dei dipinti (una casuale trascrizione di quanto in modo semplice e quotidiano si diceva sulle loro qualità e differenze), fatto che si poteva verificare solo in circostanze non comuni, nel promemoria relativo a quattro pittori che andavano per la maggiore a Firenze da parte dell'agente del duca di Milano che voleva assumere alcuni pittori per decorare la Certosa di Pavia (1490). → Botticelli, Filippino Lippi, Perugino e Ghirlandaio. Da questo resoconto emerge che viene fatta una distinzione sottile tra affresco e pittura su tavola, che i pittori vengono considerati in competizione tra loro e che non solo se ne tratteggia la bravura ma anche il carattere dei suddetti. L'occhio del Quattrocento → considerazioni sulle capacità mentali, sul fruire rispetto a cosa abbiamo davanti L'uomo si trova davanti a un dipinto con una quantità di informazioni e opinioni tratte dall'esperienza generale; il pittore poteva anche far assegnamento sul fatto che il fruitore riconoscesse il soggetto dell'opera con un'immediatezza sufficiente da permettergli di accentuarlo, modificarlo e adattarlo in modo abbastanza spregiudicato. Poiché si riteneva che le persone colte dovessero essere in grado di dare dei giudizi sull'interesse dei dipinti, trovandosi di fronte a un'opera la gente del Rinascimento vi si impegnava a fondo; questo assumeva molto spesso la forma di una vera e propria preoccupazione per la ricerca dell'abilità del pittore, e avviamo anche visto che questa preoccupazione era strettamente legata a certe convenzioni e ipotesi economiche e intellettuali. Come accade oggi alla maggior parte di noi, in realtà si imparava a dare una valutazione coscientemente precisa e visivamente complessa, non tanto sui dipinti quanto su cose più immediatamente legate al benessere e alla sopravvivenza sociale. Abbiamo cercato di dare una definizione dello stile conoscitivo del Quattrocento, cioè del corredo critico con cui il pubblico di un pittore del 15 secolo affrontava dei complessi stimoli visivi quali potevano essere i dipinti; non stiamo parlando di tutta la gente del Quattrocento in generale, ma di quelle persone la cui reazione alle opere d'arte era di importanza fondamentale per l'artista, la classe dei committenti; questo significa una porzione piuttosto ristretta della popolazione: i mercanti e i 2 quattrocentesco, invece di limitarsi ad affinare i modelli religiosi tradizionali adattandoli alla sensibilità del secolo. La sensibilità rappresentata dalla danza richiedeva la pubblico una capacità di interpretare schemi di figure, cioè un'esperienza generale di accordi semidrammatici che permise al Botticelli e ad altri pittori di contare su un'analoga prontezza del pubblico nell'interpretare i loro gruppi: quando aveva a che fare con un soggetto neoclassico, privo di qualsiasi tradizione prestabilita riguardo all'impostazione e di qualsiasi certezza che la storia fosse ampiamente e intimamente nota, il pittore poteva far danzare le figure in modo da esprimere palesemente il loro rapporto. → Riunire i colori in serie simboliche era un gioco tardo medioevale ancora in uso nel Rinascimento: Alberti e altri fornirono un codice relativo a colori e quattro elementi, Leonello d'Este, marchese di Ferrara, utilizzava un codice astrologico sul quale basava la scelta quotidiana degli abiti; ce ne erano anche altri naturalmente e il risultato era quello di elidersi ampiamente a vicenda. A meno che il riferimento a un codice derivasse da speciali spunti suggeriti da circostanze di questo tipo, esso non poteva far parte del normale modo di vivere l'esperienza visiva; i simbolismi legati ai codici non sono importanti in pittura, anche se ci sono talvolta degli elementi che vi corrispondono, ma non ci sono codici segreti che valga la pena di conoscere a proposito del colore usato dai pittori. Le osservazioni di Alberti sulle armonie di colore sono meno semplicistiche e non in rapporto con il simbolismo degli elementi che anch'egli formalmente ammetteva: le sue considerazioni sulla combinazione dei colori sono le più precise che si possono trovare, e la difficoltà a comprendere a fondo cosa egli intenda è un ammonimento; le parole non erano infatti il mezzo con cui gli uomini del 15 secolo, o chiunque altro, potessero esprimere il loro senso del colore. Lo strettissimo rapporto tra il pittore e la geometria mercantile rappresenta un punto essenziale: le capacità che qualsiasi pittore usava per analizzare le forme che dipingeva erano le stesse che qualsiasi commerciante usava per misurare delle quantità. Da considerare è che molti pittori, loro stessi uomini d'affari, erano passati attraverso l'istruzione matematica secondaria delle scuole laiche, si trattava della geometria che essi conoscevano e usavano quotidianamente; dall'altra parte, il pubblico colto aveva queste stesse nozioni geometriche per guardare i dipinti, era uno strumento di cui erano dotati per esprimere dei giudizi e i pittori lo sapevano. Un modo ovvio per il pittore di provocare l'intervento del misuratore era quello di fare un acuto uso del repertorio degli oggetti solitamente utilizzati negli esercizi di misurazione, cioè le cose familiari che il fruitore doveva aver fatto per imparare la geometria (colonne, cisterne, torri di mattoni..); la precisa e spontanea valutazione che il fruitore dà del padiglione è ciò che gli consente di passare dalla sua dimensione quotidiana al mistero della rappresentazione. La proporzione geometrica dei mercanti era un metodo di precisa consapevolezza delle proporzioni: non si trattava di una proporzione armonica, di questa o quella convenzione, ma rappresentava proprio il modo in cui si deve trattare una convenzione di proporzione armonica. Dipinti e categorie Giovanni Santi, che morì nel 1494, era il padre di Raffaello; non è un artista importante, ma fu un'artista eclettico e preciso; quanto al suo poema, è una cronaca rimata in terza rima, che narrava la vita e le gesta del suo datore di lavoro Federigo da Montefeltro, duca di Urbino; l'occasione per l'excursus sulla pittura è una visita di Federigo da Mantova, e sopratutto qui viene dato un elenco in rima di grandi maestri di pittura del tempo: Firenze: -Beato Angelico, 1387-1455 -Paolo Uccello, 1396/7-1475 -Masaccio, 1401-1428(?) -Pesellino, 1422-1457 -Filippo Lippi, 1406-1469 -Domenico Veneziano, morto nel 1461 5 -Andrea del Castagno, 1423(?)-1457 -Ghirlandaio, 1449-1494 -Antonio e Piero Pollaiuolo, circa 1432-1498 e 1441-1496 -Botticelli, 1455-1510 -Leonardo da Vinci, 1452-1519 -Filippino Lippi, 1457/8-1504 Olanda: -Rogier Van Der Weyden, 1399/1400-1464 -Jan Van Eyck, morto nel 1441 Marche: -Piero della Francesca, 1410/20-1492 -Melozzo da Forlì, 1438-1494 -Cosimo Tura, 1425/30-1495 -Ercole de'Roberti, 1448/55-1496 Venezia-Roma: -Gentile da Fabriano, circa 1370-1427 -Pisanello, 1395-1455/6 Padova-Mantova: -Mantegna, 1431-1506 Umbria: -Perugino, 1445/50-1523 -Luca Signorelli, circa 1450-1523 Venezia: -Antonello da Messina, circa 1430-1479 -Gentile Bellini, circa 1430-1516 -Giovanni Bellini, circa 1429/30-1507 Cristoforo Landini Cristoforo Landini era uno studioso di latino e un filosofo platonico, esponente della lingua volgare e docente di poesia e retorica all'università di Firenze; era anche scrittore di lettere pubbliche presso la Signoria di Firenze; oltre questo, era amico di Leon Battista Alberti, e proprio di lui dà una descrizione. LEON BATTISTA ALBERTI: Lo riconosce come fisico, definendolo nato solo per investigare i segreti della natura; la sua bravura è esplicita nei nove libri De Architetura, che si riferiscono a ogni dottrina e sono scritti con magna eloquenza; scrisse De Pictura, De Sculptura e Statua; ne fece anche di opere, sia di pittura, di statuaria e di getto. Alberti aveva scritto il trattato De Pictura nel 1435, il primo trattato in Europa sulla pittura che sia giunto fino a noi e che par sia stato diffuso particolarmente tra gli umanisti che si occupavano di pittura o d geometria o della buona prosa semplice; l'influenza di questo trattato tardò a imporsi al di fuori dei circoli colti, ma Landino ne fu chiaramente colpito e contribuì a rendere noti a un pubblico più vasto alcuni dei principali concetti del libro. La Naturalis Historia di Plinio, scritta nel I secolo d. C., è la più completa storia critica dell'arte classica che ci sia giunta dall'antichità, riprendendo sia i fatti che il linguaggio critico da una tradizione di critica sviluppatasi in libri greci andati perduti, e fu proprio Landini a tradurlo nel 1473. Il metodo di Plinio si fondava prevalentemente su una tradizione in uso della metafora: descriveva lo stile degli artisti con parole che dovevano buona parte del loro significato al loro uso in contesti sociali o letterari, non pittorici; quando si trovò quindi Landino stesso a descrivere gli artisti del suo tempo, ci si sarebbe aspettati termini già usati da Plinio, ma fu un suo merito non averlo fatto: non usò i termini di Plinio con il loro riferimento a una cultura generale molto diversa da quella di Firenze nel 1480, ma il metodo dei termini di Plinio: fece uso di metafore, riferì dello 6 stile pittorico del suo tempo legato allo stile sociale o letterario della sua epica, usò termini ricavati dalla bottega degli artisti. Il resoconto sugli artisti si trova nell'introduzione al suo commento alla Divina Commedia in cui mirava a respingere l'accusa che Dante fosse stato antifiorentino; sostiene la lealtà di Dante e l'eccellenza di Firenze parlando degli uomini distinti qui in vari campi. La sezione sui pittori e scultori, che viene dopo quella sui musicisti, si suddivide in quattro parti: la prima descrive l'arte antica in dieci fasi e si rifà a Plinio, la seconda descrive Giotto e alcuni pittori del Trecento e riprende un critico del 14 secolo, Filippo Villani; la terza descrive i pittori fiorentini del Quattrocento ed è il suo contributo personale, è qui che si parla di Masaccio, Filippo Lippi, Andrea del Castagno e del Beato Angelico. MASACCIO: Nacque a San Giovanni Val d'Arno nel 1401 e fu ammesso all'Arte dei Pittori di Firenze nel 1422; tra 1423-1428 dipinse i suoi due capolavori, un affresco della Trinità in Santa Maria Novella e diversi affreschi nella cappella Brancacci in Santa Maria del Carmine, danneggiati dopo l'incendio del 1771. Nel 1426 dipinse anche un polittico per una cappella in Santa Maria del Carmine a Pisa, smembrato nel 18 secolo. Nel 1428 si recò a Roma, e lì morì dopo poco. Viene definito IMITATORE DELLA NATURA E DEL VERO: rappresentava la più semplice e consueta forma di lode che si potesse usare e proponeva un generico realismo, non serviva a individuare la particolare forza espressiva e il carattere di un'artista; senza dubbio comunque la frase indica uno dei principali valori dell'arte del Rinascimento; il fatto di essere relativamente autonomo verso libri che presentavano dei modelli e dalle formule, ovvero dalle figure di repertorio e dalle soluzioni ormai accettate che costituivano una parte sostanziale della tradizione pittorica. →L'imitatore della natura è il pittore che si distacca dai libri che presentavano dei modelli con le loro formule e soluzioni precostituite, per cogliere gli oggetti reali così come si presentano. Masaccio è il principale esponente del rilievo, seguito da Andrea del Castagno e Filippo Lippi. Viene definito puro, che praticamente significa senza ornato: è uno dei latinismi di Landino, e da un concetto negativo lo fa diventare positivo, con un elemento di connotazione morale, ed è importante notarlo perché nella concezione critica classica e rinascimentale, ornato si poteva contrapporre tanto il concetto positivo di semplice che quello negativo di povero. Il PURO di Masaccio non era né ornato né spoglio. Facilità: La scioltezza era una delle qualità più apprezzata dal Rinascimento, ma era difficile da definire rigorosamente: si manifesta in un dipinto che appare completo ma non è ancora rifinito; tutto ciò riguarda specificamente più l'affresco che non il dipinto su tavola, e poiché non abbiamo l'esperienza diretta di vedere qualcuno lavorare rapidamente sull'intonaco che si sta asciugando, ci è difficile reagire in modo corretto al termine facilità. Prospettivo: qualcuno che si distingue nell'uso della prospettiva; Brunelleschi viene indicato come l'inventore della prospettiva, l'Alberti colui che la sviluppò e la spiegò: i principi base della prospettiva del pittore del Quattrocento erano piuttosto semplici, le linee parallele si allontanavano dal piano della superficie del dipinto e sembravano incontrarsi in un singolo punto all'orizzonte, il punto di fuga, mentre le linee parallele al piano del dipinto non erano convergenti. FILIPPO LIPPI: Orfano, entrò nell'ordine carmelitano nel 1421, a circa quindici anni, nella chiesa di Santa Maria del Carmine a Firenze, dove Masaccio intanto affrescava cappella Brancacci; non si parla di lui come pittore fino al 1430 e non se ne conosce il maestro; lavorò per la famiglia Medici. Ci rimane un gran numero di dipinti su tavola, il suo più ampio lavoro è invece nel ciclo di affreschi nella cattedrale di Prato e Spoleto, dove morì. Sicuramente suo figlio Filippino e probabilmente anche Botticelli, furono suoi allievi. La prima parola che lo descrive è grazioso, che oscilla tra un senso più oggettivo, che possiede 7
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