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PITTURA ED ESPERIENZE SOCIALI NELL’ITALIA DEL QUATTROCENTO M. Baxandall, Sintesi del corso di Storia Dell'arte

PITTURA ED ESPERIENZE SOCIALI NELL’ITALIA DEL QUATTROCENTO M. Baxandall

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica PITTURA ED ESPERIENZE SOCIALI NELL’ITALIA DEL QUATTROCENTO M. Baxandall e più Sintesi del corso in PDF di Storia Dell'arte solo su Docsity! PITTURA ED ESPERIENZE SOCIALI NELL’ITALIA DEL QUATTROCENTO M. Baxandall Lo stile dei quadri costituiscono un documento di storia sociale, in quanto lo sviluppo di precise capacità e abitudini visive si traducono in elementi identificabili nello stile del pittore. CAPITOLO 1- LE CONDIZIONI DEL MERCATO: La struttura del mercato dell’arte nel XV secolo. I dipinti del Quattrocento italiano, erano testimonianza di un rapporto sociale, di un contratto tra cliente e pittore, il dipinto era infatti prevalentemente su commissione, le opere già realizzate si limitavano a Madonne di tipo ordinario o cassoni nuziali. I criteri di pagamento come le sue forme della prestanza artistica influiscono profondamente sullo stile dei dipinti (Borso d’Este pagava i dipinti a piede quadrato mentre il fiorentino Giovanni de Bardi pagava in base ai materiali e al tempo impiegato). La pittura di questo periodo nasce principalmente per il gusto del bello e per il piacere dell’osservare, per questo la maggior parte delle opere commissionate era per la pubblica fruizione. La differenza si ha tra commesse singole o collettive/comunali, le cosiddette “fabbriche”, il pittore aveva un rapporto diretto con il committente, mentre gli scultori avevano per lo più committenze comunali. Tra pittore e committente c’era un vero e proprio contratto a volte controfirmato da un notaio, a volte semplici ricordi che custodivano entrambi le parti anche se è importante segnalare che non c’era un modello tipico di contratto nemmeno all’interno della stessa città. Non è insolito in questo genere di documento leggere oltre alla tipologia di disegno anche che genere di colori si dovevano utilizzare, ad esempio oltre all’oro uno dei colori più costosi era l’azzurro ultramarino che si otteneva dalla polvere di lapislazzuli importati dall’Oriente, la polvere veniva poi filtrata diverse volte per ricavare il colore e il primo prodotto ovvero un azzurro-violetto molto inteso. Il mercato offriva infatti colori simili ma molto meno pregiati come l’azzurro dall’Alemagna, un carbonato di rame meno brillante e meno resistente, per questo a volte il pagamento era differito tra materiali ed il lavoro in sé. Un altro genere di contratto prevedeva addirittura uno stipendio fisso, Mantegna dal 1460 alla morte nel 1506 lavorò per i marchesi Gonzaga di Mantova, quello di Mantegna è comunque un caso molto particolare. I contratti ci fanno luce sul mecenatismo del Quattrocento soprattutto a Firenze, in ogni caso grazie a questi contratti possiamo notare il cambiamento di interesse: se prima ci si concentrava sulla preziosità dei colori ora ci si concentra sull’abilità del pittore. Nella metà del secolo la tendenza a eclissare la preziosità dei colori è un sentimento che influisce in tutta l’Europa occidentale, si va verso una limitazione selettiva dell’ostentazione che non si manifesta solo nella pittura ma in tutti i comportamenti come ad esempio nella scelta del vestiario. Trai fattori che hanno concorso a determinare queste scelte si possono ritrovare in una mobilità sociale che portava a doversi distinguere dalla vistosa vecchia nobiltà, la reperibilità dell’oro, e il diffondersi dell’ascetismo cristiano. Anche la pittura risente quindi di questo clima e nei contratti si legge una maggior attenzione all’abilità del maestro pittore. Quando Sant’Antonino, arcivescovo di Firenze nella sua Summa Theologica, tratta dell’arte degli orafi e della loro giusta paga porta in esempio i pittori e il loro compenso proporzionato alle loro capacità individuali. I contratti non specificavano tuttavia come doveva manifestarsi l’abilità del maestro ne se si doveva riconoscere un marchio come garanzia dell’impegno del pittore. Importante sarebbe analizzare le testimonianze del pubblico sull’abilità del pittore ma queste sono testimonianze molto rare, un esempio può comunque venirci dall’agente fiorentino del duca di Milano che nel 1490 chiese di assumere alcuni pittori per la decorazione della Certosa di Pavia, il suo agente riportò in risposta alcuni nomi che andavano di gran moda in quel periodo a Firenze: Botticelli, Filippino Lippi, Perugino e Ghirlandaio. Da questa lettera emerge che i pittori sembravano concorrenti tra loro e si sottolinea il carattere di questi: appare quindi l’aria virile, la ragione e la proporzione di Botticelli; l’aria dolce di Filippino Lippi; l’aria angelica del Perugino e la Bon aria del Ghirlandaio. Non sappiamo bene a cosa si riferiscono questi termini perché la nostra ottica su un dipinto è chiaramente differente dall’agente milanese tuttavia è interessante sapere che in questo documento si distinguono già l’affresco dal dipinto su tavola. CAPITOLO 2- L’OCCHIO DEL QUATTROCENTO: Lo sviluppo delle capacità visive nella vita quotidiana e la loro influenza nello stile del pittore. Un oggetto riflette un disegno di luce sull’occhio. La luce entra nell’occhio attraverso la pupilla, viene raccolta dal cristallino e proiettata sullo schermo che si trova nel retro dell’occhio, la retina. Quest’ultima è dotata di una rete di fibre nervose che, per mezzo del sistema di cellule, filtrano la luce a diversi milioni di ricettori, i coni. La reazione dei coni, che sono sensibili sia alla luce che al colore, consiste nel portare al cervello le informazioni relative alla luce e al colore. È a questo stadio del processo che nell’uomo gli strumenti della percezione visiva cessano di essere uniformi e cambiano da individuo ad individuo. Il cervello ha il compito di interpretare i dati di prima mano relativi alla luce e al colore ricevuti dai coni e ciò avviene sia grazie a delle capacità innate che grazie a quelle che gli derivano dall’esperienza. Ognuno infatti elabora i dati dell’occhio servendosi di strumenti differenti. Se andiamo ad osservare questa immagine entrano in gioco 3 strumenti legati alla cultura che la mente usa per darne un’interpretazione: serie di schemi, categorie e metodi di deduzione (cerchio sopra un rettangolo incompleto se lo associamo ad “Elementa geometriae” di Euclide); l’abitudine ad usare una certa gamma di convenzioni rappresentative ( è una pianta se all’immagine si aggiunge il contesto della descrizione della Terra Santa, Milano 1481); l’esperienza ricavata dall’ambiente (cupola con scale o corte con muri perimetrale in base alle esperienze di edifici). Tre elementi che operano insieme. Il dipinto risente inoltre della capacità interpretativa che la mente gli fornisce. Si riteneva che le persone colte dovessero essere in grado di dare dei giudizi sull’interesse dei dipinti per cui la gente del Rinascimento dava molta importanza a questa capacità e di conseguenza si impegnava molto, era quindi spinto a trovare termini adatti a definire l’interesse di un oggetto. Perciò venivano abbinati certi termini a degli stili pittorici. In realtà si imparava a dare una valutazione non tanto sui dipinti ma su cose immediatamente collegate al benessere e alla sopravvivenza sociale ( El cavallo dieba esser più alto davanti che da driedo alquanto come el cervo el dieba portare el colo levato- G. Ruffo, “L’arte de cognoscere la natura dei cavael” 1493). Alcuni strumenti mentali con cui un uomo organizza la sua esperienza visiva possono variare, e buona parte di questi strumenti sono relativi al dato culturale, nel senso che sono determinati dall’ambiente sociale che ha influito sulla sua esperienza. Il pittore è sensibile a tutto questo e deve fare i conti con l’esperienza visiva del pubblico. La maggior parte dei dipinti del XV sec. sono dipinti religiosi, non solo per i soggetti trattati, ma poichè erano creati in funzione di fini istituzionali, fornivano il contributo di una specifica attività intellettuale e spirituale. Inoltre i dipinti cadevano sotto il controllo di una teoria ecclesiastiche sulle immagini con regole ormai consolidate nel tempo. Secondo il “Catholicon” di Giovanni di Genova, dizionario della fine del XIII ma ancora in uso nel secolo seguente, parla di 3 scopi da parte delle immagini: l’istruzione tipica dei fruitori, il mistero dell’Incarnazione e i santi per essere meglio ricordati, suscitare devozione ed affetto. Ciò presuppone che il dipinto debba raccontare una storia in modo chiaro per la gente semplice, in modo avvincente ed indimenticabile per chi stenta a ricordare e utilizzando appieno tutte le emozioni che la vista può suscitare. Eppure si cadeva spesso nell’idolatria, e 3 erano gli errori più ricorrenti: soggetti con Santo Brasca, Itinerario...di Gerusalemme, xilografia (Milano, 1481) Allo stesso modo la Regola del Tre1, siccome avevano una certa pratica nell’avere a che fare con le proporzioni e nell’analizzare il volume o la superficie di corpi composti erano sensibili ai dipinti che portavano i segni di tali processi, c’è una continuità tra le capacità matematiche usate dalla gente di commercio e quelle usate dal pittore per produrre la proporzionalità pittorica e la lucida solidità, e il manoscritto di Piero della Francescane è una prova. Il principio fondamentale della prospettiva lineare in uso è molto semplice tuttavia la maggior difficoltà sorge nella pratica, nella consistenza e nelle modificazioni del principio base necessario per evitare che la prospettiva del dipinto risulti troppo tendenziosa e schematica. Gli episodi di virtuosismo prospettico assumono quindi una funzione drammatica, diventa quindi una metafora visiva secondo la cultura religiosa. Molte scene dell’Annunciazione, morte o visioni hanno in comune una prospettiva di colonne che diminuiscono. CAPITOLO 3- DIPINTI E CATEGORIE: Cristoforo Landino e la critica d’arte del Quattrocento. Il papà di Raffaello, Giovanni Santi (Ϯ 1494) in una sua opera che narra la vita e le gesta del suo datore Federigo da Montefeltro, duca di Urbino, porta in rima un elenco dei principali pittori attivi. Ora vediamo come Cristoforo Landino definisce le caratteristiche di alcuni pittori menzionati da Giovanni Santi: Masaccio, Filippo Lippi, Andrea del Castagno eil Beato Angelico. Cristoforo Landino era uno studioso di latino e filosofo platonico, esponente della lingua volgare e docente di poesia e retorica presso l’Università di Firenze, era inoltre scrittore di lettere pubbliche presso la Signoria di Firenze. Era inoltre amico di Leon Battista Alberti (1404-1472) e il traduttore della Naturalis Historia di Plinio (77 d.C.). Leon Battista Alberti aveva scritto il trattato “Della Pittura” nel 1435, il primo trattato in Europa sulla pittura giunto fino a noi e particolarmente diffuso tra gli umanisti del settore. Il libro I è una geometria della prospettiva, il libro II descrive la buona pittura suddividendola in tre sezioni: contorno dei corpi; composizione; toni e tinte. Mentre il libro III descrive la formazione e lo stile di vita dell’artista. Landino contribuì a rendere noti al pubblico più semplice, ovvero il suo principale fruitore, i concetti espressi dall’Alberti. 1 Regola del Tre: detta anche regola aurea oppure regola della Santissima Trinità, è ciò che oggi chiameremmo proporzione: data una corrispondenza tra due relazioni che intercorrono tra due valori ognuna, e conoscendo tre dei valori in gioco, se ne ricavi il quarto. Beato Angelico, San Pietro e San Paolo appaiono a San Domenico, tavola dalla predella dell’Incoronazione della Vergine, 1440 Plinio scrisse invece nel I d.C. la sua opera “Naturalis Historia” che nei volumi XXXIV- XXXVI dava la più completa storia critica dell’arte classica riprendendo sia i fatti che il linguaggio critico da una tradizione di critica d’arte sviluppatosi in libri greci oggi perduti. Plinio utilizzava, per descrivere le opere, metafore che si riferivano a contesti sociali e letterali piuttosto che a contesti pittorici. Così quando nel 1473 Landino tradusse Plinio si limitò a tradurre queste metafore alla lettera, il merito di Landino fu però utilizzare metafore adatte al contesto storico, dimenticando i termini di Plinio non attuali. Il resoconto degli artisti si trova nell’introduzione al suo commento alla Divina Commedia in cui egli mirava a respingere l’accusa che Dante fosse stato antifiorentino, sostiene la lealtà di Dante e l’eccellenza di Firenze parlando degli uomini della città che si erano distinti nei vari campi. Il settore dei pittori e scultori viene dopo quello dei musicisti e si suddivide in quattro parti: -descrizione dell’antica arte con riferimenti a Plinio; -descrizione di Giotto e alcuni pittori del Trecento copiando un critico del XIV secolo; - descrizione dei pittori fiorentini; -descrizione di alcuni scultori. MASACCIO “ Fu Masaccio optimo imitatore di natura, di gran rilievo universale, buono componitore et puro sanza ornato, perché solo si decte all’imitatione del vero et al rilievo delle figure: fu certo buono et prospectivo quanto altro di quegli tempi, et di gran facilità nel fare, essendo ben giovane, che morì d’anni ventisei” Tommaso di Ser Giovanni di Mone Cassai, detto Masaccio, nacque a San Giovanni Val d’Arno nel 1401 e fu ammesso all’Arte dei Pittori di Firenze nel 1422.Verso la fine del1428 Masaccio andò a Roma dove morì poco dopo. 1) imitatione del vero: una delle espressioni del Rinascimento di cui è difficile cogliere la portata, con una formula più accentuata si poteva dire che il pittore rivaleggiava o superava la natura o la sua realtà; con questi termini sia Landino che Leonardo intendono affermare che Masaccio andava oltre i libri che presentavano dei modelli con le loro formule e soluzioni precostruite, per cogliere gli oggetti reali così come si presentano. Masaccio utilizza luci ed ombre per studiare e rappresentare l’aspetto reale attraverso la loro prospettiva e il loro rilievo; 2) rilievo: Alberti quando parla di rilievo, lo traduce dalla parola prominentia, andando ad indicare l’apparire di una forma tuttotondo, ottenuta trattando abilmente e discretamente i toni della superficie; 3) puro sanza ornato: in questo termine Landino conserva il suo significato antico che va ad indicare una cosa pura senza troppi ornamenti, uno stile disadorno e laconico, le rappresentazioni di Masaccio diventano quindi concise e chiare sotto l’aspetto morale; 4) facilita: scioltezza nell’operare, in Masaccio viene apprezzata la sua scioltezza nel suo buon fresco in quanto per la realizzazione dell’affresco lavorava su pezzi di intonaco fresco che venivano dati man mano; 5) prospectivo: si distingueva infatti nell’utilizzo della prospettiva, Landino suggerisce comunque il Brunelleschi come colui che ha adattato la prospettiva alla pittura mentre l’Alberti la sviluppò e la spiegò. Lo studio della prospettiva era stato al centro della ricerca accademica dal tardo medioevo. Ciò che caratterizza il Masaccio è che la sua prospettiva non è studiata ma piuttosto intuitiva e questo lo ne sottolinea la sua facilita. FILIPPO LIPPI “ Fu fra Philippo gratioso et ornato et varietà, nel colorire, nel rilievo, ne gli ornamenti d’ogni sorte, maxime i imitati dal vero o finti” Orfano, entrò nell’ordine dei carmelitani nel 1421 ed era nella stessa chiesa di Santa Maria del Carmine a Firenze dove Masaccio affrescava la cappella Brancacci, probabilmente fu lo stesso Masaccio suo maestro. Lavorò per la famiglia Medici con un gran numero di dipinti su tavola. Dipinse anche degli affreschi nelle cattedrali di Prato(1452-64) e Spoleto (1466-69)dove morì. Di sicuro suo figlio Filippino fu suo allievo e probabilmente pure Botticelli. 1) gratioso: inteso come grazia dei suoi personaggi e delle sue opere, termine che Landino definisce come prodotto di varietà e ornato; 2) ornato: Lippi e Angelico erano ornato mentre Masaccio sanza ornato perché mentre i primi due erano acuti, nitidi, ricchi, ilari, giocondi e accurati Masaccio sacrificava queste virtù per una chiara e corretta imitazione della realtà. La figura decisa ed eretta (Masaccio) è sanza ornato mentre quella flessa e bilanciata (Lippi) è ornato; 3) varieta: ciò che Landino intende per varieta lo troviamo nel trattato Della Pittura di Alberti del 1435. Secondo Alberti la varieta risiede in due fattori: primo in diversità e contrasto di tinte e secondo nella diversità e contrasto degli atteggiamenti delle figure, mentre la copiosità è riferita al numero di figure ed oggetti; 4) compositione: sempre Alberti da un primo significato al termine come armonizzazione sistematica dei vari elementi del dipinto volta ad ottenere l’effetto complessivo desiderato: i dipinti sono composti da corpi, che sono composti a loro volta di parti, composti da superfici piane, le superfici si compongono nei membri, i membri nei corpi e i corpi nei dipinti. Secondo Lippi le caratteristiche di varieta e compositione non esistono l’una senza l’altra poiché la compositione disciplina la varieta e la varieta alimenta la compositione; 5) colorire: con questo termine il critico non esalta il pittore per il colore in quanto tale ma per la sua stesura, la pennellata. Secondo Landino, preso spunto da Piero della Francesca con il suo trattato De persepectiva pingendi colorire si sovrappone a rilievo e coincide con la definizione di ricevere di lumi che dà l’Alberti. Il termine riceve la sua pienezza con il termine disegno che Landino associa ad Andrea del Castagno. ANDREA DEL CASTAGNO “Andreino fu grande disegnatore et di gran rilievo: amatore delle difficultà dell’arte et di scorci, vivo et prompto molto et assai facile nel fare” Nato probabilmente nel 1423firmò alcuni lavori a San Zaccaria a Venezia nel 1442,nel’44 ritornò a Firenze dove lavorò affrescando Sant’Apollonia, Santissima Annunziata e villa Carducci a Soffiano appena fuori Firenze, morì nel1457. 1) disegnatore: riferito alla rappresentazione degli oggetti basata sulle linee di contorno contrapposta a quella fondata sul tono;
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