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Pittura ed esperienze sociali nell'Italia del Quattrocento (M. BAXANDALL, riassunto), Appunti di Storia dell'Arte Moderna

Riassunto completo del volume "Pittura ed esperienze sociali nell'Italia del Quattrocento" di M. Baxandall per esame di Storia dell'arte moderna

Tipologia: Appunti

2022/2023

In vendita dal 30/01/2024

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Scarica Pittura ed esperienze sociali nell'Italia del Quattrocento (M. BAXANDALL, riassunto) e più Appunti in PDF di Storia dell'Arte Moderna solo su Docsity! Riassunto Storia dell’arte moderna Pi!ura ed esperienze sociali nell’Italia del Qua!rocento Prefazione Questo saggio è il risultato di alcune lezioni tenute presso la scuola di storia dell'Università di Londra, avevano lo scopo di mostrare come lo stile dei quadri costituisca un vero e proprio documento di storia sociale. I fatti sociali portano allo sviluppo di precise capacità e abitudini visive che a loro volta si traducono in elementi chiaramente identificabili nello stile del pittore. All’interno del libro ci sono notizie storiche generali sul Rinascimento. Il capitolo I esamina la struttura del mercato d'arte nel XV secolo, attraverso contratti, lettere e registrazioni contabili, per individuare i dati economici che stanno alla base del culto del talento artistico di chi ha capacità tecnica e abilità pittorica. Il capitolo II spiega come le capacità visive sviluppatesi nella vita quotidiana di una società divengano parte determinante dello stile del pittore, fornendo degli esempi di come tali capacità visive d'origine popolare siano comuni ai dipinti e alla vita sociale, religiosa e commerciale del tempo. Il capitolo III elenca i principali termini usati nel 400 per esaminare i dipinti dell’epoca. Il libro si conclude sottolineando che la storia sociale e la storia dell'arte sono strettamente connesse in quanto si chiarificano a vicenda. I - le condizioni del mercato Dipinto del XV secolo è la testimonianza di un rapporto sociale. Abbiamo da un lato un pittore che faceva il quadro, o perlomeno sovrintendeva alla sua esecuzione, dall'altro qualcuno che lo commissionava, forniva il denaro per la sua realizzazione e, una volta pronto, decideva in che modo usarlo. Entrambi le parti lavoravano all'interno di istituzioni e convenzioni, commerciali, religiose, percettive, sociali, che erano diverse dalle nostre influivano sulle forme dell'opera che artista e committente creavano insieme. Colui che ordinava il dipinto potrebbe essere definito il mecenate, è un agente attivo, determinante e non necessariamente benevolo, possiamo senz'altro chiamarlo il cliente. Nel XV secolo la pittura di migliore qualità era fatta su commissione e il cliente ordinava un prodotto specificandone le caratteristiche. Le opere già pronte si limitavano a oggetti quali madonne di tipo ordinario e cassoni nuziali dipinti dagli artisti meno richiesti, le pale d'altare e gli affreschi venivano invece eseguiti su commissione e sia il cliente che l'artista stipulavano di comune accordo un contratto legale. Il rapporto che sta alla base del dipinto era un rapporto commerciale. Nella storia dell'arte il denaro ha una grande importanza. Un cliente come Borso d'Este, duca di Ferrara, che ritiene di dover pagare i dipinti a piede quadrato, finirà per ottenere un diverso tipo di dipinto rispetto a quello di un committente più raffinato come Giovanni de’ Bardi, che paga il pittore in base ai materiali usati e al tempo impiegato. I criteri adottati nel 400 per stabilire il prezzo dei manufatti, così come le diverse forme di pagamento in uso per maestre prestatori d'opera, hanno entrambi una profonda incidenza sullo stile dei dipinti come li vediamo oggi. Inoltre i dipinti erano progettati a uso del cliente (non scende nei dettagli perché le motivazioni sono infinite). Un buon cliente, Giovanni Rucellai, notava di avere in casa dipinti di Domenico Veneziano, Filippo Lippi, Verrocchio, Pollaiuolo, Andrea del Castagno e Paolo Uccello, è evidente la sua soddisfazione per il fatto di possedere oggetti di qualità, sottolinea altri tre motivi, onore di Dio, onore della città e memoria di me. Aggiunge poi un quinto motivo, l'acquisto di oggetti di questo genere procura il piacere e il merito di spendere bene. Non è strano per il fatto che Rucellai si era arricchito tramite l'usura, spendere denaro per chiese e opere d'arte era un piacere. Altro motivo è l'elemento di piacere nel guardare i bei dipinti. Ciò che è ovvio è che l'uso primario del dipinto era quello di essere osservato, era progettato per il cliente e per la gente da cui questi voleva che fosse ammirato, il suo scopo era quindi quello di fornire stimoli piacevoli e indimenticabili. Nel XV secolo la pittura era ancora troppo importante per essere lasciata i pittori, il mercato dell'arte era abbastanza diverso da come si presenta oggi in cui i pittori dipingono ciò che ritengono meglio e solo dopo vanno la ricerca di un acquirente. Questo non vuol dire che oggi non abbiamo rispetto per il talento individuale dell'artista, semplicemente viviamo in una società con un diverso tipo di organizzazione commerciale. Il 400 fu un periodo di pittura su commissione. Nel 1457 Filippo Lippi dipinse per Giovanni di Cosimo de’ Medici un trittico destinato in dono al re Alfonso V di Napoli. Filippo lavorava a Firenze e, dato che Giovanni talvolta era fuori città, cercava di tenersi con lui in contatto epistolare. In fondo a una lettera Filippo forniva uno schizzo del trittico secondo il progetto, da sinistra a destra egli abbozzò un San Bernardo, un'adorazione del bambino è un San Michele, la cornice architettonica del trittico, per la quale chiede approvazione, è disegnata in modo più chiaro e definito. Riassunto Storia dell’arte moderna Una distinzione fra pubblico e privato non si addice molto alla funzione della pittura del XV secolo. Le commesse di privati avevano spesso un ruolo decisamente pubblico. Una distinzione più pertinente sia tra le commesse controllate da grosse istituzioni corporative come le fabbriche delle cattedrali e le commesse di singoli individui, dunque da un lato imprese collettive o comunali e dall'altro iniziative private. Il pittore di solito veniva assunto e controllato da una persona o da un piccolo gruppo, il pittore si trovava ad avere un rapporto diretto con un cliente, un privato cittadino, o il priore, o un principe o un funzionario del principe, perfino nei casi più complessi il pittore lavorava per qualcuno chiaramente identificabile. In questo differiva dallo scultore dove il controllo del profano era meno personale. C'è una categoria di documenti legali che riportano gli elementi essenziali relativi al rapporto che stava alla base di un dipinto, accordi scritti circa i principali obblighi contrattuali delle due parti. Alcuni sono contratti veri e propri redatti da un notaio, altri sono ricordi meno elaborati che dovevano essere tenuti da ciascuna delle parti. Non esistono contratti che si possono definire tipici perché non c'era una forma fissa persino all'interno di una stessa città. Un esempio fu quello stipulato tra il pittore fiorentino Domenico Ghirlandaio il priore dello Spedale degli Innocenti (FI). Il contratto contiene i tre temi principali di questi tipi di accordo: 1. Specifica ciò che il pittore deve dipingere, in questo caso con l'impegno a eseguire il lavoro sulla base di un disegno concordato; 2. È esplicito per quanto riguarda i modi e i tempi di pagamento da parte del cliente e i termini entro i quali il pittore deve effettuare la consegna; 3. Insiste sul fatto che il pittore debba usare i colori di buona qualità, specialmente oro e azzurro ultra marino. La quantità di dettagli e la loro precisione variano da contratto contratto. Alcuni contratti elencano le singole figure che devono essere rappresentate, ma la richiesta di un disegno è più frequente e chiaramente più efficace. Una somma forfettaria versata a rate era di solito la forma in cui veniva effettuato il pagamento, ma talvolta le spese del pittore erano distinte dal suo lavoro. Il cliente poteva fornire i colori più costosi e pagare il pittore per il tempo impiegato per le sue capacità. La somma concordata non era del tutto rigida, se un pittore si trovava in perdita rispetto al contratto poteva solitamente rinegoziarlo. Nel caso in cui pittore e cliente non riuscissero ad accordarsi intervenivano dei pittori professionisti in qualità di arbitri, ma difficilmente si arrivava a questo punto. La preoccupazione generalmente espressa circa la qualità sia dell'azzurro che dell'oro era giustificata, dopo loro e l’argento l'azzurro ultramarino era il colore più costoso e più difficile impiegato usato dal pittore (si otteneva dalla polvere di lapislazzuli). Per evitare di avere delle delusioni a proposito dell'azzurro i clienti specificavano che doveva essere l’ultramarino. I contratti sono piuttosto sofisticati per quanto riguarda gli azzurri, mostrando una capacità di discriminare l'uno dall'altro che la nostra cultura non ci fornisce. Ovviamente non tutti gli artisti lavoravano con contratti di questo tipo, alcuni lavoravano per dei principi da cui percepiva uno stipendio. Mantegna, che lavorò dal 1460 fino alla morte, 1506, per i Gonzaga di Mantova, è un caso ben documentato e l'offerta fattagli da Ludovico Gonzaga nell'aprile del 1458 è molto chiara. Mantegna, dopo molte esitazioni, accettò e in cambio del suo stipendio non solo dipinse affreschi e pannelli per i Gonzaga, ma svolge anche altre funzioni. Purtroppo però lo stipendio non gli veniva sempre pagato con regolarità, d'altra parte in certe occasioni vennero concessi privilegi e doni di terre o denaro, ma la posizione del Mantegna era abbastanza insolita rispetto ai grandi pittori del 400, ciò che regolava il carattere del mecenatismo del 400 era la pratica commerciale documentata nei contratti, lo si vede chiaramente a Firenze. Nel corso del secolo si parla sempre meno nei contratti dell'oro e dell’azzurro. L'impegno assunto dallo Starnina nel 1408 di usare differenti qualità di azzurro e tipico di quel periodo, non si trova nulla di analogo nella seconda metà del secolo. L'attenuarsi di questa preoccupazione per i colori preziosi è piuttosto evidente nei dipinti come li vediamo oggi, sia l'impressione che i clienti comincino a badare meno di prima all'esigenza di fare sfoggio. Il ruolo meno rilevante dell'oro nei dipinti fa parte di una tendenza generale in tutta l'Europa occidentale. Il generale abbandono dello splendore dorato, anche negli abiti, deve aver avuto origini molto complesse. Non si parla però di un abbandono complessivo dell'ostentazione, Filippo il Buono di Borgogna e Alfonso di Napoli continuavano ad essere grandiosi come sempre. A mano a mano che nei contratti largo uso di oro e di azzurro ultra marino perdeva importanza, veniva sostituito da indicazioni relative all'uso altrettanto consistente di qualcos'altro, l'abilità tecnica del pittore. La dicotomia fra qualità del materiale qualità dell'abilità tecnica dell'artista era il motivo che ricorreva in modo più frequente ed evidenti in qualunque tipo di discussione sulla pittura sulla scultura. A un estremo si trova la figura della ragione che usa tale dicotomia per condannare l'effetto prodotto su di noi dalle opere d’arte, dall'altro estremo Alberti usa tale distinzione nel suo trattato della pittura per sollecitare i pittori a rappresentare perfino gli oggetti d'oro non con l’oro, ma attraverso un abile applicazione del giallo e del bianco. C'era una netta quanto insolita corrispondenza tra il valore attribuito all'elemento teorico e quello pratico. Da un lato l'azzurro oltre marino, l’oro per il dipinto e per la cornice, il legno per il pannello (materiali); dall'altro il pennello del Botticelli (lavoro e abilità). Riassunto Storia dell’arte moderna L'elemento essenziale delle storie era la figura umana. Ciò che caratterizzava la figura non era tanto la sua fisionomia, una questione personale questa lasciata perlopiù al fruitore, quanto piuttosto il suo atteggiamento, ma c'erano delle eccezioni e specialmente per quanto riguarda la figura del Cristo. Questa lasciava meno spazio di altre all'immaginazione personale perché XV secolo aveva la fortuna di essere convinto di possedere una testimonianza oculare del suo aspetto. Solo pochi dipinti non rispettavano questo modello. La vergine era raffigurata in modo meno uniforme e c'era una consolidata tradizione di controversie circa il suo aspetto, c'era per esempio il problema della sua carnagione scura o chiara. Questa lasciava spazio all'immaginazione, lo stesso dicasi per i santi, sebbene molti avessero alcuni segni fisici come elementi emblematici di identificazione, la calvizie di San Pietro, e generalmente consentivano un margine di intervento al gusto individuale e alle tradizioni proprie di ogni pittore. Leonardo da Vinci tuttavia considerava la Fisiognomica una falsa scienza, egli riteneva che il pittore dovesse limitarsi a osservare i segni lasciati sul volto delle passioni. Azione fisica dello stato d'animo mentale spirituale è una delle maggiori preoccupazioni di Alberti nel suo trattato sulla pittura. Non ci sono dizionari sul linguaggio dei gesti del Rinascimento, ci sono però delle fonti che offrono delle indicazioni sul significato di un gesto, devono essere usati con cautela, ma le indicazioni che trovano conferma in un ricorrente uso nei dipinti sono molto utili per avanzare delle ipotesi. Leonardo suggeriva 2 fonti a cui il pittore potesse attingere per i gesti, gli oratori e i muti. Esempio: nella cacciata dei progenitori dal Paradiso terrestre di Masaccio e Adamo che esprime vergogna, Eva soltanto dolore e nella coppia di figure si combinano due aspetti dalla reazione emotiva. Ogni lettura di questo tipo dipende dal contesto, è possibile che la stessa gente del 400 potesse sbagliarsi sul significato di un gesto di un movimento. Una fonte più utile e anche più autorevole ci viene dai predicatori, veri e propri attori dotati di capacità mimiche, un predicatore italiano poteva girare nel nord Europa predicando con successo per fino in luoghi come la Bretagna e raggiungere il suo effetto proprio soprattutto grazie al gesto e la qualità del suo porgere. Un predicatore particolarmente ammirato per il suo porgere aveva scritto un elenco dei principali gesti tradizionali, creare questo elenco è un'operazione indispensabile per l'osservazione dei dipinti del Rinascimento. Tale processo lo si può osservare nell'incoronazione della vergine di Beato Angelico. I gesti erano utili per diversificare una serie di santi, spesso servivano introdurre nella raffigurazione di un gruppo ulteriore elemento che ne arricchisce il significato narrativo. Questo era il gesto di voto, il gesto laico non era molto diverso rispetto adesso ma aveva una propria gamma difficile da classificare, non veniva insegnato nei libri, era più personale e cambiava a seconda della moda. Allo stesso modo ci sfugge qualcosa, non si trattava di una distinzione netta, un gesto principalmente religioso veniva spesso usato per un soggetto profano. Nelle storie una figura interpretava la sua parte ponendosi in relazione con le altre e nella composizione dei gruppi e negli atteggiamenti il pittore era solito suggerire rapporti e azioni. Egli non era l'unico a ricorrere all'arte di creare dei gruppi, infatti gli stessi soggetti erano spesso rappresentati anche in drammi sacri di vario genere, questo non vale però per tutte le città. Nel corso del XV secolo a Firenze ci fu una grande fioritura di drammi religiosi mentre a Venezia questo tipo di rappresentazione era vietato. Nella versione pittorica il carattere allusivo era attenuato, ma persino Piero della Francesca, che era notoriamente il pittore più contenuto in questo genere di cose, faceva assegnamento sul fatto che il fruitore fosse disposto a leggere i rapporti che c'erano all'interno dei gruppi. Nel suo battesimo di Cristo c'è un gruppo di tre angeli sulla sinistra che vengono usati per un artificio a cui Piero spesso ricorreva. Ci rendiamo conto che una delle figure sta fissando con sguardo trasognato o direttamente noi un punto appena sopra o accanto la nostra testa, questa situazione stabilisce tra noi e la figura un rapporto tale che ci sentiamo attratti da essa e dal suo ruolo, in tal modo siamo invitati a unirci al gruppo di figure che assistono all'evento, diventiamo parte attiva dell’avvenimento. Un'attività del XV secolo abbastanza simile alla composizione dei gruppi in pittura da permetterci di comprendere questi ultimi un po' più a fondo è la danza, in modo particolare la bassa danza, la danza passo lento che divenne popolare in Italia nella prima metà del secolo. Si trattava di un'arte a sé con trattati i propri e una sua terminologia teorica, inoltre i danzatori erano concepiti e classificati in gruppi di figure, in schemi. Il trattato sulla pittura dell'Alberti e il trattato sulla danza di Guglielmo Ebreo hanno in comune una preoccupazione per i movimenti fisici come riflesso dei moti mentali. Come ciò fosse legato allo stile usato dai pittori nel creare dei gruppi e di solito molto più evidente nei dipinti di soggetto neoclassico e mitologico che non in quelli religiosi, nei primi il pittore era costretto a inventare qualcosa di nuovo in un linguaggio quattrocentesco, invece di limitarsi ad affinare i modelli religiosi tradizionali adattandoli alla sensibilità del suo secolo. Personaggi rappresentati non venivano stabiliti in base ai modelli relativi agente reale, ma in base ai modelli desunti dall'esperienza di gente reale. Nello stesso tempo le figure dei pittori e il loro ambiente erano anche dei colori e delle forme molto complesse e il bagaglio culturale del XV secolo, che permetteva Riassunto Storia dell’arte moderna di comprenderli come tale, non era in tutto e per tutto uguale al nostro. Ciò è decisamente meno evidente per i colori che non per le forme. Riunire i colori in serie simboliche era un gioco tardo medievale ancora in uso nel Rinascimento. Sant'Antonino e altri elaborare un codice teologico: • Bianco: purezza • Rosso: carità • Giallo oro: dignità • Nero: umiltà Alberti e altri fornirono un codice relativo ai quattro elementi: • Rosso: fuoco • Blu: aria • Verde: acqua • Grigio: terra C'era anche un codice astrologico sul quale si basava Leonello d'Este per la scelta quotidiana degli abiti. I simbolismi legati ai codici non sono importanti in pittura, anche se ci sono talvolta degli elementi che vi corrispondono. La cosa che sia vicina di più a un codice è una sensibilità maggiore della nostra ai diversi gradi di preziosità delle tinte che permetteva il pittore di usarle per porre qualcosa in evidenza. Le tinte non erano uguali, non erano percepite come uguali, il pittore il suo cliente cercavano di tener presente il più possibile questo fatto. L'enfasi data da un colore prezioso e non venne però abbandonata dai pittori una volta che essi i loro clienti ebbero delle remore nell'ostentare ampi quantità di tali colori per il loro prestigio. C'erano colori costosi, azzurri ricavati dal lapislazzuli o rossi fatti d'argento e zolfo, e c'erano colori economici, le terre, come l'ocra e il terra d’ombra. L'occhio era colpito da quelli preziosi prima che dagli altri. Ciò potrebbe apparire un fatto meschino e all'epoca c'era per esso un certo disgusto intellettuale e ancora più chiaramente pittorico: la tensione è una delle caratteristiche del periodo, il disgusto si esprimeva una disputa sulla pura relatività del colore. Le considerazioni di Alberti sulla combinazione dei colori sono le più precise che si possono trovare e la difficoltà di comprendere a fondo cosa egli intenda è un ammonimento, le parole non erano infatti il mezzo con cui gli uomini del XV secolo potessero esprimere il loro senso del colore. A Firenze e nella maggior parte delle altre città su cui si hanno notizie, un ragazzo nelle scuole laiche e private o municipali riceveva 2 gradi di istruzione. Per circa quattro anni, partire dall'età di sei o sette, frequentavo una scuola elementare dove imparava a leggere, scrivere e alcune nozioni di base di corrispondenza commerciale e formule notarili. Poi per circa quattro anni a partire dall'età di 10 11 la maggior parte proseguiva gli studi in una scuola secondaria, qui studiavano alcuni libri un po' più impegnativi, ma la maggior parte dell'insegnamento era basato sulla matematica. Pochi proseguivano ulteriormente ed entravano all'università per diventare avvocati, ma per buona parte della gente appartenente alla borghesia le nozioni matematiche acquisite costituivano il nucleo centrale della loro formazione e della loro cultura. Molti dei loro manuali esistono ancora oggi e ci si può rendere conto molto chiaramente della natura di questa matematica, era commerciale strutturata sulle esigenze del mercante ed entrambe le sue principali nozioni sono profondamente inserite nella pittura del 400. Queste è la misurazione, solo a partire dal XIX secolo le merci arrivano in contenitori di misura standard, prima ogni contenitore era unico, esisteva un modo per calcolarne il volume, questo lavoro era spesso fatto da uno specialista. Una delle istruzioni per misurare un barile sono prese da un manuale di matematica per mercanti scritto da Piero della Francesca, proprio questo strettissimo rapporto tra il pittore e la geometria mercantile rappresenta il punto essenziale. Concetti geometrici di un misuratore e la sua attitudine ad esercitarli rende più acuta la sensibilità visiva di un uomo di fronte alla realtà di un volume, egli è portato a comprendere più a fondo i personaggi. Nell'ambiente sociale quattrocentesco del pittore ciò costituiva uno stimolo ad usare i mezzi che gli aveva disposizione in modo da rendere chiaramente il suo volume con un'abilità ben identificabile. Un pittore che avesse lavorato all'interno di altre convenzioni avrebbe potuto usare mezzi diversi per raggiungere uno scopo analogo. In molte parti d'Italia la gente preferiva questa convenzione, forse perché era il tipo di pittura alla quale erano abituati o forse perché ad essi piaceva l'impressione di immobilità che essa produceva. L'aritmetica era l'altra branca della matematica commerciale, anch'essa di fondamentale importanza nella cultura del 400. Al centro della loro aritmetica commerciale c'era lo studio della proporzione. Lo strumento aritmetico universale usato dai mercanti italiani culti nel Rinascimento era la regola del tre, anche nota come regola aurea o chiave del mercante, si trattava fondamentalmente di una cosa molto semplice come spiega sempre Piero della Francesca. Questa regola rappresenta il modo in cui il Rinascimento trattare i problemi della proporzione. I problemi riguardavano: l'allevamento, la mediazione, lo sconto, l’abbuono per la tara, l'alterazione delle merci, il baratto e lo scambio di valuta. Tutti questi Riassunto Storia dell’arte moderna calcoli erano molto più essenziali di quanto non lo siano oggi. Le difficoltà non stavano nella formula in sé, che è semplice, ma nel ridurre in formula un problema complesso con i termini giusti al posto giusto, e per problemi quali quello dell'interesse composto la formula veniva ampliata in modo tale che, invece di tre termini iniziali se ne potevano avere molti di più. Così la gente del XV secolo divenne esperta attraverso la pratica conti Diana nel ridurre in più diversi tipi di informazioni a una formula di proporzione geometrica. Lo studio delle proporzioni del corpo umano fatto dal pittore era generalmente qualcosa di abbastanza sommario in termini matematici a paragone di ciò cui erano abituati mercanti. La proporzione geometrica dei mercanti era un metodo di precisa consapevolezza delle proporzioni. Non si trattava di una proporzione armonica, ma rappresentava proprio il modo in cui si deve trattare una convenzione di proporzione armonica. L'argomento di questo capitolo è diventato progressivamente più profano, ma ciò potrebbe trarre in inganno. Infatti è possibile che le qualità pittoriche che ci sembrano teologicamente neutrali in realtà non lo fossero. Ci sono due generi di letteratura devota del 400 che forniscono degli accenni anche se soltanto degli accenni su come ciò possa arricchire la percezione dei dipinti. Uno è un tipo di libro o di sermone sulla qualità sensibile del paradiso e l'altro è un testo in cui le caratteristiche della normale percezione visiva vengono esplicitamente tradotti in termini morali. Secondo il primo la vista il più importante dei sensi e le delizie che l'attendono in cielo sono grandi. La maggior bellezza sta in tre particolari: luce più intensa, colore più chiaro e miglior proporzione. La maggiore acutezza della visione comprende una maggiore capacità di fare distinzioni tra una forma e un colore è un altro è la capacità di vedere sia grandissima distanza che attraverso i corpi. Il principio fondamentale della prospettiva lineare in uso è infatti molto semplice: la visione segue delle linee rette e le linee parallele che vanno in tutte le direzioni sembrano incontrarsi all'infinito in un unico punto di fuga. Le maggiori difficoltà e complicazioni di questa convenzione sorgono nel particolare, nella pratica, nella consistenza e nelle modificazioni del principio base è necessario per evitare che la prospettiva del dipinto appaia troppo tendenziosa e schematica: esse costituiscono un problema per il pittore e non per il fruitore, a meno che in un dipinto la prospettiva si è sbagliata e ce ne si voglia chiedere la ragione. Se si uniscono l'esperienza geometrica sufficiente a percepire una costruzione prospettica complessa e una cultura religiosa per fare di questo un'allegoria emerge un ulteriore sfumatura che caratterizza la rappresentazione narrativa dei pittori del 400. Gli episodi di virtuosismo prospettico perdono la loro gratuità e assumono la diretta funzione drammatica. Secondo la cultura religiosa questo tipo di prospettiva viene considerata come una forma di metafora visiva, un suggestivo artificio, che esprime la condizione spirituale della vergine negli ultimi stadi dell'annunciazione, e poi c'è la possibilità di interpretarlo in primo luogo come un simbolo analogico di una convinzione morale e poi come una visione escatologica della beatitudine. Questo tipo di spiegazione è troppo teorico per avere un'applicazione storica in casi specifici, il fatto di rilevare a questo punto l'armonia fra lo stile della meditazione religiosa descritto in questi libri e l'interesse pittorico di alcuni dipinti del 400 non ha lo scopo di interpretare delle opere individuali, ma solo di ricordarci l'origine dell'eventuale inafferrabilità dello stile conoscitivo del 400. Nel XV secolo alcuni guardarono questi dipinti con un occhio morale spirituale di questo tipo e in effetti molti dipinti sembrano lasciare spazio a questo genere di esercizi, è giusto chiudere questo capitolo su una nota di incertezza. III - Dipinti e categorie Le abitudini sociali più immediatamente connesso alla percezione dei dipinti sono quelle visive, la maggior parte delle abitudini visive di una società non viene registrato in documenti scritti. Dal tipo di fonti disponibili per il capitolo due emerge quel particolare modo di vedere del pubblico personificato dal mercante che andava in chiesa e danzava. Questi non viene assolutamente proposto come un tipo ideale, Mine se gli elementi del problema, religione, educazione, affari. Utile dare un rapido sguardo a come a quell'epoca venisse vista la storia generale della pittura del XV secolo: a partire dalla fine del secolo, quali erano i pittori che spiccavano sulla massa? Sorprendentemente difficile da stabilirsi. Da un lato, mentre la pittura del trecento è stata riassunta, almeno a Firenze, in uno schema molto chiaro (Cimabue, Giotto e gli allievi di Giotto) il 400 non produsse mai uno schema altrettanto netto. Dall'altro quando qualcuno faceva un elenco di grandi artisti propendeva naturalmente per quelli che avevano lavorato nella sua città. L'elenco più distaccato e più ricco di informazioni generali si trova nel componimento poetico di un pittore che lavora ad Urbino, Giovanni Santi, egli aveva sia il vantaggio della conoscenza professionale sia quello di una prospettiva neutrale. Giovanni, che morì nel 1494, era il padre di Raffaello Sanzio. Fu un pittore eclettico e molto preciso operanti nell'ambito di una scuola dell'Italia orientale. Diversamente da molti fiorentini santi è consapevole della bella pittura prodotta Venezia e nel Nord Italia, egli riconosce anche la buona qualità
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