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Pittura ed esperienze sociali nell'Italia del Quattrocento - Michael Baxandall, Sintesi del corso di Storia dell'Arte Moderna

Riassunto dettagliato del saggio "Pittura ed esperienze sociali nell'Italia del Quattrocento - Michael Baxandall"

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica Pittura ed esperienze sociali nell'Italia del Quattrocento - Michael Baxandall e più Sintesi del corso in PDF di Storia dell'Arte Moderna solo su Docsity! 1 1. Le condizioni del mercato I. Committenza Un dipinto del XV secolo è testimonianza di un rapporto sociale: un pittore sovrintendeva alla realizzazione del quadro, che il «cliente» commissionava e acquistava. Il pittore e il cliente lavoravano all’interno di istituzioni e convenzioni che influivano sulle forme dell’opera che bisognava creare. Nel XV secolo la pittura di migliore qualità era fatta su commissione: cliente ordinava un prodotto specificandone le caratteristiche. Le pale d’altare e gli affreschi venivano invece eseguiti su commissione e sia il cliente che l’artista stipulavano di comune accordo un contratto legale in cui quest’ultimo si impegnava a consegnare l’opera come era stata concepita dal committente. Il rapporto alla base del dipinto era un rapporto commerciale: il cliente pagava per il lavoro, ma investiva il suo denaro secondo l’ottica del Quattrocento, cosa che poteva influire sul carattere dei dipinti. Alcune consuetudini economiche si trovano concretamente nei dipinti. I criteri stabiliti nel Quattrocento per il prezzo dei manufatti e per le forme di pagamento, hanno incidenza sullo stile dei dipinti come li vediamo noi oggi: i dipinti sono dei fossili della vita economica. - Borso d’Este, duca di Ferrara, pagava i propri dipinti a piede quadrato; - Il mercante fiorentino Giovanni de’ Bardi, pagava i pittori in base ai materiali usati e al tempo impiegato. I dipinti erano progettati a uso del cliente. I motivi alla base della committenza variano da caso a caso, ma sono determinanti nella resa finale del dipinto. Ad esempio, Giovanni Ruccellai provava soddisfazione nel possedere oggetti di qualità, ma anche nel commissionare opere di ordine pubblico, perché sono importanti per l’onore di Dio e della città, ma anche per lasciare un ricordo di sé ai posteri. Inoltre, l’acquisto di oggetti di questo genere procura il piacere e il merito di spendere bene, un piacere maggiore di far denaro. ➔ Ruccellai si era arricchito con gli interessi ricavati dal prestito di denaro, con l’usura. Spendere denaro per ciese e opere pubbliche, era un giusto risarcimento alla società. Dunque, il cliente non aveva bisogno di analizzare le proprie motivazioni soprattutto perché in genere si serviva di forme istituzionalizzate che razionalizzavano implicitamente i suoi motivi e di solito in modo piuttosto lusinghiero, contribuendo a dare al pittore un’idea di quanto gli veniva richiesto→ pala d’altare, la cappella di famiglia affrescata, la Madonna nella stanza da letto, i mobili raffinati alle pareti. In ogni caso a noi basta sapere che l’uso primario del dipinto era quello di essere osservato: era progettato per il cliente e per la gente che egli voleva ammirassero l’opera. Il suo scopo era quello di fornire stimoli piacevoli e indimenticabili e perfino proficui. II.-III.-IV. Contratti Quando si parla di pittura del XV secolo, non si può effettivamente distinguere tra commissioni «pubbliche» e «private»→ spesso le commissioni private erano destinate a luoghi pubblici. 2 Si deve invece distinguere tra commesse controllate da grosse istituzioni corporative come le fabbriche delle cattedrali e le commesse di singoli individui o di piccoli gruppi di persone→ dunque, tra imprese collettive o comunali; e iniziative private. Il pittore di solito veniva controllato da una persona o da un piccolo gruppo. È importante ricordarlo perché ciò significa che in genere il pittore si trovava ad avere un rapporto diretto con un cliente profano. In questo differiva dallo scultore che spesso lavorava per grosse imprese comunali, dove il controllo era mento personale e probabilmente meno stretto (es. Donatello lavorò per l’opera del Duomo di Firenze amministrata dall’Arte della Lana). Gli elementi essenziali relativi al rapporto alla base di un dipinto sono espressi all’interno di documenti legali, come i contratti (redatti da un notaio) o all’interno di ricordi, promemoria che dovevano essere tenuti da ciascuna delle due parti, che pur non avendo retorica notarile, mantenevano un peso contrattuale. Non esistono contratti che si possono definire “tipici”, perché non vi erano forme fisse nemmeno all’interno della stessa città. Il testo esamina il contratto tra Domenico Ghirlandaio e il priore dello Spedale degli Innocenti a Firenze, in riferimento all’Adorazione dei Magi, da realizzare. L’accordo contiene tre temi principali: 1) Specifica ciò che il pittore deve dipingere, in questo caso sulla base di un disegno concordato; 2) Vengono esplicati i modi e i tempi di pagamento da parte del cliente e i termini entro i quali il pittore deve fare la consegna; 3) Insiste sull’utilizzo di colori di buona qualità, specialmente oro e azzurro oltremarino. La qualità dei dettagli e la loro precisione variavano da contratto a contratto. Le istruzioni sul soggetto da dipingere non erano in genere nei particolari, poteva invece trovarsi un elenco delle figure da rappresentare, ma più comunemente era richiesto un disegno. Per quanto riguarda il pagamento, di solito la forma di versamento a rate era la più comune, ma talvolta le spese del pittore erano distinte dal suo lavoro: si poteva infatti pagare il pittore per il tempo impiegato e per le sue capacità, mentre il cliente si impegnava a procurargli i colori più costosi; La somma concordata in un contratto non era del tutto rigida, e se un pittore si trovava in perdita rispetto al contratto, poteva rinegoziarlo. Se il pittore e il cliente non riuscivano ad accordarsi sulla somma finale, intervenivano dei pittori professionisti in qualità di arbitri, ma in genere non si arrivava mai a questo punto. La questione circa la qualità del colore era spesso espressa nei contratti. Dopo l’oro e l’argento, l’azzurro ultramarino era il colore più costoso e di più difficile impiego usato dal pittore. Ne esistevano di qualità a buon mercato che care, e perfino dei sostituti (l’azzurro d’Alemagna, carbonato di rame, molto brillante ma meno resistente, soprattutto per l’affresco). Per evitare di avere delle delusioni a proposito dell’azzurro i clienti specificavano che doveva essere ultramarino. I pittori e il loro pubblico erano molto attenti a tutto questo, cosa che noi non comprendiamo a pieno, in quanto non consideriamo l’azzurro intenso più sensazionale dello scarlatto o del vermiglio. Non tutti gli artisti lavoravano con contratti di questo tipo; in particolare alcuni artisti lavoravano per dei principi da cui percepivano uno stipendio: es. Mantegna lavora dal 1460 al 1506 per i Gonzaga→ in cambio del suo stipendio dipinse affreschi e pannelli, ma anche incarichi di altro genere. La posizione dell’artista non fu sempre così definita come aveva proposto l’offerta di Lodovico Gonzaga. Lo stipendio non gli veniva sempre pagato con regolarità. 5 distinguiamo un albero, ma nella realtà non «vediamo» un albero come una superficie piana bianca, circoscritta da linee nere. Se analizziamo l’affresco dell’Annunciazione di Piero della Francesca ad Arezzo, riconosciamo una convenzione rappresentativa: il pittore dispone su un piano bidimensionale dei colori per dare l’idea di forme tridimensionali. In questo caso non si tratta di una “pianta”, ma di un inganno, «facendo di sé credere che ella sia quello che ella non è». Ma come dice Leonardo: «Impossibil è che la pittura imitata con soma perfectione di lineamenti […], possa parere del medesimo rilevo qual pare esso naturale se già tal naturale in lunga distantia non è veduto con un sol occhio». Ma la convenzione consisteva nel fatto che il pittore facesse la sua superficie piatta in modo da richiamare il più possibile un mondo tridimensionale e gli veniva attribuito il merito di avere tale capacità. Nell’Italia del XV secolo, osservare tali rappresentazioni comportava delle aspettative, che poi variavano a seconda della collocazione. L’uomo del Quattrocento inoltre si impegnava nell’osservare un dipinto. Sapeva che in un buon dipinto ci doveva essere abilità e dare un giudizio su di esso era compito del fruitore colto. L’attenzione che un uomo dedica ad un quadro è influenzata dalla capacità umana di riconoscere un certo tipo di forme. Infatti, se si possiedono abilità nell’individuare rapporti proporzionali, o se ha una certa pratica nel ridurre delle forme complesse a semplici, si può dare una lettura dell’Annunciazione diversa da quella di gente priva di queste facoltà. Buona parte di ciò che noi chiamiamo «gusto» consiste nella corrispondenza tra l’analisi richiesta da un dipinto e la capacità di analisi del fruitore. Se un dipinto di dà la possibilità di sfoggiare una nostra perizia, con la sensazione di aver saputo cogliere il modo in cui quel dipinto è organizzato, proviamo piacere: è una cosa di nostro gusto. Non è così quando un uomo è privo di quelle capacità. L’uomo inoltre si trova davanti al dipinto con una quantità di informazioni e opinioni tratte dall’esperienza generale e dalle nostre conoscenze. Perciò ci risulta difficile renderci conto di quanto la nostra comprensione del dipinto dipenda dalle nostre conoscenze personali. Se prescindessimo da alcuni fattori, sarebbe molto difficile riuscire ad interpretare il dipinto: a) Dal fatto che gli elementi architettonici siano rettangolari e regolari→ ci si troverebbe di fronte ad uno stato di incertezza circa l’intero spazio della scena; b) Dalla conoscenza della storia dell’Annunciazione→ non si capirebbe cosa sta accadendo nel dipinto, una persona che prescinde dalla dottrina cristiana, potrebbe pensare che l’arcangelo Gabriele e la Madonna stiano rivolgendo la loro devozione alla colonna. Ciò non significa che Piero raccontasse male la sua storia, ma significa che egli poteva fare assegnamento sul fatto che il fruitore riconoscesse il soggetto dell’Annunciazione con un’immediatezza sufficiente da permettergli di accentuarlo, modificarlo e adattarlo in modo abbastanza spregiudicato. Annunciazione, Piero della Francesca 6 Inoltre, la posizione frontale di Maria risponde a delle esigenze: 1) Provoca la partecipazione del fruitore; 2) Si contrappone al fatto che la sua collocazione nella cappella ad Arezzo costringa il fruitore a guardare l’affresco da una posizione sulla destra; 3) Contribuisce a indicare una fase particolare della storia di Maria, un momento di riserbo nei confronti dell’Arcangelo che precede la sua sottomissione al destino→ la gente del Quattrocento era in grado di fare delle distinzioni fra gli stadi successivi dell’Annunciazione. III. Approccio al dipinto Dunque, la gente del rinascimento di fronte ad un’opera si impegnava nella ricerca dell’abilità del pittore, preoccupazione legata a convinzioni e ipotesi economiche e intellettuali. Il fruitore dell’epoca aveva come unico mezzo l’espressione verbale, e doveva quindi trovare dei termini adatti a definire l’interesse di un oggetto→ abbinare concetti allo stile pittorico. Nell’epoca attuale esistono persone che, pur non essendo pittori, possiedono una gamma estesa di definizioni specialistiche relative alla pittura→ terminologie specifiche riguardanti la qualità dei dipinti. Anche nel XV secolo esistevano persone del genere, ma avevano a disposizione pochi concetti specifici, probabilmente per la scarsa letteratura artistica di allora. Oltre la mezza dozzina di categorie a loro disponibili, bisognava attingere alle risorse conoscitive più generali. Si deve sottolineare che non si sta parlando di tutta la gente del Quattrocento in generale, ma di quelle persone la cui reazione alle opere d’arte era di importanza fondamentale per l’artista, la classe dei committenti. I contadini e i cittadini poveri avevano un ruolo irrilevante nella cultura del Rinascimento. L’uomo del Quattrocento trattava affari, frequentava la chiesa, conduceva una vita sociale e da tutte queste attività acquisiva delle capacità di cui si serviva per osservare i dipinti→ gli strumenti con cui un uomo organizza la sua esperienza visiva possono variare, e buona parte sono relativi al dato culturale, determinati dall’ambiente sociale che ha influito sulla sua esperienza. Il fruitore deve utilizzare nella lettura di un dipinto le capacità visive di cui dispone, e dato che di queste sono pochissime di solito quelle specifiche della pittura, egli è incline a usare quelle capacità che sono più apprezzate dalla società in cui vive. Il pittore stesso partecipa dell’esperienza visiva e delle abitudini di questa società. Dunque, bisogna distinguere tra: - Capacità visive: categorie di cui dispone l’osservatore e che derivano dalle esperienze culturali e sociali; - Capacità di lettura dell’opera d’arte: categorie specifiche del campo artistico, derivano dallo studio della storia dell’arte. IV. Dipinti religiosi La maggior parte dei dipinti del Quattrocento sono religiosi. Il termine «dipinto religioso» si riferisce a qualcosa di più che a una certa gamma di soggetti: i dipinti avevano anche funzioni istituzionali→ contribuivano all’attività intellettuale e spirituale. Le immagini rispettavano le regole ecclesiastiche ormai consolidate da tempo, ed erano uno stimolo di meditazione sulla Bibbia e sulle vite dei santi. Tuttavia, ne derivava un problema di idolatria: la gente semplice poteva facilmente confondere l’immagine della divinità o dei santi con la divinità e le santità stesse. Si riconosceva che l’abuso esistesse, ma questo non spingeva gli uomini di chiesa ad adottare concezioni nuove, né ad agire nei confronti del problema. 7 Per quanto riguardava i dipinti nello specifico, la Chiesa si rendeva conto che c’erano degli errori che andavano contro la teologia e il buon gusto: soggetti con implicazioni eretiche, soggetti apocrifi, soggetti resi meno chiari dal fatto di essere trattati in modo frivolo e indecoroso. Ma il biasimo non è una cosa specifica di quell’epoca, è una versione quattrocentesca di un’accusa tipica continuamente ripetuta dai teologi. Qual era la funzione religiosa dei dipinti religiosi? E che tipo di pittura il pubblico religioso avrebbe trovato lucida e indimenticabile? V. L’approccio al dipinto religioso Per il pittore, la traduzione in immagini di storie sacre era un compito professionale. Ogni persona devota durante gli esercizi spirituali, concepiva visivamente gli episodi fondamentali della vita di Cristo→ la mente del pubblico non era una tabula rasa in cui imprimere le rappresentazioni che il pittore dava dei personaggi o di una storia. Adottando una distinzione teologica si potrebbe dire che: - Le visualizzazioni del pittore erano esteriori; - Le visualizzazioni del pubblico erano interiori. Dunque, l’esperienza di un dipinto non si limitava soltanto al dipinto, ma comprendeva anche il processo di visualizzazione dell’evento che lo spettatore già aveva interiorizzato. È importante sapere di che processo si trattava Ogni credente aveva la libertà di caratterizzare luoghi e personaggi come meglio credeva. Traeva ispirazione dalla propria città e dalle persone conosciute per le ambientazioni e i particolari. Dunque, un pittore non poteva competere con la rappresentazione personale per ciò che riguardava i particolari. Il pittore cercava di regola di evitare di caratterizzare nei particolari le persone e i luoghi: se l’avesse fatto ciò avrebbe costituito un’interferenza nella personale visualizzazione di ognuno. Perciò, dipingevano dei tipi di persone comuni, non caratterizzati e intercambiabili: fornivano una base su cui il fruitore potesse imporre il proprio dettaglio personale. → il dipinto diviene una collaborazione tra l’artista e il suo pubblico: la raffigurazione sulla parete e il processo di visualizzazione della mente del pubblico. Il pittore si rivolgeva a persone che venivano istruite pubblicamente sullo stesso argomento→ i sermoni: avevano un ruolo importante nel caso del pittore, poiché sia il predicatore che il dipinto facevano parte dell’apparato di una chiesa e ciascuno teneva conto dell’altro. I predicatori toccavano i temi dei pittori durante le festività dell’anno liturgico→ storie legate alla personificazione fisica e anche visiva dei misteri. In sostanza, i predicatori e i pittori erano dei ripetiteur l’uno dell’altro. Analizziamo il sermone di Fra Roberto Caracciolo da Lecce sull’Annunciazione, di cui distingue tre misteri principali: - L’«Angelica missione» - L’«Angelica salutatione» - L’«Angelica Confabulatione» I primi due misteri riguardano strettamente l’Arcangelo, solo il terzo mistero è il momento cruciale del dramma di Maria, che il pittore doveva rappresentare. Si divide in cinque «laudabile condizione»: 1) Conturbatione: la vergine si conturbò per il nobile saluto rivoltole dall’angelo; 2) Cogitatione: la vergine apprende di essere una vergine santa; 3) Interrogatione: la donna chiede all’angelo come casta e pura potesse concepire un figlio; 10 di approccio alle scene artistiche di gruppo e ciò permise ai pittori di contare su un’analoga prontezza del pubblico. VIII. Colori Le figure e gli ambienti erano rappresentati tramite colori e forme molto complesse e il bagaglio culturale del XV secolo, che permetteva di comprenderli come tali, non era in tutto e per tutto uguale al nostro. Esistevano dei codici medievali, ancora in uso nel Rinascimento, che riunivano i colori in serie simboliche: - Bianco: purezza; - Rosso: carità; - Giallo-oro: dignità; - Nero: umiltà. Alberti e altri fornirono un codice relativo ai quattro elementi: - Rosso: fuoco; - Blu: aria; - Verde: acqua; - Grigio: terra. I simbolismi legati ai codici non sono così importanti in pittura, anche se ci sono talvolta degli elementi che vi corrispondono. La sensibilità riguardava, come abbiamo già detto, i diversi gradi di preziosità delle tinte che il pittore usava per porre qualcosa in evidenza. L’enfasi data da un colore prezioso non venne abbandonata sai pittori una volta che essi e i loro clienti ebbero delle remore nell’ostentare il loro prestigio tramite lo sfoggio di colori preziosi→ c’erano colori costosi e colori economici, e l’occhio era senza dubbio colpito da quelli preziosi prima che dagli altri. IX.-X Matematica commerciale e Pittura A Firenze un ragazzo nelle scuole laiche private o municipali (o religiose) riceveva due gradi di istruzione: - Botteghuzza: o scuola elementare. Dai sei/sette, in cui imparava a leggere, scrivere e alcune nozioni di base di corrispondenza commerciale e formule notarili. - Abbaco: o scuola secondaria. Dai dieci/undici anni, in cui si affrontavano testi più impegnativi e lo studio era incentrato principalmente sulla matematica. Dopo questo percorso, pochi proseguivano gli studi all’università, diventando avvocati. Per buona parte della gente borghese le nozioni matematiche acquisite nella scuola secondaria costituivano il nucleo centrale della loro formazione intellettuale e della loro cultura. → una matematica di tipo commerciale strutturata sulle esigenze del mercante e entrambe le sue nozioni sono inserite nella pittura del Quattrocento. Le principali: - Misurazione: riguardava la misurazione dei contenitori merci. Prima del contenitore standard del XIX secolo, ogni contenitore era unico e bisognava calcolare il suo valore in modo rapido e preciso. Conoscere il metodo in cui una società misurava i suoi barili ci informa delle sue capacità analitiche e delle sue usanze. → Piero della Francesca, nel De abaco, scrive in che modo misurare un barile. Questo dimostra lo strettissimo rapporto tra pittura e geometria mercantile: le capacità che Piero, o un altro pittore, usava per analizzare le forme che dipingeva erano le stesse che Piero, o qualunque commerciante, usava per misurare delle quantità. 11 Da un lato i pittori erano passati per attraverso l’istruzione matematica secondaria delle scuole laiche; dall’altro il pubblico colto aveva queste stesse nozioni geometriche per guardare i dipinti→ era uno strumento per esprimere giudizi. Questa abitudine di analisi è simile alle analisi delle apparenze fatta dal pittore, che era abituato a misurare ogni figura all’interno del dipinto. C’è una tendenza a ridurre delle masse e dei vuoti irregolari a combinazioni di corpi geometrici calcolabili→ Queste tracce nel dipinto erano recepite dal pubblico. Es. Battaglia di San Romano, di Paolo Uccello: il cappello di Niccolò da Tolentino è rotondo e coronato da una balza, ma è anche il composto di un cilindro e di un disco rigonfio. Lorenzo de’ Medici avrebbe accettato entrambe le interpretazioni come una specie di successione di scherzi geometrici. I concetti geometrici di un misuratore e la sua attitudine a esercitarli rendono più acuta la sensibilità visiva di un uomo di fronte alla realtà di un volume. Nell’ambiente sociale quattrocentesco ciò costituiva uno stimolo a usare i mezzi che il pittore aveva a disposizione in modo da rendere chiaramente il suo volume, con un’abilità ben identificabile. → Masaccio suggeriva una massa indicando i toni di luce e di ombra che una fonte di luce avrebbe prodotto su di essa. → Pisanello rendeva una massa con i suoi contorni caratteristici e non con i toni. - Aritmetica: era un’altra branca della matematica commerciale, di fondamentale importanza nella cultura del Quattrocento. Al centro dello studio vi era la proporzione. Lo strumento aritmetico universale usato dai mercanti italiani nel Rinascimento era la Regola del Tre (o Regola Aurea, o Chiave del Mercante). Tra i problemi di proporzione più difficili nel Quattrocento, vi erano i problemi di scambio→ ogni città importante aveva non solo la sua valuta, ma anche propri pesi e misure. La difficoltà non stava tanto nell’applicazione della Regola, ma nel ridurre in formula un problema complesso, con termini giusti al posto giusto. Così la gente del XV secolo divenne esperta attraverso la pratica quotidiana nel ridurre i più diversi tipi di informazione a una formula di proporzione geometrica: A sta a B come C sta a D. Allo stesso modo un pittore era dotato della stessa preparazione sia per fare affari, sia per determinare le proporzioni corporee all’interno dei suoi dipinti. In realtà, lo studio delle proporzioni del corpo umano era generalmente qualcosa di sommario in termini matematici, rispetto a ciò a cui erano abituati i mercanti. È assurdo però pensare che la gente del XV secolo andasse in giro alla ricerca di serie armoniche nei dipinti. L’educazione del Quattrocento attribuiva un valore eccezionale a certe capacita matematiche come la misurazione e la Regola del Tre. Essi conosceva il settore in cui erano specializzati ed essa rappresentava la parte relativamente più vasta della loro cultura intellettuale convenzionale. Questa specializzazione costituiva un’attitudine ad indirizzare l’esperienza visiva in un senso specifico. 3. Dipinti e Categorie I.-II. Mentre la pittura del Trecento stata riassunta, almeno a Firenze, in uno schema molto chiaro, il Quattrocento non produsse mai uno schema altrettanto netto. Quando poi qualcuno faceva un elenco di grandi artisti, era sempre propenso a far prevalere quelli della propria città. L’elenco più distaccato e più ricco di informazioni generali si trova nel componimento poetico di un pittore che lavorò ad Urbino→ Giovanni Santi: padre di Raffaello, non è un artista importante, ma 12 il suo poema è una lunghissima cronaca rimata in terza rima, che narra la vita e le gesta di Federigo da Montefeltro, duca di Urbino (suo datore di lavoro). La visita di Federico a Mantova, è l’occasione per un excursus sulla pittura di Mantegna, lodato come maestro in ogni aspetto della pittura. Viene poi dato un elenco rimato di altri grandi maestri di pittura. Santi si dimostra consapevole dell’importannza: - Della pittura veneziana e del Nord Italia; - Della pittura olandese, ripresa ad Urbino; - Del primato della pittura fiorentina. III. Bisogna rimanere a Firenze per trovare la miglior critica. Cristoforo Landino era uno studioso di latino e un filosofo platonico, un esponente della lingua volgare e docente di poesia e retorica all’università di Firenze. Era amico di Leon Battista Alberti ed era il traduttore della Naturalis Historia di Plinio. Quando nel 1480 si trovò a descrivere gli artisti del suo tempo ci si sarebbe aspettati che usasse il linguaggio di Plinio→ termini sottili, ricchi e precisi per esprimere l’arte. Landino però non usò i termini di Plinio, bensì il metodo dei termini di Plinio: fece uso di metafore, o coniate da lui o appartenenti alla sua cultura, riferendo aspetti dello stile pittorico del suo tempo allo stile sociale o letterario della sua epoca. Il resoconto sugli artisti si trova nell’introduzione al suo commento alla Divina Commedia e si suddivide in 4 parti: 1. Arte antica (si rifà a Plinio); 2. Giotto e alcuni pittori del Trecento e copia Filippo Villani, critico del XIV sec.; 3. Descrive i pittori fiorentini del ‘400 ed è il suo contributo personale; 4. Descrive alcuni scultori. ….. Masaccio “Fu Masaccio optimo imitatore della natura, di gran rilievo universale, buono componitore et puro sanza ornato, perché solo si decte all’imitatione del vero et al rilievo delle figure: fu certo buono et prospectivo quanto altro di quegli tempi et di gran facilita nel fare, essendo ben giovane, che morì d’anni ventisei”. 1) Imitatore della natura: è il pittore che si distacca dai libri che presentavano dei modelli con le loro formule e soluzioni precostituite, per cogliere gli oggetti reali così come si presentano. Si basa sullo studio e la rappresentazione del loro aspetto reso proprio attraverso la loro prospettiva e il loro rilievo. 2) Rilievo universale: Masaccio è il principale esponente del “rilievo” (“gran rilievo universale” e “rilievo delle figure”), sembra essere seguito da Andrea del Castagno e Filippo Lippi. Il termine era tecnico e proprio del linguaggio di bottega: metteva in evidenza le forme soltanto a partire dalla luce naturale. 3) Puro: letteralmente significa «senza ornato». È uno dei latinismi di Landino e conserva il senso in cui la critica letteraria aveva usato il termine per definire uno stile disadorno e laconico. Ciò fa di un concetto negativo, uno positivo, con il significato di «conciso e chiaro». Questa specificazione era necessaria poiché nella concezione critica classica e rinascimentale «ornato» poteva essere sia «semplice» che «povero». Lo stile di Masaccio era puro in questi termini, nel senso di “rigoroso”, senza eccessi. 4) Facilita: a metà tra «facilità» e «abilità», ma senza la connotazione negativa della prima. Era il prodotto di: talento naturale + capacità acquisibili nel tempo + esercizio pratico. Ciò che derivava era una scioltezza molto apprezzata nel Rinascimento, molto difficile da definire rigorosamente.
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