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Pitture ed esperienze sociali nell'Italia del 1400, Sintesi del corso di Arte

How 400 people, painters and public, attended to visual experience in distinctively ways and how the quality of this attention became a part of their pictorial style.

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 20/01/2020

lalala96
lalala96 🇮🇹

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Scarica Pitture ed esperienze sociali nell'Italia del 1400 e più Sintesi del corso in PDF di Arte solo su Docsity! Chapter 2. The period eye How 400 people, painters and public, attended to visual experience in distinctively ways and how the quality of this attention became a part of their pictorial style. 2.1 L'occhio del Quattrocento In tutti gli individui l'occhio compie la stessa azione: riportare un oggetto come un disegno di luce e, successivamente, riportare le informazioni al cervello. A questo punto, la percezione visiva cessa di essere uniforme e cambia da individuo a individuo. Il cervello interpreta inizialmente i dati sulla luce e il colore aiutandosi con le capacità innate e con l'esperienza: vengono ricavati tutti i dettagli (dal suo bagaglio di schemi, categorie e analogie come “rotondo”, “liscio”) da cui ricaviamo un significato che subisce una semplificazione. Ciascuno, in base alla propria esperienza, ottiene un'interpretazione diversa: il cervello elabora i dati con strumenti diversi, anche se la maggior parte dell'esperienza è comune a tutti (distanza, altezza, movimento). Un'immagine può essere interpretata in vari modi e questo può dipendere da vari fattori: capacità interpretativa, abitudini di deduzione, contesto dell'immagine (stile conoscitivo individuale). Aggiungendo all'immagine un contesto è più facile interpretarla e catalogarla. Gli strumenti per l'interpretazione sono legati alla cultura: schemi, categorie, metodi, convenzioni rappresentative, esperienza → processo complesso, non si tratta di elementi che operano uno di seguito all’altro ma insieme. 2.2 Anche oggi, guardando un dipinto, possiamo riconoscere delle convenzioni rappresentative come le linee di contorno, diagrammi, forme geometriche. Un esempio è la rappresentazione della superficie dell'acqua (15) con un'increspatura lineare: c’è una volontà di interpretare i segni sulla carta come rappresentazioni che semplificano un aspetto della realtà all’interno di regole ormai accettate. Noi infatti non “vediamo” un albero come una superficie piana bianca circoscritta da linee nere; eppure l’albero non è altro che una versione sommaria di ciò che si trova in un dipinto e le varie influenze che influiscono sulla percezione (cioè lo stile conoscitivo) condiziona in chiunque il modo di percepire un dipinto. Es. Annunciazione Piero Della Francesca Nel XV secolo il pittore realizzava su un piano bidimensionale ciò che, nella realtà, era tridimensionale (veniva attribuito il merito per la capacità). 1) Nell’ Italia del Quattrocento il fatto di osservare tali rappresentazioni era una specie di istituzione che comportava una serie di aspettative che variavano in base alla collocazione del dipinto (una chiesa o un salone). Ma un’aspettativa restava costante cioè il fruitore si aspettava il talento ma, l’uomo del Quattrocento, era convinto che il dare giudizio fosse compito del fruitore colto. 2) La capacità interpretativa di un dipinto influisce su di esso cioè la capacità umana di riconoscere un certo tipo di forma influisce sull’attenzione che l’uomo dedica all’osservazione di un quadro e alla sua interpretazione: l’abilità nel riconoscere rapporti proporzionali, ridurre forme complesse in forme semplici, riconoscimento delle tonalità di colore. Queste caratteristiche portano ad un'interpretazione diversa rispetto a quella data da chi non ha le stesse capacità. Non tutte le caratteristiche percettive, però, sono adatte a tutti i quadri (es. essere esperto nel funzionamento della muscolatura superficiale del corpo umano, non sarebbe stata molto utile nel caso dell’Annunciazione di Piero). 3) La nostra cultura ci aiuta ad interpretare le informazioni sul dipinto. La vicinanza alla cultura quattrocentesca ci permette di non fraintendere completamenti i dipinti ma la comprensione di essi dipende dalla nostra conoscenza personale. (es. Annunciazione: a) se non supponessimo che gli elementi architettonici siano rettangolari e regolari ci troveremmo in uno stato di incertezza circa l’intero schema spaziale della scena – Piero adotta una rigorosa costruzione prospettica, espressione di un modo di rappresentare che avrebbe creato problemi ad un cinese del XV secolo- ; b) senza la conoscenza della storia dell’ Annunciazione sarebbe molto difficile dedurre un’interpretazione di ciò che stava accadendo nel dipinto di Piero. Egli poteva far affidamento sul fatto che il fruitore riconoscesse il soggetto con un’immediatezza sufficiente da permettergli di modificarlo, adattarlo in modo spregiudicato. Infatti le persone del Quattrocento erano in grado di fare delle distinzioni più acute di noi riguardo gli stadi dell’Annunciazione). 2.3 La ricerca dell'abilità del pittore era legata a ipotesi economiche ed intellettuali e si riteneva che i giudizi dovessero essere dati da persone colte che si impegnavano profondamente in ciò. Egli pubblicamente davano giudizi verbali e si doveva trovare termini adatti per esprimerli. Quando sentiva di possedere categorie adatte e quindi garanzia della sua competenza, l'uomo del Rinascimento abbinava i concetti allo stile pittorico: per questo importante è l'influsso che la cultura ha sulla percezione. Come oggi, anche nel XV secolo c'erano persone in grado di parlare di concetti specifici anche se scarseggiava la letteratura artistica. La maggior parte dei committenti possedeva la conoscenza di una mezza dozzina di categorie relative alla qualità dei quadri (es. “scorcio”, “azzurro ultramarino”, “panneggio” etc). Ma come accade oggi, la maggior parte, imparava a dare una valutazione visiva e degli oggetti non tanto sui dipinti quanto su cose più legate al benessere e alla sopravvivenza sociale. Le capacità visive si distinguono in quelle correnti e in quelle specifiche. Le capacità di cui siamo più consapevoli sono quelle che ci vengono insegnate quindi quelle formali: apprendiamo regole, categorie e terminologie. Ma era la categoria dei committenti, una parte ristretta della popolazione, che dava un giudizio, importante per l'artista, sulle opere d'arte. Nella cultura del Rinascimento, contadini e cittadini poveri avevano un ruolo irrilevante. Anche tra i committenti c'erano categorie che esprimevano giudizi più specifici in certi campi. Le capacità di osservare un dipinto, per un uomo del Quattrocento, nascevano dal fatto che esso trattava affari, frequentava la Chiesa e conduceva una vita sociale: poteva essere più dotato in alcune categorie, ma manteneva un equilibrio di conoscenze. Gli strumenti con cui l'uomo organizza la sua esperienza visiva sono influenzati dalla cultura e dall'esperienza, con le quali classifica gli stimoli visivi e assume un certo atteggiamento davanti ad un'opera. Il fruitore deve utilizzare nella lettura di un dipinto le capacità visive di cui dispone e dato che di queste sono pochissime di solito quelle specifiche della pittura, egli è incline ad usare quelle capacità che sono più apprezzate dalla società in cui vive. Ecco perché il pittore deve fare i conti con le capacità visive del suo pubblico: d’altronde anche lui, facendo parte della società in cui opera, partecipa all'esperienza visiva e alle abitudini di questa società. 2.4 I dipinti del XV secolo sono per lo più di tipo religioso: erano creati in funzione di istituzioni con fini intellettuali e spirituali. Essi erano regolati da una teoria ecclesiastica sulle immagini. Per la Chiesa (fonti: Catholicon di Giovanni di Genova e Michele da Carcano,) dovevano avere un triplice scopo così che potesse trasformare queste tre ragioni in istruzioni rivolte al fruitore come stimoli immediatamente accessibili che inducono l’uomo a meditare sulla Bibbia e sulle vite dei santi: 1) un dipinto doveva raccontare una storia in modo chiaro per la gente semplice 2) in modo avvincente e indimenticabile per chi stenta a ricordare 3) utilizzando appieno tutte le emozioni che la vista può suscitare Ovviamente la questione non era sempre così semplice, vi erano degli abusi sia nelle reazioni del pubblico di fronte ai dipinti, sia nel modo in cui i dipinti venivano fatti. Per la teologia, l'idolatria rappresentava un problema poiché la gente semplice confondeva spesso le immagini della divinità o dei santi con la divinità o la santità stesse finendo per adorarla (tendenza all’irrazionalità delle reazioni alle immagini). Ma l’idolatria non assunse mai le proporzioni di un pressante problema di pubblico scandalo come avvenne in Germania, era un abuso su cui i teologi dissertavano regolarmente ma in modo inutile. L'opinione pubblica laica aveva intravisto un uso scorretto delle immagini che però non costituiva un motivo di condanna dell’istituzione stessa delle immagini. Si riconosceva che l’abuso esistesse ma questo non spingeva gli uomini di chiesa ad agire. Spesso vi erano errori nei dipinti, che andavano contro la teologia e il buon gusto: implicazioni eretiche, soggetti apocrifi o trattati in modo indecoroso (es. largo uso storia apocrifa di San Tommaso e corali. In altri spettacoli, gli attori che non recitavano, aspettavano il loro turno seduti ai lati del palco: così vengono rappresentati da Lippi i santi ne “La Vergine e il Bambino con i santi”. Nei dipinti si lavorava per la qualità e il pittore usava sfumature per far riconoscere al pubblico i personaggi. Non era necessaria una rappresentazione brutale di una cosa scontata ma il pittore sapeva che il pubblico aveva elementi per riconoscere, con piccoli suggerimenti da parte sua che una figura era un certo personaggio o che rapporto intellettuale ed emotivo ci fosse tra le figure. Da questo modo attenuato di rappresentare i rapporti fisici fece nascere anche una tradizione più rozza di rappresentare gruppi e gesti, soprattutto nelle xilografie che illustravano i libri. Nelle versioni pittoriche i rapporti erano più contenuti perché il pittore faceva assegnamento sul fatto che il fruitore fosse disposto a leggere i rapporti che c’erano all’interno dei gruppi (es. Battesimo di Cristo di Piero Della Francesca: gruppo di tre angeli alla sinistra che vengono usati come artificio. Una di loro sta fissando con sguardo trasognato noi. Questa situazione stabilisce tra noi e la figura un rapporto tale che ci sentiamo attratti da essa e dal suo ruolo. Spesso la sua testa sarà vicino ad altre teste con differenziazioni tipologiche rispetto alla prima quasi impercettibili che fissano con grande attenzione il punto centrale della narrazione. In tal modo siamo invitati a unirci al gruppo di figure che assistono all’evento. A fasi alterne siamo così fruitori, quando guardiamo l’azione stando di fronte e attori, quando instauriamo un rapporto personale con il gruppo di angeli. Dunque questo sistema esige da noi di impegnarci in taciti rapporti con un gruppo di persone in questo sforzo da parte nostra rende tanto più rilevante la nostra comprensione del significato del gruppo). Un'attività simile alla composizione dei gruppi in pitture era la bassa danza, un ballo a passo lento: si trattava di un'arte con trattati propri e una sua terminologia. Si componeva di cinque parti: atmosfera, maniera, misura, misura di terreno e memoria. I gruppi erano concepiti in schemi; diversamente dai francesi, gli italiani non usavano una notazione della danza ma descrivevano in modo completo i movimenti delle figure, come visti da uno spettatore). Si ha un parallelo tra la danza e la pittura: il trattato della pittura dell’Alberti e il trattato della danza di Guglielmo Ebreo hanno in comune la stessa preoccupazione per i movimenti fisici come riflesso dei moti mentali. Ma oltre i principi, i trattati ci offrono, attraverso le danze che essi esprimono, degli esempi di figure tipo che esprimono dei rapporti psicologici in modo alquanto esplicito (es. danza intitolata Cupido, uomini eseguono serie di piroette che suggeriscono che essi sono legati tra loro e nello stesso tempo inseguono il partner il cui compito è quello di ritirarsi). Come tutto questo fosse legato allo stile usato dai pittori nel creare dei gruppi è di solito molto più evidente nei dipinti di soggetto neoclassico e mitologico che non in quelli religiosi. Il pubblico doveva essere in grado di interpretare schemi e figure e, di conseguenza, era abituato anche a leggere i movimenti dei gruppi dipinti dai pittori. Nei dipinti di soggetto neoclassico e mitologico, il pittore doveva inventarsi qualcosa di nuovo nel linguaggio del Quattrocento; nei dipinti di soggetto religioso, il pittore poteva seguire i tradizionali modelli, adattandoli alla sensibilità del suo secolo. 2.8 Anche i colori e le forme utilizzate erano diverse da quelle di oggi. Riunire i colori in serie simboliche era un gioco tardo medievale ancora in uso nel Rinascimento, quando si elaborarono codici sui colori: – Sant'Antonino: bianco-purezza, rosso-carità, giallo-dignità, nero-umiltà. Ciascun codice operava in campi ristretti: il teologico quando si contemplavano i costumi religiosi, l’astronomico, l’araldico per gli stemmi... ma il riferimento al codice non poteva far parte del normale modo di vivere l’esperienza visiva. I simbolismi legati ai codici non erano fondamentali nella pittura, non ci sono codici segreti che valga la pena conoscere a proposito del colore usato dai pittori ma si aveva un maggiore sensibilità nel riconoscere i colori più o meno preziosi che permettevano al pittore di porre qualcosa in evidenza. L'occhio era colpito dai colori più preziosi. Già all'epoca si ebbe disgusto per questa preferenza, sia a livello intellettuale sia a livello pittorico. L’umanista Lorenzo Valla affermò in un intervento letterario, come fosse assurda la gerarchia araldica dei colori (es. il richiamo medievale al settore della Natura rappresentato dai prati fioriti era una mossa convenzionale). L’Alberti fece osservazioni meno semplicistiche sulle combinazioni e le armonie di colore, non in rapporto con il simbolismo degli elementi che anch’egli formalmente ammetteva (rosso-fuoco, blu- aria, verde-acqua, grigio-terra). 2.9 Un ragazzo di Firenze riceveva, nelle scuole laiche private o municipali, due tipi di istruzione: dai sei ai dieci anni frequentava la scuola elementare (botteghuzza) dove imparava a leggere, scrivere e alcune nozioni commerciali o notarili; dai dieci ai quattordici anni studiava nella scuola superiore (abbaco) dove studiava testi più impegnativi e l'insegnamento era basato sulla matematica (nucleo centrale della formazione intellettuale e culturale). Era una matematica commerciale che seguiva le esigenze del mercante: le sue nozioni erano inserite nel contesto della pittura. La misurazione serviva a calcolare il volume dell'imballaggio: le merci hanno iniziato ad arrivare regolarmente in contenitori di misura standard solo a partire al 1800, prima ogni contenitore era unico e calcolare il suo volume in modo rapido e preciso era una condizione essenziale. È importante sapere come una società misurava i suoi barili e ne calcolava il volume perché è un indice delle sue capacità analitiche (le istruzioni per misurare un barile sono prese dal De abaco di Piero Della Francesca, un manuale di matematica per mercanti. Questo rapporto tra il pittore e la geometria mercantile rappresenta il punto essenziale. Le capacità che qualsiasi pittore usava per analizzare le forme che dipingeva erano le stesse che Piero, o qualunque commerciante, usava per misurare le quantità. Molti pittori, erano passati attraverso l’istruzione matematica secondaria delle scuole laiche, era la geometria che essi conoscevano e usavano quotidianamente. Allo stesso tempo, le nozioni geometriche venivano usate dal pubblico colto per esprimere dei giudizi e il pittore lo sapeva. Il pittore utilizzava gli oggetti solitamente usati negli esercizi di misurazione, cioè le cose familiari che il fruitore doveva aver fatto per imparare la geometria- cisterne, colonne, torri di mattoni, superfici pavimentate- per provocare l'intervento del misuratore. L’uso che il pittore fa del suo pubblico, è un modo per soddisfare la richiesta della Chiesa al pittore cioè lo stimolare l’uso della vista nella qualità di immediatezza e forza. Per l’uomo di commercio quasi tutto era riducibile alle figure geometriche e questa abitudine di analisi è molto simile all’analisi delle apparenze fatta dal pittore. Come un uomo misurava una balla, così il pittore misurava una figura, in entrambi i casi sia il pittore (molto spesso uomini di affari anche) che l’uomo colto (esponenti della borghesia mercantile), erano uomini di commercio per cui tutto era riducibile alle figure geometriche e le rappresentazioni altro non erano se non una combinazione di corpi geometrici calcolabili (es. cappello di Niccolò da Tolentino nella Battaglia di San Romano di Paolo Uccello, lo stile pittorico di Uccello deve trovare lo stile conoscitivo adatto perché il dipinto funzioni). I concetti geometrici di un misuratore e la sua attitudine a esercitarli rende più acuta la sensibilità visiva di un uomo di fronte alla realtà di un volume (es. nella Cacciata dei Progenitori di Masaccio, il fruitore è portato a comprendere più a fondo il personaggio di Abramo vedendolo come un composto di cilindri, nell’ambiente sociale quattrocentesco del pittore ciò costituiva uno stimolo a usare mezzi che egli aveva a disposizione – nel suo caso, la convenzione toscana di suggerire una massa indicando i toni di luce e ombra che una fonte di luce avrebbe prodotto su di essa- in modo da rendere chiaramente il suo volume. Un pittore che avesse lavorato all’interno di altre convenzioni avrebbe potuto usare mezzi diversi per raggiungere uno scopo analogo: es. Pisanello venendo da una tradizione settentrionale, esprimeva la massa con i suoi contorni caratteristici piuttosto che con i toni, raffigurando le figure in atteggiamento di torsione e di bilanciamento del peso in modo che il contorno presentasse delle spirali intorno al corpo come un’edera intorno a una colonna. In molte parti di Italia la gente preferiva questa convenzione perché era il tipo di pittura alla quale erano abituati). 2.10 Importante per la formazione del bambino era lo studio dell’aritmetica e della geometria. Al centro dell’aritmetica commerciale c’era la proporzione. Le regole aritmetiche, come altre nozioni matematiche, risalivano alle conoscenze medievali arabe, e gli stessi arabi le avevano apprese dall’India. Vennero introdotte in Italia grazie alla mediazione del pisano Fibonacci. I tipi di problemi sulle proporzioni erano innumerevoli nell’ Italia di questi tempi ed avevano una funzione assolutamente pratica (la matematica delle società commerciali). Lo strumento aritmetico universale usato da molti mercanti italiani colti era la Regola del tre. Con questa regola si trattavano i problemi di proporzione che riguardavano l’allevamento, il baratto, l’alterazione delle merci e così via. Tutti questi calcoli erano essenziali perché ogni città rinascimentale aveva la sua valuta, i suoi pesi e le sue misure. La gente del 400 divenne più esperta attraverso la pratica quotidiana nel ridurre i più diversi tipi di informazioni a una formula di proporzione geometrica: l’abilità era una sola, sia che venisse usata per i problemi riguardanti le società o gli scambi, sia che fosse utilizzata per fare e vedere dei dipinti; gli stessi problemi di proporzione riguardavano la pittura. 1)La gente del Quattrocento conosceva forse meno matematica di noi, ma la applicava più spesso, negli affari importanti 2) Di fronte a uno stimolo visivo come un quadro, essi erano portati a ridurre le forme complesse ad una combinazione di solidi geometrici regolari. La pratica a calcolare la proporzione e analizzare il volume e la superficie dei corpi, portava la gente ad una maggiore sensibilità nei confronti dei dipinti che portavano i segni di tali processi. 3)C’è una continuità tra le capacità matematiche usate dalla gente di commercio e quelle usate dal pittore per produrre la proporzionalità pittorica e solidità. Il pittore, di conseguenza, si divertiva ad inserirle nelle opere e il mecenate pagava proprio questa profusione di abilità. 2.11 Ci sono due generi di letteratura devota del Quattrocento che forniscono accenni su come proporzione, prospettiva e colore possano arricchire la percezione dei dipinti. Secondo il “De Deliciis Sensibilibus Paradisi”, la vista è il più importante dei sensi, e distingue tre progressi dell'esperienza visiva: bellezza delle cose viste (luce intensa, colore più chiaro e maggior proporzione), acutezza della vista (distinzione tra colori e forme diverse e vedere sia attraverso i corpi sia a distanza) e varietà di oggetti. Nel “Libro dell'occhio morale” si discutevano temi della percezione terrena. L'autore suggeriva di prendere fenomeni ottici comuni per trarre conclusioni morali. Con la prospettiva morale la visione segue linee rette, mentre le linee parallele sembrano incontrarsi un un punto all'infinito (punto di fuga). Il pubblico era abituato all'applicazione delle geometrie piane nel mondo delle apparenze poiché gli veniva loro insegnato per misurare gli edifici e gli appezzamenti di terreno. Se si uniscono questi due tipi di pensiero (esperienza geometrica sufficiente a percepire una costruzione prospettica complessa e una cultura religiosa per fare di questa un’allegoria) emerge un’altra sfumatura che caratterizza la rappresentazione narrativa dei pittori del Quattrocento. Gli episodi di virtuosismo prospettico assumono una diretta funzione drammatica, non sono solo come un esercizio forzato (=armonia tra lo stile della meditazione religiosa descritta nei libri suddetti e l’interesse pittorico di proporzionalità, varietà, strutturazione e chiarezza del colore è l’unica ipotesi dell’origine dell’inafferrabilità dello stile conoscitivo del Quattrocento). Chapter 3. Dipinti e categorie 3.1 I committenti del Quattrocento erano solitamente uomini d'affari, frequentatori della Chiesa e appassionati di danza come Lorenzo de' Medici. Le abitudini sociali connesse alla percezione dei dipinti sono quelle visive: esse non venivano registrate in documenti scritti. Coloro che pagavano l'artista avevano almeno una delle caratteristiche già citate (religione, educazione e affari). I principali committenti erano principi e signori come Leonello d'Este, Lodovico Gonzaga e Federico da Montefeltro. Un finanziere come Ruccellai conosceva bene la Regola del Tre e forse a malapena danzava ma certamente assorbì i modelli di corretto comportamento sociale della società in cui viveva. Per entrambi i tipi di uomini l'osservanza religiosa era una consuetudine istituzionalizzata. Anche se le lettere “commerciali” come quella inviata dall’agente milanese sui quattro pittori fiorentini erano poco chiare a causa dell'incertezza lessicale di chi le scriveva, dopo aver “tradotto” il significato, le parole ci sono molto utili: possono riferirsi alla sua reazione ai dipinti o all'origine dei suoi schemi di giudizio. Cristoforo Landino era più abile ad utilizzare il linguaggio e utilizza, nell'introduzione ad un commento di Dante, sedici aggettivi per descrivere quattro pittori fiorentini. Egli nonostante esperto, si rivolge a uomini comuni con lo scopo di essere da loro compreso (alcuni termini saranno specificatamente pittorici, di uso comune nella bottega del pittore e ci diranno il genere di cose che probabilmente anche i non-pittori sapevano sull’arte; altri termini saranno del tipo “virile”, “angelica”, • Amatore delle difficulta: l'esecuzione di cose difficili era una dimostrazione di abilità e talento. Un pittore del genere era pubblicamente individuabile come qualcuno che amava le difficoltà e riusciva a superarle: l'azione è difficile, chi agisce è facile (fa con facilità cose difficili). Manetti, nella sua biografia di Brunelleschi parlò del concorso del 1401 per la porta del Battistero di Firenze per cui Filippo, presentò come saggio la formella del Sacrificio di Isacco che mostrava palesemente delle difficoltà. Esse erano degli exploits di abilità con una precisa funzione, tours de force che mettevano in evidenza la narrazione evitando assolutamente le soluzioni scontate. Queste erano prima di tutto tocchi di virtuosismo e, in un secondo tempo, come sottolineature dei momenti salienti dell’episodio. Le difficoltà che superava Del Castagno, che non erano sterili imprese di destrezza ma artifici intesi a enfatizzare la vicenda, si possono notare nei suoi scorci • Scorci: sostituiscono l’oro quale mezzo per richiamare l’attenzione. Il loro carattere circoscritto, la concezione cioè dell’abilità o della difficoltà come di qualcosa che si applica in certi determinati punti, è una sopravvivenza della sensibilità, all’enfasi ottenuta prima con l’oro, cui si era andata poi sostituendo l’abilità. Gli scorci sono una particolare applicazione della prospettiva (teoria e scienza), una manifestazione della sua pratica. Un dipinto può avere anche degli scorci vistosi senza rispettare accuratamente alcun metodo di costruzione prospettica (es. Adorazione dei Magi di Gentile da Fabriano, è risultato di un effetto piuttosto comune nella pittura tardogotica, appreso ed insegnato sulla base id un modello compositivo e non di un metodo). Spesso il termine scorci riveste due tipi di interesse: il primo consiste nello scorcio vero e proprio - una cosa lunga, vista da una parte, dà all’occhio l’impressione di essere corta e il dedurre il lungo dal corto costituisce un piacevole esercizio mentale- ; il secondo è rappresentato dal punto di vista inconsueto- è difficile che un volto umano visto al suo stesso livello, di fronte o di profilo dall’alto o dal basso, sia meno scorciato dei volti visti dall’alto o dal basso ma questi ultimi sono meno comuni e quindi attirano facilmente la nostra attenzione (es. figura del Cristo nella Trinità del Castagno). La difficoltà è qualcosa che deve impegnare sia il fruitore che l’artista; gli scorci e altri elementi di questo tipo destinati a suscitare interesse erano considerati difficili da vedere e da capire, dato che l’abilità del pittore esigeva abilità da parte del fruitore: colui che si impegnava a fondo nella lettura dei dipinti era considerato abile (sforzo). Una differenza fondamentale tra il Quattrocento e il Cinquecento consiste proprio nel fatto che il primo se ne rese conto, mentre il secondo, con il suo gusto per la dolcezza, non lo fece: proprio per il fatto che gli scorci possono essere compresi dai pochi abili, a volte apportano più fastidio che diletto. E anche lo stesso Vasari fece una critica del genere ai pittori del Quattrocento: come erano troppo studiati e forzati nel farli, così erano aspri nel vederli. • Prompto: espressione utilizzata per descrivere un artista apprezzato da gente che capiva le sue abilità artistiche. È una qualità che Landino attribuisce sia a Giotto che a Donatello. Egli parla del David di Del Castagno come “vivo e prompto”, termini che indicano un certo grado di fusione tra due tipi di movimento: il movimento dipinto delle figure del pittore ma anche quel movimento della mano del pittore che ne è il presupposto. È la concezione quattrocentesca di uno stretto e immediato rapporto tra il corpo e la mente: come il movimento di una figura esprime direttamente pensiero e sentimento, così il movimento della mano di un pittore riflette la sua mente direttamente, esprime attraverso la pittura pensieri e sentimenti. Beato Angelico: Entra nell'ordine domenicano nel 1407. Nel 1433 realizza la Madonna dell'arte dei Linaioli, in San Marco a Firenze, dove dal 1436 realizzerà molti affreschi. Nel 1446, a Roma, dipinge affreschi nella cappella di Nicola V. Muore nel 1455. • Vezzoso: era un aggettivo riferito ad un atteggiamento delizioso, delicato, effeminato. Si parla, in questo caso, di una qualità riferita al carattere dei soggetti dipinti da Beato Angelico e alla sua abilità. Le qualità formali a cui si riferisce questo aggettivo sono i valori tonali della sua arte: i dipinti non avevano toni violenti con contrasto tonale di luci e ombre e evita i forti contrasti di pittori del “rilievo” come Del Castagno • Devoto: la devozione è la coscienza e la volontà di rivolgere la mente a Dio, attraverso la meditazione. Unione di gioia per l’infinità bontà di Dio e di dolore, per l’inadeguatezza dell’uomo. Landino prende questa espressione dalla classificazione degli stili del sermone del tardo Medioevo e del Rinascimento, che (i sermoni) abbiamo visto essere una categoria molto pertinente visto il rapporto tra predicazione e pittura. Dunque “devoto” è uno stile contemplativo che unisce gioia e tristezza, non elaborato o intellettualmente complesso. Ciò che manca a Beato - l’assenza di difficoltà, scorci accentuati, rilievo acuto, o movimenti prompti- viene visto come qualcosa a cui egli rinunciò di proposito, come Masaccio rinunciò all’ “ornato”. Quindi l’uso del Landino del termine “devoto” per Beato, ha la stessa portata del termine “puro” applicato a Masaccio (non è un termine usato per far riferimento alla devozione cristiana di Beato ma riferito come un termine critico da applicare al suo stile). I termini di Landino hanno il vantaggio di racchiudere in sé l’unità tra i dipinti e la società da cui emergevano. Questi termini, nel corso del Rinascimento, vennero utilizzati non solo dai letterati, ma anche dai banchieri senza, magari, avere alcuna particolare consapevolezza della loro origine classica. Questo processo costituì la parte importante del durevole influsso classico sulla cultura europea nel Rinascimento: l’esperienza veniva ri-categorizzata attraverso sistemi di parole che la suddividevano in modo nuovo. È così che le diverse arti vennero riunite da un sistema uniforme di concetti e di termini: “ornato” era applicabile alla pittura e alla musica come pure agli stili e alla letteratura. 3.5 Le forme e lo stile della pittura possono acuire il nostro modo di percepire la società quattrocentesca. Non si hanno molti materiali sulla storia sociale (consistono in una massa di numeri ma la maggior parte dell’esperienza più importante, non può essere tradotta in parole e numeri e perciò non appare nei documenti esistenti), e per questo lo stile pittorico dei dipinti ci può essere d'aiuto per interpretare la società dell'epoca. Una società sviluppa le proprie capacità e le proprie abitudini, che hanno un aspetto visivo, dal momento che la vista è il principale organo di esperienza, e queste capacità e abitudini diventano parte degli strumenti espressivi del pittore. Analogamente uno stile pittorico consente di risalire alle capacità e alle abitudini visive e tramite queste, all’esperienza sociale tipica di un’epoca. Il dipinto è un documento visivo che dobbiamo imparare a leggere, accostandoli al giusto contesto. Non analizzandoli al livello di una storia sociale illustrata: se osserviamo che Piero tende a una pittura legata alla misurazione, Beato a un tipo di pittura connessa alla devozione e il Botticelli a una ispirata alla danza, osserviamo qualcosa che riguarda non solo loro ma la società in cui vivevano.
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