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Platone riassunto appunti della lezione, libro, video su YouTube, Schemi e mappe concettuali di Filosofia Teoretica

Platone riassunto appunti della lezione, libro, video sui YouTube chiaro e facile

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2022/2023

In vendita dal 08/02/2023

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Scarica Platone riassunto appunti della lezione, libro, video su YouTube e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Filosofia Teoretica solo su Docsity! Platone Filosofi dell’età classica [500-300 a.C.]: problema dell’uomo come essere umano e come cittadino:  Protagora 490-411 a.C.  Gorgia 485-376 a.C.  Socrate 470-399 a.C.  Platone 427-347 a.C.  Aristotele 384-322 a.C. Platone: introduzione del pensiero Platone nacque ad Atene nel 427 a.C. da una famiglia aristocratica. A vent’anni diventò discepolo di Socrate. Socrate ebbe un influsso fortissimo su di lui, ma successivamente Socrate fu accusato di corruzione e fu ucciso. La morte di Socrate rivoluzionò completamente i piani di vita del giovane Platone, che inizialmente voleva diventare un politico. Platone ritenne quella condanna così ingiusta che arrivò a condannare tutta la politica di quel tempo. La morte di Socrate condizionò così tanto Platone da metterlo in discussione non solo dalla politica ma anche dalle vita stessa. Con la crisi della politica e la crisi esistenziale dell’uomo viene in aiuto la filosofia, l’unico mezzo per condurre l’uomo e la comunità verso la giustizia. Platone è stato il primo filosofo dell’antichità di cui c’è rimasto tutto ciò che ha scritto. Le sue opere possono essere suddivise in tre periodi, dunque anche la sua filosofia può essere suddivisa in tre periodi.  Il primo periodo è caratterizzato dagli scritti giovanili riguardanti l’apologia di Socrate; (protagora, repubblica I, il gorgia, ione, cratilo).  Il secondo periodo è caratterizzato da una maggiore maturità nella scrittura e nella sua filosofia, in questo periodo egli scrisse la maggior parte del delle sue opere più famose, riguardanti la dottrina delle idee e teoria dello stato (il simposio e la Repubblica II-X, Menone, Fedone, Fedro).  Il terzo periodo è quello della vecchiaia caratterizzato dalle opere riguardanti il focus sull’essere. Lui utilizza una forma dialogica per i suoi scritti, che si rifà al famoso dialogo socratico. Il dialogo è qualcosa di dinamico di aperto che si trasforma, esattamente come la filosofia: una ricerca aperta che non si conclude mai. La filosofia per Platone è paragonabile ad un amante: l’amante, per sua natura, ricerca il suo amato ma non riesce mai a raggiungerlo. La filosofia è un percorso lungo per tutta la vita che si trasforma sempre in un cambiamento incessante. (Punti cardine della filosofia di Socrate) Primo periodo Secondo Socrate la virtù non sono qualcosa di innato che abbiamo a disposizione sin da quando nasciamo, ma esiste una sola virtù che si identifica con la scienza. La virtù è un sapere razionale e può essere insegnata. Infine, la virtù come scienza è l’unica via per la felicità: l’uomo virtuoso è l’uomo felice. Platone, alla base di ciò, sottolinea che la virtù non è molteplice, ma è unica e coincide con la scienza, dunque, anche l’ideale ossia il valore che la virtù vuole realizzare è unico. L’unico valore che ingloba tutti gli altri è il bene: unica è la virtù ossia l’attività umana che deve realizzare il bene. La filosofia vuole scorgere quel tratto dell'identico al di là del mutevole, vuole stabilire che vi sia qualcosa che sia un bene in sé. Esistono le virtù etiche: sono la capacità di esercitare al meglio i propri comportamenti. Poi ci sono le virtù dianoetiche, che sono invece quelle legate al pensiero; cioè le disposizioni comportamentali al conoscere. 1 Platone Nello Ione, Platone si sofferma sulla famosa frase “io so di non sapere” di Socrate, affermando che l’uomo deve riconoscere di essere ignorante, perché questo è il primo passo per poter fare ricerca basandosi sulla scienza. Secondo Socrate la concezione di male è correlata all’ignoranza, alla non conoscenza del bene. Chi sono i sofisti? La sofistica era un movimento culturale che si diffuse ad Atene nel V secolo. Il termine Sofista deriva dal greco, che significa “sapiente” [sophistes= professionisti della sapienza]. Questo termine ha assunto un connotato negativo, poiché associato a filosofi che vennero ritenuti da Senofonte “prostituiti della cultura” perché si facevano pagare dalla classe dirigente dell’epoca, per fare filosofia, ossia per dare alla classe dirigente gli strumenti per poter essere abili nel loro mestiere, attraverso l’insegnamento della retorica (l’arte del saper parlare) e della grammatica. Es. insegnavano ad un uomo politico come fare bene l’uomo politico (In campo politico corrisponde ad una capacità persuasiva). I l sapere insegnato dai sofisti, dunque, mira all’utile, finalizzato in vista dell’acquisizione di un potere. Ha un fine esterno a se, rappresentato dall’utile. A quei tempi, dunque, era inconcepibile essere pagati per essere filosofi. Platone e Aristotele consideravano i sofisti degli “pseudo-filosofi” perché la loro filosofia aveva un prezzo, non praticando la filosofia per il puro amore di sapere: il filosofo è colui che ama la sapienza, il sofista è un professionista della sapienza. I sofisti contrariamente ai precedenti filosofi “presocratici o naturalisti”, pensatori che nel porre la domanda sull’origine del tutto si domandarono quali fossero i meccanismi che governano e regolano la realtà che li circonda ossia la natura=physis (pronuncia fiusis), spostarono il focus della filosofia sull’uomo come essere umano e come cittadino, poiché l’uomo è un animale sociale. Protagora fu il padre della sofistica, il fulcro della sua filosofia si può individuare nella frase: “L’uomo è misura di tutte le cose, delle cose che sono in quanto sono, delle cose che non sono in quanto non sono” in tal senso, l’uomo è il metro di giudizio di tutte le cose: l’uomo è il giudice riguardante alla cosa se sia è reale o non reale e quale significato dare a quella determinata cosa. Platone ha interpretato tale frase affermando: “quali le singole cose appaiono a me, tali sono per me e quali appaiono a te, tali sono per te: giacché uomo sei tu e uomo sono io” riferendosi all’uomo come singola persona e le cose agli oggetti percepiti ai sensi. Es. io bevo la limonata e la trovo gustosa, tu bevi la limonata e la trovi disgustosa, poiché ognuno ha una percezione diversa dei sensi. Dunque la percezione è mutevole: la visione si rifà all’idea che la realtà è un perenne divenire, è anche vero che la realtà ci appare mutevole, ma Platone ritiene che il mutevole si può comprendere solo in riferimento a ciò che non muta. Allora come si distingue ciò che è vero da ciò che non lo è? (Questa è la domanda filosofica che preme Platone nella repubblica). Tutto ciò viene identificato nel principio del relativismo: Protagora e i sofisti ritenevano che la realtà fosse relativa perché dipende dal punto di vista dal quale si guardano le cose. Il relativismo può condurre alla tesi secondo cui tutto è vero, portando ad una sostanziale anarchia. Secondo Protagora tutto ciò che è stato comprovato storicamente e socialmente utile all’uomo in quanto individuo, all’uomo nella sua comunità e all’uomo in quanto specie, allora è la verità da seguire, questa teoria viene definita “principio dell’utilità”. 2 Platone conoscenza delle cose. Il nostro linguaggio si fonde sulla volontà di comprenderci reciprocamente, e questo avviene dando significati determinati alle parole che si dicono: questo principio è il principio della determinatezza semantica. Nel Cratilo si contrappongono tre teorie: 1. La tesi dei sofisti secondo cui il linguaggio è una convenzione scelta dall’uomo 2. Tesi di Cratilo che riteneva che il linguaggio è il prodotto di un’azione causale delle cose 3. Secondo la tesi di Platone il linguaggio è un prodotto dell’uomo e serve per creare un ponte tra l’uomo e la conoscenza delle cose. 2 periodo Il definire che cos’è una cosa è il metodo che consente, secondo Platone, di superare il relativismo tipico dei sofisti, per giungere ad un sapere assoluto. Ed è proprio su questo il momento dell’inizio del secondo periodo con la formulazione della teoria delle idee che spinge Platone oltre il suo maestro superandolo e strutturando la propria filosofia, il proprio pensiero. Platone sostiene che la scienza debba essere qualcosa di immutabile e stabile, ossia qualcosa di perfetto. Ciò che si chiede Platone è: Qual è l’oggetto della scienza? Secondo Platone, l’oggetto della scienza sono le idee. Per Platone un’idea è un’entità perfetta e assolutamente immutabile che esiste sempre e a prescindere. È un’entità a sé ed è per questo che Platone sostiene sia una sostanza autonoma, una vera e propria realtà parallela alla nostra che, unitamente alle altre idee costituisce una zona d’essere che non è la nostra e che il filosofo chiama “iperuranio”. L’iperuranio è una metafora perché questa parola in greco sta a significare “al di là del cielo” e quindi indica qualcosa che è diverso dalla nostra zona d’essere ed è qualcosa di immutabile esattamente come il cielo secondo i greci. Le idee sono quindi diverse dalle cose anche se tra di loro esiste uno stretto rapporto che Platone sostiene essere un rapporto modello-copia perché le cose rappresentano delle copie ossia delle imitazioni imperfette delle idee. Le cose sono delle copie imperfette, e il modello da seguire sono le idee. Le idee e le cose rappresentano un dualismo chiamato dualismo ontologico. L’ontologia riguarda l’essere e le idee vivono in una zona d’essere diversa dal nostro mondo che si chiama iperuranio. Invece le cose vivono nella nostra zona d’essere, nel nostro mondo. È per questo che parliamo appunto di dualismo ontologico perché le idee e le cose sono due tipi di essere diversi. Esiste però anche un altro dualismo, chiamato dualismo gnoseologico. La gnoseologia è la teoria della conoscenza. In questo dualismo infatti troviamo la contrapposizione tra scienza e opinione dall’altra.  Da un lato abbiamo l’opinione che è una verità imperfetta e mutevole esattamente come le cose che abbiamo detto essere imperfette e mutevoli, non rappresenta la verità.  Dall’altro lato troviamo invece la scienza che, esattamente come le idee, è perfetta e immutabile proprio perché la verità che esprime è perfetta e immutabile. Secondo il filosofo ci sono sostanzialmente due tipi di idee: 1. Le idee-valori: troviamo i massimi principi dell’etica, dell’estetica e della politica, per esempio, l’idea di bene, l’idea di giustizia, l’idea di bellezza. Perché si chiamano idee-valori? 5 Platone Si chiamano così proprio perché queste idee richiamano dei valori, degli ideali. La giustizia è un’ideale così come il bene è un’ideale, un valore. 2. Le idee-matematiche: corrispondono all’aritmetica e alla geometria. Secondo il filosofo, le classi dei numeri così come il quadrato sono delle idee, immutabili e perfette mentre ciò che noi cerchiamo di fare nel nostro mondo non sarà perfetto. Es. Nel nostro mondo non riusciremo mai a fare un quadrato perfetto ma sarà sempre una copia imperfetta e approssimativa. Quindi esiste l’idea di quadrato che sta nell’iperuranio e poi esistono delle copie imperfette e approssimative. Le idee non sono un insieme disorganizzato, ma sono organizzate con un sistema gerarchico piramidale. Al vertice della piramide c’è il Bene e in cima alla piramide ci sono le idee-valori. Quindi il bene rappresenta l’idea delle idee, ciò a cui tutto tende. Il bene è la massima perfezione a cui tutte le altre idee tendono ad imitare. Secondo Platone, le idee non si generano dal Bene ma sono per l’appunto immutabili ed eterne. Le idee guardano verso il bene perché il bene è il modello massimo, supremo a cui ispirarsi. Esiste uno stretto legame tra le idee e le cose, per due motivi principali: 1. Il primo è che le idee rappresentano un criterio di giudizio delle cose: bisogna fare riferimento alle idee per poter giudicare le cose perché le idee sono il nostro metro di giudizio. 2. Il secondo motivo è che le idee, oltre ad essere un criterio di giudizio, sono anche la causa delle cose perché tutto si muove e viene valutato sulla base delle idee. Quindi, se nel primo caso le idee sono la condizione di partenza per poter pensare a determinati oggetti, nel secondo caso le idee sono la condizione dell’esistenza stessa degli oggetti o il motivo per cui esistono. Le tre caratteristiche del rapporto tra idee e cose sono: 1. Mimesi (le cose imitano le idee), 2. Metessi (le cose partecipano alla costituzione delle idee), 3. Parusìa (le idee sono presenti dentro le cose). Come entriamo in contatto con il mondo delle idee? Secondo il filosofo le idee non possono essere conosciute attraverso i 5 sensi perché i 5 sensi servono solo a conoscere le cose materiali e imperfette del nostro mondo. Quindi, le idee possono essere il frutto di un processo mentale e capacità intellettuale. Da dove arriva questa capacità intellettuale? Attraverso la teoria della reminiscenza, Platone risponde al quesito: sostiene che l’anima prima di entrare in un nuovo corpo vive nel mondo delle idee e tra una trasmigrazione e l’altra viene a conoscenza delle idee e della loro essenza perfetta. Quando l’anima entra dentro un corpo ed entra quindi nel nostro mondo mantiene però una reminiscenza ossia un ricordo. In questo senso, la teoria di Platone è una forma di innatismo, nel senso noi conosciamo non tramite l’esperienza concreta ma tramite qualcosa che abbiamo già innato proprio perché è stata l’anima prima di nascere che ha acquisito quelle competenze perché ha conosciuto le idee. Conosciamo le idee già da quando nasciamo. “Conoscere è ricordare”. Riferimento alla memoria . 3 prove sull’immortalità dell’anima 6 Platone La teoria della reminiscenza porta con sé un’altra teoria di Platone. Se l’anima trasmigra da un corpo all’altro allora l’anima è immortale. Nel Fedone, Platone sostiene l’immortalità dell’anima e in questo scritto propone 3 prove per dimostrare la sua tesi.  La prima prova è la prova dei contrari che riprende la credenza di diversi filosofi secondo cui tutto si origina del proprio contrario: ossia il caldo si origina dal freddo, il sonno dalla veglia e via dicendo. Allo stesso tempo, secondo questa teoria, la morte origina dalla vita e la vita si genera dalla morte e in questo senso l’anima rivive dopo la morte del corpo fisico.  La seconda prova, invece, è la prova della somiglianza che compara le anime con le idee sostenendo che esse sono simili ed essendo eterne le idee sono eterne di rimando anche le anime. Le anime e le idee sono semplici e, contrariamente a ciò che è composto e che quindi si può distruggere, le cose semplici non possono essere né create né distrutte.  La terza prova è la prova della vitalità dove Platone ritiene che l’anima partecipi all’idea di vita perché è un soffio vitale e per questo motivo non può avere in sé l’idea della morte che è l’idea opposta della vita. La teoria dell’immortalità è stata utile a Platone per spiegare come l’uomo riesca a conoscere le idee ma, allo stesso tempo, è stata utile per risolvere il problema legato al destino dell’uomo . Come si determina il destino dell’uomo? Secondo il filosofo il destino viene stabilito direttamente dall’anima quando era nel mondo delle idee. Secondo Platone, quindi, è l’anima che sceglie precedentemente che destino avrà. (Reincarnazione: Platone sostiene che l’uomo scelga il suo destino pur comunque guidato dalle sue esperienze pregresse nelle vite precedenti. ) Filosofia come preparazione alla morte Platone, nel Fedone, ritiene che la filosofia debba essere vista come preparazione alla morte . La filosofia, secondo Platone, è qualcosa che ti spinge verso il mondo delle idee allontanandoti dal mondo terreno fatto di un corpo fisico e di 5 sensi con i quali conosciamo le cose del mondo. Chi sta nel mondo delle idee? Le anime non ancora reincarnate quindi non ancora in vita. Staccarsi dal mondo delle cose per andare verso il mondo delle idee significa prepararsi a quel distacco terreno dal corpo per avvicinarsi e prepararsi quindi alla morte ossia a quel momento in cui l’anima si libera finalmente dal corpo per raggiungere l’iperuranio. Cosa intende Platone per verità? Quando l’uomo conosce la verità? Secondo Platone l’uomo non possiede tutta la verità: se avessimo già tutta la verità in tasca, smetteremmo di cercarla. E se, al contrario, non avessimo nessuna verità in tasca, ci scoraggeremmo e non la cercheremmo più. Quindi noi non abbiamo verità ma abbiamo quella che può essere definita pre-conoscenza ossia una sorta di ignoranza che vuole sapere, che vuole imparare, che vuole trovare la strada verso la conoscenza piena. E in questo Platone si avvicina molto al suo maestro Socrate e all’idea del sapere di non sapere e alla continua ricerca del sapere in tutte le sue forme. In generale è opinione comune pensare che la verità sia una cosa giusta , è come se stabilissimo un'affinità tra verità e giustizia, ciò che li lega è il fatto che la filosofia sin dall'inizio è alla ricerca della verità. La verità è l’oggetto proprio della filosofia, ma non solo il contenuto, ma è proprio la finalità stessa della filosofia. Platone la definisce così esplicitamente, la sofia, la teoria è “epistemetes aleteies” = scienza della verità, una verità in generale. 7 Platone Secondo il filosofo, la divisione in classi è obbligatoria affinché lo Stato possa esistere perché ogni classe sociale ha il suo specifico compito all’interno dello Stato. I governatori guideranno lo Stato, i guerrieri lo proteggeranno mentre i lavoratori produrranno beni e servizi atti alla sopravvivenza di tutti. Come si fa a determinare che quella specifica persona debba far parte di quella classe sociale? secondo Platone, la persona apparterrà ad una classe sociale in base alla parte dell’anima che è più preponderante in lui. Se prevale la parte razionale allora sarà più predisposto a usare la saggezza che è la virtù dei governanti. Se prevale, invece, la parte impulsiva sarà più predisposto ad usare il coraggio che è la virtù dei guerrieri. Ed, infine, se prevale la predisposizione degli individui verso l’appagamento dei bisogni corporei, allora probabilmente il lavoratore sarà la sua classe sociale. Chi è felice in questo Stato? Secondo Platone, la felicità dipende dalla giustizia . Nello Stato di Platone è felice colui che adempie al proprio compito e, quindi, è giusto. Se viene rispettata e valorizzata la giustizia, allora tutti sono felici. Per i filosofi, che sono il più alto gradino sociale perché sono coloro che toccano con mano la conoscenza, sono felici a prescindere da tutto, a prescindere dall’appagamento di bisogni materiali e corporei. Platone suggerisce la comunanza dei beni nelle classi superiori. Secondo Platone, lo Stato e la giustizia possono funzionare bene nel momento in cui tutte le classi superiori, ossia i governanti e i guerrieri, condividono gli stessi beni e viene, pertanto, eliminata la proprietà privata . 2Secondo il filosofo, quindi, ci deve essere una comunione di beni per le classi superiori e i cittadini dovrebbero vivere una vita semplice, in una casa piccola, mangiando cibo semplice consumato insieme agli altri. Gli può essere riconosciuto il giusto per vivere, per poter procurare il giusto per sopravvivere. Verranno proibiti sia l’oro che l’argento perché l’obiettivo della città non è quello di rendere felice una classe di lavoratori ma è il bene di tutti. Nel Gorgia Platone dice che l'ideale di chi sta al governo, dovrebbe avere pochi beni; nella Repubblica invece c'è quella famosa metafora della città malata e i suoi medici. Se lo scopo di un buon governo sta nella capacità dei cittadini di riconoscere un buon capo, ci vuole un progetto di rinnovamento civile e pedagogico che deve essere promulgato dallo stato. Infatti, nella Repubblica Platone dice: “Il nostro scopo nel fondare lo Stato non è di rendere felice un unico tipo di cittadini, ma che sia felice quanto più è possibile lo Stato nella sua totalità. Non dobbiamo distinguere nello Stato una parte di pochi cittadini da rendere felici, ma vogliamo la felicità di tutti”. (Repubblica, IV, 420b-c) Nel suo Stato ideale, quindi, non può esistere né la ricchezza ma nemmeno la povertà. Platone suggerisce anche la comunanza delle donne per la classe dei governanti: Il matrimonio era temporaneo e volto alla procreazione di figli sani. I figli, una volta nati, non dovevano sapere chi erano i propri genitori e viceversa così da creare una famiglia unica e solidale. Le donne non erano viste come delle prositute, ma anzi, erano viste in egual modo agli uomini. Disgregazione dello stato Platone aveva teorizzato l’esistenza di uno Stato ideale un modello perfetto a cui ogni Stato reale dovrebbe tendere. Secondo Platone esistono quattro principali forme di degenerazione dello Stato e, di conseguenza, del singolo individuo. Le forme patologiche dello Stato sono:  La timocrazia che vede al comando i governanti ed è basata sull’onore;  L’oligarchia che è, invece, basata sul censo dove comandano i ricchi; 10 Platone  La democrazia dove ogni cittadino è libero di fare ciò che vuole;  La tirannide dove i cittadini sono privati di libertà e guidati da un tiranno Secondo Platone, invece, la forma ideale e perfetta, quella fisiologica e non patologica, è quella dello Stato ideale che aveva teorizzato che non è per l’appunto possibile nella vita reale ma è quel modello a cui tutti gli Stati dovrebbero tendere. Nello Stato ideale di Platone, guidano i “migliori”, che devono essere guidati dalla virtù della saggezza. Lo stato di Platone è quindi una forma di sofocrazia ossia il governo dei sapienti o anche di noocrazia ossia il governo dell’intelligenza. Non tutti posso fare politica e guidare il paese. Lo possono fare solo i governanti che comandano il paese senza necessità di chiedere il parere dei governati come si fa in una democrazia. Tutto viene centralizzato e comandato direttamente dallo Stato. Per tale motivo la teoria dello Stato di Platone è Antidemocratica. I governanti, anche chiamati custodi dal filosofo, prima di saper governare gli altri e custodire quindi gli altri, devono imparare a custodire sé stessi. Questo è possibile grazie ad un sistema educativo che deve garantire un’educazione appropriata. È lo Stato che si deve far garante dell’educazione dei custodi diventando una grande Accademia che ha come obiettivo quello di educare i custodi sin dalla nascita affinché questi possano guidare lo Stato in modo ineccepibile seguendo il fondamento dello Stato, ossia la giustizia e perseguendo il bene comune e non il proprio interesse. Al popolo non spetta alcun tipo di educazione tant’è che dice che è “ impossibile che la massa filosoficamente rifletta” (Repubblica, 494a). Che rapporto c’è tra filosofia e politica? Chi sono e cosa fanno i filosofi all’interno di questa comunità? Secondo Platone, la filosofia ha uno scopo politico che è quello di creare, attraverso tutte le conoscenze acquisite, una comunità felice basata sulla giustizia, fondamento dello Stato ideale. I filosofi hanno il compito di guidare lo stato. Repubblica VI Il sesto libro si apre con Socrate che riassume le caratteristiche principali dei filosofi (1 parte ) : ossia i filosofi sono coloro che contemplano ciò che permane costante e non sono coloro che si fermano al molteplice, alla molteplicità del variabile. I filosofi amano imparare ciò che mostra loro l'ousia derivante dal verbo eimi (essere) designa l'essere come essere stabile e immutabile, o anche la sostanza o essenza. In greco eimi significa sia "essere", sia "essere vero". I filosofi sono coloro che amano la verità, che odiano la menzogna e che sono i migliori garanti della custodia delle leggi e delle tradizioni dello stato. Il custode avrà delle caratteristiche che dimostreranno il suo modo di fare, ossia sarà misurato nelle parole, degli atteggiamenti, sarà temperante ed avrà soprattutto una buona memoria: se non fosse così e si dimenticasse facilmente quello che ha appreso studiando con tanta fatica, egli finirebbe con l’odiare se stesso. Dunque, non potrebbe essere che il filosofo il miglior guardiano, il miglior reggente del potere all’interno della Polis. A queste parole interviene Adimanto (fratello di Platone) il quale fa notare a Socrate, che tutti coloro che lo ascoltano non sono in grado di dimostrare l’opposto di ciò che lui, il maestro, sta rivelando con le proprie parole. Adimanto obietta che i filosofi sono persone stravaganti e inutili allo stato. Scorate risponde attraverso una metafora, La metafora della nave: Si pensi a una nave, il cui capitano è più grande e più forte di tutti i marinai, ma - pur non essendo cattivo – ha poca vista, è un po' sordo e inesperto di cose nautiche. I membri della ciurma litigano fra loro, contendendosi il timone, pur essendo anch'essi inesperti di marineria; anzi, affermando che quest'arte non è 11 Platone insegnabile, fanno continue pressioni sul comandante per ottenere il timone: ammazzano o buttano fuori bordo i concorrenti, o drogano il capitano. Egli esaltano chi li aiuta in queste loro intraprese, trattandolo come un esperto, anche perché, pur essendo privi di techne e di pratica, pensano che l'arte del pilota si acquisisca semplicemente prendendo il governo della nave. Il pilota competente, il quale sa che ci si deve preoccupare dell'"anno e delle stagioni, del cielo e degli astri", verrebbe trattato come un inutile chiacchierone con la testa fra le nuvole.  Il pilota competente è il filosofo possiede l’arte di guidare una nave, ossia una techne. Chi guida la nave ha un techne e un’episteme, conosce per esempio i principi meteorologici, ha delle conoscenze universali  I marinai hanno la semplice esperienza. I marinai dunque rappresentano i politici in un ammutinamento di crisi. Questa immagine può chiarire perché i migliori fra i filosofi sono considerati inutili: la loro inutilità dipende dal fatto che la gente non sente il bisogno di un filosofo come garante dello stato. I filosofi, dal canto loro, ritengono che non abbia senso spiegare alle persone perché mai dovrebbero assumere come proprio un bisogno, che i cittadini non avvertono: non è il capitano ad andare dai suoi marinai implorandoli di lasciargli in mano il governo della nave, non è il sapiente che va a bussare alla porta dell’ignorante, ed è malato a cercare il dottore, non il contrario . Chi è al governo della Polis nel momento in cui Socrate sta parlando, non è davvero in grado di governare, non ne ha le capacità e non è neanche in grado di servirsi delle prestazioni di coloro che ne hanno le vere capacità, ossia i filosofi. Sono dunque i filosofi, coloro che davvero più di tutti sono in grado di governare lo Stato giusto, cioè coloro che perseguono il vero e perseguendo la verità non possono che vivere una vita autentica. La verità viene ritenuta come qualcosa di giusto, qualcosa di buono: è in grado di arginare quella malattia della città per cui occorrono buoni medici, politici capaci di governare e di salvarla dalla tempesta, la nave rappresenta la città, e la tempesta rappresenta la crisi politica che sta attraversando. Ma l'accusa peggiore rivolta alla filosofia è che la maggior parte dei filosofi siano non solo inutili, ma malvagi (1.2 parte ) . Anche questo, dice Socrate, si spiega: Nonostante alcuni uomini abbiano questa naturale predisposizione alla filosofia, esiste la possibilità di una degenerazione di questa loro predisposizione. Tutto ciò può avvenire a causa di una cattiva educazione che non conduce i giovani filosofi al perseguimento della vera sapienza. Vi è quindi la concreta possibilità che i filosofi non diventino tali, lasciando quindi dei posti vacanti dei quali si appropriano delle persone che non hanno merito e conducono apparentemente una vita da filosofo, parlando di filosofia, discreditando così la vera arte filosofica. Ciò avviene, fatalmente, quando l'educazione è dominata da sofisti i quali insegnano, in sostanza, soltanto l'arte della manipolazione del popolo nelle assemblee, ma non offrono gli strumenti per criticare le opinioni della maggioranza e per ricercare: sono in grado di prevedere le reazioni della folla e vedono in questo, la vera arte della filosofia. Essi sono in grado, attraverso la retorica, di portare fuori strada i giovani filosofi ossia i giovani che sono predisposti a diventare tali. Così, la filosofia raramente verrà praticata dai migliori, per circostanze variamente accidentali come un esilio, o la cattiva salute, o il daimonion (voce divina che vietava al filosofo di compiere determinate cose), o la volontaria astensione da una vita politica che non si apprezza ma su cui si è impotenti ad influire: i veri filosofi preferiscono vivere una vita morigerata, al di fuori della visibilità dello spazio pubblico, nella speranza di morire in serenità e in pace pur dispiaciuti del fatto di non aver potuto incontrare uno Stato nel quale avrebbero potuto accrescere ancora di più la propria morale e contribuire attivamente all’interesse di tutta la collettività. 12 Platone - DC (secondo segmento) rappresenta quegli enti, cioè tutti quegli enti sensibili che proiettano la loro immagine sotto forma di ombre, e di riflessi sull’acqua. pistis (credenza) - Nel mondo intelligibile, CE (terzo segmento) rappresenta l’anima che indaga sulle cose partendo dalle immagini, ossia da delle ipotesi e conduce il proprio percorso di indagine verso le conclusioni che si riproponeva di dimostrare, non verso l’archè ossia il principio . Il procedimento conoscitivo in CE è simile a quello dei matematici e dei geometri: fanno uso di immagini visibili, ma le loro argomentazioni si valgono delle immagini solo a scopo illustrativo, perché le cose di cui parlano sono conoscibili solo con la dianoia, o pensiero discorsivo. dianoia (pensiero discorsivo, fondato su ipotesi) - EB (quarto segmento) non vede l’anima indagare attraverso le immagini, ma solo attraverso le idee: ha ad oggetto l'anypotethon, il non ipotetico o incondizionato; anch'essa, però, muove da ipotesi, ma valendosi di idee e non di immagini. noesis (capacità di dialeghestha i, cioè di discutere e di mettere in relazione idee arrivando ai princípi). - Repubblica VII Il settimo libro inizia con l’introduzione di un mito, il mito della caverna (prima parte). (Descrizione) I protagonisti di questo mito sono degli schiavi che si ritrovano incatenati in una caverna con le spalle contro un muro e costretti a guardare di fronte a sé dove c’è un altro muro. Gli schiavi incatenati, grazie al fuoco e alla luce che entra dalla caverna, vedono riflessi davanti al muro fronte a loro delle immagini che, per loro, rappresentano la realtà perché loro non sanno che dietro al muro ci sono delle persone che mostrano delle statue. Per gli schiavi, ciò che vedono è la realtà. Solo se uno schiavo si riuscisse a liberare, riuscirebbe a capire che quello che riteneva la verità, la realtà riflessa era tutta una bugia. Non era la vera realtà. Era la sua percezione di realtà. Lo schiavo, liberatosi, e scoperto l’arcano, cercherà di uscire dalla caverna. Quindi, uscirà dalla caverna e, abbagliato dalla luce accecante, del sole farà inizialmente fatica a distinguere le cose del mondo tant’è che avrà bisogno di vedere le cose riflesse nell’acqua. Ci vorrà un po' di tempo per scoprire che la vera identità delle cose e rimanerne stupefatto tant’è che, ad un certo, vorrebbe rimanere lì in contemplazione totale delle cose e del sole. Lo schiavo ha conosciuto le cose del mondo e ha scoperte che quelle statuette che prima gli sembravano la realtà, sono una finzione, un’imitazione. E allora vuole andare a rendere partecipi gli altri schiavi di ciò che ha visto e scende di nuovo nella caverna. Il buio lo avvolge, l’oscurità non consente più ai suoi occhi di discernere le ombre, non le vede più quelle ombre, e così gli altri schiavi lo prenderebbero in giro dicendogli che ha gli occhi “guasti” non in grado di vedere per quella che è. Infatti, loro sono ancora convinti che le statuette che vedono riflesse sul muro sono la realtà. E alla fine, sono talmente infastiditi da questo schiavo che vede delle cose diverse dalle loro che lo uccidono. 15 Platone Con il mito della caverna, Platone vuole dare un ulteriore spiegazione di quella che è la divisione tra il mondo sensibile (mondo degli oggetti) e il mondo intelligibile (mondo delle idee). La caverna rappresenta un carcere per gli uomini, per la verità. Uscire dalla caverna equivale all’ascesa dell’anima del mondo del variabile al mondo dell’essenze: acquisire la piena conoscenza, l’intelligenza. Quest’intelligenza deve essere traghettata attraverso l’educazione, poiché questa conoscenza potrebbe essere utilizzata per il male e non per il bene. Per tale motivo, Socrate introduce l'allegoria della caverna per spiegare a Glaucone la differenza fra paideia (Dal greco, Formazione o educazione: riferendosi all'istruzione scolastica dei fanciulli, al loro sviluppo etico e spirituale al fine di renderli cittadini perfetti e completi, una forma elevata di cultura in grado di guidare il loro inserimento armonico nella società) e apaideusia (il suo contrario). Socrate, stesso, dopo aver esposto il mito, che contrappone il mondo della doxa a quello dell’aletheia, ripete che la sua chiave interpretativa è la questione della paideia: la paideia filosofica ha una portata critica perché, come dice Platone, aiuta a riconoscere ciò che già si sa, a riconoscere il vero . La verità è la capacità dell’uomo di svelare l’essere, ossia la realtà e la natura che lo circonda. Ma al tempo stesso, la natura ama nascondersi, come ci dice Eraclito, e fa sì che l’impresa dello svelamento della verità sia ardua. Da qui, entra in gioco la famosa narrazione del mito della caverna: nasce dal bisogno di spiegare perché i filosofi sono titolati a governare la città, perché conoscono qualcosa che sfugge all’uomo comune; questa esigenza però parte anche dalla polemica dei sofisti e dall’esigenza di motivare il perché dell’esistenza. L'educazione civica dei filosofi (2 parte). È importantissimo istruire i giovani attraverso una techne di conversione: non si tratta di dare alle persone informazioni o capacità che non possiedono, ma di indurle a voltarsi dalla parte giusta, in modo da permetter loro di far uso di una facoltà che già possiedono. Il filosofo ha il compito di insegnare agli altri la razionalità: la filosofia è capacità critica, non è capire le nozioni, ma è mettere le condizioni di capire. Mentre le altre virtù dell'anima, come quelle del corpo, si acquistano con l'abitudine e l'esercizio, la capacità di discernere è una dote personale che non perde mai la sua virtù. I ragazzi devono utilizzare quest’intelligenza nel modo migliore e non deve essere una conoscenza fine a se stessa: colui che si libera dalle catene e riesce a volgere lo sguardo alla verità, non dovrà fermarsi al vero, ma portare con se la verità agli altri schiavi incatenati. Coloro che sono usciti dalla caverna non vorrebbero mai tornare sottoterra e per questo occorre indurli a farlo. 16 Platone Glaucone ripete una obiezione che gli era già stata fatta: in questo modo, i filosofi sono trattati ingiustamente, perché vengono fatti tornare nella caverna quando stanno meglio fuori. Socrate gli risponde ricordando che il suo scopo non è finalizzato al godimento di una singola classe polis, ma della intera (hole) polis. Per questo, a turno, devono ridiscendere nel mondo tenebroso della caverna. Una volta riabituatisi all'oscurità, ossia dovranno svolgere i propri compiti come amministratori dello stato. La città meglio governata è quella i cui reggitori hanno meno voglia di dedicarsi al governo e meno interesse privato per il potere. Gli studi dei filosofi: il quadrivium. (3 parte) I filosofi devono essere educati in modo tale che la loro anima non sia attratta dal mondo di ciò che diviene o è generato (to gignomenon), bensì dal mondo di ciò che è (to on). Ginnastica e la poesia non possono svolgere questa funzione, perché si limitano a conferire armonia e buone abitudini. Il carattere essenziale delle discipline da studiare, sta nella loro capacità di risvegliare la noesis, cioè la capacità di dialeghesthai. Per questo, le discipline proposte da Socrate per l'educazione dei filosofi sono: 1. L’aritmetica (l’arte del calcolo) 2. La geometria (la scienza degli enti immutabili) 3. L’astronomia (la scienza dei cieli e del movimento) 4. La musica (la scienza dell’armonia) Queste quattro discipline sono fondamentali per un filosofo perché lo preparano alla scienza suprema che è la dialettica ossia la scienza delle idee. La dialettica. (4 parte) Queste discipline vengono classificate da Socrate come dianoia, e aiuteranno il giovane ad apprendere quella che è l’arte della dialettica, l’unico strumento in grado di condurlo al vero sapere. L'educazione filosofica non va intesa come trasmissione di informazioni e addestramento, ma come stimolo ad orientarsi, da sé, nel pensiero. Quello che i pratici danno per scontato, i filosofi sanno metterlo in discussione. Il dialettico, prosegue Socrate, è in grado di afferrare il logos (la logica) dell'ousia (dell’essenza) di ogni cosa. La dialettica è l’unico strumento in grado di cogliere pienamente e universalmente l’essenza di ciascun essere individuale. Caratteristica della dialettica platonica è quello di essere capaci di un’“epistrophe"=conversione dello sguardo: capacità dell’individuo nella sua interezza, fatta di apprensione sensibile e conoscenza intellettuale in grado di volgere lo sguardo verso l'autentica realtà. Inoltre, è quella tecnica in cui attraverso una fitta rete di domande e risposte, le opinioni false vengono scartate e le opinioni vere diventano una conoscenza di tipo inequivoco, cioè una conoscenza per cui è impossibile che si possano avere opinioni contrarie su una determinata cosa. Quindi alla dialettiche si perviene, attraverso la dimostrazione di quali opinioni sono vere e quali sono false. Si dovranno scegliere i giovani che dimostreranno di essere più ingegnosi, che abbiano una maggiore memoria, poiché sarebbe frustrante per un giovane studiare molto e apprendere molto per poi dimenticare tutto quello che ha appreso: questa è una dote del vero filosofo, ossia la memoria. La dialettica, però, dovrà essere prerogativa dell’uomo più maturo, non dovrà essere usata dei giovani che potrebbero snaturar l’utilizzo, dirigendosi quindi verso il male non verso il bene. L’uomo maturo invece sarà in grado di discernere il bene dal male e usare la dialettica per raggiungere la verità. Fatto ciò, il filosofo dovrà mettere in pratica ciò che hai imparato: ritornare nella caverna e 17
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