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Ungaretti: Vita e Opere - La Poesia di Giuseppe Ungaretti, Dispense di Letteratura Italiana

Giuseppe Ungaretti, nato a Alessandria d'Egitto nel 1888, fu un poeta precursore dell'Ermetismo in Italia. la vita e le opere di Ungaretti, che rompe con le regole tradizionali della poesia e trionfa con una tensione espressionista. Le poesie di Ungaretti, in particolare quelle della prima fase, sono incomprensibili senza collocarle nell'esperienza biografica della guerra.

Tipologia: Dispense

2020/2021

Caricato il 03/08/2021

vincenzo-del-gatto
vincenzo-del-gatto 🇮🇹

4.3

(26)

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Scarica Ungaretti: Vita e Opere - La Poesia di Giuseppe Ungaretti e più Dispense in PDF di Letteratura Italiana solo su Docsity! Poeti del Novecento Giuseppe Ungaretti «Il mistero c’è, è in noi. Basta non dimenticarcene»: è una delle frasi note di Giuseppe Ungaretti, poeta precursore dell'Ermetismo fra i più importanti del Novecento italiano. Ungaretti aggiunge: «Il punto d'appoggio sarà il mistero, e mistero è il soffio che circola in noi e ci anima...». Forse per cominciare a parlare di questo grande poeta non possiamo che partire dal mistero, quel qualcosa che non possiamo capire o afferrare; eppure per la nostra stessa natura di uomini vogliamo sempre indagarlo. Le parole di questo poeta ci avvicinano alla verità ma lasciando aperto uno spazio: una continua, incessante, approssimazione all’assoluto. Tutto è misterioso. Persino un fiore. «Tra un fiore colto e l’altro donato / l’inesprimibile nulla», scrive il poeta in Eterno. In Ungaretti vibrano i grandi interrogativi dell’uomo con una chiarezza e un’urgenza che lo assimilano certamente a Leopardi perché anche di fronte al dolore più insensato, come la morte di un figlio, riuscì a mantenere viva la speranza, segno di un cuore sempre indomito e guerriero. Fu un poeta straordinario, Ungaretti, e la sua influenza sulle generazioni successive fu profonda. Francesco Flora quasi non si rassegnava al fatto che la poesia di Allegria - insieme delle sue prime raccolte - funzionasse, cosciente di quanto fosse pericolosa l’operazione di una improvvisa rottura con ogni forma di tradizione poetica italiana. Ma Ungaretti non fu mai imitatore di sé stesso: il suo stile cambiò, sempre seguendo il suo cuore indomito e il suo spirito guerriero. Infatti, nel giorno del suo ottantesimo compleanno, Ungaretti, tracciando un bilancio della sua vita, affermò: «Sono stato un uomo della speranza; anzi, il soldato della speranza». Ungaretti, vita e opere Giuseppe Ungaretti nasce l’8 febbraio 1888, in una notte tempestosa, ad Alessandria d'Egitto da Antonio Ungaretti e Maria Lunardini, entrambi lucchesi. | suoi genitori si erano trasferiti per lavoro, dal momento che il padre lavorava alla costruzione del canale di Suez. Giuseppe avrà sempre un ricordo profondo del deserto che osservava nella sua città di infanzia. Resta orfano del padre che muore in un incidente di lavoro (1890). La madre fa di tutto per mandare avanti la famiglia e garantire al figlio una discreta educazione. Frequenta l'Ecole Suisse Jacot, ed è lì, tra i banchi di scuola, che scopre la passione per la letteratura. Frequenta Enrico Pea presso la “Baracca rossa”, un ritrovo per anarchici e socialisti. Attraverso le riviste «Mercure de France» e «La voce» si apre alla poesia contemporanea francese e italiana. Nel 1912, dopo cinque giorni passati sul ponte di una nave, arriva in Italia e, successivamente, si stabilisce in Francia, a Parigi, per studiare alla Sorbonne. Prende alloggio in un alberghetto, in rue Des Carmes, «appassito vicolo in discesa», insieme all'amico Mohammed Sceab, che morirà suicida. Parigi in quegli anni brulica di artisti da tutto il mondo: Ungaretti ha l’occasione di stringere amicizie importantissime, che lo legano all’avanguardia artistico-letteraria. Bastino questi nomi: Apollinaire, Palazzeschi, Picasso, Modigliani, De Chirico. Nel 1915, poco dopo aver pubblicato le sue prime poesie sulla rivista «Lacerba», si arruola volontario in fanteria per lo scoppio della Grande Guerra: comincia quella straordinaria e drammatica esperienza al fronte, circondato, asfissiato dalla morte. Combatte sul Carso e sul fronte francese. In trincea Ungaretti scrive «lettere piene d'amore»: le poesie che andranno a far parte della raccolta Il porto sepolto, pubblicata prima a Udine in pochissime copie, grazie all'amico Ettore Serra. Sono poesie fulminanti, rapide, concise, dove l'emozione che le sostiene cerca la costante complicità del lettore. Una seconda edizione è datata 1923, con l'introduzione nientedimeno che di Benito Mussolini. In questa raccolta Ungaretti rompe con tutte le regole tradizionali della forma poetica e trionfa, invece, una tensione espressionistica che nasce dall’urgenza biografica; quindi, si esalta la parola in sé stessa come in una sorta di «religione della parola». Infatti, verso e parola molto spesso coincidono perché il poeta aveva bisogno di dire molto con poche parole: «Le poesie dell'Allegria sono scritte per dire con la massima precisione possibile (non si arriva mai ad esprimersi con precisione), ma, insomma, per dire con la massima approssimazione quello che sentivo: dire così in pochissime parole... Non c'era tempo». (da Vita, poetica, opere scelte, Mondadori, 2007). Inoltre nel Commiato che chiude Il porto sepolto, scrive: Nel 1919, a guerra finita, è a Parigi. A Firenze viene pubblicata la sua raccolta Allegria di naufragi, un titolo leopardiano. Nel 1920 sposa Jeanne Dupoix, un’insegnante di francese, dalla quale ha due figli Anna-Maria e Antonietto. Nel 1921 si trasferisce a Marino (Roma) e collabora con il Ministero degli Affari Esteri e nel 1928 Ungaretti si converte al cattolicesimo a seguito di un tormentato percorso interiore. Nel 1930 muore la madre, cui dedica una poesia piena che esprime un dolore composto e la speranza di rivederla, un giorno. Nel 1931 pubblica l’Allegria che raccoglie le poesie delle prime due raccolte. Intanto viaggia molto tra il 1931 e il 1933 perché è inviato all’estero da «La Gazzetta del Popolo». Pubblica un’altra grande raccolta: Sentimento del tempo, nel 1933, in cui recupera scelte stilistiche più tradizionali. La sua fama cresce e durante una visita in Argentina, nel 1936, gli viene offerta la cattedra di Letteratura Italiana presso l'Università di San Paolo, che terrà fino al 1942. Nel 1937 muore il fratello Costantino. Questi alcuni dei versi che gli dedica: «Di me rammento che esultavo amandoti, / Ed eccomi perduto / In infinito delle notti». Nel 1939 un altro lutto: per un’appendicite malcurata muore Antonietto, suo figlio, di nove anni. Questo lutto getta il poeta in uno sconforto senza apparente via d’uscita. Rientrato in patria nel 1942, viene nominato Accademico d’Italia e insegna letteratura italiana contemporanea all’Università di Roma. Mondadori comincia a ristampare tutte le opere del poeta sotto il titolo Vita di un uomo. | lutti, i viaggi, la lontananza creano la base per un’altra raccolta fondamentale di Ungaretti: Il dolore, del 1947. Pubblica successivamente: La terra promessa (1950), Un grido e paesaggi (1952), | taccuini del vecchio (1960). In occasione degli ottant'anni viene onorato dal governo italiano: a Palazzo “La terra promessa” La raccolta successiva, La terra promessa (1950), avrebbe dovuto riprendere il tema dello sbarco di Enea, in un’opera allegorica destinata al melodramma, ma resta di fatto incompiuta. Viene pubblicata come raccolta di poesie, il cui tema è il trapasso di una civiltà allegorizzata dalla morte per suicidio di Didone: «Grido e brucia il mio cuore senza pace / da quando più non sono / se non cosa in rovina e abbandonata». A questa raccolta si lega Il taccuino del vecchio (1961), ma c’è un’identificazione importante: la terra promessa coincide con la morte. E dunque, l’occasione, di tracciare un bilancio definitivo per il poeta. “Vita di un uomo” Tutte le poesie di Ungaretti sono nel volume Vita di un uomo, una vera autobiografia poetica. Ungaretti si è inabissato nell’umanità avendo come strumento la sua vita: perché è nella nostra vita che conosciamo le altre vite. Ungaretti fu sempre alla ricerca di una manifesta fratellanza col mondo. Ed è sconvolgente vedere come nella vita di un solo uomo, emerga la vita di molti altri. È questo uno dei misteri così cari ai poeti. Nel mistero della vita, in quel “porto sepolto”, dice Ungaretti, «Vi arriva il poeta / e poi torna alla luce con i suoi canti / e li disperde». È il segreto di questa poesia, improvvisamente emersa della poesia, non può esaurirsi perché è dentro ognuno di noi. Basta riconoscerla e comunicarla. Umberto Saba Umberto Saba, biografia Umberto Poli, vero nome di Umberto Saba, nasce a Trieste il 9 marzo del 1883, figlio di un agente di commercio veneziano e di un’ebrea triestina. L'assenza del padre, che aveva abbandonato la madre prima che lui nascesse, ed il carattere difficile della madre lo fanno affezionare in maniera particolare alla sua tutrice, e ne segnano in maniera negativa l'infanzia ed il resto della vita, in cui sarà vittima di periodiche crisi depressive. La sua formazione avviene essenzialmente da autodidatta, attraverso la lettura di Petrarca, Alfieri, Parini ed anche di autori più moderni come D'Annunzio e Carducci. Tra il 1905 e il 1906 è a Firenze, dove ha rapporti molto marginali con il gruppo de La Voce che, essenzialmente, lo respinge. La scarsa sintonia con questo gruppo e con i suoi componenti riemerge in due occasioni: nel 1910, quando i vociani recensiscono malamente Poesie, la sua prima raccolta di versi, e più tardi, sempre nello stesso anno quando propone ai vociani la pubblicazione di un suo articolo, Quel che resta da fare ai poeti, in cui polemizza con l’ideologia del poeta-vate e la poesia eccessivamente estetica e decorativa. Tra il periodo fiorentino e la pubblicazione della sua prima raccolta, c'erano stati gli anni del militare ed il matrimonio con la Carolina Wélfler. Nel 1912 pubblica la sua seconda raccolta di poesie, divenuta poi nota col nome di Trieste e una donna, accolta con freddezza dalla critica; nel frattempo legge Nietzsche e Freud, due pensatori che avranno un'influenza notevolissima sulla sua produzione successiva. Sebbene Trieste fosse città dell'Impero austro-ungarico, Umberto Saba ha cittadinanza italiana ed esprime posizioni fermamente interventiste. Allo scoppio della guerra viene chiamato alle armi per il Regio esercito ed opera in diverse funzioni ma rimanendo sempre nelle retrovie. Alla fine del conflitto ritorna a Trieste dove acquista una libreria, e nel 1921 pubblica la prima edizione del Canzoniere, in questo periodo mantiene rapporti epistolari con scrittori del rango di Palazzeschi e Montale. Nel 1938, anno della promulgazione delle leggi razziali del fascismo, inizia un periodo particolarmente difficile nella vita di Saba: costretto a vendere la libreria si trasferisce in Francia, ma ritorna a Trieste per l' jo del secondo conflitto mondiale, che trascorre spostandosi in varie città del nord Italia. È solo nel dopoguerra che si afferma come poeta: nel 1946 collabora con il Corriere della sera e pubblica Scorciatoie e raccontini, una raccolta di prose che gli vale il Premio Viareggio, e nel 1948 pubblica la terza edizione del Canzoniere. Gli anni '50 sono segnati dall’acuirsi delle sue crisi depressive, per le quali decide di farsi ricoverare in clinica. Queste crisi, e la malattia della moglie ne segnano dolorosamente gli ultimi anni di vita. Umberto Saba si spegne a Gorizia nell’agosto del 1957. II Canzoniere: temi e analisi La poetica di Saba è intesa dal suo autore come metodo di auto indagine, ricerca e costruzione del sé, è per questo motivo che l’intera vita del poeta è segnata da una continua produzione poetica: perché la scrittura è per lui necessità esistenziale. Le pubblicazioni di Saba consistono quindi in raccolte che, periodicamente, raccolgono le poesie in organismi coerenti ed autoconclusivi. Con la prima edizione del Canzoniere nel 1921 Saba compie un ulteriore passo in avanti, organizzando i vari nuclei poetici fin lì pubblicati in un progetto più ampio, internamente coordinato e coerente. A questa prima edizione ne seguono altre quattro, pubblicate nel 1945, 1948, 1951 e 1961, ciascuna delle quali evidenzia un continuo lavoro di levigatura linguistica e una costante riorganizzazione interna del materiale che viene ampliato ad ogni nuova edizione, testimonianza del costante lavoro di scrittura del poeta. Tuttavia non bisogna pensare al Canzoniere come a una mera raccolta di materiale poetico. Vittima di esperienze traumatiche che gli producono crisi depressive, interessato alla psicanalisi, l'esigenza di scrittura poetica di Saba soddisfa essenzialmente il desiderio di autoconoscenza dell’uomo-poeta, la necessità di conoscersi nel profondo. Saba inizia perciò a concepire le singole raccolte che confluiscono nel Canzoniere, dai componimenti sulla sua esperienza in naja a quelli dedicati all'amore della moglie a quelli incentrati sull’autoanalisi d'impronta psicoanalitica, come pezzi di un’autobiografia che va progressivamente componendosi. Sul piano redazionale questa nuova consapevolezza si traduce in una nuova organizzazione del corpus poetico, che viene diviso in due distinte sezioni, ed arricchito con nuove liriche mentre quelle più vecchie vengono sottoposte a revisione continua. Nel complesso dell’opera emergono alcuni componimenti che, per contenuti o stile, meglio rappresentano la produzione poetica del poeta triestino. Tra questi Trieste e Città vecchia, in cui emerge l’amore viscerale del poeta per la propria città, di cui descrive in maniera appassionata anche gli angoli oscuri della città vecchia, abitata da un'umanità dolorosa e degradata. In La capra il belato di una capra e la parola umana vengono poste sullo stesso piano, diventando l’espressione di un dolore universale che accomuna tutte le forme di vita perché esistenziale. A mia moglie e Ritratto della mia bambina forniscono ritratti delle persone amate dal poeta; dal punto di vista stilistico la poesia dedicata alla moglie Lina offre un esempio perfetto dello stile classicista di Saba, in cui la moglie è descritta quasi come attraverso una serie di fotografie costituite di versi limpidi e lineari. Umberto Saba e la produzione in prosa Anche la produzione in prosa di Saba, estremamente meno corposa rispetto a quella in versi, ha un carattere essenzialmente autobiografico. Nei Ricordi-Racconti pubblicati nel 1956 vengono narrati episodi e aneddoti di vita famigliare o sulla comunità ebraica triestina e richiama, nel titolo, la raccolta Scorciatoie e raccontini, pubblicata dieci anni prima e contenente aforismi e considerazioni sull’attualità culturale. Da ricordare è anche Ernesto, cominciato nel 1953 e rimasto incompiuto a causa del crollo psicologico del poeta, narra l'iniziazione sessuale di un ragazzo nella Trieste di fine ‘800, viene pubblicato postumo nel 1985. Salvatore Quasimodo Vita Salvatore Quasimodo nasce a Modica (Ragusa) il 20 agosto 1901. Durante l’infanzia vaga da un paese all’altro della Sicilia orientale, perché il padre fa il capostazione. Nel 1908, il catastrofico terremoto di Messina, cambia la vita del futuro poeta: il padre è incaricato di crediamo, quel bisogno di un’attualità assoluta, cioè libera, che il Futurismo aveva confuso con il dominio della mera contemporaneità» (Casoli, 2002). Quasimodo e il panismo dannunziano Nella prima parte della sua ricerca poetica, specie in Acque e terre, Quasimodo risente del panismo dannunziano, esalta il legame con la natura unendolo più volte al senso di esilio vissuto nella città. La terra siciliana e il suo mare diventano sue muse ispiratrici. È la fase propriamente ermetica, tutta rivolta al rapporto tra parola-immagine-intimità. | significati sono tutti racchiusi come in un piccolo globo di luce che il poeta tiene racchiuso tra le mani. La terra siciliana dona la sua selvaggia armonia: «Tindari, mite ti so / fra larghi colli pensile sull’acque / delle isole dolci del dio, / oggi m'assali / e ti chini in cuore.» (Vento a Tindari, vv. 1-5). Il tempo dell’interiorità, quello non cronologico, diventa uno spazio su cui la riflessione e gli affetti del poeta hanno libera espressione e parlano un linguaggio tutto loro. La prima fase della ricerca ermetica di Quasimodo si chiude con il volume antologico Ed è subito sera (1942). La raccolta “Giorno dopo giorno” Nel 1947 uscì la raccolta Giorno dopo giorno, un’opera che è il frutto proprio di quel passaggio attraverso la guerra; cioè, da questo momento in poi si parlerà sempre (con più o meno ragione) di un primo Quasimodo ermetico e di un secondo Quasimodo, appassionato ai temi civili e sinceramente impegnato a rinnovare l’uomo. In verità, secondo molti critici, tra cui Giovanni Casoli, questa seconda parte non rinnega la prima, ma semplicemente la completa: l’obiettivo di fondo era per Quasimodo la comprensione dell'umano in ogni suo aspetto perché la poesia è «artistica espressione della coscienza popolare» (strano per un ermetico); e «non valida per sé stessa» ma per la sua «segreta missione di rinnovare l’uomo». La poesia, dal punto di vista espressivo, certamente cambia. Si fa più aperta, argomentata, esplicita: volta a farsi capire, come se l’ermetismo, compiuta la sua missione di rinnovare la poesia, avesse ritrovato dentro sé quell’impegno civile che aveva rifiutato. Sergio Solmi definisce la poesia di Quasimodo «scarna e immediata, dove l’immagine, colta isolatamente, si affida tutta al tono della voce assorta che la pronuncia, ma in cui, più che l’immagine, più che il verso, l'organismo costitutivo, la cellula elementare è la parola. Ciò spiega come la trama della composizione così spesso s’allenti e si diradi, mentre l’espressione, l’effetto, tendono a raccogliersi nella parola singola, musicalmente insistita nelle sue sillabe; e come gli elementi strutturali guadagnino dalla imprecisione in cui il poeta li lascia, quasi arcate mozze, slanciati frammenti d’aeree scrittura» (Solmi, 1963). Eugenio Montale Il Novecento, il secolo che dà i natali a Montale, è un periodo molto turbolento: fra episodi tragici come quelli delle due guerre mondiali, le nuove scoperte della fisica e della tecnologia, gli uomini si trovano sconvolti ma anche carichi d'idee nuove. In questo contesto, Eugenio Montale è stato un poeta che ha saputo descrivere in pieno le inquietudini del momento. Eugenio Montale nasce a Genova il 12 ottobre 1896 da una famiglia benestante. Ha però un'adolescenza difficile per problemi di salute e questo lo porta a trovarsi spesso solo e lontano dalla vita borghese, ma allo stesso tempo lo rende molto attento al dolore che caratterizza la condizione umana. È quindi già da ragazzino molto sensibile e tendente all’introspezione. Dopo la Prima Guerra Mondiale, Montale comincia ad avvicinarsi al mondo intellettuale ligure: conosce Camillo Sbarbaro e pubblica la sua prima raccolta poetica sotto il titolo Ossi di Seppia (siamo nel 1925), opera che avrà un grande successo, e firma poi il Manifesto degli intellettuali antifascisti dichiarandosi quindi contrario alla dittatura. In questi anni comincia a conoscere e apprezzare anche la scrittura di un altro importante autore italiano che non tutti tenevano in considerazione, cioè Italo Svevo che proprio Eugenio Montale aiutò a far conoscere agli intellettuali e agli editori del suo tempo. Dal 1927 Montale si trasferisce a Firenze e qui passa degli anni molto impegnati e vivaci: collabora con importanti riviste del tempo e soprattutto dirige il Gabinetto Vieusseux, un'istituzione culturale fiorentina nata nel 1819, ancora oggi riconosciuta come un importante punto d'incontro culturale anche fra italiani e letterati stranieri. Tuttavia nel 1938 viene allontanato dall'incarico: il Fascismo domina in Italia e tutti coloro che non sono iscritti al partito vengono rimossi dalle cariche pubbliche. Nonostante questo ritiro sono anni molto importanti per il poeta: nel 1939 pubblica una nuova raccolta, Le Occasioni, e conosce Drusilla Tanzi che sarà sua moglie e il grande amore di tutta la sua vita. Dopo la guerra torna a Firenze, dove s'iscrive al Partito D'Azione e partecipa alla vita politica che, però, presto lo delude spingendolo a un ulteriore ritiro. Una nuova importante stagione per Montale comincia a partire dal 1948 quando, trasferitosi a Milano, inizia a collaborare con il Corriere della Sera. Per questo giornale scrive reportage di viaggio, critiche letterarie e ovviamente vati tipi di articoli molto importanti. Contemporaneamente pubblica altre poesie e la sua opera è tanto amata che nel 1975 gli viene assegnato il Premio Nobel per la Letteratura. Muore il 12 settembre 1981 a Milano. Eugenio Montale, poesia Eugenio Montale è insieme un poeta e un critico, è molto attento cioè a guardare, giudicare e interpretare le opere di autori affermati o giovani emergenti per capire il loro valore ed esaltarlo. Questo significa anche che il nostro autore è molto sensibile a quello che accade nel mondo culturale a lui contemporaneo e recepisce tutto ciò che si avvicina alle sue idee poetiche e che trova utile riutilizzare. Vediamo ora, schematicamente, quali sono queste idee e cosa recepisce dalla cultura europea per inserirlo nelle sue poesie. * Lapoesiaeillinguaggio poetico sono ormai in decadenza, questo perché il linguaggio in generale non è più aulico e sublime come quello dei tempi passati e inoltre ci sono troppi poeti e troppi componimenti in circolazione. La poesia allora deve parlare proprio di questo: serve per dichiarare che la Poesia sta morendo. * Perquantoriguarda il linguaggio, Eugenio Montale sviluppa quella che viene chiamata dagli studiosi “la poetica dell'oggetto”. Questo è un sistema di scrivere che il nostro poeta riprende dal poeta e scrittore inglese Thomas S. Eliot che aveva teorizzato la poetica del “correlativo oggettivo”. In cosa consiste tutto questo? Si tratta di avvicinare oggetti e figure che fra loro hanno delle analogie e che, letti uno accanto all’altro suscitano direttamente un'emozione senza bisogno di aggiungere altro. Usare uno stratagemma del genere fa in modo che il linguaggio poetico risulti molto diretto e schietto eppure tanto carico di significati. Una bella trovata insomma! * Rassegnazione e negatività caratterizzano la poesia di Eugenio Montale: la vita appare priva di un senso profondo, c’è una grande disillusione verso la realtà. * È distante dagli eccessi delle Avanguardie che in quel periodo sperimentavano una nuova poesia, a volte con immagini e linguaggi anche aggressivi ed esuberanti. Montale è molto più pacato ma non c’è meno forza nei suoi versi. “Ossi di seppia” La raccolta di Montale dal titolo Ossi di seppia, come abbiamo visto, compare nel 1925, comprende ventitré poesie suddivise in cinque sezioni tematiche, e già ci mostra un poeta maturo e pienamente consapevole delle sue idee. La visione della vita che traspare in questa raccolta ci fa subito capire che Montale vede l’esistenza come qualcosa senza un senso e comunque caratterizzata da una serie di eventi decisamente negativi e dolorosi. Troviamo soprattutto rappresentato il paesaggio ligure, sia
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