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POETICA, Aristotele - Storia del Teatro Medievale e rinascimentale, prof. Pagnini, Appunti di Storia del Teatro e dello Spettacolo

Appunti delle lezioni 1,2 sulla "Poetica" di Aristotele e aggiunte dispense professoressa Caterina Pagnini. Analisi generale e capitoli principali. (Storia del Teatro Medievale e Rinascimentale, Unifi)

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 17/09/2021

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Scarica POETICA, Aristotele - Storia del Teatro Medievale e rinascimentale, prof. Pagnini e più Appunti in PDF di Storia del Teatro e dello Spettacolo solo su Docsity! STORIA DEL TEATRO MEDIEVALE E RINASCIMENTALE Lezione 13 Settembre La Poetica, Aristotele Il fondamento della spettacolarità si incarna in questo testo. Non si può affrontare la storia della rappresentazione se non si analizza questo testo che Aristotele scrisse probabilmente, ma non abbiamo una datazione precisa del mondo dell'antichità, tra il 334 e 330 a.C.. La Poetica è un trattato, scritto ad uso didattico, composto da 26 capitoli, divisi per argomento. Che trattato del teatro e dell'Epica (perché pensa che la letteratura possa essere rappresentazione). È il primo esempio, nella civiltà occidentale, di un'analisi dell'arte distinta dall'etica e dalla morale. Nella Poetica, Aristotele esamina la tragedia e l'epica. L'esistenza di un secondo libro trattante la commedia fu speculata dal patriarca nestoriano Timoteo, ma la maggioranza della critica odierna dà parere negativo a questa ipotesi. Aristotele introduce due concetti fondamentali nella comprensione del fatto artistico: la mimesi e la catarsi. ARTE COME EDUCAZIONE: Questo testo è una riflessione che riesce a comprendere con grande razionalità i problemi attuali del mondo a partire dal teatro greco. La particolarità del teatro greco è il modo in cui si pone rispetto alla società: anche in società diverse, è sempre e comunque una idea di educazione e di comunicazione. Qualsiasi arte performativa con la quale ci confrontiamo ha a che fare con l'educazione, basandosi sulla parola (teatro di testo) o sul gesto (non solo parlata, ma molto più efficace è la eduzione mimata) — il gesto è il primo linguaggio umano. Questo apprendimento è soggettivo per ognuno di noi: dietro un quadro ci sono molte retrospettive, ma l'impatto comunque ci deve essere. L'arte deve essere comunicazione. Un'opera d'arte rappresentativa ci deve dare qualcosa e in questo la soggettività è importante. La soggettività della percezione dell'arte. L'IMPORTANZA DELLO SPETTATORE: Lo spettatore è l'elemento fondamentale della rappresentazione, la rende tale. Finché non si configura una persona che guarda non si può parlare di teatro di rappresentazione. Non ha senso fare lo spettacolo senza lo spettatore. Lo spettatore è fondamentale, sia per l'attore che per lo spettatore stesso, è l'elemento da cui scaturisce la capacità rappresentativa dell'attore. Quello che Aristotele ci dice è che il pubblico è il fondamento della rappresentazione. Parte dall'idea che lo spettacolo debba essere visto (fondamento della sua riflessione) e il teatro greco che si basava su un fine di educazione civica. Il cittadino era obbligato ad andare a teatro perché era una parte fondamentale della sua educazione. Il teatro greco era occasionale, non quotidiano, in particolari momenti dell'anno, scelto calendariamente quasi sempre durante i festeggiamenti di divinità come le feste dionisiache che avevano una notevole durata. Se non avesse una funzione specifica, si potrebbe vedere sempre, invece avviene in momenti specifici. L'edificio del teatro greco, il teatro di Epidauro, si trova molto al di fuori della città: non doveva essere cosa quotidiana, doveva essere cosa speciale e approcciarsi al teatro non doveva essere una cosa semplice, ma che sapevo di dover fare e alla quale dovevo dedicare tanto tempo (complesso nell'organizzazione e anche nelle ore per arrivare al teatro a piedi). Questo era per dare il tempo allo spettatore di meditare sulla portata, l'importanza di quello che stava per fare: entrare nella giusta condizione d'animo per fruire quello che sarebbe stato messo in scena. Una preparazione spirituale, una vera e propria peregrinazione. Quello che andavano a veder non erano uno spettacolo non di solo intrattenimento, ma soprattutto educativo e poi era associato anche alla sfera del culto in quanto avvenivano durante feste religiose. Quello che Aristotele ci dice dovrebbe essere un atteggiamento che dovremmo tenere anche oggi giorno e dovremmo vedere cosa ci dice quello spettacolo. Per prima cosa ci dice di andare a teatro perché stimolazione dei sensi e della mente, di ragionare su quello che abbiamo percepito con i sensi. E anche scambiare opinioni con le persone che hanno fruito lo spettacolo con noi: si percepiscono cose diverse e insieme, confrontandosi, si cresce. L'importanza di trovarsi quindi a fruire di uno spettacolo, non da soli, ma con altre persone. Idea di TEATRO DI COMUNIONE, un teatro funzionale, che durante il teatro Romano fu abbandonato sopratutto dalla filosofia di Seneca: tipo di spettacolo diverso. La comunione dell'esperienza che nella spettacolarità greca era richiesta e che porta alla giusta educazione, nella società romana acquista tutto un altro significato: perché cambia la società e lo spettacolo con lei. Condividere lo spettacolo con la folla diventa negativo. Nel Barocco gli autori barocchi dicevano che il teatro è lo specchio della vita: ti dà la possibilità di osservare da un'altra angolazione la vita. E questo lo dice anche Aristotele. L'EREDITÀ SBAGLIATA DI ARISTOTELE: Aristotele è l'autorità contro la quale non si può andare nel mondo del teatro. Atteggiamento di reverenza che lui non aveva voluto, non aveva ricercato. Scrive la Poetica per fare una riflessione sullo stato della rappresentazione ai suoi tempi. Quello che scrive quindi non è un trattato di regole, è solo una sua riflessione sullo spettacolo del suo tempo. Era amatore del teatro e lo considerava un importante strumento per la conoscenza umana. Vuole dare una testimonianza sul suo spettacolo, non è quindi un trattato sul teatro per dare indicazioni su come fare teatro, ma fu percepito così soprattutto dall'Umanesimo in poi. Abbiamo quindi da lui une eredità sbagliata che ci hanno trasmesso gli autori del 400/500. Essendo un periodo di regolamento, si davano regole alle cose, servivano regole anche per il teatro. L'Umanesimo crea un precetto perché si pone come secolo di codificazione delle scienze, delle arti, si scrivono trattati (secolo di trattazione) che diano delle regole per unificare la cultura. E il teatro che viene riscoperto in questo periodo (trattati e rilievi) ha bisogno di regole e queste si traggono da Aristotele, ma questa non era la vocazione della sua opera. Il Medioevo non è un'epoca buia, ma forme il momento di maggiore fertilità culturale e dopo questo periodo è necessario dare delle regole: si legifera e si scrivono quindi trattati su tutto. Aristotele è stato travisato per secoli e non era quello che voleva. In questa sua riflessione, fa come una riflessione tra sé e sé, e scrive quelle che sono le cose che per lui funzionano bene e quello che no. Non esistono le famose 3 regole aristoteliche nella Poetica, se le sono inventate gli Umanisti. La Poetica non analizza il teatro, ma la rappresentazione, che non è solo quella teatrale, manche letteraria, in particolare quella dell'Epica (forma letteraria che perla di vicende molto ben articolare, di gesta). Questa è la sua geniale intuizione. La scrittura dell'Epica è una rappresentazione attraverso la parola. Se pensiamo alla Divina Commedia si chiama così perché ha l'intento di essere una vera e propria rappresentazione. CONTENUTO: Parla soprattutto della tragedia e anche della commedia, di cui però non ci è giunta traccia, per quanto dica alla fine della trattazione della tragedia che ne parlerà, ma non ci è arrivato niente. Dice però che tutte le riflessioni che fa sulla tragedia non possano adattarsi anche all'epica. Non abbiamo in lui nessuna idea di precetto, riflette quasi con se stesso. Se la vicenda narrata si esaurisce nell'arco di una giornata è più facile per lo spettatore immedesimarsi e comprendere la narrazione. Se si fanno molti salti temporali si ha il rischio di provocare incomprensione e di disattenzione dello spettatore nei confronti di ciò che vede. Quindi lui in realtà afferma che si possa parlare di lunghi archi cronologici con salti temporali, a patto che la narrazione rimanga chiara, verosimile e ben gestita. Ma nel '400 questa necessità di chiarezza e verosimiglianza è stata tradotta, semplificata, attraverso l'unità di tempo (narrazione che si svolga nell'arco di una sola giornata), di cui in realtà Aristotele non parla mai. Lui dà molti esempi, che sono fondamentali per la comprensione di un trattato, come insegna sia Platone (si procede attraverso esempi), ma anche la religione (si spiega attraverso le parabole) e questi esempi diventano dei modelli. Anche per quanto riguarda l'unità di luogo, non è necessario che lo spazio sia sempre lo stesso (stessa città, stessa piazza, stessa casa), basta che l'attore sia in grado di gestire correttamente la varietà. CAPITOLO I Qui introduce subito il concetto di imitazione. Lo definisce necessario per tutte le arti rappresentative. E il principio fondamentale di tutte le arti rappresentative. CAPITOLO II Qui spiega quale è l'oggetto di questa imitazione, che sono le persone, quindi i personaggi. I personaggi possono essere nobili o ignobili moralmente. La Commedia in particolare è imitazione quasi sempre di persone ignobili (ecco uno dei primi accenni alla commedia; di solito ne parla per negazione alla tragedia). CAPITOLO II L'imitazione può avvenire attraverso la forma narrativa o con la forma drammatica, che è quella a cui lui in particolare si dedica. Di tutte le forme drammatiche la più efficace, dice, che è la tragedia. CAPITOLO VI Fondamentale perché è qui ci dà la sua celebre definizione di tragedia: «La tragedia è dunque imitazione di una azione serie e compiuta in se stessa, avente una certa estensione, in un linguaggio abbellito in modo specificamente diverso per ciascuna delle parti, di persone che agiscono e non per mezzo di narrazione, la quale per mezzo della pietà e del terrore finisce con l’effettuare la purificazione di cosiffatte passioni» Dal capitolo sesto in poi ci parla della tragedia. Segue poi l'elenco dei sei elementi costitutivi della tragedia, che in ordine di importanza sono: favola, caratteri, pensiero, linguaggio, melopea e spettacolo. I primi tre sono gli obiettivi della mimesi, il quarto ed il quinto i mezzi e l'ultimo il modo. * La favola (pv00g) è la “composizione di una serie di atti o di fatti”; è il costituente più importante perché la tragedia non è “mimesi di uomini, bensì di azioni e di vita”, e perché senza di essa non ci può essere tragedia. Non a caso infatti i mezzi più efficaci per trascinare l'animo degli spettatori (peripezie e riconoscimenti) sono parte della favola. * Ilcarattere (nn) è l'elemento da cui risultano le intenzioni morali di un personaggio, che lo portano a preferire e rifiutare certe cose; esso non è l'obiettivo primario della tragedia, bensì va a sussidio dell'azione. Per spiegare meglio questo concetto Aristotele fa l'esempio di un quadro dipinto senza disegno ma pieno di colori (carattere), il quale diletta molto di meno di una tela bianca coni soli contorni di una figura (favola). * Il pensiero ($1&vora) è ciò che i personaggi dimostrano parlando o enunciando una massima generale, ed è espresso dal quarto elemento, il linguaggio (Aé&1). * La melopea (peAottoria) e lo spettacolo (ong): il primo abbellisce la scena, il secondo è utile a far animo sugli spettatori, sebbene non sia vincolante per il fine della tragedia in quanto è raggiungibile anche “senza rappresentazione scenica e senza attori” (avev ayavog kat vriokpitov). Infatti, come dirà nel capitolo XV, è sufficiente ascoltare la narrazione dei fatti per essere presi da pietà e terrore. Oltretutto, lo spettacolo non ha nulla a che fare con l'arte del poeta, essendo una mansione specifica del corego. CAPITOLO VII Qui parla della struttura della favola, la vicenda. La cosa fondamentale da analizzare perché uno spettacolo sia efficace è la verosimiglianza. Come deve essere una trama? Deve avere un principio, un mezzo e una fine. E così anche nella tragedia. Il principio deve essere chiaro e deve esporre tutto ciò che andrà a succedere (presentazione corretta del tempo, personaggi, tempo...); il mezzo, ovvero tutto quello che accade, lo svolgimento della vicenda; tutto questo fatto bene porta ad una fine verosimile, che ci si possa già immaginare grazie agli indizi che l'autore lascia allo spettatore durante lo svolgimento della vicenda. Il sentimento di terrore ci fa capire come finirà. Aristotele riflette sull'uso della mitologia e dei personaggi fantastici all'interno delle opere. Il famoso deus ex machina è la divinità che scende/appare dalla macchina teatrale perché nelle rappresentazioni del teatro greco, c'era una scenografia anche molto complessa e abbiamo testimonianze di macchine teatrali. L'idea che dal cielo scendesse il dio con un macchinario e risolvesse la situazione è una cosa negativa: l'autore non ha saputo risolvere la vicenda in modo credibile e che tutti gli eventi che si sono susseguiti non hanno portato ad una conclusione congrua, che non necessitasse di un intervento divino. Non è un finale plausibile. Quando l'autore non ha altro modo se non concludere la vicenda con un espediente che venga poi, extra-narrativo, significa che la narrazione non è stata efficacie: non ha saputo dipanare la vicenda in modo credibile e non ha saputo gestire i personaggi in modo credibile. CAPITOLO VIII Aristotele precisa che ottenere una giusta unità d'azione non significa incentrare la favola su un solo personaggio: infatti non tutte le azioni di un individuo sono rilevanti nel delineare una giusta drammaturgia, in quanto gran parte di esse non sono necessarie al fine di rappresentare il passaggio dalla felicità all'infelicità del personaggio. Nell'Odissea non è quindi necessario raccontare la finta pazzia di Ulisse, mentre lo è la sfida lanciata dall'eroe al dio Poseidone, da cui trae origine il suo viaggio in mare. Azioni necessarie (oggi noi diremmo “drammaturgiche”) sono quelle che, se soppresse o spostate, compromettono l'insieme dell'azione, e viceversa quelle azioni che non portano uno scarto sensibile nell'andamento della favola non sono parti integranti del tutto. CAPITOLO IX Il poeta non deve descrivere tutti i fatti realmente accaduti (quello che fa lo storico), ma quelli che — sempre secondo verosimiglianza e necessità —-possono accadere. Il poeta, quindi, si differenzia dallo storico non perché scrive in versi, ma perché rappresenta, invece del particolare, l'universale. I fatti che possono accadere devono comunque essere credibili (è credibile ciò che è possibile, ott mYavév eoti To Svvatov), in quanto una cosa che non è riscontrabile nell'esperienza non è verosimile o necessaria, e viceversa un evento accaduto in precedenza può sempre verificarsi ed essere possibile in un altro contesto. Da quest'ultima asserzione si capisce perché Aristotele dica che il poeta possa poetare anche intorno a fatti realmente accaduti, sempre che questi siano regolate intorno ai concetti di verosimiglianza e di necessità drammatica. In altre parole, se lo storico racconta tutti i fatti accaduti, il poeta li seleziona e ne fa una sequenza compiuta per raggiungere il fine della tragedia. C'è poi un altro caso, e cioè che l'azione possa essere interamente inventata come nell'Ante di Agatone, nel senso però che l'azione non è modellata sul repertorio tradizionale, non che sia meno verosimile o necessario delle altre tragedie. Se così fosse, avremmo cattive tragedie come quelle dalla favola episodica, ossia con gli episodi non collegati fra loro da alcun rapporto di necessità o verosimiglianza. Questo è un errore che fanno non solo i cattivi poeti, ma anche quelli di valore che modificano il dramma“a cagione degli attori”: sono attestati casi anche in ottime tragedie di cosiddetti "pezzi di bravura" per l'interprete, come ad esempio il prologo di Giocasta nelle Fenicie di Euripide. Infine, Aristotele precisa che la tragedia non è solo mimesi di un'azione compiuta ma anche di fatti che destano pietà e terrore (poRepov kai eAeewvov): sono quei fatti che sopravvengono inaspettatamente ma che sono al tempo stesso connessi alla favola, dipendenti dagli eventi che precedono e condizioni di quelli che seguono. Questo paradosso è spiegato meglio dell'episodio della statua di Miti, avvenuto per caso ma anche determinato da un fine che si preparava da tempo: essa aveva infatti schiacciato l'assassino di Miti, che proprio in quel momento stava per caso ammirandola scultura. CAPITOLO XI Qui introduce altri elementi che possono portare alla scrittura di un buon finale. Aristotele definisce cosa siano la peripezia, il riconoscimento ed una terza azione drammatica, la catastrofe. Aristotele parla di PERIPEZIA. Questa turba il normale ordine delle cose: è un avvenimento che rompe l'equilibrio iniziale. Elemento perturbante che cambia il destino della quotidianità, altrimenti l'interesse non c'è. È il mutamento improvviso da una condizione di cose a quella contraria. C'è però anche un altro elemento che è l'AGNIZIONE quindi il riconoscimento: spesso si hanno in scena personaggi che non si conoscono, ma che poi veniamo a sapere che sono imparentati tra loro (es.). Alla fine questi personaggi trovano la loro vera identità. È quindi il passaggio dalla non conoscenza alla conoscenza. Ma questo ovviamente viene fuori alla fine soltanto. È secondo lui un buon espediente per arrivare alla conclusione. Si potrebbe fare tutto, basta non chiamare in causa l'elemento extra-narrativo. Se la fine non è verosimile non si ha la catarsi, questi però sono dei buoni escamotage. Queste due azioni determinano lo scioglimento felice o infelice della vicenda. La CATASTROFE è invece un'azione che porta il dolore sulla scena ed è diretta conseguenza di un'azione precedente. TIPO DI PERSONAGGIO Aristotele subito nel secondo capitolo dice che l'imitazione ha per oggetto le persona: la tragedia quindi è imitazione di vicende umane e al centro della narrazione ci stanno quindi le persone. Quali persone devono essere portate sulla scena perché poi si arrivi alla catarsi? Il personaggio che più ci aiuta a trovare l'immedesimazione è È inutile parlare di personaggi importantissimi, dalle grandi qualità morali. Es: nella tragedia si ha un finale tragico: il personaggio più straordinario è improbabile che arrivi a compiere un atto come quello di Medea, è inverosimile. Non ci si riconosce in questi personaggi. Allo stesso modo se un personaggio estremamente negativo alla fine vive un finale positivo, rende lo spettatore scontento. Quello che deve essere portato in scena è un PERSONAGGIO COMUNE, personaggi con le loro qualità e le loro debolezze. Personaggi che assomiglino allo spettatore. Il vero personaggio tragico è quello che non si distingue né nel vizio, né nella virtù e che passa dalla felicità all'infelicità solo a causa di un errore, una rottura dell'equilibrio quotidiano. Persone normali che a causa di una determinata peripezia vivono uno stato di particolare difficoltà o infelicità.
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