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Poetica di Giovanni Pascoli, Appunti di Italiano

Vita, pensiero e opere di Giovanni Pascoli

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 19/05/2021

angela.c02
angela.c02 🇮🇹

2 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Poetica di Giovanni Pascoli e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! VITA Giovanni Placido (Agostino Pascoli) nasce a San Mauro di Romagna il 31 dicembre 1855. All'età di dodici anni perde il padre, ucciso da una fucilata sparata da ignoti; la famiglia è costretta a lasciare la tenuta/casa che il padre amministrava, perdendo quella condizione di benessere economico di cui godeva. Nell'arco dei sette anni successivi, Giovanni perderà la madre, una sorella e due fratelli. Prosegue gli studi prima a Firenze, poi a Bologna. Inizia a lavorare come professore: insegna greco e latino a Matera, Massa e Livorno; Il suo obiettivo è quello di riunire attorno a sè i membri della famiglia. In questo periodo pubblica le prime raccolte di poesie: "L'ultima passeggiata" (1886) e "Myricae" (1891). Dopo si trasferisce a Castelvecchio di Barga, piccolo comune toscano dove acquista una villetta. Con lui vi è la sorella Maria - da lui affettuosamente chiamata Mariù - vera compagna della sua vita, considerato che Pascoli non si sposerà mai. Ottiene un posto per insegnare all'università, prima a Bologna, poi a Messina e infine a Pisa. In questi anni pubblica tre saggi danteschi e varie antologie scolastiche. La produzione poetica prosegue con i "Poemetti" (1897) e i "Canti di Castelvecchio" (1903) e raccoglie i suoi discorsi sia politici, che poetici e scolastici nei "Miei pensieri di varia umanità" (1903). Ottiene poi la cattedra di Letteratura italiana a Bologna, prendendo il posto lasciato da Giosuè Carducci. Nel 1907 pubblica "Odi ed inni", a cui seguono "Canzoni di re Enzo" e i "Poemi italici" (1908-1911). La poesia di Pascoli è caratterizzata da una metrica formale fatta di endecasillabi, sonetti e terzine. La forma è classica esternamente, maturazione del suo gusto per le letture scientifiche: a tali studi si ricollega il tema cosmico di Pascoli, ma anche la precisione del lessico in campo botanico e zoologico. Uno dei meriti di Pascoli è stato quello di rinnovare la poesia, toccando temi fino ad allora trascurati dai grandi poeti: con la sua prosa trasmette il piacere delle cose semplici, usando quella sensibilità infantile che ogni uomo porta dentro di se. Pascoli era un personaggio malinconico, rassegnato alle sofferenze della vita e alle ingiustizie della società, convinto che quest'ultima fosse troppo forte per essere vinta. Nonostante ciò, seppe conservare un senso profondo di umanità e di fratellanza. il poeta, di fronte al dolore e al male che dominano sulla Terra, recupera il valore etico della sofferenza, che riscatta gli umili e gli infelici, capaci di perdonare i propri persecutori. Nel 1912 la sua salute peggiora e deve lasciare l'insegnamento per curarsi. Trascorre i suoi ultimi giorni a Bologna, dove muore il 6 aprile MYRICAE Myricae è una raccolta poetica di Giovanni Pascoli, che conosce diverse edizioni pubblicate tra il 1891 e il 1911, in cui l'autore rielabora spesso i suoi stessi versi. Il Pascoli s'ispira nella scelta del titolo alla quarta Bucolica di Virgilio, che ritorna anche nei Canti di Castelvecchio. Le tematiche principali dell'opera sono il rapporto tra l'io del poeta e la realtà circostante, il fascino oscuro ed ambiguo del mondo della natura, il tema della morte. Myricae è la prima raccolta di Giovanni Pascoli e viene pubblicata per la prima volta nel 1891, in un’edizione comprendente solo 22 componimenti. Successivamente, il poeta interverrà spesso per rimaneggiare e modificare il testo, che nel 1911 giungerà a raccogliere complessivamente ben 156 poesie. Il titolo, come indicato anche dall’epigrafe alla prima edizione, è di ascendenza classica: è tratto infatti dalla quarta ecogla di Vigilio (“Sicelides Musae, paulo maiora canamus! | Non omnis arbusta iuvant humilesque myricae”) ed indica da subito l’ambientazione della raccolta nell’umile realtà del mondo della campagna, che il poeta descrive con sfumature simboliste. Tematiche Myricae, pur essendo una raccolta in progress dal 1891 al 1911, presenta alcuni nuclei tematici ben identificabili, che costituiscono anche la linea fondamentale della poetica pascoliana. Innanzitutto, spicca nei testi di Myricae il mondo della natura e della campagna, contemplato nelle sue realtà più “umili” (simboleggiate appunto dalle “tamerici” del titolo) e cariche di implicazioni simboliche. È compito del poeta, che deve farsi “fanciullino” (come Pascoli spiegherà in un importante testo teorico), cogliere il mistero che sta dietro alle cose e trasmetterlo agli altri uomini con gli strumenti della creazione letteraria. Alla descrizione del mondo naturale (che raggiunge le punte di massima espressività in testi come L’aiiuolo o Novembre) e della sua ciclicità, si aggiungono - soprattutto a partire dall’edizione del 1894 - altri temi tipicamente pascoliani, come il dolore per la perdita degli affetti familiari (esemplare in questo senso 10 agosto) e in generale il tema della morte e del conflitto tra la purezza del mondo di Natura e le minacce del mondo reale, fino ad arrivare al compito storico-sociale della figura del poeta. Stile e poetica Dal punto di vista letterario Myricae si inserisce nella tradizione poetica simbolista di cui Pascoli è uno dei principali esponenti; in tal senso, il poeta si serve di una serie di strumenti tecnici e di figure retoriche ricorrenti, all’interno di strutture metriche che restano regolari ed ancorate alla tradizione per quanto riguarda le strutture strofiche e il ricorso alla rima o alle forme di assonanza e consonanza. Innanzitutto, ad essere privilegiate sono le sensazioni e le percezioni indistinte, che riproducono le sensazioni sfumate (e talvolta inquietanti) dell’io poetico di fronte al mistero della natura, come ad esempio in Lavandare. Pascoli così privilegia strutture sintattiche leggere, prevalentemente costruite per paratassi, su cui intervenire per mezzo di figure retoriche caratteristiche (analogie, sinestesie, metonimie e onomatopee). Importantissimo è poi l’aspetto fonosimbolico del testo, per cui la struttura di suoni della poesia deve evocare sulla pagina le sensazioni e le intuizioni provate dal poeta. LAVANDARE Nella raccolta Myrice (parola latina, che significa “piccoli arbusti”), Pascoli canta i motivi del mondo della natura, caricandoli di significati simbolici. Infatti, la sua poetica, detta “del fanciullino” (dal titolo di un saggio di poetica, da lui pubblicato nel 1897), consiste nel sapere trovare la poesia negli oggetti quotidiani, nella campagna e nella natura che ci circonda, osservandoli con lo stupore e la meraviglia di un bambino, che consentono di riscoprirne i vari lati segreti. Si tratta di componimenti in genere brevi e lineari, che rappresentano quadretti di vita campestre che si caricano di significati misteriosi e spesso evocano l’idea della morte. In Lavandare, i temi principali sono quelli dell’abbandono e della solitudine, della nostalgia, e della tristezza rappresentati dall’immagine dell’aratro dimenticato in mezzo al campo deserto, che troviamo all’inizio e alla fine. Già il titolo ci fa pensare ad un mondo quotidiano e semplice, quello delle donne che lavano(sciorinare) i panni al fiume; il lessico e la sintassi sono elementari e quotidiani. Le pause (dopo “buoi”, “dimenticato”, “spessi” e “partisti”) riproducono le “lunghe cantilene” delle donne. La prima strofa è statica e vi dominano le sensazioni visive: infatti, descrive un aratro fermo e abbandonato in un campo arato solo a metà e avvolto dalla nebbia. Nella seconda strofa, invece, le parole onomatopeiche (“sciabordare”, “tonfi”) ci danno sensazioni uditive; le rime definiscono il ritmo: ora sono descritti i suoni dei panni lavati e i tristi canti delle lavandaie. Nella strofa finale, il ritmo è molto rallentato, per rendere l’idea della nenia/cantilena cantata dalle donne, e viene fatto un paragone tra la donna protagonista del canto, abbandonata dal marito, e l’aratro lasciato dai contadini in mezzo al campo. Gli ultimi versi sono tratti da canti popolari marchigiani. In quest’opera la nebbia, il cadere delle foglie, lo sciabordare delle lavandaie, gli oggetti semplici legati al mondo agricolo… fanno sì l’oggetto diventa un simbolo, colto per la prima volta da un poeta fanciullino che osserva e riflette la realtà suggerendo al lettore la vera essenza di ciò che lo circonda. Così, la rappresentazione apparentemente oggettiva della natura autunnale e dei gesti quotidiani delle donne diventa una proiezione simbolica della preoccupazione/irrequietezza e della profonda malinconia dell’animo del poeta. 1. Dov’era la luna? ché il cielo 2. notava in un’alba di perla, 3. ed ergersi il mandorlo e il melo 4. parevano a meglio vederla. 5. Venivano soffi di lampi 6. da un nero di nubi laggiù; 7. veniva una voce dai campi: 8. chiù… 9. Le stelle lucevano rare 10. tra mezzo alla nebbia di latte 11. sentivo il cullare del mare, 12. sentivo un fru fru tra le fratte; 13. sentivo nel cuore un sussulto, 14. com’eco d’un grido che fu. 15. Sonava lontano il singulto: 16. chiù… 17. Su tutte le lucidi vette 18. tremava un sospiro di vento: 19. squassavano le cavallette 20. finissimi sistri d’argento 21. (tintinni a invisibili porte 22. che forse non s’aprono più?…); 23. e c’era quel pianto di morte… 24. chiù… Parafrasi 1. Mi domandavo dove fosse la luna, dato che il cielo 2. era immerso (nuotava) nella luce chiara e perlacea dell’alba 3. e sembrava che il mandorlo e il melo rizzassero i loro rami 4. per vedere dove fosse. 5. Venivano guizzi di lampi 6. Da un punto indeterminato del cielo preannuncianti una bufera (nero di nubi); 7. e si sentiva una voce dai campi: 8. chiù (il verso triste e lamentoso dell’assiuolo). 9. Le rare stelle brillavano 10. in mezzo al chiarore lattiginoso diffuso dalla luna (nebbia di latte). 11. Sentivo l’ondeggiare del mare, 12. sentivo un fruscio tra i cespugli, 13. sentivo il cuore sussultare, 14. come se fosse l’eco di un antico grido di dolore. 15. Si sentiva lontano il pianto convulso: 16. chiù… 17. Sulle cime degli alberi, ben visibili e lucenti per il riflesso della luna, 18. tremava un leggero venticello; 19. le cavallette emettevano un suono stridulo con il frullare delle ali, 20. come i sistri d’argento 21. (bussavano alle porte della morte che non si vedono 22. e forse non si apriranno mai più). 23. E continuava quel pianto funereo: 24. chiù TEMPORALE Del 1894, Temporale rappresenta uno dei primi lavori di Pascoli. Intrisa delle influenze simboliste francesi, la lirica si presenta breve e quasi ungarettiana: c'è solo un verbo infatti ("rosseggia"), dove il colore, forte, prepotentemente si impone nel paesaggio. La poesia è infatti incentrata sui colori: l'orizzonte rosso, il nero di pece, le nubi chiare, e il nero del casolare. Gli echi de "i suoni che rispondono ai colori, i colori ai profumi" che Baudelaire cantava nei suoi Fiori del Male, sono infatti evidenti. Altrettanto interessante è lo stile e il lessico. Apre infatti la poesia una parola onomatopeica, simbolo dell'innovazione pascoliana. Il rifiuto di sostantivi altisonanti, è ben espresso nel v. 4 ("nero di pece") e nel v. 5 ("gli stracci di nubi chiare"). Ma a dominare la poesia è un'analogia fortissima, tipica del movimento simbolista: l'ala di gabbiano. Oltre il fortissimo contrasto cromatico dato dall'accostare un'ala bianca a un casolare perso nel nero di un paesaggio, è forte il richiamo al volatile. L'ala si fa metafora della condizione del nido familiare: si scaglia contro il vento, ma è pur sempre debole e non è ben chiaro se riesce a resistergli o meno. La punteggiatura, inoltre, sul piano sintattico, dà alla lirica un ritmo cadenzato. La percezione di un paesaggio semplice sotto la minaccia di un temporale corrisponde alla visione del suo nido familiare spesso segnato dal male Tecniche: -Impressionismo pascoliano: numerose immagini che si sovrappongono che trasmettono percezioni, sensazioni accostate tra loro in modo rapido (qualcosa di momentaneo) Testo Un bubbolìo lontano… Rosseggia l’orizzonte, come affocato, a mare: nero di pece, a monte, stracci di nubi chiare: tra il nero un casolare: un’ala di gabbiano. Parafrasi Si sente in lontananza un brontolio. In direzione del mare l’orizzonte si colora di rosso, come se fosse infuocato. Verso il monte il cielo è nero come la pece. Ci sono degli stralci di nuvole chiare. In mezzo al nero si vede un casolare, che sembra l’ala di un gabbiano. 10 agosto Pubblicata per la prima volta su «Il Marzocco» del 9 agosto 1897, alla vigilia dell’anniversario della mai chiarita uccisione del padre, avvenuta il 10 agosto 1867, la poesia è stata inserita nella quarta edizione della raccolta Myricae , quella del 1897, dove compare nella sezione intitolata Elegie. Attraverso questi versi, infatti, Pascoli ricorda l'assassinio, avvenuto in una sera d'estate (il 10 Agosto, giorno del martire San Lorenzo). A ciò forse s'aggiunge l'altro evento drammatico di rottura dell'idillio familiare, ovvero il matrimonio (fortemente osteggiato dal poeta) della sorella Ida, nel 1895. Il ricordo perturbante del delitto torna anche in altri testi, come Il lampo e La cavalla storna 10 agosto esce su rivista nel 1897 e viene raccolta nella quarta edizione di Myricae lo stesso anno. La poesia è scritta nel 30° anniversario dalla morte di Ruggero Pascoli, padre del poeta: viene rievocato il momento in cui egli, ucciso, non torna al "nido", provocando disperazione nella famiglia in attesa (i "rondinini"). Nel componimento il piano biografico viene trasposto su un piano cosmico: tale slittamento è probabilmente derivato da Leopardi (ad esempio in A se stesso), sebbene linguisticamente l'eco più diretta sia manzoniana (con la parola "attonito", che rievoca il Cinque Maggio). Dal punto di vista metrico, le quartine sono composte da decasillabi e novenari alternati. La compresenza di elementi cosmici in uno scenario familiare, che ne stempera la potenza rispetto all'immaginario romantico, rappresenta una delle caratteristiche principali della poesia pascoliana. La grandezza di PASCOLI - come sosteneva Debenedetti - è nella sua "rivoluzione inconsapevole", nella sua capacità di tenere costantemente il linguaggio della poesia a cavallo tra due mondi. Andrea Cortellessa è un critico letterario italiano, storico della letteratura e professore associato all'Università Roma Tre, dove insegna Letteratura Italiana Contemporanea e Letterature Comparate. Collabora con diverse riviste e quotidiani tra cui alfabeta2, il manifesto e La Stampa-Tuttolibri. TESTO 1. San Lorenzo, io lo so perché tanto 2. di stelle per l’aria tranquilla 3. arde e cade, perché sì gran pianto 4. nel concavo cielo 1 sfavilla. 5. Ritornava una rondine al tetto: 6. l’uccisero: cadde tra spini: 7. ella aveva nel becco un insetto: 8. la cena dei suoi rondinini. 9. Ora è là, come in croce 2, che tende 10. quel verme a quel cielo lontano; 11.e il suo nido è nell’ombra, che attende, 12. che pigola sempre più piano 3. di quella zona di sicurezza rappresentata dalla famiglia e dalla casa, intesa nel suo senso più immediato di struttura fisica e conosciuta che protegge dalle intemperie della vita. Ma quest’impressione di tranquillità si rivela precaria, destinata com’è a essere inghiottita dalla notte. La morte del padre viene così rappresentata nei termini di un’intrusione violenta e terribile del mondo esterno all’interno della dimensione familiare, violata definitivamente. Il lampo rappresenta allora l’evento che porta la luce su una realtà negativa: da un lato, esso permette di prenderne coscienza del male del mondo ma dall’altro determina un decisivo sovvertimento della calma e sicura consuetudine affettiva. Tutta l’opera pascoliana, d’altronde, è dominata da un’interrogazione sull’esistenza umana, dalla dolorosa consapevolezza della sua precarietà: in questo senso, tematiche come la morte e la sofferenza hanno spesso ruolo predominante nelle sue pagine (si pensi ad esempio a Novembre o a La mia sera. A queste si affianca poi la poetica del quotidiano, costituito di cose semplici e, soprattutto, vicine, a cui il poeta si aggrappa per far fronte ai tumulti della vita e ai cambiamenti che, nonostante gli sforzi, inevitabilmente irrompono nella sua intimità, sconvolgendone gli equilibri. La lirica, buon esempio del simbolismo pascoliano, è insomma una potente testimonianza della paura e dell’angoscia funebre con cui Pascoli guarda al mondo circostante e alla realtà esterna al “nido”, visti esclusivamente come eventualità negative pronte a travolgere affetti, priorità e ritmi della delicata quiete quotidiana. Da questo punto di vista questo testo può essere accomunato per via tematica ad altri due componimenti: Il tuono, che evoca, con richiami uditivi, il fragore improvviso del tuono che interviene a disturbare la pace domestica di una madre che culla il suo neonato (vv. 6-7: “[...] soave allora un canto | s'udì di madre, e il moto di una culla”), e temporale, in cui il nero cielo temporalesco è squarciato dall’ala bianca di un gabbiano che, impavido, riesce ad attraversarlo (vv. 6-7: “tra il nero un casolare: | un’ala di gabbiano”). Metro: ballata “piccola” di due strofe di endecasillabi a rime libere (schema: A BCBCCA). TESTO 1. E cielo e terra si mostrò 1 qual era: 2. la terra ansante 2, livida, in sussulto; 3. il cielo ingombro, tragico, disfatto 3: 4. bianca bianca 4 nel tacito tumulto 5 5. una casa apparì sparì 6 d’un tratto; 6. come un occhio 7, che, largo, esterrefatto, 7. s’aprì si chiuse 8, nella notte nera 9. PARAFRASI 1. E il cielo e la terra si fecero vedere così come erano: 2. la terra che rantolava, cianotica, come mossa da singhiozzo; 3. il cielo pieno di nuvole, carico di un’aria tragica, disfatto: 4. nel silenzioso smuoversi degli elementi, bianchissima 5. una casa apparve e poi scomparve in un attimo; 6. come un occhio, che spalancato dallo stupore, 7. si aprì e poi si chiuse, nella notte buia. Pascoli e il Decadentismo Il pascoli è un poeta decadente. Infatti il pascoli costretto contro la sua volontà è stato emarginato dal mondo e adesso non riesce a comprenderlo, non riesce a coglierne il significato. Infatti il pascoli è l’eterno bambino; si potrebbe dire che soffrisse di una pseudo-sindrome di peter-pan. Il Pascoli è stato costretto a crescere dopo la morte del padre e di alcuni parenti, non è stato nutrito di quell’affetto materno di quel calore che solo dei genitori possono dare , ma che purtroppo la sorella maggiore, che ha fatto un po’ da madre (con scarsi risultati), non ha saputo dargli. Nelle sue poesie si notano dei versi che sono in analogia a questa mancanza di affetto che ha dovuto subire. Il Pascoli (come il poeta decadente del resto) è come se fosse in un cinema la vita gli scorre d’innanzi, ma lui non sa capire non riesce a dare un significato a ciò che succede. Infatti nel XX sec.(secolo in cui il Pascoli è vissuto) C’è la nascita di nuovi filoni letterari ma tutti comunque legati fra di loro da un unico filo “Il decadentismo”. Infatti il Carducci (benché definito l’ultimo grande classico) fa uso di caratteri tipici decadenti come l’uso dei colori; poi c’è il Verga(il quale è il massimo esponente del Verismo) ma che scrive comunque del disagi e dell’incomprensione della gente verso il mondo, infine il Pascoli che si esclude completamente dal mondo(perché non riesce ad interpretarlo)comunica solo attraverso le poesie e lo fa usando colori; suoni;tipicamente Decadenti; ma in lui rimarrà sempre l’estraniazione dal mondo e da ciò che vi succede. Infatti nel ‘900 l’Italia della piccola borghesia (alla quale apparteneva Pascoli) stava attraversando un periodo di scombussolamento, c’era il pericolo imminente del socialismo, che era il nemico principe dei borghesi, poiché il Pascoli ( come del resto i Borghesi) aspirava ad entrare nell’alta borghesia. Un episodio , che racconta l’inesperienza del Pascoli è proprio che in questo periodo di scombussolamento politico il Pascoli aderisce al partito Socialista perché crede che questo partito sia fondato su orme francescane, quando poi successivamente capirà che il socialismo a cui lui aveva aderito non era lo stesso a cui lui aspirava e quindi se ne andrà. Ma tutto ciò lascerà il Pascoli molto confuso, sempre più convinto che il mondo lo esclude, senza invece capire che il mondo non lo esclude, ma è lui ad escludersi. L’esclusione dei poeti decadenti è diversa da quella dei romantici; perché i romantici sono superbi poiché si ritengono superiori e sono convinti che nessun può comprendere i loro problemi, mentre i decadenti si escludono perché non riescono a stare al passo con i vari cambiamenti che accadono nel mondo. Il Pascoli ormai escluso dal mondo, rimane chiuso in se stesso.
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