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Politica e morale - Weber, Sintesi del corso di Sociologia Dei Processi Culturali

Riassunto di "Politica e morale" di Weber, per l'esame orale del Prof. Leonardo Allodi

Tipologia: Sintesi del corso

2018/2019

Caricato il 22/06/2019

carlotta_di_buono
carlotta_di_buono 🇮🇹

5

(1)

4 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Politica e morale - Weber e più Sintesi del corso in PDF di Sociologia Dei Processi Culturali solo su Docsity! MAX SCHELER, Politica e morale, a cura di Leonardo Allodi Morcelliana, Brescia 2011, pp. 172. saggio di Max Scheler (1875-1928), geniale esponente della fenomenologia contemporanea. Il testo affronta una questione cruciale della filosofia pratica, tanto che Scheler stesso la definisce “una sorta di quadratura del cerchio della filosofia pratica”, vale a dire la possibilità di conciliare le dinamiche dell’agire politico con le regole dell’agire morale. La questione va inserita nell’orizzonte teorico descritto nella principale opera etica di Scheler, il Formalismo etico e l’etica materiale dei valori,nella quale l’autore definisce la propria impostazione come una forma di oggettivismo etico, fondato su una gerarchia di valori che tutti gli uomini sono chiamati a riconoscere e a realizzare, unito a una prospettiva personalista, in cui cioè la persona umana ha il primato sulla collettività, pur difendendo come essenziale nell’etica la relazione interpersonale, vista come corresponsabilità morale che lega tutti gli uomini. Nel testo in esame Scheler individua quattro concezioni fondamentali riguardo alla relazione tra politica e morale. Da un lato, troviamo le teorie monistiche, che risolvono uno dei due termini nell’altro: o la morale è ricondotta alla politica, quasi fosse una “politica in piccolo”; oppure la politica è ridotta alla morale, come se non fosse altro che morale applicata al bene comune, una “morale in grande”. Sono esponenti della prima concezione Hobbes e Marx, della seconda le politiche “negative” o della non-violenza e la filosofia cristiana medievale. A queste ultime Scheler obietta che la politica non può applicare molti dei principi supremi della morale, come il comandamento dell’altruismo e dell’amore. Le norme di politica e morale devono essere differenti. Dall’altra parte ci sono le teorie dualistiche, incapaci di conciliare politica e morale. Tra queste si pone Machiavelli, che separa completamente morale e politica fino ad affermare che l’uomo politico può trasgredire qualsiasi norma morale, se ciò va a vantaggio dell’interesse dello stato o suo personale. Scheler ritiene tale posizione inadeguata, perché riduce l’uomo ai suoi istinti, e soprattutto all’istinto di potere, ma anche perché è connotata da una “spaventosa mancanza di metafisica e religione” e conduce a una divinizzazione pagana dello stato (p. 94). Machiavelli non ha modo di distinguere tra ciò che nell’uomo politico è frutto della responsabilità per lo stato e ciò che è mera volontà di potere e affermazione personale. Il secondo tipo di dualismo è invece stato inaugurato da Hegel, che ha separato la morale privata o “soggettiva”, da quella dello stato, che invece è “oggettiva” perché segue la logica dello spirito universale. Scheler accusa Hegel di aver trascurato sia il carattere unico e irripetibile delle situazioni politiche irriducibili a regole universali, sia l’importanza nella politica dei leaders e delle élites, così come delle dinamiche irrazionali che influenzano la vita degli stati. Scheler afferma allora che la politica segue norme diverse dalla morale, eppure entrambe sono subordinate allo scopo di realizzare un ordine di valori che non dipende dalla soggettività e dall’arbitrio dell’uomo, ma ha validità universale ed esprime il destino della persona umana come tale. Grazie al riconoscimento di quest’ordine assiologico, è possibile affermare che l’uomo politico è responsabile del bene comune del suo stato e nello stesso tempo è corresponsabile della salvezza dell’umanità. Dunque, deve agire tenendo conto sia degli interessi particolari del suo sistema politico, sia dei valori universali. Scheler rifiuta allora tanto la ricerca del potere come fine a se stesso, quanto la sua demonizzazione, quasi fosse qualcosa di intrinsecamente malvagio. L’agire politico scaturisce strutturalmente dall’istinto di potere, ma questo non è né buono né cattivo. Il problema del potere consiste nella sua applicazione. La volontà di potenza di Nietzsche, che intende il potere come un fine in sé, è considerata insensata e avulsa dalla realtà. Ci sembra allora che Scheler implicitamente escluda anche l’esercizio del potere per fini esclusivamente egocentrici, perché ciò sarebbe incompatibile con il rispetto dell’ordine oggettivo dei valori che ogni uomo è destinato a realizzare. Se fosse così, qui ci pare che stia il contributo teoretico più importante dato da Scheler alla questione dell’ethos della politica e del potere in generale. Tale ipotesi è confermata da un altro concetto chiave dell’opera, ossia dalla ricorrente espressione “Bestimmung des Menschen”, che indica il compito assegnato alla persona di realizzare l’ordine oggettivo dei valori. Nella traduzione essa è resa con “determinazione dell’uomo”, mentre sarebbe a nostro avviso preferibile tradurla con “missione dell’uomo” (così come fatto nel titolo dell’edizione italiana dell’omonima opera di Fichte) oppure con “destinazione dell’uomo” (come fatto da Simonotti nella traduzione di Ordo amoris di Scheler), per significare meglio il fatto che Scheler non intende una determinazione guidata da necessità, bensì una chiamata, una vocazione, che richiede la libera cooperazione dell’uomo ed esprime la sua incomparabile dignità. Se il compimento dell’uomo dipende dalla realizzazione dei valori, l’opportunismo nell’agire politico ha dei limiti ben precisi perché l’agire non può essere rinchiuso nella visione orizzontale e immanente delle lotte per il potere fine a se stesse, ma trova il proprio orizzonte etico nei valori, che salgono dal vitale allo spirituale e hanno una validità, a detta di Scheler «cosmica, anzi metacosmica» (p. 97). Risulta invece problematica la soluzione data da Scheler a quello che forse è il problema pratico cruciale: in caso di conflitto tra ciò che la coscienza morale indica, alla luce dei principi etici, e ciò che è richiesto dalle circostanze politiche, che cosa deve prevalere? Nella scelta tra la fedeltà ai principi morali e una soluzione che li viola, ma è più efficace, Scheler propende, analogamente a Weber, verso l’agire con responsabilità, ossia per la seconda alternativa. La persona umana ha l’obbligo e il diritto di seguire la propria coscienza, ma l’uomo politico può decidere di sacrificare ciò che la coscienza gli detta e scegliere qualcosa di opposto, se ciò è opportuno per il bene comune. Un’obiezione a questa posizione di Scheler, è che presuppone un uomo politico integerrimo e mai tentato dal male. Trascura il fatto che il MAX SCHELER, “POLITICA E MORALE” (Da sito behemoth) Come scrive Scheler nelle prime pagine “Quando si parla di un conflitto tra «politica e morale», si può alludere al conflitto tra i fini, le regole, le leggi a cui l’agire politicamente ed eticamente significativo si ispira o deve ispirarsi; ma si può anche alludere al conflitto vissuto in prima persona, per esempio dall’uomo di Stato, dal cittadino ecc.” e, in tal senso “possiamo vedere nell’uomo di Stato in primo luogo l’uomo in quanto uomo privato, che sottostà alle stesse leggi morali di un altro uomo. In quanto statista questo uomo ha poi un dovere professionale morale, che appartiene senz’altro ai “doveri morali individualmente validi”, di vivere e agire per il bene generale dello Stato; un’altra, e “diversa questione, che in realtà è la questione centrale vera e propria, è che cosa si determina nel rapporto dello Stato in quanto Stato e dell’uomo di Stato, nella misura in cui egli si identifica con l’interesse dello Stato, con il potere statale, con gli altri Stati e uomini di Stato” di conseguenza “Così potrebbe essere che proprio il primo dovere etico e professionale dell’uomo di Stato sia di agire in quanto uomo di Stato, indipendentemente da obblighi morali e di andare oltre i limiti della morale e del diritto”. A tale problema, prosegue l’autore, si sono date diverse soluzioni, distinte in quattro concezioni fondamentali: 1° tipo: subordinazione della morale alla politica, il che significa: ciò che chiamiamo “regole morali” non sono altro che l’esito di lotte – politiche ed economiche – di classe e di potere (come pensano Hobbes e Marx). 2° tipo: subordinazione della politica alla morale. Questa concezione, monistica al pari della precedente, si presenta come: A. “politica negativa”, ovvero della non-violenza, B. in due versioni: a) la morale stabilisce positivamente i fini della politica, oppure b) limita quest’ultima nello spazio del moralmente lecito. La politica è «morale applicata». 3° tipo: tra morale e politica non esiste unità, nè subordinazione unilaterale: lo statista non è vincolato ad alcuna legge morale, anzi può trasgredirla arbitrariamente in favore della potenza e del benessere del proprio Stato. Egli è tenuto ad agire basandosi esclusivamente sugli interessi oggettivi di quest’ultimo, cioè secondo la “ragion di Stato”. Le norme morali godono certo di autonomia, ma sono valide soltanto per gli individui. Questa soluzione strettamente dualistica ha preso avvio da Niccolò Machiavelli, il suo più importante e incisivo portavoce. 4° tipo: esistono due tipi essenzialmente differenti di morale: la morale privata e quella di Stato. Lo Stato non può mai essere subordinato alla morale privata, o «moralità soggettiva». Il primo a tracciare questa separazione tra morale privata e morale di Stato è stato Hegel”. Quindi due concezioni monistiche e due dualistiche, che Scheler analizza compiutamente. Critica le prime due: la prima gli appare, subordinando la morale alla politica, come una “politica in piccolo” per la quale la condotta morale degli individui è soltanto un agire secondo un “egoismo beninteso”; la seconda riduce la politica alla morale, ritenendo quella come “morale in grande”. Conclude che “Una subordinazione della politica alla morale è qualcosa di falso, tanto quanto la subordinazione della morale alla politica. La morale non può dire ciò che si deve fare in politica, né ciò che non si deve fare. La politica ha una sua propria e autonoma legalità, e soltanto il comune riconoscimento di un ordinamento oggettivo di valori e del suo corrispondente ordinamento di beni giuridici – secondo lo stadio di sviluppo dell’ethos dell’epoca – può annodare etica, diritto e politica”. Quando prende in considerazione il terzo tipo (cioè il “problema Machiavelli”) Scheler sostiene che “L’idea fondamentale di questo sistema è: vi sono “norme morali” indipendenti dalla politica (e dalle sue autonome leggi) (in opposizione al primo tipo): L’uomo di Stato può violare queste norme a suo assoluto piacimento se questo: 1. è a favore dell’interesse oggettivo dello Stato, della cosiddetta “ragion di Stato”; 2. corrisponde al suo interesse a far carriera . L’unica cosa dunque che deve vincolare l’uomo di Stato è l’interesse per l’espansione della forza del suo Stato e l’interesse per la sua propria posizione di forza all’interno di questo. La forza è in sè un bene. E nulla esiste al di là della politica e della morale”; questo in sintesi, ma meriterebbe un esame più approfondito di una recensione il confronto del filosofo tedesco col grande fiorentino. Sostiene Scheler che a stento nella storia l’immagine di un uomo abbia avuto giudizi così diversi quanto quelli formulati su Machiavelli. Lo stesso Scheler ne fa un profilo in parte coincidente con quello di Croce, in parte tributario a Schmitt: le idee di Machiavelli sono quelle “di un animo ardente, nato in un tempo caotico”. Si basa da un lato sulla concezione decisamente naturalistica dell’uomo, in particolare dell’uomo “en masse”: l’uomo, per quanto possegga la ragione, è per lui un essere istintivo, e il suo più forte istinto è quello che lo predispone all’accrescimento del suo potere, della sua ambizione”; ma a questo si associa un ideale di umanità che mira in alto. Ciò che il segretario fiorentino ammira ed esalta è la “virtù” “come forza vitale, autocoscienza che si isola, fierezza, disprezzo per la massa, per la mediocrità (distanza), magnanimità nella vittoria, capacità di sacrificarsi per ciò per cui ci si adopera («un uomo di Stato non può mai pensare a se stesso»), disprezzo per la morte, pienezza erotica, misura, saggezza (come circospezione), energia, senso della gloria, immortalità terrena, volontà di responsabilità e di dominio, orgogliosa indifferenza per la vita e per la felicità”. E conclude Scheler “E’ su questa base che sorge la teoria di Machiavelli sul rapporto fra “politica e morale”: la necessità del destino e gli interessi, divenuti perciò oggettivi, dello Stato da lui teorizzato, esigono che l’uomo di virtù non possa essere anche “buono” in senso morale”. Il merito di Machiavelli, secondo Scheler, resta legato alla separazione profonda e rigorosa tra politica e morale individuale, ma “Il sistema dualistico di Machiavelli è falso non perché non subordina la politica alla morale, come dicono i sostenitori del diritto naturale, ma perché non riconosce il sistema di valori oggettivi che sopravvive alla morale e alla politica e che congiunge politica e morale nella «determinazione dell’uomo» e nell’idea del bene; un sistema che possiede dignità cosmica, anzi metacosmica”. Passando all’altra concezione dualistica, l’autore sostiene “Dal momento che l’ordinamento dei valori è identico tanto per il giudizio di valore e l’agire del privato cittadino, quanto per ‘l’uomo di Stato’, sarebbe in se possibile far discendere, da quest’ordine dei valori, da un lato norme morali per lo Stato e per i suoi rappresentanti, dall’altro norme morali per il singolo individuo. Un tale tentativo è iniziato con Hegel”. Ma secondo Scheler la concezione hegeliana è improponibile “É dannoso tanto demonizzare lo Stato quanto divinizzarlo. In Machiavelli l’uomo di demoniaca virtù ha voluto farsi Dio; in Hegel l’idea divina stessa è divenuta il demone dell’«astuzia della ragione». Hegel ha «divinizzato» lo Stato, ma ciò che non sopporta divinazione diventa facilmente diabolico. Lo Stato non è né divino, né diabolico; ma daimonico. Hegel ha privato la «moralità soggettiva» della giusta serietà rispetto a ciò che egli definisce «eticità oggettiva» dello Stato”. Passando ad esporre la propria concezione l’autore ne fissa i concetti fondamentali, che sono: a) Comportamento politico e comportamento morale (e così pure quello giuridico) si escludono in modo essenziale. Nessun tipo di politica sottostà a norme morali – né la politica estera né quella interna. b) É vero tuttavia che comportamento politico e comportamento morale sono insieme subordinati alla “specifica determinazione dell’uomo”, allo scopo di realizzare un ordinamento di valori di natura oggettiva indipendente dalla soggettività e dall’arbitrio umani. Politica e morale risultano infatti radicate in un’assiologia universale”. Tale assiologia determina in un ordinamento dei valori tanto la politica che la morale. Rispetto a quanto s’intende di solito (in ispecie nella fase attuale di decadenza dell’Italia) per valore, morale e politica, la concezione di Scheler è ben diversa. La politica “è aspirazione al potere, è volere fondato sull’istinto di potere con lo scopo di realizzare valori positivi nei limiti dell’ordinamento dei valori che predomina in una collettività”; la morale “intesa come sistema prescrittivo, è una tecnica per far sì che la gerarchia di valori che anima l’ethos collettivo divenga attiva nella vita privata, tra i singoli individui”. Quanto alla gerarchia dei valori “La politica ha a che fare, in primo luogo, con i valori vitali della collettività: non con la «felicità del maggior numero», né con i valori spirituali. Esistenza vitale e libertà vengono prima di tutto il resto”; per cui la “politica non è in alcun modo subordinata alla «legge morale»: l’agire morale è essenzialmente differente dall’agire politico, anche nel singolo. L’agire politico e quello morale, e il diritto, tuttavia sono subordinati all’ordine oggettivo dei valori (assiologia). La politica è aspirazione al potere, è un volere fondato sull’istinto di potere con il fine di realizzare valori positivi nei limiti della gerarchia di valori che domina una collettività”; e prosegue “La politica non può mai essere vincolata a «norme» (corrispondenti all’ordine dei valori). Le norme si modificano, mentre l’ordine dei valori resta fisso”. Da ciò si può vedere di quanto differisca la concezione di Scheler da quelle di qualche costituzionalista à la page o dei moralisti da rotocalco. Da quest’ultimi per la rigida distinzione tra politica e morale, cui la prima non è subordinata, ma ambedue trovano il fondamento nell’ordinamento dei valori; dai primi perché nella gerarchia dei valori pone come primari (per la politica) esistenza vitale e libertà (salus rei publicae suprema lex), e solo secondariamente, quelli ricavabili dai “cataloghi” dei diritti fondamentali espressi (o desumibili) dai testi
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