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Politica Economica e strategie aziendali, Sintesi del corso di Politica Economica

Riassunto capitoli 11-19 del libro "Politica economica e strategie aziendali" di Nicola Acocella

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica Politica Economica e strategie aziendali e più Sintesi del corso in PDF di Politica Economica solo su Docsity! POLITICA ECONOMICA E STRATEGIE AZIENDALI CAPITOLO 11 Aspetti macroeconomici e microeconomici La politica macroeconomica tende al raggiungimento di quattro obbiettivi principali: piena occupazione, stabilità dei prezzi, equilibrio della bilancia dei pagamenti, sviluppo. Il loro perseguimento genera spesso fallimenti di mercato, ed è proprio dalle teorie macroeconomiche che li mettono in luce che deriva il modello di analisi che: a) permette di individuare quelle variabili alle quali si può assegnare il ruolo di strumenti; b) indica i legami fra obbiettivi e strumenti , consentendo di fissare il valore di questi ultimi a livello ottimale. Gli strumenti della politica macroeconomica sono: politica monetaria, politica fiscale, politica dei prezzi e dei redditi, politica del cambio  questi non hanno effetti diffusi e di egual peso su tutto il sistema, sono invece spesso di natura selettiva: es. politica monetaria restrittiva che tende a ripercuotersi sia soprattutto sulle aziende minori in termini di tassi e di quantità di credito (razionamento del credito) erogate dalle banche, ma anche sugli investimenti delle piccole e medie imprese (più che su quelli delle grandi imprese, capaci di autofinanziamento e di sussidi azione incrociata – cross subsidisation). L’apertura internazionale di un sistema economico determina effetti importanti sulla performance del sistema stesso e sulle possibilità di intervento pubblico; essa introduce, anzitutto, un ulteriore obbiettivo per l’azione pubblica: l’equilibrio della bilancia dei pagamenti ma anche strumenti aggiuntivi, come la manovra del tasso di cambio, ed opportunità ulteriori per i soggetti che operano nel sistema considerato. Bilancia dei pagamenti, mercato valutario e tasso di cambio Le transazioni economiche registrate nella bilancia dei pagamenti comportano di norma esborsi e introiti di valute estere  in un’economia aperta agli scambi con l’estero (altra valuta) si forma il mercato dei cambi: domanda e offerta di valuta estera, tassi di cambio. Con riferimento a due paesi nel mercato dei cambi si determina il tasso di cambio nominale bilaterale, ossia il prezzo di una moneta (valuta) in termini di un’altra moneta; e vi sono due modi per esprimerlo:  incerto per certo  l’unità monetaria di riferimento è quella estera e il prezzo di tale unità è espresso in moneta nazionale (ossia si indica una quantità variabile di moneta nazionale per unità di moneta estera)  certo per incerto  quando è fissa la quantità della moneta nazionale e varia quella della moneta estera Con la quotazione certo per incerto, un aumento del cambio (es. da $1,15/1 euro a $1,20/1 euro) indicherà allora un aumento del valore dell’euro rispetto a quello del dollaro  apprezzamento dell’euro. Una diminuzione del cambio indica un deprezzamento dell’euro. Viceversa vale per la quotazione incerto per certo. Nella realtà però non esistono solamente due paesi  se n è il numero totale dei paesi che adottano diverse unità monetarie, il tasso di cambio nominale effettivo è una media ponderata degli n – 1 tassi di cambio bilaterali esistenti, con pesi dati dalle transazioni commerciali tra paesi. Quali sono le forze che determinano il livello e le variazioni del cambio (nominale) e quali sono le variabili sulle quali il cambio ha influenza? Come ogni prezzo risente di domanda e offerta (in questo caso di valuta estera)  se aumenta la domanda di valuta estera (per qualsiasi causa di peggioramento della bilancia dei pagamenti) il cambio si deprezza e viceversa. Se i mutamenti del cambio discendono dalla variazione di tutte le voci della bilancia dei pagamenti, essi però influenzano solo alcune delle transazioni economiche che vi sono comprese: in particolare si riflette sul movimento dei beni  es. supponiamo che in Europa io abbia un dato prezzo di una merce pari a 1€ e che nel Resto del mondo costi invece 1,15 $; se il cambio fosse esattamente di 1,15 $/ 1€, sarebbe indifferente acquistare in Europa o nel Resto del mondo. Ove invece il cambio fosse maggiore di 1,15, sia ai residenti in Europa, sia ai non residenti coverebbe acquistare nel Resto del mondo (importazione); Un cambio minore di 1,15 rovescerebbe la convenienza (inducendo esportazioni)  si deduce che il cambio influenza la competitività. Serve trovare un indicatore della competitività che tenga conto simultaneamente del cambio nominale, dei prezzi interni e di quelli esteri; tale indicatore è dato dal rapporto tra:  prezzo dei beni nazionali espresso nella moneta nazionale (€) p, moltiplicato per il tasso di cambio (ossia il numero di $ equivalente ad 1€)  Prezzo della merce estera, pw, espresso in $ Tale indicatore si chiama tasso di cambio reale bilaterale, er  er = p x e pw Un aumento del rapporto è indicativo di un aumento del prezzo dei beni europei rispetto al prezzo dei beni del resto del mondo, e poiché un aumento del tasso di cambio reale ha lo stesso effetto di un aumento del tasso di cambio nominale (certo per incerto), si parla di apprezzamento del cambio reale; al contrario, una riduzione del rapporto stimola le esportazioni europee (deprezzamento del cambio reale). Con riferimento a molti paesi e non a un solo paese estero, si parla di tasso di cambio reale effettivo  ciò che interessa nel cambio reale effettivo non è il valore da esso assunto in un ceto istante, ma la sua variazione nel corso di un dato periodo (da cui deriva la variazione della posizione competitiva del paese). Dalla formula precedente possiamo ricavare la variazione del tasso di cambio reale bilaterale: ér=é+( ṕ− ṕw) dove i puntini indicano tassi di variazione nell’unità di tempo ed il termine tra parentesi è detto inflazione relativa. E’ evidente che vi sarà perdita di competitività per le merci del paese considerato se la somma della crescita dei prezzi interni e del tasso di cambio nominale eccede la crescita dei prezzi esteri. lOMoARcPSD|2019843 Si è parlato delle determinanti e degli effetti di variazioni del cambio nominale con cambi flessibili o fluttuanti, non vi sono limiti alla variazione dei cambi (esempio: dollaro-euro-yen) con cambi fissi vi sono limiti ben definiti entro cui il cambio può oscillare, attorno ad un valore detto parità o tasso centrale (la “fissità” può essere frutto dell’intervento pubblico o di meccanismi automatici); es. SME in passato. L’intervento delle autorità monetarie consiste nell’offrire valuta estera in contropartita di moneta nazionale, se il cambio si sta deprezzando. In un regime di cambi flessibili l’intervento delle autorità monetarie può contenere le fluttuazioni del cambio  fluttuazione sporca o amministrata Un regime intermedio è quello delle zone obbiettivo (target zones) proposto da John Williamson  tentativo di combinare i vantaggi dei cambi fissi e di quelli flessibili: regime in cui vi sono margini di variazione piuttosto ampi rispetto a un tasso di cambio di equilibrio fondamentale; i margini di variazione sarebbero poi “morbidi”, ossia le autorità monetarie non sarebbero tenute ad interventi obbligatori per evitare che il cambio superi i limiti di oscillazione previsti.  dalle aspettative sul tasso di cambio Più complesse sono le determinanti degli investimenti diretti (non finanziari). In generale tale saldo dipende:  dai differenziali nei saggi profitto  dalla posizione delle varie imprese nei mercati e connesse considerazioni strategiche  dalla dimensione e tasso di crescita dei paesi considerati Se per semplicità trascuriamo gli investimenti diretti e ipotizziamo che in ogni paese i tassi a lunga siano strettamente collegati ai saggi a breve, il saggio dei movimenti di capitale, MK, dipenderà semplicemente dai saggi di interesse (a breve o a lungo termine) nei due paesi nonché dalle variazioni attese nel cambio: + - + MK = g(i , iw , é e ) Consideriamo iw ed e e come dati: in questo caso potremo esprimere il saldo dei movimenti di capitale come MK = g’(i) La variazione delle riserve ufficiali è pari alla somma dei saldi del conto corrente, del conto capitale e delle altre voci del conto finanziario: rappresenta il saldo della bilancia dei pagamenti. BP=PC+MK=φ (p , pw , e ,Y ,Y w ,i ,iw , é e ) Il saldo della bilancia dei pagamenti dipende così: 1. dal saldo del conto corrente e del conto capitale, che varia in particolare in funzione di:  fattori di competitività di prezzo (p , pw , e)  tasso di cambio reale  fattori di domanda (Y ,Y w¿ b) dal saldo dei movimenti di capitale, che dipende dal differenziale di interesse e dalla variazione attesa del cambio (i ,iw , é e )  BP=h' (e ,Y i) Modello Mundell-Fleming Questo modello deriva dai lavori di Mundell (’63) e Fleming (’62), supera l’ipotesi keynesiana di un sistema economico chiuso e generalizza l’apparato analitico IS-LM, introducendo: 1) come componente positiva della domanda globale, le esportazioni nette; 2) un ulteriore mercato, relativo ai pagamenti con l’estero,in aggiunta ai mercati di beni e moneta; Quindi: 3 mercati (dei beni, IS; della moneta, LM; estero, BP) Analizziamo l’introduzione 1)  nel caso più semplice, dove X = X́ , M = mY, dove m = propensione ad importare del paese considerato: Y =C + I +G+ X −M C = cY I = I (i) G = Ǵ X = X́ M = mY Per sostituzione si ottiene: Y= 1 1−c+m [I (i )+Ǵ+ X́ ] Esplicitando la funzione degli investimenti si ottiene la relazione tra i e Y che ha la stessa forma della normale IS in economia chiusa. In economia aperta la IS presenta alcune particolarità. A parità di I e Ǵ: o è traslata a destra per la presenza di X́ , ulteriore componente esogena alla domanda. o è più inclinata per la presenza di m nel moltiplicatore, ossia che parte della domanda si rivolge verso l’estero. In un contesto più generale (esportazioni nette in termini reali) la IS risente dei prezzi interni (se crescono si sposta a sinistra e aumenta la sua pendenza, per l’effetto negativo delle esportazioni), del cambio e dei prezzi esteri (una diminuzione del cambio e/o un aumento dei prezzi esteri avrà l’effetto opposto). Consideriamo la parte monetaria del modello keynesiano. L’equilibrio di mercato monetario (Ls / p=kY +L0−vi ¿ può essere espressa dalla relazione Y=f (i ), ossia la rappresentazione analitica della curva LM. Passiamo al mercato dei pagamenti con l’estero, riprendiamo la teoria della BP ( BP= f ( p , pw , e ,Y ,Y w ,i , iw , é e ), e vediamo com’è possibile semplificare la rappresentazione dei fattori dai quali dipende questo saldo  considerando tutti i fattori come dati, il saldo dei conti con l’estero può essere espresso come segue: BP=h(Y , i , e) La curva BP o Rappresenta le combinazioni di i e Y che portano in equilibrio la bilancia dei pagamenti. o Ha inclinazione crescente: se cresce Y, cresce m, MA si crea disavanzo: tanto maggiore è la propensione a importare, tanto più peggiora il saldo dei movimenti di beni  occorre che i cresca per attirare capitali, aumentare il tasso d’interesse interno ed eliminare il disavanzo. o La sua pendenza sarà positiva quanto minore è m e maggiore la reattività dei movimenti dei capitali al tasso di interesse. o Con perfetta mobilità dei capitali la BP sarà una retta orizzontale in corrispondenza di un tasso di interesse interno esattamente uguale a quello internazionale. o Al contrario è verticale nel caso ipotetico di assenza di movimenti di capitale. NB: tutto ciò vale per un dato tasso di cambio: se il tasso di cambio certo per incerto fosse minore (a causa di deprezzamento o svalutazione), l’equilibrio della BP in termini reali sarebbe assicurato con più bassi tassi d’interesse o con più elevati livelli di reddito e la BP sarebbe allora spostata verso i basso (poiché la svalutazione cresce e importazioni) e meno inclinata (per via della riduzione della propensione a importare) BP’’ = tasso di cambio > é BP’ = tasso di cambio < é Il punto cruciale concerne gli effetti della variazione dei prezzi interni sul tasso di interesse reale r  fino a quando i prezzi sono dati, i = r ; quando i prezzi variano il tasso di interesse nominale normalmente varia: ciò rende difficile utilizzare l’apparato analitico IS-LM, i quanto gli effetti sull’equilibrio reale si verificano tramite il saggio reale, mentre quelli sull’equilibrio monetario hanno luogo attraverso il saggio nominale. Equilibrio simultaneo di tutti e tre i mercati A = equilibrio simultaneo dei tre mercati; ogni spostamento di una delle tre curve, ossia il mutamento delle condizioni di equilibrio in uno dei tre mercati, comporterà una situazione di squilibrio per almeno uno dei rimanenti. Lo squilibrio provocato dallo spostamento di una delle tre curve può essere superato in uno dei seguenti modi: a) il sistema può tendere in qualche misura a riportarsi verso la situazione iniziale; b) il sistema tende a muoversi verso una nuova posizione di equilibrio.  quale di questi si verificherà dipende dal tipo di squilibri prodottosi e dal regime di cambi. L’abbassamento della BP a causa di svalutazione non è l’unico effetto, in quanto la stessa diminuzione del cambio certo per incerto produce un incremento della spesa autonoma (esportazioni)e quindi fa spostare anche la IS. A B C Gli intermediari finanziari possono essere specializzati a seconda delle esperienze nazionali e dei frangenti storici. La specializzazione può riferirsi al ramo di attività economica dei beneficiari dei prestiti, per la durata dei finanziamenti concessi, per la forma di credito concessa. NB: di particolare rilievo è la specializzazione rispetto alle scadenze: banche di tipo inglese, introdotta in Italia nel 1936 (separazione tra breve e lungo termine), superando la banca di tipo tedesco o mista o universale (nessuna separazione tra breve e lungo termine). In Italia dopo la crisi degli anni trenta era stato scelto il modello inglese, ma dal 1993 ci si è mossi nuovamente verso il sistema tedesco, che ha permesso anche la partecipazione delle banche nel capitale delle imprese, superando quella separazione prima citata. I sistemi finanziari anglosassoni oltre ad essere caratterizzati dalla banca di tipo specializzato, sono dei sistemi mercatocentrici. A partire dal 2007, si sono manifestati con evidenza i limiti dei mercati finanziari come strumenti di allocazione delle risorse: la teoria tradizionale sostiene che essi svolgono una funzione di accrescimento dell’efficienza agevolando la canalizzazione del risparmio verso le occasioni di investimento più remunerative: da un lato i risparmiatori acquistano le azioni delle società delle quali si attendono maggior rendimento, dall’altro le imprese sono indotte ad accrescere i profitti per attrarre più flussi di finanziamento  ma questo ragionamento presenta forti limiti, in particolare a causa delle carenze del mercato finanziario come strumento di supervisione e controllo dell’operato dei managers, derivate principalmente dall’operare della speculazione. Come ha spiegato Keynes, in una situazione di incertezza lo speculatore non si preoccupa di individuare tanto il tasso di rendimento più elevato nel lungo periodo, quanto piuttosto l’opinione prevalente dei mercati e i suoi mutamenti  si rifletta sul fatto che il guadagno o la perdita che uno speculatore ottenga dalla stipula di un contratto di opzione o future, dipende soltanto dalla capacità che egli abbia di prevedere più o meno correttamente degli altri operatori il prezzo che prevarrà sul mercato; tuttavia, se ognuno ragiona in questo modo, non può dirsi che il prezzo prevalente sul mercato abbia alcuna connessione con le sottostanti caratteristiche di redditività di lungo periodo dell’attività considerata. La moneta come attestazione debitoria di intermediari finanziari Nell’evoluzione che ha portato dalla moneta-pegno (moneta merce) alla moneta-segno, la moneta è diventata niente altro che una passività, avente o meno forma cartolare, emessa da un intermediario finanziario. Possiamo individuare due tipi di moneta e, corrispondentemente, due tipi di intermediari finanziari:  I biglietti banca (banconote), creati dagli istituti di emissione  costituiscono la moneta avente corso legale (legal tender). Fino al 1914 vi era ancora la possibilità di convertire le banconote in monete metalliche o in barre d’oro, venuta meno la convertibilità, l’accettazione delle banconote è stata imposta per legge (costo forzoso).  I depositi, creati dalle banche  si tratta di una passività delle banche ordinarie, l’aspetto fiduciario quindi è cruciale: non è imposta da un’autorità esterna. In aggiunta, negli anni più recenti sono state create nuove passività, che hanno assunto rilievo per il loro elevato grado di liquidità  in specifico riferimento all’Italia, si tratta della raccolta bancaria “pronti contro termine”, dei certificati di deposito bancari, delle accettazioni bancarie, dei buoni ordinari del Tesoro (BOT) e dei buoni del Tesoro in ECU. Il ruolo degli operatori pubblici nella creazione di nuovi strumenti di liquidità è rilevante per le ampie emissioni da parte del Tesoro di titoli a breve e, e negli anni più recenti, di titoli a medio e lungo termine. La raccolta bancaria pronti contro termine (p/t) consiste nella vendita di titoli a pronti e nel contemporaneo riacquisto a termine degli stessi. I certificati di deposito sono titoli di debito trasferibili, rappresentativi di depositi a scadenza vincolata, emessi da banche o istituti di credito speciale. Le accettazioni bancarie, ossia cambiali tratte spiccate da un cliente su una banca, non costituiscono una vera e propria novità, ma a partire dalla metà degli anni Settanta sono stati impiegati ampiamente per eludere le norme che imponevano un limite alla crescita degli impieghi. La grande varietà di strumenti finanziari conduce all’introduzione di molteplici concetti di moneta:  m1= moneta in senso stretto che include quella circolante e i depositi bancari a vista  m2= aggregato monetario intermedio, comprende m1 + depositi a scadenza fino a 2 anni  m3= o moneta in senso ampio, m2 + operazioni p/t + quote dei fondi di investimento monetari e titoli di debito di istituzioni finanziarie monetarie fino a 2 anni La banca centrale e la base monetaria In un primo momento gli istituti di emissione (ossia gli intermediari finanziari che avevano ricevuto il privilegio governativo di emettere banconote) continuarono a svolgere la normale attività bancaria; successivamente, proprio questo privilegio e le strette relazioni col potere pubblico, collocarono gli istituti di emissione in una posizione particolare rispetto alle altre banche, con le quali comunque continuavano a condividere le caratteristiche di impresa e la natura privatistica. Vi erano quindi rischi di instabilità  in particolare può emergere il pericolo che le riserve detenute dalle banche siano insufficienti per far fronte ai ritiri imprevisti dei depositi. L’insolvenza di questi intermediari può essere evitata se l’istituto di emissione fornisce loro la liquidità necessaria, assolvendo alla funzione di prestatore di ultima istanza e operando come banca delle banche o Banca centrale  le cui funzioni vengono completate dalla regolamentazione della condotta delle banche e dall’introduzione di controlli tendenti ad assicurare il rispetto delle regole. La funzione di regolamentazione, oltre ad essere strettamente legata a quella di prestatori in quanto volta a evitare che le banche intraprendano operazioni eccessivamente rischiose, include la fissazione di un obbligo di mantenere a fronte dei depositi una riserva obbligatoria, in aggiunta a quella di carattere libero  le attività finanziarie che possono essere utilizzate dalle banche ordinarie al fine di costituire una tale riserva formano la cosiddetta base monetaria o moneta ad alto potenziale. Essa comprende tutte le passività a vista emesse dalle autorità monetarie nonchè quelle prontamente trasformabili in esse. Prima dell’UME, la base monetaria in Italia comprendeva i biglietti e le monete della Banca d’Italia e del Tesoro e i depositi presso la Banca d’Italia del settore non statale e delle aziende di credito; con l’UME, la base monetaria può essere identificata con la somma del circolante, la riserva presso la BCE e con i depositi che possono essere costituiti dalle banche presso la stessa BCE. La base monetaria risponde all’esigenza del sistema bancario di mantenere riserve libere nonché di adempiere all’obbligo di costituzione della riserva obbligatoria ( = base monetaria delle banche), inoltre, poichè comprende la moneta legale, serve anche al pubblico come scorta di circolante (= base monetaria del pubblico) I canali o le fonti di creazione della base monetaria sono individuati in quei settori istituzionali che fungono da contropartita alle operazioni di credito della Banca Centrale: 1. Estero  la BC crea (o distrugge) base monetaria in contropartita con il settore “estero” quando acquisisce (o cede) riserve, ossia oro e valute convertibili; la creazione (o distruzione) è necessaria (ed è quindi sottratta alla volontà della Banca centrale) in un regime di cambi fissi quando la bilancia dei pagamenti presenta un avanzo (o disavanzo) e assolve alla funzione di mantenere fisso il cambio. NB: in caso di cambi flessibili non vi è nessun obbligo di intervento della banca centrale. 2. Tesoro  si crea base monetaria attraverso il canale “Tesoro”, in quanto esso stesso emette monete (e/o biglietti), e la Banca centrale può eventualmente concedergli credito attraverso titoli di Stato sul mercato primario (con l’acquisto di titoli all’emissione) 3. Operazioni di mercato aperto  si tratta delle operazioni di acquisto e vendita compiute sul mercato secondario dei titoli di Stato: se la Banca centrale acquista titoli nel mercato secondario, integra la base monetaria esistente, se li vende, distrugge base monetaria. Le operazioni di mercato aperto possono essere: definitive (se l’effetto di variazione della base monetaria dura fino alla scadenza del titolo) oppure temporanee (quando contemporaneamente all’acquisto (o vendita) a pronti si ha una vendita (o acquisto) a termine, per una durata generalmente di pochi giorni. Queste operazioni sono uno strumento di grande rilievo; il fatto è che in esse è insito un duplice aspetto: costituiscono un finanziamento, pur indiretto, al Tesoro, ma sono anche un mezzo attraverso il quale la Banca centrale regola la liquidità. 4. Banche  quando si pone come la “banca delle banche”, la Banca centrale crea base monetaria attraverso il canale “Banche”, rifinanziando il sistema creditizio mediante operazioni di risconto di cambiali o di anticipazioni su titoli. Manovra del tasso ufficiale di sconto e del tasso sulle anticipazioni  mezzi con cui la Banca centrale può regolare l’accesso al credito di ultima istanza attraverso la modifica delle condizioni poste al credito stesso. Il totale della base monetaria offerta attraverso le varie fonti deve essere uguale al totale della base monetaria domandata, ossia al totale degli impieghi. Il bilancio della base monetaria può essere espresso nel modo seguente: BP + FINT + RB + OMA = BMP + BMB (  variazione dell’oro e delle attività in valuta + variazione del finanziamento al Tesoro + operazioni di mercato aperto + variazione del rifinanziamento bancario = variazione della base monetaria domandata dal pubblico + variazione della base monetaria domandata dalle banche) Le banche e i depositi Mezzi di scambio sono anche le attestazioni debitorie rilasciate dalle banche, i depositi, il cui volume non è in qualche modo legato alla quantità di base monetaria. Lo dimostriamo sulla base delle seguenti ipotesi: 1. Il pubblico desidera tenere un rapporto fisso tra circolante BMP (base monetaria) e i depositi di cui è titolare D (una certa frazione h) BMP = h x D 2. Le banche mantengono un rapporto fisso tra la base monetaria destinata alle riserve (libere o obbligatorie) BMB, e o depositi raccolti D (una certa frazione J) BMB = j x D La base monetaria può essere tenuta dal pubblico o dalle banche BM = BMP + BMB quindi, per sostituzione: BM = hD+jD= D (h+j) da cui: D= 1 (h+ j) BM h e j sono convenientemente minori di 1; di conseguenza, i depositi sono un della base monetaria.  1/(h+j) viene perciò detto moltiplicatore dei depositi. Se si definisce l’offerta di moneta come circolanti + depositi, la quantità complessiva di moneta offerta (LS ¿ può essere posta in relazione alla base monetaria: Se LS=BMP+D e BMP = hD, si ottiene: LS= hD+D= D(1+h). Ma poiché →LS= (1+h) (h+ j) BM In cui (1+h)/(h+j) rappresenta il moltiplicatore della moneta. Controllando BM e j le autorità monetarie controllano la moneta complessiva. Il coefficiente h (ed anche j per la parte che riguarda le riserve libere) qui sono assunti come costanti. Si supponga che h = 0, ossia che il pubblico non detenga base monetaria, la quale affluisce tutta al sistema bancario  il pubblico in questo caso fa uso soltanto di moneta bancaria e non di base monetaria. Supponiamo che venga creata una base monetaria pari a BM; essa viene depositata in banca (deposito originario, D1 = BM). La banca deve soddisfare l’obbligo di riserva, e si comporta della banca corrisponda una pari domanda da parte del pubblico. J presuppone anche comportamenti appropriati da parte dei soggetti che domandano credito alle banche  MA se la domanda di credito fa difetto, il meccanismo di creazione dei depositi funziona solo in parte e la banca si ritroverà con un j effettivo superiore a quello desiderato. Ciò accade soprattutto quando la base monetaria cresce e quindi il credito non viene espanso per mancanza di domanda  j cade. Con manovre restrittive è meno probabile. Esaminio la possibilità di controllare l’offerta di moneta attraverso il coefficiente della riserva obbligatoria. J (per la parte obbligatoria) può essere controllato direttamente, un controllo diretto che prescrive un determinato comportamento delle banche. Tale manovra è più efficace in fase restrittiva: Ad un volume di depositi inizialmente dato deve corrispondere un aumento del coefficiente di riserva obbligatorio; se le banche non dispongono di ampie riserve libere, devono ridurre i crediti. Per conseguenza si ridurranno anche i depositi e l’offerta di moneta. Logicamente la manovra non ha effetto se le banche dispongono di  riserve libere  altri titoli “liquidi” prontamente trasformabili in BM Per evitare questi pericoli si possono introdurre i massimali degli impieghi (limiti all’entità dei crediti concessi). Vi si e’ fatto ricorso in Italia negli anni Settanta e Ottanta. Gli obbiettivi (finali) e gli organi della politica monetaria La politica monetaria condivide cn gli altri strumenti di politica gli stessi possibili obbiettivi: stabilità monetaria interna ed esterna, occupazione, sviluppo  se da un lato vi è complementarietà tra gli obbiettivi, dall’altro, almeno nel breve periodo possono porsi problemi di sostituibilità tra essi: il perseguimento di uno preclude la possibilità di raggiungerne un altro  stabilità monetaria interna (ed esterna) VS occupazione. Una scelta razionale dei policy makers richiede che comunque venga stabilita una scala di priorità: questa decisione diviene più pressante quando esista qualche genere di decentramento nelle decisioni di politica economica  sorge allora il problema dell’assegnazione appropriata degli strumenti agli obbiettivi . Nelle economie contemporanee, in generale l’organo responsabile della politica monetaria (Banca centrale) è indipendente dal governo, potendo decidere l’obbiettivo da perseguire (indipendenza politica o funzionale) o gli strumenti necessari a conseguirlo (indipendenza economica o operativa). Ciò pone il problema del coordinamento tra responsabili della politica economica soprattutto se gli obiettivi non sono tra loro complementari (per cui ottenerne uno può danneggiare gli altri). In generale alle autorità monetarie si affida la stabilità monetaria interna ed esterna (vale a dire: inflazione e cambio). Più discutibile è la capacità dell’azione monetaria di stimolare l’aumento del reddito e dell’occupazione partendo da un equilibrio di disoccupazione. Le autorità monetarie possono influenzare la crescita in due modi opposti:  con la stabilità monetaria che incentiva il risparmio finanziario  con l’instabilità monetaria (inflazione) che potrebbe stimolare gli investimenti e la crescita la scelta dipende dalla natura delle aspettative e da altre caratteristiche del sistema economico e finanziario. La politica bancaria in regime di cambi fissi e flessibili L’efficacia della politica monetaria rispetto all’occupazione e al reddito dipende dal regime dei cambi: inefficace con cambi fissi (poiché la politica fiscale ha pieno controllo della domanda globale), efficace con cambi flessibili. In un regime di cambi fissi avanzi o disavanzi della bilancia dei pagamenti danno luogo a variazioni della base monetaria (e dell’offerta di moneta), proprio per l’esigenza di tenere fisso il cambio. Ipotesi: politica monetaria espansiva che vede un aumento della base monetaria (BM ), che determina: i , Y . Ove fosse duratura, la BM potrebbe stimolare l’investimento, ma non avviene perché è soltanto temporanea. Le autorità monetarie, per evitare che il cambio vada oltre il limite inferiore, devono intervenire sul mercato valutario, cedendo valuta estera e acquistando moneta nazionale,¸il che dà luogo al riassorbimento progressivo della liquidità inizialmente creata  ecco perché la BM non può essere controllata dalle autorità monetarie (è endogena). Lo spostamento di LM a destra porta al punto B; in B vi sarebbe un deficit della bilancia pagamenti,e una conseguente tendenza al deprezzamento del cambio, BM . L’intervento delle autorità monetarie che mira ad evitarlo, comporta un ritorno della LM alla situazione di partenza. Effetto finale: i e Y invariati. In un regime di cambi flessibili L’efficacia della politica monetaria in cambi flessibili deriva dal fatto che essa tende a provocare squilibri di bilancia dei pagamenti che non si risolvono con l’intervento della Banca centrale  lo squilibrio della bilancia non produce altro che un mutamento del cambio. Un’espansione monetaria determina un abbassamento del tasso d’interesse e quindi una tendenza al peggioramento del saldo (sia movimenti beni che capitale)  deprezzamento del cambio anch’esso in senso espansivo. Il risultato espansivo della politica monetaria è massimo quando i capitali sono perfettamente mobili: ogni immissione di base monetaria provoca pressioni a ribasso del saggio di interesse; un lieve abbassamento come in questo caso determina un deflusso di capitali tale da indurre un notevole deprezzamento, e quindi un sensibile spostamento della IS. B IN SINTESI: Il modo di operare della politica monetaria Indicatori, obbiettivi operativi e obbiettivi intermedi Ipotizziamo ancora un aumento della base monetaria frutto di operazione di mercato aperto  conseguenza diretta: aumento riserve libere delle banche e del prezzo dei titoli rispetto al corso corrente, e quindi una riduzione del loro tasso di rendimento. Ciò per le Banche porterà ad un aumento dell’offerta di crediti e una riduzione del relativo tasso d’interesse (via sostituzioni di portafoglio); ciò può stimolare la domanda globale provocando l’espansione dei depositi (consente di mantenere l’equilibrio di attività e passività bancarie). A seconda della situazione dell’economia, l’aumento della domanda potrà comportare o meno l’incremento dei prezzi e la variazione del tasso d’interesse avrà anche conseguenze sui conti con l’estero (in particolare sui movimenti di capitale)  La tipica “catena” degli effetti (ipotesi espansiva) Possibili reazioni da parte delle banche all’aumento dei tassi di interesse:  percepiscono una maggiore incertezza; aumenta la domanda di liquidità e non cresce l’offerta di credito;  in presenza del rischi di insolvenza dei prenditori di fondi e di informazione asimmetria, può emergere un effetto di razionamento endogeno (tende a verificarsi indipendentemente da eventi esterni): ogni volta che una banca si trova di fronte a una domanda di credito eccedente, essa tenderà ad agire non aumentando il tasso d’interesse ma offrendo il credito ad alcuni clienti e negandolo ad altri. In queste condizioni, l’innalzamento dei tassi potrebbe avere due effetti negativi: indurrebbe una selezione avversa dei clienti più rischiosi e incentiverebbe alcuni clienti a intraprendere progetti più rischiosi (rischio morale)  avendo titoli in portafoglio la riduzione del loro valore a causa dell’aumento del saggio di interesse, spinge a tenerli invece che a venderli per offrire più credito (ora più conveniente)  questo effetto di scoraggiamento dell’offerta di credito è detto effetto Roosa (efficacia della politica monetaria di agire sull’offerta e non soltanto sulla domanda) In generale possono aversi effetti attraverso la disponibilità di credito e non solo attraverso il costo del credito (tassi di interesse). Quindi: la politica monetaria esplica la sua efficacia con ritardo e attraverso canali complessi. Per questo è utile tenere d’occhio alcune variabili, legate da un lato agli strumenti (per capire la misura dello stimolo/restrizione messa in atto) e dall’altro agli obbiettivi finali (per valutare la misura dell’effetto sugli obbiettivi finali) e infine a variabili in posizione mediana fra gli indicatori e gli obbiettivi intermedi: a) Indicatori – legati agli strumenti: variabili che consentono di dare una valutazione sintetica del grado di espansione o restrizione monetaria (es: tasso di crescita della moneta, tasso di interesse). Sorge peraltro il problema di trovare un affidabile indicatore che misuri solo l’ampiezza della manovra monetaria  non esistono aggregati che riflettano soltanto essa. Trk= trasferimenti in conto capitale (essenzialmente trasferimenti alle imprese per agevolare gli investimenti e l’occupazione) Bs= saldo complessivo del bilancio Le entrate pubbliche comprendono le entrate correnti (finalità: oltre a quella di finanziare le spese, l’articolazione delle entrate consentirà il perseguimento di obbiettivi di redistribuzione) e le entrate in conto capitale (derivano da alienazione di beni patrimoniali e aziende pubbliche e dal rimborso di crediti) Le spese pubbliche: 1. La spesa pubblica per beni e servizi è composta di due parti: a) La spesa per consumi pubblici, ossia il costo per il personale aumentato delle spese per acquisti correnti di beni e servizi; b) La spesa per investimenti pubblici, destinata ad ampliare la dotazione di capitale di prop. pubblica 2. i trasferimenti correnti in senso stretto includono: a) trasferimenti alle famiglie  finalità redistributive e di fornitura dei beni meritori b) trasferimenti alle imprese --> contributi assegnati alle imprese per varie finalità c) trasferimenti al Resto del mondo  per contribuzioni a organismi internazionali, cooperazione con PVS, ecc. Finalità di partecipazione agli organismi stessi e redistributive nel secondo caso 3. Gli interessi sono una particolare voce dei trasferimenti correnti. Le finalità sono ovvie; effetti redistributivi possono essere notevoli se la distribuzione delle entrate in relazione alle varie classi di reddito è ≠ da quella del reddito pubblico 4. I trasferimenti in conto capitale  pagamenti effettuati alle imprese per sostenere investimenti privati  Il saldo complessivo è la somma algebrica del saldo della parte corrente e del saldo in conto capitale: il saldo corrente (Bc = T – (Cg + Trc) ha la stessa natura del risparmio privato (è l’eccedenza delle entrate correnti sulle uscite correnti)  un avanzo corrente positivo denota l’esistenza di un risparmio pubblico. Scorporando gli interessi dal totale delle spese, si ha la spesa pubblica primaria: gp= cg +ig+ trc + trk Se dal saldo corrente o dal saldo complessivo si scorpora la spesa per interessi, si ha il saldo corrente primario B pc=T−C g – Tr c e il saldo primario T−G p=T−C g−I g−Tr c –Tr k Vari documenti di rilievo per la politica fiscale, in particolare: Documento di programmazione economico-finanziaria (DPEF - 30 giugno di ogni anno), introduce la legge annuale di bilancio a partire dal 1978  sia un bilancio annuale, sia un bilancio pluriennale: quest’ultimo può essere a legislazione vigente (si basava sulla legislazione in vigore) o programmatico (teneva conto degli effetti su entrate e spese dagli interventi programmati dal DPEF). Legge finanziaria, strumento che corrisponde al quadro di riferimento finanziario del DPEF. Essa fissa in particolare: il limite massimo del fabbisogno lordo (che rappresenta il fabbisogno lordo o disavanzo o indebitamento) o il saldo detto da finanziare (fabbisogno netto o complessivo) Le quote di spese pluriennali destinate a gravare su ogni anno le variazioni alle imposte e alle tariffe esistenti NB: la legge finanziaria non poteva disporre, invece, l’istituzione di nuovi tributi, compito che veniva affidato al cosiddetto “collegato” alla manovra di finanza pubblica, ossia l’insieme dei provvedimenti presentati dal governo allo scopo di assicurare gli obbiettivi del DPEF e i limiti dei saldi. Tendenze delle entrate fiscali in Italia: Crescita dagli anni ’60; calo nel ’70-’75 (riforma e conseguenze sul funzionamento dell’amministrazione); Ripresa successiva e quindi stabilizzazione. Indice: la pressione tributaria, cioè il rapporto tra le entrate tributarie complessive e il PIL). Reddito, occupazione e imposte In un modello Keynesiano, la tassazione, T, entra soltanto indirettamente nel circuito del reddito, potendo influire sul consumo e/o sull’investimento. Per semplicità, ignoriamo l’effetto sull’investimento e distinguiamo i casi di: a) imposte in somma fissa b) imposte proporzionali c) imposte progressive NB: aliquota = Percentuale del reddito, del patrimonio o del valore imponibile, in base alla quale si determina l'imposta dovuta. Imposizione in somma fissa: Y =C+I+G C= c(Y-T) I  Í Da cui si ottiene: Y= 1 (1−c ) ( Í+G−cT ) Il moltiplicatore della tassazione in somma fissa è allora −c (1−c) ed è minore di quello della spesa pubblica che è pari a 1 (1−c)  ciò significa che l’incremento di 1 euro di tassazione provoca un decremento del reddito minore dell’incremento di reddito prodotto dall’aumento di 1 euro di spesa pubblica. G e’ interamente domanda, T è minore: incide sulla domanda soltanto per cT (che e’ minore di T). Se T e G aumentano dello stesso ammontare il reddito cresce (teorema del bilancio in pareggio). Imposizione proporzionale al reddito Se in aggiunta si suppone che T = tY, dove t (aliquota di imposta) è una costante (proporzionale), sempre sapendo che Y =C+I+G , C= c(Y-tY), I  Í, si ha che: Y= 1 1−c (1−t ) ( Í+G) Nei primi anni Sessanta il problema venne affrontato nell’ambito del concetto di reddito potenziale e delle politiche espansive adottate dagli USA (Kennedy e Johnson); venne ripresa negli anni Ottanta da Reagan con la supplì-ride (tentativo di stimolare la crescita del reddito e ridurre il deficit federale attraverso riduzioni di imposta, avendo in mente effetti espansivi che si sarebbero prodotti sull’offerta di risparmio e sull’offerta di lavoro), ma fu meno efficace. Imposizione progressiva Se l’imposta è progressiva, l’aliquota media cresce con il reddito e non è più costante (esempio: scaglioni). Il gettito dipende sia dalla struttura impositiva (le imposte) che dalla distribuzione dei redditi personali. Si interpreti questa t come pressione fiscale media, e si supponga di poter considerare il reddito pro-capite come solo elemento rilevante della distribuzione del reddito. La crescita del reddito ha effetti diversi se:  vi sono mutamenti della spesa autonoma che fanno variare solo i percettori di reddito, rimanendo a parità di reddito pro-capite (l’aliquota media non cambia)  al contrario, variazioni della spesa autonoma che si ripercuotono anche sul reddito pro-capite (che cresce), tendono a far variare l’aliquota media e quindi il moltiplicatore. Nel secondo caso: l’imposizione progressiva funge da stabilizzatore automatico (gli effetti sul reddito vengono smorzati da variazoni in senso contrario del moltiplicatore)  Quando l’economia si espande, cresce l’aliquota media, cade il moltiplicatore, l’economia si stabilizza (e viceversa) L’aumento dell’imposizione in termini reali che deriva dalla compresenza di aumento di prezzi e progressività delle aliquote viene detto drenaggio fiscale (fiscal drag). Con progressività, l’inflazione causa aumento delle imposte “reali” e la riduzione del reddito reale disponibile. Ipotesi sulle aliquote: ♦ 20% per redditi tra 0 e 1000 ♦ 30% sul reddito eccedente 1000  A parità di reddito reale lordo cade il reddito reale netto Il fenomeno del drenaggio fiscale si verifica anche al di fuori di un ciclo economico di tipo classico, ma non funge allora da stabilizzatore automatico  es. caso di stagflazione: l’aumento dei prezzi accresce la pressione fiscale, pur in un quadro depressivo, che ne risulterà pertanto accentuato. Equità e imposte in Italia Dal fatto che le imposte dirette sono spesso progressive (lo è l’IRPEF) potrebbe desumersi che al loro aumento hs corrisposto un’incisiva azione perequativa della distribuzione del reddito: ma ciò non è avvenuto per il manifestarsi di fenomeni di erosione, elusione ed evasione dell’imposta. Erosione: riduzione della base imponibile attraverso esenzioni, non sempre motivate da equità (in alcuni casi a finalità di politica industriale, regionale o sociale, in altri come veri a propri privilegi). Elusione: azioni non illegali ma “opportunistiche” dirette a risparmiare imposte, gestendo i propri affari in modo da ridurre il carico fiscale Evasione: comportamento illegale di occultamento di redditi e transazioni tassabili Evoluzione della spesa in Italia Dagli anni ‘60 crescita e stabilizzazione  da metà anni settanta fino a metà anni ’90, crescente incidenza della spesa per interessi (debito e andamento tassi interesse)  da metà anni ’90 spesa corrente primaria invariata  successivamente forti aumenti Il finanziamento della spesa La spesa pubblica può essere finanziata: o con aumento delle entrate (in pareggio) o in deficit La spesa in deficit può a sua volta essere finanziata con:  emissione di titoli del debito pubblico (indebitamento)  creazione di base monetaria Il pareggio del bilancio Risolvendo il sistema per Y con varie sostituzioni si ha: Y= 1 1−c+ak /v [ I0+G+ av ( LS p −L0)] ak/v è la retroazione monetaria (riduce il moltiplicatore). La retroazione monetaria ♦ cresce con k perché più aumenta la domanda di moneta transattiva più deve crescere i (occorrerà vendere più titoli) ♦ cade con v perchè l’aumento di i sarà tanto maggiore quanto meno cade la domanda speculativa al crescere di i (necessario maggiore aumento di i per “liberare” la moneta chiesta per transazioni). ♦ cresce con a perché gli I cadranno tanto più quanto più sono elastici a i. ♦ dipende, quindi, dalla crescita di i e dal suo effetto su I. Con retroazione monetaria c’è crowding out o spiazzamento (per via finanziaria) della spesa privata da parte della spesa pubblica  riduce l’efficacia della politica fiscale. Monetaristi e i nuovi economisti classici ritengono che lo spiazzamento sia pressochè completo. Altra ragione di inefficacia della politica fiscale: Gli agenti economici (ultrarazionali) prevedendo che in futuro aumenteranno le tasse per far fronte al deficit attuale aumentano il risparmio e riducono il consumo presente. Questo è chiamato: spiazzamento reale, e consiste appunto nel fatto che gli individui, prevedendo che lo Stato per rimborsare il debito, in futuro aumenti le imposte, si preparino a questa evenienza col ridurre il consumo attuale (l’effetto è noto come “equivalenza ricardiana” o di “Barro-Ricardo”) L’ipotesi di ultrarazionalità appare scarsamente fondata. La politica fiscale in regime di cambi fissi e flessibili Similmente a quanto accade per la politica monetaria, il regime di cambi ha effetti profondi sull’efficacia della politica fiscale rispetto al reddito e all’occupazione, ma al contrario della politica monetaria, quella fiscale è più efficace in cambi fissi che in cambi flessibili. Bisogna ricordare che il tendenziale squilibrio nella bilancia dei pagamenti in un regime di cambi fissi si risolve in una variazione della base monetaria,mentre in un regie di cambi flessibili provoca un mutamento del cambio. CON CAMBI FISSI: Ipotizziamo una politica fiscale espansiva: es. aumento spesa pubblica. Ne derivano due effetti sulla bilancia dei pagamenti: il primo, di peggioramento del saldo dei movimenti di beni, per l’incremento di reddito che ne scaturisce, e l’altro, in senso contrario, di miglioramento dei movimenti di capitale, per l’incremento del tasso d’interesse conseguente all’aumento di reddito quando l’offerta di moneta non vari. A) miglioramento della BP, frutto della maggiore reattività del mercato internazionale delle merci: si avrà un aumento della base monetaria che facilita l’espansione provocata dalla spesa pubblica. Punto di equilibrio iniziale è A. La BP è meno inclinata della LM per la notevole reattività dei capitali esteri; l’aumento della spesa pubblica farà spostare a destra la IS  punto B. L’avanzo comporta un aumento della base monetaria e uno spostamento della LM a destra fino al punto C, nel quale cessa l’avanzo  si ritorna a una posizione di equilibrio generale, caratterizzato però da un livello di reddito più alto. B) Per la scarsa mobilità dei capitali prevale l’effetto negativo sulla bilancia dei pagamenti connesso con la riduzione del saldo dei movimenti dei beni  la BP è più inclinata della LM. Il punto B è ancora un disavanzo della BP  dal disavanzo scaturisce una riduzione della base monetaria, e uno spostamento della LM verso l’alto  punto C, nel quale si ha un nuovo equilibrio di tutti i mercati, in corrispondenza di un reddito più elevato. CON CAMBI FLESSIBILI Un aumento della spesa pubblica finanziato da debito pubblico comporta un aumento del reddito, che fa peggiorare il saldo dei movimenti dei beni, e un innalzamento del tasso d’interesse, che accresce il saldo dei movimenti di capitale. Se questi sono tanto reattivi da tenere a far migliorare l’intera bilancia dei pagamenti, compensando il peggioramento del saldo dei movimenti di beni, vi sarà un apprezzamento del tasso di cambio, non più costretto entro certi limiti come nel caso di cambi fissi. La perdita di competitività che ne scaturisce tende a ridurre le esportazioni nette e il reddito. A) perfetta mobilità del capitale  BP orizzontale In tale ipotesi la manovra fiscale è del tutto inefficace  la spinta all’apprezzamento è tanto forte che soltanto una riduzione delle esportazioni nette pari all’iniziale aumento della spesa autonoma è capace di riportare l’equilibrio (spiazzamento reale). Soltanto allora verrebbe meno la pressione della domanda che ha condotto all’iniziale aumento del tasso d’interesse. B) mobilità imperfetta  BP poco inclinata In questo caso la politica fiscale potrebbe avere qualche efficacia, ed è tanto maggiore quanto meno mobili sono i capitali. Come risultato di una politica fiscale espansiva, IS si sposta a IS’ e il sistema si muove da A a B  in B vi è un avanzo della BP a causa dell’elevato tasso d’interesse che porta ad un apprezzamento del cambio. Quest’ultimo provoca da un lato una riduzione delle esportazioni nette (IS’’), dall’altro uno spostamento delle condizioni di equilibrio della bilancia dei pagamenti. La BP subirà una traslazione a BP’. Il punto finale, C, avrà un livello di reddito minore che in B (per deterioramento esportazioni nette), ma superiore al livello iniziale A. C) capitali relativamente immobili  BP molto inclinata La politica fiscale può essere ben efficace. Politica fiscale espansiva IS  IS’ e A B; B è punto di tendenziale disavanzo della BP, dovuto al prevalere degli effetti negativi dell’espansione della domanda per via della limitata mobilità dei capitali. La tendenza al disavanzo di BP fa deprezzare il cambio e ciò stimolerà le esportazioni nette spostando IS’  IS’’ e BP  BP’. Equilibrio finale in C Il debito pubblico Nel caso in cui non si alternino situazioni di deficit e di avanzi nel bilancio pubblico, ma perdurino i disavanzi, il debito pubblico si accumula nel tempo. Ciò è successo in Italia e in altri paesi nel dopoguerra. Le cause della crescita del rapporto tra debito pubblico in termini nominali, B, e PIL nominale Il rapporto B/pY cresce nel tempo se ( i puntini = tassi di variazione nell’unità di tempo della variabile rilevante) B́− ṕ−Ý >0 Si ricordi che ΔB = deficit – ΔBM;B = deficit – ΔB = deficit – ΔBM;BM; (il deficit = deficit primario + interessi) Ma da cosa dipende ΔB = deficit – ΔBM;B? Il debito pregresso fa aumentare ulteriormente il debito degli interessi: iB. Quindi: B= iB B =i Se ΔB = deficit – ΔBM;BM=0 e deficit primario=0, il rapporto fra debito pubblico e PIL (B/pY) cresce se: i− ṕ−Ý >0 E cioè se il tasso di interesse reale eccede la crescita del PIL. Strumento: operazioni di politica monetaria  dato il tasso di interesse estero, in caso di deficit basterà ridurre la base monetaria e quindi l’offerta di moneta, per ottenere un innalzamento del tasso d’interesse intero fino a raggiungere quello estero (e viceversa in caso di avanzo). Gli aspetti più interessanti delle politiche di riequilibrio dei movimenti di capitale sorgono in presenza di attese di variazioni del tasso di cambio. La presenza di queste aspettative obbliga a tenere conto dell’effetto delle politiche monetarie sulle aspettative stesse  es. tasso di interesse estero è uguale a quello interno e vi è attesa di deprezzamento dell’euro; si avrebbe così un deflusso di capitali all’estero, che potrebbe essere evitato con una manovra monetaria restrittiva. Questa manovra non si deve proporre di innalzare il tasso d’interesse interno in misura pari all’attesa di svalutazione dell’euro, ma in misura inferiore, in quanto è probabile che la manovra restrittiva influisca sulle aspettative di svalutazione, riducendole. Tuttavia va notato che queste considerazioni sono valide entro certi limiti:  Possono valere se le attese di variazioni del cambio sono contenute: in caso contrario le azioni monetarie correttive sono praticamente impossibili  allarmismo.  Un alo limite a una politica monetaria restrittiva che si proponga di ridurre le attese di svalutazione sta nei riflessi che essa può avere sulla finanza pubblica: l’aumento dei tassi di interesse in presenza di debito pubblico ne accresce l’onere. Adesione dell’Italia allo SME  effetto positivo: ha accresciuto la credibilità del nostro paese, riducendo le attese di svalutazione. NB: l’aumento dei tassi di interesse, che in sé può accrescere la credibilità, ha effetti negativi sulla finanza pubblica e paradossalmente riduce la credibilità stessa da questo secondo punto di vista. Il problema generale è che i movimenti internazionali di capitale: a) sono diventati eccessivamente sensibili (specialmente alle attese di variazione dei cambi) b) hanno effetti notevoli sulle aspettative di ulteriori variazioni dei cambi e, attraverso queste, sull’andamento effettivo dei cambi,dei tassi di interesse e delle variabili reali; c) sono adesso una massa tanto grande da poter far sì che l’evento previsto si verifichi, a prescindere dalla fondatezza della previsione, purchè si posseggano adeguate disponibilità finanziarie. Le politiche di riequilibrio in presenza di accesso o difetto di domanda Il saldo dei movimenti di beni è funzione inversa del livello della domanda interna e funzione diretta della domanda estera. Su quest’ultima è impossibile operare se non con inviti o appelli al resto del mondo; invece i policy makers possono operare sul livello della propria domanda interna, e quindi controllare le proprie M. Strumenti: politica monetaria e fiscale Il controllo della domanda e del reddito qui non e’ un obiettivo finale ma intermedio rispetto alla BP. Per questo possono sorgere conflitti con altri obiettivi (situazione caratterizzata da disoccupazione e disavanzo dei movimenti dei beni: il ricorso a manovre restrittive della domanda potrebbe riequilibrare il movimento dei beni ma aggraverebbe i problemi di occupazione. Le politiche per la competitività Un paese perde competitività se i prezzi delle sue merci espresse in valuta estera eccedono o eguaglino i prezzi delle merci estere. Escludendo costi di trasporto, imperfezioni di mercato, vincoli di capacità al soddisfacimento, l’arbitraggio internazionale in merci implicherebbe: P ⋅e=pw Quindi per recuperare competitività occorre:  si può agire su p  ridurre i prezzi interni (agendo su salari, produttività e margini di profitto);  si può agire su e, ossia sul cambio di tasso nominale  ridurre il cambio (certo per incerto)  si può eventualmente agire su pw  cercare di far crescere i prezzi delle merci estere all’interno del paese con l’imposizione di dazi La controllabilità del cambio La modifica del tasso di cambio riesce sempre a migliorare il saldo della BP? Saldo dei movimenti di beni (ovvero le partite correnti) in termini monetari espresso in valuta estera: PCm=( pxe )qx−pmqm Dove px e pm sono i prezzi dei beni esportati e importati nelle monete dei paesi di provenienza (x= nazionale; m=estera) ed eè la quantità di moneta estera per un’unità di moneta nazionale. La variazione del cambio tende a far aumentare le esportazioni e a ridurre le importazioni (e questo è positivo per il saldo delle partite correnti) ma tende anche a ridurre il valore in valuta estera delle esportazioni (e questo è negativo) Se le partite correnti sono in equilibrio, e quindi sono uguali a zero (PCm=0) px eqx pmqm =1  pxe pm x qx qm =1 Il primo termine rappresenta la ragione di scambio. Supponiamo equilibrio iniziale e riduzione di e. L’equilibrio si ristabilirà o non si ristabilirà a seconda della reazione di importazioni e esportazioni. Em = elasticità delle importazioni rispetto al cambio; Ex= elasticità delle esportazioni rispetto al cambio; Se le quantità esportate qx non reagissero affatto al deprezzamento, tutto il peso del miglioramento dei movimenti dei beni ricadrebbe sul denominatore e qm dovrebbe ridursi in misura superiore alla riduzione di e  Em>1; Se le quantità importate fossero del tutto rigide rispetto a variazioni del cambio (Em=0¿ il peso di bilanciare la riduzione di e al numeratore ricadrebbe tutta su qx che dovrebbe crescere in misura superiore  Ex>1 Se si ammette elasticità positiva sia delle esportazioni, sia delle importazioni, la condizione per il miglioramento del saldo dei movimenti di beni è: Em+ex>1 Questa è la cosiddetta condizione Marshall-Lerner per l’efficacia della svalutazione. l risultato dipende da varie ipotesi:  che px e pm fossero dati;  che non esistessero limiti all’offerta delle merci estere oggetto di importazione;  che vi fosse un adeguamento istantaneo delle quantità;  che non vi fossero effetti sulle attese di variazioni future del cambio. Consideriamo nell’ordine le ipotesi. Il trasferimento delle variazioni del cambio sui prezzi I prezzi praticati sui mercati esteri possono risentire del tasso di cambio (trasferimento o trasmissione - pass through). Esempio: i prezzi in dollari potrebbero cadere con il deprezzamento dell’euro Dipende da molti fattori se ci sarà o meno trasferimento: economie di scala, elasticità della domanda estera, livello della domanda interna ed estera (in rapporto alla capacità produttiva), ecc. L’elasticità dell’offerta Secondo M-L l’offerta si adegua sempre alla domanda. Ma non è detto che sia così: limiti da non disponibilità delle risorse. Se l’offerta non si adegua (es: pieno impiego): la anovra del cambio risulta inefficace. In questo caso rischio di spirale inflazione/svalutazione. Il ritardo degli effetti L’aumento del tasso di cambio solleva il problema del tempo richiesto affinché essi si verifichino. Ci sono effetti immediati sui prezzi (negativi per BP) e ritardati sulle quantità, i cui effetti positivi si faranno sentire solo dopo qualche tempo. Volendo rappresentare graficamente con riferimento al tempo l’andamento del saldo dei movimenti dei beni  la curva j (prima decrescente e poi crescente) L’influenza sui movimenti dei capitali Se la variazione del tasso di cambio genera aspettative di ulteriori variazioni ne possono risentire anche i movimenti di capitali (CFR: l’importanza delle aspettative sul cambio…) Nell’insieme: effetti incerti in molti casi della svalutazione  considerare politiche alternative: es. Fiscali e monetarie. La bilancia dei pagamenti come vincolo per le politiche di piena occupazione Se il sistema economico si trova in una situazione di piena disoccupazione, il protezionismo può essere uno strumento capace di riportare il sistema stesso alla piena occupazione (e quindi, minore propensione a importare e aumento del moltiplicatore). MA protezionismo significa che il livello delle importazioni del paese si riducono  di conseguenza proteggersi vuol dire impedire le esportazioni di altri Paesi quindi si parla di politiche che impoveriscono il vicino (beggar-my-neighbour policy). Vi sono però casi in cui il protezionismo non è sinonimo di politica che impoverisce il vicino: se usato assieme a politiche fiscali o monetarie espansive potrebbe non avere questo effetto Keynes fu indotto a suggerire il ricorso a qualche forma di protezionismo, quale l’adozione di dazi all’importazione e/o la concessione di sussidi all’esportazione, come politica atta a rallentare il vincolo della bilancia dei pagamenti che si sarebbe presentato per l’effetto di impiego di politiche monetarie e fiscali espansive  in particolare, l’abbassamento della propensione a importare avrebbe evitato l’aumento delle importazioni in presenza di un aumento della spesa pubblica e dei redditi. Il livello delle importazioni sarebbe potuto restare costante (o anche aumentare) per effetto della riduzione della propensione a importare e dal contemporaneo aumento della domanda interna, e ciò non avrebbe pregiudicato altri paesi  realizza simultaneamente l’equilibrio interno ed esterno. Esso servirebbe a impedire che le manovre espansive siano frenate da problemi di deficit nella bilancia commerciale. Esempio con Modello Mundell-Fleming: Curva BP verticale (assenza movimenti capitale): A è un punto di equilibrio simultaneo dei tre mercati; se Y A non corrisponde alla piena occupazione, le autorità monetarie o fiscali potrebbero intervenire per raggiungere il reddito di pieno impiego con la LM e la IS  in entrambi i casi si provocherebbe un deficit della BP (punti B e C). L’unica possibilità è quella di allentare il vincolo della bilancia di pagamento: ciò può essere ottenuto attraverso la svalutazione o il protezionismo, in modo che risulti abbassata la propensione ad importare del paese considerato. Un paese (x) adotta il gold standard (cambio aureo: la valuta e convertibile in oro) , gli altri • fissano il contenuto aureo della propria valuta • usano la moneta del paese x come riserva • consentono di convertire la moneta nella moneta di riserva a un valore prefissato e costante (che è la parità tra le due monete, ossia il rapporto tra i loro contenuti aurei) Il sistema a cambio aureo si presta a economizzare l’uso dell’oro in caso di scarsità e inoltre presenta il vantaggio di consentire ai paesi che lo adottano di avere riserve fruttifere, essendo tali i crediti di moneta estera detenuti in funzione di riserva Tuttavia il sistema può manifestare instabilità se le riserve sono costituite non soltanto da valute ma anche da oro e la solvibilità del paese che adotta il gold standard diventa dubbia. Se il sistema a cambio aureo assicura piena convertibilità della moneta nazionale in oro per tutti gli operatori, esso funziona esattamente come il sistema aureo (il cambio delle due valute e" fisso intorno alla parità) Tuttavia la parità non è intesa come immutabile bensì come aggiustabile , ossia in corrispondenza della parità sono possibili dei movimenti del cambio di consistente ordine di grandezza in cui si associano i mutamenti nel saldo del commercio con l’estero indicati. Ma, se invece ci riferissimo a una quotazione incerto per certo, si parla di svalutazione quando la parità della moneta considerata con la moneta di riserva viene aumentata. Si parla di rivalutazione nel caso contrario. Se la convertibilità e in qualche modo limitata, e oscillazioni del cambio intorno alla parità stessa possono essere consistenti e si possono evitare soltanto con un intervento attivo delle autorità monetarie che si ponga come contropartita rispetto all’eccesso di domanda o offerta di valuta estera. Un sistema di questo tipo con il dollaro come valuta di riserva e’ stato in vigore dal 1944 (Bretton Woods) al 1971 (dichiarazione di inconvertibilità del dollaro). Nel sistema di Bretton Woods i paesi:  Si impegnvano a dichiarare il contenuto in oro della propria moneta  i dovevano tenere le oscillazioni del Cambio entro l’1% in più o in meno rispetto alla parità  Dovevano sottoscrivere una quota del fondo da utilizzare per prestiti in caso di bisogno  Osservare altre regole tendenti ad evitare la possibilità di frequenti e diffuse modifiche della parità La variazione della parità era ammessa soltanto in caso di squilibri fondamentali, in caso contrario avrebbero dovuto muoversi con politiche economiche opportune per giungere all’aggiustamento della bilancia dei pagamenti. In attesa di politiche simili erano previsti dei finanziamenti a breve termine dal fondo monetario internazionale Ma, problema di fondo un difetto emerge se si considera che alla base della fiducia del sistema stesso vi e" la costanza nel tempo del contenuto in oro della moneta da riserva. Il sistema contiene in se forti elementi di contraddizione tali che se questa costanza viene assicurata, il sistema rischia di non fornire sufficiente liquidità internazionale e se al contrario viene svolta si rischia di non mantenere il contenuto aureo della moneta da riserva (dilemma di Triffin), Se la liquidità creata e’ poca il sistema può soffrire di mancanza di liquidità (freno allo sviluppo) ma non sorge il rischio di non convertibilità in oro; se la liquidità e’ abbondante, il sistema dispone dei necessari mezzi di pagamento ma si perde fiducia nella convertibilità in oro. Gli USA crearono molta liquidità (via deficit commerciali), la fiducia nella sufficienza delle riserve auree usa venne meno, il sistema entrò in crisi: ad agosto del 1971 sospesa la convertibilità del dollaro in oro. La creazione centralizzata di riserve Un sistema monetario alternativo si ha quando si costituisca una organizzazione monetaria internazionale operante da banca centrale per il mondo; sarebbe sua responsabilità creare tutta la liquidità internazionale che essa giudichi opportuna per raggiungere obbiettivi riferiti al mondo nel suo complesso. Una banca centrale del mondo non potrebbe che essere frutto di cooperazione, tuttavia non avendo poteri esecutivi effettivi, sarebbe molto difficile tradurre in realtà questo tipo di sistema monetario; gli stati tendono a conservarsi i diritto di governare direttamente la liquidità interna o di determinare il livello dei cambi Il regime a cambi fluttuanti e l'evoluzione dell'FMI Caratteristiche totalmente diverse hanno quei sistemi monetari nei quali il valore della moneta estera viene lasciato libero di fluttuare al pari di altri prezzi di mercato (cambio fluttuante) Quindi un'alternativa agli accordi di cambio: lasciare fluttuare il Cambio. L'elemento favorevole insisto a questo meccanismo sarebbe lo snellimento dei compiti dei responsabili di politica che essendo sollevati dal compito di controllare la BP non avrebbero bisogno di mettere in atto specifici interventi e non sarebbero costretti ad accumulare riserve valutarie per far fronte a possibili futuri deficit. Ma la dinamica del cambio associata interamente al libero mercato non avviene mai, Di fatto la fluttuazione non e’ mai totalmente libera (fluttuazione sporca o amministrata o manovrata da cambi). I cambi flessibili • tendono a frenare la speculazione contro il cambio • accrescono l’incertezza di cui risentono gli operatori produttivi (ma le cause di fondo dell’incertezza potrebbero manifestarsi altrimenti) • riducono la disciplina che il cambio fisso può introdurre (controllo dei costi per competitività-> Esperienza italiana del “cambio forte”) Dopo il crollo del sistema di Bretton Woods (1971)  utilizzati i cambi flessibili a livello internazionale. Alcuni paesi hanno cercato senza troppo successo di introdurre il doppio mercato dei cambi: flessibili per i movimenti di capitale, fissi per la parte commerciale. Il FMI e la sua evoluzione Creato a Bretton Woods per favorire con finanziamenti l’aggiustamento degli squilibri nelle BP dei paesi avanzati svolgeva anche una funzione di sorveglianza sulle politiche economiche dei paesi membri nella misura in cui esse influenzassero i cambi e gli equilibri internazionali. A partire dal 1978 il FMI ha modificato il suo statuto • ogni paese può scegliere il regime di cambi • il FMI concede anche crediti a lungo termine ai PVS • estesa la sorveglianza (non solo sulle politiche macro) In larga misura questi cambiamenti possono essere ricondotti al processo di globalizzazione che ha comportato anche una maggiore difficoltà a distinguere tra politiche interne e politiche internazionali (quello che accade in un paese, specie se di dimensioni non piccole, ha influenza anche su altri paesi). Il sistema monetario europeo Alcuni paesi europei nell'aprile del '72 avevano reagito all'ampliamento dei margini dell'oscillazione dei cambi e al passaggio ad un regime di cambio flessibile poi, emersi a livello mondiale con un restringimento dei margini e il mantenimento di cambi fissi fra le rispettive monete (serpente monetario). Nel '79 per rafforzare questo accordo nasce il SME, sistema monetario europeo. La struttura finale del sistema scaturì da un compromesso tra le varie posizioni (ridurre le occasioni di svalutazione ai fini competitivi vs introdurre un elemento esterno di disciplina di comportamento dei sindacati o almeno accrescere la credibilità delle loro politiche di disinflazione), in larga misura ispirato da considerazioni di carattere politico. Lo SME e composto da due elementi sostanzialmente • Gli accordi europei di cambio (AEC) tendenti a ridurre le oscillazioni dei cambi fra le monete comunitarie. Essi stabilivano la necessita di intervento da parte dei membri ogni volta che il cambio della loro moneta con la moneta di un altro paese aderente raggiungesse il limite superiore o inferiore in una banda di oscillazione. Avrebbe poi rimesso in ordine con politiche tendenti ad evitare ulteriori squilibri della bp. • Un meccanismo per fornire crediti a paesi con difficoltà di bilancia dei pagamenti, al quale aderivano tutti i membri dell'UE. CAPITOLO 18 L’INTEGRAZIONE EUROPEA Le basi dell’integrazione Europea sono state poste subito dopo la guerra. Piano Marshall  accordo tra Stati Uniti e paesi europei basato su interessi economici, politici e militari che aveva lo scopo di portare alla cooperazione tra i vari paesi europei così da dare il via alla progressiva liberalizzazione del commercio e dei pagamenti nell’ambito europeo. Questa cooperazione economica europea avviata dagli USA prende avvio intorno al 1951 con la CECA ( comunità economica del carbone e dell’acciaio) e si sviluppa con il trattato di Roma nel 1957 che istituisce: 1. Mercato comune europeo 2. Euratom tra Francia, Italia, Germania, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo 1. E’ più di un’unione doganale perché prevede l’abbattimento dei dazi doganali e la creazione di una tassa doganale unica nei confronti dell’estero (tariffa esterna comune) . All’inizio l’integrazione europea è molto limitata a causa del’ispirazione liberista che muove i padri fondatori della costituzione europea: il concetto dei fallimenti microeconomici del mercato non è penetrato nelle sfere della politica e, d’altro canto, gli anni della nascita del mercato sono anni di forte espansione, con l’assorbimento della disoccupazione in un quadro di stabilità monetaria e di avanzi di bilancia dei pagamenti per quasi tutti i paesi europei. Negli anni 70 abbiamo un periodo di assesto in quanto nel ‘78 la cooperazione riprende forza in campo monetario con la costituzione del SME. Segue una pausa negli anni ‘80 fino all’85 quando il processo di integrazione europea subisce un’accelerazione con il Libro Bianco sul comportamento della comunità, le cui valutazioni sono recepite nell’Atto unico europeo, firmato nel febbraio dell’86 ed entrato in vigore nel luglio dell’87, che modifica e completa il trattato di Roma. Il suo obbiettivo è quello di eliminare le barriere non tariffarie ancora esistenti con lo scopo di completare il mercato comune europeo entro il 1992. Vengono individuati anche altri obbiettivi riguardanti ambiente, tecnologia, coesione economica e sociale, sicurezza e salute sul posto di lavoro e prevede, infine, anche modiche istituzionali Nel 1992 gli accordi di Maastricht emendano il trattato di Roma e portano alla nascita della UE. Viene prevista inoltre anche la formazione di un’area monetaria unica, e altre politiche comuni per l’istruzione, la formazione professionale, la cultura e la sanità. Nel nuovo secolo ci sono molte novità  Nascita dell’euro impedimento potrebbe derivare dalla norma degli accordi di Maastricht che affida al Consiglio dei ministri la responsabilità di stabilire il tasso di cambio della moneta europea. Schema di intervento  a un solo stadio (non vi è indiczione di obbiettivi intermedi, si adotta subito quello finale). Innanzitutto è stato indicato un obbiettivo operativo: tasso di interesse a breve termine in condizioni ordinarie; il Consiglio direttivo aveva scelto di annunciare anche un valore di riferimento per la crescita dell’aggregato M3  gli aggregati monetari e gli altri indicatori costituiscono i pilastri della politica monetaria. Gli strumenti di maggior rilievo della politica monetaria del SEBC sono le operazioni di mercato aperto, che sono svolte per iniziativa della BCE. Vi sono poi operazioni svolte per iniziativa delle controparti e la manovra della riserva obbligatoria. Le operazioni di mercato aperto della BCE si possono dividere in 4 categorie:  Operazioni di rifinanziamento principali: operazioni temporanee di finanziamento con frequenza settimanale e scadenza a una settimana, effettuate dalla BCE mediante aste che si svolgono nell’arco di 24 ore dall’annuncio (aste standard).  Operazioni di rifinanziamento a più lungo termine: operazioni temporanee di finanziamento con frequenza mensile e scadenza a tre mesi, effettuate dalle BCN mediante aste standard.  Operazioni di fine tuning: effettuate senza scadenze prestabilite al fine di regolare la liquidità del mercato e controllare l’evoluzione dei tassi d’interesse  Operazioni di tipo strutturale: sotto forma di emissione di certificati di debito, operazioni temporanee e operazioni definitive, compiute per modificare la posizione strutturale del SEBC. Le operazioni su iniziativa delle controparti tendono a immettere o assorbire la liquidità overnight , a segnalare l’andamento generale della politica monetaria e a fornire un limite alle fluttuazioni deitassi d’interesse del mercato overnight  Operazioni di rifinanziamento marginale: con esse le controparti possono ottenere liquidità overnight senza limiti quantitativi dalle BCN a fronte di sufficienti attività poste a garanzia. La BCE può svolgere la funzione di prestatore di ultima istanza.  Operazioni di deposito: con esse le controparti in un mercato con ampia liquidità possono tenere un impiego della stessa; il tasso di interesse fissato per queste operazoni costituisce un limite minimo per il tasso di interesse overnight. I tassi di interesse sule due operazioni costituiscono il limite superiore e quello inferiore di un corridoio all’interno del quale si muovono i tassi sulle operazioni overnight del mercato monetario. Dopo alcuni dubbi, il SEBC ha deciso di adottare un regime di riserva obbligatoria: la creazione di un fabbisogno strutturale di liquidità da parte degli intermediari finanziari consente di garantire quella variazione di quantità di moneta capace di influenzare opportunamente i tassi di interesse del mercato monetario; d’altro canto, la possibilità che viene data agli intermediari finanziari di mobilizzare la riserva, favorisce la stabilizzazione dei tassi di interesse in quanto incentiva le istituzioni ad attenuare gli effetti di variazioni temporanee di liquidità. L’assetto del settore finanziario Il sistema finanziario è stato influenzato notevolmente dalle norme tendenti alla creazione del Mercato unico, risentendo dell’eliminazione di numerose barriere non tariffarie che coinvolgono beni e servizi. L’UE ha mirato anzitutto a ridurre le barriere esistenti fra i vari mercati finanziari attraverso un insieme di azioni: 1. liberalizzazione dei movimenti di capitale dal 1990 2. armonizzazione di alcune leggi essenziali in materia finanziaria (es. banca universale) 3. applicazione del principio di riconoscimento reciproco 4. introduzione del principio del controllo preventivo del paese d’origine su tutte le attività di una banca. 5. Tentativo di armonizzare il trattamento fiscale delle rendite finanziarie (finora fallito) Le soluzioni adottate per il superamento delle barriere sollevavano alcune perplessità  queste sono legate non solo alla completa liberalizzazione dei movimenti di capitale, ma anche all’assenza di qualsiasi potere di regolamentazione e vigilanza sul sistema finanziario a livello europeo. Il rapporto del Comitato nei saggi sulla regolamentazione dei mercati finanziari europei (Rapporto Lamfalussy) aveva posto l’accento sulle difficoltà che ostacolavano lo sviluppo di un mercato unificato  tra esse: mancanza di regole comuni su molte questioni, regolamentazione insufficiente, diversità di applicazione delle norme da paese a paese,molteplicità dei sistemi di negoziazione, compensazione e pagamento. Dopo la crisi economica finanziaria, nel 2013 i timori legati alla crisi hanno indotto le autorità europee a iniziare un percorso di unione bancaria europea, stabilendo la necessità di vigilanza unitaria. La politica valutaria Eliminati i tassi di cambio fra le monete dei paesi membri dell’UEM, la gestione della politica valutaria è finalizzata a determinare il corso del cambi dell’euro con le monete esterne all’Unione, sia di altri paesi membri dell’UE sia di paesi terzi. Dall’avvio della terza fase dell’UEM, lo SME è stato sostituito da un meccanismo di cambio nuovo  SME II, che su base volontaria lega all’euro le monete europee non partecipanti alla moneta unica: nei confronti delle monete dei paesi terzi vi è completa libertà di fluttuazione dell’euro, non essendo previsto né un regime di target zones, né un regime di cambi fissi. Nei mesi precedenti l’inizio dell’Unione monetaria molti policy makers hanno insistito sull’esigenza di un euro forte, ossia un’elevata valutazione dell’euro rispetto alle altre monete, al fine di assicurare credibilità alla BCE. Ma questa credibilità deve essere assicurata da un elevato valore esterno della nuova moneta o basta piuttosto uno stabile valore interno della stessa? E’ certamente vero che in alcune situazioni una politica monetaria espansiva può provocare un deprezzamento esterno dell’euro; ma ciò non necessariamente implica il venir meno della stabilità monetaria interna dell’euro, se vi sono fattori produttivi disoccupati. La politica fiscale La politica fiscale nell’ambito dell’UEM resta largamente una questione di responsabilità dei governi nazionali, con i limiti imposti dal Patto di stabilità e crescita (approvato nel ’97 ma emendato nel 2005 fino al 2010) la cui idea sottostante è che ognuno dei paesi membri dell’UEM debba evitare deficit e indebitamenti eccessivi che abbiano spillover (effetti) negativi sugli altri membri; pertanto dovrebbero utilizzare gli stabilizzatori automatici, evitando aumento dei tassi d’interesse o il rischio di instabilità. Secondo le regole iniziali del patto, per assicurare il rispetto di questo criterio,ogni membro doveva presentare un programma di finanza pubblica di medio termine con la specificazione degli obbiettivi di finanza pubblica e le principali misure necessarie. Esso poteva prevedere un limitato deficit non superiore all1%. Ove un paese fosse colpito da recessione, l’operare degli stabilizzatori automatici avrebbe portato ad una situazione di deficit o ad un aumento di esso stesso, ma il disavanzo massimo consentito in rapporto al PIL non avrebbe potuto superare il 3%. Secondo molti autori, il Patto svolgeva un ruolo restrittivo, non permettendo la totale di spiegazione degli stabilizzatori automatici talvolta  alcuni avevano suggerito che dal calcolo del disavanzo venissero escluse le spese per investimenti pubblici; altri avevano pensato di misurare il disavanzo in termini strutturali, ossia depurando il disavanzo effettivo delle componenti cicliche, che tendono ad accrescerlo nei periodi di recessione. Soluzioni del genere sono state scartate. Nel dicembre 2011, è stata invece adottata una riforma più restrittiva, il cosiddetto fiscal compact: stabilisce da un lato il divieto per il deficit strutturale di superare di norma lo 0,5% del PIL nel corso di un ciclo economico, e dall’altro fissa un percorso di riduzione del rapporto fra debito pubblico e PIL: questo rapporto dovrà scendere ogni anno di 1/20 della distanza tra i suo livello effettivo e la soglia del 60%. Le nuove regole implicheranno probabilmente un notevole effetto di riduzione della domanda e del PIL nei paesi membri e potranno vanificare lo stesso obbiettiv della politica di rientro dai debiti eccessivi  basti pensare che l’elevata propensione all’importazione dei membri, associata all’intensità degli scambi intraeuropei, fa sì che la riduzione di domanda che si verifichi in uno solo dei due paesi, per la riduzione della spesa pubblica ad esempio, provochi: - una caduta del reddito nel paese stesso e quindi del gettito fiscale, che riduce in parte il beneficio in termini di deficit del bilancio pubblico prodotto dalla riduzione della spesa; - una riduzione della domanda e del reddito negli altri paesi europei, prodotta dalla riduzione delle importazioni Ove invece tutti i paesi dell’UE praticassero una manovra espansiva della domanda attraverso l’aumento della spesa pubblica, si verificherebbero quegli effetti espansivi incrociati che dovrebbero assicurare un aumento del redito di tutti i paesi membri senza un aumento del deficit del bilancio pubblico e un peggioramento del saldo commerciale. Le politiche regionali redistributive L’UE attua politiche di redistribuzione, soprattutto a favore di regioni o settori produttivi, con diverse finalità e finanziate da diversi fondi. Alcuni di questi sono tradizionalmente detti fondi strutturali, perché tendono a risolvere problemi di struttura: 1. Fondo europeo di sviluppo regionale (FERS) destinato a ridurre le ineguaglianze regionali attraverso investimenti produttivi in infrastrutture, ricerca e sviluppo, scuole, ospedali,.. 2. Fondo sociale europeo (FSE) per l’aumento dell’occupazione, attraverso il finanziamento dei sistemi di formazione e di adeguamento dei lavoratori nelle trasformazioni industriali 3. Ad essi si aggiunge il Fondo di coesione, che finanzia progetti infrastrutturali nei settori dell’ambiente e dei trasporti negli stati membri il cui PNL pro-capite è inferiore al 90% della media comunitaria. I fondi strutturali contribuiscono al conseguimento di tre obbiettivi: a) convergenza: accelerare la crescita e aumentare l’occupazione negli stati membri e nelle regioni in ritardo di sviluppo, attraverso l’aumento e il miglioramento della qualità degli investimenti b) competitività regionale e occupazione: rafforzare la competitività, l’occupazione e le attrattive delle varie regioni, anticipando i cambiamenti economici e sociali c) cooperazione territoriale europea: rafforzare la cooperazione transfrontaliera e transnazionale mediante iniziative congiunte a livello locale e regionale, volte a creare sviluppo territoriale integrato, cooperazione e scambio di esperienze a livello interregionale. Gli obbiettivi dei fondi sono perseguiti con un sistema di programmazione pluriennale che comprende l’individuazione delle priorità, le procedure per il finanziamento e un articolato sistema normativo di gestione e controllo  la programmazione in corso (2014-20) prevede che ciascuno stato membro definisca un Quadro di riferimento strategico nazionale (QRNS) che assicuri la coerenza organizza dell’intervento dei fondi strutturali (sia con orientamenti strategici comunitari, sia interni).
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