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Pommier, Storia e teorie del ritratto dal rinascimento all'età dei lumi, Sintesi del corso di Storia Dell'arte

testo riassuntivo, completo di: Pommier, Storia e teorie del ritratto dal rinascimento all'età dei lumi

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022

In vendita dal 20/10/2022

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Scarica Pommier, Storia e teorie del ritratto dal rinascimento all'età dei lumi e più Sintesi del corso in PDF di Storia Dell'arte solo su Docsity! POMMIER: STORIA E TEORIE DAL RINASCIMENTO ALL’ETA’ DEI LUMI Il ritratto Ritrarre 1. La teoria è ovunque? Il ritratto ha aperto un abisso di riflessioni. La nascita di esso è testimoniata da un orologiaio sconosciuto di nome Martin Etienne “l’amicizia è la più vera e la più legittima causa del ritratto ma che il suo uso si è sviluppato anche per conservare l’idea degli uomini illustri”. Emerge in ogni istante sempre accompagnata dall’osservazione del rapporto diretto e fedele che si deve poter stabilire tra ritratto e modello. 2. Definizioni Ritrarre= tracciare e di disegnare. Il tratto forma il contorno di qualcosa, da questo senso generale deriva rappresentare, dipingere. Ritratto (sostantivo) = significati che si sovrappongono: tracciato, figura di geometria, di forma, figura, piano e disposizione, di piano e progetto, d’immagine e di rappresentazione, d’immagine come somiglianza. Legato all’idea di rappresentazione che si effettua attraverso un tracciato. Il tratto è inerente al ritratto. Nell’italiano c’è distinzione tra imitare (=dare l’immagine di qualcosa) e ritrarre (fare la copia letterale, tratto per tratto di qualcosa). Difficile tradurre l’italiano imitare = il termine francese tende verso l’idea di copiare. XVII  il termine si fissa sulla rappresentazione della figura umana. Lo si evince dai primi dizionari (Italia e Spagna, 1611), che danno definizione del ritratto come immagine imitata di un personaggio (spagna); e figura tratta dal naturale (Italia; con cfr. Vasari). In Francia si attesta la stessa evoluzione, ma tardiva nell’apparizione nei dizionari. Il lessico specializzato è definitoo nel 1676 da Andrè Filibien: “ritrarre. La parola ritrarre è un termine generico che si estende a tutto ciò che si fa quando si vuole cogliere la somiglianza di qualcosa; non di meno non si usa indifferentemente per soggetti di ogni cosa; si dice ritratto di un uomo o di una donna, ma non si dice ritratto di un cavallo, di una casa o di un albero. Si dice la figura di un cavallo, la rappresentazione di una casa, la figura di un albero”. Volendo imporre un lessico artistico preciso e chiaro, il ritratto è da allora riservato all’immagine dell’uomo fatta a sua somiglianza. Il contemporaneo italiano di Filibien, Filippo Baldinucci ne dà definizione semplice: “figura cavata dal naturale” chiaramente della figura umana. I dizionari francesi appoggiano l’idea di Filibien, e anche Fautriere ne diede quasi la stessa definizione “persona così come è al naturale”; comunemente “opera di un pittore”. I dizionari tendono a semplificare il concetto e il pensiero riguardo alla teoria del ritratto. 3. L’ombra, la morte, la memoria Il riferimento all’antico è doveroso. Storia naturale di Plinio il Vecchio ha fissato l’origine della pittura, che appare confusa con quella del ritratto. Esso scrive “l’origine della pittura è consistito nel tracciare il contorno di un’ombra umana”. Quindi l’uomo notando la sua ombra ne avrebbe fissato i contorni. La pittura inizia con l’osservazione di un fenomeno naturale. Questa storia più avanti nel testo è collegata ad un racconto mescolandola ad un’altra tecnica quella del modellare in argilla. Il vaso Butade, a Corinto, invenzione grazia alla figlia, innamorata di un giovane, che doveva partire per l’estero. Essa circondò l’ombra sul muro grazie ad una lampada e il padre applicò l’argilla sullo schizzo e ne fece un rilievo. - Tratto/segno = ritornano  dalle definizioni. La versione breve di Plinio è ripresa da Quintiliano, che ne aveva fatto una leggenda solare “l’ombra gettata da un corpo illuminato dal sole”. L’Alberti cita Quintiliano nel suo testo affermando che gli antichi solevano circoscrivere ombre al sole e così si è sviluppata quest’arte”. Leonardo da Vinci accolse a sua volta la leggenda precisando che l’ombra era proiettata sul muro. Vasari si riferisce a Plinio in una versione dove sostituisce la giovane con un Lidio, Gige, che vedendo la sua stessa ombra proiettata dal fuoco, prese un carbone e contornò se stesso sul muro”. Il mito delle origini si trova nel XVII secolo, nella raccolta di fonti di Franciscus Junius e nelle biografie dei pittori di Felibien, che contiene sia la versione semplice che quella sentimentale: “E per dare maggiore bellezza a questa storia, c'è chi ha scritto che l'Amore, che è in effetti il grande maestro delle invenzioni, fu colui che trovo questa e che insegnò a una giovane il segreto di disegnare, facendole tracciare l'ombra del volto del suo amante, per aver una copia dei tratti della persona che amava". Charles Perrault nella sua poesia La Peinture fornisce l'espressione più completa del mito dell'invenzione della pittura e del ritratto da parte di una giovane innamorata. In questo testo che coniuga la celebrazione della pittura con quella del regno di Luigi XIV, dell'Accademia royal de peinture e del suo amico Charles Le Brun. Perrault conferma che l'origine della pittura si confonde con quella del ritratto e conferisce quindi a questo genere una rango primordiale, nel momento stesso in cui gli stati delle accademie non assegnano che un secondo livello al ritratto, perchè sottomessa al reale, concepita come un limite e una costrizione. Insistendo sul rituale doloroso della separazione, Perrult, che ha trasformato la figlia del vasaio del Corinto in pastorella dell'isola di Pafo, presenta l'invenzione del ritratto come una risposta ad una esigenza memoriale. L'amore invocato nella disperazione, le fa vedere l'ombra del suo amante proiettata da una candela, le da l'ispirazione di fissare quell'immagine di colui che presto scomparirà. Ecco il ritratto sottratto all’ombra della notte, della separazione e della morte e sgorgato dall’incontro tra la Natura (prefigurato con l’ombra sul muro) e l’ispirazione divina (che ha visto l’opera della Natura). Il ritratto è segno di assenza, nostalgia e risposta alla morte. Quella di Perrault è la storia del destino umano, il ritratto nasce sotto il segno di una memoria tragica. Traccia anche la finalità e essenza della pittura = la cui invenzione non è solo del ritratto ma anche del disegno. Il legame primordiale tra la pittura, il ritratto e la morte illustrato dall’incisione di François Chauveau, trasmesso da Cicerone, Quintiliano e Plutarco racconta: il poeta Simonide di Ce, invitato ad un banchetto che doveva animare con i suoi canti, viene improvvisamente chiamato da due visitatori rimasti sulla soglia del palazzo in cui aveva luogo la festa; esce e non trova nessun, ma durante la sua assenza il tetto della sala del banchetto crolla, schiacciando gli invitati al punto di sfigurarli completamente. Come identificarli per rendere loro gli onori funebri? Per fortuna Simonide aveva conservato mentalmente l’immagine. La memoria in quanto arte -> nata così. Analogamente la pastorella traccia il profilo dell’essere amato prima della sua partenza, come una prima tappa di un viaggio verso la morte. Si evincono due modalità di imitazione: l’imitazione del reale colto direttamente( il contorno tracciato dalla pastorella) e l’imitazione del reale di secondo grado, un reale trasporto nel suo essere intimo dell’immaginazione del poeta. Ritratto di pastorella e ritratto di poeta un intero dibattito sul ritratto è già indotto da questo confronto originario tra il disegno spontaneo e a memoria. Tale accostamento è tanto meno arbitrario in quanto Plutarco attribuisce a Simonide un’altra invenzione: quella del confronto tra la poesia e la pittura riassunta dalla celebre formula secondo la quale la pittura sarebbe una poesia silenziosa e la poesia una pittura parlante; L’eguaglianza di dignità così ottenuta dalla pittura di fronte alla poesia ricade sul ritratto e ricorda il legame essenziale tra l’imitazione e la memoria. 4. Potere del ritratto Somiglianza e bellezza: la tensione, se non la contraddizione posta al cuore stesso della relazione tra l'artista e il suo modello, in questa doppia esigenza che diventerà il tormento di teorici. Si tradurrà in un duplice procedimento: imitazione e selezione. Di questo problema lancinante i testi antichi propongono all'Alberti una soluzione a due livelli. - Quello pratico della correzione dei difetti che sono contrari alla bellezza e che devono essere dissimulati pur mantenendo la somiglianza. - equilibrio da trovare tra il talento, vale a dire la parte dell'immaginazione che gli permette ci concepire l'idea della bellezza, e il rispetto del modello, da imitare. Si ritorna così alla questione somiglianza e della bellezza. Il metodo di Zenusi, selezione dei parti scelti per la loro bellezza non dà comunque l’immagine di bellezza, racchiude la teoria del ritratto in un labirinto senza fine. 4. Il ritratto e la morte Si può parlare effettivamente di un'influenza dell'Alberti solo a partire dalla diffusione a stampa del suo trattato De Pictura del 1540. Alcune idee posso corrispondere a certe pratiche del ritratto o a determinate riflessioni sul genere come pittura che fa sopravvivere l'uomo. Allo stesso titolo dell'amicizia, si trova in una concezione umanistica del ritratto, che lo scrittore Justus Pannonius ringrazia del doppio ritratto che ha eseguito Mantegna e Galeotto Marzio da Narni. " hai fatto i nostri volti perché vivano nei secoli. Hai fatto in modo che uno di noi possa riposare accanto all'altro, anche se tutto un mondo ci separa.. A queste immagini manca solo la voce". Questo significato del doppio ritratto, pegno della sopravvivenza dell'amicizia al di là della morte, è confermato da Erasmo in una lettera 7 a Tommaso Moro. " Ti mando questo dipinto per esserti sempre vicini, anche se un giorno non saremo più". Ma il ritratto nella sua ricerca di perfezione, può raggiungere il suo compimento durante la vita del modello? Il compimento, nel senso pieno del termine, non potrebbe essere una corsa contro la morte, poiché il ritratto si realizza in un tempo che è quello del suo soggetto e il cui termine è la morte? Disavventura del pittore che doveva fare il ritratto di Murius. Tormentato da desiderio di arrivare a rendere la verità totale del suo modello, il pittore moltiplica le sedute di posa. Il pittore corre dietro a un soggetto che cambia e che invecchia. E' la ricerca di un realismo impossibile , perché la realtà si trasforma un istante dopo l'altro. C'è qualcosa di comico e anche di tragico in questa ricerca affannosa del pittore che non può fermare il tempo. Ed è perché non è capace di tradurre sull'essenziale che si accanisce su un'apparenza condannata ad un'evolutine il cui unico termine è la morte: l'ultima peripezia è quella di Murius improvvisamente vecchiotto. La storia di Murius mostra forse che, se il ritratto può trionfare sulla morte, è perché la morte trionfa sul modello e che c'è una sorte di complicità tra la morte e il ritratto, che compiono lo stesso lavoro sul modello. Ma vi è un'altra forma di vittoria del ritratto sulla morte: è il ritratto vivo di un morto. La morte, nel suo accadere, può ancora ispirare un immagine di vita. Il ritratto è memoria di una persona viva attraverso e al di là della sua morte. Immagine di vite, destinata a trascendere il tempo, il ritratto può fare esitare la morte. Il ritratto rende la vita al modello morto; il ritratto mette la morte in attesa, il ritratto da vita a un modello assente.  caso di un dipinto eseguito da Agostino Caracci: su richiesta di una certo Melchiorre Zoppio della sua defunta sposa, Olimpia, che il pittore non aveva visto né dal vivo né attraverso un ritratto. Seguendo la descrizione che gli venne fatta dal marito, realizza un ritratto di Olimpia, così perfettamente somigliante che Melchiorre Zoppio non vorrebbe avere che altro senso che la vista, poiché completando il ritratto sente la morte che gli parla con lo sguardo. Il ritratto del modello assente è divenuto presenza viva e parlante. 5. Zeusi a Crotone Al dilemma della bellezza e della somiglianza, l'aneddoto di Zeusi a Crotone forniva una soluzione. Ma, di fatto, non vi è soluzione. . C'è un'interpretazione di Alberti e quelle che hanno seguito. Tutte si inseriscono in una tradizione che risale a Cicerone. Il posto che riserva all'aneddoto del celebre pittore greco è un esempio perfetto delle trasposizioni che si operano costantemente, nell'antichità come nel rinascimento, tra la teoria letteraria e la teoria artistica. De invectione, Cicerone tratta dell'arte dell'oratore : per lui, il perfetto oratore é colui capace di prendere il meglio da ogni grande oratore della storia e di fare una sintesi viva. Quindi, per Cicerone, non vi è un modello unico," perché il nessun individuo la natura ha realizzato la perfezione assoluta". Boccaccio torna sull'aneddoto dei Zeus, non si accontenta di fare una selezione di 5 modelle vive ma si aiuta con la descrizione poetica che omero ha fornito di Elena. D'altra parte l'osservazione dei volti, delle statue, delle attitudini dei suoi modelli lo induce non a ricomporre le parti ma immaginare "nella mente sua" una donna di una bellezza mirabile. Lo spirito creativo, stimolato dalla poesia, si interpone tra la selezione della natura e la composizione dell'immagine perfetta. .In altro modo ancora, Raffaello sia allontana dalla possibilità teorica del ritratto -> decorazione della Farnesina -> Galatea  in assenza di buone modelle e di buoni giudici, preferisce servirsi" di cerca idea che mi viene nella mente". Distruggendo il sottile equilibrio dell’ Alberti  per una rappresentazione intima, che non sembra avere né un'origine metafisica né un valore normativo. Rimane l’interrogativo se l’idea è innata o perfezionata dall’esperienza. Baldassare Castiglione fa allusione all'aneddoto di Raffaello per affermare che il pittore è "colui che dovrebbe avere il giudizio più perfetto in materia di bellezza". Si ritorna al riferimento all’esperienza concreta. Michelangelo avrebbe condannato il principio di selezione, sottolineando che sarebbe giunto a un composto senza vera unitarietà. . E' il tema che in fine teorizza Bernini: rifiuta vigorosamente la teoria di una bellezza che sarebbe compiuta attraverso la combinazione delle forme perfette tratte dai diversi personaggi. Considerando come un favola la storia di Zeusi a Crotone, diceva nel suo linguaggio diretto che " il bell'occhio di una donna non farebbe un buon effetto sul vivo di un'altra e cos' la bocca e il resto". La gloria del ritratto 1. Celebrazioni poetiche Il ritratto Giovanna degli Albizzi di Ghirlandaio presenta una citazione leggermente modificata di un epigramma di Marziale. Riporta così l’attenzione su una forma di commento al ritratto che si sviluppa nel quattrocento. Questa citazione mostra il rapporto diretto che si è stabilito tra poesia e dipinto. Nel XV c’è la fioritura delle poesie che hanno per pretesto un ritratto del quale celebrano i meriti, in italiano in genere, probabilmente di influenza petrarchesca (sonetti ritratto laura di Simone Martini). Questi hanno carattere encomiastico nei confronti del pittore e modello. Sono forma di glorificazione solidale dell’artista e del suo mecenate, e l’un l’altro si mostrano una mutua assicurazione di sopravvivenza. L’obiettivo principale però è sollevare interrogativi sul ritratto. Vediamo il caso di Guarino Veronese che celebra Pisanello come ispirato da Apollo e le muse, celebra i meriti che gli permettono di sopravvivere nei secoli. Si tratta di gloria e immortalità. Elogio poetico più preciso e che riguarda la ritrattistica è di Angelo Galli, presso la corte d’Este, sui ritratti di Pisanello. Esso parte riprendendo dall’Alberti il valore memoriale del ritratto, dice di essere realistico, dal vero sembra vivo. Il pittore è celebrato come eguale alla Natura, dotato di forza creativa che lo assimila alla natura naturans. Ulisse Aleotti illustra la competizione di Pisanello e Bellini per il ritratto di Lionello d’Este, il secondo superiore al primo nella resa del ritratto, che sempre più vivo rivaleggia con la natura. con il ritratto si assicura gloria eterna ai personaggi. Da qui c’è un cambiamento se prima era il poeta a conferire immortalità al pittore, si passa al pittore che l’assicura al duca, segnando un vero e proprio progresso della pittura. La celebrazione poetica del ritratto, del quale Pisanello sembra essere il primo beneficiario diventa un genere stabilito. Aleotti attribuisce al Mantegna lo stesso potere. L’abilità della rappresentazione dei pittori quattrocenteschi consente loro di considerarsi pari degli illustri pittori dell’antichità greca. Al di là di questo sfoggio d’erudizione che culmina con il livello di Piero della Francesca si introduce grazie a Ferabos una nuova liturgia poetica pittore-modello. Piero ha dato immagine fisica, viva al principe, ma è il principe stesso che ha permesso che il suo ritratto sia anche immagine della sua anima. Per la prima volta fa allusione al potere del pittore di essere anche pittore dell’anima, permesso dal modello. Ecco che l’elogio del pittore diventa elogio del principe capace di conferire superficialmente la sua impronta di vita interiore. Da notare come il ritratto di Piero del duca di Montefeltro combini anche i principi dell’Alberti: somiglianza e bellezza. La rappresentazione di profilo maschera i difetti senza venir meno alla somiglianza. Alla fine del quattrocento l’elogio del ritratto sfida la Natura come nel caso delle opere di Leonardo da Vinci, dove la natura potrebbe essere gelosa del dipinto. Il compimento di questo rituale è descritto da Baldassare Castiglione sul dipinto fatto della moglie ormai venuta a mancare da Raffaello, tramite lettera. Il ritratto ha ancora funzione memoriale, si sostituisce addirittura al modello e diventa presenza consolante. La poesia conduce ai confini tra realtà e illusione, fino allo stato di confusione dove lo spettatore non sa se è di fronte alla persona o alla sua immagine. Alcuni testi lasciano interrogativi sulla pertinenza della celebrazione del ritratto. Alla fine del 400 Niccolò da Correggio si chiede se la supremazia del creatore spetti al pittore o poeta. Il dibattito è breve: - Pittore = ha visione esteriore quindi inferiore per dignità e verità; in più l’immortalità è assicurata ponendo il problema della durata? Le grandi opere dell’antichità sono scomparse e sono i poeti che hanno in realtà promesso immortalità. Di fatti abbiamo accesso ad alcuni scritti degli antichi ma di pitture no, notando che se il poema non è un capolavoro scomparirà più del dipinto. Leonardo nel Codex Urbinas Latinus 1270 sembrerebbe porre fine a questa questione affermando: la superiorità del ritratto, dell’immagine sul racconto, che esclude la proporzionalità armonica (bellezza). La superiorità non è incondizionata nel suo esempio perché è di bellezza e non di somiglianza che si parla. 2. Ritratti letterari Il poeta è colui che attinge da diverse scienze per raccontare, come un composto bugiardo. Nei Ritratti di Luciano sì legge di Licino e Polistrato: il primo descrisse l’apparenza fisica di una donna che visto, mentre il secondo la ritrae senza averla mai vista. Ne usci un solo ritratto (morale), realizzato dalle due descrizioni. Si tratta di un ritratto più veritiero poiché unisce bellezza e virtù dell’anima. Le Eikones non furono l’unico motivo per cui nel Cinquecento nacque il ritratto della donna ideale. Al medioevo risale la descrizione che Sidonio Apollinare fece di Teodorico II: lo descrisse come un essere la cui bellezza si accosta alle virtù e qualità morali (435). Genere del ritratto della donna ideale, altri esempi: - Mathieu de Verdome (1175) e Geoffroi de Vinsauf (1210) - Descrizione della donna nel Romane de Thebes (XII), Chretien de Troyes. - Ritratto di Emilia nella Teseide di Boccaccio. - Descrizione di Alcina nell’Orlando Furioso di Ariosto. - Donna ideale di Pietro Bembo nell’ dialogo Gli Asolani (1505). L’invenzione è la capacità del pittore di trovare i mezzi per rappresentare una storia in pittura. Vasari mise in ballo il cosiddetto “piacere del riconoscimento”, ossia l’azione di decifrazione alla quale prende lui stesso piacere per il ritratto di Alessandro. Allo stesso tempo, Vasari non fornì alcun esempio di lettura dei ritratti che evocò nelle Vite. Per quanto riguarda il ritratto di Lorenzo, esplicitò la qualità del modello, il messaggio politico, morale e culturale e il patrimonio di virtù che volle condividere con la posterità. Nel caso di Alessandro, il pittore si compiacque della sua invenzione, di aver dipinto l’uomo secondo il suo capriccio, e di avergli dato un significato. I simboli dipinti dal Vasari sono diversi: le armi sono simboli di difesa; la posizione seduta il possesso del potere; la sciarpa rossa il sangue; le rovine indicano la guerra del 1530; il cielo sereno la tranquillità dopo l’assalto; i corpi senza arti nella decorazione del trono sono i vinti, ecc. La descrizione del Vasari portò alla nascita di un nuovo genere di ritratto, quello emblematico: esso esplicita attraverso figurazioni estrinseche il carattere del modello, le sue azioni, cioè sia fenomeni visibili che invisibili. In ritratto iniziò a trasformarsi in un oggetto complesso a più livelli. La compressione di taluni simboli non era per tutti. Di pari passo iniziò a dilagare una moda a Firenze, quella di scrivere lettere in modo criptato, geroglifico (lettera sul ritratto di Alessandro de Medici di Vasari). Ritratto criptato: l’interesse per l’interpretazione misterica dell’universo in Vasari subentrò dopo aver fatto la conoscenza di Pietro Valeriano, erudita che stava creando l’edizione critica del testo Hieroglyphica di Orapollo. Per comprendere il modello va considerato l’incontro del Vasari con Paolo Giovio a Roma nel 1532 (appassionato e collezionista d’arte). Da qui venne l’idea delle Vite. Nelle lettere in cui parlò dei due ritratti, Vasari specificò la teoria di una nuova forma di ritratto: un ritratto colto ma ricco di segni e simboli capaci di raccontare una storia. Questo tipo di ritratto aveva un esempio già precedentemente: il Ritratto di Massimiliano I in trono, detto “mistero delle lettere egizie” (essendoci incisioni). Il sistema iconografico venne creato dall’astronomo Johannes Stabius, assieme gli artisti Dürer e Pirkheimer (quest’ultimo aveva tradotto in latino il testo greco dell’Hieroglyphica che dedicò poi a Massimiliano I nel 1514). Il ritratto dal vero si è sdoppiato in un ritratto criptato, specialmente in Vasari che si interessò di simbologie abilmente celate. 5. Ritratti iperrealistici Vasari trattò anche del ritratto iperrealista: iniziato con Giotto, inventore del ritratto dal vero, la celebrazione di questa tipologia avvenne con Andrea del Verrocchio. In questo senso, l’antichità svolse un ruolo importante. L’incipit è la tradizione corrente nella borghesia fiorentina di donare alla chiesa della Santissima Annunziata statuine di cera per omaggiare la Provvidenza. Cennino Cennini nel sul libro trattò del calco in cera, utile per i ritratti. Con Verrocchio Vasari trattò del progresso nel controllo del reale, verso la perfezione. È importante ricordare le statue che Lorenzo il magnifico fece realizzare dopo la Congiura dei Pazzi. Nella maggior parte dei casi, erano calchi in cera per la realizzazione di maschere funerarie che le grandi famiglie fiorentine facevano create per porle nella galleria degli antenati. Vasari ne fu affascinato: la tecnica creò ritratti di un verismo quasi totale, quasi vivi. Il calco per Vasari rappresentò la conquista del reale nel Quattrocento, utile a consegnare alla posterità dei veri e propri documenti storici. La fedeltà letterale al reale appartiene all’arte? L’aneddoto di Vasari chiamato a realizzare una copia del ritratto di Leone X (Raffaello) da Ottaviano de Medici risponde. Il ritratto realizzato da un grande artista si impone come un mediatore tra un modello originale e lo spettatore: assume già una certa autonomia, ha già la sua vita, quella dell’opera d’arte. 6. Celebrazioni poetiche II Nella celebrazione del ritratto Vasari tira in ballo l’aneddoto di Apelle e Campaspe (che usò assieme altri cinque per illustrare il salone della sua casa ad Arezzo) tratto dalla Storia Naturale di Plinio il vecchio. Alessandro Magno dopo aver incaricato Apelle di fare il ritratto della sua cortigiana preferita, si innamorò della propria copia donando al pittore la donna in carne e ossa (innamorandosi del modello). Si tratta della glorificazione della pittura. Il pittore è colui che vede e fa vedere: attraverso l’aneddoto si scopre l’esistenza di un ritratto globale, quello della bellezza interiore e quello della bellezza esteriore. Questo, si offre al dialogo (ritratto di Laura). Il fervente petrarchismo nel XVII secolo fornì spunti per la produzione di poesie: nelle biografie di Giovanni Bellini e Tiziano alcuni ritratti trovano equivalenti poetici di Pietro Bembo e Giovanni della Casa. Tale fenomeno rallegrò Vasari, per il prestigio che questa forma di celebrazione assicurava ai pittori. - Pietro Bembo ringraziò Bellini per ril ritratto dell’amata (scomparso) in due sonetti, pubblicati nelle Rime del 1530 – senza descrizione dell’opera. Nel primo si stupisce della perfetta imitazione dell’immagine dell’amata. Nel secondo della bellezza e della grazia, tra la verità e l’illusione, la natura e l’arte. - Giovanni della Casa scrisse su il ritratto dell’amata di Tiziano nel 1543: illustra la difficoltà nel distinguere l’essere vivente dalla copia, per via del realismo dell’opera. Si domanda come un volto così bello possa essere racchiuso in uno spazio piccolo. I sonetti mostrano un ritratto che se non illude e inganna, stimola l'immaginazione del poeta e lo induce a inventare un equivalente letterario. I poeti sono affascinati dall'equivalenza che si stabilisce tra la natura e l'arte. Vasari maturò a contatto con il teorico veneziano Lodovico Dolce. Nel Trattato sulla pittura del teorico, Giorgio Vasari partecipò ad un dialogo. Come dice in esso, tutto ciò che il pittore rappresenta è al servizio dell'occhio dello spettatore. Il pittore si occupa di rappresentare in modo vivo i personaggi, dalle espressioni naturali e le passioni leggibili. Lo spettatore ha il compito di usare la sua immaginazione. Nel pensiero del Rinascimento, l'immaginazione era la capacità di creare immagini mentali quando i sensi vengono stimolati. La pittura è come un'immagine mentale che induce lo spettatore a illudersi di stare guardando la realtà. Il ritratto avrebbe portato la connivenza tra il pittore (che prese l’iniziativa) e il poeta (che l’avrebbe volta), questa arricchita dalla risposta dello spettatore che da significato all’illusione che gli propone il pittore. Lettera di Vasari (1537) riguardo il ritratto di Francesco Maria della Rovere di Tiziano: un sonetto aggiunto precisò il pensiero sul pittore, capace di mostrare ogni invisibile concetto. Seguirono sonetti anche per altri ritratti. Riconosce egli la capacità di combinare la verità del naturale con la rappresentazione dello spirito e dell’anima. Ritorno così il tema della concorrenza tra natura e arte e quello albetiano del ritratto trionfante sulla morte. Il giudizio di Vasari sul ritratto non è fine a sé stesso, ma frutto di esperienze legate ai pittori e alle loro opere, essendo anche lui pittore in primis. Affermò con sicurezza che Tiziano non aveva bisogno di alcun modello. Non voleva perciò che il poeta fosse rimasto dietro al pittore: nel 1542 disse a Diego Hurtado de Mendoza di aver scritto un sonetto sul suo ritratto senza averlo visto (di Tiziano). Al di là della rappresentazione del modello, subentrò anche il problema dell’esemplarità, diversa tra uomo (potere, politica, virtù eroiche) e donna (bellezza, capacità domestiche). Nei Dialoghi di Sperone Speroni (1542) sì può leggere una forma abbozzata di sintesi: poesia e pittura sono associate in un riconoscimento di eguale dignità, come natura e arte, come la realtà e l’immaginario. Vasari portò avanti il lavoro di Petrarca con la sua visione del ritratto. Funzione del ritratto 1. Significati del realismo. La difesa del realismo vide la sua base nella Poetica di Aristotele, riferimento letterario del XVI secolo. 1) Girolamo Fracastoro, commento alla Poetica di Aristotele: pone poeta e pittore su due piani diversi. Il primo si occupa dell’universale, il secondo del particolare (come nel ritratto la resa dei dettagli della pelle ex.). 2) Ludovico Castelvetro, commento alla Poetica (1567): il dominio della poesia è l’immaginario, mentre quello della pittura è quello della realtà della natura, il cui obiettivo è quello di rappresentare secondo il vero, la vita e il naturale. La pittura è cosa materiale, il suo soggetto è la materia. Tema della somiglianza: la materia può essere conosciuta; il ritratto per essere buono deve essere perfettamente somigliante e così piacere a tutti coloro che possono farne il confronto con l’originale. Il ruolo per così dire “segnaletico”, di riconoscimento, del ritratto venne utilizzato in una precisa maniera. Tra il XIV e il XVI in piazza della Signoria cominciarono ad essere dipinti i ritratti dei criminali sulla muraglia del palazzo della Podestà in segno di infamia pubblica. Ciò veniva commissionato ad un pittore di professione. Si ricordano i ritratti segnaletici di Andrea del Castagno (ritratto naturale di Rinaldo degli Albizzi; ritratto dei Pazzi, i congiuranti attribuiti dal Vasari allo stesso pittore ma non vi è certezza su ciò). Fu così che riconoscimento e ritratto d’infamia si unirono per un fine di giustizia pubblica. 1) Battista Armenini fece un ritratto di un soldato spagnolo che lo aveva insultato per sostenere la sua lamentela a riguardo. 2) Annibale Carracci (dalla biografia scritta dal Bellori): fece il ritratto a memoria di banditi che lo avevano depredato per incastrarli e riottenere il proprio bottino. 3) Gregorio Comanini: la funzione del riconoscimento del ritratto, in conformità con il modello, porta alla sua riuscita, perché permette di riconoscere la persona rappresentata (piacere del riconoscimento). Teorie sul ritratto iperrealista: 1) Federico Zuccari, trattato del 1607: volle dimostrare l’eccellenza della pittura, la cui finalità è l’imitazione perfetta della natura e, per provare che i moderni non erano inferiori agli antichi, raccontò due vicende legate a ritratti che seppero ingannare: ritratto Leone X di Raffaello al quale un cardinale si inginocchiò per far firmare una bolla; ritratto di Carlo V di Tiziano con il quale il principe Filippo iniziò una discussione. 2) Filippo Baldinucci, nella sua biografia su Bernini, parlò del ritratto/busto di Pedro de Foix Montoya: paragonato al suo modello, è tuttavia il ritratto a figurare più vivo e vero. Il potere dell’immagine realista non induce alla sospensione del giudizio dei sensi, ma stimola l’immaginazione e dirige la volontà dello spettatore. 3) Francesco Bocchi, commento al David di Donatello: lo scultore seppe bene rapprendere l’espressione dell’anima e dello stato d’animo (Pathos e Ethos) in una determinata situazione. Donatello seppe rendere tale espressione nel ritratto di un eroe ideale, dandogli la capacità di esercitare tutta la sua forza su coloro che lo guardano (ex. Busti degli antenati per i romani, che sostenevano il loro coraggio). 4) Trattato sulla nobiltà della pittura, Romano Alberti: la pittura, il ritratto, supera di gran lunga anche l’eloquenza. Il tutto può essere riassunto con la storia raccontata da Plutarco, in cui Cassandro si mise a tremare dinanzi la statua di Alessandro Magno, pensandolo lì in carne ed ossa. Questa volta il sottile equilibrio tra natura e arte stabilito da Vasari si è infranto. 2. Fisiognomica Pomponius Gauricus nel suo trattato di scultura (1504) tentò di spiegare come “immaginare l’apparenza dei morti a partire dai loro noti caratteri morali (grazie ai libri di storia). La risposta fu la fisiognomica. pittura è un’arte Divina perché imita nei confronti dell’uomo il gesto creatore di Dio. Segue che il pittore eccellente dipingeva solo pochissime persone con grande cura, persone scelte come principi e Re meritanti di essere trattati dal vero perché si trattava di trasmettere una felice memoria. Puoi allargò il diritto al ritratto ad ogni uomo celebre del disegno o nelle lettere o per la sua liberalità. Era ben accetto anche il ritratto nelle famiglie e tra le persone che si amano di un amore fedele. Chi merita è ritratto è colui che merita di restare nella memoria culturale. Le categorie degne del ritratto secondo Holanda coincidono con le classi tra le quali Giovio aveva suddiviso la sua collezione (valore paradigmatico dei ritratti come quelli antichi romani). Si può riassumere che ci sono pochi modelli degni del ritratto e c’è bisogno solo di pochi ritrattisti. Holanda diede anche dei consigli pratici per dipingere ritratti: farlo davanti al modello, con calma e intimità, concentrandosi sulla resa naturalistica del volto (aneddoto dell’orecchione di Agostino Carracci). Per il trattatista il ritratto al naturale sarebbe, quindi, una rettificazione del naturale, per rispondere al principio del compromesso tra la bellezza e la somiglianza secondo Alberti (ossia ma modifica limitata degli elementi imperfetti). Giovanni Paolo Lomazzo, 1584: Presa di posizione sul problema sociale del ritratto. Il capitolo sul ritratto nel trattato venne introdotto con la storia del ritratto antico, legato ai miti greci (ritratto con funzione memoriale degli esempi di virtù). Il ritratto antico si contrappone nel testo alla degradazione del ritratto contemporaneo allo scrivente: il genere si era volgarizzato poiché aveva iniziato a trasmettere l’immagine di persone che non meritavano un proprio riconoscimento. Trattò la degradazione del genere: a modello volgare, dipinto mediocre. Il ritratto aveva per lui perduto ogni dignità, e il pittore era abbandonato al capriccio di un modello ignorante. Per arrivare a un miglioramento Lomazzo indicò due soluzioni: attingere a modelli di qualità (dignità del modello, a cui deve corrispondere una caratteristica dominate); dare attenzione all’attitudine, alle vesti, agli attribuiti del personaggio, corrispondenti alle sue qualità e alla sua posizione sociale (oggetti tipici di un ruolo). Lomazzo applicò la nozione di decorum: ad ogni classe sociale corrisposero dei segni distintivi; alla donne corrispondeva la bellezza (da rendere come i poeti cantavano le qualità della donna amata, secondo il ritratto letterario). La preoccupazione maggiore non era più la resa della natura ma l’ordine gerarchico della società, in cui il ritratto era dovuto per la loro esemplarità. È in questo discorso che Lomazzo sviluppò le lodi di artisti che avevano realizzato “ritratti intellettuali” (Tiziano, Raffaello, Giorgione..). La degenerazione del ritratto venne ripresa come maggiore crudezza da Baldinucci: egli accusò di infamia i pittori che nelle loro tele rappresentavano persone di poco conto, privi di alcun riconoscimento e talvolta vestiti come principi. È chiaro come il ritratto sia diventato menzogna per convenienza sociale. 2. Limitazione in discussione 1540-1580: nuove riflessioni sul ritratto (da le Vite del Vasari). Michelangelo si inserisce in questa tradizione: la personalità dell’artista, perfino i suoi difetti o le sue mediocrità, si impone al punto di impregnare tutte le figure che dipinge (“ogni pittore dipinge sé medesimo bene” da “ogni dipintore dipinge sé”). Tra il modello e la sua immagine, fa schermo la personalità dell’artista: ogni ritratto è un autoritratto. Vasari rifiutò di sottomettere il ritratto alla realtà di un modello, in nome di una certa idea della bellezza che l’artista porta in sé e che rifiuta di sacrificare la realtà. Michelangelo dissociò la somiglianza al modello dalla funzione memoriale: ex. Statue di Giuliano e Lorenzo de Medici nella sacrestia nuova di San Lorenzo; l’intento era quello di rappresentarli di una grandezza tale che a nessuno interessi com’erano in realtà, se somiglianti o no. Da questa antinomia tra verità e bellezza restava da fornire una spiegazione teorica. Si pensava che la riproduzione ormai controllata delle apparenze non accontentasse più verso la ricerca dell’essenza superiore della realtà. 1550/1560: ripresa della nozione di disegno (da un aneddoto di Plinio il vecchio). L’espressione poi rimbalzò da un teorico all’altro, da Cennino a Ghiberti che nei Commentari (1450) fece del disegno il fondamento teorico della pittura e della scultura. La consacrazione avvenne con Benedetto Varchi (XVI secolo) che nelle sue Lezioni del 1547 trattò la gerarchia delle arti: pittura e scultura avevano origine medesima nel disegno; la nozione di disegno aveva importanza anche nel d Nel 1549 Pier Francesco Doni fece del disegno un principio metafisico, un operazione intellettuale. Nel 1607 Francesco Zuccari fece del disegno un riflesso, nello spirito umano, dell’idea divina, e del suo modo di operare un equivalente del potere creativo della natura. Si può ipotizzare che tali speculazioni fossero mirate a celebrare il ritratto come mezzo di imitazione del reale e illusione di realtà (neoplatonismo; aristotelismo), arrivando a consacrarlo al pari della poesia. Giulio Cesare Scaligero affermò che la natura può essere modificata dal pittore, che può stravolgerla e migliorarla a suo piacimento. La vocazione dell’arte è essere superiore alla natura, compiendola e non copiandola. Sarebbe vano trovare in essa un modello. Il pittore è invitato a correggere il reale. Vincenzo Danti, scultore di Cosimo I, pubblicò a Firenze una serie di 15 trattati completi sulla pittura: distinse tra “ritrarre” (copiare fedelmente il reale così com’è davanti ai nostri occhi) e “imitare” (correggere il reale per portarlo alla perfezione del quale è capace). Dato che non esistono modelli perfetti, il pittore deve cercare di migliorare (imitare) il reale. L’imitazione è un principio universale, del quale il ritratto non è che un applicazione particolare. La perfezione dello stato naturale si può trovare solo nelle cose semplici e inanimate; più ci si eleva nella gerarchia degli esseri, più la diversificazione delle finalità moltiplica i rischi di incompiutezza, di errori e mancanze; e più il processo di mimesis diventa complesso. In questo caso, ritrarre sarebbe mancare la sua finalità. In questa visione d’insieme porta l’arte a prendere le distanze dal reale. Armenini nel suo trattato sollevò il problema tra il genio del pittore e le esigenze del ritratto. Il ritratto somigliante risponde alle necessità del modello, ma solo i pittori mediocri copiano la realtà pedissequamente. I pittori eccellenti dipingono ritratti meno somiglianti ma profondi nel disegno. “Perfetta somiglianza” diventa quindi un’attività meccanica, minacciando di classificare il ritratto come genere secondario. 1602: editto che limita la circolazione di pitture fuori il territorio di Firenze, tranne che per i paesaggi e i ritratti, facendo comprendere la poca importanza data a questi generi. Giovanni Battista Agucchi, 1620: spiegò che la riproduzione del reale in modo letterale era una forma inferiore dell’arte, che piace agli ignoranti che si rallegrano di trovare ciò che conoscono. Ci si trova davanti all’idealizzazione della natura. L’aneddoto del cardinale che scambiava il ritratto di Raffaello per il vero Leone X sembra far entrare il dipinto in questa tipologia di arte per ignoranti. Il pittore di ritratti era invitato a un lavoro di mediazione tra la realtà e l’ideale, la verità e la bellezza. Conferenza del Bellori (1664) nell’Accademia di San Luca a Roma: invita i pittori a non cadere nella trappola del realismo volgare. Cita Van Eyck e l’incisione in cui rappresenta una scimmia al guinzaglio, simbolo della capacità di rappresentare la natura, ma in modo meccanico. Per Bellori i “facitori di ritratti” erano colori incapaci di correggere le deformità. La scimmia passò ad essere esempio svalutato e svuotato del significato precedente (imitazione meccanica e servile). Data la superiorità della pittura di storia, presto si assistette alla promozione sociale e intellettuale, per mimetismo, del pittore e del genere di pittura che pratica. Nell’imitazione ragionata venne inserito il ritratto nella trama di una storia (con elementi narrativi). - Ritratto del Cardinale Bentivoglio, Anton Van Eyck. - Ritratto di Marc Antonio Pasqualini: musicista ripreso mentre viene incoronato da Apollo, dio della musica. È un ritratto in azione. - Ritratto di Clemente IX di Carlo Maratta. - Ritratto di Carlo Cesare Malvasia della duchessa di Mantova: la donna venne resa più bella. Aiutare la natura: Agucchi aveva inventato questa formula per giustificare l’esigenza di un ritratto intellettuale, in azione, destinato al piacere dei conoscitori. Il ritrattista non doveva essere un solo ‘facitore di ritratti”. 3. Superare la realtà La rigidità teorica sul ritratto fino al 1580 non impedì al pittore di esprimere la propria realtà in modo più libero. Nel Tempio della pittura Lomazzo parlò della collezione di Rodolfo II e degli enigmatici ritratti di Arcimboldo: di tratta di ritratti che mischiano elementi reali, della natura, con l'immaginazione propria del pittore. I ritratti di Arcimboldo per Lomazzo sono una forma di imitazione del reale attraverso l'invenzione e l'immaginazione. Lomazzo spiegò che la resa del reale è un problema per il pittore, ma può essere aggirato mediante una ricostruzione in accordo con la tesi che vede la natura imperfetta. Gregorio Comanini, 1590: nel suo trattato sulla pittura trattò del problema dell'imitazione; ripesca le idee platoniche di imitazione eikastica (del reale) e fantastica. Citò Arcimboldo per i suoi ritratti composti da elementi tratti dal reale che non hanno nessun rapporto né tra loro né col volto umano; può essere paragonato ad un inventario naturale e descrittivo del reale. La composizione è il risultato dell'immaginazione del pittore. Si può parlare di un nuovo rapporto tra modellato, idea e immaginazione. Mostrando le qualità del personaggio rappresentato, quelle che non ricadono sotto i sensi, attraverso oggetti realistici Arcimboldo unì nei suoi ritratti le osservazioni scientifiche al meraviglioso attraverso la combinazione tra il naturalismo e dell’immaginario. Giovanni Antonio Massani, 1646: affermò che nell’imitazione del reale l’artista debba aiutare la natura. Nel suo testo pose il problema dell’imitazione degli “oggetti peggiori del vero o più vili o difettosi”. Cito Annibale Carracci che diceva che il gioco e lo scherzo non erano solo dell’uomo ma anche degli animali (grottesco). In questo caso non si tratta di alterare l’oggetto: lo scherzo intorno a quell’oggetto, la deformità o la sproporzione sono naturali, e comporta il ridere con essa per la sua “ricreazione”. In tal senso, il pittore poteva imitare i giochi della natura ma poteva allo stesso modo aiutarla, condurla alla perfezione. Al riso che provoca la deformità si aggiunge allora il piacere che dà l’imitazione sapiente e ragionevole. La teoria in questo senso giustifica l’invenzione della caricatura che Annibale Carracci avrebbe ideato fondandola sulla conoscenza delle intenzioni e delle imperfezioni della natura. Nella lettera scritta da Annibale Carracci a Massani il pittore ci spiegò che l’artista di caricatura raggiunge Raffaello perché come lui realizza l’intenzione della natura, ma in senso inverso, e che la caricatura è un modo di incarnare l’ideale. Dunque, il ritratto naturale di Arcimboldo e la caricatura del Carracci sono due forme di trasgressione alle costrizione che i teorici fecero gravare su ritratto e sul problema dell’imitazione. Altro problema sollevato dal Vasari riguarda il ritratto degli uomini incerti, ossia quelli di cui non si conosce bene l’identità (ritratti degli antenati dei Frangipani): quei personaggi di cui si conoscevano solo i nomi e le dignità. 4. Critica religiosa al ritratto Il trattato di Lomazzo ricorda che la costruzione che grava sull’esercizio del ritratto non è solo di ordine politico e sociale, ma anche religioso e morale. Un ritrattista abile conferiva alla sua opera la nobiltà, creando un’immagine esemplare. In questo caso, Cristo può essere paragonato egli stesso ad un pittore che ha creato la natura e l’uomo. I miti cristiani sull’origine del ritratto, che legittimavano lo sviluppo dell’immagine nella pietà e nella liturgia cristiane, erano come il parallelo dei miti greci. Nel 1582 Gabriele Paleotti, arcivescovo di Bologna, scrisse il Discorso intorno alle immagini sacre e profane, un vasto trattato destinato a porre la pittura al servizio della dottrina cattolica. Le sue considerazioni sul ritratto si accostarono a quelle immagini sacre che il cristiano deve ricreare e venerare. Le immagini dell’antichità per lui non erano opere d’arte ma testimonianze di un’epoca pagana, che perseguitava il cristianesimo: non era lecito, dunque, conservarle in luoghi pubblici ma bisognava nasconderle in luoghi privati; tuttavia affermò che si potesse trarre un insegnamento morale da quelli che sono i personaggi mitici, noti per le loro virtù. Il ritratto storico, ereditato dall’antichità, era sottoposto a pregiudizio sfavorevole. Tuttavia, Paleotti affermò che, per quanto riguarda il ritratto dei principi, vigeva un discorso diverso. I sovrani illuminati dal cristianesimo erano dei fedeli dal potere legittimo, luogotenenti di Dio. Il ritratto del Principe era legato alla categoria delle insegne del potere. Se il principe voleva far creare una statua di sé stesso non era giudicabile per vanità. In ogni circostanza, la Ronsard chiede a Nicolas Denisot un ritratto di Cassandra, sua musa, ispirandosi al «modello rubato agli dèi» (cfr. Petrarca e S. Martini su Laura). Stessa richiesta viene fatta a Francois Clouet, dove il poeta in un’elegia detta il lavoro al pittore in una rappresentazione naturale, secondo il modello letterario italiano del ritratto dalla testa ai piedi. Non vi è però un ritratto realistico  descrizione retorica: viso e corpo in una dimensione di paesaggio, simbolo della passione del poeta (es: fronte paragonata a un greto di un fiume con una pietra preziosa, a un tempo ornamento e fonte di luce). Siccome l’esecuzione di questo ritratto è puramente ideale, il poeta e il pittore sono complici di un gioco che vede nel ritratto la manifestazione del desiderio di possesso del poeta  si ricorre al linguaggio architettonico per descrivere la carnalità. Ci si domanda quando un ritratto può dirsi concluso  il vero ritratto della donna amata è quello che il poeta ha inciso nel suo cuore. Tra il ritratto dipinto e il ritratto poetico (scritto) il vero trionfatore è l’amante che porta nel cuore l’immagine della donna amata. Nel 1552 anche il poeta Jean Antoine de Baif pubblica una poesia sul ritratto della sua amata di Denisot secondo il tema tipicamente rinascimentale della donna accogliente e misericordiosa. Anche qui si associa al ritratto il potere di preservare l’eterna bellezza dell’immagine. L’Arte non è rivale della Natura: di fronte al capolavoro ammette la propria inferiorità. 1623, G. Battista Marino scrive a Parigi La Galeria, descrizione poetica di una collezione fittizia di dipinti e ritratti. Qui, in un sonetto, raccomanda al pittore Bartolomeo Schedone di prendere dalla Natura i motivi più negativi (gelo, tenebra, bruciore) e collegarli all’amarezza dell’amore, raccomandando che l’immagine non appaia viva, per non essere mendace. Ritratto come oggetto feticista. 2 posizioni contradditorie: 1) Il ritratto, la pittura è superiore alla penna 2) La pittura è limitata nel rappresentare i sentimenti e le forme  la pittura è caduca, la poesia è eterna (Ariosto) Marino celebra il ritratto in varie forme, dal burlesco (es: il ritratto di Melchior Crescentio, che non può parlare perché l’artista gli ha tolto le mani) all’opposizione verbale (es: ritratto del predicatore Cornelio Masso, che è muto nella tela)  l’arte della pittura unisce e supera l’illusione della parola 3. Gallerie di ritratti Eredità rinascimentale alla Francia di parafrasi poetica del ritratto, esaltazione del ritratto attraverso il museo. Prova dell’influenza italiana è Teodore de Beze, che ha raccolto in un testo del 1581 i veri ritratti dei restauratori di fede. Ritratti non associati alla pratica del culto ma alla contemplazione solitaria. Il ritratto memoriale, addirittura commuove e i personaggi sembrano continuare a vivere e parlare, grazie al realismo. Non c’è traccia di una dottrina del ritratto della riforma paragonabile alla riforma cattolica, ma si dice che Lutero apprezzasse il realismo, ma diceva che non è immagine viva in quanto, essa cattura solo l’immagine superficiale dell’uomo. Andrè Thevet amante dei viaggi, gli si deve la conservazione della mempria di alcuni, che sapeva non aver abbastanza meritato la buona fama. Si dedica alla pubblicazione di testo: 1584, potraits et vies d’hommes illustres. È galleria di storia universale fondata sui testi biografici e ritratti di personaggi, dove,, molto interessante il libro si fa museo. La missione del testo era costruire una memoria che cammina, rendere eterni i personaggi, come hanno fatti gli antichi con i loro testi. I ritratti sono realisti, “vivono”. Come l’alberti definisce la pittura del ritratto come modo per far rivivere i morti e proporli quali esempi ai vivi. Presenti sono tre categorie di società:  Guerrieri  Chierici  Coloro che lavorano con le mani Dall'antichità al rinascimento, include l’impero ottomano e America. (esclude i vivi). Ricordando che il costume antico del ritratto memoriale sarebbe all’origine degli stemmi, Thevet mostra che le figure della sua galleria immaginaria sono un vero e proprio libro, storia muta, molto più efficace delle cronache scritte. Da cui si viene a creare anche il feticcio dei ritratti = quelli portati al collo, sull’anello... adorati come dei. I ritratti sono stati ricercati in biblioteche, collezioni di monete e medaglie, chiese. Insiste sulla qualità dei ritratti, ha infatti ingaggiato artisti fiamminghi, i primi a far conoscere a parigi la techica dell’incisione. Una lettera chiede anche il rimborso delle spese sostenute, siccome lui “erige una tomba e rende eterna la loro fama”. La bellezza dei ritratti = porta alla riedizione del testo. La sua opera si rifà ad un’antica tradizione per lo scrupolo di verità archeologica e l’uso del procedimento di incisione più nuovo. Non è il solo studiolo della memoria, ha un debito probabilmente a Fulvio Orsini. Una delle problematiche che emerge è la rappresentazione di qualcuno di cui non si conoscono le fattezze = incidere una cornice vuota, piuttosto di inventare l’immagine secondo fantasia per riempier uno spazio. E ne è l’esempio il Goltzius di Jacques de Bie nella sua raccolta les vrais potraits des rois de france, dove lascia la cornice bianca, come simbolo anche dell’assenza del personaggio del passato e fa pensare al ritratto assente del personaggio dell’avvenire. È interessante poi notare la coesistenza tra l’esigenza di ricerca della filologica del ritratto e la credenza nella possibilità di ricostruire l’effige del principe da ciò che si conosce del suo temperamento e umore. Il problema del riferimento a documenti autentici si pone anche per le vere gallerie di ritratti, quella di Giovio, Galleria del palazzo Cardinale decorato con 25 uomini illustri della storia di Firenze da Champaigne, che rappresenta in modo scrupoloso, con ricerca delle fonti, tra pitture, incisioni, ritratti di collezioni private. Contrariamente ad una parte della commissione ottenuta da Vouet, che ottiene una partee della commissione dove dipinge a capriccio, senza riferirsi a documenti storici autentici. Il problema delle gallerie: la scelta tra ritratto immaginario e storico. Nel secondo caso la filiazione è stabilita con Paolo Giovio e Andrè Thevet. L'atteggiamento di Champaigne con le sue ricerche prende dei modelli, quindi nessun ritratto è di sua invenzione. Vouet, che mostra la sua pura tecnica pittorica messa a servizio di una verità storica. Galleria di ritratti caratterizzata da volontà critica:  Roger Rabutin, conte di Bussy castello di Borgogna, installa un salone di uomini di guerra, serie di dame della corte, personaggi contemporanei, che circondano l’effige di Bussy in veste di imperatore, poi re di francia, duchi e i principali personaggi della famiglia. La funzione è una valutazione critica, feroce dei contemporanei. In quanto esiliato dalla sua città, i commenti posti sotto le opere non lasciano dubbio sul sentimento di rancore e vendetta.  Carlotta elisabetta di baviera, Principessa Palatina, interessata alla galleria di ritratti al palazzo di Denis Moreau. Qui la collezione ha significato poco rispettoso per la storia ufficiale, perché i re, generali, uomini illustri di Francia sono rappresentati con le loro amanti. Galleria per studio = ritratti a palazzo Truilerie.  Fatti e date riconosciuti da volti e vesti  L'arte e i sotterfugi (ingannare)  Studio sistematico legato alla storia  Studio passeggiando e divertendosi = X LUIGI XV Collezione sognata nel romanzo:  Hilarie Pader: 1658, sognè enigmatique del la peinture universelle. Influenzato da lomazzo. Racconta un sogno in un palazzo incantato della pittura, dove scopre un loggiato con ritratti in bustodi persone che non conosceva. Chiede alla guida chi fossero. I ritratti degli inventori della pittura, scrittura e architettura, i riformatori e coloro che hanno eccelso nelle belle arti. Un museo memoriale, che occupa il sogno con ritratti reali. Lo scrittore conosceva vasari e le vite, per cui l’importanza dei soggetti, e il ruolo. L'essenziale è che abbia inventato una collezione dedicata esclusivamente ai ritratti di personaggi della storia delle “belle arti”. La sua importanza la fa collocare in una collezione onirica. Il ritratto diviene memoria di una storia dell’arte, della quale annuncia l’esistenza addirittura prima che sia scritta. 4. Eco d'Italia Se il ritratto è argomento di dibattito sulla permanenza, collaboratore della storia, non è stato considerato ancora in campo filosofico. Associato al racconto moltiplica l’interesse e la forza, soprattutto se quasi vivo, così che giunge a certificare la narrazione. Il realismo è la condizione per la credibilità del messaggio, come ci testimonia in una sorta di manuale Etienne Binet. In cui si rivolge agli ignorati per spiegar che la missione della natura era di aiutare la Natura a completare la sua opera, ma non di riprodurla. L'operato degli artisti italiani in Francia fiero e cosciente. Con i diversi testi di Vasari e i trattati sulla pittura di leonardo. Non esiste una teoria del ritratto nelle note di leonardo, si legge nel codex urbinas, esso oppone il ritratto, dominio del particolare alla pittura di storia, dominio universale, e basa su tale confronto l’inferiorità. Sono due tipi di raccomandazioni relative al ritratto che si attribuiscono a leonardo, alcune si riferiscono alla manipolazione dei colori, della luce e delle ombre, altre sono basate sui suoi studi appassionati alla ricerca della scoperta della natura, che gli permettono di fornire delle combinazioni che consentono la costruzione del volto. Questo indispensabile, per creare un ritratto di memoria. Il pittore fissa l’immagine della persona vista e la confronta con le sue tavole. Il ritratto diventa gioco di costruzione, a partire da un certo numero di pezzi staccati preesistenti, che permettono un'infinità di combinazioni. L'organizzazione del sapere, della pratica si basa sull’organizzazione del reale. Si trovano nei tesi di Leo anche i primi lineamenti dell’espressione delle passioni, codificata da Le Brun. Non manca la frase di Leo al suo pittore di non specializzarsi come ritrattista. La storia al contrario è varietà delle invenzioni dei pittori. Ci sono una serie di trattati che parlano su come debba essere realizzato un ritratto, dalla stima artista- modello, dal soggetto ritratto, se un re è bene rifarsi alla natura ma anche all’antichità, senza trascurare l’importanza per il reale. Difatti Bernini ha fatto molti disegni preparatori, che gli hanno permesso di creare un'immagine mentale che è al contempo persona e Sovranità di Luigi XIV, alla quale si riferisce quando lavora in sua presenza, come se gli schizzi non servissero. L'artista se ne discosta perfino, al contrario l’opera è copia di una copia. Non c’è sospensione tra carica ricoperta e vita normale. È dal confronto tra immagine mentale e le peripezie che sorge il busto la cui persona di Luigi XIV raggiunge il l’eroe della storia (nello starsi fermo egli non è mai tanto simile a sé stesso quanto egli è nel moto). Critiche suo lavoro Chatelou, “segreto ritratti è aumentare il bello e dare grandezza, diminuendo il brutto”. Bernini voleva stabilire un dialogo fondato sul prendere e restituire, fondato sulla presenza del modello perché essenziale il confronto vivo e naturale, come mostra il rammarico riguardo il busto di Calo I, dove Barberini si scusa dicendo che se il ritratto non era abbastanza somigliante, perché era necessario che il prototipo fosse non lontano. Bernini si preoccupava molto del giudizio degli inglesi a riguardo. Dicendo che l’aveva fato per far rendere conto ai suoi colleghi pittori della differenza tra un ritratto al naturale e un ritratto da una pittura. Alla richiesta di Urbano VIII di fare un altro ritratto ad un sovrano, Bernini rifiuta. Il suo entusiasmo del busto di Luigi XIV è da contrapporre a Nicolas Stone jr che su un giornale aveva detto che una scultura non poteva essere fedele alla natura, perché gli mancava sempre il colore. Il dibattito pittura-scultura = ancora aperto. Un terzo esempio Italiano proposto alla francia è la meditazione sul posto e ruolo del ritratto (collezione autoritratti dei Medici). Leopoldo dei Medici = cardinale, volontà di costruire una collezione, Baldinucci ne spiega le motivazioni:  Sono memoriali e memorizzazione della storia  Documenti delle qualità pittoriche e stile degli artisti  Portatori di discorso storico e teorico. Continua anche oggi a svilupparsi. La pittura è in un certo senso l’erede del prestigio, finalità delle tecniche di memorizzazione inventate dall’antichità greca, sviluppate a Roma e coltivate attraverso ripetitori medievali fino al XVI. Lo stesso Vasari nelle vite dice che gli artisti partecipando alla loro automemorizzazione sono tappe del processo di concretizzazione della memoria della storia e dell’arte attraverso il ritratto. Leopoldo de Medici iniizata la collezione ha chiesto agli artisti di inviargli il loro autoritratto. Spiegati i motivi della partecipazione, quattro esempi eloquenti:  Pittore che protesta affermando di non essere specialista nel ritratto; pensa che il suo viso non è conforme all’ideale di bellezza. Invocando la reticenza della sua mano, costretta a imitare l’imperfetto, invece di correggere gli errori I tre grandi del ritratto secondo Felibien: Holbein, Tiziano, Van Dyck.  Holbein: sala ritratti = persone altrettanto vive giudicate cos’ da Enrico VIII.  Tiziano: considerato eccelso, l’esecuzione è sopra la teoria. Perfezione dei colori.  Van Dyck: maniera nobile, naturale e facile, sembra essere fatto al primo colpo. È a prezzo di un sacrificio che diviene, nel ritratto, l’equale di Tiziano = manca il disegno e altre qualità necessarie per le grandi competizioni. il volto è cosa difficile e ammira Guido Reni e Annibale Carracci, il pittore deve dare impressione del respiro e della natura, saper esprimere lo spirito e le affezioni dell’anima. Rifiuta l’idea vasariana che il pittore mediocre riesce meglio a fare ritratti rispetto ad uno sapiente. Il ritratto per Felibien è scienza. Analisi del ritratto continua con tre casi:  Caravaggio: distruttore della pittura, si lascia trasportare dalla verità naturale, manca dell’essenziale ovvero l’invenzione; nonostante controllasse l’imitazione del reale. Nel dipingere i corpi superiorità di Reni, anche se i volti non hanno quella verità, forza e rotondità del Caravaggio.  Rembrandt: originalità colori, e pennellata; ma le teste pur essendo belle da vicino sono spaventose, da lontano hanno buon effetto. Il quadro è perfetto se considerato da una minor distanza.  Velasquez: no considerato perché manca somiglianza al naturale e la bell’aria. Felibien sa ciò che rifiuta nel ritratto: una pretesa pseudoscientifica e una pretesa iperrealista. Si riferisce a delle teorie di Girolamo Cardano che dovevano che attraverso i tratti del volto si poteva leggere le vicissitudini e il futuro dell’esistenza della persona. L'arte diventa una forma di predizione. Felibien lo rifiuta, perché è infranto dalla provvidenza. Spiega poi i limiti del ritratto perché nel passato non si è sicuri che il volto della Maddalena peccatrice fosse uguale alla Maddalena pentita e così via. Ma ammette che la copia del Naturale può far conoscere qualcosa sul temperamento della persona. Il ritratto ha un significato: mostrare i quattro temperamenti e la condizione sociale, educazione, appartenenza, mestiere. Elementi che formano la personalità dell’uomo. È alla fisiognomica che fa allusione = interno specchio dell’esterno; l’uomo riassume tutto nel suo volto. Ripreso da Giambattista della Porta. Il principio del ritratto è conoscere e far conoscere l’intimità dello spirito e del cuore attraverso tratti e forme, che la rivelano all’insaputa del modello. Se l’uomo fonda la dignità sul ritratto, gli affetti, riguarda più la pittura di storia o la ritrattistica? Tale conoscenza delle passioni è anima della pittura. Felibien non si lascia sedurre dalle maschere funerarie iperrealiste, di cera, dove non c’è grazia, dove il disagio si sostituisce alla fascinazione. In questi calchi, resa perfetta di ogni dettaglio, non affiora l’essere interiore. Quindi può creare una somiglianza morta e insensibile. Può portare solo ad un immagine di morte. Dove non valuta niente di scienza., li definisce ignoranti. Parlare del ritratto è mettere alla prova la sensibilità di Felibien. Discutendo delle origini e meriti della pittura e della poesia, dice che la prima nasce dal desiderio di Amore di avere il suo ritratto che le Ninfe non possono dargli né conservare per sé. Amore faceva vedere la persona che amavano, immagini vere. si riallaccia all’Alberti, dove dice che il ritratto è il primo esercizio di un effettivo insegnamento. CAPITOLO SETTIMO: La teoria alla prova della società 1. Argomenti sociali e mondani Come fissare l’uomo, che cambia in mille e mille figure? Domanda che emrge nel capitolo sulla moda dei Caracteres La Bruyre. Non si tratta di un dipinto ma un ritratto letterario. Genere letterario in voga, D’Aubignac ne parla nel suo testo Les potraits egares, dove addormentato al parco l’autore vede apparire in sogno l’amore che gli intima di fare il ritratto dell’amata Laodamia, in stile cinquecentesco. Descritto il volto parla del corpo e aggiunge delle raccomandazioni alla rappresentazione della personalità interiore (grazia, allegria, onestà, intelligente, buona, vivace…). Di che ritratto parla? È ritratto ispirato all’amore, conformemente a una tradizione italiana. Stesso periodo Description de l’ile de potraiture Charles Sorel 1659. Autore si reca nell’isola del ritratto, al centro del mondo. Ci sono due categorie di abitanti: ritrattisti professionali e quelli che, provvedendo alle necessità della vita quotidiana mescolano tutta la loro arte con quella della pittura. L’arte è onnipresente è forse il raggiungimento della volgarizzazione del ritratto di cui parla Lomazzo? come per le corporazioni i pittori sono suddivisi in strade a seconda della specialità, quella dei:  pittori eroici, che fanno ritratti lusinghieri, anche bugiardi, soprattutto perché i clienti indossano maschere, la cui finalità è di non apparire maschere. La maschera non è solo una parte del volto è tutto il corpo, anche le vesti. Sembra di leggere Lomazzo e la sua critica del decoro menzoniero, con cui si cerca di imbrogliare sulla vera condizione. Denunciando un umanità fisicamente e moralmente tarata, Sorel mostra che il ritratto è maschera. Ogni volto è mascherato. Il ritratto è artificio perché ogni uomo vuole apparire davanti agli altri ciò che non è.  pittori innamorati: ritratti lontani dal naturale, altro trionfo di menzogna. Tratti lusinghieri dell’amante, e loro tratti disfatti di uno spasimante angosciato.  Pittori satirici: a cui si domanda il ritratto di un nemico; se non hanno clienti fanno il ritratto dei passanti, che rompono la maschera, dipingendolo dal vero. Sorel paragona quest’azione alla ricerca del vero, al lavoro degli accademici di fronte al modello. Il ritratto ha conquistato le donne, che sono state rappresentate come bambole di cera, ma conoscono anche l’arte di mascherare le imperfezioni, o di far credere vera una bellezza perfetta arricchendola con una minima imperfezione. L’origine dell’isola del ritratto: dopo i successi in Grecia non accontentandosi dei guadagli hanno fondato uno stato siccome non avevano parte nel governo. Governo che rifiuta la monarchia; è specie di repubblica governata da un senato, nel quale sono rappresentate le diverse categorie di ritrattisti. Il senato dà ricompense e punizioni ai quadri scandalosi bruciati; quanto agli autori (satirici) frustati. Prima di ritornare in Francia Sorel vede carichi di ritratti pronti ad essere imbarcati; ponendo il problema del commercio di questi e dell’impegno morale del modello sull’opera che lo rappresenta. Ricorda poi l’opera di Swift, Gulliver, fantasmagonia, sogno o incubo? Sebbene l’autore concerne allo sviluppo del ritratto letterario, non manca la critica al ritratto dipinto. Questo come rappresentazione menzoniera sul carattere e la persona rappresentata (lomazzo), anche attraverso la moda. Per cui i ritratti realistici diventano illusori e memoriali, dove il pittore esegue i ritratti obbedendo fino a ritoccare acconciature … per renderlo più somigliante all’ “ordine”. A questo si contrappone il ritratto rubato, che può essere in formato di miniatura, per uso privato e nascosto. Dove il pittore deve agire senza che il modello si accorga. Si guardano le movenze e il ritratto di nascosto diviene quello di memoria, perché il pittore davanti al modello non può prendere appunti. Esempio è Riguard con il ritratto dell’abate Rance 1696. Dove c’è meraviglia di realismo e penetrazione psicologica. 2. La critica di Point-Royal Per Felibien il ritratto di Luigi XIV doveva essere ritratto della Monarchia trionfante, ma poi padre Le Moyne aveva riaperto il dibattito sul vero ritratto, durevole, che doveva essere costituito dalle qualità del sovrano che dà esempio, e prefigura un ritratto che non è esposto al tempo e ai cambiamenti. Point-Royal definisce il ritratto del sovrano identificato a un fattore d’idolatria. Si rifà alla controriforma, dove le immagini sono permesse solo per idolatria. Fontaine in un articolo Ritratto apre una contestazione, tutto è pieno di ritratti (lomazzo) che non corrispondono alla verità. Solo dio quindi può tracciare l’immagine vera? Pierre Nicole amplia la riflessione dicendo che l’uomo vuole ritrarsi per contemplare l’idea che ha di sé, avendo paura di vedersi miserabile e peccatore. L'uomo si guarda ma non si vede, vede solo il vano fantasma a cavallo. Ecco allora il vero ritratto che re e sudditi sono condannati a rinviarsi. Ecco che il ritratto diventa impossibile ed è in quelle azioni miracolose che devono essere ammirate più che cercare di imitarle. Per Nicole il ritratto è segno del peccato, mezzo che ci distoglie dalla contemplazione della verità. E perpetuarsi nel ritratto è una forma che rende visibile la corruttibilità del corpo. Il ritratto del cristiano = virtù ricordo. Il vero ritratto è l’impressione interiore e spirituale davanti a dio. C'è anche il ritratto dei giansenisti, segno presente dell’assenza o concepito nel rapporto dell’assenza? Hanno rispetto per la verità del volto, senza ritocchi. Per cui si pone come ritratto di opposizione. Al verismo delle cere, che scimmiottano la vita, si contrappone la verità delle maschere funebri. Con Port-Royale si passa dalla maschera che rappresenta la maestria del ritrattista che riproduce, alla maschera funebre, ritratto assoluto. 3. Compromessi teorici e consigli pratici Dati dai pittori sia per la rappresentazione al naturale, che per quella psicologica, consigliando anche in merito al pittore eventuali modifiche, senza togliere di verosimiglianza. Ci sono consigli anche per quanto riguarda la costruzione della figura, come usare luci e ombre, i colori, i vestiti. E si guarda all’arte del ritratto con occhi nuovo, in quanto guadagno facile e vantaggioso economicamente, di modo da farlo sfuggire dalla gerarchia umiliante affidatagli. Occorre poi abbia successo, visto a colpo d’occhio tutto insieme. CAPITOLO OTTAVO: DIVERSIFICAZIONE INTERNAZIONALE 1. Spagna XVII per la presenza di Zuccari a decorare l’Escurial che i pittori sentono di andare oltre la mera formazione di bottega. Aspettare il 1633 per prima opera teorica artistica Dialogos Vicente Carducho (mediatore delle teorie di Paleotti e Lomazzo). Dice che il pittore sapiente non è buon ritrattista, che si sottomette all’imitazione; si indigna per la proliferazione del ritratto e la volgarizzazione di esso (anche per i comuni). Di nuovo sono gli aneddoti di vita quotidiana contemporanea. Di fatto la definizione di Orozco nel Tesoro del 1611 dice che il ritratto è la rappresentazione di un personaggio importante. Effige conservata per la memoria. Influenza italiana. Francisco Pacheco testimonia nel testo et arte de la pintura 1648 l’auonomia intellettuale rispetto ai modelli italiani. Trattando del ritratto partendo da problemi di rappresentazione di animali, natura; dunque colloca il ritratto a un livello inferiore dei generi. Infatti dice che la grandezza dell’arte non è relegata al ritratto. Le belle idee del pittore aspirano a cose più elevate e difficili, richiedono invenzione, talento e magnificenza delle composizioni. Le due condizioni che garantiscono il successo del ritratto: imitazione fedele; che abbia valore agli occhi delle persone dell’arte; anche se il committente non è conosciuto, se è buona pittura sarà degno di stima. questo ultimo punto testimonia la libertà della tradizione italiana, perché Lomazzo non lo avrebbe mai detto. Per fare questo deve il pittore praticare senza sosta il disegno alla maniera di Durer, Leonardo, Velasquez, alla quale subordina tutte le ricette di bottega, esaltando il disegno. Questo deve essere somigliante non tanto eliminando i difetti, quindi gli errori della natura. Dovevano essere verosimili (realismo illusorio), altresì, facendo confondere realtà e finzione, capacità dei veri capolavori come quelli di Velasquez. Come suggerito da una commedia teatrale bisognava scegliere la strada giusta né nascondere né mostrare difetto: trovare la posizione giusta per il viso. 2. Paesi bassi Riflessione sviluppata nel XVI secolo per influenza italiana. Lampson, informatore di Vasari sugli artisti fiamminghi citati nelle Vite. Ha fatto un primo testo con epigrammi, che sono primo commento sui ritratti delle scuole del Nord. Confermano la celebrazione poetica del ritratto e l’infatuazione del pubblico letterato per questo genere. Il ruolo di Vasari dei Paesi bassi doveva spettare a Karel Van Mander, il cui maestro Lucas de Heere, aveva pubblicato delle poesie dove parlava di un ritratto di dama a cui mancava solo la parola. Alla fine della vita Mander si dedica alla salvaguardia della memoria di una scuola che si vantava del ricordo glorioso dei fratelli Van Eyck. Mostra il suo potere con la biografia di Holbein, che ha fatto ritratti, mostrando come questo può valere al pittore una situazione privilegiata e facilità di denaro. Dice che ci possono essere effettivamente buoni ritratti. si dice che la scrittura sia superiore alla pittura e ci sono dibattiti sui migliori pittori. Il secolo d’oro olandese è nel 1707, Lairesse, ispirato dalla Francia (teorici e scuola) dedica trattazione al ritratto = dando consigli su come farli bene. Lairesse conserva una diffidenza nei confronti del ritratto che gli sembra in contraddizione con la libertà d’artista (= uomo che rinuncia alla libertà per rendersi schiavo e allontanarsi dalla perfezione che l’arte offre per sottomettersi a tutti i difetti della natura). è vero che la subordinazione al capriccio del cliente comporta compensazioni: soldi, onori, famigliarità = trasmettere immagine alla posterità. Il pittore interessato al denaro = rischio di diventare giocattolo nelle mani della clientela dal gusto mediocre. Lairesse si avvale di un realismo sfumato, che accosti i difetti, per sforzarsi di andare oltre alla rappresentazione troppo teatrale. Ci sono difetti che si possono mostrare e quelli che si possono nascondere (de Piles). Per esempio vale mostrare un guerriero che ha perso una gamba = parte della storia del modello.
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